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8 salvatore scuto la difesa dell`indifendibile, la strategia del
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Anno 2015
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SALVATORE SCUTO
LA DIFESA DELL’INDIFENDIBILE, LA STRATEGIA
DEL PROCESSO POLITICO. LA FIGURA DI JACQUES VERGÈS
‘‘La distinzione fondamentale che determina lo stile del processo penale `
e l’atteggiamento dell’accusato di fronte all’ordine pubblico. Se lo accetta il processo `
e possibile e costituisce un dialogo tra l’accusato che spiega il proprio comportamento ed
il giudice, i cui valori vengono rispettati.
Se invece lo rifiuta, l’apparato giudiziario si disintegra: siamo allora al processo
di rottura.’’
Cosı̀ scriveva, nel 1968, Jacques M. Vergès introducendo la sua opera più
famosa: ‘‘Strategia del processo politico’’.
Personaggio controverso, dalla vita avventurosa, Vergès ha rappresentato,
meglio di ogni altro, per tutto il secolo breve, la figura dell’avvocato difensore
che svolge la sua funzione ispirandosi ad una ferrea dottrina dreyfusarda classica, espressione del più ferreo garantismo e dell’avversione contro l’ingiustizia.
Sul campo del processo si guadagnò l’appellativo - da lui mai amato - di avvocato del terrore, sintesi efficace per rappresentare al grande pubblico la figura
di un difensore che ripetutamente si confrontò con la difficoltà di rappresentare e tutelare il male incarnato: da Klaus Barbie, criminale nazista, a Carlos the
Jackal, terrorista comunista e poi islamista radicale.
Controverso, ed avvolto nel mistero, fu il suo rapporto con il dittatore Pol
Pot e con il regime comunista cambogiano, mentre l’inizio della sua lunga carriera coincise con il successo nella difesa dei militanti del Fronte di liberazione
nazionale algerino, in particolare di Djamila Bouhired che diventerà sua moglie.
Quasi una vocazione naturale, quella dell’avvocato Vergès, francese di origine meticce (la madre era vietnamita ed il padre francese), che scontò sulla propria pelle le contraddizioni di chi si sentiva francese ed al contempo era profondamente anticolonialista, proprio in un contesto assai critico come fu quello della fine del colonialismo francese.
Contesto che fece da sfondo e da primo motore per la rivendicazione del diritto politico alla ribellione ed al rifiuto delle regole del processo e del linguaggio che esso utilizza per cercare una condanna già stabilita.
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Vergès, cosı̀, divenne l’emblema dell’avvocato impegnato, che non esita a
sposare le ragioni di una parte politica, sul presupposto che sia impossibile la
neutralita` tecnica per il difensore, finendo per schierarsi in tal modo con coloro
che volevano riportare la Francia ad essere - sul solco della Rivoluzione Francese - campione dei diritti di tutti.
Vergès è morto il 15 agosto 2013, immediatamente dopo aver rilasciato una
lunga intervista-testamento al Corriere della Sera.
La sua morte è stata l’occasione per la Camera Penale di Milano per promuovere una riflessione sulla figura dell’avvocato francese; una riflessione che
non traesse solo spunto dalla sua complessa esperienza di vita e dal suo magistero di avvocato ma si aprisse verso l’orizzonte più ampio costituito dall’individuazione dei vincoli e dei limiti dell’avvocato difensore, del confine che deve
delimitare il rapporto tra l’avvocato e le persone imputate di atti di terrorismo
o di crimini contro l’umanità da lui difese.
Il 17 giugno 2015, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia si è cosı̀ tenuto il convegno ‘‘La difesa dell’indifendibile, la strategia del processo politico.
Riflessioni sul processo penale e sul ruolo dell’avvocato a partire dal ricordo e dall’opera di Jacques Verge`s’’.
Partendo dall’esperienza limite di Vergès si sono confrontati Marcello Flores,
professore di storia dei diritti umani presso l’Università di Siena, che ha svolto
una relazione introduttiva sulla figura dell’avvocato francese e sul contesto storico entro cui si è sviluppata l’azione di questi; Remo Danovi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano e massimo esperto di deontologia forense,
che ha fornito una interessante lettura dell’ideologia che ha caratterizzato l’azione difensiva di Vergès alla luce dei principi dell’etica e della deontologia forense. Giuliano Spazzali, avvocato noto anche per il suo impegno nella difesa
dei processi politici degli anni ‘70 ed ‘80, e Armando Spadaro, procuratore capo a Torino e protagonista delle inchieste sul fenomeno dell’eversione politica
di quegli anni e dei processi che ne seguirono, si sono confrontati - tornando
ad incrociare le armi - sul concetto di processo politico, sulla liberta` come cifra
ineludibile che caratterizza la funzione difensiva, sulla fiducia che si deve riporre sulla Giustizia.
Confronti serrati, dai quali è emerso come gli stessi principi dell’etica e della
deontologia forensi devono necessariamente acconciarsi rispetto alla specifica
tipologia difensiva, come sia specifica l’ambiguità che caratterizza la posizione
dell’avvocato, diviso com’è tra l’interesse del suo assistito e la dimensione politico-giudiziaria di cui fa parte.
La lealtà dell’avvocato è una lealtà divisa, vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole.
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Egli però non può avere dubbi: il suo posto non può che essere accanto al
cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia.
L’esperienza limite di Vergès ci insegna - con maggiore evidenza in questo
momento storico in cui la minaccia del terrorismo si è fatta più attuale - come
il più sicuro attestato di democrazia e libertà dell’ordinamento statale lo si trae
proprio dalla misura in cui questo consente agli imputati politici la conservazione della loro personalità, cosı̀ differenziandosi dagli ordinamenti autoritari
dove le posizioni ideologiche sgradite vanno svalutate con ogni mezzo.
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