Il processo civile minorile

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Il processo civile minorile
Il processo civile minorile:
la volontaria giurisdizione non esiste
(non solo a Trieste)
di Paolo Sceusa *
1. La malattia
Il processo civile minorile è malato e va sottoposto a intensive cure
riabilitative, secondo la terapia del giusto processo.
2. Il dubbio
Pagato, con l’incipit che precede, il giusto pegno alla tematica di questo
fascicolo di Minorigiustizia dedicato ai sistemi di cura, proseguo esponendo un
dubbio: perché quando provo a lanciare sul forum dell’Associazione italiana dei
magistrati per i minorenni e per la famiglia qualche spunto di sapore processuale,
nessuno mi si fila e la cosa viene per lo più fatta cadere nel vuoto?
I casi sono due: o è un modo garbato per richiamarmi a sanare qualche
morosità pregressa di quote associative, o la tematica non appassiona. Siccome con le
quote mi pare di essere (più o meno) in regola, il motivo dev’essere l’altro.
Ho avuto la fortuna di attraversare molteplici esperienze giudiziarie in questi
ventisei anni trascorsi a fare il giudice, tra cui sei di civile e penale in un tribunale
ordinario, undici in una procura minorile, altri cinque in una sezione civile di un altro
tribunale ordinario. Però sempre con la costante di un ruolo civile comprendente
minori e famiglia. Ebbene, non sono mai stato uno sfegatato processualista, anzi, le
problematiche eminentemente processuali, quando sono sterili e fine a sé stesse, mi
hanno sempre provocato fastidiosi effetti peristaltici.
Tuttavia sono ancora abbastanza “togato” 1 da capire come il processo, nelle
sue essenzialità di contraddittorio, difesa e impugnabilità della decisione, sia esso
stesso sostanza e non mera questione formale da liquidare con aria di sufficienza. Al
di fuori di queste tre essenzialità, il processo non è processo.
Per questo non ho mai capito perché, se di famiglia e minori si parli in ambito
di tribunale ordinario, il rito abbia dignità di considerazione, se se ne parla in ambito
di tribunale per i minorenni esso provochi alzate di spalle e di sopracciglia.
*
Presidente del Tribunale per i minorenni di Trieste.
Dico ancora abbastanza togato perché il giudice togato minorile è esposto ad un alto rischio di “meticciato
professionale”, a causa del quale, dopo alcuni anni, finisce per tralasciare tanta parte del suo bagaglio tecnico-giuridico
e somigliare sempre più ad uno pseudo-psico-pedagogo.
1
3. Già, ma quale rito?
“Eh, ma” – diranno i legulei – “mentre i codici sono pieni di norme che
regolano il processo di separazione e divorzio, nulla dicono sul processo civile di
potestà che compete ai tribunali per i minorenni!”. Vero. Questo però non vuol dire
che davanti ai giudici per i minorenni si possa celebrare una specie di ordalia
medievale, secondo la tautologia per cui “il giudice specializzato, al di là di ogni
impiccio processuale, saprà riconoscere e tutelare al meglio, essendo specializzato, il
superiore interesse del minore”.
Niente affatto, occorre che il processo di potestà sia, quanto e più degli altri,
“Processo” (perché in esso si definiscono e tutelano diritti primari e personalissimi).
Cioè luogo dove il giudice risolva conflitti tra parti portatrici di diritti e interessi, che
si muovono all’interno di un contraddittorio pieno e assistito. Del resto, il preminente
interesse del minore, proprio perché tale, potrà trovare la tutela che merita, solo in
quanto accertato in un rito permeato di contraddittorio, tra parti difese in modo
tecnico, che si concluda con una pronuncia sindacabile da altro e diverso giudice (il
che costituisce il nucleo del concetto di impugnazione). La preminenza (o superiorità)
dell’interesse del minore implica infatti l’idea di un confronto tra posizioni. Niente di
più e niente di meno.
E allora il rito sarà quello camerale contenzioso di cui alle vecchie, scarne – e
perciò sempre buone – norme comuni (artt. 737-742 bis, cod. proc. civ.), lette ed
integrate alla luce di principi ricavati da norme più recenti, quali: la ridetta necessità
di contraddittorio fra tutte le parti interessate, a cominciare dal minore (art. 111,
comma 2, Costituzione, inserito dalla legge costituzionale n. 2/1999, oltre alla
previgente e susseguente normativa sovranazionale che, insieme, costituiscono il
sistema processuale detto del giusto processo); il diritto alla difesa tecnica (insomma
dell’avvocato), anche per il minore (art. 336, comma 4, cod. civ. aggiunto dalla legge
n. 149/2001 e finalmente entrato in vigore dal 1 luglio 2007, ma già sancito dall’art.
24 commi 2 e 3 Costituzione); il diritto all’impugnazione della decisione, per
violazione di legge (art. 111, comma 7, Costituzione.) e quello alla revisione nel
merito della decisione, ove previsto dalla legge ordinaria (art. 739, 740 cod. proc. civ.
e 38, ult. comma, disp. att. cod. civ.).
4. Tanto, è volontaria giurisdizione…
Ove fin qui abbia sfondato porte aperte e detto banalità ormai condivise da tutti i
giudici minorili moderni, allora scusate il disturbo e non proseguite la lettura.
Se però volete sapere come mai io mi trastulli ancora con la scoperta dell’acqua
calda (cioè con la necessità di applicazione delle regole del giusto processo al
processo civile minorile di potestà), allora dovete sapere quali erano le prassi
processuali che ho trovato in essere al Tribunale per i minorenni di Trieste quando,
nel luglio 2009, mi son ritrovato a presiederlo. Se poi, per avventura, qualcuno
dovesse riconoscervi le prassi del proprio tribunale per i minorenni, beh… allora
continui pure la lettura.
A. La circolazione della domanda: al ricorso del pubblico ministero (90% dei
casi, anche se ho trovato decine di fascicoli dove ricorrente figurava essere
addirittura “il servizio sociale di…”; “l’istituto scolastico di…”), seguiva una
convocazione diretta dal giudice ai genitori del minore “per essere sentiti”
notificata a mezzo posta tramite la cancelleria, senza alcuna allegazione del
ricorso. Se i genitori (miracolosamente) comparivano (sempre senza
difensore), il giudice gli spiegava oralmente che il pubblico ministero aveva
chiesto questo e quello, quindi li invitava ad esprimersi in merito. Se (spesso)
non comparivano, allora il giudice ne traeva argomento di prova in ordine alla
sussistenza del deficit genitoriale, che, senza tanti altri complimenti, poteva
portare all’accoglimento del ricorso, a sua volta recettivo di un informativa o di
una relazione di un qualche servizio sociale. All’obiezione che tutto ciò violava
sonoramente non solo la Costituzione, ma anche gli stessi principi dell’Habeas
corpus (…nessuno verrà trascinato davanti ad un giudice senza sapere il
perché..., cosiddetto principio di contestazione degli addebiti, che si affaccia
agli albori del XIII secolo… ) mi si rispondeva: ma tanto è volontaria
giurisdizione…;
B. l’acquisizione della prova sui fatti: quando non si risolveva tutto attraverso
l’equazione: “relazione sociale allegata al ricorso + mancata comparizione dei
genitori = prova raggiunta dell’inadeguatezza genitoriale” e sorgeva qualche
dubbio sulla consistenza delle capacità genitoriali, allora il collegio
commissionava una bella consulenza tecnica di ufficio per l’accertamento delle
stesse (con incarico sempre fuori udienza e senza contraddittorio), perché
tanto, è volontaria giurisdizione…;
C. la decisione: sulla scorta della predetta “istruttoria” e del parere finale del
pubblico ministero, la decisione giungeva con decreto non definitivo, giacché il
dispositivo chiudeva quasi sempre con la formula “manda il servizio sociale
del Comune di… di trasmettere relazione di aggiornamento entro il…”2;
D. la reclamabilità: “Oddio (già quasi in preda ad una crisi di nervi), ma così
nessuno lo potrà reclamare, sto decreto!” Embè? Tanto, è volontaria
giurisdizione…
Infatti, la sezione per i minorenni della locale Corte d’appello, ove
sporadicamente adita da qualche genitore inopinatamente munitosi di difensore
all’indomani dell’emanazione (spesso esecutiva) del decreto riguardante suo
figlio, invariabilmente pronunciava l’“inammissibilità del reclamo, per esser
stato proposto avverso decreto non definitivo, in quanto ancora aperto verso
ulteriore istruttoria, mediante la richiesta relazione di aggiornamento ai
servizi sociali del Comune di…”. Ineccepibile.
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Un malvezzo ereditato pari pari dal procedimento per l’assunzione di misure amministrative ex artt. 27, ultimo comma
e 29 della legge istitutiva del tribunale per i minorenni, R.D.L. n. 1404/1934, che può ancora avere applicazione
nell’ambito della competenza amministrativa (…infatti, non giurisdizionale…) del tribunale per i minorenni ex art. 25
del R.D.L. cit.: procedimento che, a Trieste, conosce meno di dieci applicazioni all’anno.
E. il ricorso straordinario per Cassazione: per questo rimando al successivo
settimo paragrafetto: “Ce n’è per tutti. La Cassazione…”
5. Ma cos’è la volontaria giurisdizione?
Come per quel famoso detersivo, “facciamo la prova finestra”. Cercate
sull’indice alfabetico di un codice di procedura civile la voce volontaria
giurisdizione: troverete il rimando a una bella sfilzetta di articoli di legge. Adesso
controllate uno per uno quegli articoli: vedrete che in nessuno di essi sta scritta
l’espressione volontaria giurisdizione. La “prova finestra” è riuscita: la volontaria
giurisdizione non è espressione che appartenga al diritto positivo 3.
È categoria dottrinale che risale al concetto romanistico della iurisdictio inter
volentes: infatti tutte le norme indicizzate alla voce volontaria giurisdizione
riguardano azioni (per lo più, ma non solo, in materia successoria) caratterizzate
dall’inesistenza di una controparte rispetto al ricorrente o ai ricorrenti congiunti
(come, ad esempio, nella separazione o nel divorzio consensuale), o dall’assenza di
un conflitto (attuale) tra il ricorrente e le altre parti. Tuttavia, poiché si tratta di
materie coinvolgenti diritti di terzi o diritti di carattere indisponibile delle stesse parti,
occorre un controllo di legalità, riservato al giudice. Guardate ora, sempre alla voce
volontaria giurisdizione, la sottovoce “procedimento”. Troverete il rinvio agli artt.
737-742 bis, cod. proc. civ. Et voilà, la confusiva sovrapposizione tra la volontaria
giurisdizione e il procedimento camerale tout court è compiuta.
6. E invece…
E invece, se da un lato è certo che la volontaria giurisdizione, nel senso proprio
di iurisdictio inter volentes, si debba trattare secondo le norme comuni del rito
camerale (artt. 737-742 bis, cod. proc. civ.), per converso non è affatto vero che tutto
ciò che la legge vuole si tratti col rito camerale debba appartenere alla categoria della
volontaria giurisdizione. Anzi, il maggior numero dei procedimenti trattati col rito
camerale sono altroché contenziosi: contenziosissimi! Pensiamo, per citare solo un
paio di esempi, alle cause per modifiche dei provvedimenti di separazione e di
divorzio (art. 710 cod. proc. civ.; art. 9, legge divorzio n. 898/1970 e succ. mod.). C’è
qualcuno, sano di mente, che potrebbe definirli esempi di iurisdictio inter volentes?
Quindi occorre stare bene attenti a non fare confusione tra la volontaria
giurisdizione vera e propria e tutto ciò che viene sì trattato con rito camerale, ma la
cui giurisdizione deve dirsi contenziosa e non volontaria, perché a confondersi su
3
Le uniche norme positive che usino l’endiadi volontaria giurisdizione, che io abbia rinvenuto, sono: l’art. 801 cod.
proc. civ. (ormai abrogato, con tutto il titolo settimo, dalla legge n. 218/1995 c.d. codice del diritto internazionale
privato); gli artt. 9, 66 e 67 di quel codice. Nessuna di quelle norme la definisce. Curiosamente, nessuna di queste
norme si trova citata al suddetto indice alfabetico, voce volontaria giurisdizione. A questo punto è indetto il concorso
per trovarne altre: comunicatemele alla mail [email protected]
questo ne va dell’applicazione delle regole del giusto processo. Regole che vanno
sempre applicate al processo contenzioso, benché a rito camerale, non anche a quello
di volontaria giurisdizione in senso proprio (dove non occorre difensore e non c’è
contraddittorio perché il ricorso non è diretto a controparti, ma al solo giudice per il
suo controllo di legalità).
7. Ce n’è per tutti: la Cassazione …
Secondo la mia (non breve) esperienza nel campo, posso dire che anche fra
molti colleghi, minorili e non, in materia di volontaria giurisdizione la suddetta
confusione regni sovrana.
Un esempio per tutti: sono decenni che impera, costante e incontrastata, la
giurisprudenza della Cassazione secondo cui “in materia di procedimenti civili di
potestà, le pronunce dei tribunali per i minorenni, trattandosi di volontaria
giurisdizione, come tali emanate rebus sic stantibus, sono sempre modificabili… ergo
non ricorribili per cassazione…”4. Appunto…
Peccato che nei procedimenti di potestà non si tratti affatto di iurisdictio inter
volentes, ma di procedimenti a rito camerale con contenziosità al calor bianco (avete
mai visto genitori acquiescenti al ricorso per il loro allontanamento o per quello del
figlio dalla casa familiare? Quando invece capita che siano i genitori stessi a
richiedere congiuntamente il collocamento del minore presso terzi… beh quella è
materia per i servizi sociali – art. 4, comma 1, legge n. 184/1983, come sostituito da
legge n. 149/2001 – e non per il tribunale per i minorenni). In tali procedimenti i
decreti che li definiscono, sebbene adottati rebus sic stantibus, hanno natura decisoria
e definitività in senso formale.
Diversamente, cara Cassazione, altro che semplice inammissibilità del ricorso
straordinario ex art 111 Costituzione: ne andrebbe, appunto, del giusto processo, e
potremmo continuare col processo minorile di potestà “in sagrestia”, senza
contraddittorio né difesa, tanto è volontaria giurisdizione.
Per fortuna, la relazione di apertura dell’anno giudiziario 2011, del Presidente
della Corte di Cassazione stessa, sembra finalmente aver esplicitamente sconfessato
la gestione non giurisdizionale e non contenziosa di tale tipo di processo, anche
perché ormai esso è stato tante volte oggetto di costose condanne da parte della Corte
europea dei diritti dell’uomo (benedetta sia l’Europa).
8. La vera volontaria giurisdizione minorile e il secondo dubbio.
Ed allora il campo della vera volontaria giurisdizione minorile, come tale
sempre non contenziosa, si riduce a tal poca cosa da giustificare il titolo di testa di
questa mia mini giaculatoria (“la volontaria giurisdizione minorile non esiste”): vedo
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Digitate su qualsiasi banca dati giurisprudenziale le parole volontaria giurisdizione, potestà e ne avrete la riprova.
i ricorsi congiunti ex art. 317 bis cod. civ. (speculari alla volontaria giurisdizione
separatoria e divorzile, quella consensuale); vedo le dichiarazioni di disponibilità alle
adozioni; vedo le istanze congiunte di aggiunta o sostituzione del cognome paterno, a
seguito di riconoscimento tardivo; vedo le richieste di autorizzazione del/della
sedicenne a contrarre matrimonio e qualche altra sciocchezzuola di scarso impegno a
tasso contenzioso zero. Altro non vedo. E mi chiedo (ecco il secondo dubbio): ma
perché esistono programmi di registrazione atti (il famigerato SICAM), intere
cancellerie civili e asfissianti richieste statistiche ministeriali, tutte intitolate e
dedicate alla volontaria giurisdizione, dove però, fatalmente, si trattano e si
conteggiano sempre procedimenti camerali contenziosi?
Secondo me è semplicemente uno dei tanti “passati che non passano” e che, per
questo, ammorbano.
Personalmente, ho svitato con le mie mani la tabella d’ottone tutta ossidata, con
la scritta VOLONTARIA GIURISDIZIONE, campeggiante da secoli sullo stipite
della cancelleria che si occupa dei procedimenti di potestà (fatto che ha provocato lo
svenimento, seguito da immediato pensionamento – beata lei… – dell’impiegata che
da trent’anni vi albergava).
9. Conclusione
La conclusione è che ormai al Tribunale per i minorenni di Trieste:
A. il ricorso del pubblico ministero (o di qualunque parte privata legittimata) e il
decreto del giudice di fissazione dell’udienza e nomina di curatore speciale al
minore, viene notificato agli altri litisconsorti necessari (con tanto di
informazione del diritto delle parti private a nominarsi un difensore, anche a
spese dello Stato) dal ricorrente stesso (pubblico ministero compreso).
B. l’acquisizione della prova sui fatti ora avviene, oltre che mediante l’audizione
delle parti (compreso il minore discernente), mediante l’assunzione
testimoniale delle persone informate dei fatti, quando controversi;
l’acquisizione di atti e documenti (ad es. scolastici, sanitari, penali, di polizia);
eventuali ispezioni, dirette o delegate, ecc. Una volta che l’istruttoria ha
incamerato questo bel po’ di materiale probatorio sui fatti, solo raramente
sentiamo l’esigenza di delegare ad altri, con una ctu, la (nostra!) valutazione
sulle capacità genitoriali. Valutazione che il collegio sa fare in proprio, essendo
appositamente composto anche da giudici onorari in possesso delle necessarie
pertinenti competenze (giudice collegiale che per una volta può dirsi senza
velleità davvero peritus peritorum). Comunque, le volte che ancora ci
affidiamo a una consulenza tecnica di ufficio (di solito per accertamenti di
natura medica o medico-psichiatrica), lo facciamo secondo i santi crismi del
contraddittorio (nomina e quesito in udienza, consulenza tecnica di parte,
termini e controtermini per relazione, osservazioni, chiarimenti, ecc.);
C. la decisione giunge mediamente a meno di un anno dal ricorso (a una prossima
occasione i nostri “trucchi” per fare così presto, ma solo a veramente
interessati – no perditempo) ed è un decreto definitivo (ovviamente rebus sic
stantibus), nel quale invitiamo i servizi sociali a riferire al pubblico ministero
gli eventuali fatti nuovi che possano comportare un suo ricorso per revoca o
modifica ex art. 742 cod. proc. civ., e le parti private a ricorrere direttamente,
alle stesse condizioni (verificazione di fatti nuovi, o pregressi ma non dedotti
né esaminati);
D. il decreto è, così, perfettamente reclamabile alla sezione minorile della Corte di
appello, per il suo eventuale secondo vaglio meritale (guai a quel giudice di
primo grado che pensasse di poter all’infinito correggere il proprio tiro, di
relazione in relazione, senza mai sottoporsi ad altrui sindacato: questo è quello
che intendo quando parlo di “autoreferenzialità”);
E. infatti, la sezione per i minorenni della locale Corte d’appello, ha ben che
smesso di dichiarare “a timbro” l’inammissibilità dei reclami che le
pervengono (nemmeno poi tanti) e ha così l’occasione di poter scendere nel
merito e almeno cominciare il lungo percorso che, data l’altissima turnazione
dei togati che la compongono, qui come altrove, ancora la separa dalla effettiva
specializzazione civile minorile.
Mi accomiato rallegrandomi del fatto che lo stesso Consiglio superiore della
magistratura abbia finalmente in calendario un incontro di studio sul tema della
giurisdizionalizzazione del processo civile minorile. Poi però noto che è l’unico del
2012 per cui è prevista una durata di soli due giorni. Sarà mica un brutto segnale di
banalizzazione? Tanto, è solo volontaria giurisdizione…