ILRAPPORTO TRA CATECHESI E CULTURA NELL`ESORTAZIONE

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ILRAPPORTO TRA CATECHESI E CULTURA NELL`ESORTAZIONE
ILRAPPORTO TRA CATECHESI E CULTURA
NELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE ECCLESIA IN AFRICA
Natura, principi e prospettive
Aimable MUSONI*
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[Nella riproduzione dell’articolo sono state eliminate le numerose note di
documentazione e di approfondimento. L’intero articolo, con le note, si trova in
“Itianerarium” 13(2005)30, 75-93]
Se si definisce genericamente la catechesi come azione ecclesiale di approfondimento
dell’evangelizzazione, bisogna convenire che essa è il mezzo e lo strumento della nuova
evangelizzazione, in Africa come altrove. Ma siccome evangelizzazione e catechesi hanno
come scopo l’uomo concreto da introdurre nella conoscenza e nella sequela di Cristo, una
riflessione sulla catechesi in Africa ha anche il compito di interessarsi dell’ambiente e della
cultura del suo destinatario. In queste riflessioni sul rapporto tra catechesi e cultura
nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa promulgata da Giovanni Paolo II (14 settembre
1995) un anno dopo la celebrazione del Sinodo africano, ossia l’Assemblea speciale per
l’Africa del Sinodo dei vescovi (10 aprile – 6 maggio 1994), cercheremo innanzitutto di capire
come viene intesa la catechesi (1), ci soffermeremo poi sull’universo culturale del
destinatario e la catechesi in Africa (2), prima di considerare, infine, alcune aree portanti
dove deve essere o è già in atto il detto rapporto tra catechesi e cultura (3).
1. La “catechesi” e i “catechisti” nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa
Siccome il quadro generale di riferimento di queste riflessioni è la catechesi, pensiamo che
non sia inutile iniziare con un tentativo di chiarificazione terminologica, giacché il termine
“catechesi” viene adoperato per svariati significati. Nell’Esortazione apostolica post-sinodale
Ecclesia in Africa, il termine “catechesi” non ricorre molte volte. Tuttavia, questo fatto non
deve trarci in inganno: dal titolo dell’Esortazione (Chiesa in Africa e la sua missione
evangelizzatrice) fino alla sua conclusione si può dire che non si tratta di altro che della
catechesi, perché lo scopo è appunto di promuovere l’annuncio e il radicamento del Vangelo
ad opera della Chiesa in Africa. In altre parole, a nostro avviso, l’espressione “missione
evangelizzatrice” che indica lo scopo e la portata dell’intera Esortazione comprende e implica
il ministero della parola in quanto tale, nel cui ambito si colloca la catechesi. Però, come si sa
per principio, ciò che si guadagna nell’estensione, si perde logicamente nella comprensione.
Occorrerà quindi distinguere il più possibile tra la “catechesi propriamente detta” e la
“dimensione catechistica” che hanno le altre funzioni ecclesiali. Vediamo di spiegarci meglio
alla luce dei dati dell’Esortazione, tenendo presenti anche le Proposte e il Messaggio finale
del Sinodo africano.
Il termine “catechesi” appare nell’Ecclesia in Africa solo due volte, nei paragrafi 18 e 59.
Apparentemente in riferimento all’Esortazione apostolica Catechesi tradendae, il n. 18
colloca esplicitamente la catechesi nella prospettiva dell’evangelizzazione, che indica
«quanto sia viva oggi nella chiesa la coscienza della missione salvifica ricevuta da Cristo». Il
n. 59 è assai rilevante per il nostro tema, perché citando di nuovo la Catechesi tradendae,
ribadisce l’importanza particolare che riveste per l’evangelizzazione l’inculturazione (insertio
in culturam), quel processo cioè mediante il quale la «catechesi “s’incarna” nelle differenti
culture». Qui, per così dire, la catechesi approfondisce l’opera dell’evangelizzazione, e per
mezzo dell’inculturazione, permette ai credenti di assimilare sempre meglio il messaggio
evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici (cfr. n. 78).
Può fare scalpore la scarsità dell’uso esplicito del termine “catechesi” in una lunga
Esortazione dedicata alla missione evangelizzatrice della Chiesa in Africa, ma questo non
deve fare dimenticare la sua presenza strategica nelle due ricorrenze appena ricordate (nn.
18 e 59): la catechesi viene opportunamente collocata nell’orizzonte dell’evangelizzazione e
dell’inculturazione, per cui essa può definirsi come lo sforzo di trasmissione e di maturazione
della fede, mirando al radicamento e all’integrazione del cristianesimo nelle varie culture
africane, affinché l’incontro con la persona vivente di Cristo sia come lievito che trasforma
dall’interno la vita concreta del singolo e della comunità a tutti i livelli della loro esistenza.
Salva ogni analogia proporzionale, diremo che in Africa l’evangelizzazione è il contenuto
(materiale) della catechesi, mentre l’inculturazione è la sua forma (metodologica). La Chiesa
appare come luogo, soggetto e oggetto della catechesi, e dove quest’ultima non viene
letteralmente indicata, essa è sottintesa nella missione evangelizzatrice della Chiesa.
Se non si parla di “catechismo” al di fuori di due rinvii ai paragrafi 811 e 1260 del Catechismo
della Chiesa Cattolica rispettivamente ai paragrafi 11 e 27 dell’Esortazione Ecclesia in Africa,
incontriamo invece più spesso i “catechisti”, chiamati in causa nove volte ai paragrafi
7.38.53.56.58.88.91 (x 3). In genere, è da supporre che tutta la Chiesa si impegna per
l’evangelizzazione e la catechesi (cfr. nn. 55, 88), dal vescovo ai presbiteri, dai diaconi ai
religiosi fino all’ultimo fedele laico. In specie, i catechisti sono i fedeli laici (cfr. n. 53) che
vengono prima di tutto annoverati tra i destinatari dell’Esortazione (cfr. n. 7). Il loro servizio è
da considerarsi “vocazionale”: essi, infatti, appartengono alla categoria di coloro che fanno
del servizio ai loro fratelli l’ideale della loro esistenza. Questo è tanto vero quanto il loro
«contributo alla diffusione del Vangelo fra le popolazioni africane è a tutti ben noto» (n. 38;
cfr. anche n. 56). Ne risulta quindi la necessità e l’urgenza della loro formazione – in specie
biblica (cfr. n. 58) –, in quanto il loro ruolo di operatori dell’evangelizzazione è insostituibile in
Africa (cfr. nn. 53, 88 e 91). Dedicato interamente ai catechisti, il paragrafo 91 ribadisce tra
altro il loro ruolo determinante nella fondazione e nell’espansione della Chiesa in Africa. Per
questo, il compito dei catechisti va riconosciuto e onorato all’interno della comunità cristiana.
Secondo noi, il plusvalore dei catechisti è enfatizzato anche dal fatto che, rispetto al
missionario o al parroco di turno, essi hanno il vantaggio di essere del luogo, e quindi di
condividere la vita e i valori culturali dei destinatari. Tanto più essi avranno potuto fare la
sintesi tra fede e cultura nella propria vita, quanto più potranno efficacemente comunicare la
fede garantendone le condizioni ambientali di accoglienza e di assimilazione (cfr. nn. 47, 54,
77, 78). Su questo, il modo con il quale l’Esortazione Ecclesia in Africa recepisce il peso
della cultura nel processo catechistico di trasmissione della fede fornisce altri argomenti.
2. L’universo culturale, l’inculturazione e la catechesi in Africa
Quando l’esortazione Ecclesia in Africa parla dell’evangelizzazione e della catechesi, essa si
colloca espressamente nell’orizzonte culturale del destinatario e adotta come metodologia
l’inculturazione del messaggio evangelico. Partendo dai testi dell’Esortazione, vogliamo
adesso evidenziare come si intende l’universo culturale e cercare di capire come viene
concepito il rapporto tra cultura e catechesi in Africa. Si tratta qui, sulla falsariga del Sinodo
africano del 1994, di disegnare il contesto socio-antropologico dell’Africa tradizionale che
costituisce il quadro di riferimento obbligato e che offre oggi i capisaldi della concezione
dell’uomo e della Chiesa in Africa, cui ovviamente la catechesi non può fare a meno.
2.1. L’universo culturale dell’uomo africano
Anzitutto, osserviamo che l’Esortazione Ecclesia in Africa si muove sic et simpliciter nella
prospettiva della «cultura e della tradizione africane» (nn. 42-43), senza nascondersi
l’esistenza del pluralismo e della diversità culturale in Africa. Il fatto suppone che ci sia
effettivamente un coefficiente importante di dati e di valori culturali comuni al continente
intero, che resistono all’erosione del tempo e della modernità ed impregnano ancora sia
l’inconscio collettivo che la vita quotidiana degli africani. Se non è data una definizione
essenziale della “cultura africana”, non risulta impossibile farsene un’idea tramite la
presentazione descrittiva dei suoi valori offerti in diversi paragrafi. Nel paragrafo 42 (cfr. n.
57), si parla del profondo senso religioso, del senso del sacro, del senso dell’esistenza di Dio
creatore e di un mondo spirituale, senza dimenticare la coscienza del peccato nelle sue
forme individuali e sociali, e il conseguente bisogno di riti di purificazione e di espiazione. Il
paragrafo successivo (n. 43, cfr. 67) si sofferma sul senso della famiglia, dell’amore e del
rispetto della vita. L’attaccamento alla vita porta non solo ad amare i figli e a rispettare i
parenti e gli anziani, ma anche a venerare gli avi, perché per gli africani, i morti non sono
morti ma rimangono in comunione con i vivi. È sottolineato anche il «senso acuto della
solidarietà e della vita comunitaria» (n. 43).
Questo modo di vedere corrisponde alla concezione dell’uomo africano tradizionale, che è
profondamente attaccato alla vita e si inserisce necessariamente in una realtà più vasta: ha
ricevuto la vita dai genitori, la comunità lo ha iniziato al lavoro e alla parola, al sapere e alla
vita sociale. Non si può concepire la vita dell’individuo fuori della società, perché
all’esclusione sociale corrisponde la morte personale. L’africano non si definisce quindi dal
suo “io” individuale, ma dalla sua molteplice appartenenza al “noi” della famiglia, della stirpe
o del clan, ciò che lega la sua origine al sangue di un antenato comune, la sua storia e i suoi
costumi a una figura mitica dell’intero gruppo. Ad ogni livello, l’appartenenza detta dei diritti e
dei doveri che traducono la necessaria solidarietà, la piena lealtà, il mutuo aiuto e la
condivisione dei beni materiali e culturali. In virtù del suo senso religioso, l’africano vive in
unione con i suoi antenati da cui aspetta protezione e di cui tiene viva la memoria nel culto. Il
capo della famiglia è spesso il ministro – per non dire il sacerdote – del culto degli avi. Tutto
sommato, si è detto che questa visione tradizionale è “antropocentrica relazionale”.
2.2. L’inculturazione della fede in Africa
Come concepire l’incontro tra la cultura africana e il processo di evangelizzazione e di
catechesi? Su questo “compito difficile e delicato” (cfr. n. 62), l’Esortazione Ecclesia in Africa
non esprime molto, anche se dà indicazioni abbastanza chiare. Prima di tutto, essa lascia
intendere che i valori positivi della cultura africana costituiscono in un certo qual modo una
«preparazione provvidenziale alla trasmissione del Vangelo» (n. 42, cfr. nn. 43, 57, 67, 80).
Per integrare poi questi valori nella fede (cfr. nn. 59, 87), si ricorre al processo
dell’inculturazione, un altro concetto-chiave dell’Esortazione Ecclesia in Africa accanto a
quello dell’evangelizzazione. La ragion d’essere dell’inculturazione è di promuovere un modo
di vivere che corrisponda al meglio delle tradizioni locali e della fede cristiana (n. 48), così
che da una parte, avvenga «l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante
l’integrazione nel cristianesimo» e dall’altra, si operi «il radicamento del cristianesimo nelle
varie culture» (n. 59, cfr. 78). Citando la proposta 32 del Sinodo africano, l’Esortazione
precisa lo scopo dell’inculturazione: «Come cammino verso una piena evangelizzazione,
l’inculturazione mira a porre l’uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell’integralità del
proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio
Padre e di una vita santa mediante l’azione dello Spirito Santo». Se la sintesi tra cultura e
fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede, allora la fede deve diventare
cultura affinché i discepoli di Cristo possano assimilare sempre meglio il messaggio
evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici (n. 78). Nel processo di
inculturazione che costituisce anche «una via alla santità» (n. 87), infine, l’articolazione tra
fede e cultura sembra suggerire l’applicazione del principio della correlazione.
A parte l’illustre eccezione dell’immagine di «famiglia» applicata alla Chiesa (n. 63), il Sinodo
africano ha lasciato l’attuazione dell’inculturazione alla responsabilità delle Conferenze
episcopali (n. 64). Qualche tentativo è da segnalare in liturgia, mentre nella catechesi lo
spettro del sincretismo che nasce dall’incontro tra cristianesimo e religione tradizionale
africana continua a limitare le iniziative. Ad esempio le figure di Cristo (antenato, capo,
figlio/fratello maggiore, guaritore, maestro di iniziazione, ecc.) comunemente indagate in
teologia africana non sono correnti in catechesi, verosimilmente a causa del loro innegabile
potenziale di ambiguità…
2.3. Effetti purgativi e criteri dell’inculturazione
L’assunzione dei valori culturali non è unilaterale, perché certe pratiche tradizionali africane
non corrispondono all’ideale evangelico. Insieme alle difficoltà socio-politiche attuali
dell’Africa (quali ad es. la fame, la povertà, la guerra, il flagello dell’AIDS, l’instabilità politica
e la violazione dei diritti umani), sono enumerati alcuni usi e abusi ereditati dalla tradizione: la
pratica della schiavitù, l’etnocentrismo e le opposizioni tribali, i costumi discriminanti in
riferimento alla donna (cfr. nn. 51.64.82.121). Si può aggiungere un certo stile dittatoriale e
nepotistico di esercizio del potere, il parassitismo, la poligamia e alcune scorie della religione
tradizionale africana (animismo, fatalismo, sacrifici umani, stregoneria, superstizione, ecc.)
che a volte coesistono con il cristianesimo ed ostacolano la vera conversione.
Un’inculturazione ben condotta non avverrà quindi senza “rotture” (n. 74), se vuole purificare
e elevare le culture africane, affinché siano permeate dal Vangelo (cfr. nn. 61.87). Si afferma
a questo proposito: «È guardando al mistero dell’incarnazione e della Redenzione che si
deve operare il discernimento dei valori e degli anti-valori delle culture. Come il Verbo di Dio
è divenuto in tutto simile a noi, ad eccezione del peccato, così l’inculturazione della buona
novella assume tutti gli autentici valori umani purificandoli dal peccato e restituendoli al loro
pieno significato».
L’incarnazione e il mistero pasquale sono quindi criteri imprescindibili per ogni vera
inculturazione, che ha anche profondi legami con il mistero di pentecoste. Secondo
l’Esortazione Ecclesia in Africa, infatti, l’effusione dello Spirito Santo permette a tutti i popoli
della terra che entrano nella Chiesa di professare nella loro lingua l’unica fede in Gesù Cristo
e di proclamare le meraviglie che il Signore ha operato per loro. A sua volta la Chiesa,
assumendo i valori delle diverse culture, diviene la sposa che si adorna dei suoi gioielli (Is
61,10) (n. 61). L’inculturazione del messaggio evangelico in Africa ingloba tutti gli ambiti della
Chiesa (n. 62: teologia, liturgia, vita e struttura della Chiesa); essa non è solo rivolta al
passato, ma tiene conto dell’evoluzione costante delle culture e si mette in dialogo con il
presente, per «applicare il Vangelo alla vita concreta» (n. 51, cfr. n. 62). In continuità con i
criteri cristologico e pneumatologico, un ulteriore duplice criterio ecclesiologico permette di
scongiurare il pericolo del sincretismo: la compatibilità con il messaggio cristiano e la
comunione con la Chiesa universale (n. 62). Dato che tutto si fa nel dialogo e ha come scopo
l’uomo da salvare, non si può ovviamente fare a meno del criterio antropologico.
Considerando proprio la “povertà antropologica” in cui versa l’Africa nell’odierno mondo
globale, l’evangelizzazione e la catechesi non possono che mirare allo sviluppo umano
integrale (cfr. nn. 68-70), se intendono veramente essere fedeli al Dio di Gesù Cristo e
raggiungere l’uomo africano nella sua situazione culturale ed esistenziale concreta. I quattro
criteri individuati (cristologico, pneumatologico, ecclesiologico e antropologico) indicano la via
da seguire per inculturare il messaggio evangelico e renderlo intelligibile al destinatario.
3. Aree portanti dove intercorre il rapporto tra catechesi e cultura in Africa
Dopo aver cercato di cogliere la natura e di evidenziare i principi del rapporto tra catechesi e
cultura in Africa, vogliamo adesso considerarne le prospettive attuali e future, tramite tre aree
operative portanti, quali la Chiesa Famiglia di Dio, il catechista e il suo messaggio, sempre
all’insegna del processo catechistico dell’inculturazione.
3.1. La Chiesa Famiglia di Dio, luogo per eccellenza della catechesi in Africa
«Non solo il sinodo ha parlato dell’inculturazione, ma l’ha anche concretamente applicata,
assumendo come idea-guida per l’evangelizzazione dell’Africa quella di Chiesa come
famiglia di Dio» (n. 63). In continuità con la concezione socio-antropologica tradizionale e
iscritta nella linea conciliare, quest’opzione dei Padri sinodali ripresa dal Papa
nell’Esortazione Ecclesia in Africa è doppiamente pertinente: come luogo, soggetto e oggetto
per eccellenza della catechesi in Africa (cfr. n. 80), l’immagine della Chiesa-Famiglia
soddisfa contemporaneamente alle esigenze dell’inculturazione locale e della comunione
universale. Essa sembra pure prevalere nei confronti degli altri principali modelli
ecclesiologici elaborati sul continente africano, quali comunione, comunità “iniziatica”, unione
“vitale” e fraternità.
Si deve ricordare che, in alcuni passi significativi, al modello di Chiesa-famiglia viene
affiancato e in qualche modo subordinato quello di Chiesa-fraternità. Ad esempio, nel
messaggio finale del Sinodo africano si legge: «Tutto il nostro essere non è che un grido di
gioia e di riconoscenza in Dio vivo per il grande dono del sinodo: al Padre di cui siamo la
famiglia, al Figlio di cui siamo la fraternità vittoriosa sull’odio fratricida, allo Spirito d’amore
che ci forgia a immagine della Santa Trinità». L’immagine della Chiesa come fraternità che
ha chiare radici bibliche e patristiche trova anche riscontro nella cultura africana, dove è
esaltata la fraternità come partecipazione a uno stesso sangue. La fraternità crea ed esprime
quindi efficacemente i legami tra i membri della Chiesa come appartenenti a una stessa
famiglia di Dio redenta dal sangue di Cristo, e proprio ciò offre lo spunto per l’inculturazione
del Vangelo in Africa. L’immagine correlativa della Chiesa-famiglia è stata definita come
segue dal Sinodo africano:
«La chiesa-famiglia è quella di cui il Padre ha preso l’iniziativa creando Adamo, quella che
Cristo, novello Adamo ed erede delle nazioni, ha fondato donando il suo corpo e il suo
sangue, e quella che manifesta davanti al mondo lo Spirito che il Figlio ha rimesso al Padre
affinché sia la comunione fra tutti. Gesù Cristo, Figlio unico e amato, è venuto per salvare
ogni popolo e, al suo interno, ogni uomo. È venuto a raggiungere ognuno sul cammino
culturale dove l’hanno lasciato i suoi avi. Cammina con lui per spiegargli le sue tradizioni e
costumi e rivelargli che sono sue prefigurazioni lontane ma sicure, di lui, nuovo Adamo, il
primogenito della moltitudine dei fratelli che noi siamo».
La famiglia è il luogo dell’attenzione ad ognuno, della solidarietà spontanea, dell’ascolto e di
uno stile di autorità rispettoso e umanizzante. Essa sembra dunque qualificata per indicare la
Chiesa. La Chiesa è appunto famiglia perché raduna tutti i figli nel Figlio unico, in una
comunità di amore reciproco. In essa, i rapporti di spontaneità, di dialogo, di fiducia e di aiuto
reciproco si fondano sulla comune filiazione procurata dal battesimo. L’autorità deve essere
ministeriale, cioè esercitata in modo familiare come «servizio nell’amore». Per di più, la
famiglia dei cristiani è protesa tra la famiglia umana voluta da Dio nell’atto creatore e la
Famiglia trinitaria. Occorre notare che i Padri sinodali hanno individuato il campo propizio
dell’applicazione della Chiesa-famiglia nelle parrocchie, nelle comunità ecclesiali di base e
nelle famiglie cristiane che diventano «un luogo privilegiato di testimonianza evangelica»,
una vera «chiesa domestica». Nelle piccole comunità che sono a misura d’uomo, si impara
«a vivere concretamente e autenticamente l’esperienza della fratellanza. In esse regnano la
gratuità, la solidarietà, un destino comune; ognuno vi è motivato a costruire la famiglia di Dio,
famiglia interamente aperta al mondo e che non esclude assolutamente nessuno. Comunità
simili saranno il mezzo migliore per lottare contro l’etnocentrismo all’interno della chiesa
stessa e, più ampiamente, nelle nostre nazioni. Queste chiese-famiglie hanno il dovere di
operare per trasformare la città».
Le (piccole) comunità ecclesiali di base, intese come livello elementare – o meglio cellule di
Chiesa – portano con sé l’immagine di una Chiesa che cresce “dal basso”. Queste comunità
permettono di fare l’esperienza della Chiesa-famiglia, che realizza concretamente in esse il
suo mistero e la sua missione. In effetti, tali comunità permettono di sperimentare una reale
corresponsabilità e di occuparsi dei bisogni concreti delle persone, esaltando peraltro la
struttura carismatica della Chiesa con l’esercizio dei vari ministeri. Il loro inserimento nella
realtà socio-culturale di un quartiere o di un villaggio, rende più facile un’esperienza di fede
vissuta al quotidiano nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio: così la Chiesa non
appare più una realtà estranea alla vita, perché i cristiani vivono e celebrano insieme,
diventando agenti d’inculturazione e di liberazione secondo le necessità. Ben inserite nella
struttura parrocchiale, le comunità ecclesiali di base possono perciò essere il luogo dove si
vive la forza liberatrice del Vangelo come ispirazione dell’agire personale e comunitario,
nonostante i loro limiti di fatto (per es. ripiegamento su di sé e trascuratezza della missione,
dipendenza dal prete troppo pronunciata, abuso di autorità, ecc.).
3.2. Il profilo del catechista, ministro della Chiesa-Famiglia in Africa
Radicata nella cultura locale e ancorata alla vita del popolo, la Chiesa in Africa si presenta
come famiglia di figli di Dio e quindi di fratelli che condividono la stessa fede, animati dalla
stessa speranza nel vincolo della carità. Come si è detto prima, la Chiesa è non solo luogo
ma anche soggetto dell’evangelizzazione e della catechesi. Essa si presenta oggettivamente
come una famiglia che raduna i propri figli e li conduce a Dio. Specificamente, nel compito
ecclesiale di trasmissione e di approfondimento della fede, il catechista ha un ruolo di primo
piano, come lo riconosce giustamente l’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa.
Nelle comunità ecclesiali locali, infatti, la figura del catechista è diventata centrale, in virtù del
suo contributo determinante alla fondazione e all’espansione della Chiesa in Africa: accanto
al missionario, è stato proprio tale figura pastorale a svolgere la parte maggiore
nell’evangelizzazione (cfr. nn. 38, 56, 91), assicurando spesso non solo l’insegnamento
religioso, ma anche l’animazione della comunità, l’amministrazione del battesimo, la
distribuzione dell’eucaristia, la preparazione agli altri sacramenti e la guida nelle celebrazioni
domenicali. Ora non poche volte, il catechista partecipa giuridicamente pure alla cura
pastorale della parrocchia, in cooperazione con e sotto la responsabilità di un sacerdote. Si
è, a ragione, auspicato che lo statuto del catechista ottenga un riconoscimento ufficiale di
ministero specifico nella Chiesa (n. 91).
Se la Chiesa-Famiglia è “madre della fede”, bisogna dire ugualmente che il catechista è,
all’esempio del vescovo e/o del prete, anch’egli “padre della fede”. Vista l’importanza della
sua missione, il catechista nella prospettiva della Chiesa-Famiglia sarà innanzitutto un uomo
di fede che si nutre costantemente della parola di Dio e dei sacramenti. Non si preoccuperà
tanto di trasmettere delle teorie, quanto di introdurre nel mistero di Cristo con la
testimonianza della propria vita. Affinché il suo messaggio sia intelligibile e significativo per i
destinatari, egli sarà poi un agente dell’inculturazione. Questo richiede da una parte una
conoscenza riflessa della cultura attraverso il filtro del Vangelo, e d’altra parte, una sintesi
vitale tra Vangelo e cultura esente da ogni riduzionismo e sincretismo. Il catechista sarà
infine un uomo aperto ai problemi e alle sfide del suo tempo, per non trasmettere un
messaggio sconnesso con la realtà. A nostro parere, queste semplici tratti del profilo del
catechista possono orientare il suo habitus e la sua formazione, conformemente all’input
dato dall’Esortazione Ecclesia in Africa.
3.3. Catechesi e missione della Chiesa: il compito che rimane
Secondo le istanze dell’Esortazione Ecclesia in Africa, inculturazione e liberazione appaiono i
due elementi fondamentali della coscienza che la Chiesa africana ha della sua missione
oggi. La sfida culturale si pone nel contesto attuale che vede la Chiesa alle prese con
l’oppressione politica, la violazione dei diritti umani, la guerra, la povertà economica,
l’analfabetismo, il flagello dell’AIDS con i problemi socio-culturali connessi (cfr. nn.
107.112.115-121). In questa situazione precaria, la Chiesa risponde alla chiamata di Cristo,
annunciando il suo Vangelo di sicura salvezza e di vita vera, per la liberazione integrale
dell’uomo africano. La catechesi vi scorge quindi un’inderogabile urgenza dell’incarnazione
del messaggio evangelico nella cultura e nel contesto, affinché la salvezza apportata da
Cristo operi dal di dentro, come lievito nella pasta. Si tratta, come dice l’Esortazione Ecclesia
in Africa, di «portare Cristo al cuore stesso della vita africana e di elevare la vita africana
tutta intera fino a Cristo. Così, non soltanto il cristianesimo si rivela all’Africa, ma Cristo
stesso, nelle membra del suo corpo, è africano». Detto questo, non ci rimane che di
suggerire alcuni spunti per assolvere il compito di una catechesi inculturata.
1) Per contribuire alla ricezione e all’applicazione delle proposte del Sinodo africano nel
campo catechetico, occorre elaborare catechismi, direttori e sussidi catechistici che non solo
favoriscano l’assimilazione dei contenuti da parte dei destinatari, ma anche diano
orientamenti didattici precisi ai catechisti. Un tale impegno riguardante l’inculturazione della
fede compete in primis alle Conferenze episcopali (cfr. n. 64), pur coinvolgendo tutti, nello
spirito della «solidarietà pastorale organica» (nn. 5.16.65.72.131-135).
2) I contenuti dottrinali dei sussidi catechistici di cui sopra possono integrare a mo’ di
illustrazione e di approfondimento alcuni dati validi e filtrati della concezione socioantropologica e della religione tradizionale africana per quanto riguarda la presentazione del
mistero di Dio, la dottrina sulla creazione, la catechesi sacramentale, i novissimi e il culto dei
santi, nonché la vita in Cristo del cristiano. Qui si può fare tesoro dei lavori già fatti in teologia
e nelle scienze umane.
3) Giacché la fedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo si richiamano a vicenda, la catechesi che è
sotto la legge della storia dialogherà con il contesto e la cultura dell’Africa contemporanea.
Così, memore di ciò che il Signore ha fatto nel passato, il messaggio sarà significativo e
interpellerà il destinatario all’impegno nel presente dentro e fuori della Chiesa, sempre
nell’orizzonte del Regno che viene.
4) La catechesi in Africa curerà anche la dimensione ecumenica (nn. 49.65.137) e
missionaria (nn. 128-130), stimolando il dialogo e la collaborazione con gli altri per
l’edificazione del Regno di Dio e della civiltà dell’amore. In specie, come da “Chiesa di
missione”, l’Africa sta diventando una “Chiesa missionaria” (nn. 8.29.50.129-130), essa non
può non condividere i suoi doni spirituali e inviare i missionari in altri continenti, per
contribuire alla cattolicità della Chiesa. Questo senso deve rimanere vivo nei destinatari della
catechesi, perché anch’essi sono portatori della missione della Chiesa.
4. Conclusione
A mo’ di conclusione, ribadiamo che, nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa, la
catechesi può essere definita genericamente come l’approfondimento dell’evangelizzazione,
mediante l’inculturazione. La pertinenza della scelta metodologica dell’inculturazione
permette alla catechesi di essere insieme fedele a Dio e all’uomo, proprio perché il
dinamismo dell’annuncio di Dio richiede l’incarnazione del messaggio nella cultura e nella
storia del destinatario. In Africa, per di più, la catechesi contribuisce al ricupero, alla
purificazione e alla rivalutazione della cultura che, a lungo sospettata di paganesimo e di
feticismo, ora diventa un attributo della cattolicità della Chiesa intera. L’immagine di «ChiesaFamiglia» (di Dio), che si dispiega nella prospettiva della «solidarietà pastorale organica», è
la cornice della catechesi per il cui tramite gli africani accolgono il messaggio della salvezza
senza tradire la loro identità e la loro cultura. Trovando riscontro nel patrimonio comune a
tutti gli africani, la Chiesa-Famiglia nel suo essere e nel suo agire può favorire l’ecumenismo
fra i cristiani e il dialogo con gli altri credenti ed abitanti del continente, nonché arricchire
l’intelligibilità del mistero della Chiesa in quanto tale. Così in questo terzo millennio si può
auspicare che, mediante lo Spirito santo, l’unione vitale scaturita dal sangue di Cristo raduni
in una sola famiglia del Padre tutti i fratelli creati a immagine di Dio.
* Aimable MUSONI: Docente Aggiunto di teologia dogmatica, Università Pontificia Salesiana,
Roma