Clemente Mazza «Con la pittura riesco a
Transcript
Clemente Mazza «Con la pittura riesco a
10 I VIMERCATE L’INCONTRO Il pittore 64enne, di origine calabra, in città dal 1971, traccia un bilancio della sua attività Clemente Mazza «Con la pittura riesco a scavare nell’animo» di Anna Prada «Quando ho iniziato a dipingere?... Da subito… io dipingo da sempre». In questa spontanea affermazione affiora l’eterno rapporto di Clemente Mazza con la pittura, un legame attraverso il quale uomo e artista, in piena simbiosi, filtrano e leggono la realtà. 64 anni, originario della Calabria, a Vimercate dal 1971 e per oltre quarant’anni infermiere in servizio presso l’ospedale cittadino, Mazza, ora in pensione, fruga nella memoria e ripesca il ricordo, ancora vivido, dei suoi esordi con pennello e tela: «Avevo sei anni e mentre giocavo a pallone con gli amici m’imbattei nella pittura. Mi ero allontanato per rincorrere la palla e, scendendo da una scaletta, vidi attraverso la finestra della sua abitazione Giuliano Sicilia che dipingeva. Rimasi incantato. Era il segretario comunale del mio paese, San Pietro in Guarano; incuteva un certo timore e tutti i bambini avevano paura di lui. Io no, io ero incuriosito e, ogni volta che potevo, andavo a guardarlo mentre armeggiava con colori e tele. Fu lui a introdurmi alla pittura. Diventammo grandi amici». Poi arrivarono il liceo artistico e l’Accademia di belle arti di Brera, a Milano, dove studiò per sei anni, specializzandosi in pittura fiamminga della quale è abilissimo interprete e creatore stimatissimo. La sua produzione pittorica spazia in un ambito vasto: dalla ritrattistica da posa e da foto alle nature morte di composizioni floreali e di scenari consue- ti di vita quotidiana, dallo stile sanguigno dei nudi femminili eseguiti su posa reale, alla riproduzione di quadri celebri e raffiguranti personaggi di un lunghissimo spazio temporale che va dal 1300 al 1700. A caratterizzare la sua arte sono la tecnica di rappresentazione tridimensionale e una spiccata sensibilità cromatica, quale medium materico foggiato a rivestire una matrice espressiva costante e intimistica: «Per me un quadro deve comunicare un messaggio, deve far passare l’anima di ciò che ritrae. L’artista è anche psicologo, deve catturare l’anima di ciò che ha davanti e che viene rappresentato, e quest’anima deve restituirla a chi fruisce dell’opera. Se realizzo un ritratto devo capire la persona che ho davanti, devo scorgerne l’anima. Talvolta si ha di fronte un’evidente bellezza però solo esteriore, perché gli occhi rivelano un animo in netto contrasto con quanto appare ai sensi e a prima vista. Ecco, bisogna andare oltre la prima impressione, cogliere ciò che sta dietro. Con i quadri intendo comunicare l’intera gamma di emozioni e di vissuti umani: la bellezza così come la disperazione, la guerra e la pace, l’angoscia e la dipendenza dalle droghe, il desiderio e la speranza». Un caleidoscopio puntato sulla vita che, certamente, anche la professione di infermiere, a contatto stretto con sofferenza e malattia, ha contribuito ad arricchire. Quanto questo lavoro durato quarant’anni ha influito sulla sua pittura? «Essere infermiere mi ha maturato tantissimo, come uomo « Quarant’anni di lavoro come infermiere (venti in psichiatria) mi hanno maturato: ho imparato quante barriere artificiali sono poste dalle regole sociali del vivere quotidiano e come artista. In quarant’anni di servizio, venti li ho prestati nel reparto di psichiatria. Ho visto da vicino la malattia mentale e ho visto fin dove la mente umana può spingersi e arrivare. Ho compreso anche quanto la società in cui viviamo è limitante, quante sono le barriere artificiali e discriminanti che sono state poste dalle regole sociali: chi non rientra appieno in questi schemi, rischia di essere ‘fuori’, di essere etichettato ‘non normale’, di essere emarginato solo perché non perfettamente allineato». Ed ecco come l’arte assurge a strumento di superamento delle semplici apparenze, per indagare il significato più profondo di ogni cosa, sondarne il senso recondito, restituirlo liberato da sovrastrutture posticce. «I tre pilastri dell’arte sono pittura, scultura e musica –aggiunge Mazza- Io comunico con l’arte, con la pittura appunto. È un destino che ho incrociato quando avevo solo sei anni». Ed è un destino che Clemente Mazza sta ancora percorrendo con intensa adesione di vita e di sentire. n LA TECNICA Bastano cinque mattoni, da cui trarre i terricci fondamentali, per riprodurre tutte le sfumature della tavolozza Una bottega in stile “rinascimentale”: produce da sé tele, colori e pennelli Uno studio che è una vera bottega di pittura rinascimentale. Perché Clemente Mazza non si limita alla tecnica espressiva ma, come accadeva in passato, possiede anche i fondamenti per produrre da sé i materiali indispensabili per dipingere: tele, colori e pennelli. «Sono insegnamenti del mio primo maestro, Giuliano Sicilia –racconta l’artista.- Quando ho cominciato a dipingere non potevo comprare i colori e tutto il resto che serviva per fare un quadro. Così lui mi insegnò a creare i colori, a costruire i pennelli e anche le tele utilizzando la stoffa dei sacchi e sottoponendola a un apposito trattamento. È una pratica che ritengo utile e importante, che ho continuato a esercitare e che tuttora esercito». Le tecniche per la creazione dei colori? Quelle più antiche, ereditate dai grandi maestri del passato, come Leonardo da Vinci, e poi perfezionate negli anni del liceo artistico e dell’Accademia di Brera, e cresciute e affinate in decenni di esperienza. Dunque: terricci, albume d’uovo, pigmenti naturali e altri elementi che danno origine a colori che, invecchiando natural- mente, conferiscono all’opera una forza dinamica, una vitalità sorprendente che sembra adeguarsi al decorrere del tempo stesso. «Anche adesso produco da me i colori che uso . Mi arrivano i ‘mattoni’ con le cinque basi primarie, dalle quali ricavo i corrispondenti terricci fondamentali. Poi li lego tra loro in modo differente, all’occorrenza, per ottenere ogni altro colore». Bastano questi cinque ingredienti originari per dare vita alla tavolozza completa, all’universo cromatico in ogni sua variazione e sfumatura. Uno dei quadri donati al Must, raffigurante piazza Roma La creazione artigianale dei colori è senz’altro un elemento che contribuisce in maniera importante a dare forma alla componente cromatica delle opere di Clemente Mazza, frutto appunto di una ricerca individuale caratterizzata dall’accurata preparazione dei colori eseguita sempre personalmente. n A.Pra. I SABATO 7 GENNAIO 2017 I IL CITTADINO DI MONZA E BRIANZA I 11 «Un quadro deve comunicare anche un messaggio: il pittore è anche psicologo. La bellezza non è solo esteriore» Nella foto Clemente Mazza in azione nel suo studio. A destra alcuni dei nove quadri che ha donato al Must. Dall’alto una ricostruzione del ponte di San Rocco in epoca antica, piazza Castellana, il Santuario e via Cavour PER LA CITTÀ L’artista presto potrebbe tornare in Calabria Nove quadri donati al Must Un tributo che sa d’addio Un tributo che a breve potrebbe assurgere a generoso commiato da Vimercate. Lo scorso settembre Clemente Mazza ha donato al Museo del territorio di via Vittorio Emanuele nove dipinti di scorci caratteristici della città «per ringraziare questa cittadina e i suoi abitanti che mi hanno accolto ormai più di quarant’anni fa», aveva spiegato il pittore. Lo stesso artista, in occasione dell’intervista al Cittadino avvenuta pochi giorni fa, ha rivelato che presto potrebbe andarsene per tornare al paese d’origine: «Penso che tra pochi mesi farò ritorno in Calabria, sento forte il richiamo della mia terra, dei ritmi, dei colori e dei sapori che mi sono rimasti dentro». Un richiamo profondo, indubbiamente, che però fa i conti con un’appartenenza, quella vimercatese, divenuta anch’essa ben radicata come testimonia la serie di dipinti dedicati appunto alla città e realizzati come squarci aperti sugli angoli e sulle prospettive più proprie e più care agli stessi nativi. Sulle tele compaiono differenti scorci della collegiata di Santo Ste- fano, piazza Castellana, il Santuario della Beata Vergine, via Cavour, il ponte di San Rocco, piazza Roma. «Sono i luoghi identitari di questa città – spiega Mazza- Ho raffigurato la Vimercate antica, quella che non c’è più e che pure è riconoscibilissima nelle immagini, nelle architetture e negli spazi riproposti». L’artista ha preso le mosse dalle cartoline storiche di Vimercate, in particolare dalle serie realizzate dalle tipografie Stucchi e Trassini tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, tradotte in collezione digitale e disponibili sul catalogo on line del Must. Da questa prima fonte d’ispirazione, Mazza si è mosso interpretando e ricreando artisticamente questi luoghi notissimi, introducendo varianti, producendo appunto opere d’arte. Tersa l’aria e nitidi i contorni, protagonisti i colori e il rigore geometrico, eppure vivo, delle forme. Per citarne solo alcuni: suggestivo il ponte di San Rocco, proiettato all’indietro nel tempo, con l’architettura romana in pieno centro e il contorno del verde di piante e arbusti; calda e popolare la cornice di abitato che ‘raccoglie’ la centralissima piazza Castellana; vitale e alacre la veduta ‘cittadina’ di piazza Roma. I quadri ora sono appesi lungo il corridoio degli uffici del Must, al primo piano. Prossimamente sarà calendarizzato l’allestimento di una mostra temporanea per esporli al pubblico. Sono molti i luoghi, su scala nazionale e mondiale, che ospitano le opere di Mazza. Molti suoi dipinti fanno parte di collezioni private in Italia e all’estero e numerose sono anche le mostre personali e collettive che l’artista ha allestito in diverse città italiane, riscuotendo ovunque successi e ambiti riconoscimenti. «Molte mie opere sono all’estero, in Svizzera, Inghilterra, Francia e Stati Uniti, a New York. In Italia molta parte di produzione, e da molto tempo, è astratta, io invece prediligo il figurativo. Realizzo una o due mostre l’anno, non di più». In questo momento sta lavorando a ritratti su posa. Qui in città, con il cuore diviso tra Vimercate e la sua Calabria. n A.Pra.