Stralcio volume

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Stralcio volume
Capitolo Primo
L’evoluzione dell’approccio manageriale allo studio della Pubblica Amministrazione
1.1. Premessa. – 1.2. Il paradigma del New Public Management. – 1.3. L’evoluzione
del New Public Management: la Public Governance.
1.1. Premessa
La centralità della spesa sanitaria nelle decisioni di finanza pubblica ha
da sempre generato un vivo interesse degli studi economici, prima, e di
quelli manageriali, poi, sul ruolo che le caratteristiche dell’organizzazione
dell’offerta sanitaria hanno sui livelli della spesa pubblica, nonché sulla
qualità dei servizi erogati ai cittadini.
Per il rilievo sociale ed economico assunto, indipendentemente dal contesto nazionale di riferimento, l’organizzazione sanitaria di ciascun Paese
è al centro di una complessa rete di giudizi di valore da parte degli utenti,
dei politici e degli altri stakeholder 1 e, per tale motivo, molto nutrito è il dibattito scientifico circa lo studio delle possibili soluzioni applicabili per migliorarli.
Con riferimento al contesto italiano, le importanti innovazioni che hanno interessato il comparto sanitario pubblico negli ultimi decenni si alli-
1 Al riguardo Gennaro Ferrara (1993 e 1994) indica la necessità di determinare un
bilanciamento tra gli interessi dei diversi pubblici aziendali, al pari degli altri sub-equilibri della gestione aziendale, poiché il suo mancato raggiungimento rischia di alterare nel
tempo l’equilibrio economico complessivo dell’azienda.
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neano ai processi di riforma della PA avvenuti in altri contesti nazionali,
favoriti dagli studi sul managerialismo pubblico.
Diversi Autori hanno indicato, nella crescita incontrollata della spesa
pubblica e nell’insostenibilità degli imponenti deficit di bilancio, le cause
maggiori 2 della ricerca di nuovi assetti istituzionali, gestionali ed organizzativi per il settore pubblico (Greer, 1994; Zifcak, 1994; Walsh, 1995) nel
tentativo di giungere a soluzioni di good governance 3 più attente agli aspetti
dell’efficienza e dell’efficacia.
Le severe critiche cui sono state sottoposte le amministrazioni pubbliche nei Paesi occidentali, circa l’autoreferenzialità delle gestioni, le insostenibili condizioni di inefficienza e lo scarso orientamento alla soddisfazione degli utenti, hanno condotto gli studiosi e gli operatori a considerare superato il modello burocratico 4, quale modello unico di funzionamen-
Secondo Luder (1994), i processi di riforma della Pubblica amministrazione possono essere spiegati secondo il modello contingency. Secondo tale modello i cambiamenti
sono indotti dall’insorgere di fattori esterni (riduzione risorse finanziarie) e da fattori strutturali (volontà politica e capacità del top management pubblico).
3 La good governance nel settore pubblico, secondo il documento redatto dalla Banca
Mondiale nel 1992, fa riferimento alle logiche che dovrebbero essere seguite per la corretta gestione della cosa pubblica. Tali logiche riguardano: la necessità di dotarsi di sistemi di budgeting e di controllo per una gestione efficiente delle risorse umane e finanziarie; l’introduzione di norme e di strumenti capaci di responsabilizzare la dirigenza
sull’efficienza e l’efficacia del proprio operato; l’introduzione e il rafforzamento dell’accountability per il recupero della trasparenza dell’azione amministrativa in modo da favorire il controllo da parte di tutti i portatori di interesse.
4 La logica burocratica, ispirandosi ai principi dello strutturalismo sociale e della razionalità assoluta, propone di raggiungere l’ottimo, partendo dai limiti della razionalità
limitata, attraverso l’eliminazione degli elementi di soggettività nei comportamenti individuali. Il modello burocratico teorizza alcuni principi, di seguito brevemente riportati,
attraverso cui guidare le organizzazioni complesse: principio della specializzazione e dalla
suddivisione del lavoro; principio della scientificità teorica e della scientificità sperimentale; principio della normazione preventiva di compiti e mansioni; principio della impersonalità; principio della gerarchia (Borgonovi, 2002). La burocrazia, sosteneva Weber
(1961), pur non essendo una peculiarità dell’organizzazione sociale del capitalismo industriale, avendo radici più remote in altri tipi di economie, nella stessa aveva trovato la
sua piena realizzazione basandosi sui principi di razionalità e legalità. La razionalità
dell’agire burocratico assicurava all’azione dello Stato standardizzazione ed uniformità.
L’universalità delle leggi ne regolava invece a priori obiettivi, processi e risultati.
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to della Pubblica Amministrazione (PA), a favore di modelli di amministrazione più vicini alle logiche manageriali.
Le riforme del settore pubblico avviate in diversi Paesi 5, pur nella
molteplicità degli aspetti regolati e delle specificità nazionali, trovano un
comune denominatore nella ricerca e nell’applicazione di logiche e strumenti di matrice manageriale, nel tentativo di conseguire più elevati livelli
di efficacia ed efficienza.
Tale processo di managerializzazione, ovvero di “aziendalizzazione”
volendo usare il termine più comune in Italia, ma “meno armonico”, a livello internazionale trova riscontro nelle teorie del New Public Management 6
(NPM). Tale filone di studi è considerato in dottrina come il movimento
generale che ha sviluppato la tesi secondo cui il miglioramento dell’amministrazione pubblica è attuabile attraverso l’utilizzo di logiche decisionali e
strumenti operativi di ispirazione privatistica, dove con questo termine si
intendono i principi e le logiche tipiche dell’economia industriale capitalistica, al fine di meglio evidenziare la differenziazione rispetto alle logiche
applicate tipiche dell’economia pubblica.
Alcuni Autori, tra cui Gruening (1998 e 2001), affermano che il NPM
non può definirsi un nuovo paradigma, ma la sintesi di principi già espressi in passato da diverse teorie in maniera autonoma; tuttavia la letteratura dominante ha considerato il NPM un nuovo paradigma 7, riconoscendo ad esso il merito di aver dato un contributo al cambiamento delle
logiche e degli strumenti di gestione delle PA.
Tuttavia, in generale i pareri degli Autori appaiono unanimi di fronte
Gli esempi più citati sono: il “rapporto Gore” negli Stati Uniti (un governo che
funziona meglio e costi meno); il “programma Next Step” avviato nel Regno Unito durante il governo di Margaret Thatcher; i diversi programmi nazionali denominati “Financial Iniziative Management”(Regno Unito, Australia), la riforma statale avviata in Nuova
Zelanda e l’iniziativa “Servizio Pubblico 2000” del Canada.
6 Si rinvia ai primi studi, per una più approfondita analisi del NPM, Meneguzzo
(1994); Mascarenhas (1993); Hood (1991).
7 Un paradigma può essere considerato come l’insieme dei valori, delle convinzioni e
delle tecniche condivise dai membri di una determinata comunità (Kuhn citato in Massey, 1997). Avendo il NPM contribuito al mutamento dei valori, delle convinzioni e delle tecniche con riferimento allo studio della PA, lo stesso può essere considerato un
nuovo paradigma.
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al fatto che il NPM rappresenti un’importante spinta ai processi di cambiamento della cosa pubblica 8.
Il NPM, dunque, sancisce il passaggio dal modello tradizionale di amministrazione della PA, basato sulla burocrazia e sul controllo verticistico
e centralizzato, al modello di gestione più vicino alle logiche economiche,
quasi a voler sottolineare la mancanza di differenze nella gestione delle
attività economiche a prescindere della natura del soggetto gestore.
Nel presente capitolo vedremo come i diversi approcci per lo studio
della PA, susseguitisi nel tempo negli studi manageriali, hanno influenzato le problematiche del controllo nel settore pubblico.
Il Capitolo Primo è, quindi, un capitolo introduttivo in cui verrà esposto il quadro di riferimento teorico per comprendere il cammino evolutivo del sistema sanitario italiano e come tale percorso abbia influenzato le
logiche del controllo economico delle aziende sanitarie operanti in tali sistemi.
1.2. Il paradigma del New Public Management
A partire dagli anni ’80, in numerosi Paesi occidentali, si sono susseguiti molteplici interventi legislativi volti a favorire lo sviluppo, l’introduzione e la messa in atto di tecniche manageriali, nel tentativo di migliorare i sistemi amministrativi pubblici e i relativi deficit.
In questi scenari si sono sviluppate le riforme della PA; tra le principali esperienze a livello internazionale si ricordano quelle del governo Thatcher nel Regno Unito, considerato da molti il primo laboratorio per lo
sviluppo delle teorie del “New Public Management” 9. Dunsire (1995: 21)
al riguardo definì tale teoria portavoce del concetto del “value for money”,
cioè di un’amministrazione pubblica più accorta all’utilizzo efficiente, efficace ed economico delle risorse ad essa destinate.
Il New Public Management, come accennato nel precedente paragrafo, rappresenta l’espressione sintetica adottata in letteratura per indicare
Pollitt (1990 e 1993), analogamente si veda Hood (1991 e 1995) che considera il
NPM come un modello ideologico fautore della necessità di importare nel settore pubblico le logiche sviluppate in ambito privatistico.
9 Al riguardo si rinvia a Gruering (1998).
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il filone di studi che ha “indagato”, in tempi moderni 10, il processo di riforma delle PA avvenuto in diversi contesti nazionali.
L’opinione tradizionale 11 ritiene che il NPM abbia origini nella teoria
della public choice 12 e del management approach/managerialism 13, poiché alcuni
contributi teorici in esse contemplati sono riproposti nel NPM 14.
Della stessa opinione, ma in un’altra prospettiva, è Kettl (1997) secondo cui la teoria managerialista è a sua volta influenzata dalle riflessioni teoriche provenienti dal Quantitative/Analytic management 15, dal Liberation management 16 e dal Market-driven management 17.
Il NPM riconduce ad unità le diverse teorie prima citate 18, volendo dare enfasi all’importanza dell’introduzione nel settore pubblico di logiche
10 Altri processi di riforma interessarono le PA in modo sistematico nel passato. È
doveroso citare la cd. “Public administration” classica degli anni ’20 del secolo scorso;
ma si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo citando le riforme napoleoniche.
11 Per un approfondimento si rinvia al pensiero di Aucoin (1990); Dunsire (1995);
Schedler (1995); Lueder (1996); Schedler, Proeller (2000).
12 Per un approfondimento si rinvia a Buchanan, Tullock (1962); Arrow (1951,
1963).
13 Cfr. Lueder (1996); Naschold et al. (1995); Reichard (1996); Schedler (1995).
14 Si rinvia a Enteman (1993) e Pollitt (1990).
15 Tradizionalmente, i fautori di questo approccio hanno incoraggiato l’applicazione
ai processi decisionali degli operatori pubblici di metodi sviluppati dagli studi di public
policy, fra cui quelli della cost-benefit analysis. L’impiego di tecniche sofisticate al fine di ridurre l’incertezza è caratterizzato da una matrice razionalistica che il Quantitative/Analytic management condivide con lo Scientific Management. Per un approfondimento si veda
(Lynn, 1996).
16 Gli studi riconducibili al Liberation management, sviluppatisi a partire dagli anni ’90,
ruotano intorno all’idea che la rigidità e i vincoli degli apparati burocratici tradizionali,
impedendo ai manager pubblici di esprimere il loro potenziale, siano la causa delle disfunzioni generalizzate esistenti nelle Amministrazioni Pubbliche. Il miglioramento non
può, quindi, che transitare attraverso la de-burocratizzazione dei processi e la razionalizzazione degli assetti organizzativi. Per snellire le burocrazie pubbliche, i fautori del Liberation management propongono soluzioni quali il decentramento delle funzioni di budgeting e gestione del personale, la semplificazione delle procedure e l’outsourcing (Light,
1997; Osborne, Gaebler, 1992).
17 Per un approfondimento sul tema si rinvia a Gnecchi (2004).
18 Molto interessante appare la sistematizzazione dei fondamenti teorici cui si basa il
NPM condotta da Gruering (1998) e da Macinati (2004: 104).
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e strumenti d’ispirazione privatistica. Il nuovo paradigma, quindi, fa sue
le teorie di diverse correnti di ricerca; in particolare, attraverso gli studi
condotti già dalle teorie del Quantitative/Analytic management, il NPM sollecita l’introduzione di strumenti, concetti e metodologie di policy analysis di
matrice macro-economica, quali, ad esempio, le metodologie di analisi costo/beneficio per le decisioni, al fine di promuovere una maggiore razionalità nelle scelte pubbliche. Il Quantitative/Analytic management, promuove
l’utilizzo di tali strumenti di analisi in quanto, almeno in teoria, dovrebbero garantire una maggiore razionalità delle scelte pubbliche, poiché tali
scelte sarebbero guidate dalla logica economica 19.
Le teorie del Liberation management, invece, sottolineano l’importanza
di superare gli ostacoli costruiti dai vincoli burocratici all’agire manageriale, poiché considerati alla base dell’inefficienza della PA. Il Liberation management, quindi, si basa sull’assunto che le scarse performance del settore
pubblico non possano essere imputate alla scarsa qualità delle risorse
umane che in essa operano, ma alle regole e norme burocratiche che ne
limitano gli spazi di manovra e di autonomia; per tanto tali studi auspicano il libero agire dei manager pubblici in contesti caratterizzati da accresciuta complessità; al riguardo significativa risulta l’affermazione di Gore
(1993), secondo cui i manager pubblici sono “good people trapped in bad systems” e quella di Kettl (1997) “let managers manage”.
Infine, ma forse con un maggiore peso dal momento che implicano
un cambiamento radicale nella concezione di bene pubblico, vi sono le
teorie del Market driven management.
Tali filoni di studi, ripresi nel corpo del NPM, pongono in evidenza la
necessità dell’introduzione del libero mercato per il miglioramento delle
performance della PA. Questo perché il Market driven management si basa
su due teorie, la prima si riferisce alla teoria economica neo-classica
dell’efficienza dei mercati 20, sottolineando l’importanza della competizio-
Si rinvia a Lynn (1996).
La teoria classica dell’economia, che trova in Adam Smith uno dei suoi massimi
esponenti, postulava che l’interesse privato potesse “garantire” il soddisfacimento dell’interesse collettivo grazie all’azione delle forze in gioco nel mercato: l’interazione della
domanda e dell’offerta genererebbe prezzi di equilibrio capaci di soddisfare le parti, garantendo di conseguenza naturali situazioni di equilibrio. Le politiche economiche liberiste, ispirate al pensiero di Smith, tendono quindi a promuovere la rimozione di ogni
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ne come variabile capace di migliorare le performance gestionali della PA;
l’altra teoria, invece, si riferisce al principio della superiorità dei modelli
gestionali adottati nel settore privato, come afferma Peters (1996) “management is management”, quasi a sottolineare un principio secondo cui le logiche e gli strumenti gestionali non debbano variare al variare della natura delle aziende 21.
Con riferimento alle argomentazioni della public choice theory, che caldeggiano un’evoluzione della gestione della PA, dal modello amministrativo
basato su norme e ruoli al modello manageriale basato su risultati e risorse 22, anche il NPM sottolinea la necessità del passaggio da una logica di
gestione per atti ad una per risultati, al fine di orientare i comportamenti
della PA 23 verso scelte più economiche rispetto ai nuovi scenari.
vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato e a tracciare un ruolo il più possibile ridotto per lo stato. La posizione liberista, tuttavia, progressivamente si è rivelata poco aderente alla realtà. Si sviluppò, di conseguenza, a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, il
pensiero neoclassico, caratterizzato dal ricorso all’utilitarismo e all’individualismo metodologico: il valore di un bene viene ricondotto all’utilità scaturente dal consumo; la massimizzazione dell’utilità viene considerata di conseguenza il principio guida del comportamento individuale. La focalizzazione sugli interessi individuali non impedì tuttavia che si
prestasse attenzione al benessere dell’intera comunità, per il quale si continuava a ritenere
necessario il libero agire dei privati e l’intervento minimo dello Stato. In questo quadro si
inserisce il pensiero di John Maynard Keynes, secondo cui i sistemi economici non sono
sempre in grado di raggiungere l’equilibrio di pieno impiego in modo automatico. Al contrario, è possibile che essi si attestino su posizioni di equilibrio di sottooccupazione, determinate da carenze nella domanda aggregata. Nei decenni centrali del XX secolo, dopo
la Grande depressione del 1929, lo Studioso sosteneva la necessità dell’intervento pubblico nell’economia, soprattutto al fine di garantire la piena occupazione.
21 Tale affermazione ben si coniuga con le affermazioni della dottrina economico
aziendale che definisce unitario il fenomeno aziendale e solo speculari le eventuali classificazioni.
22 Già sul finire degli anni ’40 del secolo scorso ad opera di Simon (1947), si diffonde un nuovo approccio teorico alla PA incentrato sulla predominanza del modello manageriale basato su obiettivi e mezzi rispetto a quello burocratico basato su norme e
procedure.
23 Con riferimento a quest’ultimo punto, cioè la riduzione dei vincoli burocratici, in
letteratura, si vedano tra tutti Osborne e Gaebler (1992), così come poi verificatosi nella
prassi, la strada seguita è stata quella dei processi di deregolamentazione e di decentramento dei sistemi operativi; tale argomento sarà poi ampiamente trattato nel corso del
presente lavoro.
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C’è da dire tuttavia che, al di là di una disamina sui fondamenti teorici
cui si ispira, nella pratica il NPM ha assunto significati diversi in funzione
del periodo storico e del Paese in cui i suoi principi sono stati applicati.
Infatti, i processi di riforma della PA avviati nei vari Paesi, susseguiti al
diffondersi delle teorie del NPM, hanno assunto connotazioni specifiche
in funzione del particolare assetto istituzionale e politico di riferimento,
pur se tutti riconducibili al NPM.
Se non appare facile trovare un filo comune circa le modalità attraverso cui sono stati avviati i processi di riforma, è tuttavia possibile ricercare
nei principali effetti che l’utilizzo della filosofia del NPM ha apportato alle PA alcune comunanze, riconducibili:
 al downsizing della PA;
 alle politiche di decentramento amministrativo e relativo processo di
snellimento delle procedure amministrative;
 all’introduzione di meccanismi di concorrenza amministrata;
 alla separazione dei ruoli tra attività di indirizzo e di gestione;
 alla responsabilizzazione sui risultati.
Nel tentativo di limitare i costi di gestione e di coordinamento che la
grande dimensione procura, in diversi Paesi si è assistito ad uno “snellimento” della PA sia lungo la linea del comando che lungo quella della produzione, attraverso processi di decentramento amministrativo e di privatizzazione o di esternalizzazione (contracting out).
Il ricorso alle privatizzazioni delle aziende pubbliche ha trovato riscontro e fondamento teorico nella citata convinzione delle superiorità
del modello privatistico per la gestione dei fatti economici. L’utilità del
ricorso all’esternalizzazione di determinate attività era già stata sottolineata dalla teoria dei costi di transazione, ma tuttavia grazie alla diffusione
del NPM riesce a trovare ampia applicazione anche nella PA.
Nella stessa prospettiva, un altro elemento comune tra i diversi processi di riforma susseguiti a livello internazionale è il processo di separazione tra la funzione di acquisto e quella di fornitura dei servizi pubblici.
In pratica in molti Paesi, in seguito alle teorie del NPM, si è verificata una
marcata separazione tra il soggetto che si assume il compito di finanziare
i servizi pubblici e il soggetto (o i soggetti) che provvedono alla loro fornitura; inoltre a tale separazione si è quasi sempre associata, anche se in
forme diverse, l’introduzione di forme di concorrenza amministrata tra i
soggetti fornitori dei beni o servizi pubblici.
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Sul lato della linea di comando, di norma si è verificato un decentramento amministrativo e, quindi, l’attribuzione dell’autorità ad un livello
più decentrato, nel tentativo di conseguire maggiori livelli di controllo,
sia sulle necessità della collettività che sull’efficienza dell’amministrazione
locale 24.
Lo snellimento della PA è stato attuato sia attraverso i processi di decentramento dei servizi, sia attraverso la semplificazione delle procedure.
La deregolamentazione della PA è stata la conseguenza della necessità,
avvertita in molti Paesi, di ridurre quei vincoli normativi o procedurali
considerati spesso pletorici e di ostacolo alla gestione della cosa pubblica secondo criteri di efficacia e di efficienza, oltre che la causa principale di
disaffezione dei cittadini alla gestione statale.
Contestualmente all’introduzione nella PA dei principi del managerialismo, si è assistito, nella maggior parte dei processi di riforma, alla separazione della sfera politica da quella amministrativa, in ottemperanza al
passaggio dalle logiche dell’economia politica a quelle dell’economia industriale. Tale separazione è stata perseguita nel tentativo di favorire diversi processi di controllo basati su una logica economica più che burocratica. L’ingerenza dei due ruoli in capo ad un unico attore è, infatti,
fonte di scarsa trasparenza sull’operato delle amministrazioni, pertanto
tale separazione era auspicata nel tentativo di offrire maggiore accountability all’operato della PA attraverso una più chiara comprensione dei comportamenti seguiti e dei risultati ottenuti da ciascun attore 25.
Coerentemente con tale scopo, il NPM ha favorito l’introduzione della
gestione per obiettivi (management by objective) in aggiunta alla classica logica della PA basata sul rispetto delle procedure, delle regole e della legittimità degli atti. Questa nuova impostazione è stata spesso strettamente
collegata alla modifica dei sistemi operativi di gestione del personale e, in
particolare, ha sancito l’introduzione della retribuzione variabile legata al
raggiungimento dei risultati prefissati anche nella PA 26.
È da sottolineare che il processo di decentramento ha assunto nei vari Paesi modalità e intensità differenti in funzione del contesto istituzionale di riferimento. Ad esempio
Anessi Pessina, Cantù (2002: 70) indicano tre vie diverse per modalità e intensità attraverso cui attuare processi di decentramento: devolution; federalismo; sussidiarietà verticale.
25 Nella realtà, spesso, tale separazione di ruoli appare solo formale come testimoniano i numerosi fatti di cronaca registrati nel nostro Paese e anche all’estero.
26 Anche in questo caso, la pratica ha spesso disatteso le aspettative della teoria, in24
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Nell’ambito dell’introduzione di nuovi sistemi operativi per lo sviluppo di una gestione della PA basata sulla responsabilizzazione dei risultati,
oltre a quelli legati al personale, non possono essere dimenticati gli strumenti contabili, di chiara provenienza dal mondo privato, come il budget,
il report e, più in generale, gli strumenti contabili che hanno ad oggetto lo
studio delle variazioni delle componenti economico-patrimoniali della gestione della PA.
1.3. L’evoluzione del New Public Management: la Public Governance
I primi studi sul NPM consideravano universali i suoi principi e come
tali applicabili indistintamente ai diversi contesti del settore pubblico.
Tuttavia, i risultati desiderati dal NPM ritardarono a venire, testimoniando una difficoltà nell’applicazione delle teorie 27.
In particolare la difficoltà dell’allineamento della logica industriale privata con quella pubblica ha favorito notevoli ostacoli al cambiamento delle
organizzazioni, evidenziando i limiti dell’ambizione del NPM di voler trasferire, al settore pubblico, in modo “quasi automatico” e acritico le logiche del mondo delle imprese 28.
Per tanto, dopo primi autorevoli studi 29 sui limiti del nuovo managerialismo pubblico, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, il NPM attraversa una nuova fase, quella dell’implementazione delle sue teorie.
Tali studi evidenziavano la necessità di una focalizzazione sulle caratteristiche dell’ambiente interno e esterno propedeutica alla programmazione del cambiamento degli “uffici” della PA 30.
tendendo la retribuzione variabile come componente accessoria della retribuzione non
necessariamente legata al raggiungimento di specifici obiettivi.
27 “Empirical studies into the factual reality of management are more scarce than the many theories” Kickert (1994a).
28 Si vedano Ashburner (1994), Meneguzzo (1995).
29 Kooiman, van Vliet (1993); Minogue, Polidano, Hulme (1998); Kickert (1995a).
30 In coerenza con gli studi condotti secondo il modello contingency theory, sono le precondizioni organizzative ed ambientali che determinano, pur in presenza degli stessi sti-