15 luglio 2016 - Scienze e Ricerche

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15 luglio 2016 - Scienze e Ricerche
ISSN 2283-5873
Scienze e Ricerche
SR
N. 33, 15 LUGLIO 2016
33.
Scienze SRe Ricerche
RIVISTA BIMENSILE · ISSN 2283-5873
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33. Sommario
VINCENZO MORETTI
Intorno al concetto di Serendipity e alle sue prospettive nell’ambito
della ricerca scientifica
PIETRO RAMELLINI
11
Sulla valutazione dlel’istruzione e dell’apprendimento
GIANNI GUIDETTI
Ma la ricerca italiana funziona?
PATRIZIA TORRICELLI
Saper apprezzare le differenze
ALDO ZECHINI D’AULERIO
Amare e mantenere sane le piante
pag.
5
pag.
11
pag.
13
pag.
14
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15
pag.
17
pag.
22
pag.
23
pag.
36
pag.
43
pag.
52
pag.
54
pag.
57
pag.
65
pag.
69
pag.
73
pag.
75
ANTONIO IUDICI, GUIDO PASQUALE
Flussi migratori e governance: dall’integrazione culturale alla
gestione dell’interazione
17
LUIGI CAMPANELLA
La tricochimica
PIERANGELO CRUCITTI
Citizen Science. Fare scienza in modo partecipato. principi, esempi
e prospettive di un fenomeno in crescita costante
ALESSIA MACCARO
La ricerca biotecnologica tra scienza, ethos e diritto
FRANCESCA ANTONELLA AMODIO
La scuola come possibile fattore di rischio
CATERINA BRUGNOS
Le libere accademie in Italia
23
FLAVIA ANASTASI
Scienze e diritto nella procreazione medicalmente assistita
DOMENICO IENNA
L’esplorazione del cosmo: contesti scientifici, tecnologie e fattori
antropologici
BENEDETTA GESUELE AND DOMENICO TAFURI
Doping and anti-doping strategies: an economic view
VITTORIA MOLISSO AND DOMENICO TAFURI
Doping: perspectives of a phenomenon
ANGELA SCIBETTA
65
Consciousness, dementia and calcareous. If all this is true
DANILO CAMPANELLA
Per una teoria estetica della dittatura
n. 33 (15 luglio 2016)
3
N. 33, 15 LUGLIO 2016
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4
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SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | COPERTINA
Intorno al concetto di Serendipity
e alle sue prospettive nell’ambito
della ricerca scientifica
VINCENZO MORETTI
Sociologo, responsabile Società, Cultura e Innovazione Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Roma
1. Esiste una connessione forte tra la spinta all’innovazione che contraddistingue - fino a rappresentarne il tratto distintivo, l’imprinting organizzativo -, l’attuale fase di sviluppo, e l’importanza del concetto di Serendipity, in particolare
nell’ambito della ricerca scientifica, della sua organizzazione, delle sue rivoluzioni, del rapporto tra organizzazione della scienza e valorizzazione del talento. Oggetto del presente
lavoro è proprio il concetto di Serendipity, con alcuni dei
principali processi che esso definisce, che con esso sono correlati, che da esso sono determinati.
Per introdurre tale concetto o, meglio, come scrive Robert
K. Merton, il modello della Serendipity nella ricerca scientifica, si può ricordare che esso «consiste nell’osservazione
di un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento
di una teoria già esistente»1. Merton argomenta così la sua
definizione: «Prima di tutto, il dato è imprevisto. Una ricerca
diretta alla verifica di una ipotesi dà luogo ad un sottoprodotto fortuito, ad una osservazione inattesa che ha incidenza
rispetto a teorie che, all’inizio della ricerca, non erano in questione. Secondariamente, l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incongruente rispetto alla teoria prevalente, o rispetto a fatti già stabiliti. In ambedue i casi, l’apparente incongruenza provoca curiosità, stimola il ricercatore a
trovare un senso al nuovo dato, a inquadrarlo in un più ampio
orizzonte di conoscenze. [ …] Affermando che il fatto imprevisto deve essere strategico, cioè deve avere implicazioni che
incidono sulla teoria generalizzata, ci riferiamo, naturalmente, più che al dato stesso, a ciò che l’osservatore aggiunge al
dato. Com’è ovvio, il dato richiede un osservatore che sia
sensibilizzato teoricamente, capace di scoprire l’universale
nel particolare2». Per cogliere il dato anomalo, imprevisto
1 Merton R. K., Riflessioni autobiografiche, in Merton R. K., Barber E,
G., Viaggi e avventure della Serendipity, Il Mulino, Bologna, 2002, pag.
364.
2 Ivi, pag. 365.
e strategico e, dunque, attivare il processo che siamo soliti
definire Serendipity, occorrono, in definitiva, occhi e menti
allenate che, come si avrà modo di approfondire più avanti,
risultano particolarmente sollecitate quando operano in microambienti sociocognitivi “serendipitosi”.
2. A fare da più ampia cornice cognitiva di riferimento al
presente lavoro è il concetto di “scienza normale”, mediante il quale Thomas Kuhn definisce «una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del
passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un
certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il
fondamento della sua prassi ulteriore3».
Proprio il riferimento a “un certo periodo di tempo” consente di introdurre un ulteriore, complementare eppure importante aspetto della questione, quello che mette in evidenza come l’attività di ricerca, governata da un paradigma, con
la produzione di teorie, idee e fatti che da essa è determinata,
contenga in sé gli elementi destinati a produrre il suo superamento, a rendere possibile quelle nuove scoperte che ad un
certo punto renderanno necessaria l’adozione di un nuovo
paradigma.
Khun dà conto di questo doppio processo a più riprese e
da più punti di vista. Appare in particolare qui utile ricordare che a suo avviso: «la scoperta comincia con la presa di
coscienza di un’anomalia, ossia col riconoscimento che la
natura ha in un certo modo violato le aspettative suscitate dal
paradigma che regola la scienza normale; continua poi con
un’esplorazione, più o meno estesa, dell’area dell’anomalia,
e termina solo quando la teoria paradigmatica è stata riadattata, in modo tale che ciò che era anomalo diventa ciò che
ci si aspetta4»; «l’anomalia è visibile soltanto sullo sfondo
fornito dal paradigma. Quanto più preciso è tale paradigma e
3 Kuhn T. S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1970), trad. it.
Einaudi, Torino, 1978, pag. 29.
4 Ivi, pag. 76.
5
COPERTINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Robert K. Merton
Thomas Kuhn
quanto più vasta è la sua portata, tanto più riuscirà a rendere
sensibili alla comparsa di un’anomalia e quindi di un’occasione per cambiare il paradigma5»; «una volta raggiunto lo
status di paradigma, una teoria scientifica è dichiarata invalida soltanto se esiste un’alternativa disponibile per prenderne
il posto6»; «abbandonare un paradigma senza al tempo stesso
sostituirgliene un altro equivale ad abbandonare la scienza
stessa7». È con il passaggio dal vecchio al nuovo paradigma,
afferma ancora Khun, che si compiono le rivoluzioni scientifiche, cioè «quegli episodi di sviluppo non cumulativi, nei
quali un vecchio paradigma è sostituito, completamente o in
parte, da uno nuovo incompatibile con quello [… e che …]
sono introdotte da una sensazione crescente, anche questa
volta avvertita da un settore ristretto della comunità scientifica, che un paradigma esistente ha cessato di funzionare
adeguatamente nella esplorazione di un aspetto della natura
verso il quale quello stesso paradigma aveva precedentemente spianato la strada8».
neologismi che si rendono necessari per descrivere fenomeni
appena scoperti e idee appena emerse9». A livello generale,
un ruolo decisamente importante ebbero le molteplici connessioni esistenti tra accumulazione del sapere nel corso dei
millenni e progresso del sapere stesso, la faccenda dei nani
sulle spalle dei giganti tanto cara a Bernard de Chartres, a
Isaac Newton e a Merton stesso. Ma in realtà a testimoniare
l’ampiezza e la ricchezza della questione sono soprattutto le
tante menti ben preparate, le scatole nere, che hanno riflettuto intorno alla serendipity, alle sue caratteristiche, ai suoi
effetti dal punto di vista psicologico, sociologico, epistemologico10.
Di questa ampia produzione di teorie, idee, fatti, aneddoti
saranno qui ricordati in particolare alcuni esempi che possono essere ricondotti al rapporto tra errore, sua documentazione e progresso scientifico. Si eviterà pertanto volutamente di
fare riferimento sia a quelle che appare utile definire come
semplificazioni di tipo canonico, quelle cioè che in vario
modo collegano tout court la serendipity alla scoperta accidentale di una cosa mentre se ne sta cercando un’altra11,
sia a quelle, che chiameremo invece semplificazioni di tipo
volgare12, caratteristiche cioè di certa saggistica da grande
pubblico, che associano la serendipity ad uno stato di perso-
3. L’elaborazione mertoniana non poteva nascere certo dal
nulla. A livello soggettivo, come lo stesso Merton racconta,
l’incontro con il concetto di serendipity «fu chiaramente il risultato della convergenza di perlomeno quattro interessi che
coltivavo da tempo: il mio interesse sociologico per il fenomeno generico delle conseguenze non intenzionali di azioni
intenzionali; il mio interesse metodologico per la logica della
teorizzazione; il mio fondamentale interesse per la storia e la
sociologia della scienza e il mio perdurante interesse per i
5
6
7
8
6
Ivi, pag. 89.
Ivi, pag. 103.
Ivi, pag. 105.
Ivi, pag. 119.
9 Merton R. K., cit., pag. 363.
10 Cfr. a questo proposito anche Antiseri D., La serendipity nella ricerca
scientifica, in “Mondoperaio”, maggio-giugno 2003, pp. 146-152.
11 Detto che la contemporanea presenza di genio e caso nei processi di
serendipity è un dato di fatto, come peraltro il lavoro di Robert K. Merton
ha ampiamente dimostrato, resta il fatto che il dato non è separabile dal
processo che lo genera. È tale processo, con le variabili e i contesti che
definisce e da cui è definito, a determinare i confini, gli ambiti, all’interno
dei quali è possibile, nel dominio delle scienze sociali, un uso appropriato
del concetto di serendipity.
12 Nel senso letterale di “del volgo, relativo al volgo”.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | COPERTINA
nale benessere in versione new age o anche ad una sorta di
strategica confusione nella quale vive e lavora il genio.
Il fatto che il concetto di serendipity sia nato al di fuori dei
confini propri della ricerca sociologica e nel corso del tempo
abbia raggiunto un pubblico sempre meno specialistico - con
tutto ciò che questo significa sia dal versante della sua diffusione, di gran lunga più ampia di quella di norma riservata al
sapere sociologico, che dal versante delle semplificazioni e
dell’ambiguità dei significati che processi di questo tipo, per
loro stessa natura, determinano -, è, e resta, semplicemente
un fatto. Esso non impedisce però di fare delle scelte, da variegati punti di vista ne sollecita anzi la necessità, e quelle
qui operate mirano a focalizzare l’attenzione intorno alla reale, concreta, quotidiana attività di ricerca, fatta di rigore, di
metodo, persino di ripetitività. Questioni di inspiration and
perspiration, come avrebbe detto il vecchio Thomas Edison.
Questioni, come lo stesso Merton racconta, di falsificazione scientifica in termini sociologici dello Standard Scientific
Article (SSA), di differenze tra il modo personale di sviluppare i propri pensieri e l’ordine nel quale essi vengono presentati agli altri13. In definitiva le discrepanze tra l’effettivo
corso di un’indagine scientifica e la sua documentazione
pubblica nel momento in cui il saggio o la monografia scientifica vengono presentati con quell’aspetto immacolato che
poco o nulla lascia intravedere delle intuizioni, delle false
partenze, degli errori, delle conclusioni approssimative e dei
felici “accidenti” che ingombrano il lavoro di ricerca, fanno
sì che la documentazione pubblica della scienza non sia di
per sé (in quanto tale) in grado di fornire parte significativa
del materiale necessario alla ricostruzione del corso effettivo
dello sviluppo scientifico.
4. Ernst Mach14 aveva osservato che sono le incongruenze
con le quali hanno a che fare gli scienziati, è la zona vasta di
confine tra quello che ci si aspetta da un esperimento scientifico e quello che in realtà l’esperimento stesso suggerisce
(anche e soprattutto quando contraddice le aspettative) a
determinare la scoperta, per poi evidenziare che «conoscenza ed errore discendono dalle stesse fonti psichiche; solo il
risultato permette di distinguerli. L’errore riconosciuto con
chiarezza è, come correttivo, altrettanto utile cognitivamente
della conoscenza positiva15».
Karl R. Popper ritorna a proprio modo sulla questione
quando scrive: «Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste di questi
tre passi: 1) inciampiamo in qualche problema; 2) tentiamo
di risolverlo, ad esempio proponendo qualche nuova teoria;
3) impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci
sono resi presenti dalla discussione critica dei nostri tentati13 Cfr. Piaget J., Giudizio e ragionamento nel bambino (1927), trad. it.
La Nuova Italia, Firenze, 1970
14 Cfr. Mach E., Conoscenza ed errore (1905), trad. it. Einaudi, Torino,
1982 e Sulla trasformazione e l’adattamento nel pensiero scientifico
(1883), rist. in ID. Letture scientifiche popolari (1896), trad. it. Bocca,
Torino, 1908.
15 Ivi, p. 115.
vi di risoluzione. O, per dirla in tre parole: problemi-teoriecritiche. Credo che in queste tre parole, problemi, teorie, critiche, si possa riassumere tutto quanto il modo di procedere
della scienza razionale16».
Francis H. C. Crick e James D. Watson hanno raccontato
di quanto sia stato decisivo l’aiuto di Jerry Donohue, giovane
cristallografo statunitense, per la loro scoperta del modello a
doppia elica della struttura molecolare del Dna17.
Peter B. Medawar, premio Nobel per la medicina nel 1960,
alcuni anni dopo ha scelto provocatoriamente di intitolare
una sua conferenza alla televisione inglese Il saggio scientifico è un inganno?18, proprio per mettere in risalto le differenze tra la documentazione pubblica del saggio scientifico
(Standard Scientific Article, SSA) e il corso effettivo dell’indagine (quello che sarebbe stato possibile documentare se
non ci fossero state le Obliterated Scientific Serendipities,
OSS19).
James Hillman racconta in una delle sue opere più straordinarie come, ricostruendo la nostra storia con una persona cara «compattiamo il suo carattere soltanto in queste
immagini compatibili, le arrangiamo in una storia coerente
e omettiamo tutte le cose che non c’entrano […] Se una persona è ubbidiente, educata, tranquilla; se non presenta vistose bizzarrie, ci aspettiamo che abbia un carattere altrettanto
ammodo. Senza un occhio allenato a cogliere le discrepanze
significative, le nostre previsioni saranno inevitabilmente
sbagliate […]. Nessuno aveva notato alcunché di strano perché nessuno aveva l’occhio per vederlo20». Per poi sottolineare più avanti come «[… Nella nostra cultura iperpsicologizzante …] invece di guardare, somministriamo test; invece
di usare la visione immaginativa, leggiamo rapporti; invece
di colloqui, inventari di personalità; invece di racconti, punteggi ai test. […La psicologia …] per valutare l’anima usa
concetti e numeri, invece di affidarsi all’occhio anomalo di
un osservatore allenato21».
Nel corso di un lavoro di qualche anno fa allo scienziato Piero Carninci è stato chiesto di indicare l’anomalia, la
sorpresa, che aveva permesso al consorzio Fantom 3, che al
tempo egli dirigeva, di mettere in discussione la regola “un
gene, una proteina”, secondo la quale il flusso di informazione posseduto dal Dna si trasferisce in maniera unidirezionale
alle molecole che lo trascrivono e lo traducono nel linguaggio
degli amminoacidi e di scoprire che invece il “trascrittoma”
(Rna) ha non solo la funzione di trasportare e tradurre informazioni ma anche quella di coordinare il complesso lavoro
teso a rendere integrate ed efficienti le migliaia e migliaia
di componenti attive della cellula, di contribuire a regolare
l’espressione del Dna. Ha dichiarato Carninci: «l’aver trova16 Popper K. R., Problemi, scopi e responsabilità della scienza (1963),
trad. it. in ID., Scienza e filosofia, Einaudi, Torino, 1969, p. 146.
17 Cfr. Watson J. D., La doppia elica (1968), trad. it. Garzanti, Milano,
1982.
18 Peter B. Medawar, «The Listener», Bbc Review, 12 settembre 1963.
19 Cfr. Merton R. K., cit., pagg. 407 - 422
20 Hillman J., La forza del carattere (1999), trad. it. Adelphi, 2000, pagg.
74-75.
21 Ivi, pag. 76.
7
COPERTINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
to, dall’analisi dei nostri cDna, questi Rna che non avevano
nulla a che fare col dogma centrale, ovvero non codificavano
per alcuna proteina. All’inizio, non sapevamo che fare con
questi oggetti, che sembravano cose indesiderate ed inutili.
Ho avuto abbastanza difficoltà anche con certi colleghi, che
ritenevano questi Rna un artefatto dei miei esperimenti prima
di considerare qualcosa al di fuori del dogma. Uno di loro,
ad un meeting nell’agosto del 2000, ha dichiarato che questi
cDna erano semplicemente junk [spazzatura]. È significativo quanto tempo passi prima che delle osservazioni, che
ora sembrano logiche, possano cambiare il vecchio dogma
e come anche noi scienziati siamo così poco flessibili: un
grande insegnamento22».
È interessante notare come, sulla base della propria esperienza, Carninci riproponga nei fatti l’idea cara a Butterfield,
secondo il quale “di tutte le forme di attività mentale la più
difficile da indurre […] è l’arte di adoperare la stessa manciata di dati di prima, ma situarli in un nuovo sistema di relazioni reciproche fornendo loro una diversa struttura portante;
il che significa praticamente ripensarci su23”.
5. Un ulteriore, fondamentale aspetto del modello mertoniano della serendipity è quello che si riferisce alla «importanza sociologica delle conseguenze non intenzionali di
azioni intenzionali nella vita sociale in generale e delle fasi
impreviste nella crescita della conoscenza24» e, dunque, alla
necessità di integrare la prospettiva psicologica con quella
sociologica, dato che il caso favorisce in particolare le menti preparate che operano in microambienti che agevolano le
impreviste interazioni socio cognitive tra esse, e che possono
essere descritti come ambienti socio cognitivi serendipitosi.
È infatti innanzitutto in questi contesti che la ricerca empirica è feconda e dunque «non soltanto verifica ipotesi derivate
teoricamente, ma dà anche origine a nuove ipotesi»25. Di certo non a caso, Merton cita, a sostegno dei propri argomenti, l’indagine di William F. Ogburn e Dorothy S. Thomas
su circa 150 casi di scoperte multiple indipendenti e la loro
conclusione che determinate innovazioni «diventano praticamente inevitabili mano a mano che crescono determinati tipi di conoscenza e che scienziati e tecnologi innovativi
che sono concentrati sugli stessi problemi raggiungono le
stesse soluzioni26». Il passo successivo è quello che conduce
Merton ad evidenziare le connessioni tra organizzazione e
programmazione della ricerca e le effettive possibilità che
le menti preparate siano in condizione di trarre profitto da
evenienze inattese per poi concludere che se si guarda alla
serendipity come a una mera predisposizione individuale,
«come la facoltà, la capacità, il dono o il talento di realizzare
22 Moretti V., Massa C., Per genio e per caso, Technology Review,
Anno 2006, Numero 1, Gennaio – Febbraio.
23 Butterfield H., The Origins of Moderne Sciences, 1300 - 1800,
London, G. Bell & Sons, 1949, p. 1.
24 Merton R. K., cit., pag 361.
25 Ivi, pag 363; nella stessa pagina in una nota si legge che «molti balzi
creativi e progressi innovativi risultano da processi serendipitosi che rappresentano scoperte involontarie in campo scientifico».
26 Ivi, pag 357.
8
fortunate scoperte per caso», si rischia di cadere in un riduzionismo psicologico incapace di dare conto degli effettivi
sviluppi della scienza.
Fin qui Merton, nel cui impianto concettuale la prospettiva sociologica integra quella psicologica ma non ne mette
in nessun momento in dubbio la priorità, resa esplicita fin
dalla definizione, dall’asserto, già ricordato, relativo all’osservazione del dato imprevisto, anomalo e strategico che
rappresenta l’occasione per un cambiamento di paradigma
o per il suo ampliamento. In particolare, è il riferimento a
ciò che l’osservatore sensibilizzato teoricamente aggiunge al
dato più che al dato stesso nella determinazione del carattere
strategico - nella capacità cioè di avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata, del processo di serendipity -,
a suggerire a tale proposito qualcosa di significativo.
Dire che l’integrazione della prospettiva sociologica con
quella psicologica costituisce un passaggio indispensabile per evitare la prospettiva riduzionista e per spiegare le
ragioni per le quali in determinati contesti è più facile che
avvengano scoperte serendipitose27 significa semplicemente
enunciare un dato oggettivo. Un altro dato è rappresentato,
però, dal fatto che nell’approccio mertoniano, e, se possibile,
ancor più, nella ricerca sociologica successiva, è l’esperienza
soggettiva, la capacità della mente preparata di cogliere il
dato anomalo, imprevisto e strategico a definire il carattere
serendipitoso della scoperta, a caratterizzare la serendipity
come linea di indagine per interpretare dal punto di vista sociologico il progresso della ricerca scientifica e le sue rivoluzioni. Ancora una volta non a caso, la stessa interazione di
menti preparate in luoghi sociocognitivi serendipitosi è ritenuta fondamentale prima di tutto perché esalta la capacità dei
singoli di cogliere il dato imprevisto, anomalo e strategico.
6. È possibile un punto di vista ulteriore che ponga l’accento sui contesti organizzativi piuttosto che sul talento delle
persone, che connetta la possibilità di realizzare scoperte per
genio e per caso alla capacità delle organizzazioni di istituire
ambienti ricchi di interazioni socio-cognitive piuttosto che
alla capacità delle menti preparate di cogliere il dato anomalo, imprevisto, strategico? In che misura tale prospettiva, con
l’inversione di priorità che ad essa è connessa, può favorire
sviluppi ulteriori, inediti, nella definizione del concetto di serendipity e nei suoi usi28 nei confini della ricerca scientifica?
È alle possibilità connesse a questa inversione di priorità,
all’esplorazione di questa ulteriore prospettiva, che sarà dedicata adesso l’attenzione, con una postilla finale nella quale
ci si propone di considerare, non certo di definire, la questione relativa al se e a quali condizioni tale lavoro di ridefinizione presuppone l’adozione di quei «neologismi che si
27 Tra gli esempi preferiti di Merton ci sono la Harvard Society of Fellows e il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Palo
Alto in California dove lavorò Thomas Kuhn, e il Cavendish Laboratory
dell’University di Cambridge, dove J.D. Watson e F.H.C. Crick scoprirono la doppia elica del DNA.
28 Il termine “uso” va inteso nell’accezione proposta da Ludwig Wittegeinstein nelle sue ricerche filosofiche.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | COPERTINA
rendono necessari per descrivere fenomeni appena scoperti e
idee appena emerse»29.
7. Prendere sul serio la prospettiva ulteriore vuol dire
prendere sul serio prima di tutto il carattere sociologico della
serendipity e le sue relazioni con i contesti, le strutture e i
processi organizzativi che ne favoriscono e ne determinano
lo sviluppo30. L’idea è che non basta riconoscere i limiti della
prospettiva psicologica né è sufficiente convenire sulla necessità di integrarla con quella sociologica; occorre invertire
l’ago della bussola, porre l’accento prima sulle risorse messe
a disposizione dalla struttura, sui network e sulle relazioni
attivate fra le diverse istituzioni (università, istituiti e gruppi
di ricerca, ecc.) e poi sulla preparazione, sull’allenamento,
sulla genialità delle persone. Naturalmente, anche la prospettiva sociologica, così come quella psicologica, non presenta
requisiti di autosufficienza, non basta di per sé a dare conto
della natura e dei processi di Serendipity; ma la tesi qui proposta sui confini (e i limiti) della prospettiva psicologica è
interna ai confini (e ai limiti) della sociologia e i due confini
non coincidono.
La geografia prima ancora che la storia delle scoperte
scientifiche può consentire di diradare, almeno in parte, l’alone di circolarità che incombe sulla questione. Due esempi per tutti. Il primo si riferisce al Cavendish Laboratory di
Cambridge, al quale hanno lavorato per un considerevole periodo di tempo 29 Premi Nobel; il secondo al California Institute of Technology (più comunemente noto come Caltech)
di Pasadena, in California, al quale hanno lavorato ben 35
premi Nobel (nel solo laboratorio di Renato Dulbecco sono
stati in 4: lo stesso Dulbecco e Howard M. Temin nel 1975,
Susumu Tonegawa nel 1987, Leland H. Hartwell nel 2001).
Ricordato che si tratta di due esempi emblematici ma non
certo unici e che già Merton cita, insieme al Cavendish, la
Harvard Society of Fellows e il Center for Advanced Study
in the Behavioral Sciences dove aveva soggiornato e lavorato, tra gli altri, lo stesso Thomas S. Kuhn, rimane lo spazio
per constatare che i due esempi mostrano una evidente relazione tra il luogo (dove il genio opera) e la possibilità (che
esso si manifesti).
8. Riconoscere alla serendipity un ruolo significativo nella
comprensione, oltre che nella determinazione, dei processi
di rivoluzione scientifica non equivale naturalmente ad affermare che tali processi sono prodotto esclusivo della serendipity. Se si volge lo sguardo verso più variegati e allo stesso
modo controversi mondi della conoscenza scientifica, appare
ad esempio evidente la connessione forte esistente tra innovazione scientifica e innovazione organizzativa. Nei confini
del sapere sociologico sono stati, in particolare, Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi ad evidenziare che l’innovazione
29 Merton R. K., Cit., pag. 363.
30 Cfr. Moretti V., Tra la via Riken e l’Europa. Lavoro scientifico,
organizzazione della ricerca, cultura del merito, valorizzazione del
talento, Quaderni di Rassegna Sindacale, Anno IX n. 3, 2008, LuglioSettembre, pagg. 91 – 149.
organizzativa «non coincide semplicemente con un processo
di elaborazione delle informazioni esterne, diretto a risolvere
i problemi correnti e a favorire un adattamento a un contesto
in via di modificazione [… dato che …] l’organizzazione che
cambia crea realmente, traendole dal proprio interno, nuove
conoscenze e informazioni allo scopo di ridefinire i problemi e le soluzioni e di ricreare, così facendo, il contesto31».
Detto in altro modo, a mettere gli individui in condizione
di avvicinarsi a ciò che, per un certo periodo di tempo, sarà
considerato “vero”, sono i processi di apprendimento che,
ancora una volta anche grazie agli errori, vengono sviluppati.
Sottolineato che in tali processi hanno una grande importanza non solo le conoscenze esplicite, codificate, ma anche
quelle acquisite attraverso l’esperienza e la pratica32, Nonaka
e Takeuchi strutturano la loro idea di apprendimento organizzativo intorno a 5 parole chiave:
i) intenzionalità: gli obiettivi del processo devono essere
definiti e condivisi da tutti i partecipanti anche se, talvolta,
una dose di indeterminatezza favorisce lo sviluppo di nuove
idee;
ii) autonomia: le conoscenze emergono soltanto se chi lavora lo fa in piena autonomia, è capace di cogliere le opportunità che essa offre e le sa gestire;
iii) ridondanza: più le informazioni disponibili sono sovrabbondanti più ampie sono le possibilità di gestire positivamente le spinte all’innovazione generate dal processo;
iv) caos: la definizione di schemi mentali e processi organizzativi alternativi e più rispondenti ai bisogni richiede
«caos creativo»;
v) varietà: l’apporto di conoscenze diverse - marketing,
tecniche, amministrative, ecc. - è decisivo per individuare
risposte efficaci ai dilemmi organizzativi33.
In definitiva, il processo di trasformazione e di apprendimento muove dalle persone, coinvolge il gruppo e l’organizzazione, diventa conoscenza (capacità personali, sistemi
tecnologici, sistemi manageriali, valori, norme) e, dunque,
occasione di vantaggio competitivo; esso fa sì che ciascuna
organizzazione rappresenti un nodo della rete di produzione
e scambio di conoscenza, servizi e beni con altre organizzazioni sulla base di un processo che è, allo stesso tempo, conservativo dell’identità e adattivo verso il contesto, in grado
cioè, in parallelo, di facilitare l’evoluzione delle competenze
distintive e di ridefinire costantemente il proprio rapporto
con l’ambiente.
9. La possibilità di ampliare e rendere maggiormente feconda l’area di intersezione nella quale il concetto di Serendipity può essere usato, nell’ambito della ricerca, per comprendere la struttura del lavoro scientifico e le rivoluzioni da
31 Nonaka I., Tacheuki H., The knowledge-creating company. Creare le
dinamiche dell’innovazione, (1995), trad. it. Guerini e Associati, Milano,
1997
32 Che concorrono a definire quell’«ambito del tacito» che secondo Michael Polanyi racchiude ciò che sappiamo più ciò che possiamo dire.
33 Cfr. Moretti V., Dizionario del pensiero organizzativo, Ediesse,
Roma, 2008 (3° ed.).
9
COPERTINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
esso prodotte, si fa tanto più concreta quanto più si sposta
l’accento, fino ad invertire la priorità, dalla prospettiva psicologica a quella sociologica, dal talento all’organizzazione,
dal personale al sociale. Tra gli argomenti a sostegno di questa tesi si può ricordare, da un lato, che il rapporto tra il genio
e la scoperta serendipitosa è di per se stesso un fatto sociale,
perché è sociale il genio ed è sociale il sapere in quanto luogo
della relazione, com’è dimostrato in maniera semplice ma
niente affatto banale dal fatto che il “genio” (italiano, indiano, pakistano, ecc.) ha molto spesso bisogno di un laboratorio statunitense, giapponese, tedesco per rendere manifesta
la propria genialità; dall’altro, che i processi di serendipity
sono più fecondi e accadono con maggiore frequenza laddove esistono sistemi forti di relazioni internazionali e si determinano quelle occasioni di confronto che sono fondamentali
per creare innovazione34.
Se tutto questo è anche solo in parte vero ecco che diventano più evidenti le ragioni per le quali è utile che:
i) i governi delle organizzazioni scientifiche siano aperti
alla possibilità di vedere messe costantemente in discussione
convinzioni e assiomi consolidati;
ii) le comunità scientifiche siano maggiormente esposte a
sollecitazioni diverse da quelle cui sono abituate;
iii) si investa negli scambi di giovani ricercatori tra istituzioni partner fino a costituire, intorno a progetti seri, veri e
propri network di giovani scienziati35.
Non bastano il genio, la vivacità, la storia, il Rinascimento, la cultura della committenza. La qualità va organizzata. I
talenti vanno coltivati. Per fare sistema. Creare opportunità.
Promuovere i cervelli che si hanno in casa. Attrarre quelli
che provengono da altri paesi36.
10. Si è giunti così alla domanda per ora impossibile, quella che si riferisce alla possibilità di adottare uno di quei «neologismi che si rendono necessari per descrivere fenomeni
appena scoperti e idee appena emerse»37.
Com’è noto, le parole sono importanti. Ludwig Wittgenstein, nelle prime pagine delle sue Ricerche filosofiche, scrive che «[…] ogni parola ha un significato. Questo significato è associato alla parola. È l’oggetto per il quale la parola
sta38». Senza le parole e i loro significati, senza il linguaggio,
la realtà, questo imprevedibile e affascinante miscuglio di
34 Cfr. Moretti V., Tra la via Riken e l’Europa. Lavoro scientifico,
organizzazione della ricerca, cultura del merito, valorizzazione del
talento, Quaderni di Rassegna Sindacale, Anno IX n. 3, 2008, LuglioSettembre, pagg. 91 – 149.
35 Cfr. a questo proposito ancora Khun: “Coloro che riescono a fare
questa fondamentale invenzione di un nuovo paradigma sono quasi sempre
o molto giovani oppure nuovi arrivati nel campo governato dal paradigma
che essi modificano.”, cit., pag. 17.
36 Il fatto che in materia di sistemi culturali, educativi, della ricerca, il
rinascimento non abiti in Italia ma in Inghilterra, in Francia, in Germania,
nella stessa Spagna, oltre che naturalmente in Giappone, negli Stati Uniti,
a Singapore, in Cina suggerisce probabilmente qualcosa di significativo a
questo proposito.
37 Merton R. K., cit., pag. 363.
38 Cfr. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche (1953), trad. it. Einaudi,
Torino, 1969.
10
cose, fatti, ragioni, passioni, sentimenti, sarebbe inaccessibile, dato che non si saprebbe come comunicarla e dunque
come condividerla. Riconoscere l’importanza delle parole
vuol dire dunque riconoscere le loro connessioni con gli specifici ambiti e significati ai quali esse si riferiscono, significa
riconoscere la necessità di usarle in maniera appropriata.
Nel caso specifico la domanda per ora impossibile potrebbe essere così formulata: il concetto di Serendipity così
come è stato qui prospettato presenta caratteri tali di novità
da richiedere l’adozione di un neologismo e una nuova definizione? O, anche, c’è una parola più adatta per definire il
concetto di Serendipity così come fin qui è stato delineato?
Per sua stessa definizione la domanda per ora impossibile
è destinata a rimanere qui senza risposta. Il fatto stesso di
averla formulata, nella misura in cui tale formulazione è ritenuta legittima, non è però senza conseguenze. Non solo
perché può rappresentare un pretesto per futuri, proficui
vagabondaggi scientifici. Ma anche perché la formulazione
della domanda, la determinazione di ciò che con essa effettivamente intendiamo e possiamo definire, è, come sappiamo,
in vari modi connessa alla possibilità di rintracciare, prima
o dopo, una risposta. L’auspicio è che questo lavoro possa
rappresentare un contributo utile in questa direzione.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | OPINIONI
Sulla
valutazione
dell’istruzione
e dell’apprendimento
PIETRO RAMELLINI
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
I
n questi tempi di dibattito sulla
valutazione del sistema dell’istruzione e del sistema universitario è bene, di tanto in tanto, prendere le distanze dal calor bianco della
discussione e osservare la situazione in
prospettiva, con occhio presbite.
Molti studenti e studentesse, nonché numerosi docenti, ritengono che
la valutazione sia uno degli aspetti più
gravosi della scuola e dell’accademia.
Tra le ragioni di questa opinione c’è
il fatto che la valutazione è un’interazione umana estremamente poliedrica,
che comprende aspetti tecnici e docimologici, cognitivi ed emotivi, sociali
e politici, giuridici e amministrativi, e
così via. Non stupisce, quindi, che una
relazione tanto complicata e complessa possa facilmente diventare segno
di contraddizione, pietra d’inciampo
e quasi das Unheimliche dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Che fare, dunque? In matematica, i
problemi ad alto numero di variabili
sono spesso intrattabili; perciò, si ricorre a tecniche come la derivazione
parziale, in cui si mantengono ferme
tutte le variabili tranne una, che viene
lasciata libera di danzare a suo piacimento. Così pure, quando un fenomeno
naturale è polifattoriale lo scienziato
segue la variazione di un fattore alla
volta e ceteris paribus. Si può provare
allora a ragionare in modo analogo sul
problema valutativo, focalizzando cioè
l’attenzione su un singolo fattore e lasciando gli altri impregiudicati.
Parafrasando Paulo Freire, si potrebbe affermare che nessuno valuta nessuno, e che tutti piuttosto ci si valuta con
la mediazione del mondo; oppure, riprendendo una nota shibbolet della teologia della liberazione, si potrebbe dire
che tota schola discens, tota schola docens, o che tota schola valutans, tota
schola valutanda. Peraltro, in questa
sede ci si limiterà a riflettere sulla seguente ipotesi: che la valutazione, cioè,
vada vista (anche) come munus. Non
si intende così affermare che la valutazione rientra nella nozione giuridica
di munus come ufficio soggettivo, così
come l’ha teorizzata Massimo Severo
Giannini. Piuttosto, si vuole risalire
alle radici semantiche della parola munus, che significa contemporaneamente
fardello e regalo, officium e servizio.
La valutazione è innanzitutto un
peso, sia per chi valuta sia per chi viene valutato, tanto che probabilmente
molti docenti e studenti ne farebbero
volentieri a meno: se nella Repubblica
di Platone occorreva costringere i migliori affinché si facessero carico dei
pubblici uffici, e se nella Stultitiae Laus
di Erasmo nulla dovrebbe essere più
malinconico e meno desiderabile del
peso gravoso del regno, ebbene, anche
nella scuola vari docenti preferirebbero
concentrarsi sulla trasmissione e sull’elaborazione della cultura, più che passare il tempo a verificare e valutare; sia
chiaro: essi si rendono perfettamente
conto dell’importanza anche culturale
di queste operazioni, ma ciò non elimina certo la loro difficoltà.
Il fardello della valutazione è legato,
almeno in parte, all’elemento di giudizio che vi è insito, a quell’aura tribunalizia che tende ad aleggarvi sopra.
Perciò, nella valutazione si richiede da
parte di tutti un buon grado di libertà
e trasparenza, da coltivare anche attraverso una certa ascesi personale: da
una docente, ad esempio, ci si aspetta
libertà dai pregiudizi sullo studente,
nonché libertà nel giudicarlo serenamente; in una studentessa, d’altro can-
11
OPINIONI | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
to, è importante la libertà dall’ansia del
giudizio o dalla tentazione di ricorrere
a trucchetti sporchi.
Ma la valutazione è anche dono, non
nel senso di donum-regalo gratuito e
disinteressato, ma appunto nel senso di
munus-regalo che impegna chi lo riceve a ricambiarlo. Ci sono infatti doni
che invitano alla circolazione di beni
e servizi, ad una pericoresi di scambi
reciproci; la valutazione rientra, almeno in parte, tra questi. Trattandosi
di un’interazione circolare, dobbiamo
allora scegliere un punto di partenza
per illustrarla; ad esempio, possiamo
iniziare proprio dagli studenti e dalle
studentesse, intesi come il primum movens dell’azione didattica.
Dunque, lo studente fa dono al docente della propria fiducia: confida in
lui, si affida al suo giudizio, rivela al
docente ciò che sa; a volte questo è facile e scorrevole, ma altre volte diventa
pesante, perché occorre mettere a nudo
una parte di sé ancora acerba, difettosa, zoppicante; ed è ovvio che questo
processo risveglia immediatamente la
coscienza dei propri limiti e il timore
del giudizio.
12
Un dono di sé così impegnativo ed
esigente non può non provocare il docente a ricambiarlo; il docente viene
pro-vocato, chiamato, interpellato a
donare a sua volta; in questo caso, il
docente fa dono allo studente di una
parola di verità, in un rapporto diretto
tra un io e un tu: tu sai questo, quindi
tu sei (in parte) questo; tu possiedi queste conoscenze e competenze, quindi tu
sei giunto a questo punto; tu sei sulla
strada giusta, oppure tu hai deviato ed è
bene per te cambiare direzione.
Si potrebbe procedere ulteriormente
ad osservare le mosse di questo serissimo gioco di interazioni tra homines
ludentes; si vedrebbero così, ad esempio, studentesse desiderose di mostrare
alle loro docenti quanto siano ancora in
grado di progredire nell’apprendimento, oppure docenti stimolati a dimostrare agli studenti che la loro fiducia è
ben riposta. Credo comunque, a questo
punto, di aver chiarito sufficientemente
l’idea della valutazione come munus.
Capita a volte che uno studente ringrazi la docente per il voto che gli ha
assegnato; la docente dovrebbe però
schermirsi, dicendo di essere solo una
notaia, e che il voto se lo è dato lui; tuttavia, occorre rendersi conto che quella
valutazione ha impegnato entrambi: la
docente ad insegnare secondo la regola
dell’arte, lo studente in uno sforzo di
apprendimento aperto e sincero; e impegnerà ancora entrambi a perseverare
nei rispettivi compiti e a ricambiare
ciascuno i doni dell’altro. Dal punto di
vista delle scienze umane, siamo dalle
parti della Gift Economy o di Marcel
Mauss, senza fare ovviamente di ogni
erba un potlatch.
Ricambiare il dono di un fardello
sembra davvero qualcosa di paradossale, eppure rientra nella dinamica della
vita sociale: come diceva sapientemente Karl Rahner, la responsabilità è quella strana cosa che certo impone dei pesi
reali, eppure li benedice.
Ebbene, se si guardasse alla valutazione (e non solo) come ad un munus
da condividere e scambiare, portando i
pesi gli uni degli altri ed avviando un
circolo virtuoso di mutua donazione, si
può ipotizzare che la scuola e l’accademia diventerebbero ancora di più una
communitas umana.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | OPINIONI
Ma la ricerca
italiana
funziona?
GIANNI GUIDETTI
Università degli Studi di Pavia
D
al documento di sintesi
ANVUR emergono molte
problematiche
dell’università italiana, in gran parte causate
da politiche di scarso finanziamento.
Le criticità sono troppo numerose per
poter essere commentate in un unico
discorso organico: riduzione del corpo docente, blocco delle retribuzioni,
insufficienza di fondi per il diritto allo
studio, aumento del divario tra le università delle diverse zone del paese. Il
tentativo di interpretare questi aspetti
nel loro complesso provoca una particolare sensazione di impotenza a cui il
cittadino (italiano in particolare) è tristemente abituato.
Per trovare consolazione si potrebbe rivolgere l’attenzione ad un aspetto
positivo emerso dal rapporto dell’ANVUR, cioè al fatto che seppur senza
soldi la ricerca italiana funziona. Si
legge: “Fra i punti di forza emerge il
buon posizionamento internazionale
dei risultati complessivi della ricerca
dei nostri docenti e ricercatori, nono-
stante la progressiva diminuzione dei
fondi accessibili alla ricerca scientifica
di base e umanistica”.
Per un attimo l’orgoglio nazionale
ha un sussulto, poi riflettendoci sopra,
ci si chiede come siano stati raggiunti
questi risultati. Possono essere fornite
diverse risposte a questa domanda, citando parametri di valutazione poco realistici oppure sostenendo che il genio
italico possa davvero raggiungere ogni
obiettivo.
Tuttavia, è importante ricordare che
i sistemi che producono buoni risultati
a bassi costi sono talvolta carenti nella
tutela del personale e in alcuni casi si
evidenziano fenomeni più o meno gravi di sfruttamento. In questo contesto
sembra che l’Italia, con la sua università, si stia dimenticando di tutelare,
valorizzare e supportare migliaia di
precari della ricerca.
Il documento di sintesi ANVUR
evidenzia la grande fragilità del sistema universitario italiano in termini di
prospettive per la carriera accademica.
Solo una piccola percentuale dei dottori di ricerca italiani trova una collocazione stabile nelle istituzioni di ricerca scientifica del paese. Per garantire
dignità e futuro a questi scienziati e
per permettere una rigogliosa rinascita
dell’università e della ricerca nazionale
i numeri devono cambiare.
La figura del ricercatore a tempo determinato (RTD) è inadatta per risolve-
re il problema. I RTD-A sono precari
quasi quanto assegnisti e borsisti, mentre la figura di RTD-B, che evolve in
maniera automatica verso la posizione
di professore associato, riguarderà solo
pochi eletti che abbiano acquisito l’abilitazione scientifica nazionale e godano
di enorme supporto da parte dei rispettivi mentori.
E gli altri? Dove andranno a finire
gli ottimi scienziati che non soddisfano
l’improbabile combinazione di possedere simultaneamente l’abilitazione
scientifica nazionale (conferita sulla
base di parametri a dir poco discutibili)
e un forte supporto da parte di docenti
particolarmente autorevoli (e talvolta
autoritari).
È fondamentale che la politica e il
mondo della ricerca si impegnino per
risolvere questo problema, perché assegnisti e borsisti sono una colonna
portante della produttività scientifica
nazionale. È assolutamente necessario iniziare a considerare questi scienziati come dei lavoratori qualificati e
non come personale in formazione. Si
dovrà operare per permettere ad una
parte significativa dei precari l’inserimento stabile in università o nei centri
di ricerca, con trattamenti economici e
previdenziali dignitosi. Delineare una
soluzione per questo grave problema
della ricerca italiana non sarà semplice,
ma trovata la volontà di farlo, le proposte non mancheranno.
13
OPINIONI | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Saper
apprezzare le
differenze
PATRIZIA TORRICELLI
Università degli Studi di Messina
Quesito numero 1: I migranti
Davvero crediamo che il cambiamento storico della nostra società debba essere fermato e non, invece, governato con strategie opportune, messe a
punto in modo consapevole e razionale, senza inciampare in un distratto
conformismo ideologico? Siamo sicuri
che la nostra democrazia sia la migliore del mondo? La forma di governo
perfetta? E che debba, perciò, essere
esportata in paesi con storia, cultura
e tradizioni differenti di cui sono fieri – come gli Americani hanno provato a fare qualche decennio fa in Iraq e
Afghanistan e gli Europei con il loro
appoggio in Libia, ottenendo il successo che tutti sappiamo? Siamo convinti
che il nostro sia il genere di benessere
cui tutti devono aspirare e che sia, perciò, nostro compito precipuo trasferire
lo stesso modello di sviluppo nei Paesi
che lo ignorano?
Provando sensi di
colpa se l’impegno, in qualche
modo
neocolonialista, fallisce e
le crisi mondiali
emergono?
O forse governare la storia vuol
dire trovare soluzioni idonee per
fronteggiare
gli
eventi incoercibili cui la storia ci
espone e, senza
illudersi di cancellarli o arrestarli,
elaborare le idee
giuste per farli diventare parte della
nostra vita: nuove
14
realtà, con cui confrontarci, senza pregiudizi, per cercare di renderle compatibili con i valori in cui crediamo, con
ciò che sappiamo, pensiamo e vogliamo; restando attori, per quanto sia possibile, di un cambiamento del mondo
di cui non abbiamo noi la regia, ma che
da millenni è la ragione recondita delle
civiltà che si sono susseguite, fra cui
anche quella nella quale oggi viviamo?
Quesito numero 2: La Grecia
Siamo sicuri che un mondo omologato ci piaccia? La Grecia ha inventato il pensiero razionale con i filosofi
classici, teorici del logos, del ragionamento che ricrea il mondo nella mente
umana e lo restituisce perfetto nella
propria logica. Sottratto dalla storia al
possesso politico di chi l’aveva concepito, il logos ha abitato altri luoghi, affascinato altri pensatori, suggestionato
altri popoli di cui è diventato quasi un
appannaggio caratteriale. Dettando
loro regole di vita improntate a rigore e
metodo, a coerenza ed efficienza. Tutte
virtù apprezzabili nel limpido mondo
delle idee. Con il quale, tuttavia, non
sempre i sentimenti umani riescono a
collimare, per uno strano dissidio fra
idee e realtà che la sensibilità umana avverte, appena si accorge che le
leggi dell’universo – sia esso fisico o
spirituale - e le leggi degli uomini non
sempre sembrano essere le stesse. I regimi, dal cui rischio non siamo ancora
riusciti a renderci immuni, nonostante
le esperienze di cui la storia mondiale
conserva memoria, sono un esempio
dell’effetto deleterio delle stesse virtù
quando siano esasperate fino a diventare non una civile prassi comportamentale bensì un’imposizione di governo
assoluta e rigida, che non ammette
alternative e non concepisce dissenso.
Le pieghe che gli eventi storici, sociali e politici hanno dato al costume
dei Greci, han lasciato loro in dote
atteggiamenti ispirati da altri valori
dell’esistenza, che trovano nel vicino
Medio-Oriente della antica conquista
alessandrina e nella tradizione bizantina maggiori similitudini. La Grecia
è un Paese fedele alla propria storia,
come ogni altro Paese, per quanto arcaiche possano sembrare certe abitudini e poco affine alla nostra la mentalità
che le sostiene.
Ma siamo sicuri che ci piaccia trovare dovunque una replica di noi stessi,
così come siamo, come ragioniamo e
viviamo la quotidianità? O non dobbiamo apprezzare le differenze per quel
che ci danno? Per
quel confortante
avvertimento, trasmesso tacitamente, che il mondo
umano – come le
latitudini, il clima, il paesaggio
che tanto ci piace
ammirare proprio
perché diversi da
quelli cui siamo
abituati – esibisce
mille volti e la vita
non si esaurisce
soltanto in uno di
essi, ma può essere
vissuta con molte
altre
angolature
senza perdere i
suoi pregi, se solo
li si sa riconoscere.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE AGRARIE
Amare e mantenere sane le piante
ALDO ZECHINI D’AULERIO
Dipartimento Scienze Agrarie, Università di Bologna
I
l mondo vegetale è sempre più intimamente legato alla nostra cultura moderna che la tecnologia ha
molto allontanato dalle precedenti abitudini. Oggi
coltivare piante ornamentali permette di soddisfare
il nostro senso estetico in quanto le nuove specie
e cultivars disponibili sul mercato permettono di decorare giardini e terrazze, favorendo la nascita di una passione
hobbistica che migliora il tono dell’umore, riempie il tempo
libero e fa compiere esercizi fisici che mantengono in forma.
Soprattutto le persone anziane e chi non è più in attività
lavorativa beneficiano di questi vantaggi.
Tuttavia il bisogno dell’uomo di vivere a contatto con il
mondo verde è molto antico e si tramanda dai nostri antenati preistorici, gli
Australopiteci, che
diversi milioni di
anni fa in Africa
sfuggivano ai predatori passando la
notte sugli alberi
delle foreste che
davano loro cibo e
protezione. Anche
quando la dieta per
loro è diventata
onnivora e l’uomo
si è evoluto per vivere nelle praterie
il rapporto con le
piante è rimasto
molto stretto come
risulta dai numerosi
reperti fossili pervenutici.
Recenti ricerche
condotte in varie
parti del Mondo di-
mostrano che lo stretto rapporto uomo-piante favorisce una
azione rilassante sul nostro sistema nervoso e lo stesso colore verde prodotto dalla clorofilla svolge una azione benefica
sulla salute.
Il prof Ulrich della Texas University (2002 ) ha verificato
che negli ospedali dove ci sono ampi parchi i malati guariscono prima e si sottopongono più volentieri a terapie anche
lunghe e difficili. Studi clinici condotti in Giappone da Nakamura e Fujii (1990, 1992) attestano che in vicinanza di colture vegetali nell’uomo migliorano la pressione sanguigna,
l’attività cardiaca e la funzione elettrica cerebrale.
Molteplici sono le funzioni positive che le piante ornamentali svolgono nelle aree urbanizzate e per questi motivi
le amministrazioni
pubbliche
investono risorse per
aumentare il verde
urbano e favoriscono incontri e convegni con funzioni
divulgative.
Le piante depurano costantemente l’atmosfera trattenendo ed inattivando le sostanze
inquinanti all’interno delle foglie
che fungono da
laboratori chimici
in quanto ricche
di enzimi. Vengono così eliminate
numerose molecole tossiche, frutto
delle attività umane, quali anidridi
15
SCIENZE AGRARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
solforosa e solforica, etilene, derivati del fluoro e del cloro,
ossidi di azoto, ozono, derivati del piombo, ecc.
Queste molecole vengono scomposte e rielaborate all’interno delle cellule fogliari diventando parte integrante di
complessi organici e l’aria fuoriesce pulita. Ogni albero di almeno 20 anni di età nel periodo vegetativo libera ogni giorno
nell’aria 5 tonnellate di O2 e sottrae una pari quantità di CO2
che entra nelle foglie insieme all’aria attraverso gli stomi e
viene trasformata in zuccheri con la fotosintesi clorofilliana.
Naturalmente solo le specie botaniche resistenti all’inquinamento atmosferico sono in grado di svolgere tali funzioni
benefiche e per questo deve essere molto accurata la scelta
delle piante da utilizzare nel verde pubblico. Alcune specie
come ippocastani, platani, aceri non sono adatti a vivere nelle grandi città in quanto le numerose sostanze tossiche con
cui vengono a contatto li danneggiano e favoriscono la comparsa di malattie fungine.
Nelle nostre case piante da appartamento come Potos,
Dieffembachia, Phyllodendron depurano l’aria dal fumo di
sigaretta e dai cattivi odori e la arricchiscono di ossigeno;
diverse specie sono in grado di neutralizzare alcune onde
elettromagnetiche liberate dai tanti apparecchi tecnologici
presenti nelle abitazioni e che risultano dannose.
Nelle città gli alberi migliorano il microclima: con le radici
assorbono dal terreno costantemente acqua con sali minerali
e rilasciano l’acqua dagli stomi fogliari sotto forma di vapore
che umidifica l’ambiente e lo rende più fresco rispetto alle
zone prive di piante e cementificate. La chioma svolge una
importante azione di frantumazione delle onde sonore e luminose riducendo gravi forme di inquinamento ambientale e
possono esercitare una azione di contenimento del forte vento nelle zone litoranee. La recente consuetudine di mettere a
dimora arbusti ornamentali e siepi al centro di rotatorie stradali ed in aiuole presenti nelle autostrade ha diverse funzioni
positive perché, oltre a svolgere una azione di abbellimento,
permette la sopravvivenza di una numerosa microfauna composta da farfalle, piccoli mammiferi, uccelli insettivori, rettili, tutti a rischio di estinzione per la troppa cementificazione.
La fitoterapia è un’altra importante disciplina che si è sviluppata in questi ultimi anni e nasce dalle nozioni erboristiche di tante popolazioni primitive tra cui i Pellerossa d’America che di ogni specie botanica presente avevano appreso
le doti medicinali. Curarsi con le sostanze vegetali è una
pratica molto diffusa (regolamentata dalla direttiva europea
24/2004) che prevede l’utilizzo di tali estratti in alimentazione, farmacologia, cosmesi. L’ “aroma terapia” ci informa
sull’azione benefica che il contatto con molecole vegetali
volatili aromatiche produce attraverso i recettori nel nostro
organismo sia a livello fisico che psichico.
Ricerche condotte nell’ambito della nuova scienza chiamata “Neurobiologia Vegetale” attestano che le piante emettono durante il periodo vegetativo numerosi impulsi elettrici
di tipo nervoso che possono essere captati dal nostro sistema
sensoriale e tali stimoli possono essere benefici per la psiche umana soprattutto relativamente ad alcune specie botaniche. Da qui nascono i “ Giardini della Salute” cioè giardini
16
progettati per la coltivazione di determinate associazioni di
piante che procurano benessere psicologico a particolari categorie di persone deboli quali handicappati mentali, malati
con disturbi nervosi,anziani con demenza senile. Secondo la
Neurobiologia Vegetale le piante sono capaci di percepire
stimoli ambientali come anche le possibili minacce di predatori e potrebbero essere dotate di un sistema di trasmissione
di segnali a distanza con informazione del pericolo destinate ad individui della medesima specie mettendoli in allarme e dando la possibilità di sviluppare difese come spine.
Sarebbero stati individuati tipi di segnali elettrici e chimici
simili a quelli presenti nel sistema nervoso degli animali più
primitivi che potrebbero ad alcuni far pensare ad un tipo di
“coscienza vegetale” con cui le piante riescono a creare rapporti di sensibilità anche con la specie umana. Possiamo anche parlare di “memoria” delle piante che sanno riconoscere
stimoli positivi o negativi.
Quindi tanti sono i motivi per cui dobbiamo appassionarci
allo studio del mondo vegetale ma è doveroso anche conoscere tutte le problematiche sanitarie delle piante, oggi in
forte aumento per diversi motivi. Innanzitutto la globalizzazione del mercato ha favorito l’introduzione di specie botaniche provenienti da Paesi lontani che hanno portato con sé
nuovi microrganismi patogeni e quindi nuove infezioni per
le specie locali. Inoltre la genetica ha prodotto per il mercato nuove varietà vegetali più belle ma scarsamente resistenti alle malattie per cui si sono evoluti ceppi fungini molto
pericolosi per tante specie anche autocnone. I nuovi metodi
di coltivazione per incrementare la produzione vegetale e
dare maggiore profitto come eccesso di concimazioni, uso
improprio di fitofarmaci e troppa concentrazione di piante in
poco spazio, unitamente alle fortissime limitazioni europee
all’utilizzo di moltissime molecole chimiche, hanno fatto aumentare le malattie rendendo difficile la difesa.
Le infezioni che colpiscono le piante sono causate da Funghi, Virus e Batteri e soprattutto i primi sono molto diffusi e
pericolosi. Occorre adottare strategie di lotta preventiva con
somministrazione sulle piante ancora sane di prodotti naturali come rame, zolfo o sostanze di origine vegetale ed una
tempestiva eliminazione di soggetti infetti. Per ogni specie
botanica occorre conoscere approfonditamente le esigenze
ambientali per fare crescere i soggetti nelle migliori condizioni e renderli più forti.
Gli alberi che presentano parti disseccate debbono essere
potati subito e le ferite debbono essere disinfettate con fungicidi rameici e protette con mastici ricoprenti per evitare la
penetrazione di spore fungine nel legno. Consiglio inoltre di
praticare la rotazione delle colture con alternanza ogni qualche anno delle specie coltivate per evitare che nel terreno si
insedino patogeni specifici favoriti dalla presenza della medesima coltura e controllare che non vi siano ristagni idrici
nel suolo che stimolano lo sviluppo dei funghi.
Solo con tutte queste attenzioni le piante staranno bene e
potranno dare tante soddisfazioni.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Flussi migratori e governance:
dall’integrazione culturale alla gestione
dell’interazione
ANTONIO IUDICI, GUIDO PASQUALE
Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova
A partire dai flussi migratori che caratterizzano oggi le interazioni all’interno della comunità europea, il presente lavoro intende concentrare l’attenzione su alcuni termini usati per
rappresentare l’attuale situazione, ovvero i termini cultura,
integrazione e interazione. Nell’articolo si argomenta l’importanza di una riflessione etimologica ed epistemologica
degli stessi termini, dalla cui analisi conseguono alcuni strumenti concettuali volti a facilitare la gestione delle interazioni per i diversi ruoli coinvolti.
N
INTRODUZIONE
egli ultimi anni, le questioni riguardanti
i flussi migratori nel territorio europeo
sono passate da sfuocate figure di sfondo
a immagini dotate di profondità di campo e nitidezza, quasi da necessitare, per
essere inquadrate nella loro totalità, dell’uso di un obiettivo
grandangolare (Livi Bacci, 2010). La presenza di comunità migranti sta avendo un forte riverbero a livello sociale,
economico e politico (Guiraudon, 2000; Cornelius & Rosenblum, 2005; Fassin, 2005; Kashima, 2014), rendendo
necessaria la gestione di problematiche in continua evoluzione, legate a inserimento, accoglienza o integrazione dei neoarrivati (Berry, 2001; Benhabib, 2002; Berry, Phinney, Sam,
& Vedder, 2006). Tale situazione assume spesso i caratteri
dell’urgenza e dell’emergenza e viene talvolta interpretata
in modo semplicistico, ovvero alimentando pericolose teorizzazioni sul rapporto tra autoctoni e immigrati (Bauman,
1997; Finney & Simpson, 2009), il cui effetto è quello di
perturbare la coesione sociale nazionale ed europea (Zanfrini, 2011; Di Luzio, 2011). Anche per questo, la gestione dei
flussi nel territorio europeo ha comportato tempestivi provvedimenti di governance istituzionale (WHO, 2010, 2011,
2012, 2014), sia in termini d’intervento immediato (urgenza) sia di (ri) progettazione dell’organizzazione dei servizi
(emergenza) (European Commission, 2015). Uno degli am-
biti maggiormente convolti da tali questioni è quello delle
istituzioni1, contesto in cui impiegati, operatori, assistenti sociali, educatori, psicologi, responsabili dei servizi territoriali
e amministratori si trovano a collaborare nella gestione delle
problematiche legate alle differenze culturali. Non sempre
però l’oggetto della discussione e soprattutto il metodo della
collaborazione appaiono condivisi, soprattutto in riferimento
alle concettualizzazioni e ai termini usati per rappresentare le
esperienze migratorie.
L’obiettivo di questo scritto è quello di offrire alcune considerazioni etimologiche, ma soprattutto epistemologiche,
in merito all’uso dei costrutti cultura, integrazione e interazione, che possano porsi a sostegno dell’operatività dei vari
ruoli che quotidianamente si confrontano con le questioni
presentate.
CULTURA: ENTE FATTUALE O CATEGORIA
CONCETTUALE?
Il sostantivo cultura deriva dal sanscrito car, traducibile
con le locuzioni verbali “muoversi tutt’intorno”, “cercare”,
“aver cura di”, “occuparsi di” (Rendich, 2014), per divenire
poi, nell’accezione latina, col, radice del verbo colo, di cui
cŏlĕre è il nome dell’azione2 (ibidem). L’etimo conduce al
coltivare, al far crescere per ottenere un frutto, e questo uso
del termine conserva la connotazione sanscrita delle locuzioni “aver cura di”, “occuparsi di”. Il termine non si riferisce
quindi a un oggetto (ente empirico-fattuale) percepibile e denotabile in qualcosa o qualcuno, bensì a un’astrazione, a un
1 Si richiama come esempio quanto messo in luce riguardo istituzioni
scolastiche (Man Ling Lee, 2005; Gorski, 2006; Bleszynska, 2008; Portera, 2008; Iudici, 2014), sanitarie (Campinha-Bacote, 2002; Jones & Gahagan, 2015) o penitenziarie (Rego & Moledo, 2003; Culla & Turchi, 2007).
2 È il nomen in actionis, appunto cŏlĕre, coltivare. Si distingue dal nomen
agentis, colui che compie l’azione, il cultor, ovvero colui che coltiva e dal
nomen rei actae, il nome dell’azione compiuta, cultus, ciò che è coltivato,
il frutto del coltivare.
17
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
discorso che, come direbbe Wittgenstein (1967), prende un
valore nell’uso stesso del termine. La processualità di questa
unità simbolica non si può perciò ridurre né a chi compie
l’azione (il cultor), né al risultato materiale dell’azione stessa
(il cultus), il cosa viene prodotto. Ciò che si genera emerge tra i discorsi della comunità dei parlanti, i quali perciò si
connotano come appartenenti (non proprietari) al medesimo
processo, di cui sono essi stessi i cultori (ne “hanno cura”).
La cultura si configura quindi come patrimonio comune in
continuo divenire, generato nell’interazione tra i membri della Comunità. A partire da questa riflessione sull’etimo, siamo
in grado di distinguere tra quanto pertiene al contenuto, il
frutto del coltivare (ad esempio una lingua, una tradizione
o delle norme), da quanto pertiene al processo, l’interazione
tra i membri della comunità, ovvero facciamo riferimento al
modo attraverso cui quei contenuti vengono plasmati, prendono forma.
Parlando di cultura facciamo quindi riferimento a un’astrazione categoriale generata nell’uso del linguaggio ordinario3, non configurabile come un ente che “esiste” a prescindere dall’intervento di un osservatore (Salvini, 1998).
Dati questi assunti fondativi, se consideriamo la cultura
come generata nell’interazione, non saremo più in grado di
delimitarla o di identificare chi la possiede o meno, in quanto costituirà permanentemente il prodotto del contributo dei
partecipanti. Confondendo quanto appartiene al dato sensibile con quanto appartiene a quello delle astrazioni categoriali,
cadiamo nella trappola della reificazione (Bellan, 2013; Iudici, Salvini, Faccio, Castelnuovo, 2015), illudendoci di poter
identificare la presenza o l’assenza di “qualcosa” di evidente.
A ben guardare dunque (per senso scientifico), cultura perde
il carattere di dato di fatto esistente di per sé in “natura”,
posseduta o meno da qualcuno e dotata di confini o frontiere, configurandosi come continuamente prodotta nell’interazione tra i membri della Comunità. Attraverso tale esercizio
epistemologico si può evitare di ibridare asserzioni di senso
scientifico e affermazioni di senso comune per cui, non reificando i discorsi che generano le differenze culturali, si è
sempre nella condizione di intervenire per generare un cambiamento delle configurazione di realtà.
Sulla spinta di quanto sopra, nel campo delle scienze umane sia che si faccia riferimento a universalismo, culturalismo
o policulturalismo (Morris, Chiu, & Liu, 2015), che a multiculturalismo o interculturalismo (Romero, 2003; Mantovani, 2004) è necessario tenere presente che quando si parla di
culture che fanno qualcosa, o di culture che influenzano qualcuno, si tratta di espedienti retorici e analitici, di astrazioni
formulate dagli studiosi per indicare a posteriori processi
3 In riferimento al linguaggio, possiamo considerare due modalità: come
mezzo di comunicazione e come mezzo di configurazione. Nel primo
caso siamo nell’ambito del contenuto, e facciamo riferimento alle regole
di applicazione di una lingua (sintassi e grammatica), nel secondo siamo
nell’ambito del processo dialogico e facciamo riferimento alle regole d’uso
del linguaggio stesso (denotazione, connotazione e ostensione). Nel primo
caso riferiamo al significato di un termine mentre nel secondo riferiamo
alla configurazione di senso che acquisisce valore di realtà (Wittgenstein,
1964, 1967, 1976; Colaianni & Ciardiello, 2012; Turchi & Orrù, 2014).
18
storici, ma utilizzare tali categorie per leggere la nostra realtà
quotidiana può essere fuorviante (Aime, 2013). Un esempio
di come la reificazione del costrutto cultura possa portare a
dei paradossi epistemologici può essere mostrato attraverso
un’analisi del termine “integrare” e a ai modelli applicativi
che ne derivano.
INTEGRAZIONE: LO SPETTRO DELL’ASSENZA
Il verbo integrare deriva dal latino intĕger, ovvero “integro”, che a sua volta deriva da intètiger, il quale è composto
dal prefisso in- che sta per “non” e dal termine tàg-ere o
tàng-ere ossia “toccare”, traducibile con “non toccato”, “cui
nulla è stato tolto”, “illeso”, “intero”, “completo”. Facendo
riferimento all’uso di tale termine ci muoviamo verso il raggiungimento di un ipotetico stato di “integrità” e “completezza” della persona, la quale si suppone debba raggiungere
il cento per cento rispetto a qualcosa. Tale definizione comporta però diversi interrogativi, sia teorici sia operativi. Per
esempio: quando possiamo dire che qualcuno si è integrato?
Quando sa la lingua più diffusa nel territorio in cui abita?
Quando ha delle relazioni positive con i membri della comunità accogliente? Qual è il punto di arrivo dell’integrazione?
Quando ci possiamo fermare? Qual è lo stato di “integrità”
e “completezza”? È possibile identificarlo con precisione?
Diviene certamente possibile farlo se comprimiamo la cultura all’interno di un contenuto, come una lingua o un’usanza. Diversamente, non diviene possibile farlo se ci riferiamo
all’interazione tra i membri della comunità, essendo questi
ultimi inseriti in un contesto interattivo e conoscitivo, dunque non riducibile esclusivamente a dei contenuti, ma anche
a obiettivi, strategie e competenze relazionali, perciò a un
modo di fare cultura, di appartenere alla Comunità.
Per “integrare” dovremmo anzitutto essere in grado di definire un criterio che ci consenta di dire “questo è lo stato di
completezza e integrità che perseguo nella mia prassi operativa” e “questo è lo strumento di misura che mi permette di asserirlo”. Possiamo fare un’operazione del genere? Possiamo
perseguire tale obiettivo? Se rispondiamo affermativamente
stiamo già lavorando su un contenuto e su una reificazione
di un costrutto, poiché già asserire “questo è lo stato di…”
implica una reificazione del processo che non tiene conto del
contributo di chi partecipa (appartiene) al processo. Forse è
qui l’impasse. Il principio del “rendere integro” lo possiamo
applicare ad un “oggetto” o un “contenuto” ben precisi, che
peraltro in questa fase storica non possiamo certamente definire, considerato che stiamo parlando di esseri umani inseriti
in una rete globale di interazioni, la cui regolazione dipende anche da accordi programmatici tra governi e che pertanto non contengono un a priori precostituito di ciò che si
deve o meno “integrare”. Se interveniamo con tale principio,
senza peraltro definire la “presenza” (la completezza) verso
cui stiamo intervenendo, il nostro presupposto operativo rischia di essere quello della “mancanza”, ovvero di credere
che agli individui manchi sempre qualcosa. Nel corso della
pur giovane storia di immigrazioni nel contesto italiano, le
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
mancanze maggiori sono state recentemente rappresentate prima dai meridionali, poi dai cinesi, poi dagli albanesi,
poi dai rumeni, infine da sudamericani e siriani. E questo è
un gioco senza fine, in cui veniamo tenuti in scacco da uno
spettro, quello dell’assenza di qualcosa, trovandoci perennemente a rincorrere un traguardo irraggiungibile come l’isola
di Itaca per Ulisse. Di fatto quello che manca è sempre ciò
che ci aspettiamo e vorremmo da loro. Questo presupposto
caratterizza molti degli interventi cosiddetti di integrazione,
che si traducono spesso nel chiedere al migrante di adeguarsi
incondizionatamente alla “cultura” verso cui sono destinati,
e non di farne parte (appartenenza).
LA GOVERNANCE DELLE INTERAZIONI
Sulla base delle riflessioni finora offerte, la proposta veicolata da questo scritto è quella di inserirsi nell’operatività a
livello del processo, fondando come principio di regolazione
dei rapporti sociali il costrutto di interazione. Possiamo definire l’interazione come quel processo diacronico mediante
il quale si generano, a partire da due o più elementi a loro
volta generati dal medesimo processo (precedentemente e
contemporaneamente), assetti/configurazioni che possono
essere descritti – e dunque appartenere a – o da linguaggi
formali (dunque teorici) o dal linguaggio ordinario (Turchi
& Orrù, 2014). A partire da questo costrutto, si rende necessario anzitutto “salire di quota” per osservare non esclusiva-
mente un singolo, ma l’intera rete comunitaria, gli assetti che
si generano nell’interazione tra i membri della stessa e in seguito, assumere l’impossibilità di determinare una relazione
causale nelle dinamiche interattive, per esempio migratorie.
Adottando l’incertezza e l’indeterminatezza come principio conoscitivo, per dirla con Heisenberg (1978; Lederman
& Hill, 2013), possiamo asserire che non si tratta di agire/
operare/intervenire in termini di controllo delle interazioni
(equiparandole impropriamente a meccanismi) ma di gestire
e governare le stesse. Non possiamo controllarle in quanto
non possiamo prevederne deterministicamente l’assetto, ma
possiamo lavorare in termini di governo, anticipandone dei
possibili legami interattivi e gli interventi più pertinenti su di
essi. Guidati da tale presupposto gli interventi non si focalizzeranno esclusivamente sulle mancanze del singolo ritenuto
isolato, ma sulla comunità a cui ogni individuo appartiene e
in cui ognuno offre il proprio contributo generando senso,
significati e assetti interattivi.
Sul piano operativo l’intervento professionale si pone a livello di promuovere competenze anziché capacità. Definendo le prime come l’anticipazione di scenari che non si sono
ancora verificati ma che si possono verificare e che quindi
vanno gestiti (il tutto entro una matrice sociale) e le seconde
come l’insieme di abilità potenzialmente presenti in tutte le
persone e che le persone maturano e sviluppano attraverso
la replica di esperienza personali/professionali (Turchi &
Orrù, 2014; Turchi & Romanelli, 2013). Il riferimento alla
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
capacità implica entrare nel merito dell’esperienza personale
e di quanto è stato appreso dal singolo reiterando una serie
di azioni in situazioni ritenute simili, per cui in presenza di
una criticità o problematica si interverrà sempre nello stesso
modo, prevedendo sempre il medesimo esito. Il nodo critico
lo si riscontra nel momento in cui le condizioni che hanno
caratterizzato l’esperienza pratica di una persona cambiano,
vengono a mancare alla stessa i riferimenti che le consentivano di agire in quello specifico modo, per cui viene meno
la possibilità di gestire efficacemente possibili situazioni
nuove (di cui non si ha appunto esperienza). Diversamente,
lavorando sullo sviluppo di competenze si rende possibile
costruire dei modi di “essere” all’interno della comunità che
permettono di governare eventi critici inediti nella vita delle
persone. Per cui a fronte di una condizione problematica si
riescono a mettere in campo delle strategie pertinenti rispetto
a un progetto di vita prefissato (per esempio l’uso dei servizi
presenti sul territorio).
Sulla scorta di quanto finora argomentato, è possibile
asserire che se fondiamo i nostri presupposti operativi sul
principio dell’integrazione, l’intervento potrà solamente essere di tipo compensativo, per cui vengono forniti i “pezzi”
mancanti a chi che ne è privo, declinando la differenza come
penuria e dando per scontato il fatto di avere il giusto “tassello” per completare l’essere umano. Diversamente, nelle
prassi fondate sull’interazione, si interviene attraverso tutta
la Comunità, per cui ogni attore diventa in grado di sviluppare competenze sui generis necessarie per rendere efficaci
le interazioni.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In queste poche righe si è provato a fare un passo indietro,
tematizzando alcune premesse e questioni che, per essere
“viste”, andavano forse rese più opache. Ci si è concentrati
sul provare a rendere espliciti alcuni presupposti, considerandoli come guida delle nostre riflessioni e azioni della pratica
quotidiana. Per far questo si è posta l’attenzione sull’etimologia di alcuni termini usati e forse “abusati” come cultura,
integrazione, interazione, e si sono prodotte alcune riflessioni epistemologiche su tali categorie concettuali, a partire
dall’assunto, condiviso nelle scienze sociali, per il quale la
realtà è indeterminata (Heisenberg, 1958; Lindley, 2008).
Riavvolgendo metaforicamente il filo del discorso, si è ragionato sul concepire la cultura da una parte come ente empirico e fattuale indipendente dall’essere umano, in grado di
pervaderlo e di ordinarne rigidamente i comportamenti, mentre dall’altra come processo attraverso cui l’individuo conosce la propria realtà, ponendosi in grado di progettarla, di utilizzarla e di offrirla come risorsa alla Comunità (Colaianni,
2015; Iudici, 2015). Lo scarto sta nel concepire la differenza
culturale come nascente nel momento in cui gli individui interagiscono, quindi originata nello scambio stesso, anziché
concepita come “caratteristica” posseduta dall’individuo (o
da gruppi di individui) di per sé.
Applicando tali presupposti ai flussi migratori, nel mo20
mento in cui una comunità migra in un altro territorio, siamo in grado di osservare non solo gli assetti interattivi che
configurano una “nuova” realtà prima non disponibile e l’incertezza legata al portare differenti regole culturali e sociali,
ma disponiamo di strumentazioni conoscitive adeguate alla
progettazione e all’attuazione di iniziative sia di ricerca che
di intervento atte alla governance della Comunità.
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21
SCIENZE CHIMICHE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
La tricochimica
LUIGI CAMPANELLA
Sapienza Università di Roma
C
ome un recente DVD prodotto da Federchimica ha tentato di dimostrare la chimica è presente in tutte le attività del nostro
quotidiano per cui vivere senza chimica
sarebbe impossibile. In quel DVD però il
personaggio chiave indossava un pigiama che non scompariva nell’ipotesi di vivere senza chimica e non è ovviamente
vero in quanto anche la materia di cui è costituito il pigiama
è un prodotto della chimica. Ma c’erano altri aspetti che dimenticavano il ruolo della chimica. Vorrei qui parlare della
tricochimica, quel particolare settore della chimica che studia i capelli in tutti i loro aspetti: composizione e struttura, alterazioni, trattamenti. I capelli hanno un’importante funzione fisiologica ma anche un ruolo sociale e sono uno dei più
potenti mezzi espressivi delle personalità. Il fusto dei capelli
che emerge dal follicolo pilifero da dove nascono è costituito
da tre strati: la cuticola, la corteccia, il midollo. La corteccia
è la parte prevalente e dona al capello le proprietà meccaniche. Il midollo è la parte più interna più ricca di melanina e
dona al capello il colore attraverso i pigmenti.
Le molecole principali dei capelli sono la cheratina, i pigmenti ed alcuni oligoelementi. La cheratina, una proteina insolubile assai poco reattiva, è diffusa negli animali superiori,
dove esiste in 2 forme alfa e β presenti in specie differenti di
animali (ad es. alfa nei mammiferi, β nei rettili). I pigmenti
determinano il colore dei capelli. Gli oligoelementi rappresentano una componente essenziale dei sistemi proteico enzimatici, i principali sono Fe, Mg, Zn, Cu, Pb. Dentro ogni
capello sono presenti migliaia di macro fibrille; ognuna delle
quali è composta da migliaia di micro fibrille, ognuna delle quali è a sua volta costituita da protofibrille a loro volta
costituite da 3 eliche di cheratina avvolte su se stessa. Le
caratteristiche della cheratina dipendono dalla formazione di
legami di solfuro mediante ossidazione dei gruppi tiolici SH
di due residui di cisteina su alfa eliche adiacenti. La reazione
inversa di riduzione è alla base delle permanenti dei capelli
che vengono normalmente resi ondulati da lisci proprio grazie alla maggiore plasticità della cheratina a seguito della
suddetta riduzione. La messa in piega li fissa poi basandosi
sul processo inverso di ossidazione con acqua ossigenata che
ristabilisce i ponti disolfurici.
La chimica è poi alla base dell’igiene dei capelli. Gli
22
shampoo sono costituiti da diversi tipi di tensioattivi usati
in alternativa o combinati. Si tratta di molecole anfifiliche
contenenti una catena idrocarburica liposolubile e capace di
sciogliere i grassi ed una testa polare idrosolubile che permette di solubilizzarsi nell’acqua trascinando lo sporco legato alla catena idrofobica. Dalla presenza di parti polari e non
polari si generano micelle che vengono eliminate producendo l’effetto di pulitura. A volte gli shampoo sono anche curativi: ad esempio per eliminare la forfora si utilizzano additivi
a base di catrame di carbon fossile o ammidi o sali di zinco.
Altri due aspetti interessanti della chimica dei capelli riguardano i cosmetici e la salute. I composti chimici presenti
nelle tinture producono spesso effetti secondari indesiderati,
quali allergie, eritemi del viso, desquamazioni, pruriti.
Tra le molecole responsabili la parafenildiammina e il resorcinolo.
Sono emerse anche ipotesi di cancerogenicità delle tinture per capelli che in precedenza erano state contrastate sulla
base di test su animali che avevano sostenuto l’innocuità di
tale sostanze. Ė del 2001 invece una pubblicazione apparsa
sull’International Journal of Cancer che ha riaperto la discussione sulla base di un’indagine su alcuni pazienti affetti da
cancro alla vescica ed utilizzatori di tinture per capelli. Nel
2004 la Food and Drug Administration statunitense ha lanciato un allarme in questo senso sulla base anche di un altro
articolo comparso sull’American Journal of Epidemiology.
Da tali azioni sono derivati una richiesta del Comitato Scientifico per la sicurezza dei consumatori per ulteriori indagini
al fine di definire limiti di esposizione e per un aumento degli
investimenti nella ricerca cosmetica per studiare nuove formulazioni meno aggressive e più compatibili.
Per quanto riguarda la salute i capelli sono considerati degli ottimi indicatori tanto che dalla loro analisi si ricavano
informazioni preziose sull’assunzione di droghe e sulla persistenza in ambienti inquinati. Ad esempio dato che la quasi
totalità del piombo presente nell’organismo deriva da fonti
esogene ed i capelli rappresentano la sede principale di accumulo, la sua misurazione a livello del fusto viene utilizzata
come indicatore dell’intossicazione dell’individuo e come
bioindicatore dell’ambiente. Peraltro quest’ultimo aspetto è
stato anche affrontato per altri metalli pesanti quali Cu e Hg,
considerati pericolosi per l’uomo.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
Citizen Science. Fare scienza in
modo partecipato. Principi, esempi e
prospettive di un fenomeno in crescita
costante
PIERANGELO CRUCITTI
Società Romana di Scienze Naturali SRSN - Roma
L
GENERALITÀ
a locuzione inglese Citizen Science (CS) o
“scienza dei cittadini” o “scienza partecipata” definisce il coinvolgimento e la partecipazione attiva e consapevole di persone di età, formazione ed estrazione sociale diverse, in attività di ricerca scientifica;
studenti, semplici appassionati, persone collocate a
riposo e scienziati dilettanti, non inseriti in strutture
accademiche e.g. università ed enti equiparati. La
CS può essere pertanto definita come “partecipazione attiva del pubblico alla ricerca scientifica”.
Si tratta di una collaborazione volontaria finalizzata
alla raccolta e analisi di dati, sviluppo di conoscenze e ampliamento degli orizzonti applicativi delle
scienze così come sono stati concepiti fino a circa
un decennio fa. L’aspetto più rivoluzionario della
Citizen Science è tuttavia il cambiamento di paradigma, che porta la ricerca scientifica a fattore di
inclusione e di partecipazione, in ultima analisi di
“democratizzazione” delle conoscenze a vantaggio
della popolazione. Sono numerosissime le applicazioni della CS, le discipline che possono vantare positivi esempi in questo senso sono in continua crescita. Ovviamente non mancano gli scettici, peraltro
la Citizen Science è un metodo diverso di svolgere attività
di ricerca (pur con un elevatissimo numero di varianti) e,
come tale, non è necessariamente applicabile a tutti i contesti. Nelle realtà più avanzate, dove esiste già un’ampia
casistica di progetti realizzati, sono stati prodotti lavori di
analisi del fenomeno che forniscono indicazioni sul livello
di applicabilità della CS sulla base delle domande alle quali
si cerca di dare risposta e al contesto in cui viene sviluppata
una ipotesi di ricerca. Una prima risposta agli scettici emerge
da questa considerazione: qualunque metodo, se applicato in
un contesto inadeguato, non determina necessariamente una
risposta positiva. Un simile ragionamento vale per gli aspetti
economici connessi alla CS: molti esperti di CS sottolineano
che la Citizen Science, seppur basata sul volontariato, non è
gratuita, in quanto per funzionare correttamente ha bisogno
di realizzare un sistema più o meno complesso di relazioni,
comunicazioni e feed-back. Peraltro, in alcuni contesti il numero e l’ampiezza dei dati raccolti dai cittadini (basti pensare, tra i tanti, ai progetti sull’inquinamento sonoro o sulla
qualità dell’aria) è di gran lunga superiore a quanto potrebbe
essere realizzabile con le risorse umane ed i fondi a disposizione degli enti tradizionali di ricerca. Il grado di applicabilità, replicabilità e successo di un progetto di Citizen Science
risiede nella capacità dei ricercatori coinvolti di immaginare
un nuovo modo di fare scienza, progettando in maniera differente (partecipata, appunto) le diverse fasi della ricerca e
adottando soluzioni nuove pur conservando gli stessi livelli
23
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
di replicabilità, affidabilità e robustezza del processo scienti- blema, alla raccolta dei dati, alla analisi e interpretazione dei
fico tradizionale. Le attività di CS possono fornire dunque un risultati (Hacklay, 2012). Il modello OPAL (www.opalexcontributo prezioso, migliorando ed incrementando il livello plorenature.org) richiede di: scegliere un tema politicamente
delle conoscenze, sia in termini di risultato complessivo fina- rilevante; coinvolgere esperti e definire ipotesi di ricerca;
le e sia in termini di accrescimento culturale individuale; un sviluppare la metodologia di lavoro più adatta; progettare
contributo non trascurabile in un momento storico caratteriz- kit da utilizzare sul campo con i Citizen Scientist; realizzare
zato da una crisi senza precedenti della biosfera. Agevolare materiali per l’educazione e la formazione dei cittadini inteil processo scientifico e avvicinare il pubblico alla scienza ressati; stabilire un network all’interno della comunità sciencostituiscono finalità strettamente interconnesse. Il contesto tifica nazionale per promuovere, formare e fornire supporto
alle comunità locali
virtuoso che si ine alle scuole per restaura in un progetalizzare attività di
to di CS mantiene
ricerca; mettere a
un costante flusso
punto programmi
di informazioni tra
sui media nazionai soggetti coinvolti
li e locali; creare
a vari livelli: il perun sito web (news,
sonale afferente ad
eventi, riferimenenti di ricerca uniti, risorse, comversitari o equiparati
petizioni); fornire
(ISPRA, ISS, CNR,
feedback immediati
Musei naturalistici,
sui database, con
Società
scientifianalisi dei dati; conche), i responsabili
dividere i risultati;
delle politiche di
gestire i progetti
settore, i cittadini
con una specifica
eventualmente riuattenzione a budget,
niti in associazioni.
tempi e performanQuesti ultimi possoce - e si applica ad
no essere coinvolti
attività che vanno
in vario modo e a
dalla raccolta ed
vari livelli. A questo
elaborazione
dei
riguardo è possibile
dati alla vera e prosuddividere le attipria pianificazione
vità di CS in quatdelle ricerche sul
tro tipologie, sulla
campo. Per chi ha
base del crescente
tempo e passione da
coinvolgimento:
dedicare alla ricercontributiva (conca, esiste unicamentributory), collabote il problema della
rativa (collaboratiscelta tra numerose
ve), condivisa (coattività; dall’ossercreative) ed estrema
vazione di nuovi
(extreme).
Rien- Attività di BioBlitz nella Campagna Romana organizzate dalla Società Romana di Scienze
corpi celesti, alla
trano nella Citizen Naturali, 22 maggio 2016.
raccolta di informaScience contributiva
(crowdsourcing) quei progetti in cui i cittadini raccolgono zioni su specie animali e vegetali, al monitoraggio della quasemplicemente i dati ovvero si prestano ad indossare sensori lità dell’aria e dell’acqua. Collabora, costruisci, condividi e
durante spostamenti abituali per la registrazione di parame- comunica; è questa la base programmatica delle attività di
tri o inseriscono dati da pc sulla base di precise indicazioni. CS ed è fondamentale che la scienza ufficiale sia sempre più
Nella collaborativa, altrimenti definita come “intelligenza convinta dell’importanza di questo approccio altamente eudistribuita”, i cittadini si mettono a disposizione per forni- ristico (Bartocci, 2014).
re l’interpretazione di base di alcuni fenomeni, mentre nella
condivisa (scienza partecipata) il coinvolgimento avviene sia ATTORI DELLA CITIZEN SCIENCE
nella fase di definizione del problema che della raccolta dei
È compito della componente accademica divulgare, in
dati; infine, nella extreme, il coinvolgimento dei partecipanti
include tutte le fasi del progetto, dalla definizione del pro- modo rigoroso ma comprensibile, le informazioni necessa24
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
rie alla realizzazione di campagne di CS. È compito della
componente politica utilizzare le informazioni raccolte per
prospettare e sviluppare soluzioni condivise in merito alle
problematiche trattate. I ricercatori specialisti e i fondi a disposizione della comunità scientifica sono limitati e comunque insufficienti ad affrontare i problemi connessi al censimento e alla conservazione della biodiversità a livello sia
regionale sia locale. Pertanto, il coinvolgimento diretto dei
cittadini nel censimento e nella conservazione attiva della
biodiversità, rappresenta, da questo angolo visuale, una nuova frontiera. La rapida acquisizione di precise conoscenze
sulla biodiversità di un’area è oggi demandata alla partecipazione guidata di un numero crescente di soggetti coinvolti. Si
basa sulla sensibilità ambientale dei cittadini impegnati nel
censimento delle specie selvatiche ovvero nella raccolta dati
in campo; persone informate e che desiderano informarsi,
accomunate dalla volontà di imparare, partecipare e contribuire. La partecipazione attiva e consapevole dei cittadini al
monitoraggio della biodiversità richiederà l’interfacciamento con il referente politico e con le istituzioni accademiche
s.l. chiamate a svolgere l’insostituibile funzione di supervisione delle attività di CS inclusa la validazione dei dati
raccolti (v. oltre). Ciò premesso, si individuano alcune tra le
principali categorie di soggetti partecipanti o stakeholder: a)
studenti della scuola elementare e media di primo e di secondo grado (fascia d’età 6-18 anni) eventualmente organizzati
in associazioni scoutistiche e parrocchiali; b) operatori scolastici, in particolare docenti di Scienze Naturali, anche ai
fini del perseguimento di obiettivi di efficace informazione e
divulgazione delle attività; c) professionisti e altre maestranze strutturate che svolgono costantemente attività che non
hanno uno stretto rapporto con le scienze della natura, tra cui
architetti e ingegneri che, per il loro background culturale,
sono i soggetti naturalmente preposti alla risoluzione di problemi gestionali; ma anche pescatori, subacquei, agricoltori,
diportisti; d) adulti collocati a riposo con elevata disponibilità di tempo libero, tra i quali non sono rari gli amatori naturalisti (micologi, floristi, entomologi, bird-watchers). Da
tutto ciò emergono le seguenti considerazioni programmatiche e operative: uscire dal recinto degli esperti e coinvolgere
i cittadini e le istituzioni scolastiche significa acquisire una
visione strategica della biodiversità; riunire naturalisti con
esperienze e competenze diverse in un rapporto fondato sulla
convinta collaborazione costituisce una prassi vincente nonché vincolante ai fini organizzativi.
Quali sono le motivazioni di un Citizen Scientist in campo
ambientale ?
· Il desiderio di un cambiamento sociale e politico
· L’acquisizione di capacità e competenze
· L’opportunità di conoscere aree naturali nuove e interessanti
· La possibilità di coltivare gruppi sociali e connessioni
· L’esistenza di conoscenze pregresse sull’area indagata
Il valore aggiunto della Citizen Science
· Genera grandi quantità di dati in tempi relativamente brevi
· Genera dati affidabili se adeguatamente progettata
· Contribuisce a identificare trend, differenze o somiglianze
di parametri o specie nel tempo e nello spazio
· Contribuisce alla formazione di volontari che, avendo acquisito una certa esperienza, sono in grado di raccogliere
dati sempre più affidabili
Osservazione, registrazione e interpretazione di modificazioni nel mondo naturale costituiscono modalità tradizionali
grazie alle quali le comunità umane hanno monitorato nel
tempo i mutamenti ambientali del proprio territorio, segnalando cambiamenti significativi. “Non dovrebbero essere
solo gli scienziati e i Governi ad essere coinvolti nel monitoraggio, ma la comunità nel suo insieme, ed in particolare i
giovani.” (K. Mellanby (Ed. Environ. Pollution), 1974).
STORIA E REALIZZAZIONI DELLA CITIZEN SCIENCE
Illustri personaggi del passato ed in primis Charles Darwin
erano di fatto dei Citizen Scientist ovvero dei “precursori”,
in quanto formalmente non riconducibili a scienziati professionisti. Peraltro, solo nel 1995, il termine Citizen Science è
stato introdotto dal sociologo Alan Irwin nel suo libro Citizen Science per designare quella categoria di esperti considerati dalla scienza tradizionale come lay people (“laici”
o profani); l’autore documenta le modalità grazie alle quali
la gente (ordinary people) acquisisce conoscenza e consapevolezza dei problemi ambientali. Ma è soprattutto Rick
Bonney che, più o meno negli stessi anni, utilizza il binomio nella sua accezione più recente. Significativo il fatto che
Bonney svolga la sua attività nell’ambito del Cornell Lab
of Ornithology (CLO) di New York (Bonney et al., 2009),
il cui fondatore Arthur Allen richiedeva la collaborazione
attiva del pubblico, nel corso di seminari settimanali, al fine
di raccogliere informazioni aggiuntive sulle specie ornitiche. Sotto questo aspetto la CS ha precedenti autorevoli e
longest-running come lo Audubon Society’s Christmas Bird
Count che, iniziato nel 1900, ha fatto registrare la presenza di oltre 63.000 field observers nel 2012. Tra le persone
entusiaste della natura non vi sono soltanto ornitologi ma
anche teriologi, entomologi e astronomi. Alcuni case studies
molto popolari sono Galaxy Zoo censimento delle galassie,
Big Butterfly Count monitoraggio delle farfalle, Bat Detective monitoraggio dei pipistrelli, e numerosi altri. Alcune key
questions alla base della CS possono essere riassunte come
di seguito. Secondo quali modalità le nuove tecnologie (mobile internet, smarthphone apps) potranno sostenere i progetti di CS in campo ambientale ? I dati raccolti nel corso di
attività di CS sono altrettanto accurati di quelli ottenuti dagli
scienziati professionisti ? In che modo la CS potrà beneficiare di attività di policymaking ? L’apporto delle nuove tecnologie costituite da dispositivi portatili (mobile phon e tablet)
è tale che siamo ormai prossimi alla Citizen cyber Science
(Science Communication Unit, University of the West of
England, Bristol, 2013). In campo fenologico la CS ha una
25
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
lunga tradizione di osservazioni stagionali relative ai fenomeni più diversi, ad
esempio esplosioni di fioriture di lillà anticipatrici della stazione primaverile. Ma
è soprattutto nel settore delle migrazioni
degli uccelli che i contributi della CS
assumono una caratura storica e biologica come dimostra il programma avviato
dall’ornitologo Wells Cooke, sviluppato
dal 1890 al 1970 con l’impegno di migliaia di volontari; la mole di dati raccolti, trascritti a mano, è attualmente in
fase di rielaborazione (Mayer, 2010). La
CS si è affermata inizialmente in Europa settentrionale e negli Stati Uniti ove
tali attività hanno superato da tempo la
fase embrionale. Il coinvolgimento di
grandi masse impegnate in progetti locali e/o nazionali rappresenta un approccio
metodologico standardizzato. L’attività
dell’OPAL - Open Air Laboratories Network esteso al territorio del Regno Unito
è iniziata nel 2007. Questo network include musei, università, organizzazioni
ambientaliste e agenzie governative coordinate dall’Imperial College di Londra. Numerose le sue iniziative, dal rilevamento della qualità del suolo e degli
oligocheti terricoli (Soil and Earthworm
Survey), alla qualità dell’aria e dell’acqua (Air Survey, Water Survey), alla raccolta di dati sulla biodiversità e sul clima
(Climate Survey, Biodiversity Survey), al
conteggio di insetti eventualmente infestanti (bugs count), al rilevamento delle
condizioni di salute degli alberi (tree health survey). L’OPAL ha recentemente
presentato un bilancio dei primi cinque
anni di attività; oltre mezzo milione di
persone coinvolte, la maggior parte alla
loro prima esperienza di monitoraggio
sul campo; la quantità di dati raccolti ha
consentito di ottenere informazioni utili
che non avrebbero potuto essere ottenute
in altro modo (OPAL, 2013). L’integrazione di liste di specie per mezzo di gap
analisi può essere applicata a vertebrati
“carismatici” come gli Uccelli e realizzata per mezzo di attività di CS nelle
quali i soggetti principali sono proprietari terrieri (landowner). Si tratta di importanti integrazioni che interessano soprattutto specie rare con un fallout positivo
in termini di conservazione e gestione
delle risorse biologiche di un territorio
(Lepczyk, 2005).
26
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
co. Questo può includere lo sviluppo di quesiti di ricerca,
mettere a punto un metodo, raccogliere e analizzare dati e
Sono stati tradotti in varie lingue europee i 10 principi di comunicare i risultati.
Citizen Science di recente applicazione, dei quali viene di
5. Le persone coinvolte in processi di CS ricevono
seguito fornita la versione italiana. Le enunciazioni riporta- feedback. Ad esempio, come i loro dati vengono utilizzate nel documento sono frutto del gruppo di lavoro “Sharing ti e quali sono i risultati nel campo della ricerca, politico e
best practice and building capacity” della ECSA coordina- sociale.
to dal Museo di Storia Naturale di Londra con l’obiettivo
6. La CS è considerata una metodologia di ricerca come
di stabilire alcuni
qualunque
altra,
principi chiave alla
con limiti e margibase di ogni buona
ni di errore che depratica di CS (travono essere considuzione a cura di
derati e tenuti sotto
Andrea Sforzi).
controllo. Tuttavia,
1. I progetti di
a differenza delle
CS coinvolgono
metodologie tradi1° BioBlitz
attivamente i citzionali di ricerca,
Domenica 25 ottobre 2015 ore 09:00 - 24:00
tadini in attività
la CS fornisce opturni 09:00 - 14:00, 14:00 - 19:00, 19:00 - 24:00
scientifiche
che
portunità di un amStazione di servizio EnerPetroli - Via Marco Simone 233
generano nuova
pio coinvolgimen(di fronte al Golf Club Laura Biagiotti) 00131 Roma
conoscenza o comto del pubblico e di
I BioBlitz sono esperienze di Citizen Science ovvero eventi di Nel rigoroso rispetto di ogni forma di vita, nulla sarà raccolto
mobilitazione collettiva in cui i cittadini sono chiamati a o asportato nel corso dei monitoraggi che si avvarranno di
prensione. I cittademocratizzazione
scendere in campo, a fianco dei ricercatori, per svolgere semplici applicazioni per smartphone e tablet.
Iscrivetevi
(tutti
possono
partecipare)
e
seguite
le
indicazioni
attività
di
raccolta
dati
sulla
biodiversità
di
aree
interessate
o
dini possono agire
della scienza.
meno da provvedimenti di tutela. Nel caso specifico, si tratta che vi saranno date. Scoprirete la ricchezza di biodiversità in
come contributori,
7. Dati e metadel monitoraggio di specie selvatiche di flora e fauna con aree della Campagna Romana alla porta delle vostre
abitazioni.
particolare attenzione a quelle minacciate.
collaboratori o redati provenienti da
Si raccomanda la massima puntualità in particolare all’inizio di ciascun turno
SRSN - Villa Esmeralda - Via Fratelli Maristi 43 - 00137 Roma
sponsabili di proprogetti di CS sono
(h 9.00, 14.00, 19.00). È possibile partecipare a più di un turno.
tel. / fax 0641400494 - www.srsn.it - [email protected]
getto e ricoprono
resi pubblicamente
un ruolo significadisponibili e, ove
tivo nel progetto.
possibile, i risultati
2. I progetti di
sono pubblicati in
CS producono un
un formato open
risultato scientiaccess. La condivifico originale. Ad
sione dei dati può
esempio, fornire
avvenire durante o
una risposta ad un
dopo il progetto, a
2° BioBlitz
quesito di ricerca o
meno che esistano
Sabato 21 Maggio 2016 ore 20:00 - 23:00
In partnership con
mettere in pratica
motivi di sicurezDomenica 22 Maggio 2016 ore 9:00 - 18:00
turni 09:00 - 12:00, 12:00 - 15:00, 15:00 - 18:00
azioni di conserza o privacy che lo
stazione di servizio EnerPetroli (di fronte al Golf Club Laura Biagiotti)
vazione, decisioni
impediscano.
Via Marco Simone 233 - 00131 Roma - GPS: 41°57'28.0"N 12°37'53.0"E
gestionali o politi8. Il contributo
I BioBlitz sono esperienze di Citizen Science ovvero eventi di Nel rigoroso rispetto di ogni forma di vita, nulla sarà raccolto
che ambientali.
delle persone coinmobilitazione collettiva in cui i cittadini sono chiamati a o asportato nel corso dei monitoraggi che si avvarranno di
scendere in campo, a fianco dei ricercatori, per svolgere semplici applicazioni per smartphone e tablet.
3. Sia gli scienvolte in progetti
attività di raccolta dati sulla biodiversità di aree interessate o Iscrivetevi (tutti possono partecipare) e seguite le indicazioni
meno da provvedimenti di tutela. Nel caso specifico, si tratta che vi saranno date. Scoprirete la ricchezza di biodiversità in
ziati professionisti
di CS viene ricodel monitoraggio di specie selvatiche di flora e fauna con aree della Campagna Romana alla porta delle vostre
abitazioni.
particolare attenzione a quelle minacciate.
sia i cittadini coinnosciuto ufficialSRSN - Villa Esmeralda - Via Fratelli Maristi 43 - 00137 Roma tel. / fax 0641400494 - www.srsn.it - [email protected]
volti traggono vanmente nei risultati
taggio dal prendedei progetti e delle
re parte a progetti
pubblicazioni.
di CS. I vantaggi possono includere la pubblicazione dei
9. I programmi di CS vengono valutati per il loro risultato
risultati di una ricerca, opportunità di apprendimento, pia- scientifico, per la qualità dei dati, l’esperienza dei partecicere personale, benefici sociali, soddisfazione per aver con- panti e l’ampiezza dell’impatto sociale e sulle politiche di
tribuito a fornire una evidenza scientifica per, ad esempio: settore.
trovare risposte a questioni di rilevanza locale, nazionale e
10. I responsabili di progetti di CS prendono in consideinternazionale e, attraverso queste, avere l’opportunità di in- razione aspetti legali ed etici relativi a copyright, proprietà
fluire sulle politiche di settore.
intellettuale, accordi sulla condivisione dei dati, confidenzia4. Le persone coinvolte in processi di CS possono, se lità, attribuzione e impatto ambientale di ogni attività.
vogliono, prendere parte a più fasi del processo scientifiA livello globale, migliaia di progetti coinvolgono attualPRINCIPI DELLA CITIZEN SCIENCE
Citizen
C
itizen Science per la Biodiversità
Campagna Romana
Citizen
Citizen Science per la Biodiversità
Campagna Romana
27
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
mente milioni di individui, la maggior parte dei quali lay
people, nella raccolta, organizzazione, trascrizione e analisi
di un enorme numero di dati scientifici relativi alle topiche
più disparate. Ad esempio, oltre 200 articoli di CS riguardano i soli Lepidotteri (farfalle e falene). Piccoli gruppi di individui possono inoltre operare con successo a scala locale.
Numerosi articoli peer-rewiew scaturiti da queste ricerche
testimoniano la validità dell’approccio.
VALORE SCIENTIFICO DELLA CITIZEN SCIENCE
Tuttavia permane un certo scetticismo relativo alla qualità
dei dati raccolti e più in generale sul valore complessivo della CS. La necessità di essere critici è ragionevolmente fondata sulla assenza di valutazioni indipendenti dei risultati e sul
divario esistente in merito alla discriminazione tra il successo e l’insuccesso dei progetti. Una bassa qualità di dati potrà
generare falsi trend di popolazione; dati di qualità elevata
saranno assai più utili ai fini della corretta interpretazione, ad
esempio, di fenomeni di dinamica delle popolazioni. I dati
ambientali prodotti da Citizen Scientist saranno comparabili
agli standard della migliore ricerca se i protocolli da gestire saranno chiari e la partecipazione dei cittadini intensa; in
ultima analisi, dall’assistenza che essi riceveranno dal personale esperto. L’analisi di alcuni progetti ha consentito di
rilevare che i dati raccolti dagli scienziati sono complessivamente in migliore accordo con gli obiettivi (benchmark),
tuttavia a livello individuale alcuni volontari raccolgono dati
con una accuratezza superiore a quella dei professionisti.
Due obiettivi recentemente realizzati con successo includono l’estensione di aree marine protette, conseguenza di attività di monitoraggio delle tartarughe marine nel Messico
settentrionale, nonché la raccolta dati a seguito di calamità
naturali o indotte dall’uomo (Bonney et al., 2014). Un progetto di notevole successo in quanto ha permesso di rilevare
trend in popolazioni di superpredatori è The National Bat
Monitoring Programme in Great Britain. L’interesse per i
Chirotteri (pipistrelli) è dovuto al ruolo di questi mammiferi
negli ecosistemi ovvero come “specie sentinella” dei cambiamenti ambientali. Basandosi sul declino delle popolazioni di Chirotteri riscontrato in tutta l’Europa, l’attività del
programma è stata fondata sulla raccolta dati per mezzo di
approcci metodologici diversi (conteggio diretto nei rifugi,
rilevamento a mezzo di bat detector con eterodina) effettuati
da oltre 3500 volontari che hanno monitorato 10 specie di
Chirotteri in 3272 siti (survey site) nel periodo 1997-2012.
I risultati, ritenuti statisticamente robusti, hanno consentito
di ottenere un quadro nel complesso confortante, con trend
stabili o addirittura in crescita nelle specie monitorate per
mezzo di un solo metodo; nel caso di quattro specie i risultati ottenuti con metodi diversi hanno rilevato trend direction
non concordanti. La ricerca evidenzia peraltro come il programma di volontariato costituisca un fattore chiave nello
studio della dinamica di popolazioni di specie incluse in Red
List. Alcune specie criptiche, per difficoltà di monitoraggio
e speditezza di determinazione, richiedono tuttavia compe28
tenze specialistiche (Barlow et al., 2015). Il recente declino
del passero Passer domesticus, osservato in numerose città
europee negli ultimi decenni, è stato documentato nelle aree
fortemente urbanizzate delle Fiandre (Belgio) ove, sin dal
2002, è stato avviato un programma di monitoraggio con
la collaborazione della cittadinanza attiva. Anche in questo caso, il ricorso ai volontari nello studio di fenomeni in
cui sono necessari dati large-scale - long-term ha costituito
un utile e relativamente semplice approccio metodologico
che ha inoltre contribuito alla crescita della consapevolezza
del pubblico verso i problemi ambientali (De Coster et al.,
2015). In altri casi i risultati di progetti di CS sono da ritenersi meno significativi. È noto come i Lepidotteri siano specie
“carismatiche” insieme ai Vertebrati (in particolare grandi
mammiferi e uccelli) e alle Orchidee, in quanto familiari
e attraenti “ambasciatori” di biodiversità. Orbene, il primo
censimento di specie di Lepidotteri della Malaysia ottenuto
per mezzo di attività di CS ha conseguito risultati preliminari, in accordo con le piccole dimensioni dell’area esplorata
ed il modesto numero di cittadini coinvolti; 43 specie sono
state individuate per mezzo della tecnica del DNA barcode
su 1182 specie di Lepidotteri note della Malaysia (Wilson et
al., 2015). Una analisi quantitativa sull’influenza dei progetti
di CS a livello globale, ha esaminato 388 progetti sulla biodiversità che hanno coinvolto circa 1,3 milioni di volontari.
Peraltro, solo il 12% dei progetti ha fornito dati per articoli scientifici peer-rewiew nonostante il fatto che un terzo di
essi abbia prodotto dati standardizzati disponibili on line; un
impatto modesto e una sottovalutazione delle enormi potenzialità del movimento. Vi sono progetti di CS di lunga durata
e di ampio respiro che hanno fornito un contributo importante nella comprensione del ruolo dei cambiamenti a livello
globale sulla biodiversità, ad esempio lo United Kingdom
Butterfly Monitoring Scheme. Risulta comunque opportuno
favorire sempre più strette connessioni tra la scienza convenzionale e la scienza dei cittadini (Mainstream Science vs.
Citizen Science). In ogni caso “for biodiversity Science, the
era of ivory tower Science is over” (Theobald et al., 2015).
ASPETTI SOCIALI DELLA CITIZEN SCIENCE
Un altro elemento del dibattito è basato sulle motivazioni che spingono i cittadini alla partecipazione. Si ritiene in
generale, che il principale fattore di stimolo al volontariato
sia costituito da uno spiccato interesse per il mondo della
natura. Peraltro, possono esistere / coesistere varie motivazioni di tipo ambientale, economico, sociale. Un fattore
importante è costituito dalla conoscenza dell’area investigata precedente all’impostazione del progetto. Fattori di
gratificazione garantiranno una partecipazione costante, ad
esempio l’attribuzione di responsabilità crescenti a coloro
che avranno svolto i compiti assegnati con particolare zelo.
In alcuni casi, gruppi pre-esistenti (escursionisti, pescatori)
potranno essere collettivamente coinvolti in attività di CS
ed è importante che gli organizzatori siano consapevoli di
queste dinamiche sociali. Bonney et al. (2009) hanno sug-
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
gerito un processo costituito da nove tappe: 1.individuare
un problema scientifico; 2.costituire un team di valutazione
scientifico / tecnologico / educativo; 3.sviluppare test, protocolli e altro materiale educativo; 4.reclutare i partecipanti;
5.formare i partecipanti; 6.raccogliere dati; 7.interpretare i
dati; 8.disseminare i risultati; 9.misurare i risultati. Se il valore scientifico dei progetti di CS è oggetto di controversie,
il valore educativo è indiscutibile, in particolare nel contesto formale rappresentato dal rapporto docente-studenti. A
questo riguardo, i BioBlitz rappresentano attività curricolari
di ricerca didattica con valenza straordinaria (v. oltre). Al
termine del percorso formativo, molti studenti acquisiscono
un livello di maturità dal quale emerge una corretta visione della scienza ovvero di attività non isolata, basata sulla
generosa collaborazione nella ricerca di obiettivi condivisi,
conseguiti con metodologie standardizzate quand’anche applicate alle mutevoli situazioni “sul campo”. La CS può essere inoltre considerata una attività particolarmente elevata
di volontariato. Nella Scozia, la conservazione della biodiversità si avvale della attività di un gran numero di gruppi e
associazioni che si occupano di svariati problemi; tra i local
club vi sono quelli dediti a specifici taxa (libellule, anfibi,
rettili) ma anche a singole specie o a piccoli gruppi di specie (badger group, bat group) o a determinate attività (bird
group, ringing group), per quanto molte persone abbiano più
di un interesse. La maggior parte di questi volontari svolgono la loro attività a esclusivo beneficio della collettività,
essendo principalmente motivati dall’opportunità di socializzare, realizzare nuove amicizie e lavorare in gruppo; altre
motivazioni importanti sono l’arricchimento culturale, e.g.
acquisire nuove abilità e migliorare lo stato delle proprie conoscenze. Se ne avvantaggiano; qualità della vita, benessere
individuale, comprensione del proprio retaggio naturale incluso il positivo coinvolgimento a favore della sostenibilità.
Nel contesto del volontariato per la biodiversità, un numero
significativo di soggetti è stato sottoposto a interviste con
domande sulle seguenti topiche: 1.area di interesse: piante
inferiori, piante superiori, uccelli, mammiferi, altri vertebrati, insetti, altri invertebrati, altri gruppi tassonomici - i maggiori interessi si concentrano sulle piante superiori, uccelli e
insetti; 2.tempo destinato ad attività di raccolta dati e materiali - un sorprendente 24% dichiara di effettuare attività di
biological recording con frequenza giornaliera; 3.periodo di
attività - preferenze per la stagione estiva e in subordine per
quella primaverile; 4.numero di osservazioni biologiche per
anno - risposte assai variabili; 5.livello di competenze (con
elevato grado di soggettività) - le risposte più numerose si
collocavano nelle classi “competent” ed “expert”. Le motivazioni hanno costituito un ulteriore elemento di indagine
con interviste che hanno riguardato i seguenti item: 1.fattori
che hanno determinato uno specifico interesse per la raccolta
di dati biologici - interesse già manifesto in età prescolare,
un generale interesse verso la storia naturale, un interesse acquisito nel corso della frequentazione di associazioni; 2.motivazioni che hanno determinato la raccolta di dati biologici
- contribuire alla conservazione della natura, contribuire alla
migliore conoscenza della tematica in oggetto, contribuire
alla ricerca in generale (Biodiversity Solutions, 2010).
CITIZEN SCIENCE NEL MONDO E CLASSIFICAZIONE
DEI PROGETTI DI CITIZEN SCIENCE
In Europa la CS è in crescita esponenziale. Nel 2014, al
termine di un processo durato un biennio, si è costituita la
ECSA, European Citizen Science Association, con sede a
Berlino, nel cui Board of Directors sono stati cooptati ricercatori italiani. Più o meno nello stesso periodo, si sono costituite la CSA Citizen Science Association, principalmente
incentrata negli USA, nonché la ACSA Australian Citizen
Science Association. Le tre associazioni lavorano a stretto
contatto nella promozione di progetti e nel settaggio di nuovi
standard operativi. La ECSA si propone di: sviluppare e supportare un approccio comune a livello europeo verso la CS;
condividere conoscenze ed esperienze; condividere costi di
sviluppo di strumenti di supporto; espandere il sostegno politico in Europa, lavorando a stretto contatto con i Governi e
le realtà esistenti; supportare la crescita di comunità nazionali di CS; lavorare a stretto contatto con l’Agenzia Europea
dell’Ambiente; sviluppare programmi di CS di dimensione
transnazionale; identificare, sviluppare e promuovere le migliori pratiche e le eccellenze in tema di CS; collaborare con
la comunità internazionale. Una classificazione dei progetti
di CS è basata sui livelli di azione e partecipazione. Una tipologia suddivide la CS in azione, conservazione, investigazione, educazione. Negli action project i cittadini collaborano allo sviluppo di iniziative locali; i conservation project
sono indirizzati alla protezione e gestione delle risorse naturali; gli investigation project sono finalizzati alla risoluzione
di problemi scientifici e, in tale contesto, i virtual project si
pongono obiettivi remoti, utilizzando allo scopo piattaforme
online; infine, nel caso degli educational project, gli obiettivi
educativi sono prioritari rispetto a quelli strettamente scientifici. L’utilizzazione di tecnologie appropriate ha permesso
il raggiungimento di importanti traguardi nel campo della
conservazione della natura. Nel progetto What’s Invasive, i
volontari sviluppano e utilizzano una specifica app che consente di raccogliere dati su specie invasive sia animali sia
vegetali; nel 2011, ben 1900 volontari hanno raccolto 6000
dati su questa topica nei parchi americani (Science Communication Unit, University of the West of England, Bristol,
2013; Tweddle et al., 2012). La struttura portante di un caso
studio di CS è rappresentata dalla compilazione di una modulistica standardizzata che include i seguenti item: titolo del
progetto, autore, scopi primari, tipologia (contributory, collaborative, co-created), schema in breve, inizio, stato attuale, scopi geografici, percorso (app, workschop), tipologia dei
dati raccolti, deposito dei dati e disponibilità dei medesimi,
monitoraggio della qualità, modalità di formazione, eventuali partner, numero dei partecipanti, successi, esperienze
acquisite, costo, rilevanza politica; infine i risultati (project
output) costituiti da articoli su riviste peer-rewiew e newsletter (Roy et al., 2012).
29
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
CITIZEN SCIENCE IN ITALIA
L’Italia non è rimasta a guardare, al contrario. Nel 2009 è
iniziato un progetto dal titolo “Occhio alla medusa” considerato globalmente come attività di CS di maggior successo
nell’ambiente marino. Il progetto è partito dal presupposto
che le “meduse” (tutti i rappresentanti del macrozooplancton
gelatinoso) siano in costante aumento nel Mediterraneo, cioè
che la loro abbondanza attuale non costituisca il risultato di
pullulazioni più o
meno periodiche, e
che un certo numero di specie aliene,
in continua cresciLa partecipazione è gratuita ma occorre registrarsi
online alla pagina del convegno nel sito del Museo,
ta, sia pervenuto
http://storianaturale.comune.fe.it
nelle acque del
“mare nostrum”
Maggiori informazioni sui singoli progetti sono pubblicate nei siti:
http://storianaturale.comune.fe.it
passando da Suez
http://msn.visitmuve.it/it/ricerca/progetti-2/archivio-progetti/arve/
e da Gibilterra. La
http://lifemipp.eu/
http://www.csmon-life.eu/
maggiore preoccuhttp://www.siit.eu/
pazione di tale auhttp://dbiodbs.units.it/carso/chiavi_pub21?sc=602
mento massivo non
http://meteomeduse.focus.it/
http://www.odonata.it/
è costituita solo dai
http://www.ornitho.it/
rischi di balneazione - per quanCon il Patrocinio di
to gli incidenti da
puntura di specie
urticanti si contino
a centinaia di migliaia - e/o all’inMuseo Civico di Storia Naturale di Ferrara
tasamento
delle
via De’ Pisis 24, - 44121 Ferrara
condutture degli
Tel. 0532.203381 - fax 0532.210508
e-mail [email protected],
impianti di [email protected],
sito web http://storianaturale.comune.fe.it,
salazione, quanto
FB https://www.facebook.com/storianaturale.ferrara
dalla predazione di
uova, larve e stadi
Disegni di Stefano Rambaldi.
Foto di Alessandro Cini, Carla Corazza, Remo De Togni, Silvia Fusaro, Chiara Lampo.
giovanili di pesci,
esacerbando l’effetto della pesca e
determinando un pericoloso cortocircuito; meno pesci, più
“meduse”. Per documentare inequivocabilmente l’aumento
delle “meduse” nel Mediterraneo, in considerazione del fatto che gli specialisti italiani di macrozooplancton gelatinoso
sono pochissimi e che l’estensione dell’area costiera da tenere sotto controllo è enorme, oltre 8000 km, si è ritenuto
opportuno attivare un progetto di CS rivolgendosi ai cittadini. Grazie a mirate campagne di informazione, e.g. appelli
sui mezzi di comunicazione di massa, diffusione di centinaia
di migliaia di poster ad hoc e realizzazione di una specifica
app per smartphone, è stato possibile raccogliere un numero
progressivamente crescente di segnalazioni (molte migliaia)
tra il 2010 e il 2014; in quest’ultimo anno è stata non soltanto documentata l’invasione di Pelagia e Velella, pericolosi
urticanti, ma anche la presenza di una specie nuova per la
scienza, battezzata Pelagia benovici, dimostrando con ciò
l’importanza delle pratiche di CS applicate a problematiche
30
di questa natura (Boero, 2014). Peraltro, uno strumento con
un potenziale così elevato nella formazione dei cittadini non
si è ancora pienamente espresso in Italia, è opportuno operare per fare in modo che la sua diffusione aumenti nel breve
e nel medio periodo. E le premesse favorevoli ci sono. Al
recente convegno “Biodiversità per tutti: i progetti di Citizen
Science per la conoscenza e la conservazione della natura”
organizzato dal Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara
(14 marzo 2015) sono stati presentati nove progetti di CS
per la biodiversità
che vivono, appunto, di cittadinanza
attiva. In particolare, il progetto
MIPP-Monitoring
of Insects with Public Participation
largamente finanziato dalla Comunità Europea, si
I PROGETTI DI CITIZEN SCIENCE
occupa di insetti
PER LA CONOSCENZA E LA
elencati nella DiCONSERVAZIONE DELLA NATURA
rettiva
Habitat.
Scopo principale
del progetto MIPP,
che si propone
l’ambizioso obiettivo di raggiungere
5000 segnalazioni
entro il 2017, è lo
sviluppo di metodi di monitoraggio
Sabato 14 marzo 2015
per cinque specie
di Coleotteri facilMuseo Civico DI
mente identificabiStoria Naturale di Ferrara
li in natura apparvia Filippo de’ Pisis, 24
tenenti al gruppo
ecologico dei saproxilici, due delle quali “specie bandiera” ovvero il cervo volante Lucanus
cervus e la rosalia alpina Rosalia alpina. A questi cinque
rappresentanti della charismatic wildlife si aggiungono nel
progetto LIFEMIPP quattro specie non saproxiliche, tutte
vistose e facilmente riconoscibili, tre Lepidotteri e l’enigmatica Saga pedo, il più grande Ortottero della fauna europea.
Il cittadino che frequenta ambienti in buone condizioni di
naturalità, potrà raccogliere immagini di queste specie nel
loro ambiente di vita, arricchendo un database o schedario
informatico relativo alla presenza di questi taxa a rischio.
Un ulteriore metodo sviluppato ad hoc consiste nell’addestramento di un cane per fiutare e individuare un Coleottero
dall’odore caratteristico, Osmoderma eremita, pertanto, in
codice, Osmo-dog; Teseo, questo il nome del cane, è stato
addestrato per trovare il raro scarabeo eremita, un esempio
di metodo innovativo di biomonitoraggio (Bardiani et al.,
2013; Mason et al., 2015; Carpaneto et al., 2015).
Amici del Delta
BIODIVERSITA’
PER TUTTI:
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
IL PROGETTO CSMON - LIFE
nel tempo rappresenteranno nuove professionalità, le loro
competenze saranno tali da metterli in grado di valutare la
qualità dei dati raccolti da altri cittadini. Coordinatore del
progetto è il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste con interfacciamento e partenariato con la
Regione Lazio - Agenzia Regionale per i Parchi (ARP - Lazio), il Centro Turistico Studentesco (CTS), il Dipartimento
di Biologia Ambientale di Sapienza - Università di Roma e
il Dipartimento di Biologia di Roma Tor Vergata, il Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterranéennes (CIHEAM) di Bari, le associazioni Comunità
Ambiente e Divulgando s.r.l. Sistemi Informativi Multimediali. Tra gli stakeholder del progetto, la Società Romana di
Scienze Naturali.
Il Progetto CSMON - Life (leggi cismon-life, da “Citizen
Science MONitoring-Life”) è il primo progetto italiano di
CS sulla biodiversità, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Life+, fondo per l’ambiente
della UE. L’iniziativa prevede lo sviluppo di progetti di CS
che abbiano un impatto sui cittadini e sulla loro partecipazione alla realizzazione di nuove ed efficaci politiche ambientali. La collaborazione tra cittadini, comunità scientifica e
istituzioni è fondata sui seguenti quattro paradigmi: coinvolgimento (delle persone); consapevolezza (delle problematiche di conservazione della natura); collaborazione (nello
sviluppo di soluzioni efficaci in quanto condivise); cambiamento (dei nostri comportamenti nei confronti dell’ambiente, percepito come bene primario da salvaguardare nel lun- IL PROGETTO CSBCR
go periodo). Il progetto prevede, grazie alla utilizzazione di
Alcune istituzioni sono impegnate da molti anni nella
semplici e moderne tecnologie, la messa a punto di una serie
di strumenti per la raccolta di dati scientifici che potranno realizzazione di progetti locali finalizzati alla conoscenza
essere successivamente utilizzati da tutti i partecipanti. Le e conservazione della biodiversità. La Società Romana di
campagne di comunicazione e di lifelong learning saran- Scienze Naturali (SRSN), centro di eccellenza nella ricerca
no sviluppate attorno ad una serie di tematiche ambientali e nella disseminazione scientifica di alto livello, ha realizzarelative alla continua erosione della biodiversità provocata to, a partire dal 1997, attività “CS simili” nel sistema delle
dalla presenza di specie aliene infestanti e dagli effetti dei piccole aree protette della Campagna Romana a nord-est di
Roma, in particolare
cambiamenti climatinelle RN “Nomenci; segnalazione di
tum” e “Macchia di
specie target e rare
Gattaceca e Macchia
anche ai fini della vadel Barco”. L’evolulutazione degli effetti
zione di queste attividell’impatto
antrotà è passata attraverso
pogenico. Grazie alla
NATURA: IL 35% DI ANIMALI
una fase iniziale piututilizzazione di semE PIANTE MINACCIATE.
tosto spontanea. Dopo
plici applicazioni per
una serie preliminare
smartphone e tablet,
I CITTADINI SCENDONO IN CAMPO
di sopralluoghi sul
verranno monitorate,
PER AIUTARE L’AMBIENTE E LA SCIENZA
campo in orario antinelle aree prescelte,
AL VIA CSMON CITIZEN SCIENCE MONITORING
meridiano nel corso
le specie della flora e
il progetto Life+ che coinvolge i cittadini
dei quali sono stati
della fauna con una
Incontro Pubblico
coinvolti gli studenti
particolare attenzione
giovedì 19 giugno 2014 - ore 11.00
di un liceo scientifiper quelle che riveOrto Botanico di Roma - Sala Aranciera
Via di Villa Corsini, Largo Cristina di Svezia, 24
co locale, si ritenne
stono una notevole
opportuno, anche ai
importanza come inIntervengono:
Carlo Blasi, Direttore Orto Botanico
fini del censimento di
dicatori della qualiValerio Sbordoni, Presidente Comitato Tecnico Scientifico
Network Nazionale Biodiversità, Progetto Lifewatch
un numero maggiore
tà ambientale. I dati
Andrea Sforzi, European Citizen Science Association
Vito Consoli, Agenzia Regionale Parchi
di specie, effettuare
raccolti confluiranno
Imma Battaglia, Comune di Roma
Stefano Martellos, Coordinatore CSMON-LIFE
tali attività anche in
all’interno del Netorario notturno. Agli
work Nazionale sulla
studenti si sono afBiodiversità (NNB),
fiancati genitori, amisistema di banche dati
ci e semplici curiosi.
nazionale, pubblico e
Partner
L’entusiasmo, a quel
online, promosso dal
punto contagioso, doMATTM. Inoltre, duveva essere canalizrante il progetto saranzato in un approccio
no formati ameno 30
più razionale. Il reCitizen expert ovvero
Ufficio Stampa CSMON-LIFE / Pietro Briganò +39 348 4358474 +39 06 64960327 [email protected]
clutamento di studenti
cittadini scienziati che
31
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
e cittadinanza si è
quindi trasformato
in un progetto organico e puntuale.
Non a caso, il 1°
BioBlitz Nazionale
è stato realizzato
nella RN “Nomentum”
(X.2012),
dato il livello ormai relativamente
avanzato delle conoscenze sulla storia naturale di questo territorio, con
risultati di notevole
interesse (Crucitti
et al., 2015). Recentemente (2015)
è stato attivato, da
parte della SRSN,
il progetto CsBCr
(leggi cisbicir) ovvero “Citizen Science per la Biodiversità
della Campagna Romana”, preceduto da una lunga serie di
sopralluoghi sul campo in un comprensorio della Campagna
Romana a nord-est di Roma, selezionato per la favorevole
posizione rispetto alla sede della SRSN ed il buono stato di
conservazione dei suoi biotopi. Si tratta di un’area planiziale
delimitata da infrastrutture viarie, edificato compatto e attraversata da grandi elettrodotti, le cui caratteristiche fisiografiche sono tuttavia quelle tipiche della Campagna Romana;
rilievi bassi e ondulati rivestiti da una cotica erbosa più o
meno uniforme, fossati e incisioni del terreno con raccolte
d’acqua nei periodi piovosi, canali a idroperiodo variabile,
siepi e macchioni fitti, filari di alberi frangivento lungo i bassi crinali, accumuli di natura litogenetica oltre ad un piccolo
frammento boschivo. L’area, estesa poche centinaia di ettari,
non è interessata da provvedimenti di tutela e, nonostante sia
soggetta a pascolo ovino brado, ospita un numero piuttosto
elevato di specie, molte delle quali di notevole interesse conservazionistico. La realizzazione di due BioBlitz (X.2015,
V.2016) nel comprensorio in oggetto, nel quadro delle attività di promozione del progetto CsBCr, ha richiesto il superamento di numerosi problemi organizzativi. Trattandosi,
non è superfluo ripeterlo, di un’area non protetta, è risultato
indispensabile ottenere alcune autorizzazioni, in primis la
possibilità di accedere, da parte dei numerosi cittadini intervenuti (richiamati da manifesti ad hoc collocati nei punti
ritenuti strategici con alcune settimane di anticipo), ad un
posto di parcheggio e ristoro che oltretutto costituisce il punto di accesso più favorevole. In questo sito è stata collocata
la “cabina di regia” con postazioni per la registrazione delle
presenze e la compilazione di una dichiarazione liberatoria
di responsabilità. Preliminarmente, erano stati assegnati gli
incarichi necessari ai componenti lo staff, ai ricercatori e ai
citizen expert (ce) formati nel corso dei precedenti sopral32
luoghi. I ce sono
studenti medi con
un livello significativo di abilità e
competenze; capacità di riconoscere e discriminare
all’interno di gruppi speciosi (Coleotteri, Uccelli)
nonché di utilizzare disinvoltamente
field guide e semplici dispositivi di
raccolta campioni,
ad es. retini entomologici e da
sfalcio. In funzione delle presenze
sono stati costituiti gruppi di 10-20
persone che hanno
percorso transetti prefissati nello svolgimento di sessioni
di monitoraggio sia antimeridiane sia pomeridiane. Schede
prestampate hanno consentito l’ordinata trascrizione dei dati
raccolti. Le immagini ottenute tramite fotocamera sono state
collezionate in un database. Tutti i problemi correlati sono
stati superati dalla efficiente macchina organizzativa della
Società Romana di Scienze Naturali (Crucitti, 2015 b).
BIOBLITZ, RACCOLTA E ANALISI DEI DATI
I Bioblitz (BB) costituiscono la longa manus operativa di
attività di CS sul campo finalizzate al censimento della biodiversità in aree selezionate. Di norma, si tratta di aree protette pur non essendo escluse dalle ricerche le aree ad esse
limitrofe non tutelate; a questo proposito è appena il caso
di ricordare che la partita della conservazione di specie e
habitat si gioca anche e soprattutto nelle aree esterne e contigue alle aree protette. Un esempio paradigmatico è costituito
dalla Campagna Romana, vasta pianura ondulata e intersecata da fossi, che si estende dalla Città di Roma fino al piano
collinare prossimo (a nord il comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate, a sud i Colli Albani, a est i rilievi preappenninici; è appena il caso di ricordare che Campagna Romana
non è sinonimo di Agro Romano, porzione della Campagna
Romana inclusa nel distretto municipale di Roma), mosaico
di frammenti boschivi, agrosistemi ed estesi comprensori
artificializzati ma, nonostante questo, straordinario serbatoio di biodiversità valorizzato dalla presenza di piccole aree
protette (Riserve Naturali (RN) e SIC) (Crucitti et al., 2013,
2014). L’organizzazione di BB è ormai entrata in una fase
ampiamente standardizzata come dimostra lo spazio concesso a questa attività da autorevoli testi dedicati alla trattazione
di aspetti teorici e pratici della biodiversità. In uno dei più
recenti, questa attività, definita, forse un poco riduttivamen-
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | CITIZEN SCIENCE
te, una “tecnica” viene così descritta ”… un’indagine biologica intensiva, che ha l’obiettivo di registrare tutte le specie
che vivono all’interno di un’area designata, avvalendosi di
gruppi di specialisti supportati da personale non esperto.
Scienziati, naturalisti e volontari procedono a un esame di
campo intensivo di breve termine, solitamente di 24-48 ore.
La componente pubblica dei BioBlitz è di fondamentale importanza a dispetto della mancanza di specializzazione naturalistica di molti partecipanti ed è in grado di fornire una
quantità inimmaginabile di dati sulla diversità biologica.
Solitamente, a ogni
cittadino interessato si affiancano
biologi e naturalisti con qualificate
competenze e in
grado di identificare sul campo
la maggior parte
delle specie” (Cazzolla Gatti, 2014).
Concordiamo sulla
definizione come
pure sulle raccomandazioni di carattere operativo
suggerite dall’autore. I problemi
organizzativi di un
BB sono complessi
e richiedono una
accurata pianificazione data la mobilitazione collettiva
di grandi masse e
la varietà delle attività da realizzare, eventualmente
anche in orario
notturno.
L’attività principale è
rappresentata dal
censimento, lungo
transetti prefissati,
di tutte le specie animali e vegetali incontrate, all’unisono
con la raccolta di dati bioclimatici ed eco-etologici. È preliminarmente necessario costituire una “cabina di regia” che
oltre alla assegnazione di compiti e incarichi, risolva problemi organizzativi strettamente correlati; approntamento di
servizi igienico-sanitari e di ristoro, posti di pronto soccorso,
stand di varia natura e laboratori con postazioni PC e Internet,
binoculari stereoscopici e guide di campo (field guide) per il
riconoscimento di specie vegetali e animali oltre a tracce, segni e altri elementi di identificazione. L’inizio delle attività
di ricerca è preceduta dalla costituzione di gruppi di persone
operanti sul campo, coordinate da uno o più specialisti o fi-
gure di sistema; zoologi, botanici, forestali, guardaparco. Lo
staff sarà dotato di GPS satellitari, binocoli autofocus e fotocamere reflex digitali, dispositivi in possesso di molti cittadini “professionisti”. Le attività di BB sono finalizzate alla
raccolta di big data ovvero cospicue masse di dati soprattutto quantitativi. Viviamo nell’epoca dei big data; un tempo si
perveniva a conclusioni basate essenzialmente sull’intuito,
oggi fondate su prove assai più tangibili. Nel caso specifico,
l’importanza della disponibilità di una massa relativamente enorme di dati è duplice: colmare i vuoti relativi alla assenza o scarsità di
serie temporali da
comparare (fluttuazione della abbondanza di taxa,
soprattutto specie
target); confrontare la distribuzione
attuale delle specie
e lo stato degli habitat con la velocità e la direzione
dei cambiamenti
in atto (che si verificano sotto i nostri
occhi data la pervasività e intensità delle attività
umane) risultando
foriera di risultati
utili anche al fine
di prospettare idonei modelli predittivi (grazie all’infittimento dei dati
sulla distribuzione
delle specie). Un
solo
esempio:
nell’ambito
del
North American
Bird
Phenology
Program sono stati utilizzati sei milioni di dati (data
card) (Mayer, 2010). È peraltro evidente l’importanza della
validazione dei dati che, se basata su riscontri obiettivi, ad
esempio immagini dell’esemplare in vita nel suo ambiente
naturale ottenute per mezzo di una buona fotocamera, sarà
certamente facilitata; lo specialista accademico e/o il Citizen
expert potranno confortare / confermare la diagnosi relativa
alla identificazione di taxa problematici (Crucitti, 2015a).
Molte istituzioni vantano ormai una esperienza consolidata
nel campo della realizzazione e partecipazione ad attività di
BB. Ad esempio, la Società Romana di Scienze Naturali ha
sinora organizzato autonomamente due BB oltre ad aver partecipato ad altri cinque BB organizzati da enti diversi.
33
CITIZEN SCIENCE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
1. La Citizen Science include un ampio ventaglio di progetti in cui cittadini comuni sono coinvolti in attività di ricerca scientifica.
2. Critiche da parte del mondo accademico più conservatore (apparentemente in minoranza) sono rappresentate
dall’osservazione che i dati raccolti in tal modo non siano
attendibili; tuttavia i volontari possono raggiungere ottimi
livelli di affidabilità se correttamente informati e formati.
A questo proposito, i Musei di Storia Naturale (regionali /
locali) e le associazioni scientifiche, oltre ad organizzare attività di BB, potranno attivare corsi di formazione di Citizen
Scientist; si segnalano per l’Italia, le iniziative del Museo di
Storia Naturale della Maremma, del Museo di Storia Naturale di Ferrara e della Società Romana di Scienze Naturali.
3. Negli ultimi anni l’incremento di tecnologie informatiche ha fornito un contributo decisivo a questo modo di fare
scienza.
4. Una maggiore partecipazione contribuirà, nel prossimo
futuro, allo sviluppo di modalità di migliore gestione dei dati
raccolti, soprattutto al fine di affrontare le questioni ambientali emergenti.
5. I governi di alcuni paesi, in primis la Germania, stanno
iniziando ad investire molto sulla Citizen Science e anche
l’Agenzia Europea per l’Ambiente se ne sta occupando.
Sarebbe quanto mai utile stimolare il decisore politico in
merito alla necessità di importanti investimenti nel settore
che, nel medio e lungo periodo, apporterebbero numerosi
vantaggi, sia in termini di crescita della conoscenza media
delle persone e acquisizione di dati sempre più affidabili per
quantità e distribuzione - tali da essere altamente competitivi
verso ogni forma di ricerca professionale - e sia in termini di
contributo alla evoluzione culturale delle generazioni future
con attività protese al superamento della semplice educazione ambientale, coinvolgendo i giovani in prima persona e
generando consapevolezza e accresciuta responsabilità.
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http://dx.doi.org/10.1038/466685a
http://ecsa.Citizen-Science.net/about
http://ecsa.Citizen-Science.net/newsletter
RINGRAZIAMENTI
Sono particolarmente riconoscente nei confronti di Vito
Consoli, Carla Corazza, Stefano Martellos, Andrea Sforzi,
Giuliano Tallone e Corrado Teofili oltre che nei confronti
dei soci della Società Romana di Scienze Naturali: Francesca Bombarda, Davide Brocchieri, Stefano Cresta, Ester Del
Bove, Stefano Doglio, Daniele Gianolla, Claudio ed Edoardo
Pulvirenti, Giuliano e Leonardo Santoboni, Luca Tringali.
35
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
La ricerca biotecnologica tra scienza,
ethos e diritto
ALESSIA MACCARO
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II
I dilemmi che ormai da più di mezzo secolo si destano a
partire dagli avanzamenti dello sviluppo tecnoscientifico non
sono più solo una possibilità. Il segnale di pericolo, misto ai
retaggi un passato segnato dagli abusi della scienza durante
i regimi autocratici, si fa sempre più allarmante, invocando
stringenti limiti da porre alla scienza. Per contro altrettanto ineludibile è l’indisgiungibilità della vita contemporanea
dalla scienza e dai suoi progressi che hanno rivoluzionato
la qualità della vita della maggior parte della popolazione
mondiale. Pertanto dinanzi all’ampliamento della sfera della libertà, reso possibile in forza dello sviluppo della ricerca
biotecnologica e dal conseguente emergere di nuovi diritti,
si rende palese il bisogno di definire regole d’uso di tali tecnologie, elaborando una formalizzazione giuridica che riesca
a non incatenare la libertà della scienza e l’autonomia della
ricerca e, ad un tempo, tenga ferma la libertà e la garanzia dei
diritti dell’uomo.
N
elle sue intenzioni fondative la biotecnologia può essere ricondotta allo slancio
per-esistentivo dell’uomo nel mondo, alla
sua espansione oggettivante tesa all’affermazione di sé che muove dall’attitudine
ineliminabile all’umano di valicare la frontiera del possibile,
di realizzarsi nel continuo superamento di sé e del dato fattuale con il quale si misura.
Non circoscrivibile, perché in continua espansione, è dunque il campo applicativo delle scienze e delle tecnoscienze,
oltre al potenziale di impatto da esse scaturente sulla vita
umana e sulla biosfera, il che ha – da sempre – alimentato
tronfie speranze ed incontenibili paure. L’ironico dire leopardiano “magnifiche sorti e progressive” ben testimonia l’ottocentesca fiducia nel progresso illimitato dell’umanità che,
alla luce del nostro tempo, si può dire aver avuto riscontro
solo in parte, mentre, per altro verso, è stata smentita dagli
indiscussi regressi morali di cui l’uomo ha dato prova.
Difatti l’esito imprevedibile ed irreversibile risultante
36
dall’utilizzo delle technai che si avvalgono del bios come
strumento, responsabile della dilazione anomica del possibile, ha causato non pochi timori condivisi a causa delle
tragiche esperienze totalitarie in cui orribile fu l’esito del criminale sinolo di ideologia e tecnologia applicate all’uomo.
Tuttavia, se è pur vero che gli abusi e l’uso dissennato della tecnica vanno certo giudicati e denunciati, per altro verso
è bene essere cauti prima di concedersi ad allarmismi poco
fondati che hanno come immediata controparte quella di
porre un freno limitante e limitativo alla ricerca1. Del resto
inestimabili sono i riscontri, per l’uomo ed il suo benessere,
che le biotecnologie hanno apportato nel settore sanitario,
agroalimentare, ambientale e gnoseologico2 al punto che è
divenuto sempre più indisgiungibile il nesso tra le scoperte
scientifiche ed i nuovi applicativi tecnologici con la vita e la
quotidianità dei singoli.
Tale è la ragione per la quale ad oggi, al tempo in cui
davvero tutto è possibile, ma non è detto che sia eticamente
ammissibile e in cui il legame di dipendenza tra uomo e tecnoscienza si rinsalda ognora, si rende non posponibile altresì
una riflessione sulla condotta della scienza e, in particolare,
della ricerca biotecnologica che cerchi di addivenire ad un
bilanciamento tra le ragioni della scienza e i valori personalistici dei singoli, possibile solo attraverso una certa, democratica, disposizione del diritto. «Oggi scienza, tecnica
e democrazia, da crinali distanti, guardano e costruiscono il
futuro dell’umanità. Spesso usano riferimenti diversi, hanno
obiettivi spesso convergenti e a volte opposti. Tuttavia ognu1 Rispetto all’eccesso di allarmismo si veda D. Bressanini, Pane e bugie,
Milano, 2011.
2 Cfr. ComuniCazione Della Commissione europea, Le scienze della vita e
la biotecnologia. Una strategia per l’Europa, (2002/c 55/3) COM (2002)
27 def., Bruxelles, 23 gennaio 2002, in Gazzetta Ufficiale della Comunità
Europea del 2 marzo 2002: http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/piano_azioneeuropeo.pdf. Cfr. anche ComuniCazione Della Commissione europea: Verso una visione strategica della scienza della vita
e della biotecnologia: documento di consultazione [COM(2001) 454 del
4.9.2001].
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | FILOSOFIA
na di esse ha bisogno dell’esistenza e della pienezza delle
altre due; per cui, decostruendo le autoreferenzialità degli
attuali singoli sistemi, la sfida è trovare e sperimentare nuove
modalità di interazione, valutazione e intervento»3.
1.“MA LÀ DOVE C’È IL PERICOLO, CRESCE ANCHE
CIÒ CHE SALVA” 4
Di biotecnologie avanzate5 si inizia a parlare solo dalla
metà del secolo scorso, quando con la geniale scoperta di
Watson e Crick del 1953si determinò una indiscussa svolta
nel panorama tecno-scientifico mondiale.
Dalla “doppia elica” la scienza non fu più la stessa: aveva finalmente carpito il codice segreto della vita e, progressivamente, iniziò a mettere a punto sistemi di intervento e
modifica dell’informazione genetica che consentirono quello
che Rifkin ha definito «una sorta di “macchina per cucire
biologica” che può essere usata per unire insieme i materiali
genetici di organismi non correlati»6.
La genetica e le prassi biotecnologiche introducono nuovi e prima insospettabili orizzonti, tuttavia si dica che, a
dispetto del temutissimo incedere ad libitum e sine limine
della scienza – pregiudizio invero sopravvalutato, senz’altro a causa del retaggio acre dell’epoca dei totalitarismi – la
scienza stessa, consapevole della portata non stimabile delle
sue potenzialità, si è più volte fermata ad interrogarsi sulle
misure precauzionali da prendere in rapporto agli eventuali
rischi che essa stessa avrebbe potuto generare7.
È fuor di dubbio che la rivoluzione biotecnologica abbia
determinato un nuovo modo di pensare il rapporto dell’uomo con il mondo e con la malattia. La produzione di nuovi
farmaci, quali ad esempio l’insulina, l’interferone, dei cosiddetti vaccini di “seconda generazione”, lo sviluppo dell’in3 l. niColais, Premessa, in aa. VV., Frontiere mobili: implicazioni etiche
della ricerca biotecnologica, a cura di l. Chieffi, Milano-Udine, 2014, p.
15.
4 Si tratta della nota citazione che il filosofo Martin Heidegger riporta del
poeta Hölderlin, in m. heiDegger, La questione della tecnica, in Id., Saggi
e discorsi, trad a cura di G. Vattimo, Milano, 20106, pp. 5-27, ivi, p. 22.
5 Cfr. m. Buiatti, Biotecnologia, in «Parole chiave», 17, 1998, pp. 21 sg;
Id., Biotecnologie da riconvertire, in Le biotecnologie, Roma, 2000; Id.,
Le biotecnologie, Bologna, 2001.
6 J. rifkin, Il secolo biotech (1998), Milano, 1998, p. 92.
7 Il riferimento è alla Conferenza di Asilomar del 1974 dove gli scienziati
stessi decisero per una moratoria, ovvero una sospensione degli interventi
sul DNA, che fu una testimonianza di una autoregolamentazione consapevole che indusse a riflettere sulla difesa della libertà della scienza da
un lato e la richiesta di una sua limitazione dall’altro. Come è noto l’anno
successivo la moratoria fu revocata e si diede mandato al National Institute
of Health ed al Recombinant Advisory Commitee di approvare direttive e
regole di sicurezza. Si dica inoltre che nel corso della riflessione pubblica internazionale si è andato progressivamente definendo il “principio di
precauzione”, il quale fa leva sul controllo preventivo rispetto ai pericoli
potenziali ed impone interventi ogni qualvolta l’applicazione biotecnologica non è del tutto esente da rischi. Tale principio, formulato per la prima
volta nella Terza Conferenza Internazionale sulla Protezione del Mare del
Nord (1990); la definizione formale da parte dell’UE ne è data nel 1998
(Commissione della Direzione Generale XXIV, Diritti dei consumatori
e protezione della loro salute), fino a quando, nel 2000 la Commissione
Europea ne ha enunciato le modalità applicative ne La Comunicazione sul
Principio di precauzione.
gegneria genetica, degli strumenti diagnostici prenatali e
postnatali, resi possibili dai test genetici in grado di rilevare la presenza di malattie genetiche o la predisposizione a
determinate patologie, la messa a punto di terapie geniche
che prevedono un intervento correttivo sul DNA, ai fini di
una possibile eliminazione dei fattori patogeni, la creazione
di piante ed animali transgenici, l’apertura a xenotrapianti e
clonazioni, rendono palese il passaggio dalla casualità alla
causalità.
La biologia abbandona il determinismo e rientra nella
sfera di determin-azione: si dischiudono per l’uomo inediti
spazi di libertà in forza del ricorso alle biotecnologie, il che
solleva una questione di “governance” giuridica, etica e politicarispetto a tali ambiti8. Invero moltissimi sono stati gli interventi di organismi nazionali e sovranazionali in direzione
di una regolamentazione dell’uso delle tecnologie applicate
al vivente9 ed, in effetti, anche l’Italia si è presto dimostrata
consapevole delle potenzialità strategiche offerte dall’impiego dell’innovazione scientifica10.
Per fare solo qualche esempio, rigido è il divieto posto
alla clonazione riproduttiva11 o alla creazione di embrioni a
8 Cfr. s. Jasanoff, Fabbriche della natura. Biotecnologie e democrazia,
Milano, 2008.
9 Come è noto ben diverso fu l’operato degli Stati Uniti d’America che
diedero l’incarico di approvare e controllarle le singole applicazioni biotecnologiche alla FDA, all’EPA e all’USDA, rispetto ai Paesi membri della Comunità Europea, dove ogni singolo Stato adottò norme differenti, in
mancanza di organismi centrali di controllo. Tuttavia si ricordino alcuni
degli orientamenti normativi nel campo delle biotecnologie: la Convenzione sulla Diversità Biologica, documento firmato a conclusione della
Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo svoltasi a Rio
nel 1992; la Convenzione sulla responsabilità civile per danni all’ambiente causati dall’esercizio di attività pericolose, adottata dal Consiglio
d’Europa a Lugano nel 1993 (ripresa dal Libro bianco per responsabilità
per danni all’ambiente, presentato dalla Commissione Europea nel 2000);
l’Accordo TRIPS firmato a Marrakech nel 1994 in ambito WTO relativo
alla brevettabilità delle attività inventive; la Direttiva europea sulla Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e la Convenzione europea
di Bioetica del 1996; la Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della
biologia e della medicina, firmata ad Oviedo nel 1997; la Dichiarazione
sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le future generazioni,
approvata nel corso della conferenza generale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura del 1997;il Protocollo di Cartagena per la biosicurezza, approvato a Montreal nel 2000.
Non si dimentichino, poi, la Dichiarazione universale sul genoma umano
e i diritti umani del 1997 e la Dichiarazione Universale sulla bioetica e i
diritti umani, del 2005, entrambe dell’UNESCO.
10 Si considerino gli interventi del Comitato nazionale Di BioetiCa e del
Comitato nazionale per la BiosiCurezza e le BioteCnologie, CnBB (in
part. Linee guida per lo sviluppo delle biotecnologie in Italia, Dicembre
2005: http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/5.LGSviluppoBiotec.pdf).
11 UNESCO, Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani, 1997, art. 11: «Pratiche contrarie alla dignità umana, come la clonazione a scopo di riproduzione di esseri umani, non devono essere permesse.
Gli Stati e le organizzazioni internazionali competenti sono invitati a collaborare al fine di identificare tali pratiche e prendere, a livello nazionale
o internazionale, le misure necessarie, in conformità ai principi enunciati
nella presente Dichiarazione»http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Dichiarazione-universale-sul-genoma-umano-e-i-dirittiumani-1997/80. Cfr. anche il Protocollo addizionale della Convenzione
di Oviedo sul divieto di clonazione di esseri umani del 12 gennaio 1998.
37
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
fini di ricerca12, mentre la questione relativa alle cellule staminali embrionali è gestita diversamente dai vari Paesi13.
Quanto all’intervento di terapia genica (relativa alla possibilità di intervenire su cellule patogene per emendare il difetto
genetico), pur essendo consentito l’intervento sulle cellule
somatiche, si è optato per una regolamentazione internazionale molto stringente rispetto alla terapia genica germinale
(relativa cioè ai gameti, all’ovulo fecondato o all’embrione
nelle sue primissime fasi di sviluppo e, dunque, alle cellule
indifferenziate e totipotenti): si è, infatti, ritenuto opportuno
escluderne la pratica in forza dell’ereditabilità delle modifiche introdotte, il che solleva non pochi problemi di precipua
fattispecie etica e bioetica14.
12 Ivi, art. 18: «1. Quando la ricerca sugli embrioni in vitro è ammessa
dalla legge, questa assicura una protezione adeguata all’embrione. 2. La
costituzione di embrioni umani a fini di ricerca è vietata».http://conventions.coe.int/Treaty/ITA/Treaties/Html/164.htm
13 Come è noto il Belgio ha assunto posizioni simili a quelle del Regno
Unito, permettendo la produzione di cellule staminali umane a partire dalle
blastocisti in sovrannumero derivate dalle procedure di fertilizzazione in
vitro (IVF). Ha permesso inoltre, solo in particolari circostanze (ad esempio per studiare specifiche malattie gravi), la creazione di embrioni umani
per la produzione di cellule staminali embrionali umane ad hoc. Assumono invece una posizione totalmente opposta la Germania e l’Italia (legge
40/04) che proibiscono di ottenere cellule staminali da embrioni umani;
invece paesi come l’Austria, la Bulgaria, Cipro, l’Irlanda, la Lituania, il
Lussemburgo, Malta, la Polonia, la Romania e la Slovacchia non hanno
formulato a riguardo alcuna legislazione specifica; ed infine la Finlandia,
la Spagna, la Svezia e la Grecia consentono la ricerca sugli embrioni entro
limiti ben definiti (nei primi 14 giorni dello sviluppo embrionale). Cfr. m.
De tilla, l. militerni, u. Veronesi, Cellule staminali. Etica e qualità
della vita. Normativa europea e legislazione internazionale, Milano, 2012.
14 Cfr. la Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della
dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e
della medicina, Oviedo, 1997, cap. IV, art. 13: «un intervento che ha come
38
Il timore che immediatamente si desta rispetto all’opzione
germinale, ovvero rispetto all’intervento sul patrimonio genetico di un soggetto per elidere un difetto performativo di
un gene, muove dal presupposto secondo il quale non è semplice individuare un confine tra intervento di emendazione ed
intervento volto ad implementare particolari performances15.
Nella difficile ermeneutica della decisione genitoriale che
oscilla senza posa tra il voler dare ai propri figli una possibilità di vita migliore e una migliore vita possibile, si fa avanti
la triste deriva eugenetica, memoria dell’oscura prima metà
del secolo che ci precede16.
L’intervento sulle cellule germinali appare, infatti, come
un atto reificatorio che lede la dignità del figlio, anteponendo
ad essa il modello culturale di “normalità”, quando non di
“perfezione”, quanto mai prepotente nella nostra contemporaneità “plastica” che fa appello all’etica della chirurgia
obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per
delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha
come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti». La
stessa carta vietal’utilizzo delle tecniche che consentano la scelta del sesso
del nascituro, eccetto allo scopo di evitare una malattia grave legata al sesso (art. 14) ela creazione di embrioni a fini di ricerca (art. 18). Cfr. anche Il
Documento sulla sicurezza delle biotecnologie redatto dal CNB nel 1991.
15 Cfr. J. harris, Wonderwoman e Superman: The Ethics of Human Biotechnology, Oxford, 1992 (tr. it. Wonderwoman e Superman. Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, Milano, 1997). Cfr. anche le suggestive
pagine di S. Rodotà in cui si riflette sulle scelte procreative nel caso di
eliminazione di fattori patogeni o, persino, di disabilità pianificata cfr. s.
roDotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, pp. 283-291.
16 Il termine “eugenetica”, coniato da Francis Galton alla fine dell’Ottocento per indicare la scienza del miglioramento della specie umana: la tesi
di Galton proponeva di rigenerare la società incidendo sulla riproduzione,
al fine di consentire l’affermazione dei “migliori”, di una razza pura ottenuta mediante unioni predeterminate.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | FILOSOFIA
estetica.
Tuttavia, premettendo la «natura appartentiva del corpo»17
– concetto che va sganciato da ogni logica proprietaria –
come «luogo dell’io»18 e, dunque, di cui ciascuno ha diritto al
pieno «governo» e «sovranità»19, anche in linea con i dettati
della Magna Charta, pare evidente che nessuno può predeterminare i caratteri delle future generazioni, giacché la nascita
è un evento indisponibile per il quale nessuna volontà esterna
può, né deve, oggettivarsi nel corpo di terzi20.
Purtuttavia è evidente che altra questione rispetto all’eliminazione di elementi disgenici a fini di potenziamento è
quella di intervenire sui fattori responsabili delle patologie.
È certo difficilissimo individuare il criterio in base al quale si
possa rendere possibile l’intervento di un individuo sul patrimonio genetico di altri, giacché la scelta è sempre demandata
ai genitori. Ed invero assurdo sarebbe invitare questi ultimi
a fare appello a presunti criteri di vita “degna” od “indegna”
di essere vissuta, ad astratte norme sulla base delle quali si
potrebbe determinare un livello – alto, medio, scarso – di
“qualità della vita” relazionato alla patologia. Si tratta di una
scelta complessa che il genitore deve fare in vece del figlio e,
poi, anche di se stesso. Ma se per se stessi ciascuno deve poter scegliere, non lo stesso può dirsi quando la scelta riguarda
un altro. L’altro in questione – comunque lo si voglia intendere – allo stadio di cellula germinale non può esprimere il
suo consenso o dissenso all’intervento, ma non per questo
non bisogna tenerne conto. Pertanto, se il piano di “ragione”
non pare attingibile, sembrerebbe non lesivo di ambo le parti
coinvolte fare appello alla “ragionevolezza”.
Anzitutto va detto che ad oggi l’eugenetica, oltre ad essere
vietata dal Codice di Deontologia medica, dalla Dichiarazione di Helsinki dell’Associazione Medica Mondiale del 2000
e da tutti i documenti bioetici nazionali ed internazionali,
non è un problema reale, giacché mentre si conoscono i geni
coinvolti nelle malattie monogeniche, non è ad oggi ancora
possibile pensare di predeterminare le caratteristiche fisiche
dei nascituri (e la selezione del sesso è a tutt’oggi vietata21).
Col che non si vuole certo dire che non bisogna prestare attenzione alle pratiche probabilmente plausibili in un prossimo futuro, ma che, a dispetto di un’eventualità non ancora
realizzabile è senz’altro molto più stringente l’urgenza di
prevenire ed evitare patologie esageratamente gravi. In effetti la gran parte delle patologie di ordine degenerativo sono
17 e. husserl, CartesianischeMeditationem und PariserVorträge, Haag,
1950, p. 128.
18 p. zatti, Il corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in Nuova giur. civ.
comm., 2007, II, p. 1 ss., ivi, p. 7.
19 Ivi, p. 14. Cfr. anche s. roDotà, p. zatti (a cura di), Trattato di Biodiritto: il Governo del Corpo, vol. II, Milano, 2010.
20 Cfr. J. haBermas, Die Zukunft der menschlichenNatur. Auf
demWegzueinerliberalenEugenik?, Frankfurt, 2001, tr. it. Il futuro della
natura umana, I rischi di una genetica liberale, Torino, 2002.
21 Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità
dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della
medicina, Oviedo, 1997, cap. IV, art. 14: «L’utilizzazione delle tecniche
di assistenza medica alla procreazione non è ammessa per scegliere il sesso
del nascituro, salvo che in vista di evitare una malattia ereditaria legata al
sesso»: http://conventions.coe.int/Treaty/ITA/Treaties/Html/164.htm
riconducibili a specifiche varianti geniche come la corea di
Huntington, l’emofilia e la fenilchetonuria: disordini monogenici che causano patologie invalidanti a carattere cronico
o letale.
Tali patologie sono rese evidenti dalla diagnostica preimpianto, tecnica predittiva che consente di accertarsi preventivamente dello stato di salute del nascituro. Ad oggi nel
nostro Paese tale tecnica è vietata dalla controversa legge
40/04, tuttavia essa non solo potrebbe consentire il travalicamento dell’absurdum generato dalla suddetta legge per il
quale la coppia che ricorre alla procreazione medicalmente
assistita non può accertarsi dello stato di salute degli embrioni, pur potendo decidere entro i 90 giorni, in ottemperanza
alla legge 194/1978, di interrompere la gravidanza, ma può
mettere le coppie portatrici di malattie ereditarie nella condizione di decidere di non trasmettere (attraverso la terapia
genica germinale o la selezione degli embrioni) la propria
patologia ai figli.
Come è evidente, al momento il contesto non è quello migliorativo, ma terapeutico, per il quale non si intende autorizzare i genitori a respingere gli embrioni malati, ma si tratta
di legittimare la scelta di coloro che decidono, ove possibile,
di propendere per un intervento terapeutico sugli embrioni,
oppure di non accogliere gli embrioni portatori di patologie.
Si tratta di supportare le scelte dei genitori, di coloro che vogliono portare avanti consapevolmente la gravidanza anche
in presenza della patologia e di coloro che non se la sentono,
ascrivendo ai singoli l’ardua decisione. Si pensi al caso del
cancro alla mammella: «se una donna elimina con la terapia
genica il gene causa di questa malattia, viola in prospettiva
il diritto delle figlie, delle nipoti e via continuando, a ricevere un patrimonio genetico non manipolato? Qui, tuttavia,
non siamo in presenza di un conflitto tra diritti procreativi e
diritto all’integrità del patrimonio genetico da ricevere, ma a
una situazione relazionale che si manifesta nella dimensione
della cura»22. Dal canto suo lo Stato deve allontanare ogni
sospetto di potere biopolitico e farsi garante dell’autodeterminazione che rende i cittadini tali, tutelando soprattutto le
decisioni più difficili e più diverse, iniziando con il mettere
tutti nella condizione di ricevere un’informazione adeguata
e di poter accedere alle tecniche disponibili per evitare la
trasmissione di un rischio genetico, che comportano un non
indifferente aggravio economico e, senz’altro, aumentando
la disponibilità dei servizi, perché «se, ad esempio, per le
persone con disabilità si può contare su servizi per l’infanzia,
sostegni scolastici, opportunità riguardanti l’entrata nel mondo del lavoro, cresce la propensione a decidere di procreare
anche in presenza di accettabili condizioni di rischio»23.
Tuttavia molto ampia è la gamma di possibilità diagnostiche che, invero, non si limita alla sola diagnosi pre-impianto
(si pensi ai test sintomatici, presintomatici, prognostici, predittivi di suscettibilità genetica, screening, test polimorfismi,
etc.), dal che si inferisce che il dato genetico si rivela ad oggi
22 s. roDotà, Il diritto di avere diritti, cit., p. 287.
23 Ivi, p. 291.
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FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
imprescindibile, sia per la prevenzione e la cura di gravi patologie (si pensi alle nuove ricerche di farmacogenetica e farmacogenomica), ma anche per l’accertamento processuale di
alcuni elementi di prova, come nel caso del riconoscimento
della paternità, dei ricongiungimenti familiari di immigrati
extracomunitari, dell’accertamento delle origini genetiche
dell’adottato e, nel caso del processo penale, per consentire
l’individuazione del colpevole di un reato.
Certo, sottolineare la rilevanza del dato genetico è ben altra cosa rispetto ad assurde forme di discriminazione da esso
derivanti, tese ad esempio a dare vita ad una deterministica
e riduzionistica “genetica comportamentale”, per la quale si
potrebbe addirittura pensare di individuare e giudicare un
colpevole sulla base del suo dato genetico richiamando alla
mente degli eventi di lombrosiana memoria o a forme di utilizzo dei suddetti dati a fini assicurativi o, addirittura, come
causa di selezione – e, dunque, anche di esclusione – dall’impiego. Qui viene immediatamente chiamato in causa il diritto che è tenuto ad evitare ogni possibile discriminazione
determinata dall’informazione genetica che può anticipare la
predisposizione o la stessa insorgenza di gravi patologie24.
Peraltro l’acquisita rilevanza del dato genetico dovrebbe
rendere palese l’urgenza di pervenire ad un accordo rispetto
ad alcuni nodi etici ancora non soluti nel nostro Paese, quale quello relativo all’uso delle cellule staminali embrionali a
fini sperimentali e di cura delle malattie ereditarie (si potrebbe stimare, ad esempio, di utilizzare gli embrioni che sono
stati abbandonati dai loro legittimi proprietari che, avendoli
crioconservati dopo una fecondazione assista, abbiano poi
deciso di non utilizzarli), alla gestione del materiale genetico
contenuto nelle biobanche (tale questione vede il contrasto
tra l’esigenza avvertita dagli scienziati di utilizzare i materialibiologici nella conduzione delle sperimentazioni e la tutela della privacydei donatori), non trascurando la questione
dell’accesso alla diagnosi e selezione preimpianto.
2. OSSERVAZIONI BIOETICHE
A fronte della sempre maggiore diffusione delle applicazioni biotecnologiche non solo aumentano perplessità ed interrogativi, ma sempre più stringente si fa il contrasto tra i
due orientamenti bioetici che, in senso ampio, si usa definire
con le etichette di “laico” e “cattolico” o anche della “qualità” o “sacralità” della vita.
Invero, la bioetica ispirata al personalismo ontologico,
fa valere il principio di conservazione dell’ordine naturale,
oltre a quello dell’indisponibilità ed inviolabilità della vita,
24 Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità
dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della
medicina, Oviedo, 1997: cap. IV art. 11 «Ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è
vietata», art. 12 «Non si potrà procedere a dei test predittivi di malattie
genetiche o che permettano sia di identificare il soggetto come portatore
di un gene responsabile di una malattia sia di rivelare una predisposizione
o una suscettibilità genetica a una malattia se non a fini medici o di ricerca medica, e sotto riserva di una consulenza genetica appropriata». http://
conventions.coe.int/Treaty/ITA/Treaties/Html/164.htm
40
dal che segue il divieto di intervenire sulle cellule germinali,
di portare avanti ogni processo che possa alterare l’identità
genetica umana e di lasciare spazio alla “genetica alternativa” (tesa alla costruzione di nuove specie)25, insistendo sulla
valutazione dei rischi e delle possibili derive di attività sperimentali condotte senza limiti e regole che ricorrono all’uso strumentale degli organismi viventi. Per altro verso tale
orientamento riconosce la liceità della diagnosi genetica prenatale, pur ribadendo il divieto di interruzione di gravidanza
in caso di esito infausto, giustificando il ricorso alle nuove
tecnologie solo per finalità terapeutiche ed in vista della prevenzione.
Si dica, inoltre, che tale orientamento attribuisce all’embrione lo status di “persona” sin dal suo concepimento, pertanto risoluta è l’opposizione all’utilizzo delle cellule staminali embrionali a fini di ricerca, giacché gli embrioni da cui si
ottengono le cellule si estinguono nel corso del trattamento,
il che è inteso come soppressione di vita umana innocente e
strumentalizzazione inconcepibile dell’umano.
D’altro canto l’orientamento laico, «partendo dalla tesi secondo cui ciascun essere personale adulto è sovrano di se
stesso e del proprio corpo, difende il principio della disponibilità della vita e dell’autodisponibilità dell’uomo, ovvero
la facoltà, da parte degli individui, di “disporre” del proprio
essere»26. Pertanto, la risposta della bioetica secolare all’allarme relativo agli esiti che l’ingegneria genetica avrebbe
potuto determinare sull’evoluzione è molto ragionata: da un
lato non obietta il ricorso “di principio” alle tecniche e, d’altro canto, tiene ferma una “questione di prudenza”, secondo
la quale le cautele non vanno mai trascurate27. In effetti viene
contestata la fissazione a priori del limite e la cecità rispetto ai possibili avanzamenti: «ogni limitazione della ricerca
scientifica imposta nel nome dei pregiudizi che questa potrebbe comportare per l’uomo equivale in realtà a perpetuare
sofferenze che potrebbero essere evitate»28.
Parrebbe dunqueche, rispetto al sempre ascendente indirizzo dello sviluppo tecno-scientifico, seppure un atteggiamento di vigilanza critica e responsabile è da tenere saldo,
non bisogna cedere alle esagerazioni, riportando sempre alla
mente l’abuso di scienza nei regimi autocratici, invocando
così stringenti limiti. Il che non vuol certo dire consegnarsi
con enfasi cieca all’ottimismo scientista, bensì asserire che
può esservi un’alternativa all’atteggiamento di un “Prometeo incatenato”, di un “accecato Galileo”, rintracciabile nel
contesto bioetico che rende possibile costruire ipotesi etiche
e proposte legislative che regolamentino le applicazioni delle
moderne tecnoscienze garantendo la salvaguardia dei diritti
fondamentali. Dinanzi all’ampliamento della sfera della libertà, reso possibile in forza dello sviluppo della ricerca bio25 Cfr. pontifiCia aCCaDemia pro Vita, Biotecnologie animali e vegetali.
Nuove frontiere e nuove responsabilità, Città del Vaticano, 1999.
26 g. fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica. Con un Poscritto 2009,
Milano, 2009, p. 83.
27 Cfr. u. sCarpelli, Bioetica Laica, Milano, 1998.
28 C. flamigni et alii, Manifesto di bioetica laica, «IlSole24ore», 9 giugno 1996.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | FILOSOFIA
tecnologica e dal conseguente emergere di nuovi diritti, si
rende palese il bisogno di definire regole d’uso di tali tecnologie, elaborando una formalizzazione giuridica che non sia
troppo rigida, ovvero che non incateni la libertà della scienza
e quella dell’uomo.
3. LIBERTÀ DELLA RICERCA E LIBERTÀ DEI
SINGOLI: ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO
Ancora qualcosa resta da dire proprio rispetto alla più volte asserita libertà.
A livello internazionale si riconosce «l’importanza della
libertà della ricerca scientifica e i benefici derivanti dagli sviluppi scientifici e tecnologici, sottolineando allo stesso tempo la necessità che tali sviluppi avvengano nel quadro dei
principi etici (…), che rispettino la dignità umana, i diritti
umani e le libertà fondamentali»29.
Certo non è semplice pensare di accordare una piena libertà alla scienza, anelando una sua applicazione conforme
a principi etici, se poi è percezione comune che la ricerca
biotecnologica, soprattutto per quel che attiene al contesto
culturale italiano, oscilli tra oscura ed inaccessibile pertinenza di elette élites che operano al di fuori della vita quotidiana
e violenta forzatura del bios naturale per meri fini di profitto
– in special modo delle grandi multinazionali.
In effetti si rende non più trascurabile il rischio marginalizzazione per analfabetismo scientifico-tecnologico che è
discriminante giacché il diritto di conoscere è alla base di
ogni scelta morale30; pertanto al fine dideterminare una piena
consapevolezza delle questioni in oggetto bisognerebbe ampliare il dibattito democratico, favorendo una partecipazione
sempre più massiccia della popolazione.
Per altro verso, dal momento che, come è noto, straordinari sono gli interessi economici legati all’impiego delle
conoscenze biotecnologiche, onde evitare la pur non troppo
remota possibilità che le potenti multinazionali mettano in
discussione l’autonomia della scienza, si rende non prorogabile l’intervento del legislatore nazionale ed internazionale
teso ad un tempo ad incentivare la ricerca indipendente, non
trascurando mai l’impegno proteso alla regolamentazione
delle ricadute applicative, a protezione degli inderogabili interessi della persona umana.
Si tratta di individuare un equilibrio, certo non semplice,
tra la libertà della ricerca, garantita dall’art. 13 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dagli artt. 9 e
33 della nostra Costituzione, e la tutela dei diritti del paziente
29 UNESCO, Dichiarazione Universale sulla bioetica e i diritti umani,
2005, art. 2http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/
Dichiarazione-Universale-sulla-bioetica-e-i-diritti-umani-2005/192
Anche l’art. 33 della nostra carta Costituzionale, fa appello alla libertà della scienza: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento
(…). Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto
di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».
30 Cfr. UNESCO, Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti
umani, 1997, art. 12 a: «Ognuno deve aver accesso ai progressi della biologia, della genetica e della medicina, concernenti il genoma umano, nel
rispetto della propria dignità e dei propri diritti».
e del consumatore.
Quanto alla libertà di ricerca va detto che, a fronte dell’assenza di adeguate evidenze e “rassicurazioni” scientifiche, il
divieto di tecniche quali la clonazione, l’ibridazione e, per
certi aspetti, anche la manipolazione di cellule germinali31,
non appare lesivo della suddetta libertà. Allo stesso modo, i
limiti imposti alla brevettabilità del corpo umano32 paiono in
linea con l’esigenza di tutelare i beni della persona, a cominciare dalla sua riservatezza e dignità, come quelli posti alla
sfruttabilità economica del materiale genetico33.
Peraltro «accanto all’introduzione di prescrizioni normative a salvaguardia dei beni personalistici, quali l’integrità
psico/fisica, la riservatezza e la dignità, comprensivi di quelli
riguardanti le generazioni future, contro ingiustificate alterazioni dei beni comuni, cui certamente appartiene il patrimonio genetico e ambientale, ulteriori verifiche potranno
pure essere giustificate dall’esigenza di indirizzare l’industria biotech al soddisfacimento degli interessi sociali della
collettività, a cominciare proprio dal diritto alla salute dei
consumatori, secondo quanto pure statuito dal nostro testo
normativo fondamentale, nella parte in cui consente l’introduzione di un argine all’esercizio della iniziativa economica
privata (art. 41, 3° comma)»34.
Tuttavia, al fine di intendere la possibile coesistenza di due
libertà che, in effetti, non sono in contraddizione, bisogna anzitutto non misconoscere il ruolo e il significato della scienza
che, in forza della sua spontaneità e creatività, è artefice di
libertà per l’uomo nella misura in cui dischiude nuovi spazi
di scelta e discrezionalità. Allo stesso modo bisogna chiarire
il ruolo dell’etica che non è quello di imporre prescrizioni o
imposizioni esterne che limitano e vincolano censoriamente
l’agire scientifico, sottraendogli forza vitale, ma di affiancare
la comprensione identitaria della ricerca stessa. D’altro canto
riconoscere all’uomo la libertà che è sua, vuol dire anche
ritenerlo capace di servirsi della tecnica individuando valori
ed orientamenti pratici in situazione. Del resto la stessa autonomia porta in sé stessa il riferimento al nomos: «autonomia
significa riferimento ad una ratio indipendente dall’auctoritas di poteri estrinseci, vuoi politico-religiosi, vuoi attivati
dal senso comune ciecamente ripetitivo di schemi tradizionali, ma significa anche ridefinizione di nomos, regole, stili
di vita, relazioni»35.
31 Cfr. Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6
luglio 1998, in G. U. C. E. L 213 del 30 luglio 1998.
32 Ivi, art. 5, applicato in Italia con il decreto 1 del 10 gennaio 2006, n.
3 convertito nella legge del 22 febbraio 2006, n. 78. Cfr. in proposito le
analisi della Tallacchini, presenti anche in m. tallaCChini, f. terragni,
Le biotecnologie. Aspetti etici, sociali e ambientali, Milano, 2004, p. 148.
33 Cfr. Corte di giustizia europea, Grande Sezione, sent, 18 ottobre 2011,
C-34/10 che ha confermato il divieto relativo alla brevettabilità degli embrioni umani a fini commerciali ed industriali della Direttiva 98/44 (art.
6 n. 2 lett. c) e ne ha disposto la non utilizzabilità anche a fini di ricerca.
34 l. Chieffi, La regolamentazione delle biotecnologie tra libertà di ricerca, diritti di sfruttamento economico e salvaguardia dei valori personalistici e ambientali, in aa. VV., Frontiere mobili…, cit., pp. 17- 46, ivi,
p. 20.
35 e. D’antuono, Le frontiere mobili del possibile. Tra scienza ed ethos,
in Aa. Vv., Frontiere mobili…, cit., pp. 195-211, ivi, p. 204.
41
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
In tale contesto potrà ricoprire un ruolo significativo la
bioetica, punto di contatto tra scienza ed ethos, autocoscienza di un presente inevitabilmente segnato dall’impatto delle
tecnoscienze, che riflette sul presente e si fa “ponte”36 verso
una futura assimilazione degli errori del passato, il cui indiscusso merito «è quello di porre in rapporto problematico i
due campi del sapere, in modo tale che le acquisizioni scientifiche divengano materia di discussione per la riflessione etica e, parallelamente, che la riflessione etica divenga volano e
indirizzo produttivo della ricerca scientifica»37.
Purtuttavia bisognerà ancorare l’esercizio della libertà alla
razionalità del diritto, non tanto a tutela dalla scienza, ma per
consentire un’applicazione delle tecniche che salvaguardi i
diritti dei singoli e valorizzi l’autonomia della ricerca.
A tal fine il diritto dovrà tenersi duttile, ovvero, attraverso una regolamentazione mite38 dovrà farsi portavoce di una
razionalità elastica, “aperta”, portavoce di un presupposto
non ideologico, ma dialogico che possa garantire la convivenza di più concezioni morali39. Difatti «porre il problema
di nuove regole non significa necessariamente proporre una
“giuridificazione” rigida che imbrigli la scienza e leda richieste, bisogni e diritti maturati in forza delle tecnologie della
libertà (…). Si è da più parti posto il problema di praticare
un “diritto leggero”, sullo sfondo di un superamento di certe interpretazionidel diritto, prima fra tutte l’idea che esso
debba funzionare da barriera (…) ed assumere la consapevolezza che la situazione nuova, determinata dallo sviluppo
dei saperi e dallatrasformazione di bisogni ed interessi, rende
impossibile l’estensione di regole già esistenti, e dunque il
procedimento analogico»40.
Con Rodotà si può auspicare una legislazione «aperta, elastica e leggera»41, una «legislazione sobria, che risponda ai
problemi reali e non alle paure, ai fantasmi, ai pregiudizi…;
leggera, che consenta la prosecuzione del confronto tra posizioni diverse; elastica, che indichi principi in grado di adattarsi al continuo cambiamento scientifico e tecnologico»42.
In tal modo si potrà intendere la tecnica come strumento di
umanizzazione dell’uomo, capace di consentire il farsi uomo
dell’uomo, il quale, in ottica kantiana43, fa esercizio di liber36 La metafora del ponte evoca la celebre espressione potteriana di bioetica come ponte verso il futuro: V. r. potter, Bioethics. Bridge to the
Future, London, 1971 (tr. it. Id., Bioetica. Ponte verso il futuro, Messina,
2000).
37 r. marChesini, Bioetica e biotecnologie. Questioni morali nell’era
biotech, Bologna 2002, p. 15.
38 g. zagreBelsky, Il diritto mite, Torino, 1992. p. Borsellino, Bioetica
tra autonomia e diritto, Milano, 1999; C. Casonato, Introduzione al biodiritto, Torino, 2012.
39 m. Charlesworth, Bioethics in a Liberal Society, Cambridge, 1993
(tr. it. L’etica della vita. I dilemmi della bioetica in una società liberale,
Roma, 1996).
40 e. D’antuono, Bioetica, Napoli, 2007, pp. 47-48.
41 s. roDotà, Modelli culturali e orizzonti della bioetica, in Id. (a cura
di), Questioni di bioetica, cit., p. 430.
42 s. roDotà, Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Rivista critica del diritto privato, 4, 1994, p. 490. Cfr. sul tema anche iD., Tecnologie e diritti,
cit.; iD.,Repertorio di fine secolo, cit.; iD., La vita e le regole. Tra il diritto
e il non-diritto, Milano, 2006.
43 Cfr. i. kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, 2005.
42
tà nella liberazione dai vincoli e nella creazione del nuovo,
attraverso criteri di norm-azione, li-miti, che vanno ricreati
continuamente, in rapporto alla circostanzialità degli eventi.
Del resto volgersi ad una regolamentazione duttile vuole dire
cogliere il vero senso del nesso tra biotecnologia e democrazia, nella misura in cui si consente a tutti un esercizio
di libertà responsabile, intendendo con ciò una prassi non
relativistica ed anarchica, ma una considerazione dell’autonomia dei singoli – che è rafforzata ed ampliata da quella
della scienza – che si intenziona al legame con gli altri e alla
delineazione di valori condivisi.
Va dunque rimarcato il ruolo che la scienza e la tecnologia
ricoprono nella formazione ed affermazione della cultura politica democratica: nell’era della società della conoscenza la
democrazia deve farsi carico di coinvolgere i cittadini nella
produzione, nell’utilizzo e nell’interpretazione della conoscenza per scopi di carattere pubblico, in modo da favorire
l’affermarsi di una «epistemologia civica» intesa come capacità di valutazione approfondita sulle prassi dell’agire biotecnologico. Tuttavia, nel mondo tanto globale quanto impari, il pieno accesso di tutti alla cittadinanza della conoscenza
è ancora qualcosa di là da venire. Pertanto bisogna volgersi
ad un governo democratico della conoscenza che preservi
co-scientemente l’autonomia della ricerca e tuteli i diritti dei
cittadini, laddove la collettività stessa non sia esclusa dalla governance, ma ne sia parte integrante: «come un lavoro
teatrale non può esistere senza spettatori, così la grande narrazione del progresso attraverso la scienza e la tecnologia ha
bisogno della pubblica approvazione per mantenere il proprio potere sull’immaginazione collettiva, per non parlare
delle spese collettive. Non solo la credibilità della scienza,
ma anche l’utilità dell’impegno dello Stato nel produrre conoscenza devono essere ripetutamente portati nelle case dei
cittadini»44.
44 Cfr. s. Jasanoff, Fabbriche della natura…, cit., pp. 296-297.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
La scuola come possibile
fattore di rischio
FRANCESCA ANTONELLA AMODIO
Psicoterapeuta
C
ominciai a delineare la mia ipotesi di
ricerca all’incirca nel 2010, grazie a un
paziente di 50 anni giunto al mio studio
di psicoterapeuta in uno stato depressivo
piuttosto severo, che aveva alterato i suoi
parametri fisiologici in merito all’alimentazione e ai ritmi
sonno-veglia. Nel giro di pochi incontri mi resi conto di
essere di fronte a un DSA non riconosciuto, questo grazie
alla mia esperienza di tanti anni sui DSA, una competenza
che sinora non ha fatto parte del bagaglio degli psicologi
clinici. Aver ipotizzato che alla base del suo profondo senso
di inadeguatezza vi fosse un percorso scolastico fortemente frustrante, mi ha consentito di indagare sulla sua storia
scolastica, elaborando infine assieme a lui le radici di tanta
fragilità e riscrivendo un nuovo senso di sé maggiormente
saldo e coeso. Il successo terapeutico di tale processo mi ha
spinto pian piano ad indagare in tale direzione con i vari pazienti che mi consultavano e presentavano in qualche modo
un simile quadro psicologico. Nel tempo è emerso che
ben un 30% dei miei pazienti
aveva alle spalle un percorso scolastico così difficile e
doloroso da poter essere ipotizzato quale evento traumatico alla base dei loro disturbi.
A verifica di tale ipotesi ho
pensato di utilizzare i test dei
DSA per adulti: in quanto
test standardizzati in grado
di oggettivizzare le diverse
difficoltà nello studio, essi
avrebbero conferito maggior
scientificità al mio lavoro.
Se i test fossero risultati positivi avrebbero dato obiettività al ricordo soggettivo e
individuale delle difficoltà incontrate dai soggetti testati nel
percorso scolastico.
Volendo quindi verificare quanto la scuola potesse rappresentare un fattore di rischio, così come molte famiglie
continuavano a ripetermi, ho pian piano pensato ad un
impianto sperimentale che potesse darci una percentuale
di tale possibilità di rischio nell’ambito del disagio psicologico. Ho preso a riflettere che, se le stime indicavano
una distribuzione dei disturbi specifici di apprendimento pari
all’incirca al 5% della popolazione e tenuto conto che solo da
pochi anni in Italia si parlava di questo disturbo, c’era almeno un 5% di adulti assolutamente ignaro di avere tale caratteristica. Un 5% che, con grande probabilità, in età infantile
mostrava il quadro emotivo di un DSA e che, se l’ipotesi fosse stata convalidata, avrebbe dovuto manifestare nel tempo
un qualche disturbo psicologico. Ancora, se è vero che agli
psicoterapeuti si rivolgono coloro che stanno attraversando
un momento di disagio psicologico, era lì che si poteva
testare quanto un percorso
scolastico altamente frustrante potesse essere responsabile
di disturbi conclamati in età
adulta. Se tale ipotesi fosse
stata reale, la distribuzione dei
DSA tra la popolazione che
si recava nello studio di uno
psicologo, di uno psichiatra o
presso una struttura residenziale, non avrebbe più dovuto essere del 5%, ma ben
maggiore. Partendo da tale
assunto, a ricerca sperimentale compiuta, nel mio studio
tale percentuale si è rivelata
superiore al 30%, mentre nel
centro di recupero per le tossicodipendenze ha superato
43
SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
il 40%, mettendo in evidenza un dato non certo irrilevante.
Questo lavoro, dunque, vorrebbe ridarci il senso di quanto
un percorso scolastico non adeguato alle caratteristiche individuali potrebbe effettivamente essere un fattore di rischio.
L’impianto sperimentale è stato semplice, in sintesi la ricerca
si è articolata nel seguente modo:
1. somministrazione dei test diagnostici a un campione di
17 pazienti con un disagio psicologico che si è ipotizzato derivante da un DSA pregresso non diagnosticato;
2. verificata la reale presenza di un DSA nei soggetti
campione, strutturazione di una griglia con gli indicatori
comportamentali rilevati, quali indici di un disturbo
psicologico originato da un DSA pregresso e non riconosciuto;
3. somministrazione dei test diagnostici a un gruppo di controllo di altri 17 soggetti, inviatimi da altri specialisti e
individuati in base ai criteri esplicitati nella griglia da me
elaborata;
4. verificata l’ipotesi con la conferma di diagnosi di DSA nel
campione di controllo, diffusione dei dati.
Per la rilevazione della presenza di un effettivo DSA nei
pazienti adulti, ci si è avvalsi della collaborazione del Centro
Diagnostico per adulti di Reggio Emilia, il primo centro
pubblico in Italia, guidato dal dottor Enrico Ghidoni, che
ringrazio di cuore assieme al suo staff.
Il primo campione di 17 casi, di varie età e sesso, era costituito tutto da pazienti giunti a me negli anni tra il 2010 e il
2014 per una consultazione rispetto a vari disturbi psicologici. Essi mostravano, come caratteristiche salienti e in misura diversa, alcuni dei tratti seguenti: stato depressivo; crisi
di ansia; ansia da prestazione; senso di estraniamento;
quadro dell’incompreso; senso di solitudine; insicurezza
patologica; disistima profonda di sé; rabbia repressa o
agita; fobie; paure profonde, quale quella di inadeguatezza
e quindi dell’abbandono; bisogno patologico di piacere
e/o di essere al centro dell’attenzione; dipendenza affettiva;
dipendenza da sostanze psicotrope o da comportamenti
compulsivi; comportamenti autolesivi; disturbi del sonno
e/o dell’alimentazione; somatizzazioni; ecc. Tutti questi
tratti sono stati da me poi riassunti nella griglia elaborata,
quali indicatori di un possibile DSA non riconosciuto.
Vorrei per prima cosa dare un’idea della ferita profonda nella stima di sé che un percorso scolastico fallimentare comporta. Nel farlo, mi avvarrò della mia lunga esperienza con i
bambini con DSA. Questi, ovviamente, presentano una storia
di continue frustrazioni scolastiche e un quadro psicologico
con alcuni tratti piuttosto comuni, che ben presto prende a
distinguerli. È soprattutto di questo che mi occupo: accompagno a diagnosi centinaia di bambini e ragazzi e, con
loro, i genitori. A volte si danno per scontate troppe cose,
a volte il personale sanitario dimentica che chi ha di fronte
ignora la problematica, che risulta invece di routine per gli
specialisti del settore; ignora l’immaginario che si ha della
diversità, la paura profonda che comporta. Se da un lato
la necessità di creare categorie nosografiche tutela, dall’altro
stigmatizza. In una società pronta a penalizzare il diverso,
44
inserirlo in una categoria medica di cui tener conto nella valutazione dei suoi comportamenti, se pur gli dà una sorta di
lasciapassare, nel contempo lo definisce come malato. L’eccessiva medicalizzazione delle differenze ha i suoi grossi rischi, resi più grandi dalle possibilità di speculazione
economica che questo comporta. Se la scelta è fra l’essere
individuato come DSA e l’essere definito asino, si sceglie
la prima alternativa, perché venga data la possibilità di
un percorso di studi confacente alle proprie caratteristiche e
che consenta di ottenere i risultati desiderati, piuttosto che
venire bollati come chi non vuole saperne dello studio, sino
all’abbandono dello stesso e, con esso, di tutti i propri sogni.
Ma poi si è un DSA, qualcuno che ha un disturbo, qualcuno
che è diverso perché ha qualcosa in meno. Questo meno terrorizza ovviamente i genitori e ancor più i diretti interessati.
Ecco che accompagnare a diagnosi vuol dire prima di tutto
spiegare in cosa consiste questa disabilità, quanto consenta
di raggiungere i medesimi risultati, dopo che si è compresa
nei suoi meccanismi di pensiero, accompagnata e guidata
con le giuste metodologie e percorsi didattici mirati. Un
esempio vale più di mille parole: io stessa ho un DSA, tre
lauree e diverse specializzazioni. Non essendo diffusa una
visione della diversità quale opportunità, è pratica piuttosto
comune definirla come disturbo, malattia. I soggetti che in
questo secolo sono appartenuti ed appartengono alla categoria dei DSA (che già nella definizione, difficoltà specifiche di
apprendimento, lascia pensare a difficoltà nell’apprendimento
e non nell’utilizzo dei mezzi usati comunemente nella trasmissione dei contenuti), hanno avuto dunque la percezione
di essere mancanti, deficitari, per non dire deficienti.
Quello che in questi casi ne deriva è la strutturazione di
un sé fragile, pronto a sentirsi inadeguato, colpevole. Infatti,
la prima cosa che tutti fanno è colpevolizzare la vittima: è
colpa sua se non è bravo a leggere, è cosi facile! È sua la
responsabilità di tutti i problemi che incontra: perché non
si applica, perché non ci mette la giusta attenzione, così per
le tabelline che non riesce a memorizzare, o per gli errori di
fusione, di doppie e di elisioni, per non parlare di quelli ortografici. La colpa è sua, tutta sua.
Dunque questo lavoro è mirato a sottolineare quanto la
scuola possa essere un fattore di rischio per la strutturazione di un sé saldo e coeso e possa rappresentare un evento
traumatico vero e proprio. Sia ben chiaro, il mio non è un
attacco all’istituzione scolastica, che io ritengo primaria e
fondamentale, anzi rappresenta un riconoscimento del suo
grande potenziale: come ogni strumento potente, è in grado
di incidere profondamente, sia nel bene che nel male. Il mio
vorrebbe piuttosto essere un tentativo di migliorare sempre
più questo prezioso organismo a cui sento di appartenere,
poiché da più di trent’anni io stessa insegno in un liceo.
Come già detto, mi sono avvalsa dei criteri diagnostici per
i DSA per avere a supporto della mia tesi dati verificabili,
ma ritengo che qualsiasi percorso scolastico fallimentare,
qualsivoglia siano i motivi ad esso sottesi, possa dare origine al medesimo quadro psicologico che, a seconda della
storia personale di ciascuno, evolverà o meno verso varie
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
patologie.
Nella nostra società, in un’età compresa tra i 3 ed i 18 anni
(ma anche dopo, per chi frequenta l’università), il maggior
fattore della stima sociale del sé, se non l’unico, è rappresentato dalla riuscita nei percorsi scolastici e, come Pennac
insegna, andare male a scuola è sempre un grande dolore,
per tutti, anche per quelli che non vogliono darlo a vedere. Per questi, anzi, forse lo è ancora di più.
Il sé non è un datum, esso si costruisce nel tempo in base
ai rimandi che ci provengono dall’esterno e, se questi sono
tali da rimandarci continui fallimenti, l’immagine che ci si
costruirà di se stessi sarà sicuramente fallimentare. Come
uno specchio in cui poter vedere riflesso il proprio viso, l’ambiente esterno riflette al bambino l’immagine del suo sé in fieri
e in quella esso prenderà inevitabilmente a riconoscersi.
Riandando all’ipotesi della possibilità che la scuola per
alcuni possa costituire l’evento traumatico, corre l’obbligo
chiarire in breve cosa la psicologia definisce trauma. Il termine trae origine dal greco, dove sta ad indicare una ferita
grave con effetti permanenti; in psicologia viene ripresa la
sua accezione di ferita, ma intesa non come lacerazione
di tessuti che normalmente non presentano alcuna soluzione
di continuità, bensì come rottura dell’equilibrio emotivo e
psicologico dell’individuo. Personalmente, anche in forza dei
risultati della presente ricerca, sposo la definizione che vede
nel trauma la rottura di un legame: con se stesso, con l’altro,
con la realtà.
Ad ogni buon conto, il trauma produce un evento non
traducibile in parole: chi lo ha subito non lo può raccontare. Esso si costruisce in due tempi: nel momento dell’evento
traumatico e nel disconoscimento dell’ambiente circostante
che, negandolo, lo rende patogeno.
Per una serie di circostanze, questi elementi appaiono tutti
in chi, pur essendo supportato da buone capacità intellettive, presenta difficoltà scolastiche: le sue difficoltà finiscono
per essere ascritte a un suo scarso impegno e ad una sua
cattiva volontà. Le umiliazioni e le punizioni a cui sarà
quotidianamente sottoposto a scuola saranno ritenute giuste
da tutti, compagni e familiari compresi (disconoscimento del
trauma). Sarà ingabbiato in una difficoltà di cui non conosce
il nome, negata da tutti ma che pure vive e da cui non può
difendersi che con la dissociazione, lo spostamento, la distorsione della realtà, finendo per identificarsi con l’aggressore e
sentendosi così, in qualche modo, in colpa lui stesso.
Questo lavoro, oltre a supportare la necessità di una didattica maggiormente inclusiva delle diversità che sottragga
alla medicalizzazione le differenze individuali, si è mostrato
un valido strumento nella mia pratica psicoanalitica: verificare l’ipotesi che, dietro determinati quadri psicologici disfunzionali in età adulta, l’evento traumatico iniziale potesse
essere stato il proprio percorso scolastico e identificare in
questo modo il trauma, ha reso più facile e veloce la risoluzione degli attuali disagi psicologici dei casi testati.
Rimandare loro l’origine del proprio senso di inadeguatezza, tranquillizzarli sulle proprie capacità intellettive,
dimostrando loro di essere solo dei DSA non riconosciuti,
ha ottenuto un effetto rassicurante già nell’immediato. Non
individuare nella realtà l’evento traumatico e riportarlo alla
sola realtà intrapsichica potrebbe rischiare di «ritraumatizzare il paziente in terapia, proprio attraverso la ripetizione di
quella negazione della realtà da parte di un adulto in posizione di autorità che nel suo passato avrebbe dovuto essere
testimone e invece ha preferito non vedere». (Clara Mucci,
Trauma e perdono. Una prospettiva psicoanalitica intergenerazionale)
Lavorare sull’evento traumatico reale mi ha consentito di
riscrivere assieme a questi pazienti una storia che era stata
fatta da continui rimandi di incapacità. Il primo dato che
mi è saltato agli occhi, una volta assunta questa ipotesi nella lettura dei casi, è stata la rimozione dell’evento traumatico stesso. Alle domande circa la propria storia scolastica, la
maggior parte di loro la definiva normale.
Nei casi di abbandono scolastico, la risposta era quella
che in realtà la scuola non avesse mai veramente suscitato
il loro interesse, salvo avere le lacrime agli occhi nel momento stesso in cui facevano tale affermazione.
Quanti invece, seppure con enormi sforzi, erano arrivati
a conclusione di tale percorso, magari accontentandosi di
studi diversi da quelli che avrebbero voluto, hanno avuto
bisogno di molto tempo perché gli eventi fortemente traumatici della loro infanzia scolastica emergessero alla consapevolezza.
Verificata, dunque, la mia ipotesi con i primi 17 casi, ho
proceduto all’elaborazione della griglia con gli indicatori
psicologici che ho ritenuto possano indurre a vagliare l’ipotesi di un percorso scolastico frustrante come evento traumatico rimosso nel paziente. L’ho sottoposta all’attenzione
di alcuni specialisti, precisamente ai dottori: Marilena
Bencivenga, Mimmo Maggi, Giuseppe Ruggiero e Nadia
Sanza, tutti afferenti a diversi approcci psicologici, alcuni con
specifiche competenze relazionali, altri neuropsichiatriche,
altri ancora con un’esperienza pluridecennale rispetto alle
dipendenze da sostanze psicotrope.
Tutti i soggetti individuati da questi specialisti in base alla
mia griglia e testati dietro loro invio, sono risultati DSA,
alcuni con grado severo. Colgo l’occasione per ringraziarli
della loro preziosa partecipazione a questo studio, un ringraziamento particolare va alla dottoressa Sanza per alcuni
preziosi suggerimenti in merito allo schema da me elaborato.
La griglia che segue vuole essere un indicatore di segnali
e sintomi che potrebbero ricondurre ad un DSA non riconosciuto.
Anche una sola voce delle seguenti, se causa di un disagio
clinicamente significativo e/o compromettente in modo severo l’area sociale e lavorativa, può essere influente nell’indurci ad indagare in questa direzione. Non necessariamente
potremmo trovarci dinanzi ad una storia di insuccesso scolastico, viste le capacità cognitive sempre nella media o sopra
la media dei soggetti, né trovarci immediatamente di fronte
al ricordo di un percorso scolastico difficile e frustrante, considerata la rimozione dell’evento traumatico.
45
SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Segni/indicatori psicologici Descrizione
Rapporto critico con i genitori: sovente
incomprensione con il padre - forte simbiosi
con la madre, in una relazione grandemente
ambivalente
Il padre: “ma questo figlio non lo riconosco” La madre: “mio figlio ha bisogno di me, non posso lasciarlo solo”
DEPRESSIONE INFANTILE:
iperattività, distraibilità, disturbi del sonno,
disturbi dell’alimentazione, somatizzazioni, fobie “Non riesco a star fermo” “Sono confuso”
scolastiche
“Sono stanco di tutti questi stimoli” “E’ tutta colpa mia, sempre”
SENSO DI COLPA TIPICO DEL MECCANISMO
DI “INCOLPARE LA VITTIMA”
DEPRESSIONE ADULTA:
senso di vuoto e di inutilità, disturbi del sonno,
disturbi dell’alimentazione, somatizzazioni,
“Tutto è troppo difficile” “Non posso farcela” “E’ tutta colpa mia, sempre”
SENSO DI COLPA TIPICO DEL MECCANISMO
DI “INCOLPARE LA VITTIMA”
ANSIA:
fobie, somatizzazioni, disturbi del sonno e
dell’alimentazione
Tendenza alle condotte di dipendenza verso
persone, sostanze psicotrope o abitudini
compulsive, per combattere il senso di
alienazione. Comportamenti di rischio o
autolesivi: vanno da incidenti troppo frequenti
al ferirsi accidentalmente, al procurarsi
volontariamente altri tipi di ferite, al guidare in
modo sconsiderato, fino al tentato suicidio
DISISTIMA:
profondo senso di inadeguatezza, inferiorità;
intima, dolorosa convinzione di essere in
qualche modo difettoso, sbagliato, carente,
che permane nonostante tutti i giudizi positivi
e tutto le affermazioni o i risultati positivi
che pure possono essere stati raggiunti, sia a
scuola che fuori di essa; tendenza alle condotte
di dipendenza, ansia, ansia da prestazione
DISORIENTAMENTO
spazio – temporale e vulnerabilità:
un profondo senso di fragilità personale, di
debolezza ed incapacità; scarsa autonomia;
paura, che può essere estrema, di perdersi;
evitamento dell’esplorare;
tendenza alla dipendenza affettiva;
scarsa memoria degli eventi personali accorsi
in passato
“Sto male”
“Io sono stupido! Stupido!”
“La mia vita non ha alcun senso!“ È inutile continuare a vivere”
Tendenza al gioco d’azzardo,
Eccessivo uso di TV, FB, video giochi, utilizzo della musica per stordirsi
Ricerca spasmodica del legame e/o del sesso, Bisogno di distrazione da sé, Ricerca di autoconsolazione.
Vergogna
Paura conseguente all’inspiegabile senso di inferiorità
“In me c’è qualcosa che non va, che è profondamente sbagliato, inaccettabile”;
“Il mio vero sé è incomprensibile e difettoso”, pertanto: “merito di essere rifiutato”, “sono un rifiuto!”
Ansia
“Ho paura in un mondo così indecifrabile”, “Sono in pericolo”,
“Ho estremo bisogno di trovare i miei punti di riferimento nello spazio in cui vivo e nella mia storia”, “Non
posso cavarmela da solo”, “ Senza te sono perso”, “Non posso affrontare i cambiamenti”, “Per essere al sicuro
devo organizzare rigidamente il mondo attorno a me”
INCOMPETENZA o
IPER - PSEUDOSICUREZZA:
fallimento o ricerca eccessiva del successo e
del risultato
SINDROME DELL’INCOMPRESO
Estraniamento
DIFFICOLTA’ SOCIALI vs. VOLER STARE
SEMPRE IN MEZZO:
imbarazzo,vinibizione o tendenza all’isolamento
oppure verbosità, protagonismo
- più o meno inconsciamente alla ricerca
di conferme; comportamenti oppositivi,
comportamenti antisociali, bullismo. (Ipercompensazione:
la consapevolezza, l’esperienza della diversità
– vissuta come inferiorità - viene sia celata che
combattuta al punto di essere, con successo
solo apparente, difesa da una facciata di
grande competenza e/o prepotenza)
INIBIZIONE EMOTIVA vs. RABBIA:
scarsa spontaneità, scarso senso di libertà;
esplosioni, apparentemente immotivate, di
collera e comportamenti impulsivi; FRAGILITA’
DELL’IO:
difficoltà - incapacità di scegliere, incapacità
di dire ‘no’
46
“Non ho combinato nulla di veramente buono” “Sono, devo fare ed essere meglio di tutti quelli che conosco”
Tristezza, paura, rabbia “Nessuno mi capisce”
“Mi sento come fossi un MARZIANO” “Non mi ci trovo, non riesco ad inserirmi” “non appartengo, non posso
appartenere perché sono essenzialmente diverso da tutti gli altri”
“Meglio starmene in disparte, meglio non farmi vedere”
“Dimmi che vado bene”
“Io non sono da meno e te lo dimostrerò” Rifiutato, rifiuta.
“Non so se quello che sento è giusto”,
“Io non sono come gli altri mi vedono… io non vado bene… io non so chi sono”
Ci vuole un Io saldo e coeso per dire No. Il No è l’antesignano dell’Io nello sviluppo del sé, chi non dice mai
no, non dice mai neanche si, solo non sceglie.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
Il dato sorprendente emerso dallo studio è la corrispondenza quasi perfetta dei risultati all’ipotesi di partenza: su 34
casi complessivamente testati, solo uno è risultato negativo
e anche questo, pur se negativo al test per DSA, non lo è
stato rispetto all’ipotesi di un percorso scolastico fortemente
penalizzante, confermato dalla sua ricostruzione storica.
Prima dell’analisi dei dati, ottenuti con l’ausilio del dottor
Ghidoni e delle logopediste Rossella Grenci e Antonella
Spota, cui va un particolare ringraziamento per l’amore e
la passione con cui si sono dedicate a questa ricerca, vorrei
sottolineare un paio di elementi che nel corso dei lavori
hanno attirato la mia attenzione. Il primo riguarda l’emergere, nelle donne madri testate, di una corrispondenza tra la
ferita precoce nella stima di sé, inferta proprio da un percorso
scolastico fallimentare, e la possibilità di una loro depressione
post partum durante il puerperio. Sulle 7 donne madri testate,
5 hanno riportato una simile condizione: due di loro erano in
analisi proprio conseguentemente a questo problema, tre lo
hanno invece descritto nella propria storia anamnestica. Più
della metà, dunque. Certo, per la sua esiguità il campione
non può ritenersi rappresentativo della popolazione, ma
questa altissima corrispondenza non può essere sottaciuta,
affinché divenga magari, nel prosieguo, una variabile su
cui indagare. È cosa nota che alcuni eventi rimossi, alcune fragilità personali, possano essere riattivati nei momenti
particolarmente cruciali della propria esistenza. Nell’ottica
della psicologia dello sviluppo, piuttosto che in quella del
solo sviluppo infantile o di quella dell’età evolutiva, analizzando l’intero arco dell’esistenza, ogni fase del ciclo di vita
è ritenuta suscettibile di crisi e cambiamenti (life span). Per
una donna la maternità rappresenta esattamente uno di questi
nodi cruciali.
Il secondo dato che man mano è emerso dalle varie
storie raccolte riguarda invece il riscontro, nel campione
testato, di una particolare propensione verso le condotte di
dipendenza, da quelle affettive a quelle da sostanze psicotrope. Ciò trova conferma in alcune ricerche che hanno ravvisato una simile correlazione, le une rispetto ai DSA (quale
ad esempio quella di Scott nel suo Drug abuse amongst dyslexics, 2004), le altre rispetto a chi ha subito eventi traumatici
(come quelle raccolte nel Substance Abuse Prevention and
Treatment Block Grant Technical Assistance Program, che
dedica l’intero capitolo 3 agli effetti dell’alcool e di altre droghe nei pazienti traumatizzati).
Questi studi, dunque, finiscono per confluire nell’ipotesi
che vede in un percorso scolastico altamente frustrante la
possibilità di un evento traumatico. Come dicevo in apertura,
sono propensa a leggere il trauma come rottura del legame
originale che, con l’età, diviene inevitabilmente rottura del
legame con se stessi, con le proprie istanze genitoriali introiettate. In questa ottica le condotte di dipendenza possono
essere lette come il tentativo di ricreare un legame sostitutivo con sostanze, cose, comportamenti, persone, che diviene
fatalmente dipendenza. Per quanto riguarda le dipendenze
affettive, il dato emerso da questo lavoro le vede contraddistinguere maggiormente la popolazione femminile. Ritengo
che ciò sia imputabile a fattori culturali socialmente appresi, ma l’analisi di questa variabile, già affrontata nella mia
pubblicazione Lo zoo al piano di sopra, quando al piano
di sotto l’amore fa male (Serarcangeli Editori), non è stata
oggetto del presente studio. Ad ogni buon conto, anche se in
percentuale minore, tale tendenza non è esclusa nella popolazione maschile. Oltre al modello appreso di identificazione
con il carnefice, nelle dipendenze affettive la percezione di
valere, di essere prezioso, amabile, che non si è mai riusciti
ad avere di sé, viene finalmente rimandata dagli occhi di chi
ci ama. Purtroppo, però, il senso del nostro valore non può
essere rimesso nelle mani di altri, in quanto ne diverremmo
inevitabilmente schiavi, disposti a tutto pur di non perderlo:
perdendo quegli, perderemmo di nuovo il nostro senso del
sé. Nelle dipendenze, quali esse siano, siamo sempre di fronte
ad un locus of control esterno, potremmo dire una sorta di
tentativo di legame esterno sostitutivo di quello con un’istanza interna eccessivamente rigida, giudicante, svalutante
e punitiva. Questo legame diviene inesorabilmente laccio,
catena, cappio.
Risaliti all’evento traumatico iniziale, il lavoro deve procedere, dunque, verso una nuova consapevolezza del proprio valore intrinseco: chi non impara ad amarsi per quello
che è, ricostruendo la propria immagine interiore che gli
eventi hanno fortemente minato, difficilmente può amare o
essere amato. Egli avrà piuttosto buone probabilità di costruire trappole affettive basate sul bisogno o, addirittura, di
consumarsi in condotte autolesive. L’altissima percentuale
di condotte di dipendenza, quale conferma della forte correlazione tra una ferita precoce nella stima di sé inferta
dall’istituzione scolastica e personalità adulte particolarmente fragili, inclini dunque ad aggrapparsi ad altro, mi
ha spinto infine a sottoporre la mia griglia ai due psicologi
responsabili di un centro di recupero per tossicodipendenze.
Somministrato il test diagnostico agli ospiti del centro, nei
quali i miei due colleghi hanno ravvisato caratteristiche
corrispondenti a tale griglia, tutti i soggetti segnalatimi
sono risultati positivi al test per DSA. La correlazione tra
un percorso scolastico frustrante e le tossicodipendenze si è
mostrata altissima: più del 40% degli ospiti di tale struttura
è risultato positivo alle batterie somministrate.
Tra i vari capitoli di questa ricerca, questo è stato per me
il più gravoso, non solo per il carico di lavoro richiesto
dai numerosi casi da testare, quanto per tutte le storie di
dolore e di degrado rivissute con questi ragazzi, storie che
forse avremmo potuto evitare con un pò di accortezza in più.
Quando la scuola mette fuori qualcuno che appartiene ad
una famiglia con pochi strumenti culturali ed economici, emette una condanna certa. Sentire qualcuno con più di
trent’anni confessarti che ha imparato a leggere l’orologio
da soli pochi mesi, senza che mai nessuno capisse che dietro
c’era una difficoltà spazio-temporale e non un’idiozia, è una
sconfitta dolorosa anche per noi operatori.
A spingermi ancora di più in questo lavoro, la speranza di
evitare a tanti altri ragazzi storie simili, ma anche i continui
rimandi da parte di tutti i soggetti testati, nessuno escluso,
47
SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
di un immediato sollievo e di una migliorata percezione
di sé.
Questa è stata, dunque, una ricerca-azione nel senso
più pieno della definizione, essendo divenuta nel contempo
un primo intervento mirato ed efficace per quanti ad essa si
sono sottoposti.
Rispetto al disturbo psicologico, i dati di maggior rilievo
sono apparsi i seguenti:
- incidenza di un percorso scolastico altamente frustrante
sul disagio psicologico in generale, calcolabile ben al di
sopra del 5% (basti pensare al numero dei casi positivi
al test di DSA nel centro di recupero per le tossicodipendenze);
- alta corrispondenza con le condotte di dipendenza in generale. Su un campione totale di 34 persone, 24 hanno
manifestato in varie forme tale problematica, per una percentuale pari al 70% dei casi (Fig. 4);
- alta corrispondenza tra una ferita nella stima di sé da trauma scolastico nelle bambine e una loro depressione post
partum in età adulta (Fig. 1).
Rispetto ai fattori socio-ambientali, i dati di maggior rilievo sono apparsi i seguenti:
- specificità di genere nelle risposte individuali al trauma
scolastico (Figg. 2-3);
- alta incidenza dei fattori socio-culturali della famiglia
sui percorsi scolastici difficili dei figli e, quindi, sul
48
loro abbandono scolastico precoce e sui rischi di eventuali comportamenti devianti e antisociali che esso può
comportare (Fig. 5).
La corrispondenza tra un basso livello di scolarizzazione
dei genitori e la difficoltà dei figli a raggiungerne uno elevato
è risultata altissima: i soggetti con un DSA che hanno raggiunto la laurea sono essenzialmente quelli che hanno potuto usufruire dell’aiuto di genitori istruiti, così come il loro
abbandono precoce degli studi corrisponde fatalmente con la
scarsa scolarizzazione degli stessi. L’aiuto per questi ragazzi
è stato dunque quello della scuola o quello della famiglia?
La griglia della pagina accanto è stata elaborata dalle logopediste Grenci e Spota nella sua parte logopedica e da
Laura Pecoriello, laureanda in psicologia clinica, per quanto riguarda la descrizione dello spettro di sofferenza psicologica dei singoli casi, colgo l’occasione per ringraziare
anche lei. Essa è stata ottenuta integrando il campione dei
28 soggetti testati in collaborazione con il dottor Ghidoni
e del suo staff, con i 6 casi che, per la loro giovane età,
hanno potuto essere diagnosticati presso la nostra struttura
ospedaliera. A seguire vi sono poi i grafici che mostrano le
altre correlazioni rilevate e l’ultimo, relativo alla correlazione
tra il livello di studi dei genitori e quello raggiunto dai figli,
esclude ovviamente i 6 soggetti il cui percorso di studi non
è ancora terminato.
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9
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7
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13
education
EMOTIONAL ADDICTION
REPRESSED ANGER
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY,
HYPOCHONDRIA, SOMATIZATION
AGGRESSIVE-IMPULSIVE BEHAVIOURS
REFERRED
AVOIDANCE AND DEPENDENT PERSONALITY
TRAITS
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
REPRESSED ANGER
DEPRESSED WITH PSYCHOTIC
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PHYSIOTHERAPIST
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MOOD DESORDER
DEPRESSED WITH PSYCHOTIC
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SEVERE
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DYSORTHOGRAPHY
MODERATE
SUBSTANCES ADDICTION
LABOURER
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ARTIST
UNEMPLOYED
PLUMBER
COOK
UNEMPLOYED
ARTISAN
UNEMPLOYED
UNEMPLOYED
UNEMPLOYED
EX TAILOR
STUDENT
SHOPKEEPER
MANAGER
SUBSTANCES ADDICTION
ANTISOCIAL BEHAVIOUR
MOOD DISORDER
EPILEPSY AND ANXIETY STATUS
SLEEP AND EATING DISORDERS
PHOBIC TRAITS
REPRESSED ANGER
BANK CLERK
RETIRED
EMOTIONAL/SUBSTANCE
ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
HOUSEWIFE
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RESEARCHER
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MILD
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TUTOR
SHOPKEEPER
MILD
DIGITAL AFTERSCHOOL TUTOR
MILD
MILD
STUDENT
MODERATE
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MODERATE
DISLEXIA
STUDENT
EMOTIONAL ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
EMOTIONAL ADDICTION
SOMATIZATION
STUDENT
STUDENT
STUDENT
JOB
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
SUBSTANCES ADDICTION
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
PARANOID PERSONALITY DISORDER
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
SEVERE STATE OF DEPRESSION
BORDERLINE
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
ANXIETY-PHOBIC TRAITS
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
EMOTIONAL ADDICTION
LUDOPATHY
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY, AVOIDANCE
AND PHOBIC TRAITS
STATE OF DEPRESSION-ANXIETY
psychopat diagnosis 2
psychopat diagnosis 1
NO
NO
SEVERE
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MODERATE
MODERATE
MODERATE
MODERATE
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NO
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NO
NO
NO
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DIS
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
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SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Nel campione sono stati considerati solo i soggetti di sesso femminile diventate madri. L’incidenza di una depressione
post-partum è evidente: su 7 donne con figli, 5 hanno sofferto
di questo disturbo.
La figura 5 rappresenta il grafico della correlazione tra il
livello di scolarità dei genitori dei soggetti testati e quello
raggiunto dai soggetti stessi.
Figura 1 - Depressione post-partum
Figura 5 - Correlazione livelli di scolarità genitori/campione testato
Le figure sottostanti sono relative alla specificità di genere
nella risposta al trauma.
Come evidenziato, la concordanza con l’ipotesi è stata ampia. Affinché il campione possa essere maggiormente rappresentativo della popolazione, è mia intenzione allargare
tale indagine a tutte le strutture per la cura delle tossicodipendenze e alle carceri minorili presenti nella mia regione.
Spero quanto prima di poter rendere noti anche questi
risultati.
Voglio ribadire ancora una volta quanto questo lavoro
sottolinei l’importanza della scuola per il benessere degli individui e la necessità che essa acquisisca competenze sempre
maggiori, nella consapevolezza del suo indispensabile ruolo
nella formazione dei nostri giovani e dei nostri bambini. Ho
riflettuto a lungo prima di decidere per la pubblicazione di
questa ricerca. Essa poteva divenire un valido strumento per
i colleghi psicoterapeuti, per gli psicologi e per gli psichiatri,
ma nel contempo in un’epoca come la nostra, contraddistinta da una insulsa quanto sterile caccia alle streghe, facilmente si sarebbe potuto fraintenderne il contenuto e giungere a conclusioni superficiali, quanto controproducenti. Se
dovessimo fare una ricerca su quante giovani vite la scuola
ha salvato, i numeri sarebbero certo maggiori, eppure questo
non ci esime dalla costante ricerca di salvarle tutte.
È necessario un cambio culturale che ridia dignità ad una
professione, quella dell’insegnante, da troppi anni bistrattata
nel nostro Paese, una professione sulla quale chiunque pare
sia in grado di dire la propria, senza capire, ad esempio,
che le ore di insegnamento frontale sono solo una parte
delle mansioni che essa richiede. L’insegnamento non deve
però essere il ripiego di professionisti falliti nel proprio
settore, ma la scelta di chi decide di cimentarsi nell’arduo
compito di riuscire a trasferire il proprio sapere. Per poterlo fare nel migliore dei modi bisogna avere competenze
psicopedagogiche specifiche e aggiornate anche in merito
alle neuroscienze, diviene pertanto fondamentale la formazione continua di tali figure. La scuola e gli insegnanti
vanno aiutati: in questo momento di passaggio epocale, in
cui le conoscenze si moltiplicano in maniera esponenziale,
le competenze di un insegnante devono essere altre e tante.
L’insegnamento è una di quelle professioni ad alto rischio
di burnout, quella sorta di depressione da lavoro che
Figura 2 - Dipendenza affettiva
Figura 3 - Rabbia agita e comportamenti antisociali
Nel grafico in figura 4 si considera la totalità del campione.
Viene quindi calcolata la presenza di dipendenze (affettive, da
sostanze e altre).
Figura 4 - Presenza di dipendenze
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SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
colpisce coloro che, impegnati in professioni di aiuto, sono
sollecitati fortemente dall’utenza, mentre l’istituzione a cui
appartengono, per come è organizzata, non consente loro di
far fronte alle tante e diverse richieste. La risposta in questi
casi può essere un distacco emotivo che difende l’individuo
dalla frustrazione di non poter intervenire, o il trincerarsi
dietro schemi obsoleti, rassicuranti proprio per il loro essere
quelli di sempre. Chiediamo dunque grande competenza a
chi svolge o si accinge a svolgere questa professione, ma nel
contempo è importante che ad essa venga riconosciuto il suo
alto valore sociale: in Giappone, le uniche persone che non
devono inchinarsi all’imperatore sono gli insegnanti, coloro
che possono trasmettere il sapere.
Questa ricerca mostra quanto profondamente possa incidere la scuola nella storia di ciascuno, bisogna che lo faccia,
dunque, in maniera positiva. Nel mio percorso, accanto
all’inevitabile dolore di un DSA ai miei tempi neppure conosciuto come definizione, ho avuto la fortuna di incontrare anche tanti grandi maestri. A loro tutta la mia gratitudine,
perché è proprio ai miei maestri che devo la pienezza della
mia vita. Con il mio operato spero di rendere loro sempre il
giusto merito.
BIBLIOGRAFIA
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‘Dyslexia’, 12, pp. 256-275, 2006
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Goleman D., Intelligenza emotiva, Editore Rizzoli, 1996
Wolf M., Proust e il calamaro, storie e scienze del cervello che legge, Editore Vita e Pensiero, 2012
Consensus Conference Disturbi Specifici di apprendimento. Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,
Roma, 2011
RINGRAZIAMENTI
Maria Elena Bencivenga, psicologa e psicoterapeuta, Presidente Associazione Insieme
Enrico Ghidoni, responsabile S.S. di Neuropsicologia
Clinica, Disturbi Cognitivi e Dislessia nell’adulto, Unità
di Neuropsicologia, Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio
Emilia
Domenico Maggi, psicologo e psicoterapeuta, Direttore
del Centro Polifunzionale Integrato Potenza Città Sociale
Giuseppe Ruggiero, psichiatra e psicoterapeuta, Dirigente
dell’Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica di Napoli,
docente presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma
Nadia Sanza, psicologa clinica e psicoterapeuta
Ringrazio inoltre per la cura dell’editing l’architetta Franca Crocetto
La verifica in merito all’effettiva presenza di un DSA
nel campione adulto è stata effettuata in collaborazione con il dottor Enrico Ghidoni e il suo staff, con la
dottoressa Rossella Grenci, logopedista presso l’Ospedale
San Carlo di Potenza e autrice di numerosi lavori sulla
dislessia, con la dottoressa Antonella Spota, logopedista
presso il Centro Aias di Melfi (Pz) e con Laura Pecoriello,
laureanda in psicologia clinica, Università di Chieti, tesi di
laurea sperimentale sui DSA.
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STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Le libere accademie in Italia
CATERINA BRUGNOS INTERVISTA ALESSANDRO BERTIROTTI
I
n Italia, dal 1600 al 1800 molte furono le “libere
accademie” sorte per risvegliare un assopito progetto culturale nazionale (L’Accademia dei Rinnovati, L’Accademia dei Filareti, L’Accademia degli
Incolti, l’Accademia degli Intronati, l’Accademia
di Arcadia, L’Accademia dei Remoti). In Italia compare
l’Accademia dei “filoniati” a Siena all’Eccellentissimo dottore giurista senese Girolamo Benvoglienti, che darà inizio
alla tradizione filomatica, in poco tempo trasferitasi nella città di Lucca. La Reale Accademia dei Filomati di Lucca venne fondata ufficialmente il 9 gennaio 1826, raccolse cultori
del sapere fino al 1857 anno in cui le adunanze pubbliche ebbero fine. La sede venne donata dal Principe Matias sotto la
protezione della Chiesa Cattolica, nei vescovi Filippo Sardi
(3 agosto 1789 – 8 marzo 1826) e Giuseppe De Nobili (3 luglio 1826 – 29 marzo 1836) durante il Regno di Papa Leone
XIII (2 marzo 1810 – 20 luglio 1903), primo pontefice della
modernità, il primo ad essere filmato con il cinematografo ed
anche il primo a non esercitare il potere temporale. Non va
dimenticato che Leone XIII1 scrisse l’Enciclica Rerum Novarum che, si narra, venne “ispirata” al papa proprio grazie
ai filomati. La sede filomatica, il teatro regio, venne distrutta
da un incendio. Messo all’asta, il teatro fu comprato dall’Accademia dei Rinnovati. Per ricomprare il teatro l’Accademia
dei Filomati dovette fondersi con quella dei Rinnovati. Il teatro dei Rinnovati, nonostante tutto, venne donato al comune,
probabilmente per debiti economici, nel 1935. Oggi questa
realtà accademica è ancora viva ed operante, ha sedi territoriali, progetti e soci in tutto il mondo:
On the 28th December 2005, thanks to the involvement of qualified
members of Italian and foreign economic, political and cultural environments and the main western European countries, it took place some
preliminary meetings in order to verify the viability of an association
which allowed to deepen and discuss the main topics (such as politic,
philosophy, economics, history, psychology, medicine and so on. The
perception of founders was from its origins that a debate between people of different backgrounds and professional proficiency but with
the same level of responsibility, could contribute more effectively to
improve the ordinary knowledge of issues by studying and discussing
to spot new solutions2.
Il suo leader è un docente universitario italiano, il professor Alessandro Bertirotti. Docente in numerose università, in
Italia e all’estero, è scrittore e saggista affermato internazionalmente da almeno un trentennio. Professore, se lei dovesse
descriversi in una frase, come definirebbe se stesso e il suo
lavoro?
BERTIROTTI: La frase che meglio identifica il mio studio, la mia ricerca, è quella che appare nel web quando si
digita il mio nome e cognome, ossia La mente desidera quello che il cuore sente. In questa frase è presente sia l’idea che
io mi sono fatto di me stesso e degli esseri umani, a forza
di studiarne il comportamento, quando messo in relazione
con il funzionamento sano del cervello. In effetti, siamo tutti
convinti, da quando le neuroscienze hanno iniziato a fornire
nuovi contributi in grado di evidenziare il ruolo del funzionamento del cervello, che la mente sia un prodotto di tale
funzionamento. Ebbene, questo funzionamento non è solitario, anche quando siamo in solitudine, perché il nostro cervello risponde costantemente agli stimoli esterni del mondo
visibile e agli stimoli interni del proprio mondo invisibile.
Ecco perché definirei me stesso un uomo decisamente fortunato, in quanto faccio nella vita, come lavoro, esattamente
ciò che ho sempre desiderato, ossia conoscere me stesso, gli
altri e il mondo. Insomma, nel mio caso, quello che sono è
esattamente la soddisfazione di quello che faccio. Una grande occasione fortunata, non c’è dubbio.
Qual è la sua attività di ricerca principale?
economic, social) familiar to all knowledge branches: like science,
1 Si veda l’importante “Museo dei Cimeli”, sito in Carpineto Romano.
52
2 https://en.wikipedia.org/wiki/Philomatic_society , Url consultato il
24/04/2016.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | STORIA
Io mi definisco, e
vano prendersi in giro,
oramai lo fanno anche
e dunque erano nella
gli altri, un antropolocondizioni di sperigo della mente, ossia il
mentare con una certa
prosecutore dell’intucostanza che l’unico
izione scientifica che
modo per stare al mondo, godendo di buona
ebbe negli anni ottansalute fisica e mentata il mio professore
le, è quello di studiare
Gavino Musio, fonsempre cose nuove, per
datore dei presuppocontinuare a rivedesti dell’Antropologia
re, e costantemente, le
cognitiva nella nostra
cose vecchie. I Filomanazione e che scrisse
ti sono un’occasione
il suo ultimo testo dal
di vita, per conoscere
titolo Il neurone cule stare bene. Certo,
turale. L’antropologia
Raffaello, La scuola filosofica di Atene
per essere noi un’ocdella mente studia lo
casione è necessario
sviluppo evolutivo del
funzionamento mentale, cercando di collocarlo nella sua di- che coloro che ci avvicinano e si avvicinano a noi sappiamo
mensione culturale, ossia all’interno delle relazioni che si riconoscere tale occasione, altrimenti non ci vedono. Ma lo
stabiliscono in qualsiasi gruppo sociale, secondo dinamiche sappiamo tutti, esistono delle differenze qualitative fra gli
storiche e di comunicazione. Sono, proprio lo scorso anno, uomini, come fra i cibi.
diventato Visiting Professor di questa materia presso la UniFilomati significa “amanti dell’apprendimento”. Dunque
versidad Externado de Colombia, in Bogotà, ed ho appena
pubblicato il mio ultimo testo, Diversamente uguali. Noi, gli anche nella cultura c’è l’amore? Esso è un valore imprescinaltri, il mondo, su temi antropologico-mentale, con le Pao- dibile oppure è destinato, anch’esso, ad essere soppiantato
dalla scienza e dalla tecnica?
line Editori.
A questa domanda posso solo rispondere invitando tutti
Nel mondo 2.0 che stiamo vivendo ha ancora senso parlare a leggere il mio penultimo libro intitolato “La mente ama”,
nel quale dimostro, appunto, che nessuna forma di amore
di cultura in senso editorialistico e associazionistico?
Non saprei, nel senso che nel mondo attuale sembra che può esistere senza conoscenza, e che quest’ultima è esprestutto sia privo di senso. Forse dovremmo persino ridefini- sione dell’amore universale per il creato. Quando la mente
re una serie quasi infinita di convinzione, e cercare, prima ama, essa conosce e si può conoscere solo ciò che si ama.
di qualsiasi domani, di capire per quale motivo sono sem- Quando uno dei due ingredienti non è presente, la ciambella
pre meno le persone che riescono a dare risposte, rispetto esce sì, ma senza buco.
alla maggioranza di quelle che continuano a domandare.
Quali sono le maggiori difficoltà che i filomati incontrano
Insomma, anche il mondo associazionistico ed dell’editoria dovrebbero rifondare la loro sostanza nelle radici delle oggi nella loro “missione”, e quali prospettive lei pone come
motivazioni personali, psicologiche e antropologiche che urgenti nell’esecuzione del suo mandato presidenziale?
Le difficoltà maggiori sono legate alla burocrazia italiana
portano l’intera umanità a cercare l’altro, specialmente il
diverso da sé, come unica e vera fonte possibile di miglio- nella quale siamo immersi. Cosa diversa per i nostri filomati
ramento. Certo, il miglioramento non significa assenza di che vivono ed esercitano la loro filomazia all’estero, dove le
fatica o di conflitti, ma è l’unica strada per contribuire a cose sono molto più realmente semplificate4. Un altro tipo
rinnovare un’umanità che appare sempre più sfiduciata ver- di difficoltà e l’assenza di interesse verso se stessi e verso
la fatica a trovare se stessi che caratterizza questa postso tutto e tutti.
modernità, ed è, secondo me, una situazione mondiale nella
Cosa sono i filomati oggi e quale vuole essere il vostro quale si respira quotidianamente una dilagante confusione
valore aggiunto a tutte le altre realtà sociali presenti nel mon- rispetto ad ogni cosa. Proprio in questo senso, il mio compito, come presidente internazionale, sarà solo quello di avvido?
I filomati oggi cercano di essere nella sostanza ciò che cinare fra loro il maggior numero di differenze esistenziali
sono stati i filomati di allora, coloro che ci hanno permesso possibili, nella creazione di dipinto che le sappia contenere
di essere oggi una loro continuità3. In altri termini, i filo- tutte, all’interno di una cornice universale, l’amore per quemati di allora erano persone “serie”, nel senso che sape- sta vita e tutti coloro che la abitano, compreso i sassi.
3 Si veda Danilo Campanella, La fine del nostro tempo, Dissensi editore,
Viareggio 2016, p. 17.
4 Si veda anche https://en.wikipedia.org/wiki/Philomatic_society , Url
consultato il 24/04/2016.
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SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
Scienze e diritto nella procreazione
medicalmente assistita
FLAVIA ANASTASI
LE FRONTIERE DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
L
NELLA SCIENZA
a fecondazione eterologa permette l’unione
dei gameti artificialmente, osservabili tramite il microscopio. Il seme o l’ovulo provengono da un individuo al di fuori della coppia.
I metodi ammessi dalla legge 40 del 2004
in Italia per questa tipologia di fecondazione sono principalmente due e si suddividono in interventi di primo e secondo
livello.
Nell’inseminazione artificiale si procede attraverso l’inserimento di liquido seminale nella cavità uterina, la tecnica
viene detta di “primo livello” e superando il tratto cervicale
gli spermatozoi giungono direttamente all’utero. L ’inseminazione intrauterina mira, attraverso una terapia ormonale
(generalmente gonadotropine) a stimolare la produzione di
ovociti da parte dell’ovaio durante il medesimo ciclo. Lo
scopo è indurre una crescita follicolare multipla. In tal caso è
importante monitorare ogni due giorni la crescita dei follicoli
(che diventeranno ovociti) tramite ecografie oppure analisi
del sangue per controllare la secrezione ormonale.
Se la sterilità è di grado importante si ricorre alla tecnica di secondo livello, detta fertilizzazione in vitro con trasferimento degli embrioni. .I tre ovociti sono prelevati per
via transvaginale in anestesia e l’ intervento è monitorato da
ecografia. Successivamente vengono scelti gli ovuli per la
fecondazione e viene preparato il campione di sperma.. Gli
ovociti sono posti su una piastra in cui è presente liquido
seminale, se avviene la fecondazione si prelevano 3 embrioni
che vengono trasferiti nell’utero.. Il numero di tre è previsto
dalle line guida della European Society for Human Reproduction & Embryology (ESHRE) allo scopo di mantenere
un certo equilibrio fra probabilità di gravidanza e rischio di
gravidanza plurigemellare. Il trattamento può durare dalle 4
alle 6 settimane.
Altrimenti, un’altra opzione, sempre di secondo livello,
54
prevede l’iniezione intracitoplasmatica di sperma. Un singolo spermatozoo è inserito nel citoplasma , al fine di fecondare l’ovulo, con i medesimi accorgimenti medici della
precedente tecnica. Anche in questa evenienza, infatti, è importante il monitoraggio della risposta ovarica. Così si crea
artificialmente l’unione delle cellule riproduttive mature, ovvero i gameti. Clinicamente si pongono problemi rilevanti,
come la possibilità che tramite metodi artificiali si possano
generare figli malformati o con problemi genetici. Tali possibilità sono dovute alla situazione biologica pre esistente della madre e non alle tecniche utilizzate. Molto spesso queste
donne si sottopongono a severe terapie ormonali o interventi
dell’apparato genitale proprio per il loro problema di infertilità.
La fecondazione di secondo livello presenta invece questioni legate ad anomalie dell’imprinting genomico, di fatti
alcune rare malattie genetiche ( sindrome di Angelman, di
Berkwitz) sembrano poter essere correlate proprio alla tipologia di inseminazione intracitoplasmatica. Ciò sembra derivare dalle condizioni di ipofertilità paterna . Tali rischi inducono i clinici a consigliare di sottoporsi alla fecondazione di
secondo livello solo in casi estremamente gravi di infertilità..
La diagnosi pre impianto , clinicamente, risulta essere una
pratica molto importante. Tale indagine viene svolta su due
globuli polari, o su blastomeri pre embrionali, prelevati dalla
donna. I globuli polari sono corpi citoplasmatici che contengono i cromosomi espulsi dall’ovocita durante la maturazione meiotica.
Il primo esce durante l’ovulazione, il secondo con l’entrata
dello spermatozoo nell’ovoplasma, con l’attivazione dell’ovocita. Le indagini vanno eseguite su entrambi e forniscono
informazioni genetiche sull’ovocita e non sull’embrione. Si
possono così utilizzare cellule uovo non portartici di malattie
genetiche per il concepimento, in caso di malattie recessive
di entrambi i genitori o di malattie genetiche della madre.
Sempre in relazione alla fecondazione artificiale una metodica utilizzata è la crioconservazione ovvero il congelamen-
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
to delle cellule uovo, che sostituisce quella dei pre embrioni
(un metodo vietato in Italia) e permette la conservazione del
patrimonio follicolare in donne con patologie che danneggiano il sistema riproduttivo. Vengono congelate strisce di
corticale ovarica trasferite poi in altre parti del corpo (es. addome) al fine di ripristinare una corretta funzionalità. Infatti
la maturazione dei follicoli in vitro risulta altamente complessa.
Si sta tentando, in alcuni laboratori, di produrre ovuli artificiali per evitare la donazione di quelli naturali. Inoltre sperimentazioni sono in atto per ridurre l’ipofertilità, aumentando
il numero dei gameti e dunque le possibilità riproduttive. Si
coltivano in vitro spermatogoni, cellule germinative primordiali; negli ovociti si tenta di bloccare la divisione meiotica e
attivare la mitosi per la moltiplicazione delle cellule.
Oggi la fecondazione eterologa nel territorio italiano è inclusa nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) del Servizio
Sanitario Nazionale ed è gratuita o tramite pagamento di ticket, fino a tre tentativi, per le donne fino ai 43 anni di età.
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA ALLA
LUCE DELL’ULTIMA PRONUNCIA DELLA CORTE
COSTITUZIONALE
“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”: con la Legge 40/2004 l’ordinamento giuridico italiano
disciplina gli artifici medico chirurgici atti a sopperire l’incapacità umana, femminile o maschile che essa sia, di poter
generare prole naturalmente. Sterilità e infecondità sono considerati alla stessa stregua.
A livello di legislazione i limiti imposti dalla legge
(L.40/2004) riguardanti la ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni, intendono evitare la possibilità di creare “bambini su misura”, intervenendo geneticamente sui gameti. Il
ricorso all’eugenetica è vietato , così come ogni forma di
speculazione economica. La recente disciplina in materia
di procreazione assistita, quali risultati ha raggiunto, considerando i cambiamenti dell’opinione pubblica nel corso del
tempo? Si tenterà di rispondere a tale domanda alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali in merito e in base agli
avanzamenti della scienza medica in ambito di procreazione.
Il legislatore, fin dalla genesi della regolamentazione in
questione ha optato per una visione omnicomprensiva del
concetto di procreazione. Tale impostazione ha animato, nel
corso di un decennio, numerosi dibattiti e pronunce giurisprudenziali, che hanno modificato la morfologia della legge
stessa.
Tutt’oggi la dicotomia tra bioetica e diritto genera antitetiche posizioni ideologiche, che mal si conciliano con una
coerente e armoniosa interpretazione della norma pretoria.
Diverse concezioni si alternano nel dibattito odierno: alcuni ritengono sia impossibile rinunciare al diritto in questioni
di bioetica, altri sostengono che quest’ultimo sia solamente
un meccanismo costituito al fine di emettere sanzioni. Sul
versante cattolico si palesa un’evidente avversione sulla costruzione di legislazioni in materia di etica ai fini di nuove
nascite.
La bioetica nasce agli inizi degli anni settanta del millenovecento e si occupa di numerose questioni relative alla cura
medica, alla morte e alla vita. In quest’ultimo caso si inseriscono le riflessioni sulla nascita al di fuori del rapporto sessuale, la tecnica della fecondazione in vitro e il trasferimento
dell’embrione al fine di evitare malattie genetiche.
Difficile definire la stessa “bioetica”: tale scienza ricomprende l’etica ma non è identificabile con quest’ultima, gli
aspetti inclusi sono la morale, il diritto e le regolamentazioni
in ambito medico.
All’origine delle filosofie sulle nascite medicalmente assistite si instaura l’elaborazione di un’etica riproduttiva che
ricomprenda i diritti dei singoli al pari della futura prole. In
una concezione deontologica si rivelano avversioni sulla
possibilità stessa di far nascere un bambino al di fuori della
normale coppia eterosessuale, in un ottica consequenzialista
prevalgono le valutazioni delle condizioni di vita della futura
famiglia con prole, secondo invece le concezioni della virtù
si valutano le caratteristiche personali di coloro che scelgono
di far nascere una nuova vita.
L’etica medica e la bioetica non vanno comunque confuse:
nelle questioni sanitarie si ricerca una soluzione accettabile
sia dal paziente che dal medico.
Il lato normativo mostra dunque una sottile interposizione
con il biodiritto, se si vogliono considerare quali criteri etici
affrontare nel momento in cui si verificano problemi bisogna
necessariamente aprire uno spazio etico di riflessione che
ricomprenda una moltitudine di scienze umane quali l’antropologia, la psicologia la storia e la sociologia, indispensabili per evidenziare il contesto in cui i fatti si verificano.
Il biodiritto si pone come un diritto giurisprudenziale e non
legislativo. Il versante normativo si costituisce anche con la
politica ai fini di confrontarsi sulle dimensioni normative che
vengono istituzionalizzate.
Il primo caso si poneva all’attenzione del Tribunale di
Roma già nel 1956, una donna riceveva da terzi il seme, al di
fuori della coppia, per procreare, dunque una fecondazione
di tipo eterologa. Tale fatto metteva in luce la necessità di
porre una regolamentazione in materia, considerando i progressi scientifici e medici che accompagnavano tale tecnica.
In questa posizione è possibile intravedere l’interazione tra
biologia e ricerca medica e come si inserisca la natura bioetica dei fatti accaduti. In tal senso questa disciplina si pone
come una struttura che permette agli esseri umani di usufruire di pratiche e scoperte che arricchiscono le potenzialità
terapeutiche.
Si poteva dunque costruire e pensare un’etica riproduttiva
che considerasse le ragioni morali dei singoli e della prole?
Ovviamente la risposta era affermativa, si sviluppava un filone di studi che dava vita, nel proseguo del tempo, alla recente legge del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita.
Il livello normativo però, fino alla fine degli anni 90 non è
progredito al pari della scienza medica. Sorgevano nuove
ipotesi come, “il diritto alla procreazione e ad un patrimonio
genetico non manipolato”, come anche il diritto di conoscere
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SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
la propria origine in caso di fecondazione eterologa. A fronte
di un vuoto legislativo e normativo nasceva la legge 40 del
2004 sulla procreazione assistita a livello medico.
Il principale assunto prevedeva che l’embrione fosse persona sin dal momento del concepimento e dunque titolare di
diritti tutelabili giuridicamente. Ultimamente la sentenza della Corte Costituzionale n.163 del 2014 ha abolito il divieto
di fecondazione eterologa, precedentemente espresso nell’originaria formula della legge. Le fecondazione eterologa è
assimilata a quella di tipo omologa, in cui il seme proviene
dal partner della donna. Sulle tecniche di produzione degli
embrioni vengono definiti dei limiti, di fatti deve essere realizzato un solo impianto che non superi il numero di tre embrioni, al fine di consentire una gravidanza sicura. Il consenso informato si pone fondamentale ai fini della tutela della
salute della donna, è quest’ultima infatti la titolare della decisone ultima, dopo aver sentito il parere tecnico del medico.
In tema di diritti si inserisce anche quello dei futuri genitori ad avere un figlio sano. Se i genitori sono portatori di
malattie genetiche trasmissibili, fin dove può arrivare il loro
diritto a procreare con l’aiuto della scienza e della medicina?
In tal senso ci si rivolge ad uno dei principi della legge 40,
ovvero il divieto di sperimentazioni cliniche sugli embrioni
e sui gameti a scopo eugenetico, ovvero si vietano manipolazioni del patrimonio genetico che esulino da uno dei diritti
fondamentali sanciti dalla Costituzione (art.32 diritto alla
Salute). La diagnosi pre impianto ha incontrato non poche
difficoltà a cause di interpretazioni della norma in materia
di procreazione medicalmente assistita. La procreazione assistita infatti ricomprende significati che vanno oltre la fecondazione eterologa. Nel caso di coppie non sterili infatti il
ricorso a tale legge non è contemplato, il rischio di generare
figli affetti da malattie genetiche non è di competenza di tale
normativa.
La Corte Europea dei Diritti dell’uomo interviene nel 2012
per far luce sulle incongruenze di un’interpretazione estensiva della L.40/2004. Il giudice in questione infatti si pronuncia
favorevolmente nel caso delle coppie fertili in cui la diagnosi
pre impianto sia a tutela della salute della donna, ovvero la
manipolazione del patrimonio genetico avvenga solo al fine
di evitare la nascita di un figlio con malattie genetiche trasmesse da uno dei genitori (o entrambi). La contraddizione,
evidenziata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, è insita
nella relazione con la L.194/1978 la quale permette invece il
ricorso all’aborto terapeutico, entro dati limiti temporali, per
evitare la nascita di figli malati In conclusione sulla fecondazione eterologa l’Italia si allinea giuridicamente ad altri
paesi europei, come Germania e Spagna in cui è già possibile
ricorrervi previo parere dell’Ordine dei Medici i quali accertano che non si tratti di maternità surrogata, Nel Regno Unito
e in Francia è necessaria invece una dichiarazione del padre
sociale. Rimangono ancora molti margini per regolamentare
una questione molto delicata che presenta notevoli interpretazioni per la varietà dei temi che la comprendono.
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costituzionale, su www.rivistaaic.it .
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V. Corte Costituzionale, sentenza n. 80 del 2011, dove la
Consulta afferma “ove si profili un eventuale contrasto fra
una norma e una norma della CEDU, il giudice comune deve
verificare anzitutto la praticabilità di un’interpretazione della
prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di
ogni strumento ermeneutico a sua disposizione”
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SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA
L’esplorazione del cosmo:
contesti scientifici, tecnologie
e fattori antropologici
DOMENICO IENNA
Sapienza, Università di Roma
Il presente saggio costituisce la versione integrale e completamente rivista della relazione “L’esplorazione del Cosmo: contesti scientifici, tecnologie e fattori antropologici”
discussa all’XI Convegno dell’Associazione Italiana per le
Scienze EtnoAntropologiche-AISEA1, e riportata poi col medesimo titolo nel volume degli Atti relativi2. La riproposta –
di valore “storico”3 in quanto contributo di fondazione della disciplina “Antropologia dell’Astronautica”4 - cerca di
soddisfare pure una necessità di completezza documentale in
quanto, per esigenze editoriali, negli Atti era stato possibile
pubblicare solo in forma ridotta l’esposizione programmatica del nuovo ambito di studi.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole…”
(Salvatore Quasimodo, “Ed è subito sera”)
Ma quale Terra, quale Sole? E quale Anthropos?
A
1. ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA
l punto attuale del suo cammino - non
più pionieristico degli esordi ma avviato ormai a prendersi responsabilità più
grandi oltre le avventurose esplorazioni
già compiute - l’Astronautica non può più
esimersi dall’analizzare se stessa, per comprendere umanisticamente il proprio passato e presente e prefigurare il futuro:
1 Roma, Università “La Sapienza”, 1-3.10.2008 (intervento del 3 ottobre
2008).
2 “RelativaMente. Nuovi Territori scientifici e prospettive antropologiche,
a cura di Luigi M. Lombardi Satriani. Roma, Armando, 2010; p. 307-315.
3 Proprio per la “storicità” del contributo, i dati “astronautici” di
supporto in esso contenuti sono aggiornati al momento di preparazione
della ricerca (vedi nota 19).
4 Nuova prospettiva di ricerca resasi necessaria - dopo il compimento
nel 2007 dei primi 50 anni della branca scientifico-tecnologica che ha
rivoluzionato le possibilità di conoscenza del Cosmo - per studiare le
relative ricadute sui rapporti intrattenuti dall’Uomo con se stesso e con
l’ampliato ambiente circostante.
soddisfacendo così l’esigenza d’avviare in modo compiuto
una propria Antropologia, tesa a evidenziare l’imprescindibile centralità dell’Uomo nelle vicende relative.
Il presente contributo appunto di “Antropologia dell’Astronautica” si propone di far uscire allora - per la prima
volta con consapevolezza disciplinare - l’indagine antropologica fuori del nostro pianeta, verso il Grand Dehors cosmico:
con la certezza che in qualsiasi scenario futuro l’antropologo
continuerà a porsi sempre come vigile sensore tra i suoi simili, ovunque essi emettano i loro respiri e progettino le loro
esistenze; alla ricerca in se stesso e negli altri evidentemente
dell’Anthropos, non come mero soggetto psicologico ma facitore e fruitore di cultura.
Se a supporto del numero relativamente ristretto d’astronauti protagonisti delle missioni spaziali ha sempre operato
quello, ben più ampio, degli “addetti (con vari ruoli) ai lavori”, estremamente vasto è stato poi il coinvolgimento del
pubblico mondiale nel tempo: con riflessi sulle cosmologie
individuali e collettive secondo vari livelli di comprensione
e d’interesse, e specifiche culture d’appartenenza.
*
Insieme all’”Antropologia astronomica”, la costituenda
“Antropologia dell’Astronautica” dovrebbe venir a formare
allora, a nostro avviso, un ambito integrato di studi definibile
come “Antropologia dell’Osservazione e dell’Esplorazione del Cosmo”. L’opportunità di collegare i due settori di ricerca appare ormai infatti metodologicamente indispensabile, a mezzo secolo di distanza dall’irruzione dell’Astronautica nel rapporto tra uomini e corpi celesti: e questo perché tale
evento - all’osservazione effettuata con modalità comunque
sempre più sofisticate – è andato unendo progressivamente
straordinarie possibilità esplorative, di cui alcune già realizzate nell’ambito del Sistema Solare.
2. STRUMENTI D’ANALISI
2.1 I fattori antropologici fondamentali
Attraverso l’analisi di problemi/eventi/protagonisti/prospettive di Storia dell’Astronautica, il contributo cerca d’e57
ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
videnziare i rapporti intercorrenti tra contesti scientificotecnologici e fattori antropologici di pertinenza: dinamiche
di cultura dell’Esplorazione del Cosmo, evidentemente del
tutto nuove rispetto a quelle sperimentate nella Storia dell’Umanità.
Quattro i fattori essenziali della cultura secondo la lezione di Bernardi5, attraverso le cui fibrillazioni a fronte delle
imprese spaziali è possibile analizzare antropologicamente
passato e presente dell’Astronautica: l’άνθρωπος (Anthropos, “l’uomo nella sua realtà individuale e personale”) che
– nel teatro di οίκος (Oikos, “l’ambiente naturale e cosmico
dentro cui l’uomo si trova ad operare”, ma anche quello da
lui stesso costruito) e χρόνος (Chrònos, “Il tempo, condizione lungo la quale, in continuità di successione, si svolge
l’attività umana”) – partecipa della cultura collettivamente
elaborata nel suo έθνος (Ethnos, “comunità o popolo…associazione strutturata di individui”; contesto socio-culturale)
di riferimento.
*
Dopo l’avvento dell’Astronautica, per l’Anthropos variazioni eccezionali nella cosmologia, per dilatazione a dismisura dell’Oikos e relativizzazione del Chronos, e conseguente rottura con la versione “minimalista” (terrestre) dei
relativi ambiti di fruizione.
Per quanto riguarda invece il fattore Ethnos, esso appare in crisi di rilevanza, o chiamato comunque allo svolgimento di funzioni diverse; tra queste, anche la gestione di
un’ulteriore – al momento solo fantascientifica - rottura col
passato, ovvero la scoperta d’eventuali forme di vita evolute
dentro o fuori il nostro sistema planetario.
2.2 Articolazioni specifiche dei fattori antropologici
fondamentali
I contenuti di Storia dell’Astronautica risultano però più
compiutamente analizzabili con l’ausilio di concetti-corollari6, attraverso cui i fattori antropologici sembrano articolare la loro azione culturale: categorie specifiche che fanno
più dettagliata la cosmologia, scrivendo in mente hominis le
caratteristiche essenziali dell’Universo, e delle azioni umane
che in esso si svolgono.
Anthropos
Dell’Anthropos cosmonauta si propone necessariamente
all’evidenza - oltre alle fondamentali funzioni/caratteristiche fisiologiche sottoposte a estremo condizionamento fuori dell’ambito terrestre [pνeũma (Pnèuma, Respiro), dέρa
(Derma, Pelle) e bάροV (Baros, Peso)] – anche il complesso
di strumenti operativi [mhcanή (Mecané, Macchina)] da lui
5 Indicati con termini greci, ‹‹ quattro fattori che…operano costantemente
e universalmente per dar vita e continuità alla cultura in tutte le sue forme,
sia con azione diretta sia con effetti condizionanti›› (Bernardi Bernardo.
Uomo, cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici.
Antropologia culturale e sociale, 9. ed., Milano, Angeli, 1987, pp. 48-49).
6 Anche questi ultimi concetti – qui definiti per l’occasione - sono
indicati con termini greci, per coerenza con i precedenti (invece ormai
canonizzati) relativi ai fattori antropologici fondamentali.
58
concepiti e realizzati con l’ausilio di tecniche varie, a proiezione e potenziamento delle sue specifiche capacità fisiche
e mentali. Ad essi viene delegato lo svolgimento di compiti
evidentemente fuori della portata umana, come capacità di
trasporto, gestione di distanze e tempi “astronomici”, uso di
forza e precisione, depotenziamento di pericolosità ambientali, ecc.
Oikos
Per quanto riguarda l’Oikos spaziale, la cosmologia che lo
riguarda non può che contemplare prima di tutto il concetto
di ενέργεια (Enèrgheia, Energia), che si manifesta nell’Universo - sul supporto concreto di ύλη (‘Yle’, Materia) - con
continui processi fisico-chimici, emissioni di vario tipo sulla
banda elettromagnetica e moti gravitazionali: elaborazione
mentale che – certo presente nell’Anthropos pure in ambito
terrestre - risulta però nel Cosmo evidentemente ampliata/
rinforzata all’ennesima potenza da ciò che viene recepito
come απείρων (Apéiron, Infinito)7, cioè dai nuovi immensi scenari a cui scienza e tecnica astronautica permettono in
qualche modo di accedere.
Una delle due sostanziali caratterizzazioni dell’Universo,
cioè Enèrgheia, sembra solo artificiosamente scindibile dal
συνεχές πρᾱγμα (Synechés pragma, Continuità d’Azione)
che a livello cosmico8 la pervade: la sintesi è costituita da
continui processi d’emissione/trasformazione di forze fino al
movimento impresso agli astri9, definibile questo qualitativamente come κύρτωμα (Cýrtoma, Curvatura) e quantitativamente come ταχυτής (Tachytés, Velocità). Cýrtoma – oltre
a garantire equilibrio gravitazionale ed evoluzione al sistema come Enèrgheia, Synechés pragma e Tachytés - esprime
pure la geometria del Cosmo, relativa sia alle traiettorie percorse su larga scala da corpi celesti e veicoli spaziali, sia alla
forma di conseguenza assunta da questi nel corso del tempo.
*
Dopo quest’analisi teorico-speculativa, tesa ad evidenziare i concetti10 che sembrano costituire la struttura portante
dell’idea di Oikos spaziale, occorre procedere all’esame
d’altri termini-chiave riguardanti le dinamiche d’antropizzazione dello stesso. Essenziale, in quest’ambito, la specificazione di πλάνης (Plànes, Pianeta): astronomicamente, uni-
7 Al di là di qualsiasi teoria, scientifica o filosofica, che concepisca
l’Universo come finito.
8 Non a livello locale, dove la singola scintilla vive ovviamente per un
tempo limitato.
9 Il moto continuo che informa l’Universo offre l’enorme vantaggio di
potersi trasformare - se opportunamente sfruttato con tecniche di gravity
assist - in energia cinetica sempre disponibile e gratuita che consente ai
veicoli di percorrere ampie traiettorie in tempi lunghi senza uso/consumo
di motori/carburanti, fatta eccezione ovviamente per le fasi di partenza/
arrivo dai/sui corpi celesti e durante il tragitto, per imprimere opportune
correzioni alle rotte da seguire. E questo, in attesa che in futuro tecniche
e propellenti “nuovi” possano permettere di puntare “direttamente” alle
mete di viaggio prescelte.
10 Evidentemente concetti non riconducibili ad una disciplina definita,
ma frutto dell’interazione tra ricezione della cultura scientifica ed
elaborazioni cosmologiche individuali e collettive.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA
tà ambientale “naturale” gravitante intorno ad una stella11;
antropologicamente invece, generalizzazione qui proposta
per definire un ambiente potenzialmente “residenziale” per
l’Uomo nello Spazio (comprendente quindi anche Satelliti o
Asteroidi)12, da corredare a sua volta con i concetti di πορεία
(Poréia, passaggio nell’Ambiente, cioè Viaggio) e di όχημα
(òchema, Veicolo)13, l’atto cioè del transito e lo strumento
“tecnico” che ne permette appunto la realizzazione.
*
Tra le conseguenze dell’antropizzazione è da annoverare
comunque, purtroppo, anche il crescente rilascio di rifiuti
nello Spazio: da un’indagine dell’Agenzia Spaziale Europea
(ESA)14 risulta infatti che tra satelliti in disuso, rottami di
razzi, ecc. si trovi ad orbitare intorno alla Terra un global
swarming di oltre dodicimila oggetti, con cui i veicoli in missione rischiano di collidere, a seconda della distanza da Terra
in cui si trovano ad operare.
Chronos ed Ethnos
Nessun ulteriore strumento concettuale specifico occorre
invece al momento per analizzare le notevoli dilatazioni e
modifiche a cui sono stati sottoposti - nei loro riferimenti
simbolici e pratici – Chronos ed Ethnos dall’inizio dell’avventura astronautica.
2.3 Interazioni tra i fattori antropologici fondamentali
Fra le tante dimostrazioni presenti nella Storia dell’Astronautica di quell’“interattività dinamica dei quattro fattori
fondamentali” rilevata sempre da Bernardi15 nel “quadro…
generale della cultura”, davvero “storico” è il testo commemorativo su targa del primo allunaggio “umano”, lasciata
sul nostro satellite in occasione della missione statunitense
Apollo 11: ‹‹ Qui, uomini giunti dal pianeta Terra, primi
posarono il piede sulla Luna. Luglio 1969, A.D. [anno del
Signore]. Siamo giunti in pace a nome di tutta l’umanità ››16.
Insieme alla targa - firmata dai tre astronauti della missione
e da Richard Nixon, Presidente in carica del Paese – anche
un disco, con i messaggi di altri settanta capi di Stato del
11 Vedi comunque le più recenti definizioni in merito, ratificate al
Convegno di Praga (14-24 Agosto 2006) dell’International Astronomical
Union (IAU).
12 Tali corpi costituiscono ambienti potenzialmente residenziali, in
quanto non sono sede, come le stelle, di reazioni termonucleari. Tale
potenzialità non sembra comunque riguardare - allo stato attuale delle
conoscenze – molti corpi del Sistema Solare.
13 Dal punto di vista degli appellativi ufficiali o di consuetudine con
cui sono stati definiti nella storia dell’Astronautica veicoli/stazioni
spaziali di varia tipologia, risultano ben rappresentati - oltre a simbologie
animali (tra cui spicca ovviamente, visto il tema del viaggio aereo, quella
aviaria) - anche processi d’antropomorfizzazione, con l’utilizzo di termini
indicanti emozioni, azioni e figure umane. Comunque - perfino nell’ambito
delle forme e delle procedure di lavorazione dei veicoli - non tutte le
scelte sembrano essere state sempre soggette, in modo stretto, solo alla
funzionalità degli stessi.
14 Saragosa Alex, Allarme ESA: allo Spazio serve subito una ripulita, in:
« il Venerdì di Repubblica », 1051, 9.5./08, p. 83.
15 Bernardi B., op. cit., pp. 77-78.
16 50 [cinquanta] anni di missioni spaziali 1957-2007, a cura di Paolo
Laquale. Speciale Astronautica, supplemento a « l’Astronomia », 289;
correzione esterna al volume: supplemento a «l ’Astronomia », 295, p. 42.
pianeta.
La lettura ‘antropologica’ di tale scritto permette di rintracciare l’Anthropos nelle firme degli astronauti, veri eroi
culturali17 protagonisti dell’impresa; il nuovo Oikos “ampliato” nel binomio Terra-Luna (emotivamente forte perché
memoria di luoghi di partenza e d’arrivo non posti per la prima volta entrambi sulla Terra, e neppure in orbita intorno ad
essa); l’esigenza di ribadire la pluralità di Ethnos - caratteristica della Storia terrestre - nei messaggi dei responsabili politici del pianeta, e quella invece di superare, almeno
formalmente, tale frammentazione culturale nel meta-Ethnos
designato appunto come “tutta l’Umanità”; il Chronos infine,
nell’indicazione “Luglio 1969, anno del Signore”: concetto
che appare spaesante e spaesato per il suo primo utilizzo come già detto – in un Oikos con caratteristiche di vera e propria meta, alternativo a quello terrestre in cui quelle qualità e
quantità di Tempo erano state concepite.
3. ANALISI SPECIFICHE
3.1 L’Anthropos nella Storia dell’Astronautica
3.1.1 Prima dell’Anthropos per l’Anthropos: robot e cavie
viventi
Molte furono le cavie animali usate nei primi voli spaziali
sovietici e statunitensi, come cani, scimpanzè, topi e rane.
Non stupisca che in loro rappresentanza - come primo essere
vivente inviato nello spazio – meriti una citazione “antropologica” pure la cagnetta Laika, a causa dell’investitura
ricevuta dall’uomo di violare per lui, pur se inconsapevolmente, i confini della Terra.
*
Il particolare rapporto instaurato molte migliaia di anni
fa tra l’uomo e il cane18 sembra aver guadagnato all’animale
una funzione di tipo totemico: nell’antichità come supporto interpretativo di configurazioni e fenomeni celesti, e recentemente invece addirittura come apripista dell’avventura
astronautica.
Nel ripetuto utilizzo in quest’ultima di animali - nella fattispecie cani di genere femminile - sembra avvenire poi anche l’incontro tra l’ancestrale, rispettoso riconoscimento del
potere iniziatico e datore di vita relativo e la straordinaria
possibilità di controllare la regolarità di successive gestazioni, come accadde del resto con Strelka (sonda sovietica Sputnik 5, 1960) che partorì 6 cuccioli in buona salute poco dopo
l’avventura spaziale.
Così, anche la moderna Astronautica “tecnologica” sembra mostrare la stessa preferenza di genere in ambito canino
che ha informato antiche interpretazioni “mitologiche” del
firmamento e di eventi meteorologici: vedi ad esempio quella relativa alla stella Sirio-Alpha Canis maioris, conosciuta
17 Vedi nota 22.
18 ‹‹ Pare che soltanto al passaggio fra il Paleolitico e il Neolitico l’uomo
si sia fatto una dimora stabile…Sappiamo che a quel tempo il cane era già
diventato un animale domestico ›› (Lorenz Konrad, E l’uomo incontrò il
cane, Milano, Adelphi, 2006, p. 18).
59
ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
nell’Urbs come Canicola o piccola cagna e collegata all’apice della calura estiva.
non solo tecnologici al superamento iniziatico d’archetipici
gradini, quelli che informano sempre, e in qualsiasi contesto,
il cammino culturale dell’Anthropos.
3.1.2 L’Anthropos ‘in campo’: i ‘pionieri’ dell’esplorazione
astronautica (aggiornamento al 13.9.200719)
Se non è possibile fare qui Antropologia degli iniziatori
“classici” e di quelli a noi più vicini delle scienza e tecnica
astronautiche, risulta doveroso perlomeno un riferimento al
“sogno di Newton” realizzatosi con l’impresa dello Sputnik-1 (1957), primo satellite artificiale intorno alla Terra:
quello cioè « di far restare per aria un sasso scagliato dall’uomo…quel giorno gli astronomi si resero conto che le risposte
teoriche erano esatte, trovavano riscontro nella realtà »20.
*
Dopo che la sonda sovietica Sputnik-1 aveva varcato i
confini della Terra (1957), insieme alla necessità di proseguire comunque gli esperimenti in automatico divenne chiaro che per fini politici, scientifici ma pure culturali anche la
vita stessa dovesse ormai confrontarsi con il Cosmo, per
una nuova, arricchente esperienza. Ecco chi furono allora coloro che realizzarono l’impresa, con le relative prime prove
tecnico-scientifiche – ma ovviamente anche antropologiche
- che si trovarono di volta in volta ad affrontare.
*
Se quella di “puro e disposto a salire alle stelle” era per
Dante - nella “chiusa” del Purgatorio21 - la condizione necessaria per ascendere al cielo, anche se spirituale, quante
“purezze” e “disposizioni” di varie tipologie necessitano
pure all’astronauta per poter affrontare le prove del Cosmo
fisico!
Mentre la prima parte del termine che definisce tale professione rivela chiaramente la sua meta ‘celeste’, la seconda va
a specificare invece la modalità di raggiungimento della stessa, avvertita come spostamento simile all’atto del navigare:
transito nello Spazio che ricorda infatti quello sperimentato
sull’acqua, perché gravato all’apparenza da resistenze tra
loro simili, e diverse da quelle offerte dal suolo.
Del resto gli astronauti della missione Apollo 11, per definire la posizione del veicolo, non puntavano anche il sestante
di bordo sulle stelle, proprio come antichi navigatori?
Le analogie tra acqua e Spazio non si limitano comunque
ad apparenti somiglianze di transito: l’immersione addestra
bene ad esempio alle attività extraveicolari, dato che la sospensione sott’acqua richiama bene il fluttuare dei corpi nel
Vuoto cosmico.
*
Quello che quasi mai è dato di sapere quando si trattano i
momenti aurorali di vari ambiti della Storia – chi sono stati i pionieri, gli iniziatori di determinate attività, scoperte e
invenzioni, usi e comportamenti e le “prime volte” relative,
risulta invece di massima ben noto nelle vicende ancora piuttosto “recenti” dell’Astronautica, fatta eccezione ovviamente
per gli inizi “segreti” dell’Astronautica sovietica.
I pionieri dunque - rinnovando modernamente il mito
dell’Eroe Culturale22 protagonista nel mondo di tante mitologie – sembrano alludere nella conquista dei loro record
19 50 [cinquanta] anni di missioni spaziali 1957-2007, a cura di Paolo
Laquale. Speciale Astronautica, supplemento a «l’Astronomia», 289;
correzione esterna al volume: supplemento a «l’Astronomia », 295, copyr.
2007; p. 192.
20 50 [cinquanta] anni…, op. cit. p., p. 4.
21 Alighieri Dante, La Divina Commedia, Purgatorio XXXIII 145.
22 ‹‹ L’’eroe culturale’ o ‘civilizzatore’…– quale introduttore delle
forme di vita umane – è un tipo di personaggio mitico che…compie gli atti
fondatori più importanti…anche atti prototipici, come il ‘primo uomo’ ››
(Brelich Angelo, Introduzione alla storia delle religioni, Roma, Edizioni
dell’Ateneo, 1966, p. 16).
60
3.1.2.1 Il sacrificio di chi non tornò
* La cagnetta Laika fu il primo essere vivente a entrare in
orbita intorno alla Terra, in una missione senza ritorno di cui
molti particolari furono divulgati soltanto in seguito (sonda
sovietica Sputnik-2, 1957).
* A parte la fondatezza di documentazioni raccolte da servizi di intelligence e radioamatori riguardo alla scomparsa di
cosmonauti e cosmonaute sovietici23 nel corso di supposte
missioni fallite (prima e dopo l’impresa di Gagarin), non pochi sono stati comunque i caduti delle due maggiori potenze
astronautiche durante la corsa allo Spazio, fino all’equipaggio statunitense dello shuttle Columbia STS-107 (2003).
3.1.2.2 Coloro che fecero impresa
* Le cagne Belka (scoiattolo) e Strelka (piccola freccia):
con altri piccoli animali e piante, i primi esseri viventi rientrati incolumi dopo aver orbitato intorno alla Terra (sonda
sovietica Sputnik 5, 1960).
* Lo scimpanzé Ham, protagonista del primo volo suborbitale24 di scimmie addestrate al pilotaggio (sonda statunitense Mercury-Redstone 2, 1961).
*
* Il sovietico Yuri Gagarin: primo uomo intorno alla Terra25 a velocità ovviamente mai raggiunta, vide e raccontò
cose di cui nessuno aveva mai potuto avere esperienza (“La
Terra è blu… è bellissima!”) (sonda Vostok-1 controllata
23 I fratelli Judica Cordiglia di Torino sostengono di aver captato nel
1957 anche il battito cardiaco della cagnetta Laika, dando così inizio, in
pratica, alla biotelemetria o trasmissione di segnali biologici via radio
(Judica Cordiglia Achille e Giovanni Battista, Dossier Sputnik “questo il
mondo non lo saprà…, Torino, Edizioni Vitalità, 2007, p. 64). Su tutta la
problematica vedi Boschini Luca, Il mistero dei cosmonauti perduti. Leggende, bugie e segreti della cosmonautica sovietica. I quaderni del CICAP,
n. 16. Supplemento al numero 14 di Query (Estate 2013). Padova, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul paranormale, copyr.
2013. Nella stessa opera, delucidazioni riguardanti anche le missioni Vostok-3 e Vostok-4 sovietiche (ricordate più avanti).“questo il mondo non
lo saprà…, Torino, Edizioni Vitalità, 2007, p. 64 ).
24 Volo suborbitale: ‹‹ volo parabolico con l’apice della traiettoria nello
spazio e la restante parte del volo nell’atmosfera terrestre ›› (50 anni…
op. cit., p. 14).
25 Stando comunque alle regole della ‘Fai-Fédération Aéronautique
internazionale’, il volo del Vostok-1 non sarebbe da considerare
‘completo’ in quanto Gagarin non atterrò insieme al veicolo, ma venne
eiettato e raggiunse terra con il paracadute.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA
solo dalla base, 1961).
* Il sovietico Gherman Titov: l’astronauta più giovane
(circa 26 anni), il primo a soffrire di mal di spazio, a provare
anche il pilotaggio non automatico, a consumare un pasto
e a dormire in orbita (Vostok-2, 1961).
* I sovietici Andrian Nikolaev (Vostok-3) e Pavel Popovich (Vostok-4): protagonisti della prima missione cosiddetta congiunta. Lanciati in giorni successivi, furono in
orbita infatti a distanza così esigua da poter dichiarare – a
quanto pare a beneficio solo della stampa – d’essere stati in
grado di potersi addirittura vedere; per la prima volta fluttuarono poi in cabina staccati dai seggiolini, con prima trasmissione televisiva dallo Spazio (1962).
* La sovietica Valentina Tereskova: prima donna in orbita (Vostok 6, 1963).
* Il sovietico Aleksej Leonov: il primo ad effettuare un‘attività extra-veicolare in orbita terrestre collegato al veicolo
con una corda di circa 4,5 metri. Durante l’uscita si gonfiò
la tuta, impedendo il rientro dell’astronauta nella capsula. Lo
scarico della pressione all’interno del rivestimento risolse
fortunatamente il problema (Voskhod-2, 1965).
* Gli statunitensi Frank Borman, James Lovell e William
Anders, protagonisti di eccezionali primati: prima uscita
dal campo gravitazionale terrestre per entrare in quello
d’un altro corpo celeste, prima visione diretta della faccia
nascosta della Luna, prima sperimentazione delle interruzioni di mezz’ora nel contatto radio con la Terra al passaggio dietro il nostro satellite (Apollo 8, 1968).
* Gli statunitensi Thomas Stafford e Eugene Cernan,
protagonisti di una lotta esemplare tra volontà e senso del
dovere. Infatti, durante la simulazione in orbita lunare della
discesa sul nostro satellite (manovra da non completare) «
sentirono la tentazione di disobbedire agli ordini e continuare
la discesa, ma il senso del dovere prevalse »26 (equipaggio,
con John Young, della sonda Apollo 10, 1969). Durante il
rientro nell’atmosfera terrestre la capsula raggiunse la velocità di 39.897 km/h, la massima raggiunta da un veicolo
con equipaggio. Perlomeno Cernan riuscì poi comunque a
passeggiare sulla Luna, rimanendo anzi l’ultimo - a tutt’oggi
- ad aver lasciato il nostro satellite (Apollo 17, 1972).
* Lo statunitense Charles Conrad fu il primo ad avere
un incidente fuori del nostro pianeta, un ruzzolone senza
conseguenze sulla superficie lunare (sonda Apollo 12, 1969).
* Neil Armstrong, Edwin Aldrin, primo e secondo uomo
sulla superficie lunare. Alla ripartenza del modulo dal nostro satellite « l’interruttore di accensione del motore risultò
mancante, sostituito da Aldrin con un semplice pennarello
inserito nell’apposita sede »27;
* Michael Collins rimase invece in orbita intorno alla Luna
mentre Armstrong e Aldrin scendevano sul nostro satellite;
durante il silenzio radio conseguente al passaggio della sonda dietro di esso, fu descritto come la persona più distante
da altri esseri umani di sempre (Apollo 11, 1969).
26 50 [cinquanta] anni…, op. cit. p. 38.
27 50 [cinquanta] anni…, op. cit., pp. 41-42.
* Gli statunitensi James Lovell, John Swigert, Fred Haise
- con il veicolo interessato da un gravissimo problema tecnico a metà strada tra Terra e Luna - riuscirono a rientrare
comunque incolumi circumnavigando il nostro satellite alla
maggiore distanza mai raggiunta da esseri umani, 401056
km dal nostro pianeta (Apollo 13, 1970).
* Sul sovietico Andriyan Nikolayev - dopo più di 17
giorni di permanenza nello Spazio con poco esercizio fisico
- venne constatato al rientro a terra un forte grado d’affaticamento, fenomeno successivamente denominato, appunto,
“effetto Nikolayev” (con un compagno su Sojuz 9, 1970).
* Gli statunitensi David Scott e James Irwin poterono
usufruire sul nostro satellite di un vero e proprio rover lunare, evoluzione del carretto portaattrezzi già usato durante la
missione Apollo 14. Sulla via del rientro « i tre osservarono
un’eclisse di Luna che per loro, trovandosi a metà strada tra
la Terra e la Luna, si trasformò anche in un’eclisse di Sole
»28 (equipaggio, con Alfred Worden, dell’Apollo 15, 1971).
* Lo statunitense Bruce Mc Candless, il primo ad effettuare un’attività extra-veicolare libera (senza corda, con
piccoli razzi per gli spostamenti) nello Spazio (Challenger,
STS-41-B, 1984).
* La sovietica Svetlana Savitskaja, la prima donna ad
effettuare un’attività extra-veicolare (sonda Sojuz T-12,
1984).
* Durante la permanenza sulla stazione spaziale MIR dei
sovietici Anatoli Artsebarski e Sergei Krikalev, l’Unione
Sovietica si era venuta a scindere in molte nazioni autonome
(1991); cosicché i due astronauti rientrarono sulla Terra
– rispettivamente nello stesso anno e in quello successivo –
con la nuova identità di cittadini della Repubblica russa.
* Lo statunitense John Glenn, in orbita nel 1962 (Friendship 7), tornò nello Spazio a 77 anni come più anziano
astronauta in assoluto (Space Shuttle, STS-95, 1998).
Ethnos
L’”uscita” dal nostro pianeta resa possibile dall’Astronautica sembra aver innescato un processo di crescente sbiadimento/perdita di rilevanza dell’Ethnos (come riferimento
socio-culturale dell’Anthropos) a favore di un’evidente necessità d’omologazione dei protagonisti delle imprese spaziali in un’unica cultura scientifico-tecnologica, globalizzata a livello mondiale al di là dei progetti specifici degli
Stati interessati.
Tale dialettica di ritirata-avanzamento delle forze culturali in gioco appare comunque interessata anche da fenomeni
contraddittori, attestanti resistenza al dissolvimento se non
proprio una rivalorizzazione (o diversa valorizzazione?)
dell’Ethnos: esemplari appaiono infatti al riguardo il proliferare d’agenzie e strategie spaziali nazionali e l’esibizione in
missione di comportamenti individuali, tesi a ribadire senso
d’appartenenza e identificazione (consumo di cibi “etnici”,
saluti alle bandiere, ecc.).
Superamento ed evoluzione di tale fattore antropologico
28 50 [cinquanta] anni…, op. cit., p. 51.
61
ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
risultano allora forse, al riguardo, prospettive entrambe vere,
dato che il superamento riguarda infatti - più che l’Ethnos
come categoria – specificamente la sua datata accezione preastronautica, con conseguente tensione evolutiva di questa in
forme diverse.
Per quanto riguarda poi le possibilità - attualmente fantascientifiche - d’incontrare altre forme di vita dentro o fuori
il nostro sistema planetario29, quale Antropologia sviluppare
di fronte a un eventuale nuovo Ethnos, ammesso che il termine Anthropos (etimologicamente: che ha “aspetto d’uomo”30)
possa fare ancora da radice, allora, alla disciplina relativa?
Chronos
La crisi della visione del mondo in cui Spazio e Tempo
figuravano come indipendenti tra loro ed assoluti fu avviata
agli inizi del Novecento con l’introduzione nella fisica dei
concetti corrispondenti di tipo relativistico31.
Se con l’avvento dell’Astronautica l’Oikos non viene ad
essere costituito solo dalla Terra, anche Chronos risulta sperimentabile allora non esclusivamente sul nostro pianeta, con
conseguenze avvertibili a media scadenza con lo sbarco d’equipaggi su pianeti e satelliti del Sistema Solare e - in un futuro ancora ‘fantascientifico’ - con la progettazione di viaggi
addirittura interstellari.
*
A fronte della “fibrillazione” relativistica di forte impatto
pratico e antropologico riscontrabile sulla Terra riguardo al
Tempo, cioè - a dodici fusi orari da quello di Greenwich – il
concretizzarsi della cosiddetta “Linea del cambiamento di
data”32, ecco invece alcune delle possibili esperienze relativistiche di Chronos già sperimentate o da sperimentare nello
Spazio, secondo una crescente problematicità d’impatto sulle vite individuali e collettive:
I) Possibilità d’esperire l’avvicendarsi di più albe e tramonti sulla Terra ogni 24 ore trascorse in orbita su veicoli/
stazioni spaziali, grazie alla velocità e al punto di vista esterno al nostro pianeta di cui si viene a usufruire (fenomeno
naturale riproducibile in modo “innaturale”).
29 Si occupano della ricerca di forme di vita nel Cosmo le discipline
di Bioastronomia, Astrobiologia o Esobiologia, e il programma SETI
(Search for Extra-Terrestrial Intelligence) condotto da vari enti tramite
soprattutto l’emissione/ascolto di onde radio. Un tentativo simbolico di
comunicare con altre possibili civiltà fu fatto già nel 1974, con l’invio
d’un messaggio contenente – tra le altre informazioni – la figura stilizzata
di un essere umano (l’Anthropos!).
30 Provenienza incerta; probabilmente da άνδρ-, ανήρ, e ώψ (Rocci
Lorenzo, Vocabolario greco italiano, 32 ed., Dante Alighieri, 1985, p.
153).
31 «…la Teoria speciale [o ristretta, 1905] della Relatività di
Einstein,…afferma che il Tempo e lo Spazio, all’interno dell’involucro
percettivo intessuto dal movimento, sono l’uno funzione dell’altro e l’uno
relativo all’altro ‘nella misura in cui dipendono dallo stato di moto del
sistema inerziale prescelto’ ». (Leed Eric J., La mente del viaggiatore.
Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, copyr. 1992, p. 102).
32 La ‘linea del cambiamento di data’ (+12 ore dal meridiano di
Greenwich) è modificata convenzionalmente, in realtà, in una complessa
spezzata che s’insinua tra i confini amministrativi di vari Stati, scendendo
da Nord (è Domenica a est di essa, all’estrema propaggine dell’Asia
settentrionale, e Lunedì invece a Ovest, in Alaska) a Sud, tra vari
arcipelaghi dell’Oceano Pacifico.
62
II) Esperienze di concetti quali ‘giorno’, ‘anno’ e ‘stagione’ quantitativamente diversi rispetto a quelli vissuti
sulla Terra: come già accaduto sulla Luna, la possibile futura
esplorazione di pianeti e satelliti del Sistema Solare porrà
l’Anthropos di fronte a tali fenomeni, causati dagli specifici
tempi di rotazione su se stessi e di rivoluzione intorno al Sole
dei vari corpi celesti, e dell’inclinazione degli assi di rotazione relativi rispetto ai piani orbitali.
III) “Paradosso dei gemelli”: in conseguenza della relatività dello Spazio-Tempo introdotta da Einstein, se un gemello si trova ad effettuare una missione su di un’astronave in
grado di raggiungere la velocità della luce (tecnologia oggi
ovviamente fantascientifica), al suo rientro sulla Terra troverà il fratello molto più invecchiato di lui. Per l’astronauta infatti – vissuto per qualche tempo in un sistema di riferimento
accelerato rispetto a quello terrestre - il tempo è passato più
lentamente di quanto sia accaduto al fratello rimasto a casa33.
3.1.3. L’Anthropos nel nuovo Oikos: conseguenze
cosmologiche
3.1.3.1. Prima messa in discussione esistenziale totale:
Terra unico mondo
Se la Storia (intesa come vicende che si succedono nel
Tempo relativamente a una comunità, un gruppo, un Paese,
una civiltà o l’Umanità tutta) risulta suscettibile di più letture
(‘progresso’, involuzione, ecc.), quella che l’interpreta come
acquisizione di successive liberazioni da parte dell’Anthropos - con l’aggiunta ovviamente d’ineludibili, nuove responsabilità - non può certo non considerare l’avventura astronautica come tappa fondamentale d’un lungo cammino, materiale, spirituale e culturale collettivo.
Per pura casualità – suggestiva comunque, e stimolante
- era figlio di falegname il sovietico Yuri Gagarin che per
primo percorse un’orbita intorno alla Terra, in un’impresa
che sembrò liberare l’umanità dal legame gravitazionale con
il nostro pianeta (1961): proprio come un altro più noto figlio
(adottivo) di falegname aveva fatto invece in passato - per
coloro che ebbero fede in lui - nei confronti di gravità più
spirituali quali sudditanza al paganesimo ed al peccato originale.
*
Dalla Terra l’Anthropos era riuscito ad evadere, fino
all’avvento dell’Astronautica, solo grazie al particolare veicolo dell’immaginazione, attivato di volta in volta dalle esigenze simboliche della mitologia, narrative della letteratura,
estetiche dell’arte e speculative della filosofia.
Fondamentale evento non solo scientifico-tecnologico, ma
pure antropologico del secolo scorso è stato dunque l’uscita
“fisica” dell’Anthropos dal suo Oikos terrestre, fino ad allora
il solo a poter essere concepito realmente come tale.
Il ringraziamento rivolto dal presidente degli Stati Uniti
Richard Nixon ai protagonisti del primo allunaggio – per
33 (La) Scienza 1, l’Universo, Torino, Utet, copyr. 2005, p. 270 (La
Biblioteca di Repubblica).
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA
aver fatto diventare cioè con la loro impresa “i cieli…una
parte del mondo dell’uomo”34 - può essere considerato però
vero solo nel senso dell’esplorazione “reale” del Cosmo: i
cieli, infatti, sono sempre stati patrimonio dell’Umanità,
come attestano mitologie, cosmologie e religioni fiorite per
millenni presso tante culture. Oltre tali ambiti, la storica impresa dell’Apollo 11 è stata incredibilmente capace di rendere calpestabile uno dei più complessi simboli dell’immaginario celeste, nonché satellite naturale del nostro pianeta.
“Uscita” dalla Terra significa comunque anche inizio del
processo di messa in discussione esistenziale totale portata
dall’Astronautica che - interessando appunto la percezione
dell’Oikos, del Chronos e dell’Ethnos, giunge poi fino allo
stesso soggetto senziente, l’Anthropos protagonista e facitore di cultura .
La profondità di questa messa in discussione attivata individualmente per la collettività dall’astronauta può apparire
inferiore – dal punto di vista personale - solo alla chiara consapevolezza di esser sul punto di lasciare la propria vita, in
qualsiasi ambito questo possa accadere35.
*
Le prime esperienze di alienazione dalla Terra, la vista
cioè del nostro mondo dall’esterno, rappresentano una presa
di coscienza esistenziale, una consapevolezza del nostro far
parte d’un sistema: il conseguente terzo tempo pratico-esplorativo dopo le due rivoluzioni copernicana (eliocentrismo) e
galileiana (telescopio), che hanno interessato la nostra visione e conoscenza del Cosmo.
Fino a quando sarà comunque possibile vedere la Terra
da una stazione orbitante, dalla Luna oppure – anche se estremamente ridotta per la grande lontananza – da un pianeta
o satellite del Sistema solare – quest’immagine riuscirà ad
ancorare la coscienza dell’Antropos e a conferirgli stabilità
esistenziale. Ma quando egli non potrà più avere più negli
occhi Blue Marble36, s’aprirà allora, certo, un altro immenso
problema antropologico.
3.1.3.2. Seconda messa in discussione esistenziale totale:
vita solo sulla Terra
Come seconda messa in discussione totale potrebbe porsi
l’eventuale scoperta di altre forme di vita nel Cosmo, anche se culturamente non tutti sembrano essere impreparati
all’evento. Per ambiti ecclesiastici cattolici, ad esempio, ‹‹
potrebbero esserci altri esseri, anche intelligenti, creati da
Dio. Questo non contrasta con la nostra fede…se consideriamo le creature terrene come ‘fratello’ e ‘sorella’, perché non
potremmo parlare anche di un ‘fratello extraterrestre’?››; ‹‹
Gesù si è incarnato una volta per tutte. L’incarnazione evento
34 Caprara Giovanni, In viaggio tra le stelle. Storie, avventure e scoperte
nello spazio, Roma, Baroli, 2005, p. 132.
35 Altra cosa ancora è poi l’insorgere della pazzia, anch’essa certo una
“messa in discussione esistenziale totale”, ma con il soggetto evidentemente
non più “in sé”, e non in grado quindi di viverla “coscientemente” come
nei casi prima esaminati.
36 Blue Marble (biglia blu): la famosa foto della Terra “piena”
(completamente illuminata) ripresa dalla sonda statunitense Apollo 17
(1972).
unico e irripetibile ››; comunque, “Se anche esistessero altri
esseri intelligenti, non è detto che essi debbano aver bisogno
della redenzione. Potrebbero essere rimasti nell’amicizia piena con il loro Creatore››37.
3.1.3.2.1 Lo Spazio che si fa presente sulla Terra: ‘dischi
volanti’ e alieni
Se l’Umanità non è stata ancora in grado di mettersi in
contatto con forme di vita extraterrestri (ammesse che esse
esistano), già da tempo comunque - per un certo immaginario
collettivo - qualcuna di queste sembra aver iniziato a visitare
il nostro Pianeta. E’ la tesi complessa – corredata da supposta documentazione - sostenuta dagli adepti dell’Ufologia38,
già opportunamente esaminata da C. G. Jung39 secondo varie
ipotesi interpretative.
3.1.3.3 L’Anthropos nel nuovo Oikos: limitazioni fisiche
nello Spazio aperto e nuove consapevolezze
Se gli spazi aperti sono stati sulla Terra, fin dai primordi
dell’avventura umana, causa d’inquietudine per l’esposizione alle insidie soprattutto dei fenomeni naturali e del mondo
animale, quelli cosmici - dilatati evidentemente all’infinito –
sono caratterizzati da fattori d’impedimento ambientale senza precedenti per la sopravvivenza dell’Anthropos.
3.1.3.3.1. Il primo nuovo limite: impossibilità di
respirazione libera all’aperto
In primis, va rilevata l’impossibilità d’esercitare nello
Spazio la respirazione secondo natura e in modo adeguato,
d’effettuare cioè liberamente il respiro40 nell’ambiente
a causa d’atmosfera assente o comunque letale; e questo, a
meno dell’eventuale scoperta d’un pianeta con caratteristiche ambientali simili a quelle terrestri. In cabina e durante
le attività extra-veicolari la funzione viene assicurata allora
dalla circolazione d’una opportuna miscela di gas, con conseguente smaltimento dell’anidride carbonica prodotta .
3.1.3.3.2. Il secondo nuovo limite: impossibilità
d’esposizione della pelle all’aperto
Altra conseguenza dell’uscita dell’Anthropos dall’Oikos
terrestre è l’impossibilità d’esporre la pelle all’ambiente
esterno per l’aggressione di radiazioni, polveri, micrometeoriti, gas, ecc., con la conseguente necessità di potenziare ulteriormente la funzione del Derma come confine tra
Anthropos e mondo esterno.
3.1.3.3.2.1 L’abito-veicolo: la tuta spaziale
Se come interfaccia tra Anthropos e Oikos è venuto a
37 Valiante Francesco M., L’extraterrestre è mio fratello. Il rapporto tra
astronomia e fede in un’intervista a padre Funes, direttore della Specola
Vaticana, “L’0sservatore romano”, 14.5.2008, p. 8.
38 UFO: Unidentified Flying Objects (Oggetti volanti non identificati).
39 Jung, Carl Gustav, Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo,
Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
40 Il respiro: espressione e simbologia di vita, sacralizzata attraverso
varie mitologie e tecniche di controllo in varie credenze religiose.
63
ANTROPOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
porsi nella storia delle culture eσθής (Esthés, Vestimento) elemento “lavorato” che, sovrapponendosi ad un altro invece
naturale (pelle), si configura come forma minima appunto
d’Oikos artificiale – è facile comprendere come tale funzione
risulti assolta in campo astronautico dai sofisticati materiali e
tecnologie che costituiscono la Tuta spaziale.
“Abito” speciale evidentemente questa, considerabile infatti sia come “meta-epidermide”, sia come ‘micro-veicolo’, vista infatti la sua contemporanea partecipazione alle capacità di rivestimento individuale della prima e di transito in
ambiti extra-terrestri dell’altro; un chiaro esempio insomma
- insieme a Stazioni spaziali e Astronavi - di quando appunto
“La tecnologia domina l’ambiente, anzi essa stessa si fa
ambiente”41.
Se la tuta spaziale è in grado di fungere da òchema in occasione di missioni fuori abitacolo (EVA, Extra-Vehicular Activity), similmente caratteristiche da esthés sono ravvisabili
in qualche veicolo. I moduli spaziali statunitensi monoposto
Mercury (1958-1963), ad esempio, erano talmente costruiti
intorno all’astronauta da essere simpaticamente considerati,
appunto, oggetti da indossare più che da pilotare!
3.1.3.4 L’Anthropos nel nuovo Oikos: conseguenze fisicoculturali nello Spazio aperto e sui veicoli spaziali
3.1.3.4.1 Il terzo nuovo limite: diversità di percezione e
di effetti della gravitazione
Fluttuare nel veicolo spaziale o procedere a piccoli balzi
sul suolo lunare sono esperienze che – pur rappresentando
in qualche modo la liberazione dei corpi e delle cose dall’abituale “ancoraggio” al suolo attivo sulla Terra - vengono a
costituire contemporaneamente però pure nuovi limiti per la
salute e l’esplicazione delle attività quotidiane. *
Una delle prime conseguenze dell”uscita” fisica
dell’Anthropos dall’Oikos terrestre è stata da parte degli
astronauti una diversa presa d’atto, “fisiologica”, del movimento gravitazionale; delle forze cioè a cui qualsiasi corpo
naturale/artificiale è sottoposto nello Spazio, a causa dell’attrazione che masse più grandi sono in grado di attivare su di
esso.
Se tale movimento gravitazionale sul nostro pianeta è avvertibile indirettamente tramite il fenomeno astronomico
dell’alternarsi del giorno e della notte oppure con apposite
tecnologie di rilevamento42, esso viene invece immediatamente avvertito e vissuto da parte degli astronauti su capsule, navicelle e stazioni spaziali a causa delle proporzioni
estremamente ridotte (rispetto alla Terra) di tali supporti in
movimento nello Spazio.
Si tratta, in pratica, della consapevolezza esperienziale
dell’impossibilità d’essere nell’Universo senza il continuum
eracliteo del movimento o meglio della gravitazione uni41 Bernardi B., op. cit., p. 65.
42 L’esperimento del pendolo del fisico francese Léon Foucault (1851)
costituisce, ad esempio, una prova del movimento di rotazione del nostro
pianeta intorno al proprio asse.
64
versale; di quelle armoniche ma pure spaventose dinamiche
celesti a cui hanno alluso, con complessi modelli, tante cosmologie nel corso della Storia.
4. CONCLUSIONE: ANTROPOLOGIA E USCITA DAL
MONDO
“Una corda tesa sull’abisso”. Questa nota espressione di
Nietzsche (in Così parlò Zaratustra), che drammaticamente
collocava l’Uomo tra le polarità di Materia e Spirito, “tra la
scimmia e il superuomo”, potrebbe sintetizzare bene pure il
probabile cammino futuro dell’Umanità, teso tra un’”uscita
dal ‘Mondo” come fuga sempre meno dissimulata dalla
Realtà (iperconsumi di farmaci, droghe, pratiche invasive
d’esistenza virtuale, ecc.) e un’”uscita dal ‘Mondo” invece
propriamente fisica, intesa come esplorazione e domestificazione dello Spazio.
In quest’ambito, sarà proprio l’acquisizione d’una piena
coscienza antropologica a risultare allora fondamentale,
come se non di più dell’adattamento biologico, della scoperta di nuove energie propulsive e della costruzione d’apparati
tecnologici sempre più complessi: per contribuire a disegnare così un nuovo orizzonte, senza il quale l’Anthropos finirebbe irrimediabilmente per perdersi senza rotta in spazi incommensurabili di solitudine culturale, più drammatici forse
di quelli siderali.
Un esercizio di futura riflessione ‘sul campo’
(extraterrestre)
Nel 2005 la sonda Huygens (portata dal modulo-madre
Cassini) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) si posò senza
equipaggio sul corpo celeste più lontano mai visitato, Titano, il maggiore dei satelliti di Saturno: un’occasione straordinaria per fare esercizio di riflessione religiosa, filosofica
e poetica, a fronte d’un nuovissimo scenario ambientale43.
In che modo i componenti di un’avanguardia esplorativa,
o addirittura d’una colonia stabilizzatasi sulla superficie di
Titano potrebbero ripercorrere nelle sue possibili, lunghe
prime mattinate piovigginose al metano l’ ”itinerario della
mente verso Dio” indicato da S. Bonaventura per riconoscere - nella bellezza e godibilità del Creato - l’impronta e
l’immagine della perfezione del Creatore; oppure – convenendo con l’ottimismo filosofico di Gottfried W. Leibniz, per
il quale nell’Universo “…v’è la più grande varietà unita al
massimo ordine” - trovare che il satellite di Saturno faccia
parte dunque necessariamente del “migliore dei mondi possibili”; o riuscire infine a trovare – pur sulle sponde dei suoi
asfissianti, possibili bacini d’idrocarburi – la giusta ispirazione per brevi “haiku” poetici di gusto giapponese, stagionalità
delicate per fermare attimi d’intensità esistenziale?
43 Di Martino Mario, Mattinate piovigginose su Titano, in « Le Stelle »,
57, 12/2007; pp. 12-13.
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE MOTORIE
Doping and anti-doping strategies: an
economic view
BENEDETTA GESUELE1 AND DOMENICO TAFURI2
1 Ph.D., Research Fellow, Pegaso University, Naples, Italy
2 Ph.D., Full Professor, Parthenope University, Naples, Italy
A long history for doping exists in a sport activities (Bird
and Wagner, 1997; Eber, 2006) but only in 1963 the European Parliament defined the doping as: “the administration or
use of exogenous substances in an abnormal form or way to
healthy persons where the only goal is to achieve an artificial
and unfair improvement of the performance of the athlete”
(Reiter et al., 1994).
Doping is a global problem that concerns all international sports and events and it is not a phenomena of modern
athletic competition (Baron, Martin & Magd, 2007). There
are several forms and substances known and unknown that
potentially could be considered as doping substances. During
the last time, the doping have not been considered only under
the moral and purely sport aspects, but the scholars have had
great attention about economic consequences and incentives
of doping spread, and so several scholars are studying doping
in sports with an economic focus (Eber, 2006; Preston and
Szymanski, 2003).
The aim of this paper is to contribute to the economic analysis of doping topic. Above all, starting from an economic
interpretation of doping which views it as an activity that
depended by athletes choice, based on its cost and benefits
(Bourg, 2000; Maenning, 2002; Eber, 2006) we try to explore the doping as economic event, underlining the relevant
of this approach, and to focus our attention on the economic
incentives to reduce the doping activities by athletes.
A
1. INTRODUCTION
long history of the usage of performance-enhancing drugs, in sports, exists in sport activities (Bird and Wagner,
1997; Berentsen, 2002; Eber, 2006). In
1879, Linton an English cyclist, died after
being doped during a bicycle race in Bordeaux-Paris. In the
Olympics game of 1904, Thomas Hicks used a mixture of
drugs (strychnine, heroin, cocaine) and alcohol to enhance
his performance during the races. He died. Later, 1910,
several episodes of drugs use to improve the athletics performance were registered by Belgian and English football
teams. In the 1950s, the Soviet Olympic team used male hormones to increase their physical endurance during the races.
When they were discovered, they were expelled by competitions. In 1988, Ben Johnson, 100-m runner, was discovered
to use an anabolic steroid at the Olympics Games in Seoul.
In May 2006, Spanish police arrested five people who were
producing several performance-enhancing drugs in a Madrid doping clinic. More recently, we remember the name
of American cyclist Armstrong Lance who was discovered
positive between 2012 and 2013 or Schwazer, the Italian athlete, during 2012.
Only, in 1963 the European Parliament defined the doping,
for the first time, as: “the administration or use of exogenous
substances in an abnormal form or way to healthy persons
where the only goal is to achieve an artificial and unfair
improvement of the performance of the athlete” (Reiter at
al., 1994). The great diffusion of doping cases enhanced the
scholars attention on this problem, but the medical, sport and
legal (in term of improve of anti-doping legislation) views
are no longer sufficient. In particular, an economic analysis
of the phenomena could be considered as necessary in order
to better understand the phenomenon, its economic reasons
and its economic consequences (Eber, 2006, Preston and
Szymanski, 2003). Starting from these premises, the aim of
this study is to contribute to the economic analysis of doping
topic. Above all, starting from an economic interpretation
of doping, related to the fact to views it as an activity that
depended by athletes choice, based on trade-off evaluation
of costs and benefits (Bourg, 2000; Maenning, 2002; Eber,
2006), we try to explore the doping as economic phenomena,
underlining the worth of this approach. Moreover, we would
focus our attention on the incentives to reduce the doping
activities by athletes.
The paper is structured as follows: in the first section we
introduce the problems statements and the aim of the research, than in the second section the most relevant literature
65
SCIENZE MOTORIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
reviews are presented focusing on the approach of doping as
illegal activity based on athletes choices. In the third section
we analyze the economic analysis of anti-doping, focusing
on the role of anti-doping agency and finally, the conclusion,
limits and future research perspectives are described.
2. THE ECONOMIC ANALYSIS OF DOPING: A
LITERATURE VIEW
During the last time, considering the great attention about
economic consequences of doping spread, several scholars
are studying doping in sports with an economic focus (Eber,
2006; Preston and Szymanski, 2003).
The researches that analyze the doping question considering the economic approach can be collocated in two great
frameworks: first one is game theory approach (Breivik,
1987; Eber & Thépot, 1999; Berentsen, 2002; Eber, 2006)
and, second one is the “crime economy” approach (Becker,
1968; Eber, 2006). During this study, we prefer to choose the
second approach for analyzing the phenomena investigated.
According to “crime economic” approach, the doping is illegal activity based on athlete rational choice which considers
the costs and the benefits of the doping usage (Becker, 1968;
Bourg, 2000; Maennig, 2002; Eber, 2006). In other words,
choosing to use or not the drugs to enhance their sporting
performance, the athletes calculate the net utility from doping (Eber, 2006). Maenning (2002), in his study, lists the
benefits as better performance with the consequence to collect higher payments for their activities and so a higher income. Contrary to just said, he underline as costs both the direct costs (the economic costs for getting drugs) and indirect
costs that can affect eventually the athlete and that depended
by his personal and ethic convictions, like being barred from
66
sporting competitions. The costs and benefits evaluated by
athletes are very subjective. In line with this framework several authors underline the doping economic view.
For example Beker (1968) and later Enrlich (1996) analyze
the doping as criminal behavior and show the costs and benefits identification of this activity. Kumar (2014) in his study
focuses the attention on the economic importance of professional sport and of his choice to drugs usage. For the scholar,
in fact, there are several environmental forces that lead to
use of doping practices. Between these forces there are the
economic pressures, in other words the athletes are inclined
to use drugs to enhance their sporting performance because
in this way they might improve their earnings. Maenning
(2002) analyses the problem of doping and corruption in
Olimpic Game underlining their economic determinants
and offering efficient solution for that. Other authors, as
Eber (2006) prefer to use both game theory framework and
“crime economic” framework to explore the doping in economic view. Eber, in his study, focuses his attention on the
economic analysis of anti-doping fight, highlighting the key
determinants of doping rates.
Other authors consider other aspects of doping in the sport.
Dimant and Deutscher, 2015, consider the doping as specific corruption form in sport and they define it as a “systemic threat”. In their study, the authors argue that the doping
entails all the ingredients to distort the sporting competition
and, as consequently, it is able to corrupt the sporting system
(in its entirety). Moreover the author focuses their attention
on basic reasons that can make the doping detrimental as: the
damages for athletes’ health, the decrease of sport reputation
and, as consequence, the loss of interest in sports, in general.
Sànchez and Zabala, in 2013, in their study explore the
review of doping topic in order to analyze the critical as-
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE MOTORIE
pect of publications to describe the elite athletes’ attitudes,
beliefs and knowledge of doping in sport. During their research, they propose several practical strategies to combat
doping in efficiently way. In the same way, Savulescu and
colleagues (2004) in their study consider the usage of performance enhancing drugs in the modern Olympic Game.
Considering “the spirit of sport”, they analyze the costs and
benefits of drugs usage in sporting competition. Finally, they
propose the strategies to fight the doping diffusion among
Olympic athletes. Preston and Szymanski, in 2003, define
the doping as “Doping has probably been the biggest single problem relating to ‘cheating’ for sports administrators.
Doping may be defined as the ingestion of illicit substances
or use of illicit therapies” (Preston and Szymanski, 2003; p.
615). Moreover in the studies they propose a definition on
prohibited substances (stimulants; narcotics; anabolic agents;
diuretics; peptide hormones, mimetics and analogues; agents
with anti-oestrogenic activity; masking agents) and prohibited methods (enhancement of oxygen transfer; pharmacological, chemical and physical manipulation; gene doping).
According to this definition they propose a set of strategies
for not permitting cheating in sport: in economic perspectives as legal, ethical and commercial. They identify a form
of “sabotage” in sports that might improve the illegal acts is
sporting activities as several form of corruption (e.g. attempting to persuade the referee that opponents).
3. DOPING AND ANTI-DOPING: ECONOMIC ANALYSIS
AND STRATEGIES
In line with major literature, we would concentrate our attention on the incentives to reduce the doping activities by
athletes. Considering the previous literature the major incentives for the athlete who choose to use the drugs to enhance
his sporting performance is the economic incentives (figure
1).
So matter of fact, the athletes have better performance and,
in this way, have major visibility in their activities and can
win prizes and their retribution could improve. A great legislation exists to try to appease the doping phenomena but, in
the economic view, this is not sufficient to curb the problem.
Following we propose several anti-doping solutions on the
basic idea of reducing directly the economic incentives for
doping, according to the framework of our study, we choose
not to consider the ethical and moral principles. Other solutions could be relied on reducing the economic value of sport
event or prize (Eber, 2006), in this way the athletes might
be less prone to cheat. In the similar way Eber and Thépot
(1999) argue that a reform about reducing the economic value of prizes for sporting event could give less incentives to
athletes to use drugs. Another solution might be to reduce
the amount of events (Eber, 2006), in order to the athletes
might be less stressed physically and then be less prone to
doping.
Moreover, the introduction of higher costs (Maenning,
2002; Eber, 2006) as a punishment may scare the athletes to
use drugs for enhancing their performance during the competitions. In 1977, considering a very close approach up to
date, Bird and Wagner in their study, propose an interest
system based on disclosure of substances taken by athlete.
The athlete found positive at the substance not decelerated is
considered as doping, the athlete is guilty of doping and then
fined. This approach is based on honesty and transparency
behaviors of athletes.
In order to control the doping problem, in 1999, the World
Anti-Doping Agency (WADA) was established. It is an international independent agency, whose key activities include
scientific research, education and the development of anti-doping strategies. One of the most important activity is to
oversee, implement and rule the World Anti-doping Code,
Figure 1. Economic incentives to use the doping substances
Source: our elaboration
67
SCIENZE MOTORIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
which is the central document that glues together anti-doping
policies, rules and regulations worldwide.
Since 2004, the World Anti-Doping Code publishes an
annual List of Prohibited Substances and Methods (better
known as “List”). The List identifies the substances and
methods prohibited in the competition which are classified by
different categories as steroids, stimulants and gene doping
(etc…). The list is published on 1th of October of every year
in order to enable its introduction for the following years.
WADA, together with governments, define a monitoring
program regarding substances which are not on the Prohibited List, but which could be considered dangerous for sporting competition and that the Agency desires to monitor in
order to determine the level of abuse for athletics. The list
of monitored substance is published, in advance, by WADA.
4. CONCLUSIONS, LIMITS AND FUTURE RESEARCH
PERSPECTIVES
The importance of sport as growing force of general economic system, enhances the importance of all collateral sport
factors as doping.
Doping is a global problem that concerns all international sports and events and it is not a phenomena of modern
athletic competition (Baron, Martin & Magd, 2007). There
are several forms and substances known and unknown that
potentially could be consider as doping substances.
Considering the doping as illicit behaviors chosen by athlete, we could identify different variables related to the personal background that can influence the athletes to use drugs
to enhance their sporting performance (Eber, 2006). In this
context, doping is a choice of the athlete which could evaluate the eventually costs and benefits of the usage of drugs
to enhance his performance in sporting competition. In this
view, we could agree that moral factor assumes a fundamental role to battle the doping. Considering only the economic
aspects of doping phenomena, we argue that there are several
direct economic incentives that might apply to reduce the use
of drugs to enhance the athletes performance, our analysis
underline that the major considered, based on the previous
studies are: (1) to reduce the economic value of sport event
or prize (including salaries of athletes) in this way the athlete
might be less prone to cheat; (2) to enhance the economic
sanctions (penalties) for the athletes to choose to use, consciously, the drugs to improve their performance.
The analysis considers only one theoretical framework and
this approach could be considered as limit for the research.
For the future we would like to improve the literature, considering several theoretical approaches. Moreover we would
like to explore a case study, considering for example, a country conditions.
REFERENCES
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SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE MOTORIE
Doping: perspectives of a phenomenon
VITTORIA MOLISSO1 AND DOMENICO TAFURI2
1 Department of Sport Sciences and Wellness, Parthenope University, Naples, Italy
2 Full Professor of Methods and Educational Activities of Sport, Parhenope University, Naples, Italy
The International Olympic Committee (IOC) founded by
de Coubertine had the merit of having promoted sport aspects such as loyalty and sharing.
However, to emphasize the complexity of issues that sport
has, it is doping. The causes of this phenomenon are not easy
to decipher because of its polymorphism, including relationships, personal motivation and contextual circumstances.
We focus in this case on: the athlete, doping, contexts and
relationships; exploring different perspectives that include
the set represented by the athlete, from his motivation, to
his personality and the environment that surrounds it. A full
analysis must include then harmonization of all aspects that
contribute to the existence and development of doping.
A
precise definition of doping is difficult
since the term, in addition to the more
immediate meaning connected to the act
itself, includes the meaning of a “behavior” that must be framed and evaluated.
So, in a more extensive
approach to the subject
- doping - we must therefore provide convergence
of different components
that will eventually give
characteristics that enable to frame it more
accurately as “phenomenon” to be placed, then,
in a broader context not
only limited to the strictly
sporting theme.
Sport is a complex task
that includes a series of
aspects not only physical,
such as the gesture or the
capacity of the individual
athlete, but also of social and intellectual order linked, in this
case, to the main purpose for which it produces the sporting
action.
In essence, and very briefly, if we want, we can consider
the physical act as a means to achieve certain goals. Then the
center of gravity and the target move towards the competitive aspect that is to say towards the results that the gesture
is able to produce.
On the other hand the term competitiveness, which is an
integral part of sport activity, gives us a more proper and
complete definition.
So the practice of sport, as a whole, is a set of aspects,
including physical / athletic ability, competitive tension and
eventually competitiveness.
DOPING: ETHICS, HEALTH AND LAW
Pierre de Coubertin, educator, in 1894 promoted the first
modern Olympic Games in the hope of finding the same ideals
of sportsmanship, healthy
competition and mutual
respect that characterized
the Greek Olympia 2,500
years before. His motto
was “the important thing
is not winning but taking
part”.
His approach is therefore an ethical and educational approach to
the sport. It was adopted
then by the International Olympic Committee
(IOC), founded by de
Coubertin, and participation in the Olympic competition was reserved only
69
SCIENZE MOTORIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
to non professional athletes and sports.
The intentions were undoubtedly noble and have had the
great merit of having promoted the aspects of sharing and
brotherhood included in sport, stimulating the fairness and
loyalty behaviors, the famous “fair play”, generating, among
other things, the concept of “spirit of sport”.
However, to emphasize the complexity of issues that sport
in general includes, the Doping phenomenon is undoubtedly
an illegal act that goes exactly in the opposite direction to the
wishes of de Coubertin.
If for its polymorphism is not easy to decipher all causes,
explanations, personal motivations or the contextual circumstances, it is obviously easier to find for Doping an adequate
definition as “intake of substances intended to artificially
increase the performance of a competitor, compromising
his/her morality, and physical and mental integrity “(Italian
Sports Medicine Federation 1962). Similarly, the Council of
Europe (Committee for the extra scholastic education) defines it as “ingestion of substances by healthy individuals in
order to artificially improve their performance.”
Doping is not a novelty at least in a historical sense as in
ancient Rome, gladiators used vegetal substances for their
stimulating action. In the 19th century substances like caffeine, opium, cocaine were used, and in the same century, in
1896 there was the first victim of doping, an athlete who had
made use of strychnine, an alkaloid of vegetal origin.
However, it is from the second half of the last century that
the phenomenon began to assume bigger proportions, if only
for the number of deaths that occurred, so that the sports federations began to take specific measures and to legislate.
The Italian Olympic Committee CONI, issued a law (1099
of October 1971) that considered Doping a “violation”.
Currently in Italy there is a discipline (Law 376 of December 2000) of health protection of Anti-Doping sport activities, and there is a detailed list of performance-enhancing
drugs that are forbidden.
In this respect, however, the decisive step towards a more
structured action to fight the phenomenon took place in January of 2004 with the foundation of WADA (World Anti-Doping Agency) whose purpose is to oversee and coordinate the
necessary actions at the international level to fight doping
phenomenon.
All international sports bodies adhere to Wada, such as the
Olympic Committees, and the various sports federations.
The WADA produces a document on “World Anti-Doping
Code”, which establishes rules, regulations and anti-doping
policies at the international level, and in addition provides
an annually updated list of doping substances and methods.
Since its first year of establishment, the Code, has proven
to be an extremely effective tool in coordinating action designed to hinder international doping phenomenon.
Next to this, in support to what is stipulated by the Code,
it has been increased and perfected the body of case law with
the support of the “Court of Arbitration for Sports” (CAS).
In this sense, a matter of particular interest highlighted in
the document is that of the applicability of sanctions even if
70
there is only the evidence of violation of the rules, such as
the simple avoidance to undergo tests, even in the absence of
positivity to them.
As we have seen the methods of control and restriction
have been perfected, but on the other hand, even according
to recent reports, the phenomenon has not been eliminated.
However, we must recognize that in more recent times the
sports world has incorporated some new elements, first of all
the overflowing of the mass media such as television, which
gave to competitive sports and sports in general “spectacular” features that it never had before putting it on the same
level and having the same value of other events which have
nothing to do with sport.
One way or another this not only helped to distort at least
in part the original spirit of de Coubertin, but above all it has
modified the impact of the sport phenomenon on the viewer
who follows sport events but also, and inevitably, on the athlete who practices it.
In this perspective we have to admit doping phenomenon
assumes a triple value:
• The ethical as a misconduct
• The health-related linked to the damage that the substances used can cause to health.
• The legal being that Law can pursue whoever uses it.
Undoubtedly the deep and detailed knowledge of performance-enhancing drugs, their mechanism of action and
the effects they can produce on the organism, are of great
importance, at the same time it is important that there is a
legislation regulating it: both these facts serve to discourage the use of Doping and then to limit the phenomenon.
So we cannot say that the tools used are totally ineffective
or that the results are discouraging, but we must add that the
phenomenon has not disappeared, indeed recently increasingly sophisticated methods have been adopted.
In fact there is a kind of vicious circle: on the one hand
the controls and the related disciplinary measures of doped
athletes have become tighter and stricter, on the other hand a
true “science of Doping” has been developed. Extremely refined to produce more effective results and also to find more
and more elusive sophisticated systems to escape law and
controls.
Indeed all the initiatives put in place from WADA, have
promoted especially regulatory issues and penalties. In other
words, the legal aspect of the problem was prevalent; only
secondarily many other aspects that orbit around doping
were considered. The War on Doping has been played until
now mainly on this ground. This means that the legal-normative aspect, that is the repressive aspect, is currently the
main guideline.
We consider in this case focus of this phenomenon: the
athlete, doping, contexts and relationships; exploring more
closely the phenomenon from a perspective that includes the
set represented by the athlete, its values, its motivations, its
personality, its expectations, and the interface represented by
the context surrounding it.
A complete and comprehensive analysis cannot ignore the
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE MOTORIE
convergence and harmonization of all aspects that contribute to the existence and development of the doping phenomenon, which in itself has nothing to do with the laws that
have been enacted to correct it . The phenomenon arises and
takes place primarily around the person-athlete and around
the context in which the athlete lives his sporting experience.
We stressed that the physical act, the sports movement, is
considered by the athlete, but also by its context, essentially
a means to achieve certain goals that eventually emphasize
the “victory” that in the logic of competition is equivalent to
what in a broader environment is called “success.” In other
words, seen in these terms, sport better corresponds to the
term “game” that gives greater emphasis to the competitive
aspect. It also insert the sporting activity into a wider and
social context, rather than “play” that recalls the concept of
game from the perspective of the practitioner.
The analysis therefore has to be carried out in a suitable
way to find useful tools to better understand the phenomenon
as a whole.
DOPING BETWEEN ADDICTION AND MOTIVATION.
MAIN POINTS OF VIEW
Until now we have rebuilt, in general terms, the history
of doping and its characteristics, trying to propose a vision,
though not exhaustive, of that anti-doping legislation movement that gradually perfected over time.
It results interesting at this point to broaden our perspective
on the issue considering the other and less explored aspects and perhaps less analyzed aspects- that anyway emerge from
a detailed analysis.
This means benefit from a different angle that makes the
general analysis of the problem “doping” more reasonable.
The doping can certainly be considered strictly within the
sport context, where it is used for the purpose and the prospect of facing particularly stressful or strenuous competitions
and also to support demanding workouts, but in parallel it can
be viewed from another angle, that is to say in a more general
context as “common” dependence phenomenon, with all the
related mechanisms that characterize it.
Alessandro Donati, master of sports of the Olympic Committee, offers an interesting perspective in his latest book:
“Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte.”
(Gruppo Abele 2012) (The sport of doping. Those who are
subjected to it, those who fight it). In fact, he focuses on the
addiction effect, considering an inter-relationship between
doping and addiction.
“Those who take significant doses of anabolic steroids,
feel the need to resort to powerful stimulants in the withdrawal periods of the treatments with the result of becoming
dependent from the one and the other.” (Donati, 2012).
In this case, therefore, we may speak not only of doping use
in the field of sport strictly but of dependence mechanisms in
general, as these two phenomena can be connected with one
another thus representing two sides of the same coin.
The phenomenon of addiction can be assessed according
to two fundamental factors that are closely connected to the
same phenomenon: the context in which the subject is inserted and its relations.
The context can be considered a social place where you
experience certain relationships. Bateson, in fact, considered
the need to observe the individual in the context of a social
situation. For the principle of the context, in fact, the behavior assumes significance in relation to the situation, that is, in
those particular circumstances that in a certain way and time
influence the behavior of a person. He adds, moreover, that it
often happens that many behaviors can remain unexplained
until the scope of observation is enlarged because only in
this way you can include all the elements of the context in
which they occur. Bateson reiterates, therefore, that the inability to understand symptomatic behavior is related to the
lack of information about the context in which the symptom
is manifested.
He also describes the context as a learning mode in which
a certain behavior or phenomenon has developed or will develop.
The context becomes thus synonymous of assembly of all
those events that suggest to the body which is the set of alternatives within which it must accomplish the next choice,
which in turn will drive its behavior. (Anolli, 1981)
Mara Selvini Palazzoli states that the context is the array of
meanings; it is essential to consider the influence exerted by
all the groups of which the individual in need is an integral
part.
Essentially doping phenomenon and its use should be considered not only as an act of the individual athlete, circumscribing this behavior in a narrow place of observation, but it
should be considered instead the dense network of contexts
and relationships in which the athlete belongs as protagonist.
The athlete could be considered not as a single individual
bearer of “disease”, but as a person in troubles within the
interpersonal context in which he lives.
A clinical study (Cancrini, Carosi and Mazzoni, 1986) on
addiction says that there is an accidental meeting between
the own effects of the drug or substance and the needs of a
person and / or interpersonal system to which s/he belongs
(the context).
The use of drugs by a person may be regarded, on the motivational level, as an evasive attempt, of “self-therapy”.
Drug addiction is not a specific disorder: addiction, linked
to factors of socio-cultural and intergenerational transmission, makes itself at the disposal of intrapsychic and interpersonal conflicts. (Andreoli, Cancrini, 1988). According to this
theory therefore the use of substances, in this case, doping,
could also be connected to an athlete’s idea of facilitating
his/her own difficulties, in the field of sports and not, using
the same doping as facilitator and self-care to overcome moments of difficulty and stress. Thus achieving his/her objectives, but at the same time trapping him/herself, in a spiral of
awe, where the drug considered illusory facilitator, becomes
an obstacle.
In addition to the concept of “self-care” Cancrini describes
71
SCIENZE MOTORIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
different observation criteria used to define the situations in
which is possible to determine the addiction of a subject. He
identifies, therefore, elements or psychological profiles, in
their interrelationship with certain familiar environmental
and socio-cultural situations, that may be relevant to the use
of drugs and substances.
The same author identifies four typical types of dependent
individuals, and the contexts and relationships in which they
are immersed. In brief, in all the types described by Cancrini
a person makes use of substances and / or drugs because of a
perfect combination of external events, family, relationships
and context. A mix between all these elements that act as
pillars to addiction, considered, therefore, not only in relation to the individual but extending to the whole membership
system within interpersonal relationships perceived as unreliable or suffocating.
A Further observation must also be done, for the phenomenon of co-dependency that maintains the «identified patient»
(i.e. subject with the disorder) in a pathological state, he is a
member of the system that expresses, reports and represents
the poor functioning of the system itself; or one who expresses the pain for the pathological reality of the entire system
extended to the whole context and its relationships.
Among others, a further aspect which is considered very
important in the use of performance-enhancing substances
is the type of motivational orientation that drives a person to
practice a sport. The motivational orientation can be of two
types: task orientation and self orientation; It must be said
that these two dimensions are independent from each other,
for which a subject can be oriented either to the task or to
him/herself.
As for the first dimension, task orientation, they are generally driven to practice a sport those individuals who would
like to improve their skills, perceiving themselves capable in
respect of the obtained progresses.
The second dimension, self orientation, determines the
need to deal with others in order to measure one’s own skills.
Competitiveness, perfection and the will to prove to be better
than others characterized precisely this dimension. A 2004
study has in fact shown that the subjects mainly oriented to
the self are the ones who may be more willing to consider the
way of doping. (Murgia, M., Forzini, F., Agostini, T., 2014).
The doping phenomenon, according to these theories,
should, therefore, include an “overview” of all those aspects
created by multiple shots of a visual, realized and arranged
according to certain criteria, in order to achieve wide viewing
angles.
It is good to consider doping as a phenomenon, full of complex nuances that cannot be narrowed down to the simple
definition of use, by a single individual, of a given substance.
CONCLUSIONS
Doping, as extended “phenomenon,” has recalled the need
to give more space to the different aspects gravitating around
its use, watching and paying attention to all those features
72
that may be involved.
Probably the points of view presented here are not totally
exhaustive, but they are intended to open the doors to new
visions. Probably to adopt a broader perspective allows more
easily, or at least with more clarity, to unravel this complicated skein that we define doping.
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SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE
Consciousness, dementia and
calcareous. If all this is true
ANGELA SCIBETTA
In the trans-membrane channels, calcium is situated in
conformation with two free protons Ca ++
Carbonic acid is present in the interstitial fluid
This formula is true
H2O+CO2 > H2CO3 > H+ - HCO3- > 2H+CO32- + Ca2+
> CaCO3 + H+
Resting potential is -70mV
The bioelectrical neurotransmission occurs because after
the opening and closing of the sodium and potassium channels, the calcium channels are activated, particularly the ones
in the outer membrane
Imagine
According to the transitive theory, as regards to the logics
of chemistry and physics, if this attraction 2H+CO3- - + Ca++
> CaCO3 could be verified also on a micro-molecular level,
the neuron should undergo a change both in the regional micro-membrane and on the macro level zone.
Presume you find in the membrane, one or more of these
calcium channels, which contain a lime scale molecule.
Talking from a chemical point of view, calcified channels
should result deactivated and all functions that were inside
that singular receptor will be lost. Hazarding a guess, I affirm
that calcium carbonate could be the triggering cause of the
many data found until now: the presence of beta amyloid
and tau proteins that causes neurofillary tangle, inflammatory processes activation, anticholinesterases drug inefficiency, the increase of the central ventricles and the presence of
hypertrophied cortical tissue. Most of these neurons, partly
calcified should be found in a specific zone for the cognitive
system, or rather the prefrontal or frontal cortex .
Follow me
Micro-regional level Where calcium salt usually settles, it creates stiffness. A channel containing the mineral
should slightly deform domino boundaries, the confined
73
SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
phospholipids of the
membrane might get
more blocked. As a
consequence protein
active sites nearby
might be slightly modified, changing, for
instance, the spatial
protein structure, or
the trans-membrane
protein cleavage might
be lacking, activating
the folding process as
occurs in beta amyloid
protein.
Attention: It is not
the entire flow of
soma which changes,
but only some tiny
scattered membrane
becomes inactive or
rigid, whereas the entire flow of soma does
not change. The neuron stays alive but the resistance of the
membrane increases and so does the resting potential. Pulsatility is reduced but the whole fluidity isn’t.
By Increasing the resting potential, spike will be reduced,
axons will pass inputs with less frequency and tau protein
will leave the micro- tubules destabilizing and causing death
of the tangled filament. (Neurofibrillary tangle)
Another consequence is: By reducing spike, acetylcholine
and serotonin vesicles may not be produced in a sufficient
amount, in addiction soma will not send stimulus to dendrites. So if there aren’t vesicles, the neurotransmitter will
not be free when we introduce the anticholinesterases .
Macro-regional level A blocked channel will be considered by its cell as a defect because it is obvious to think that
inside there may be a lack chemical reactions that were programmed in that section. This shortcoming activates compensation reactions as well as an internal chemical drive. It’s
possible that these modifications activate the immune system to evaluate the neuron irregularity. The anomaly could
also trigger a defense mechanism called “ inflammation” to
eliminate the damage and fix the defect. Every pharmacological attempt in order to stop the inflammation will be useless
as we may define this membrane modification as a mechanical problem instead of a chemical one.
Hypoperfusion and ventricles increase.
A neuron partly activated doesn’t require large quantities
of energetic substances, consequently the micro-vascular
system will be slowly excluded. Transmission activity and
local interaction belonging to that neuron, as a circular wave
effect, will lead the nearby neurons, to repose. Uninterrupted
74
bioelectrical circuits
will be created.
Capillaries will be
dried up and, due to
the force of gravity,
liquid will collect in
the ventricle tanks.
The gradual and progressive atrophy of the
cortex is explained. It
seems normal to find
cortical atrophy in
people who are in their
eighties, but in dementia this process is faster and the possibility
of ictus is bigger.
The deficit of short
term memory could
be a saturation process
of the hippocampus
(Hebb’s theory) concomitant to the rapid
deactivation of the prefrontal and the frontal cortex.
Stress, carbonic acid and sleep
Stress means struggle. By struggling, energy has to be intensified and so as to increase energy, besides fats and sugar,
oxygen is necessary. But in this combustion, waste products
should be considered. In conclusion, we obtain an effort. A
consumption boost and an increase of waste. The relationship between stress and waste is directly proportional. What
happens if among this waste and in the interstitial fluid there
is an increase of carbonic acid? The probabilities of reaction
with calcium channels would rise.
How much time do these wastes take to be disposed of?
In the brain this cleansing is more present in sleeping
hours. During the night cortisol is at its minimum (circadian
cycle), the state of consciousness is turned off and the cells
involved in the repair and cleansing (astrocytes, glial cells,
macrophages) come into action. The interference with the
circadian cycle could predispose the enhancement of stress
in the cells. People who for internal or external causes are
more sleepless, are even more candidates to develop dementia.
Time and energy, changes and residues. What if dementia was due to calcareous?
SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016 | SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE
Per una teoria estetica della dittatura
DANILO CAMPANELLA
ARSSUP, Associazione di Ricerche Scientifiche e Studi Universitari Privati
N
on credo che qualcuno abbia mai affrontato tale questione, ovvero se la dittatura
possa essere, o no, una categoria estetica.
Nel dubbio, avvicinandoci noi nell’epoca
che, più d’ogni altra, sarà consona alla
“metafisica del fascismo”, è forse opportuno spenderci, nel
dubbio, qualche riga.
Gli slogan, i discorsi, i messaggi democratici son sempre
stati ricchi di contenuti – in particolar modo retorico, puramente demagogico – mentre le musiche e gli inni sono, di
solito, poveri di note e di inventiva. Nei governi e nelle ideologie autoritarie, soprattutto se dittature, gli inni sono ricchi
di note, e gli slogan rasentano le tautologie: “Si deve fare
quello che si deve fare!”. In Germania, durante le elezioni
presidenziali 1932, apparve un manifesto ma chiaro ed efficace: un volto che guarda dritto verso di te e, sotto, una sola
parola “HITLER”. Lui era l’uomo da votare. Mussolini andò
oltre. Nei suoi manifesti, rigorosamente in bianco e nero (colore fascista e domenicano insieme) c’era scritto “SI”. Il minimalismo è il segreto della dittatura.
Partiamo dall’ordine. L’oscena bellezza della dittatura la
vediamo dall’antichità classica fino al primo novecento, nonostante la migliore arma dei regimi autoritari sia stata la
lancia prima e il manganello poi. La bellezza della dittatura,
se così possiamo esprimerci, è racchiusa nel concetto di “ordine”, che è quella cosa che da fastidio a tutti, o quasi, e che
tutti desiderano solo quando il caos democratico raggiunge
picchi così vertiginosi da essere necessario un cambiamento
radicale. Più sicurezza, più controllo, meno chiacchiere. A
quel punto la dittatura diventa appetibile e i cittadini scoprono un nuovo, orgasmico sollazzo: quello della semplice
ubbidienza.
Il gusto per le strade ben asfaltate, per i vialetti curati, per
gli orari rispettati, per le paludi bonificate, per i treni in orario, per il lavoro sodo e che produce ricchezza, per le poche
parole e i molti fatti è un gusto che si prova quando si è da
molto tempo a digiuno di regole. La moltitudine, la maggio-
ranza o, come direbbe George Mosse la “folla” è psicologicamente inesistente, caotica e amorfa. Mentre i singoli sono,
o possono essere autonomi e dimostrare una qualche forma
di intelligenza, la moltitudine è ingovernabile: deve per questo essere sempre eterodiretta, come ben spiegò il sociologo
David Riesman (studioso della società americana) o da uno
solo, o da un gruppo di autocrati; in ogni caso “guidata” da
qualcun altro. Il sogno socialista della “dittatura del proletariato” è pura illusione, perché si basa sull’impossibilità che
le persone, in gruppo, si organizzino senza che qualcun altro,
dall’esterno, dica loro cosa fare. La speranza per una dittatura del proletariato è diventata quindi la dittatura del partito,
e dire “compagno Stalin”, godendo del fatto che si potesse
chiamare anche lui “compagno”, come tutti, era uno strumento retorico per far credere alla psiche dei poveri schiavi
che tutti fossero uguali. Per coniare uno slogan tecno-dittatoriale “E’ uno di noi”.
La vicinanza paternalista: padre-padrone. Anche l’illusione della vicinanza del potere racchiude la più grande distanza
da esso. Più l’autorità viene percepita lontana, più è divina
ma, se assume un volto familiare, paterno e paternalista, ecco
che pare più sopportabile o, peggio ancora, giustificabile. Il
più grande “trucco” del potere, in tal senso, è quello di far
credere che, barattando la nostra libertà con la sicurezza,
avremmo “tutto intorno a noi”, a nostra comodità, a uso e
consumo.
La vicinanza, l’affabilità, la gentilezza, la protezione, le
carezze, la musica, gli abbracci, sono tutte immagini che traspaiono dai manifesti staliniani russi, durante il periodo delle
“grandi purghe”, nella seconda metà del 1930.
Grandezza. La dittatura può godere di una sua ragione
estetica e, per questo, si serve più che mai della bellezza,
dell’arte, per imposi e perpetrarsi. Ma l’arte non è una creazione di gruppo, è il parto mentale di una singola anima eletta, da Dio o da un altro signore terreno. Non mi riferisco tanto all’osservazione di Aristotele, secondo cui la bellezza è la
migliore raccomandazione sulla quale si possa contare, come
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SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 33 • 15 LUGLIO 2016
testimonia Diogene Laerzio nel III secolo d.C. scrivendo il
suo Vite dei filosofi. Mi riferisco all’uso che i regimi fanno dell’arte. Le dittature di ogni tempo, sia occidentali che
orientali, fecero ampio sfoggio di palazzi signorili, statue,
affreschi, ed altro. Senza ricordare i fasti architettonici del
nazionalsocialismo o del fascismo italiano, si pensi all’importanza di Giulio II, il papa re del rinascimento soprannominato “il guerriero” e “il terribile”. Il suo regime teocratico
portò avanti un mecenatismo che permise la sopravvivenza
di alcuni dei più grandi artisti, realizzando opere d’arte capolavori della storia occidentale: Bramante, Michelangelo,
Raffaello dovettero tutto a lui. In Oriente, il palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing, la “Città proibita”, costruita tra
il 1406 e il 1420, si trova nel centro di Pechino. Quest’opera
monumentale per quasi 500 anni è stata la sede dell’impero cinese, e fonte allora come oggi di grande meraviglia per
gli occhi di visitatori e turisti. I Leoni di fronte al Palazzo
della Tranquilla Longevità sono meraviglie che servono a
proteggere, ispirare, arricchire il palazzo del signore; per gli
operai val bene un lampione o un orologio, per scandire il
tempo che passa, mentre per i “padroni” il tempo è relativo, e vorrebbero non passasse mai. Ancora più indietro nel
tempo, immaginiamo colonne di schiavi che, sotto Roma e
Atene edificano i più belli, possenti e duraturi edifici della
storia. Ancora più indietro del Colosseo abbiamo le sfingi,
gli obelischi e le piramidi degli antichi egizi. Tutta la storia
dell’arte è quindi bagnata dal sangue e dal sacrificio di pletori
di sventurati che, spinti dal progetto dei maestri e dal giogo
dei signori, tribolavano per farci vedere la bellezza che, oggi,
nemmeno notiamo, distratti come siamo dai costrutti transitori e a poco prezzo sui quali consacriamo il nostro tempo di
consumatori consumati.
Al contrario degli imperi e delle dittature, le repubbliche,
peggio ancora se democratiche, hanno solitamente prodotto luoghi e spazi senza alcun gusto estetico, attraverso un
funzionalismo scevro da qualsiasi idea di bellezza. Questo
perché ciò che è bello serve per ospitare i signori, mentre
ciò che è funzionale serve per ospitare, aiutare, sostenere
i lavoratori, ovvero i servi. Ammiriamo, per modo di dire,
le statue, democratiche e socialdemocratiche, nelle nostre
piazze che sono, per lo più, un inutile spreco di denaro e di
materiale. Palazzi e centri urbani hanno la sola funzione di
dare alloggio a famiglie di consumatori; sono perciò scatole
di grigio mattone, serpentoni di cemento armato che sfilano
lungo gli orizzonti della periferia urbana, lungo le periferie
delle città e dello spirito.
Intransigenza. La democrazia richiede il politicamente
corretto; perciò il “popolare” è nato dal popolarismo. Bisogna essere popolari. Non si può, per questo, essere anche artisti. L’artista, come il signore, non transige. Il signore è di
per sé impopolare: sa quello che è giusto e che si deve fare.
Se ti dice “fai questo”, tu fai quello. Se dice “state zitti”, voi
state zitti. Non può essere popolare. Al massimo temuto e
ammirato, se ha stile. La popolarità è, infatti, la prima nemica
dell’arte. La vera arte non si capisce perché è incomunicabile. L’arte aspira a fregiarsi dello stesso mistero della vita.
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Si capisce forse la vita? Ma tutto ciò che non si capisce fa
paura, e se non è comunicabile nel mondo dell’informazione
e della rappresentazione è inutile, se non dannoso. In democrazia si tende a dare tutto a tutti, far passare il messaggio
secondo cui tutti siano uguali, senza spiegare uguali a che,
o a chi. L’artista e il dittatore sono uguali a se stessi e sono
anche i migliori. La cattiveria non esclude l’amore per il sapere, per il bello, per l’arte.
Elitarismo. Tutto ciò che è bello ci dà la gioia. Da sempre
le cose più belle sono le migliori e, come tali, sono eccezionali, alte, elevate. Ma per essere create occorrono uomini
eccezionali. Per essere dispensate occorrono uomini che abbiano tempo, soldi, mezzi eccezionali. Tutto ciò richiede un
enorme sforzo, un grande sacrificio, poche obiezioni e una
certa dose di prepotenza. Tutto ciò che è arte si ammira e
basta. Non richiede commenti. Non c’è il diritto di replica su
Pontormo, Botticelli, Giotto, Bernini, Mozart. L’arroganza
del potere è pari all’arroganza dell’artista.
Oggi, si dice, c’è un grande bisogno di arte. Una fame insaziabile, dato che il “bello” non è più tra noi, se non come
rovina. L’arte oggi non è tanto una Venere di Botticelli che
avanza, sorge, si muove verso di noi sulle acque, piuttosto
un’accasciata Santa Cecilia del Maderno. Ecco perché le
opere d’arte sono sequestrate e protette, con telecamere, allarmi a infrarossi, teche di vetro, recinzioni, dentro le loro
prigioni chiamate musei. Sono le ultime e, come tali, subiscono una guardiania serrata e ininterrotta, mentre nell’antichità l’arte era all’aperto e nessuno si azzardava a deturparla
o a segregarla. Questo vi fa capire nell’irrimediabile stato di
sterilità mentale e spirituale in cui siamo finiti noi contemporanei. Il massimo dell’ignavia democratica è stato raggiunto
quando si lasciarono distruggere dai terroristi le statue del
Museo di Mosul, nonché l’intera città archeologica di Palmira: un insulto contro Dio, anche per chi fosse ateo.
Essendo “noi democratici” uomini medi, per noi le vie di
mezzo, ossia quelle mediocri, saranno sempre le più congeniali e, per ammirare ciò che è bello, dovremmo sempre volgerci indietro. Fin quando non arriverà una nuova dittatura,
mascherata naturalmente da socialdemocrazia perché, noi,
siamo uomini medi e, anche del dire o nel mostrare le cose,
vogliamo stare nel mezzo tra ciò che è vero e ciò che è falso.
L’arte è oscena, poiché è al di fuori dalla scena, quindi
abbisogna di artisti osceni e di osceni mecenati. Con tutto
ciò che questo comporta. Del resto, chiese retoricamente il
drammaturgo Carmelo Bene al suo pubblico “Cosa può garantire una democrazia che una dittatura non possa garantirvi”?
SCIENZE E RICERCHE • 15 LUGLIO 2016 | IL COMITATO SCIENTIFICO
15 LUGLIO 2016
Comitato scientifico
SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE, CHIMICHE E DELLA TERRA
Matematica
Elena Agliari (Sapienza Università di Roma)
Andrea Bonfiglioli (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Lorenzo Carlucci (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Umberto Cerruti (Università degli Studi di Torino)
Luca Di Persio (Università degli Studi di Verona)
Alberto Facchini (Università degli Studi di Padova)
Luca Granieri (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Paola Magnaghi-Delfino (Politecnico di Milano)
Paolo Maria Mariano (Università degli Studi di Firenze)
Vito Napolitano (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Giorgio Riccardi (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Marco Rigoli (Università degli Studi di Milano)
Gloria Rinaldi (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Brunello Tirozzi (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Guido Zaccarelli (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Informatica
Stefano Bistarelli (Università degli Studi di Perugia)
Angelo Ciaramella (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Davide Ciucci (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Mario Pavone (Università degli Studi di Catania)
Marcello Pelillo (Università Ca’ Foscari Venezia)
Giuseppe Scanniello (Università degli Studi della Basilicata)
Lorenzo Tortora de Falco (Università degli Studi Roma Tre)
Pietro Ursino (Università degli Studi dell’Insubria)
Fisica
Fabrizio Arciprete (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Franco Bagnoli (Università degli Studi di Firenze)
Adriano Barra (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Alessio Bosio (Università degli Studi di Parma)
Maria Grazia Bridelli (Università degli Studi di Parma)
Gian Paolo Brivio (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Tolmino Corazzari (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Giacomo Mauro D’Ariano (Università degli Studi di Pavia)
Alessandra De Lorenzi (Università Ca’ Foscari Venezia)
Carlo del Papa (Università degli Studi di Udine)
Andrea Ferrara (Scuola Normale Superiore)
Roberto Fieschi (Università degli Studi di Parma)
Andrea Frova (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Alessandro Gabrielli (Alma Mater Università di Bologna)
Maurizio Iori (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Gaetano Lanzalone (Università degli Studi di Enna Kore)
Savino Longo (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)
Luca Malagoli (Istituto A. Volta di Sassuolo)
Marisa Michelini (Università degli Studi di Udine)
Lino Miramonti (Università degli Studi di Milano)
Annamaria Muoio (Università degli Studi di Messina)
Luigi Pilo (Università degli Studi dell’Aquila)
Nicola Piovella (Università degli Studi di Milano)
Franco Taggi
Chimica
Vincenzo Barone (Scuola Normale Superiore)
Ignazio Blanco (Università degli Studi di Catania)
Vincenzo Brandolini (Università degli Studi di Ferrara)
Irene Dini (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Antonino Famulari (Politecnico di Milano)
Sergio Ferro (Università degli Studi di Ferrara)
Francesca Caterina Izzo (Università Ca’ Foscari Venezia)
Marcello Locatelli (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Salvatore Lorusso (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Placido Mineo (Università degli Studi di Catania)
Andrea Natali (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Neri Niccolai (Università degli Studi di Siena)
Stefano Protti (Università degli Studi di Pavia)
Andrea Pucci (Università di Pisa)
Carmela Saturnino (Università degli Studi di Salerno)
Pietro Tagliatesta (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Vincenzo Villani (Università degli Studi della Basilicata)
Scienze della Terra
Giovanni Bruno (Politecnico di Bari)
Claudio Cassardo (Università degli Studi di Torino)
Piero Di Carlo (Università degli Studi dell’Aquila)
Luca Lanci (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
Michele Lustrino (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Enrico Miccadei (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Giovanni Santarato (Università degli Studi di Ferrara)
Roberto Scandone (Università degli Studi Roma Tre)
SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE
Biologia
Francesca Arnaboldi (Università degli Studi di Milano)
Silvia Arossa (Università Politecnica delle Marche)
Giuseppe Barbiero (Università della Valle d’Aosta)
Massimiliano Bergallo (Università degli Studi di Torino)
Mario Bortolozzi (Università degli Studi di Padova)
Maurizio Francesco Brivio (Università degli Studi dell’Insubria)
Stefania Bulotta (Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro)
Antonella Carsana (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Bruno Cicolani (Università degli Studi dell’Aquila)
Paola Coccetti (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Marco Colasanti (Università degli Studi Roma Tre)
Renata Cozzi (Università degli Studi Roma Tre)
Pierangelo Crucitti (SRSN - Società Romana di Scienze Naturali)
Roberta Di Pietro (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Francesco Dondero (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro)
Guglielmina Froldi (Università degli Studi di Padova)
Simone Giannecchini (Università degli Studi di Firenze)
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IL COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • 15 LUGLIO 2016
Erminio Giavini (Università degli Studi di Milano)
Gianni Guidetti (Università degli Studi di Pavia)
Angela Ianaro (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Caterina La Porta (Università degli Studi di Milano)
Fabrizio Loreni (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Stefania Marzocco (Università degli Studi di Salerno)
Fabrizio Mattei (Istituto Superiore di Sanità)
Elisabetta Meacci (Università degli Studi di Firenze)
Antonio Miceli (Università del Salento)
Salvatore Nesci (Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Nicolò Parrinello (Università degli Studi di Palermo)
Gianni Pavan (Università degli Studi di Pavia)
Mario Pestarino (Università degli Studi di Genova)
Giovanni Fulvio Russo (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Roberto Sandulli (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Luana Toniolo (Università degli Studi di Padova)
Renata Viscuso (Università degli Studi di Catania)
Nicola Zambrano (Università degli Studi di Napoli Federico II)
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Francesco Vizzarri (Università degli Studi del Molise)
Aldo Zechini D’Aulerio (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Scienze veterinarie
Monica Colitti (Università degli Studi di Udine)
Mauro Cristaldi (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Edo D’Agaro (Università degli Studi di Udine)
Gianfranco Militerno (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Giuseppe Morello (Università degli Studi di Palermo)
Frine Eleonora Scaglione (Università degli Studi di Torino)
Patrizia Serratore (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Dominga Soglia (Università degli Studi di Torino)
SCIENZE DELL’INGEGNERIA E DELL’ARCHITETTURA
Medicina
Amedeo Amedei (Università degli Studi di Firenze)
Adriano Angelucci (Università degli Studi dell’Aquila)
Nicola Avenia (Università degli Studi di Perugia)
Cesario Bellantuono (Università Politecnica delle Marche)
Antonio Brunetti (Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro)
Marco Cambiaghi (Università degli Studi di Torino)
Marco Carotenuto (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Angelo Cazzadori (Università degli Studi di Verona)
Massimiliano Contesini (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Maria Esposito (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Paolo Francesco Fabene (Università degli Studi di Verona)
Davide Festi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Lucio Achille Gaspari (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Maurizio Giuliani (Università degli Studi dell’Aquila)
Roberta Granese (Università degli Studi di Messina)
Paolo Gritti (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Ciro Isidoro (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro)
Antonio Simone Laganà (Università degli Studi di Messina)
Angelo Lavano (Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro)
Elena Martinelli (Università degli Studi di Firenze)
Filomena Mazzeo (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Massimo Miniati (Università degli Studi di Firenze)
Letteria Minutoli (Università degli Studi di Messina)
Luigi Muratori (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Antonella Nespoli (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Giuseppe Pignataro (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Letizia Polito (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Edoardo Raposio (Università degli Studi di Parma)
Giuseppina Rizzo (Università degli Studi di Messina)
Elisabetta Rovida (Università degli Studi di Firenze)
Davide Schiffer (Università degli Studi di Torino)
Tullio Scrimali (Università degli Studi di Catania)
Leandra Silvestro (Università degli Studi di Torino)
Bartolomeo Valentino (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Marco Zaffanello (Università degli Studi di Verona)
Ingegneria civile e architettura
Filippo Angelucci (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Francesco Augelli (Politecnico di Milano)
Silvia Barbero (Politecnico di Torino)
Cinzia Bellone (Università degli Studi Guglielmo Marconi)
Michele Betti (Università degli Studi di Firenze)
Alberto Bologna (École Polytechnique Fédérale de Lausanne, Switzerland)
Francesco Saverio Capaldo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Alessandro Capra (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Alessandra Carlini (Università degli Studi Roma Tre)
Orazio Carpenzano (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Arnaldo Cecchini (Università degli Studi di Sassari)
Elisabetta Cianfanelli (Università degli Studi di Firenze)
Carlo Coppola (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Alessandra Cucurnia (Università degli Studi di Firenze)
Sebastiano D’Urso (Università degli Studi di Catania)
Caterina Cristina Fiorentino (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Antonio Formisano (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Gabriele Garnero (Università degli Studi di Torino)
Giada Gasparini (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Francesca Giglio (Università Mediterranea di Reggio Calabria)
Anna Granà (Università degli Studi di Palermo)
Angela Giovanna Leuzzi (Università degli Studi di Camerino)
Mara Lombardi (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Angelo Luongo (Università degli Studi dell’Aquila)
Michele Mossa (Politecnico di Bari)
Maurizio Oddo (Università degli Studi di Enna Kore)
Pier Luigi Paolillo (Politecnico di Milano)
Maria Ines Pascariello (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Ivana Passamani (Università degli Studi di Brescia)
Giovanni Perillo (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Lucia Pietroni (Università degli Studi di Camerino)
Bernardino Romano (Università degli Studi dell’Aquila)
Cesare Renzo Romeo (Politecnico di Torino)
Giovanni Santi (Università di Pisa)
Vincenzo Sapienza (Università degli Studi di Catania)
Michelangelo Savino (Università degli Studi di Padova)
Massimiliano Savorra (Università degli Studi del Molise)
Maria Grazia Turco (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Herman van Bergeijk (Technische Universiteit Delft, Nederland)
Antonella Violano (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Scienze agrarie
Umberto Anastasi (Università degli Studi di Catania)
Sergio Angeli (Libera Università di Bolzano)
Stefania Balzan (Università degli Studi di Padova)
Riccardo N. Barbagallo (Università degli Studi di Catania)
Graziella Benedetto (Università degli Studi di Sassari)
Gino Ciafardini (Università degli Studi del Molise)
Francesco Contò (Università degli Studi di Foggia)
Tullia Gallina Toschi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Alessandra Mazzeo (Università degli Studi del Molise)
Alberto Minelli (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Francesco Sottile (Università degli Studi di Palermo)
Antonio Stasi (Università degli Studi di Foggia)
Giuseppe Tataranni (Università degli Studi della Basilicata)
Antonino Testa (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Ingegneria industriale
Sergio Baragetti (Università degli Studi di Bergamo)
Salvatore Brischetto (Politecnico di Torino)
Eugenio Brusa (Politecnico di Torino)
Federico Cheli (Politecnico di Milano)
Gianpiero Colangelo (Università del Salento)
Simone Colombo (Politecnico di Milano)
Giorgio De Pasquale (Politecnico di Torino)
Sergio della Valle
Alberto Gallifuoco (Università degli Studi dell’Aquila)
Giancarlo Genta (Politecnico di Torino)
Massimo Guarnieri (Università degli Studi di Padova)
Francesco Iacoviello (Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale)
Giovanna La Fianza (Università degli Studi del Molise)
SCIENZE E RICERCHE • 15 LUGLIO 2016 | IL COMITATO SCIENTIFICO
Luigi Landini (Università di Pisa)
Francesco Lattarulo (Politecnico di Bari)
Vinicio Magi (Università degli Studi della Basilicata)
Salvo Marcuccio (Università di Pisa)
Raffaele Marotta (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Riccardo Nobile (Università del Salento)
Carlo Rottenbacher (Università degli Studi di Pavia)
Carlo Santulli (Università degli Studi di Camerino)
Silvano Vergura (Politecnico di Bari)
Gabriele Virzì Mariotti (Università degli Studi di Palermo)
Antonio Zuorro (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Ingegneria dell’informazione
Italo Ghidini
Alessio Giorgetti (Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Universitari e di
Perfezionamento)
Giada Giorgi (Università degli Studi di Padova)
Agostino Giorgio (Politecnico di Bari)
Giuliana Guazzaroni (Università Politecnica delle Marche)
Alberto Marchetti Spaccamela (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Emilio Matricciani (Politecnico di Milano)
Luciano Mescia (Politecnico di Bari)
Anna Gina Perri (Politecnico di Bari)
Fiora Pirri (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Gaetano Valenza (Università di Pisa)
SCIENZE DELL’UOMO, FILOSOFICHE, STORICHE E LETTERARIE
Scienze dell’antichità
Enrico Acquaro (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Carlo Beltrame (Università Ca’ Foscari Venezia)
Fulvia Ciliberto (Università degli Studi del Molise)
Massimiliano David (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Francesca Ghedini (Università degli Studi di Padova)
Maria Teresa Guaitoli (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Alessandro Teatini (Università degli Studi di Sassari)
Guido Vannini (Università degli Studi di Firenze)
Scienze artistiche
Ornella Castiglione (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Emanuele Ferrari (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Anna Lucia Natale (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Gigliola Novali (Università degli Studi di Genova)
Gianni Nuti (Università della Valle d’Aosta)
Gaetano Oliva (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Matteo Segafreddo (Università Ca’ Foscari Venezia)
Filologia e letteratura italiana
Emanuela Andreoni Fontecedro (Università degli Studi Roma Tre)
Angelo Ariemma (Centro di Documentazione Europea Altiero Spinelli)
Gian Paolo Caprettini (Università degli Studi di Torino)
Alberto Carli (Università degli Studi del Molise)
Antonio Lucio Giannone (Università del Salento)
Alessio Persic (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Marco Perugini (Università degli Studi Guglielmo Marconi)
Domenico Russo (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Giuseppe Solaro (Università degli Studi di Foggia)
Silvia Stucchi (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Immacolata Tempesta (Università del Salento)
Gabriella Vanotti (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo
Avogadro)
Lingue e letterature
Donella Antelmi (IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione)
Antonella Benucci (Università per Stranieri di Siena)
Alessandra Calanchi (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
Giovanna Carloni (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
Carla Comellini (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Barbara D’Annunzio (Università Ca’ Foscari Venezia)
Cosimo De Giovanni (Università degli Studi di Cagliari)
Roberto De Romanis (Università degli Studi di Perugia)
Pierangela Diadori (Università per Stranieri di Siena)
Mirko Grimaldi (Università del Salento)
Peggy Katelhoen (Università degli Studi di Torino)
Paola Martinuzzi (Università Ca’ Foscari Venezia)
Fabio Matassa
Maria Grazia Meriggi (Università degli Studi di Bergamo)
Erika Notti (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Alberta Novello (Università Ca’ Foscari Venezia)
Mariagrazia Russo (Università degli Studi della Tuscia)
Matteo Santipolo (Università degli Studi di Padova)
Cristina Schiavone (Università di Macerata)
Paolo Torresan (Università Ca’ Foscari Venezia)
Patrizia Torricelli (Università degli Studi di Messina)
Ute Christiane Weidenhiller (Università degli Studi Roma Tre)
Maria Teresa Zanola (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Orientalistica
Rosa Conte (Università di Macerata)
Rosa Lombardi (Università degli Studi Roma Tre)
Storia
Andrea Candela (Università degli Studi dell’Insubria)
Paolo Carusi (Università degli Studi Roma Tre)
Marco Ciardi (Alma Mater Studiorum, Università di Bologna)
Chiara d’Auria (Università degli Studi di Salerno)
Fabrizio Dal Passo (Sapienza Università di Roma)
Daria De Donno (Università del Salento)
Isabella Gagliardi (Università degli Studi di Firenze)
Giuseppe Motta (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Rossano Pazzagli (Università degli Studi del Molise)
Luciana Petracca (Università del Salento)
Francesco Randazzo (Università degli Studi di Perugia)
Milena Sabato (Università del Salento)
Leonardo Sacco (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Marco Santoro (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Paolo Scarpi (Università degli Studi di Padova)
Antonio Scornajenghi (Università degli Studi Roma Tre)
Anna Toscano (Università degli Studi di Milano)
Luigi Traetta (Università degli Studi di Foggia)
Gabriella Valera (Università degli Studi di Trieste)
Angelo Ventrone (Università di Macerata)
Agnese Visconti
Etnologia
Domenico Ienna (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Giuseppe Scandurra (Università degli Studi di Ferrara)
Geografia
Anna Rosa Candura (Università degli Studi di Pavia)
Margherita Ciervo (Università degli Studi di Foggia)
Paolo Molinari (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Emanuele Poli (Università degli Studi di Pavia)
Stefano Soriani (Università Ca’ Foscari Venezia)
Filosofia
Mario Alai (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
Marta Bertolaso (Università Campus Bio-Medico di Roma)
Diego Fusaro (Università Vita-Salute San Raffaele)
Stefano Maso (Università Ca’ Foscari Venezia)
Stefania Giulia Mazzone (Università degli Studi di Catania)
Franco Riva (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Pedagogia
Giovanni Arduini (Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale)
Sergio Bonetti
Rosa Cera (Università degli Studi di Foggia)
Maria D’Ambrosio (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Paola Dal Toso (Università degli Studi di Verona)
Barbara De Serio (Università degli Studi di Foggia)
Maria Amata Garito (UTIU - Università Telematica Internazionale Uninettuno)
Anna Granata (Università degli Studi di Torino)
Gianna Marrone (Università degli Studi Roma Tre)
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IL COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • 15 LUGLIO 2016
Giovanni Moretti (Università degli Studi Roma Tre)
Laura Moschini (Università degli Studi Roma Tre)
Antonella Nuzzaci (Università degli Studi dell’Aquila)
Luca Refrigeri (Università degli Studi del Molise)
Stefano Salmeri (Università degli Studi di Enna Kore)
Flavia Santoianni (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Fabrizio Manuel Sirignano (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Psicologia
Barbara Barcaccia (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Giuseppe Curcio (Università degli Studi dell’Aquila)
Francesca Cuzzocrea (Università degli Studi di Messina)
Marco D’Addario (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Enrico Giora (Università Vita-Salute San Raffaele)
Antonio Godino (Università del Salento)
Paola Gremigni (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Alessandra Cecilia Jacomuzzi (Università Ca’ Foscari Venezia)
Caterina Lombardo (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Paola Magnano (Università degli Studi di Enna Kore)
Susanna Pallini (Università degli Studi Roma Tre)
Claudio Palumbo (Università degli Studi di Parma)
Olimpia Pino (Università degli Studi di Parma)
Vincenzo Paolo Senese (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Renato Vignati (Università di Macerata)
Arturo Xibilia (Università degli Studi di Catania)
Scienze motorie
Massimiliano Gollin (Università degli Studi di Torino)
Pasqualino Maietta Latessa (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Domenico Tafuri (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE E SOCIALI
Diritto
Gaetano Armao (Università degli Studi di Palermo)
Elena Bellisario (Università degli Studi Roma Tre)
Antonietta Chiantia (Università degli Studi di Messina)
Daniele Coduti (Università degli Studi di Foggia)
Stefano Colloca (Università degli Studi di Pavia)
Angela Cossiri (Università di Macerata)
Giovanni Di Cosimo (Università di Macerata)
Lorenzo Gagliardi (Università degli Studi di Milano)
Giancarlo Guarino (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Rolandino Guidotti (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Giovanni Iudica (Università degli Studi di Catania)
Agostina Latino (Università degli Studi di Camerino)
Antonio Maria Leozappa (Università del Salento)
Massimiliano Mancini (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Simone Mezzacapo (Università degli Studi di Perugia)
Silvia Nicodemo (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Antonio Palma (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Biancamaria Raganelli (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Carlo Rasia (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Francesco Rende (Università degli Studi di Messina)
Gennaro Rotondo (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Gianpaolo Maria Ruotolo (Università degli Studi di Foggia - King’s College London)
Fabrizia Santini (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo
Avogadro)
Lorenzo Scillitani (Università degli Studi del Molise)
Domenico Siclari (Università per Stranieri Dante Alighieri)
Giuseppe Spoto (Università degli Studi Roma Tre)
Anna Lucia Valvo (Università degli Studi Internazionali di Roma)
Alberto Virgilio (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Maria Rosaria Viviano (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Economia
Rossella Agliardi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Vincenzo Asero (Università degli Studi di Catania)
Giuliana Birindelli (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Domenico Bodega (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Sabrina Bonomi (Università degli Studi eCampus)
80
Antonio Botti (Università degli Studi di Salerno)
Luigi Bottone (Università Carlo Cattaneo - LIUC)
Rossella Canestrino (Università degli Studi di Napoli Parthenope)
Antonio Capaldo (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Laura Castellucci (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Fausto Cavallaro (Università degli Studi del Molise)
Luciano Consolati (Università degli Studi Guglielmo Marconi)
Gaetano Cuomo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Giovanni Favero (Università Ca’ Foscari Venezia)
Mariantonietta Fiore (Università degli Studi di Foggia)
Massimo Franco (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Riccardo Gallo (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Pierpaolo Giannoccolo (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Carolina Guerini (Università Carlo Cattaneo - LIUC)
Pierpaolo Magliocca (Università degli Studi di Foggia)
Alfonso Marino (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Giuseppe Marotta (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Elisa Pintus (Università della Valle d’Aosta)
Maria Cristina Quirici (Università di Pisa)
Alessia Sammarra (Università degli Studi dell’Aquila)
Barbara Scozzi (Politecnico di Bari)
Filippo Sgroi (Università degli Studi di Palermo)
Claudio Socci (Università di Macerata)
Michela Soverchia (Università di Macerata)
Riccardo Stacchezzini (Università degli Studi di Verona)
Giuseppe Tardivo (Università degli Studi di Torino)
Caterina Tricase (Università degli Studi di Foggia)
Erica Varese (Università degli Studi di Torino)
Statistica
Antonio Attalienti (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)
Luigi De Cesare (Università degli Studi di Foggia)
Massimiliano Giacalone (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Monica Palma (Università del Salento)
Scienze politiche e sociali
Silvano Belligni (Università degli Studi di Torino)
Carlo Bolognesi (Università degli Studi eCampus)
Giovanni Borriello (Università degli Studi Roma Tre)
Domenico Carbone (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro)
Marco Cilento (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Luigi Colaianni (Università degli Studi di Padova)
Ivo Colozzi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)
Paolo Corvo (Università degli Studi di Scienze Gastronomiche)
Sara Gentile (Università degli Studi di Catania)
Michele Lanna (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Andrea Lombardinilo (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Maurizio Lozzi (presidente CONSCOM)
Vincenzo Memoli (Università degli Studi di Milano)
Andrea Millefiorini (Seconda Università degli Studi di Napoli)
Fortunato Musella (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Cristiana Ottaviano (Università degli Studi di Bergamo)
Paola Panarese (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Gianluca Pastori (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Pasquale Peluso (Università degli Studi Guglielmo Marconi)
Matteo Pizzigallo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Irene Ranaldi (Università degli Studi di Roma La Sapienza)
Andrea Spreafico (Università degli Studi Roma Tre)
Luca Toschi (Università degli Studi di Firenze)
Anna Lisa Tota (Università degli Studi Roma Tre)
Roberto Veraldi (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)
Fabio Zucca (Università degli Studi dell’Insubria)