Anatomia di «Moby Dick
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Anatomia di «Moby Dick
pagina 20 • 24 novembre 2010 cultura Tra gli scaffali. Il grande libro di Herman Melville letto da Barbara Spinelli, una delle più acute giornaliste contemporanee Anatomia di «Moby Dick» di Dianora Citi In questa pagina, un’illustrazione della balena Moby Dick e una del capitano Achab. Da poco è disponibile in libreria il nuovo libro della giornalista Barbara Spinelli, curato da Gabriella Caramore, “Moby Dick o l’ossessione del male” (Morcelliana): una brillante lettura dell’opera di Melville da parte dell’autrice ul significato della scelta di chiamare “Ismaele” l’unico sopravvissuto della nave “Pequod”(il cui appellativo riprende quello di una tribù di indiani nativi d’America, i “distruttori”, nel linguaggio algonchino, abitanti nel XVII secolo della regione del New England, tra il Connecticut e Rhode Island) sappiamo: nel libro della Genesi è il nome del figlio di Abramo e della schiava Agar, cacciato nel deserto, ma salvato dall’angelo che riconoscerà in lui un profeta. Nel noto incipit letterario del romanzo Chiamatemi Ismaele (al primo posto tra i 100 migliori incipit della storia della letteratura e vincitore della selezione dell’American Book Review) Melville avrebbe potuto scrivere, esplicitando così il senso di ciò che voleva comunicare, «Chiamatemi esule, vagabondo». Ma perché scelse il nome di Moby Dick per la sua balena bianca? S Le due parole avevano a che fare con mob (plebaglia) o con to mob (assalire tumultuosamente), con dick (in gergo americano agente investigativo ma in tedesco grasso e pingue)? Nel XXXVI capitolo, quando appare la balena bianca, Tashtego dice che «deve essere la stessa che qualcuno chiama Moby Dick». Niente di più sul nome. Questa non è che una delle mille curiosità che la lettura di un testo come quello pubblicato da Melville nel 1851, peraltro allora con scarso successo, può destare. Barbara Spinelli, giornalista e scrittrice, se lo sarà chiesto? Un paio di anni fa partecipò alla trasmissione di cultura religiosa di Radio Tre Uomini e profeti, curata da Gabriella Caramore, e i suoi quattro interventi, in al- trettante puntate, sono stati “trascritti” e pubblicati dalla casa editrice Morcelliana in un libro intitolato Moby Dick o l’ossessione del male. Le quattro “chiacchierate” sono di grande aiuto per «andare sotto la superficie» di quelle 206.587 parole, di quell’oltre milione e mezzo di caratteri (spazi inclusi) che costituiscono il terzo romanzo di Melville, riscoperto e apprezzato solo nel ’21, trenta anni dopo la morte del suo autore. Il simbolismo e le metafore usate nel romanzo sono tantissime e incrociano i piani più disparati soprattutto quello bi- didattico-scientifico (nella famosa parte cetologica, frutto delle esperienze personali vissute sul mare da Melville ma che fecero travisare il contenuto del libro, visto come un manuale di cetologia) e filosofico-profetico. Il pensiero dominante, dannazione del capitano, l’identificazione in un soggetto del proprio nemico, tanto da catalizzare in questo riconoscimento ogni energia, rappresenta la negazione della realtà, l’ottimismo messianico. Achab «era giunto a identificare con Moby Dick non solo tutti i suoi mali fisici, ma ogni sua esa- Facendo rotta con Achab, l’autrice ci accompagna dentro lo spazio di una lotta mortale, dove la ricerca della verità e la lotta contro il male altro non sono che il poema della nostra vita blico: non si può leggere Moby Dick senza tener presente la Bibbia, soleva dire Pavese, il primo traduttore in italiano dell’opera. «Se dovessi collocare topograficamente Moby Dick lo metterei fra i libri profetici dell’Antico Testamento», così Barbara Spinelli in esordio al dialogo con la Caramore. Tensione verso la ricerca della verità e combattimento contro il male, il peccato, la colpa: questo il tema del libro sul piano teologico, due espressioni delle ansie umane impersonificate dal capitano Achab (nel primo libro dei Re dell’Antico Testamento Achab è il nome di un re d’Israele empio e persecutore di profeti, sordo alle parole del profeta Elia che gli predirà una morte violenta). Gli stili letterari variano con il progredire del romanzo: linguaggio parlato, poi aulico, poi sperazione intellettuale e spirituale, […] incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini […] si sentono rodere nell’intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e mezzo polmone» (cap. XLI). Il male (la Balena) è combattuto e adorato, «è dentro e fuori di noi. […] Moby Dick è l’unico essere dell’universo che il comandante giudichi alla propria altezza. Nessun altro suscita la sua attenzione o la sua cura». Achab, travolto da un destino che lo fa sentire talvolta prigioniero senza libertà di scelta, talaltra sicuro di vivere atti di indiscussa libertà, confida a Starbuck, il vice-capitano (invano tenta di riportarlo alla realtà con argomenti pratici) il sogno di tornare a casa, ma è consapevole di poterlo fare solo dopo aver ucciso Moby Dick. Dunque, una mèta dolorosamente irraggiungibile. D’altra parte il rapporto di Achab con il dolore (fisico, spirituale e morale), più volte descritto e analizzato con cura, riflette la profonda conoscenza che della sofferenza aveva Melville stesso: una vita sbandata trascorsa sul mare prima, poi la parabola economica, proprio dopo la pubblica- zione di Moby Dick, fino all’interruzione della scrittura (passo terribile per un romanziere!) perché rifiutato dagli editori qualsiasi suo manoscritto (deciso a non cambiare il suo stile rispondeva “preferirei di no” alle proposte di cambiamenti degli editori); inoltre il suicidio di un figlio, la morte del secondogenito, la depressione e i contrasti con la moglie. I drammi di Achab sono «un romanzo di Melville, che l’autore vive sulla propria pelle». Chissà quante balene bianche (o meglio capodogli) vide il giovane marinaio Herman durante i suoi viaggi sulla baleniera Acushnet. Agli occhi di Achab-Melville la balena è tanto più metafora del male per alcune sue particolari caratteristiche: è muta (il silenzio come simbolo divino della imperscrutabilità, dell’attesa della parola, dell’esegesi), è bianca (il colore del non-colore, nel mondo orientale del lutto, del bianco sudario, ma anche dell’innocenza delle spose, della gioia nella Roma imperiale, del mitico elefante bianco del re del Siam, del pegno d’onore profondo tra i Pellerossa), è senza faccia («Tu potrai vedermi le parti posteriori, la coda – sembra dire la balena – ma la faccia non me la vedrai. […] Insinui ciò che vuole della sua faccia, io ripeto che la balena non ha faccia» (cap. LXXXVI). Da allora comunque a Moby Dick si sono ispirati film, cartoni, opere teatrali e musical.“Moby Dick”si sono chiamati gruppi musicali serbi e ungheresi, programmi tv e radiofonici. Fino all’inserto culturale del sabato dello stesso quotidiano liberal. Si spera che la possibilità data dagli audiolibri de Il Narratore dalla fine del marzo 2011 di seguire con la voce di Pino Baldini (in formato cd audio Mp3 e in formato digitale per il download Mp3 sia in formato audio sia testo pdf) la lettura di Moby Dick, integralmente ritradotto da Alberto Rossatti, porti molti al piacere di rivivere, ascoltandole, le avventure di Achab.
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