Don Enzo: un artista di Dio

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Don Enzo: un artista di Dio
Don Enzo: un artista di Dio
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“Spesso sogno tante persone che si buttano nel servizio e si lasciano divorare dai
poveri... Sogno tanti fratelli e sorelle che danno tutto e definitivamente al Signore,
danno tutto e non solo molto ai poveri e agli ultimi. Vorrei, o caro Gesù, che il mondo
diventasse un cantiere di carità e di amore travolgente. Sogno di diventare un uomo
di Dio pienamente libero e crocifisso dall'amore nel servizio con la Chiesa e nella
Chiesa per i fratelli... ma quando si sogna con amore audace e con il cuore di Cristo,
tante cose si realizzano. Per cui, Gesù, ti chiedo di aiutarmi a sognare, per diventare
sempre più piccolo e grande in amore e libertà”. Sono parole del Diario di don Enzo,
scritte 3 ottobre 1989.
Ho voluto iniziare così, con un sogno. È il sogno del “Don”, che lo ha impegnato per
gran parte della sua esistenza, dal momento in cui scelse di sacrificare tutto – la
stessa vita al Carmelo – per diventare sacerdote.
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Sognare e sperare
C’è chi sogna ad occhi aperti mentre aleggia sulle nuvole di una realtà costruita a sua
misura - e per questo irreale. C’è invece chi sogna ugualmente ad occhi aperti e
custodisce il suo sogno nel profondo del cuore, ma con i piedi piantati profondamente
nella terra in cui vive, ama e spera.
Saper sognare è la premessa di un artista, ma non basta per essere davvero tale.
L’artista è colui che afferra il guizzo dell’idea, ma non è appagato fin a quando non la
vede realizzata, non ne intravede il compimento. È colui che contempla sì la realtà ma
già trasformata dalla sua intuizione: vede il presente insieme a ciò che in un futuro
sarà. Gli occorrerà spesso del coraggio per percorrere il tragitto che intercorre tra il
sogno, il progetto e la realtà nuova del suo compimento, ma la forza la troverà in
questo “anticipo” che ha intravisto nel momento in cui l’idea in lui ha preso forma.
Nel mondo della creatività naturale, le risorse in gioco sono ciò che ogni persona è.
Nel mondo della fede, oltre al bagaglio naturale di mente e di cuore, vengono messe
in gioco tutte le doti di spirito. E oltre alla fede, viene chiamata in causa la speranza.
Per ogni opera di Dio nella storia, realizzata attraverso la collaborazione dell’uomo,
occorre rafforzare questa virtù, che si fonda sulla fede e si esprime in una preghiera
instancabile - come ha detto Benedetto XVI nell’ottobre scorso a Napoli.
Se da vero uomo di Dio don Enzo ha creduto "possibile l'impossibile", perché ha fatto
l'esperienza che "niente è impossibile a Dio", è anche vero che vi ha messo tutta la
sua parte, perché "Dio ha voluto aver bisogno della nostra collaborazione".
Ma cosa vuol dire saper sperare? Vuol dire saper riporre tutta la fiducia in Dio,
abbandonandosi pienamente alla sua Volontà. Lungi dall’inerzia, l’atteggiamento di chi
spera richiede azione, collaborazione, inventiva, lavoro e fatica non solo esteriori ma
prima di tutto interiori, per essere pienamente disponibili come strumenti efficaci per
l’opera di Dio nella propria vita e nella storia. Significa fare tutto il possibile senza
contare sui mezzi propri mentre si sfrutta a pieno ogni talento donato da Dio; vuol
dire vivere con i piedi ben saldi a terra, ma con lo sguardo del cuore che spazia in
alto; vuol dire vivere con l'animo attento a cogliere ogni soffio dello Spirito, che si fa
portatore della volontà di Dio; vuol dire imparare a leggere gli avvenimenti della vita
con gli occhi del già e lo sguardo rivolto al “non ancora” e saper conoscere da questi
ciò che Dio chiede.
Vuol dire assomigliare ad un albero capace di una dimensione speculare: di saper
avere le radici piantate profondamente nella terra e le fronde che si allungano a voler
toccare il cielo, e allo stesso tempo le radici affondate nell’azzurro della volta celeste e
le fronde che raggiungono la terra ed offrono agli uomini i loro frutti.
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Speranza in atto
La speranza in atto realizza la vera serenità, che è piena consapevolezza e realismo
che si armonizza con una profonda pace, frutto dell’intima convinzione che Dio vive in
noi e ci porta per mano. Don Enzo, uomo dell'ascolto e della gioia vera che nasce dalla
profonda comunione con Cristo, scrive: "Gesù ci ha insegnato che la speranza si fa
certezza, il desiderio si fa compimento. (…) Che non si può essere tristi quando è
presente lo sposo nella nostra vita, che quando Lui è presente la nostra vita si
trasforma, è veramente la festa! (…) Non è il Dio della tristezza, non è il Dio
dell'angoscia, il nostro: è il Gesù della festa, del banchetto, delle nozze. Ci ha
insegnato che Lui è sempre pronto. Ha insegnato quello che non ci dimenticheremo
più, quello di cui gli uomini tutti hanno bisogno. Ha insegnato che Lui "è la Via, la
Verità, la Vita" per cui è tanto inutile cercare altrove, affannarci a cercare tante
strade, tante compensazioni, tanti inutili "cedere" alla tentazione del compromesso,
perché le cose non riusciranno mai a saziare, ad arricchire i grandi desideri dell'uomo,
a soddisfare i grandi desideri dell'uomo”.
Sulla strada della vita e del servizio, don Enzo ha assaggiato più volte la polvere:
nell'amarezza delle incomprensioni, degli insuccessi nei confronti di qualche giovane
che non ha dato i risultati sperati; nella constatazione della sua fragilità fisica e
psicologica. È la speranza, unita alla fede e all’amore, che gli ha dato la forza di non
cedere mai, pur nei travagli e nelle avversità; di percorrere il cammino fino in fondo,
attraversando i momenti bui nell’attesa che il suo sogno divenisse realtà.
Scriveva: "È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio.
Anche perché la tribolazione, il sacrificio hanno il pregio di fortificarci nella fede, di
irrobustirci. Non le tribolazioni subite, ma accettate con coraggio, con fiducia, con
speranza, sapendo che dopo la notte c'è l'aurora, che dopo il buio c'è il giorno di luce,
che dopo la morte c'è la risurrezione. Non fermiamoci mai al buio, alla notte, alla
tribolazione, ma sappiamo subito intravedere la luce, il giorno, lo splendore, la vita.
Non è fantasia, non è immaginazione. È realtà. Dopo quel tempo, quel momento,
quelle difficoltà, quel tunnel, quell'oscurità, necessariamente, il Dio della Vita si può
manifestare, si deve manifestare".
La virtù teologale della speranza da realtà interiore deve incarnarsi in atteggiamenti
concreti, che ne rendono verificabile non solo la presenza ma la consistenza, fino
all’eroismo. I gesti sono un po’ come una cartina al tornasole: dai frutti si riconosce la
pianta da cui provengono.
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Dalla speranza la povertà…
Il primo atteggiamento degno di nota, caratteristica unanimemente riconosciuta da chi
ha vissuto con don Enzo, è la povertà. Contemplando la povertà di Gesù, don Enzo
scopre che essa è un valore: "è una sorella da amare, non da temere; da cercare, non
da dimenticare; da stimare, non da ignorare; da vivere, non da sopportare". "Sappi
che non ha senso una povertà triste, subita o tollerata, ma ricerchiamo una povertà
voluta perché conosciuta, proposta perché vissuta, libera per amore di Cristo”
(Direttorio, 1984, pp. 64-67).
Povertà prima di tutto individuale, che emerge evidente dalle testimonianze; dettata
dalle circostanze, ma anche scelta e voluta come dimensione di vita: "Quante volte noi
abbiamo cercato di fargli dei regali, magari con la scusa del Natale, magari un paio di
scarpe che lui consumava molto perché appena poteva si metteva a camminare,
magari in su e in giù per la stanza. Ma lui le ha sempre rifiutate: povertà assoluta", o
se qualche volta accettava era per chi ne aveva bisogno.
Dal Don è sottolineata la semplicità e la povertà delle cose, dei vestiti, degli strumenti
di lavoro; non perché volesse il risparmio in assoluto, ma come scelta di vita
evangelica. Don Enzo definisce la povertà "ricca di fermenti, di ordine, di buon gusto e
di amore", un atteggiamento interiore di disponibilità e mobilità che si traduce nel
distacco esterno dalle cose e nel dono di se stessi, del proprio tempo, delle proprie
forze.
Come per Gesù, la povertà è un "grande desiderio di vivere la vita alla pari con i
fratelli poveri, senza arbitrari particolarismi di orari o di trattamento"; è vivere da
"poveri, senza garanzie, senza onori, senza notorietà, senza il minimo privilegio"
(Direttorio, 1984, p. 64). Parole facili da dire, meno facili da vivere senza un
atteggiamento di profonda ed autentica speranza nel Signore, scoperto come il vero
ed unico tesoro della vita, il solo punto di appoggio su cui fondare le nostre sicurezze:
“La vera povertà è soprattutto sequela di Gesù Cristo, è un ‘lasciare tutto e perfino la
propria vita’ (Lc 14,26), le proprie abitudini e il modo di vivere, la sicurezza, l'avvenire e
tutto ciò che ostacola il nostro cammino di pellegrini verso la terra promessa"
(Direttorio, 1984, p. 67).
Ecco cosa dicono di lui: "Bastava frequentarlo anche brevemente per accorgersi del
suo stile di vita, fatto di povertà e di generosità: la sua ‘500' era pronta per ogni
evenienza ed abituata a prestazioni spesso superiori alle normali possibilità; entravi in
casa sua sicuro di essere sempre bene accolto; e vedevi che egli aveva la capacità di
scoprire da qualche parte qualcuno che avesse bisogno e di aiutarlo”.
La povertà era per lui "la madre che ci ha generato", la virtù che porta a considerare
tutto come dono e a coltivare il senso della gratuità e della riconoscenza: tutti
possono donare qualcosa, ma è importante "non essere mai così povero da non poter
donare te stesso al fratello".
La povertà vissuta da don Enzo da personale diventa anche proposta comunitaria:
"Non è sufficiente la povertà personale, ma è indispensabile anche quella comunitaria
capace di armonizzare con le nostre vere scelte educative e di servizio. La povertà
deve garantire la credibilità del Vangelo e sollecitare gli uomini a cercare prima di
tutto il Regno di Dio e la sua giustizia (Lc. 12,31). Più concretamente, la nostra vita
povera dovrà essere quella dell'uomo che si guadagna con la propria fatica il
necessario per vivere e non si chiude in se stesso, e sa condividere lo sforzo degli
ultimi in un cammino di liberazione" (Direttorio, 1984, p. 73).
Per vivere una dimensione di vera povertà, bisogna rinunciare ad ogni forma di "vita
facile, di ricercatezza, che pongono fuori dal gioco della storia di Dio per condividere
solo la vita scomoda del povero con tutte le sue logiche conseguenze di sacrificio, di
umiliazione, di rischio, di coraggio, rispettando sempre il non sappia la tua destra quel
che fa la tua sinistra (Mt 6,3)" (Direttorio, 1984, p. 67).
Era convinto che "servire alla pari significa essere poveri senza garanzie, senza onori,
senza notorietà, senza privilegi, senza diritti". Il vero povero è libero: sia dai beni
materiali che "spirituali", non ha idee fisse, pregiudizi, onore da salvare. È un semplice
strumento nelle mani di Dio e di chi soffre. Servizio alla pari significa "lasciarci usare"
dalla miseria dei poveri, dalla loro insicurezza, dal loro dolore, lasciarci compromettere
dal loro dramma, pagando di persona. Essere poveri è proclamare con la vita il
primato dell'essere sull'avere; dell'essere uomo e figlio di Dio sul valere perché
produci, sai, sei potente; il primato del crescere in umanità sul crescere in potere.
La povertà amata e vissuta, è stata anche per don Enzo un traguardo che si conquista
ogni giorno. Anche lui non è nato "povero", lo è diventato. Ha saputo sfruttare la vita
ricca di lezioni di povertà impartite dalle persone, dalle esperienze fatte di fatiche, di
successi, di fallimenti, di dolori, di sconfitte, di rischi, che insegnano a non presumere
di se stessi, ma ad abbandonarsi con fiducia e speranza al Padre, a saper essere
contenti del necessario.
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… la fiducia in Dio e nell’uomo
Il secondo aspetto concreto in cui si riflette la speranza è la fiducia in Dio, nel suo
amore provvidente. Tutta la vita apostolica di don Enzo è ritmata dalla Provvidenza.
La sua fiducia si è rivelata talvolta “assoluta” come strabilianti sono state le risposte
dall’alto: in don Enzo non c’è mai stato un atteggiamento passivo e rassegnato di
fronte alla povertà e alla penuria, ma un atto forte, profondo, assoluto di speranza
teologale. Ha saputo mettere tutto nelle mani di Dio, anche l'impossibile, sapendo
andare al di là delle umane constatazioni del possibile, ma al contempo facendo da
parte sua tutto quello che umanamente era in suo potere fare. La dimensione della
speranza eroica che si distingue in un uomo di Dio è proprio questa: andare al di là e
credere, fermamente credere che Dio provvederà.
Sono numerose le testimonianze di quanti hanno toccato con mano la speranza del
Don che si traduceva nella forza tenace di non cedere di fronte alle difficoltà, di
andare avanti: "Si era agli inizi, non c'erano ancora in Italia esperienze di accoglienza
stabile né tanto meno comunità per tossicodipendenti. Si era quindi alla ricerca di
tutto: gli operatori, i mezzi, i metodi, persino il cibo. A questo proposito ho avuto
modo di constatare l'incredibile fede nella provvidenza da parte di don Enzo, tipica dei
santi. Quante volte e, successivamente nella Casa di Via Folla di Sotto, la mattina
mancavano soldi e cibo, con almeno una decina di persone da sfamare. Ebbene il don
non disperava mai; diceva che se il Signore voleva bene a quei giovani ci avrebbe
pensato”.
Nella vita di don Enzo ci si imbatte in fatti che hanno un po' il sapore dei fioretti
francescani. Non ci si deve stupire, perché tali eventi rientrano in una familiarità che
gli uomini di Dio hanno con lui, anche se per loro è normale che il Signore si comporti
così: “Quante volte – fin dagli inizi – mancavano soldi e vettovaglie, con almeno dieci
persone da sfamare: ma il Don non disperava mai. Diceva che, se il Signore vuol bene
a questi giovani, senz'altro ci avrebbe pensato Lui. E, di fatto, non si restò mai a
digiuno. Puntualmente arrivava un macellaio o un panettiere o qualcun altro, che
portava il necessario. Nessuna meraviglia, quindi, se qualche testimone cominciasse a
parlare di fatti straordinari: le provviste che arrivavano al momento giusto, quando la
dispensa era rimasta vuota – e, nel frattempo, le bocche da sfamare erano diventate
centinaia –, o una persona che, calzando le scarpe da tennis, portava un cospicuo
assegno – giusto la somma necessaria in quel momento –, o un meccanico che,
insensatamente, faceva una passeggiata sotto la pioggia, fuori paese, e incappa
nell'auto del Don in panne”.
Il terzo atteggiamento è lo sguardo di speranza verso l’uomo. La fiducia in Dio non
può che generare la fiducia nell’uomo, in ciò che il Signore può operare nei suoi figli e
nelle risorse di natura e di grazia presenti in loro. Solo uno sguardo carico di amore
fiducioso e pieno di speranza ha potuto non solo iniziare ma sostenere il suo servizio
ai giovani e agli ultimi, anche quando la realtà parlava di insuccesso.
Al di là del dato sociale della sua opera a favore dei giovani, le testimonianze
dipingono don Enzo come un padre: esigente, severo, ma padre, che voleva a tutti i
costi recuperare anche quei ragazzi che doveva allontanare. Nell’aver trovato
l'espediente di farli accogliere nelle famiglie legate alla comunità, si concretizzava il
suo credere in uno spiraglio di recupero e la fiducia estrema nell'altro, che molte volte
gli ha dato ragione.
Fiducia nell’altro che ha sempre colpito, come testimoniano questi ricordi: “Mi chiese
subito di fare il servizio civile alla Casa del Giovane, perché, mi disse, aveva urgente
bisogno di aiuto. Mi colpì molto la semplicità e l'immediatezza di quella richiesta,
l'assoluta assenza di pretesa, la totale fiducia nella mia risposta, la certezza della
ragione da cui quella richiesta nasceva. Era come la richiesta del mendicante che
tende la mano in silenzio e si affida totalmente allo sconosciuto passante dal quale la
sua vita dipende. Quella richiesta mi veniva fatta esattamente in quel momento, e per
una ragione evidente; era una domanda fatta alla mia vita, non potevo dire di no. È
incredibile la forza di una domanda vera”.
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Il profeta, uomo di speranza
Nella speranza troviamo la radice del suo servizio che via via è divenuto profetico:
"Servizio profetico significa impegnarci ad aiutare il fratello nel valorizzare le proprie
capacità e le proprie risorse, per scoprire la propria identità di persona responsabile e
figlio di Dio".
Viviamo in una società inquinata di materialismo e che ha estremamente bisogno di
testimoni di speranza, di voci che interpretino le realtà terrene secondo un’ottica non
addomesticata alle mode e agli interessi dei poteri dominanti. Don Enzo insegna come
essere profeti: come essere segno nel mondo, ricerca dell’assoluto di Dio, disponibilità
totale, provocazione per l’uomo indicando più con la vita che con le parole il primato
del Signore.
Un “essere profeti” determinato da una caratteristica: inserirsi nei problemi del tempo,
della storia contemporanea con la saggezza di chi sa interpretare il passato giudicando
il presente e lanciandosi nel futuro. Ciò richiede il saper analizzare il proprio tempo,
apprezzare gli elementi positivi, tener presenti quelli negativi, ascoltare le istante,
accettare le sfide ed agire con il dinamismo della fede e della speranza, senza ricusare
la responsabilità per il presente.
Don Enzo insegna a non restare nell’abitudine, nell’esistente, nel conosciuto e sprona
a volte storiche sapienti, alla ricerca e all’individuazione di rimedi ispirati
spietatamente al Vangelo, di strumenti ed obiettivi idonei all’annuncio e alla
realizzazione dei disegni di Dio nel segno dell’amore.