Briciole di Missione - 1 - Parrocchia e Oratorio Macherio
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Briciole di Missione - 1 - Parrocchia e Oratorio Macherio
Informatore Missionario - Macherio n. 50 - 13 Luglio 2014 ESTATE, UN TEMPO DI RIPOSO, AFFETTI E INTERESSI Una riflessione metaforica sul significato della strada da percorrere per giungere alla meta, per capire che anche l’itinerario vale a conferire identità ed è luogo e occasione di incontri. Dove trascorrerai la vacanza? Tanti pongono una simile domanda. Più difficile è invece sentire: che strada farai per andare in vacanza? Spesso infatti il tragitto fra la casa e la meta è considerato un tempo morto, una parentesi tecnica da neppure citare. Quest’anno suggeriamo, invece, di non trascurare il nastro che cuce i luoghi: la strada. Due sono i motivi di questo input. Il primo è mutuato dalla lettera pastorale del cardinale Angelo Scola «Il campo è il mondo», il cui sottotitolo continua: «Vie da percorrere incontro all’umano». Il secondo muove da un anniversario: il 50° della inaugurazione della A1, nota come «Autostrada del sole», che ha un capo in Lombardia. Briciole di Missione - 1 - Nel suo testo l’Arcivescovo, pur dilungandosi sul «campo», sostiene pure che esso non è identificabile solo con la meta, ma è innervato da strade che concorrono a dare identità all’orizzonte stesso. Un incrocio - su questa linea - è la vacanza, che appella alla libertà. La strada, più di altre immagini, la richiama. Scola così scrive: «L’esperienza umana ha riconosciuto il tempo del riposo come tempo dei desideri, possibilità di dedicarsi a tutto quello che è piacevole, che gratifica il corpo e la mente, che esprime gli affetti, che coltiva gli interessi, che allarga gli orizzonti». Purtroppo, però, non sempre si guarda in questo modo alla vita. E anche il relax può risultare pesante se «dimentichi del bene che è all’origine, ci inoltriamo sui sentieri della condanna, del lamento e del risentimento». L’invito è allora quello di approcciarsi ad essa - per citare il libro dei Giudici (5,10) - con gioia: «Voi che camminate per le vie, cantate!». La riflessione sulle reti di collegamento è motivata pure, dicevamo, dal 50° anniversario dell’inaugurazione della A1. Una buona metafora per questo tempo estivo. Ne diamo un cenno, lasciando a ciascuno di continuare. Opzionare una via significa mettere in gioco la libertà scegliendo itinerari. La strada evoca poi la compagnia di persone - scelte o casualmente incontrate - che strappano dalla solitudine. A tal riguardo, avverte Scola, «il riposo nel nostro tempo è insidiato dalla tentazione dell’individualismo». Chi non è solo ha maggiore possibilità di cedere alla confidenza, al racconto. Il viaggio infatti abbassa le censure e facilita l’incontro. Pure col divino. Non è un caso che la famosa arteria nazionale - proprio a metà percorso, nei pressi di Firenze - abbia un edificio sacro di riferimento: quello dedicato a S. G. Battista, la cosiddetta chiesa dell’Autostrada, anch’essa nell’anno giubilare. Una presenza fisica, segno però di una vicinanza altra. Mentre l’asfalto scorre sotto i piedi, spesso poi la musica si fa compagna. Ed ecco che si ripresenta allora il ritornello di quest’anno: «Voi che camminate per le vie, cantate!». Sono più di 100 le occorrenze bibliche che evocano il canto. La libertà della strada richiama inoltre il coraggio di percorrere nuovi sentieri. Dell’intraprendente alpinista si dice, infatti: «Ha aperto una via». Infine - seppur in un contesto vacanziero, o proprio per questo - non possiamo dimenticare chi la strada la frequenta come casa, i poveri, o non la può percorrere, i malati. Pure a loro auguriamo in questi mesi di poter cantare, poiché qualcuno ha attraversato la via per andare ad incontrarli. Anche nel tempo estivo, infatti, per citare ancora Scola, «l’impegno del cristiano non è un’estenuante ricerca di nessi tra il Vangelo e la vita, come fossero due realtà disgiunte e da mettere artificiosamente insieme. È assai più semplice. Consiste nel documentare in prima persona che Gesù è via, verità, vita (Gv 14,6)». «Voi che camminate per le vie, cantate!». di Massimo PAVANELLO Incaricato della regione Lombardia e diocesi di Milano per il Turismo Briciole di Missione - 2 - LA FEDE ON THE ROAD Non solo Santiago e la l Terra T Santa: S in i tutto il mondo d i Cammini C i dello spirito sono espressione della religiosità locale. E, sempre più, anche meta dei pellegrini globali. Ci sono comitive di giovani che camminano chiacchierando, pensionati dal passo un po’ più lento, qualche pellegrino solitario con lo sguardo immerso nel verde delle colline tutt’intorno. Segni particolari: bastone in mano, zaino in spalla e, conservato con cura in qualche tasca del marsupio, il “passaporto del pellegrino”, con i timbri conquistati negli ostelli lungo le tappe del percorso. Potremmo essere in uno dei tratti del Cammino di Santiago, la “via della fede” per eccellenza che porta al santuario spagnolo di Compostela, se non fosse per la terra rossa sotto i sandali dei viandanti e i paesaggi lussureggianti tutto intorno, tipici del Sud-est brasiliano. Questo è infatti il Caminho da fé, il “Cammino della fede”, una via che copre quasi 500 km lungo gli Stati di San Paolo e Minas Gerais, e che - attraverso una trentina di città e innumerevoli pousadas, gli ostelli in cui i viaggiatori si ristorano - porta alla basilica di Nossa Senhora Aparecida, uno dei più importanti santuari mariani al mondo, visitato ogni anno da otto milioni di persone. Da quando, nel 1717, l’immagine miracolosa della Vergine fu trovata in un fiume da tre poveri pescatori, i pellegrini sono arrivati in questo luogo simbolo della fede attraverso innumerevoli vie diverse. È dal 2003, però, che anche qui esiste una vera e propria route, creata appunto sul modello del Cammino di Santiago, grazie all’idea del brasiliano Almiro Grings, che per due volte aveva percorso la celebre via compostelana e ne era rimasto profondamente toccato. La “gemella” carioca, suddivisa in tre rotte principali che si congiungono nella cittadina di Águas da Prata, si inoltra a tratti in foreste intricate e si inerpica sulla Serra da Mantiqueira, fino a un’altitudine di 1.800 metri. Nelle tre settimane necessarie a percorrerla tutta a piedi (ma c’è anche chi sceglie la bicicletta), i viandanti hanno l’opportunità di approfondire la propria fede e di riscoprire la sobrietà grazie all’essenzialità obbligata del bagaglio e alla semplicità degli alloggi lungo la via. Il connubio tra spiritualità e cammino, trasversale alle religioni, fa parte della tradizione cristiana fin dagli albori, ed è oggi declinato ai quattro angoli del mondo. Dall’Oceania fino all’America Latina, passando per Africa e Asia, le vie che guidano i fedeli, a piedi scalzi o equipaggiati con scarpe da trekking di ultima generazione, verso luoghi dove il sacro si manifesta in modo speciale si dipanano per migliaia di chilometri. Intorno ad alcune di queste vie, gli abitanti si sono organizzati battendo sentieri e creando infrastrutture e servizi per i pellegrini: sono nati così degli itinerari che richiamano non solo i devoti locali, ma sempre più anche viaggiatori dello spirito che giungono spesso da molto lontano. Non sorprende che questi trekking-pellegrinaggi costituiscano una presenza ormai familiare in Medio Oriente, culla del cristianesimo e delle altre grandi religioni monoteistiche. Il Jesus Trail, un percorso di 65 km nella regione israeliana della Galilea, collega alcuni luoghi al centro della vita e della predicazione di Gesù, in una regione che alla pregnanza spirituale unisce la suggestione naturalistica: tra le tappe spiccano gli splendidi tratti nei parchi nazionali di Zippori e Arbel e sui corni di Hattin. Isentieri della fede, tra Israele e Palestina, sono innumerevoli, ma l’intera regione mediorientale ospita strade calpestate nella storia dai patriarchi della Torah, della Bibbia e del Corano. È sui passi del comune Padre Abramo, Briciole di Missione - 3 - l’”Amico di Dio”, al khalil, come è definito dalla tradizione islamica, che è stato tracciato l’Abraham Path (letteralmente appunto il “sentiero di Abramo”): una rotta di 1.200 km che parte da Ürfa, nel Sud-est dell’attuale Turchia, terra natale del patriarca secondo una delle tradizioni, e arriva fino a Hebron/ Al-Khalil, dove è sepolto. In mezzo una lunga via che comprende Giordania, Israele, Palestina e anche - sebbene oggi solo teoricamente, a causa della guerra - la Siria. Molte migliaia di pellegrini, dall’apertura nel 2007, hanno marciato su uno dei tratti di strada ripristinati nei diversi Paesi (in tutto circa 450 km). E il “Masar” (“sentiero” in arabo), concepito secondo i dettami del turismo sostenibile, si è dimostrato un importante catalizzatore del cambiamento, sociale ed economico. Se la Turchia ospita anche il Cammino che ripercorre gli spostamenti missionari di san Paolo (vedi pp. 10-11), è in Nord Africa la rotta che segue invece i passi di sant’Agostino, il Dottore della Chiesa nativo di Tagaste, nell’attuale Algeria. La Via Augustina segue una tratta di andata, costiera, da Tunisi all’algerina Annaba - l’antica Ippona, città vescovile di Agostino, la cui basilica festeggia proprio quest’anno un secolo dalla consacrazione - e una di ritorno che passa per Tagaste. Il tutto per 605 km e trenta giornate di cammino. Anche sotto il Sahara esistono luoghi dove il sacro si respira in modo intenso, mete di pellegrinaggi a piedi compiuti tradizionalmente dalla popolazione locale. Quello più suggestivo è forse Lalibela, in Etiopia, con Axum uno dei centri spirituali dell’antichissima Chiesa ortodossa “tewhaedo” (50 milioni di fedeli), famoso per le sue meravigliose chiese rupestri. In occasione delle principali festività religiose, in particolare il Timkat - l’Epifania - migliaia di fedeli abbigliati nel tipico abito bianco camminano per settimane e anche mesi, spesso a piedi nudi, dormendo all’addiaccio, per venire fino a qui. E anche se oggi sono in molti ad arrivare in autobus, e c’è perfino chi prende un volo da Addis Abeba per una visita rapida da immortalare con lo smartphone, il luogo non ha perso quella sacralità che affonda le radici al tempo degli apostoli. Conserva invece una memoria di dolore il santuario di Nostra Signora di Kibeho, in Ruanda, dove tra il 1981 e il 1989 la “Nyina Wa Jambo”, ovvero la “Madre del Verbo” apparve ad alcune studentesse, e che sarebbe poi stato teatro di violenze efferate nel contesto del genocidio di vent’anni fa. Oggi il santuario, già meta di pellegrinaggi, è al centro di un intervento congiunto della Chiesa cattolica ruandese e del Rwanda Development Board che punta a creare le strutture necessarie a una venerazione che va allargandosi ben oltre la comunità locale. Sono legati alla devozione mariana anche i principali “Cammini” d’Asia, espressione di una fede minoritaria quanto vigorosa. Mariamabad, in urdu “Città di Maria”, è un antico insediamento cristiano nella provincia pachistana del Punjab, dove sorge un santuario veneratissimo e ritenuto miracoloso. Ogni anno, dal 9 all’11 settembre, qui si celebra una grande festa, e migliaia di pellegrini da tutto il Paese convergono in quest’area remota. L’evento, tuttavia - in una zona del mondo dove i diritti delle minoranze religiose sono ben poco tutelati -, catalizza purtroppo anche episodi di intolleranza. Spesso i fedeli che partecipano al cammino da Lahore a Mariamabad subiscono molestie, anche da parte della polizia, mentre i venditori e i ristoratori lungo la via rifiutano di servire loro cibo e bevande, adducendo il presunto divieto per i musulmani di condividere le stoviglie con “infedeli”. Salvo il fatto che non pochi pellegrini sono essi stessi di religione islamica, magari alla ricerca di una grazia da parte di Mariam, anche da loro venerata... Un dettaglio, quest’ultimo, che offre un pa- Briciole di Missione - 4 - rallelismo con la basilica di Nostra Signora della Salute, a Vailankanni, nello Stato indiano del Tamil Nadu, 2.400 km a sud-est di Delhi. Qui, il “cammino standard” inizia a Puducherry e dura quattro giorni, con i pellegrini che si nutrono di ciò che è disponibile lungo il cammino e dormono ai bordi della strada. Ma in molti partono da Chennai, aggiungendo cinque giorni di marcia sulla East Coast Road. «Sulla via si incontrano cristiani ma anche fedeli di altre religioni, che riconoscono la potenza di questo santuario», spiega Das, che da 17 anni serve i pellegrini nel suo piccolo ristoro di Muthialpet. Dei venti milioni di persone che annualmente visitano Vailankanni, la metà è costituita da non cristiani, perlopiù indù. La devozione verso la Madonna è all’origine di infiniti esempi di cammini, processioni, pellegrinaggi in tutti i continenti. In America Latina, a fianco della già nominata Aparecida, col suo Caminho da fé, è impossibile non citare il santuario messicano di Guadalupe (con il relativo itinerario di quindici gior- ni dagli Stati di Queretaro e Guanajuato), la Virgen di Chiquinquirá, in Colombia, o ancora la basilica di Luján, in Argentina, dove ogni anno, a ottobre, convergono i giovani (l’anno scorso due milioni e mezzo) partecipanti alla marcia di 60 km da Buenos Aires. Il modello contemporaneo del trekking dello spirito è arrivato perfino in Oceania. Sei anni fa, nell’Ovest australiano, è nato il Camino Salvado-Pilgrim Trail, un percorso che dalla chiesa di San Giuseppe a Subiaco, vicino a Perth, porta fino alla città monastica di New Norcia, nel Wheatbelt, dove sorge l’abbazia benedettina fondata nel 1846 appunto da padre Rosendo Salvado per evangelizzare gli aborigeni. Nei 160 km di marcia, i pellegrini attraversano luoghi di interesse storico e naturalistico, come il parco nazionale di Walyunga o la valle di Chittering. «Il Pilgrim Trail è un’esperienza di riflessione e di rinnovamento - spiegano gli organizzatori - pensata per tutti: le persone di fede, quelli che la fede non ce l’hanno e quelli che la stanno cercando». E scelgono di farlo camminando. di Chiara Zappa Briciole di Parola: SANTI PIETRO E PAOLO “TRA NOVITÀ E TRADIZIONE” Dal Vangelo secondo Matteo (16, 13-19) In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Briciole di Missione - 5 - Quando nel calendario incontriamo la festa dei Santi Pietro e Paolo, di immediato ci viene da pensare a un’unità, come se i due fossero una persona sola. Entrambi venerati lo stesso giorno, spesso iconograficamente raffigurati l’uno accanto all’altro, anche visivamente ci danno l’idea di due persone molto affini, soprattutto nell’agiografia. È sufficiente entrare in Piazza San Pietro a Roma e guardare le due statue che, ai piedi della scalinata d’accesso alla Basilica, chiudono su due lati differenti il colonnato del Bernini: sembrano proprio due colonne, due baluardi invincibili a difesa della fede, uno con le chiavi del portone di casa e l’altro armato di spada per difenderlo. Due santi tanto assimilati dalla devozione popolare, da essere ritenuti simili tra di loro. Come un po’ i santi in genere, che a noi paiono tutti quanti simili tra di loro in quanto miti, pii, testimoni perfetti ed eroi della fede. Ma chi ha mai detto che nella Chiesa i santi sono tutti simili? Chi mai ha pensato che due santi che ricordiamo nello stesso giorno e con la medesima, doverosa intensità e solennità, abbiano vissuto la fede in maniera simile? Chi se la sente di sostenere che non esistono modi diversi per dire e vivere la stessa fede? Si può anche pensare che la fede cristiana sia una sola, e che in quanto tale debba essere vissuta in un solo modo: per carità, è pure lecito pensare così. Ma chi pensa questo di Pietro e di Paolo, proprio non li conosce. Non conosce il Pietro delle sicurezze e il Paolo delle sfide; non sa chi sia (pur distinguendoli) il Pietro con le chiavi e il Paolo con la spada. Non sa che uno è pietra di fondamento, e che l’altro ha gettato pietre fino alla morte su Stefano, santo come lui. Non sa che Pietro è tradizione, e Paolo frontiera. Che uno è certezza e dogma, e l’altro è ricerca e innovazione. Che uno è casa, l’altro è strada; uno è governo, l’altro è missione. Diversi, profondamente diversi tra di loro: eppure, entrambi necessari, nel panorama della fede cristiana. Uno (Pietro) cerca di essere un ottimo giudeo, irreprensibile di fronte alla legge, ma spesso il suo comportamento è da pagano, o forse ancor peggio, da avversario di Dio, da “satana”, come gli disse il Maestro; l’altro (Paolo) è amico dei pagani, ma per via della formazione ricevuta, vive in maniera integrale la sua fede, alla maniera dei giudei. Uno è sommerso dal senso del peccato e dal suo essere peccatore, e ha bisogno continuamente di un Dio misericordioso che lo rincuori e gli dica “Ma tu mi ami più di costoro?”, mentre l’altro è talmente pieno di sé che tocca al Maestro, sulla via di Damasco, immergerlo nel bagno della grazia di Dio per intriderlo di umiltà. Uno conosce direttamente Cristo; l’altro no, è Cristo che andrà a fare conoscenza di lui. Uno usa da sempre la barca per pescare (prima pesci, poi uomini, ma fa lo stesso), l’altro impara a usarla per navigare, per andare ad annunciare, ad ogni costo, anche a costo di un naufragio. Uno “il capo”, l’altro, l’ “ultimo” tra gli apostoli. Uno pervaso di una semplicità che rasenta l’ingenuità, l’altro impregnato di una cultura “da paura”. Antico e nuovo, arte rustica e nuovo design ecclesiale, ricchezza del passato e novità per il futuro. Pietro è talmente simile a Cristo che viene arrestato il giorno degli Azzimi, e mentre prega riceve conforto da un angelo; Paolo è talmente simile al Maestro da arrivare a dire che “lui non vive più, perché è Cristo che vive in lui”. Eppure, i due sono talmente diversi che nei pochi giorni in cui s’incontrano di persona, devono spartirsi il campo dell’annuncio del Vangelo (Pietro ai circoncisi, Paolo ai non circoncisi): e questo, non senza tensioni, visto che la visita di Pietro ad Antiochia (la Briciole di Missione - 6 - comunità di Paolo e Barnaba) fa andare su tutte le furie Paolo per i suoi atteggiamenti “ipocriti”. Eppure, ogni 29 giugno li celebriamo insieme, in un’unica festa. Entrambi focosi, senza dubbio, appassionati di Dio. E chi è il più “cristiano” tra i due? Il tradizionalista o l’innovatore? Il curiale conservatore o il progressista profetico? Questi, si sa, sono problemi e interrogativi esclusivamente nostri. Ciò che di loro sappiamo è che a queste cose non hanno avuto affatto tempo di pensare: erano focosi, avevano qualcosa che “bruciava” loro dentro, un assillo quotidiano, una carità che urgeva, che li ha portati entrambi a dare la vita per Cristo. Uno fedele alla tradizione e alla continuità, l’altro fedele al nuovo e al diverso. Entrambi martiri, testimoni, senza più sangue nelle vene, perché tutto sparso in libagione. Ciò che conta, allora, antichi o nuovi che siamo, è spiegare le vele, terminare la corsa, combattere la buona battaglia. riflessione di Don Alberto Brignoli tratta dal suo blog www.donalbri.wordpress.com «MA PER I POVERI TU COSA FAI?» Le parole del Papa: in troppi parlano senza fare niente. Invece il Vangelo chiede di dare il cuore. Di fronte alle povertà in tanti ci indigniamo ascoltando dei numeri. Ma poi noi, personalmente, che cosa facciamo? È il richiamo che Papa Francesco ha rivolto incontrando la folla in piazza San Pietro. Nel suo discorso il Papa ha ricordato la radice evangelica della parola misericordia: « “misericordia”, parola latina il cui significato etimologico è “miseris cor dare”, “dare il cuore ai miseri”, quelli che hanno bisogno, quelli che soffrono. È quello che ha fatto Gesù: ha spalancato il suo Cuore alla miseria dell’uomo». «Abbiamo a disposizione tante informazioni e statistiche sulle povertà e sulle tribolazioni umane - ha aggiunto Bergoglio -. C’è il rischio di essere spettatori informatissimi e disincarnati di queste realtà, oppure di fare dei bei discorsi che si concludono con soluzioni verbali e un disimpegno rispetto ai problemi reali. Troppe parole, troppe parole, troppe parole, ma non si fa niente! Questo è un rischio.C’è il rischio... Quando io sento alcune conversazioni tra persone che conoscono le statistiche: “Che barbarie, Padre! Che barbarie, che barbarie!”. “Ma cosa fai tu per questa barbarie?”. Niente, parlo! E questo non risolve niente! Di parole ne abbiamo sentite tante! Quello che serve è l’operare, l’operato vostro, la testimonianza cristiana, andare dai sofferenti, avvicinarsi come Gesù ha fatto. Imitiamo Gesù: Egli va per le strade e non ha pianificato né i poveri, né i malati, né gli invalidi che incrocia lungo il cammino; ma con il primo che incontra si ferma, diventando presenza che soccorre, segno della vicinanza di Dio che è bontà, provvidenza e amore». Sono parole che incrociano da vicino una sfida e dei pericoli che anche il mondo della missione conosce molto da vicino. La stessa parola periferie rischia di diventare oggi solo una bella citazione. Tu che ne pensi? E come vivi personalmente misericordia? Briciole di Missione - 7 - «LA CHIESA NON È SOLO VATICANO E PRETI MA SIAMO TUTTI NOI» La Chiesa non sono solo i preti, i vescovi e il Vaticano, ma “siamo tutti”. Così Papa Francesco all’udienza generale in piazza San Pietro. I fedeli sono benedetti da Dio e, a loro volta, sono “uomini e donne che benedicono”, quasi un “sinonimo” di “cristiani”. A fine udienza Jorge Mario Bergoglio ha fatto appello per le migliaia di rifugiati che anche in questi giorni sono costretti a lasciare le loro case per sfuggire ai conflitti e alle persecuzioni. E’ un po’ come un figlio che parla della propria madre, della propria famiglia. La Chiesa infatti non è un’istituzione finalizzata a se stessa o un’associazione privata, una Ong, né tanto meno si deve restringere lo sguardo al clero o al Vaticano… i preti sono parte della Chiesa ma la Chiesa sono tutti, non bisogna restringerla ai sacerdoti, ai vescovi, al Vaticano. Siamo tutti, tutti famiglia della madre. La Chiesa è una realtà molto più ampia e si apre a tutta l’umanità”. La Chiesa “non nasce improvvisamente, non nasce in laboratorio”, “è fondata da Gesù ma è un popolo con una storia lunga alle spalle e una preparazione che ha inizio molto prima di Cristo stesso”. La “storia, o preistoria, della Chiesa” è la vicenda biblica di Abramo: “Non è Abramo a costituire attorno a sé un popolo, ma è lo stesso Dio a dare vita a questo popolo. Di solito era l’uomo a rivolgersi alla divinità, cercando di colmare la distanza e invocando sostegno e protezione. In questo caso, invece, si assiste a qualcosa di inaudito: è Dio stesso a prendere l’iniziativa e a rivolgere la sua parola all’uomo, creando un legame e una relazione nuova con lui”. In questo sen- so, “l’amore di Dio precede tutto”, ha detto il Papa ribadendo un concetto sul quale torna spesso. “Isaia o Geremia, non ricordo bene, uno di questi due, dice che Dio è come il fiore del mandorlo, il primo che fiorisce nella primavera: quando noi arriviamo, lui ci aspetta, lui ci chiama, lui ci fa camminare, sempre in anticipo di noi e questo si chiama amore, Dio ci aspetta sempre”. Il Papa ha poi immaginato un colloquio con un fedele: “Ma padre, io non credo, la mia vita è stata tanto brutta, come posso pensare che Dio mi aspetta?”, la domanda, e la risposta “Ma se sei stato peccatore grosso Dio ti aspetta con tanto amore” e “la Chiesa ci porta a questo Dio che ci aspetta”. Abramo e i suoi ascoltano la chiamata di Dio e si mettono in cammino, non senza “resistenze”, “ripiegamento su se stessi e sui propri interessi” “tentazione di mercanteggiare con Dio e risolvere le cose a modo proprio”: “Sono i tradimenti e i peccati che segnano il cammino del popolo lungo tutta la storia della salvezza, che è la storia della fedeltà di Dio e dell’infedeltà del popolo”. I cristiani, ha concluso il Papa, devono diventare “benedizione, segno dell’a- Briciole di Missione - 8 - more di Dio per tutti i suoi figli. A me – ha concluso Bergoglio – piace pensare che il sinonimo che possiamo avere per i cristiani sarebbe questo: sono uomini e donne che benedicono: benedire Dio e tutti noi. Noi cristiani siamo gente che benedice”. …….. “Il numero di questi fratelli rifugiati sta crescendo, migliaia di persone sono costrette a lasciare le loro case per salvarsi, è stato l’appello pronunciato dal Papa a conclusione dell’udienza. “Milioni di famiglie, milioni di famiglie! di tanti paesi e di ogni fede re- ligiosa vivono nelle loro storie drammi e ferite che difficilmente potranno essere sanate. Il Signore sostenga le persone e le istituzioni che lavorano con generosità per assicurare ai rifugiati accoglienza e dignità, e dare loro motivi di speranza. Pensiamo – ha detto ancora il Papa – che Gesù è stato un rifugiato, è dovuto fuggire per salvare la vita, con san Giuseppe e la Madonna, è dovuto andarsene in Egitto, lui è stato un rifugiato. Preghiamo la Madonna che conosce i dolori dei rifugiati che sia vicina a questi nostri fratelli e sorelle”. Iacopo Scaramuzzi Città del Vaticano Briciole dal Mondo: «ADESSO COMPRENDIAMO PERCHÈ NON ABBIAMO MAI PERSO LA SPERANZA» La veglia di ringraziamento per i preti novelli e per la liberazione dei “fidei donum” rapiti diventa un inno alla preghiera. dal sito della Diocesi di Vicenza Venerdì 6 giugno 2014, ore 20.45. La veglia a Monte Berico alla vigilia dell’ordinazione presbiterale dei giovani seminaristi vicentini e nella gioia per la liberazione di don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri inizia con il suono festoso delle campane che riempie la Basilica e scende lungo il pendìo del monte per spandersi sulla città. Il santuario è gremito di fedeli, preti, diaconi, religiose e religiosi a esprimere l’accoglienza e la riconoscenza dell’intera comunità diocesana che, con il suo Vescovo, che si stringe attorno a don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri rientrati dal Camerun Parla mons. Beniamino Pizziol: “È la terza volta che ci raduniamo qui. Le prime due, il 4 e il 31 maggio, per invocare dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria, il dono della liberazione. Stasera è per ringraziare di essere stati esauditi”. La veglia, preparata dalla Pastorale Vocazionale, propone un cammino attraverso i tre “profumi” del presbitero: il crisma, a significare che il prete è chiamato a lasciarsi continuamente ungere e guidare dallo Spiriro di Dio; l’incenso, che è il profumo della speranza riposta in Dio; il terzo è un “odore”, quell’odore delle pecore di cui si impregna solo il pastore che vive in mezzo al proprio gregge, attento all’incontro con le persone, specialmente le più povere. Le parole del Vescovo sono un inno alla preghiera: “Oggi godiamo della vostra presenza e la nostra gioia è ancor più viva per le ordinazioni presbiterali di domani”, dice rivolgendosi ai “fidei donum” rientrati dal Camerun e ai 5 diaconi. Poi chiede: “Che cosa ci ha sostenuti in questi due mesi? Che cosa Briciole di Missione - 9 - ci ha consentito di essere uniti spiritualmente e ci ha permesso di essere vicini, in ogni momento, gli uni agli altri?”. Tante domande, una sola risposta: “La preghiera”. Pregare, infatti, è “entrare nella comunione della Santissima Trinità, entrare cuore a cuore con il Signore, stare con Lui, lasciarsi abbracciare e condurre da Lui, cioè riconoscere il primato di Dio nella nostra vita”. Eppure oggi corriamo tutti il pericolo dell’efficienza: “Laici, preti, consacrati... tutti dedichiamo molto tempo a stendere piani e progetti spirituali ma perdiamo poco tempo nella preghiera”. “Perdere”. Usa un verbo forte, mons. Pizziol. Ma solo così può spiegare che il tempo dedicato alla preghiera “permette di conquistare il proprio animo e di trovare il proprio posto nel mondo”. “Quando veniamo toccati nella carne, la preghiera diventa più vera”, prosegue il Vescovo di Vicenza, e ricorda che in questi due mesi di prigionia di don Giampaolo e don Gianantonio questa “preghiera vera e intensa” si è levata da ogni parte del mondo: “Attraverso la preghiera, neppure un minuto vi abbiamo lasciati soli!”, dice mons. Pizziol ai due “fidei donum”. CUSTODITI, MAI ABBANDONATI “Custoditi, mai abbandonati. Così ci siamo sentiti durante tutto questo tempo - gli fa eco don Gianantonio Allegri, descrivendo i 57 giorni nelle mani dei rapitori -. Ma solo stasera comprendiamo da dove ci giungesse tanta forza: dalla forza delle vostre preghiere”. “Eravamo certi che qualcuno stesse pregando per noi, ma in così tanti e in modo così intenso no, non lo potevamo immaginare. E ora capiamo perché siamo vivi, in salute e soprattutto perché non abbiamo mai perso la speranza”. “Anche noi pregavamo - prosegue don Gianantonio -. Pregavamo cinque volte al giorno, proprio mentre lo facevano anche i nostri rapitori adempiendo al precetto musulmano. Pregavamo per loro, che Dio toccasse i loro cuori di poveri ragazzi al soldo di Boko Haram. E pregavamo per voi, immaginando la vostra angoscia poiché non sapevate nulla di noi”. “Ora per tutti coloro che cercano liberazione, noi vogliamo essere consolazione”, conclude don Gianantonio anche a nome di don Giampaolo e suor Gilberte. La veglia si conclude ed è il momento degli abbracci: il Vescovo li dà a uno a uno. Prima ai preti fidei donum tornati dal Camerun. Poi ai 5 seminaristi sui quali il giorno seguente imporrà le mani per l’ordinazione presbiterale. “State bene? Siete tranquilli? - chiede a questi sottovoce con la premura di un padre -. Arrivederci a domani”. Luca de Marzi DOV’È TUO FRATELLO? il grido dei Vescovi dell’Eritrea Nell’anniversario dell’indipendenza un duro atto d’accusa al governo del Paese per le tragedie dei suoi migranti. Un atto coraggioso in un Paese dove il presidente Afewerki reprime ogni dissenso. L’hanno intitolata con la stessa citazione biblica scelta dal Papa nell’omelia del luglio scorso a Lampedusa, la domanda di Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello?». E proprio all’isola dei migranti fanno espressamente riferimen- to ricordando la giornata tragica del 3 ottobre scorso, quella del naufragio al largo della Sicilia costato la vita a oltre 300 persone, la maggior parte delle quali provenienti proprio dal loro Paese. È con parole coraggiose che i Briciole di Missione - 10 - quattro vescovi cattolici dell’Eritrea si rivolgono al Paese in una lettera pastorale di 38 pagine che porta la data del 25 maggio 2014, ventunesimo anniversario dell’indipendenza del Paese. I quattro eparchi di Asmara, Barentu, Keren e Segeneiti rivolgono infatti la domanda «Dov’è tuo fratello?» al proprio Paese, diventato sotto il pugno di ferro dal presidente Isaias Afewerki uno delle terre africane dalle quali maggiormente oggi la gente scappa. Con fughe che si trasformano in odissee non solo nel Mar Mediterraneo, ma anche nell’arsura del deserto del Sinai, che gli eritrei percorrono cercando di raggiungere Israele mettendosi nelle mani di trafficanti senza scrupoli esattamente come gli scafisti. «Dov’è tuo fratello? Dal momento che l’ambiente in cui viviamo aggrava la situazione, piuttosto che trovare soluzioni che prevengano il ripetersi di incidenti simili a quello di Lampedusa, questa domanda ci toglie il sonno», scrivono dunque i vescovi dell’Eritrea. Con una denuncia delle condizioni di vita nel Paese senza se e senza ma; i vescovi affrontano ad esempio - il tema della mancanza di libertà di espressione, a causa della quale «i nostri giovani fuggono verso Paesi dove c’è giustizia, lavoro e dove ci si può esprimere senza timore ad alta voce». E aggiungono: «Non ci sarebbe ragione di cercare nazioni dolci come il miele se uno vivesse già in un posto del genere». I vescovi eritrei puntano inoltre il dito sulla disgregazione delle famiglie, di cui l’emigra- zione è solo un volto: «i componenti di ogni famiglia - continua il documento - oggi sono sparpagliati tra il servizio nazionale, l’esercito, i centri di riabilitazione, le carceri, con gli anziani lasciati indietro senza nessuno che si prenda cura di loro. Tutto questo sta rendendo l’Eritrea una terra desolata». Prendono di petto anche la questione dei detenuti - migliaia dei quali, sostiene Amnesty International, in Eritrea sono in carcere per ragioni politiche e di coscienza: «Chiunque viene arrestato - scrivono i vescovi - deve essere trattato con umanità e poi, sulla base delle accuse rivolte contro di lui, deve essere portato in un tribunale dove discutere il proprio caso in maniera equa». Quello contenuto nella lettera pastorale «Dov’è tuo fratello?» è un intervento molto significativo per un Paese come l’Eritrea, governato da Afewerki dall’indipendenza ottenuta nel 1993 e senza alcuno spazio per qualsiasi forma di dissenso politico. Una cortina di ferro che ha colpito pesantemente anche la libertà religiosa: in uno Stato in cui oltre il 50% della popolazione è cristiana sono ammesse solo le tre Chiese ufficialmente riconosciute e cioè quella Etiope ortodossa, quella cattolica (circa il 2,5% della popolazione) e quella evangelica. Tutte le Briciole di Missione - 11 - altre confessioni protestanti sono fuori legge e molti loro fedeli si trovano di fatto in carcere semplicemente per questo motivo. Anche le tre Chiese principali - comunque - devono fare i conti con i diktat di Afewerki: emblematico il caso della Chiesa Etiope ortodossa, la confessione largamente maggioritaria, il cui patriarca - l’abuna Antonio - è stato di fatto deposto nel 2005 dall’uomo forte di Asmara, perché non abbastanza allineato con le sue posizioni politiche. Tutte circostanze, queste, che rendono l’intervento dei quattro vescovi cattolici ancora più significativo. Giorgio Bernardelli IL NO AL FEMMINICIDIO DELLE DONNE In India un gruppo di donne ha protestato contro i recenti stupri e impiccagioni di giovani ragazze avvolgendo il proprio corpo in drappi colorati come la bandiera indiana. Una manifestazione che non è sufficiente a scuotere le coscienze. E per l’Onu una delle cause principali è l’assenza dello Stato. Hanno protestato contro gli stupri avvolte in drappi bianchi, verdi e arancio. Le donne del gruppo Sthree koottayma erano poche nella città diErnakulam a Kerala, ma lo hanno fatto per scuotere l’India e destare attenzione sulla condizione attuale che vede ogni giorno delinquenti che violentano e uccidono giovani ragazze. Uno per tutti, l’episodio conclusosi con la morte per impiccagione, dopo essere state stuprate, di due giovani donne maurya, nominate dalit dalla maggior parte dei media. La polizia ha arrestato le manifestanti per “esposizione di indecenze”, dove l’indecenza era rappresentata da spalle e polpacci. Poco o nulla si sta facendo per diffondere un’informazione chiara e condannare atti ben più osceni, come la morte delle due cugine, perché donne e perché appartenenti a una casta minore dei loro carnefici,nello Stato del Nord Uttar Pradesh. Non un episodio isolato, per il quale le manifestanti sono state fermate dalla polizia. Azione che rende la donna doppiamente vittima e lascia i veri colpevoli impuniti. l’autorità indiana, ignorando l’applicazione della legge e della giustizia, non ha assunto la dovuta responsabilità nel combattere gli attacchi di violenza sessuale. «Siamo allarmati per la violenza diffusa, gli abusi e l’abbandono dei bambini (…). Non siamo interessati solo a quei casi che attirano l’attenzione internazionale. Siamo anche molto preoccupati per quelli che non beneficiano dell’attenzione dei media, non arrivano ad essere segnalati alle autorità o non hanno il sostegno dei vicini o dei villaggi in cui questi reati sono commessi» ha detto Mezmur, che proviene dall’Etiopia ed è docente di legge sui diritti umani presso l’Università di Western Cape in Sudafrica. Il neo primo ministro Narendra Modi si è impegnato ad aumentare la sicurezza delle donne. La commissione Onu ha inoltre esortato l’India a prendere misure immediate per impedire l’infanticidio femminile, l’abbandono delle bambine e per garantire l’applicazione delle norme contro gli aborti selettivi. Secondo la Commissione per la salvaguardia dei diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite Briciole di Missione - 12 - IRAQ - appello dell’Arcivescovo siro cattolico Moshe alla Comunità Internazionale: SALVATECI! Qaraqosh (Agenzia Fides) – Qaraqosh è quasi una città fantasma. Più del novanta per cento degli oltre 40mila abitanti, quasi tutti cristiani appartenenti alla Chiesa siro-cattolica, sono fuggiti negli ultimi due giorni davanti all’offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), che sottopongono l’area urbana al lancio di missili e granate. Tra i pochi rimasti in città ci sono l’Arcivescovo di Mosul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, alcuni sacerdoti e alcuni giovani della sua Chiesa, che hanno deciso di non fuggire. Nel centro abitato, nelle ultime due giornate, sono arrivate armi e nuovi contingenti a rafforzare le milizie curde dei Peshmerga che oppongono resistenza all’avanzata degli insorti sunniti. L’impressione è che si stia preparando il terreno per lo scontro frontale. Nella giornata di ieri, l’Arcivescovo Moshe ha tentato una mediazione tra le forze contrapposte con l’intento di preservare la città di Qaraqosh dalla distruzione. Per il momento, il tentativo non ha avuto esito. Gli insorti sunniti chiedono alle milizie curde di ritirarsi. I Peshmerga curdi non hanno alcuna intenzione di consentire agli insorti di avvicinarsi ai confini del Kurdistan iracheno. In questa situazione drammatica, da Qaraqosh l’Arcivescovo Moshe attraverso l’Agenzia Fides vuole lanciare un pressante appello umanitario a tutta la comunità internazionale: “Davanti al dramma vissuto dal nostro popolo” dice a Fides l’Arcivescovo, “mi rivolgo alle coscienze dei leader politici di tutto il mondo, agli organismi internazionali e a tutti gli uomini di buona volontà: occorre intervenire subito per porre un argine al precipitare della situazione, operando non solo sul piano del soccorso umanitario, ma anche su quello politico e diplomatico. Ogni ora, ogni giorno perduto, rischia di rendere tutto irrecuperabile. Non si possono lasciar passare giorni e settimane intere nella passività. L’immobilismo diventa complicità con il crimine e la sopraffazione. Il mondo non può chiudere gli occhi davanti al dramma di un popolo intero fuggito dalle proprie case in poche ore, portando con sé solo i vestiti che aveva addosso”. L’Arcivescovo siro cattolico di Mosul delinea con poche vibranti parole la condizione particolare vissuta dai cristiani nel riesplodere dei conflitti settari che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’Iraq: “ Qaraqosh e le altre città della Piana di Ninive sono state per lungo tempo luoghi di pace e di convivenza. Noi cristiani siamo disarmati, e in quanto cristiani non abbiamo alimentato nessun conflitto e nessun problema con i sunniti, gli sciiti, i curdi e con le altre realtà che formano la Nazione irachena. Vogliamo solo vivere in pace, collaborando con tutti e rispettando tutti”. Il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan, collaboratore dell’Arcivescovo Moshe, spiega a Fides che l’appello “è rivolto anche a quei governi occidentali ed europei che spesso parlano dei diritti umani in maniera intermittente e interessata, sprofondando poi in un mutismo di comodo quando le loro operazioni e le loro analisi dei problemi del Medio Oriente si rivelano miopi e fallimentari. Per essere chiari, l’Arcivescovo non chiede di risolvere la situazione mandando altre armi in Medio Oriente. Sono stati anche gli interventi armati occidentali a scatenare il caos pieno di sangue e violenza che fa soffrire i nostri popoli stremati”. (GV) Briciole di Missione - 13 - Il Gruppo Missionario incontra GRAZIELLA e SUOR MARINA Briciole di Missione - 14 - 17 ANNI DI VOLONTARIATO O MEGLIO LAICATO MISSIONARIO IN BRASILE In questi giorni, mi accingo a ripartire. Forse la settima, forse l´ottava volta: ne ho perso il conto in questi 17 anni di partenza e ripertenze! Il tornare é sempre um momento di riflessione e bilanci, ripercorrere i passi del mio cammino spirituale com i Saveriani, di dialogo com Rete Speranza, rincontrare amici, per ricaricarsi, analizzare, vedere, rivedere il percorso fatto e le sfide future. Questi ultimi due anni sono stati belli, ma in certi momenti difficili e faticosi: ricordo la chiusura del Centro di Promozione Umana, di Piraquara, per mancanza improvvisa di fondi, mentre si procedeva a tutto vapore, con tanti ragazzi e mamme che hanno creduto in noi. Ricordo la grandinata dell´ ottobre 2012, che há distrutto quasi tutto il tetto del Centro Professionale. La delusione profonda, che mi há segnato il cuore in maneira indelebile, di molti volti amici, che in qualche modo si sono sentiti traditi, ma anche la speranza del ricominciare. Se potessi riassumere questi 17 anni anni in uma sola frase potrei dire che Rete Speranza é uma strada che com coraggio si apre in mezzo alla fitta foresta della Vita e che nel suo percorso raccoglie chi si trova disorientato sul ciglio della strada, senza meta, offre uma mano per rialzarsi e intraprende insieme um pezzo di strada. Per questo, ho bisogno di ripartire, anche com uma certa fática, non lo nascondo, per continuare a camminare sulla strada della mia Vita, com le mie sfide di ogni giorno, com la mia umanitá fragile, che a volte , invece di tendere la mano, guarda se c´é ancora qualcosa nel próprio zaino, da offrire e cosí sbaglia tutto. In questi 17 anni forse uma sola cosa ho capito: servono due braccia allargate, e um sorriso, in cordata com tanti compagni di viaggio che forse um po´ folli, sognano insieme uma umanitá nuova, che osano non perdere di mira il fine del nostro stare insieme: il sorriso dei poveri, di quei ragazzi giá stanchi di vivere. In queti 17 anni, ho confermato la convinzione che senza un´esperienza di Fede vissuta in comunitá e sostenuta da uma spiritualitá missionaria, come quella a cui io mi sento particolarmete legata, la spiritualitá saveriana, la mia esperienza sarebbe forse giá finita da tempo. Ringrazio per cui tutti, la mia Comunitá del Bom Pastor di Curitiba, Rete Speranza/ Rede Esperança, la mia famiglia, il gruppo missionário, gli amici che ho rincontrato a Macherio e che hanno osato chiedermi, non cosa faccio, ma qual é la speranza che vivo in me e ai quali ho potuto semplicemente rispondere: l´uomo della Croce forza e salvezza dell´Umanitá. Cosí, riparto con gioia, Briciole di Missione - 15 - Graziella Macherio, 7 luglio 2014 4 luglio 2014 - SANTA MESSA per i Missionari defunti di Macherio Un grazie a Suor Marina, Graziella e don Mario per avere condiviso con noi la nostra preghiera Briciole di Missione - 16 - Briciole di Missione - 17 - Briciole di Missione - 18 - Prossimo banchetto - EQUO COMMERCIO 14 Settembre 2014 piazzale della Chiesa dalle ore 7.30 alle 12.30 Preghiera Ci sono migliaia e migliaia di persone, Signore, nei Paesi poveri e nelle zone povere dei Paesi ricchi, senza diritto di alzare le loro voci, senza possibilità di reclamare, di protestare, malgrado giusti siano i diritti che devono difendere. I senza casa, senza cibo, gli ignudi, gli ammalati, i derelitti, disoccupati, coloro che non hanno futuro, i disperati, rischiano di cedere al fatalismo, allo scoraggiamento, perdono la voce, diventano dei “senza voce”. Che sempre più, Padre, siamo uno col tuo Figlio! Che il Cristo veda i nostri occhi, ascolti con le nostre orecchie, parli con le nostre labbra. E manda, Signore, il tuo Spirito perché lui solo può rinnovare la faccia della Terra. Lui solo potrà cancellare gli egoismi, condizione indispensabile perché siano superate le strutture ingiuste che tengono milioni di esseri in schiavitù. Lui solo potrà aiutarci a costruire un mondo più umano e cristiano. Helder Câmara (testo adattato) Briciole di Missione - 19 - Buone Vacanze!!! a tutti Il Gruppo Missionario Briciole di Missione - 20 -