Separazione consensuale (omologata) e revoca del consenso
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Separazione consensuale (omologata) e revoca del consenso
SEPARAZIONE CONSENSUALE E REVOCA DEL CONSENSO - Gianni Ballarani UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE DIRITTO DELLA FAMIGLIA BIBLIOGRAFIA A. FALZEA, La separazione personale, Milano, 1943, passim.; A. D’ANTONIO, Irrevocabilità del consenso dei coniugi alla separazione, in Riv. dir. civ., 1959, II, p. 459 ss.; G. DORIA, “Negozio” di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso, in Dir. fam. pers., 1990, I, p. 500 ss., in nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989; E. GIACOBBE, Separazione consensuale e revoca del consenso, in Rass. dir. civ., 1991, II, p. 698 ss., in nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989; M. SALA, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1032 ss.; G. CALIENDO, Sulla revocabilità unilaterale del consenso alla separazione consensuale, in Fam. dir., 1996, 4, p. 335 ss., in nota a App. Napoli, 29 gennaio 1996 e Trib. S. Maria Capua Vetere, 3 ottobre 1995; A. MORACE PINELLI, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano, 2001, p. 129 ss., spec. p. 161 ss.; C.M. BIANCA, La famiglia, Milano, 2005, p. 191 ss., spec. p. 248 ss.; G. OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, I e II parte rispettivamente in Fam. dir., 1999, p. 601 ss. e 2000, p. 86 ss. SOMMARIO: 1. La separazione in generale. – 2. La separazione consensuale: art. 158 c.c. – 3. L’accordo di separazione consensuale. – 4. Il procedimento di separazione consensuale. – 5. La natura dell’atto di separazione consensuale. – 6. Il problema della fonte della separazione consensuale. – 7. La revoca del consenso (Rinvio alle note a sentenza). 1. La separazione in generale. La separazione è un provvedimento temporaneo, provvisorio, che trova fondamento nella intollerabile prosecuzione della convivenza o nel grave pregiudizio che tale convivenza può arrecare alla educazione dei figli; la provvisorietà di detta situazione è determinata dal fatto che essa può portare, tanto alla riconciliazione tra i coniugi, quanto al divorzio (cessazione degli effetti civili del matrimonio). La separazione incide sia sui rapporti personali tra i coniugi, sia su quelli patrimoniali: si sospendono i diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, salvo quelli verso i figli e quelli di mantenimento e quelli di rispetto reciproco (ad esempio: nella discussione in ordine all’obbligo di fedeltà, dottrina e giurisprudenza sono giunti ad affermare in modo adesso condiviso che esso si sospende, purché il comportamento del coniuge separato non sia ingiurioso per l’altro coniuge); si scioglie la comunione dei beni e si passa ad un regime temporaneo di separazione: si dividono i beni in parte eguale. 1 La causa della separazione, sia essa giudiziale o consensuale, si rinviene nell’autonomia dei coniugi di sospendere l’attuazione del loro rapporto coniugale, in quanto possibile. Con il passaggio dalle norme codicistiche del 1942 alla riforma del 1975, l’istituto cambia fisionomia, caratteri e funzioni: 1942: la separazione era considerata alla stregua di una sanzione legata alla colpa del coniuge per la violazione dei doveri coniugali. La colpa, inoltre, differiva tra marito e moglie in ordine alla violazione dell’obbligo di fedeltà. (cfr. art. 150 c.c. 1865). 1975: la separazione viene vista come rimedio alla intollerabilità della convivenza. (Cass. 17 luglio 1997 n. 6566, in Fam. dir., 1998, p. 82 ss.: In tema di separazione personale dei coniugi la riforma del 1975 ha profondamente innovato la previgente disciplina, eliminando la concezione della “sanzione” basata sulla “colpa”, ed introducendo il concetto del “rimedio” ad una situazione di intollerabilità della convivenza, o di grave pregiudizio all’educazione della prole, anche indipendente dalla volontà dei coniugi. Conseguentemente, l’art. 151 c.c. costruisce un modello unitario di separazione, fondato sull’accertamento di presupposti oggettivi, rappresentati dalla sussistenza di fatti tali da integrare la suddetta situazione, rispetto al quale l’addebitabilità ad uno o ad entrambi i coniugi si pone come dichiarazione eventuale, da pronunciare nel contesto della separazione, ove ne ricorrano le circostanze. Una volta accertati i presupposti oggettivi per la pronuncia della separazione, e cessata di fatto la convivenza, non possono logicamente più assumere rilievo i comportamenti successivi del coniuge separato, anche se, in ipotesi, idonei a giustificare una dichiarazione di addebitabilità, posto che l’addebito trova la sua collocazione esclusivamente nel quadro della separazione, come responsabilità causativa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, e non ha quindi ragion d’essere allorché la convivenza è cessata. Tale necessario collegamento tra convivenza ed addebitabilità della separazione, rende inammissibile la richiesta di addebitabilità anche successivamente ad una separazione consensuale). Con la riforma del 1975 si introduce il terzo comma dell’art. 150 c.c. art. 150 c.c.: 1. È ammessa la separazione personale dei coniugi. 2. La separazione può essere giudiziale o consensuale. 3. Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi (prima il diritto di chiedere la separazione spettava solo al coniuge non colpevole). La regola di cui al terzo comma vuol significare che i coniugi che agiscono per la separazione lo fanno in funzione di un interesse proprio e non in vista di un interesse superiore della famiglia. 2 L’interesse ad agire è proprio di ciascuno dei coniugi ed il motivo per cui si chiede la separazione è indifferente ai fini della legittimazione ad agire in giudizio per ottenere la separazione medesima. Art. 151 c.c.: Separazione giudiziale: La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole (cfr., ancora, Cass. 17 luglio 1997 n. 6566, cit.). I fatti di cui all’art. 151 sono intesi in senso tecnico. L’intollerabile prosecuzione della convivenza si presta ad essere valutata tanto in chiave oggettiva, quanto soggettiva: in senso oggettivo, rilevano le circostanze per cui l’uomo medio possa reputare intollerabile la prosecuzione della convivenza; in senso soggettivo (tesi che è prevalsa) si lascia alla interpretazione del singolo la valutazione in ordine alla intollerabilità. Come dianzi riferito, a seguito della riforma del ‘75 non esistono più le cause tassative di colpa che legittimano la domanda di separazione e si passa dal criterio della colpa a quello dell’addebito. Il codice del 1865, all’art. 149 disponeva che: Il diritto di chiedere la separazione spetta ai coniugi nei soli casi previsti dalla legge; ai sensi, infatti, dell’art. 150 (c.c. 1865): La separazione può essere domandata per causa di adulterio o di volontario abbandono, e per causa di eccessi, sevizie, minacce e ingiurie gravi. Non è ammessa l’azione di separazione, per l’adulterio del marito, se non quando egli mantenga la concubina in casa o notoriamente in altro luogo, oppure quando concorrano circostanze tali che il fatto costituisca un’ingiuria grave alla moglie. 2. La separazione consensuale: art. 158 c.c. La separazione consensuale era vista con disfavore, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, sino alla riforma del 1975. Il potere di liberarsi dal vincolo di coniugio, infatti, si diceva potesse minare la famiglia come istituzione sociale, dato che essa rispondeva in primo luogo ad esigenze e ad interessi di natura pubblicistica, nel senso che lo Stato privilegiava l’interesse della “societàfamiglia”, piuttosto che gli interessi dei suoi componenti (cfr. Cass. 21 luglio 1971 n. 2374). In tal senso, l’omologazione del Tribunale suppliva ad una funzione di controllo pubblico forte da parte del sistema sull’attività e le condotte dei coniugi. Con la riforma del diritto di famiglia e con il 3 cambio di prospettiva a livello giurisprudenziale e dottrinale che la ha giustificata e che attraverso di essa si è determinata a livello normativo, la funzione del provvedimento di omologazione risponde esclusivamente alla verifica del rispetto degli interessi dei figli minori e dell’unità familiare. La riforma del 1975 modifica il I comma dell’art. 158: art. 158, c.c. 1865 e 1942 pre-riforma: la separazione pel solo consenso dei coniugi non può avere luogo senza l’omologazione del tribunale (l’omologazione era intesa come fonte esclusiva della separazione). art. 158 c.c. post-riforma: la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice. Il legislatore della riforma, con la modifica del I comma dell’art. 158 ha delineato gli elementi che danno luogo alla separazione consensuale aprendo il campo di indagine ai rapporti tra i due: 1. il consenso dei coniugi (ossia l’accordo); 2. l’omologazione del giudice. 3. L’accordo di separazione consensuale. L’accordo di separazione consensuale prevede: l’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole secondo i canoni dell’art. 156 c.c. (156, I comma, c.c.: il giudice, pronunciando la separazione (giudiziale), stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati mezzi propri. I parametri dell’adeguatezza sono: 1. stato di bisogno; 2. esistenza libera e dignitosa; 3. stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Nella separazione giudiziale, l’addebito di essa ad comporta nei confronti del coniuge cui è addebitata: 1. la perdita del diritto all’assegno di mantenimento (che tiene conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio), pertanto il coniuge avrà eventualmente diritto ai soli alimenti; 4 2. effetti successori ex art. 548: il coniuge “addebitato” ha diritto ad un assegno vitalizio solo se godeva degli alimenti al momento della successione. La quota per il mantenimento dei figli. Con riferimento al mantenimento del figlio maggiorenne, l’obbligo perdura fin quando i figli non si trovino nella concreta condizione di procurarsi un reddito proprio, idoneo al soddisfacimento dei loro bisogni e adeguato alla loro formazione e aspirazione. Il principio non vale, però, se i figli siano privi di lavoro per propria volontà o per colpa. (se rimangono inerti, se non si attivano nella ricerca di una occupazione, se rifiutano immotivatamente proposte) Cfr.: Cass. 4756/2002: Si devono escludere profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuta una sistemazione lavorativa non adeguata alla sua specifica preparazione, alle sue attitudini e ai suoi effettivi interessi. Quanto meno nei limiti di tempo in cui queste aspirazioni hanno la ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre che questo atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia Cass. 23676/2006: L’obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli perdura immutato finché il genitore interessato alla cessazione dell’obbligo non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e postuniversitario del soggetto, e alla situazione attuale del mercato del lavoro. Le regole sull’affidamento, ad oggi comprensive delle le modalità con cui si attueranno i rapporti personali tra coniuge non affidatario e figli (diritto di visita, tempi, vacanze, ecc.); Con l’entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, la regola è l’affidamento condiviso dei figli, così come oggi dispone l’art. 155 c.c. Prima dell’intervento normativo sull’affidamento condiviso (l. 8 febbraio 2006 n. 54), nei casi di separazione e divorzio, nonché nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, si assisteva ad una scissione della titolarità dall’esercizio della potestà: la prima rimaneva in 5 capo ad entrambi i genitori, là dove il secondo era esclusivo dell’affidatario, residuando all’altro un dovere di controllo sull’operato dell’affidatario, di concorso per le decisioni di maggior rilievo e la responsabilità per l’educazione e l’istruzione (nonché una legittimazione attiva a livello giudiziale avverso le decisioni dell’altro potenzialmente pregiudizievoli), salvo i casi di decadenza dalla potestà (art. 330 c.c.) ovvero di condotta pregiudizievole ai figli (art. 333 c.c.). L’esercizio congiunto o alternato della potestà era previsto come rimedio residuale dall’art. 6, II comma, della legge sul divorzio (e trovava così applicazione anche nelle separazioni, data la permeabilità della disciplina del divorzio e della separazione, e nelle cessazioni delle convivenze, grazie al ricorso all’analogia per casi simili e materie analoghe). Con la citata legge sull’affidamento condiviso i canoni si invertono e ciò che era eccezione diviene regola. L’intento normativo perseguito dal legislatore dell’affidamento condiviso di elevare quest’ultimo a regola generale nella disciplina delle sospensioni e delle cessazioni delle convivenze, coniugali e non, relegando il paradigma dell’affidamento esclusivo ad ipotesi residuale, muove da una duplice considerazione, largamente condivisa tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. La riconosciuta necessità di impedire (per quanto possibile) che la crisi del rapporto della coppia genitoriale, già di per sé fatto traumatico per la psiche di un minore, possa sortire, per effetto di legge, conseguenze negative - dirette o riflesse - su di esso in ragione della correlata esigenza di tutela forte degli interessi del minore ad un sano sviluppo psico-fisico, si fonde, infatti, con quello che viene definito da più parti diritto del minore alla bigenitorialità, andandosi a porre in chiave di premessa maggiore dell’intera costruzione normativa. Il principio secondo il quale è diritto dei figli ricevere cure, istruzione, educazione da entrambe le figure genitoriali (e quindi di avere, non solo il rapporto con entrambi, bensì l’apporto di entrambi) anche nelle fasi patologiche delle convivenze, definito, appunto, diritto alla bigenitorialità (cfr., per tutti, ROSSI CARLEO, La separazione e il divorzio, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, t. I, Torino, 1999, p. 238 ss.; ZATTI, Introduzione, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, t. I, Relazioni familiari, Matrimonio, Famiglia di fatto, Milano, 2002, p. 42 ss.), trova riscontro normativo all’art. 24 della cd. Carta di Nizza (Carta europea dei diritti fondamentali, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000), a norma del quale: “Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”, ed è accolto anche dalla più recente giurisprudenza: v., ex multis, Trib. Catania 1° giungo 2006. 6 L’esercizio esclusivo della potestà, che comporta, appunto, l’esclusiva rappresentanza legale e capacità decisionale per le questioni di ordinaria amministrazione, è dunque adesso consentito per i casi di impossibilità di uno dei genitori dovuti a lontananza, incapacità o altro impedimento (art. 317, I comma, c.c.), ovvero qualora si ritenga giudizialmente che l’esercizio condiviso possa recare pregiudizio alla prole (vd. artt. 330 e 333 c.c.). L’assegnazione della casa familiare al coniuge “maggiormente” affidatario, dato che in detto luogo si forma la personalità del minore. 4. Il procedimento di separazione consensuale. La separazione consensuale acquista efficacia con l’omologazione del Tribunale. L’omologazione è provvedimento di volontaria giurisdizione (al di fuori di un giudizio) che rientra nella categoria degli atti autorizzativi. Omologazione: condizione legale necessaria alla efficacia dell’atto. Anteriormente all’omologazione, l’accordo non produce alcun effetto, nemmeno in ordine all’impegno delle parti, che sono quindi libere di ritirare il consenso già prestato. Competente alla omologazione è il medesimo Tribunale competente per la separazione. L’omologazione si richiede mediante ricorso di uno o di entrambi i coniugi. Ricorso di un coniuge: competente è il Trib. del luogo ove l’altro coniuge ha la residenza o il domicilio, in applicazione analogica della norma sulla separazione giudiziale (art. 706, I comma, c.p.c.) Ricorso di entrambi i coniugi: Trib. competente è quello dove l’uno o l’altro siano residenti o domiciliati. La proposizione del ricorso importa l’obbligo del Presidente del Trib. di tentare la conciliazione. A tal fine il Presidente fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi innanzi ad esso. Se il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, il Presidente fissa il giorno entro il quale deve essere notificato il decreto all’altro coniuge. In caso di mancata comparizione di uno o di entrambi i ricorrenti, la domanda non ha più effetto. Se è assente il coniuge che non ha presentato il ricorso, viene fissata una nuova comparizione (art. 707, III comma, c.p.c.) Dalla data di comparizione dei coniugi innanzi il Presidente del Tribunale per il tentativo di conciliazione si computano i termini di durata minima della separazione (tre anni) per poter 7 chiedere il divorzio. Il triennio deve maturare anteriormente alla instaurazione del giudizio di divorzio. Il termine decorre ugualmente anche se non si presenta il coniuge cui sia stato notificato il decreto di comparizione. Se il tentativo di conciliazione non ha esito positivo, il Presidente fa verbalizzare la persistente volontà dei coniugi di separarsi e le condizioni eventualmente concordate circa l’obbligo di mantenimento e l’affidamento. A seguito della relazione fatta dal Presidente, il Trib. procede all’omologazione mediante decreto emesso in Camera di consiglio e quindi senza le forme del processo ordinario e senza l’intervento del p.m. Il Tribunale non ha facoltà di sindacare nel merito la decisione dei coniugi. Accertata la loro volontà di separarsi e l’avvenuto tentativo di conciliazione, l’omologazione non può essere rifiutata. La possibilità del rifiuto è prevista quando l’accordo non salvaguardi la posizione dei figli (accordi che negano o limitano pesantemente il rapporto personale con un genitore, o anche – secondo la legge sull’affidamento condiviso – con i parenti). Il Tribunale deve esaminare le condizioni riguardanti l’affidamento ed il mantenimento dei figli e, se le reputa non sufficientemente conformi al loro interesse, convoca le parti indicando le modifiche da apportare al loro accordo. Se i coniugi insistono nell’adottare le condizioni pregiudizievoli per la prole, il Tribunale deve rifiutare l’omologazione. Art. 155 sexies, (inserito dalla l. n. 54 del 2006): prima dell’emanazione dei provvedimenti, anche in via provvisoria, di cui all’art. 155, il giudice può assumere mezzi di prova, ad istanza di parte o che d’ufficio. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio dodicenne o anche di età inferiore, ove capace di discernimento. La separazione si estingue automaticamente per: espressa volontà dei coniugi (dichiarazione di riconciliazione, da presentare al Tribunale). quando tengono un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione, ai sensi dell’art. 157, I comma, c.c. (convivenza, intesa come ripristino della comunione materiale e spirituale; cfr. Cass. 26.11.1996 n. 10465, in Giust. civ., 1997, p. 4056 ss.: ricostituzione del nucleo familiare nell’insieme dei sui rapporti materiali e spirituali, animata dal proposito di dare nuovo impulso al vincolo coniugale, ponendo fine agli effetti della separazione. 8 Avvenuta la riconciliazione, la separazione può essere chiesta solo sulla base di fatti successivi che abbiano nuovamente reso intollerabile la prosecuzione della convivenza (art. 157, II comma, c.c.). 5. La natura dell’atto di separazione consensuale. L’accordo di separazione consensuale rientra nella categoria dei negozi giuridici, ossia di quegli atti giuridici che sono espressione della volontà di uno o più soggetti, i quali attraverso di essi operano manifestazione di detta volontà autodeterminando gli interessi che intendono perseguire e le modalità con cui intendono perseguirli, entro i limiti posti dall’ordinamento giuridico (meritevolezza giuridico-sociale degli interessi, ex art. 1322, II comma; non contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, ex art. 1343). In tal senso, infatti, si qualificano i negozi giuridici per la cosiddetta “disponibilità degli effetti”, segnando ciò il confine rispetto ai c.d. atti giuridici in senso stretto (come ad esempio l’atto di costituzione in mora del debitore), in cui la manifestazione di volontà è limitata alla scelta dell’atto (predisposto dall’ordinamento) per il perseguimento dell’effetto che la giustifica; effetto che, però, è predeterminato dalla legge. Come negozio, l’accordo di separazione non è qualificabile in termini di contratto (così come definito dall’art. 1321 c.c.: accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico di natura patrimoniale), in quanto: 1. non ha natura patrimoniale, ma personale (è infatti un accordo di due parti per regolare un rapporto giuridico personale; l’atto è qualificato “personale” in quanto incide in modo diretto sullo status dei coniugi; gli effetti patrimoniali – eventuali e riflessi – che da detto atto possono conseguire, non qualificano l’atto); 2. non regola interessi contrapposti, ma interessi univoci. In dottrina viene definito come negozio bilaterale di natura personale, rientrante nella categoria dei negozi familiari. Sulla natura negoziale dell’accordo di separazione cfr. Cass. 25 settembre 1978 n. 4277, in Foro it., 1979, I, c. 718 ss.; in senso conforme, v. Cass. 8 luglio 1998 n. 6664, in Foro it., 1998, I, c. 2368 ss.; contra, asserisce la natura contrattuale dell’accordo Cass. 27 ottobre 1972 n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, p. 221 ss.; nel medesimo senso Cass. 5 luglio 1984 n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 922 ss. In quanto negozio giuridico, all’atto della separazione sono applicabili i principii generali del negozio giuridico; in tal senso, la volontà deve essere attuale e sicura, quindi saranno irrilevanti le dichiarazioni sottoposte a termine o a condizione; si ritengono applicabili all’atto negoziale di separazione consensuale: 9 1. le norme sui vizii del consenso; 2. le norme sulla capacità: in particolare, se uno dei coniugi è interdetto, la separazione non può essere concordata dal tutore, in quanto atto personalissimo. Se la separazione è consentita all’interdetto direttamente, essa è annullabile secondo la regola generale; mentre quella stipulata dal tutore è radicalmente inefficace, esulando dal suo potere rappresentativo. 3. Le norme sulla simulazione (reputa revocabile l’omologazione in caso di atto consensuale simulato Trib. Bologna, 7 maggio 2000, in Giur. it., 2000, I, c. 66 ss.; in dottrina aderisce alla ammissibilità C.M. BIANCA, La famiglia, cit., p. 248, spec. nota 211: le parti che simulano intendono porre in essere una situazione di apparenza da utilizzare per i loro fini, e l’omologazione occorre per creare tale apparenza. Contra, Cass. 20 novembre 2003 n. 17607, in Fam. dir., 2004, p. 473 ss., nonché in Dir. fam. pers., 2005, I, p. 455 ss., con nota di F. DANOVI, È davvero irrilevante (e inattaccabile) la simulazione della separazione?. Secondo il S.C., l’accordo ha natura negoziale; possono applicarsi le norme del regime contrattuale, nella specie: vizi del consenso e capacità delle parti; è inammissibile l’impugnazione della separazione per simulazione quando i coniugi abbiano chiesto al Tribunale l’omologazione: in tal caso la volontà di conseguire lo status di separati è effettiva e non si simula. I fatti che legittimano i coniugi a chiedere la separazione, sia giudiziale, sia consensuale sono: 1. intollerabilità della convivenza; 2. grave pregiudizio per la prole. Il giudice che omologa la consensuale dovrà verificare la conformità della pattuizione agli interessi dei figli. L’atto di separazione è valido anche se non contiene disposizioni sui diritti patrimoniali e personali e circa i rapporti con i figli aventi diritto al mantenimento. I coniugi possono accordarsi successivamente. In mancanza di accordo, ciascuno dei due può chiedere al giudice (domanda con atto di citazione) di adottare i necessari provvedimenti integrativi della separazione consensuale. I coniugi possono chiedere al Trib. la modifica delle clausole dell’atto di separazione e dei provvedimenti giudiziali riguardo i diritti patrimoniali e la prole (art. 711, u.c., c.p.c.). In tal senso, gli accordi in sede di consensuale si configurano come convenzioni di diritto familiare su cui incidono le vicende sopravvenute che modificano le posizioni personali e patrimoniali delle 10 parti: cfr. Cass. 25 settembre 1978 n. 4277; sulla rivedibilità dell’assegno v., ex multis, Cass. 5 maggio 2001 n. 3149, in Fam. dir., 2001, p. 442 ss.) Gli accordi possono anche essere modificati dagli stessi coniugi (Cass. 11 giugno 1998 n. 5829: le modificazioni degli accordi successive all’omologazione ovvero alla pronunzia presidenziale (di cui all’art. 708 c.p.c., modificato dalla legge sull’affidamento condiviso che ha integrato l’art. in parola aggiungendo il IV comma: contro i provvedimenti di cui al III comma – ossia: se la conciliazione non riesce, il Presidente con ordinanza dispone provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione – si può proporre reclamo, entro 10 gg. dalla notificazione del provvedimento, con ricorso alla Corte d’appello che si pronunzia in Camera di consiglio), trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 c.p.c. (modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi), qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c. (diritti inderogabili: gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio) e, in particolare, quando non interferiscano con l’accordo omologato ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi tutelati. 6. Il problema della fonte della separazione consensuale. Il problema riguarda l’individuazione dell’atto dal quale derivava come effetto lo status di coniuge separato (accordo delle parti, ovvero omologazione del Tribunale) e quindi quale sia il momento determinante la separazione. In dottrina ed in giurisprudenza si contendono il campo le distinte posizioni di quanti: 1. ravvedono la fonte della separazione consensuale nel consenso dei coniugi (ossia nell’accordo); per tal via l’omologazione è vista come condicio iuris sospensiva degli effetti dell’accordo. In questi termini, l’omologazione è intesa come mera verifica da parte del giudice che l’accordo sia in linea con quello che prevede la legge e che non vi siano ostacoli a riconoscere gli effetti dell’accordo (in tal senso, in dottrina, v. FALZEA, CARNELUTTI, BIANCA, BARBIERA, MORACE PINELLI, opere cit.; in giurisprudenza cfr. Cass. 8 luglio 1998 n. 6664, in Foro it., 1998, I, c. 2368, spec. c. 2370 ove: il giudice è condizionato all’accordo dei coniugi). 11 Secondo detta impostazione, la tesi trova fondamento a livello normativo negli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., dai quali si evince come l’omologazione non sia una fase autonoma, né elemento costitutivo della separazione, dato che essa incide esclusivamente sull’effetto della separazione, non sulla causa di essa. Secondo l’autorevole opinione del FALZEA, inoltre, tra l’accordo e la omologazione non intercorre un legame funzionale (che è ravvisabile in uno stesso procedimento), bensì un nesso strutturale tra causa ed effetto di una medesima fattispecie. La tesi della dottrina sembra trovare particolare conferma nella lettera del I comma dell’art. 158 c.c., là dove la norma recita: La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione. L’omologazione condiziona, dunque, l’effetto, non la fattispecie. In tal senso, secondo l’opinione di FALZEA, l’omologazione può esser considerata come condicio iuris per il fatto che incide sull’effetto in senso sospensivo. Ad ulteriore conforto si pone anche il II comma del medesimo art. 158 c.c.: quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione. (art. dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 c.c.: C. Cost. 18 febbraio 1988 n. 186). Così, il giudice non partecipa alla regolamentazione della separazione consensuale ma certifica dall’esterno che quella separazione non leda degli interessi protetti dall’ordinamento. I compiti del giudice sono, infatti, limitati: Verifica che l’accordo non leda l’interesse dei figli. Richiama i coniugi per un accordo lesivo. Suggerisce le modifiche. Se i coniugi non si adeguano rifiuta l’omologazione. La fonte della separazione consensuale pare dunque individuabile nell’accordo tra i coniugi. 2. Individuano la fonte della separazione nella omologazione, alla quale attribuiscono natura costitutiva. In tale prospettiva, l’accordo tra i coniugi rappresenta un mero presupposto. (in tal senso, v. App. Venezia 11 giugno 1983, in Giur. it., 1984, I, 2, c. 666 ss. 12 3. Intendono la separazione consensuale come fattispecie complessa a formazione progressiva in cui si combinano l’accordo e l’omologazione; in tal senso, sino a quando non interviene l’omologazione non si ha separazione. Detta fattispecie consta di due elementi: 1. il consenso dei coniugi (l’accordo tra i coniugi); 2. l’omologazione del giudice. Sulla natura del provvedimento di omologazione, cfr. ex pluribus, Cass. 24 agosto 1990 n. 8712; in senso conforme v. Cass. 10 gennaio 1977 n. 69, in Giust. civ., 1977, I, p. 623 ss. ed in Foro it., 1977, I, c. 62 ss. 7. La revoca del consenso. Può accadere che nelle more tra la presentazione dell’accordo di separazione e il decreto di omologazione (tra i quali può passare un considerevole lasso temporale) i coniugi o uno di essi cambino idea, revocando il consenso. Anche in quest’ambito si contendono il campo distinte opinioni di dottrina e di giurisprudenza. A fronte, infatti, di chi, sostenendo che il consenso sia revocabile, asserisce che in caso di revoca del consenso l’accordo non sia omologabile dal Tribunale, altri, per converso, affermano la irrevocabilità del consenso e, dunque, la omologabilità dell’accordo. La irrevocabilità del consenso è sostenuta da: A. FALZEA, La separazione personale, cit., p. 116 ss. F. CARNELUTTI, Separazione per accordo tra i coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1936, II, p. 153 ss. E. GIACOBBE, Separazione consensuale e revoca del consenso, cit., p. 710 ss. L. BARBIERA, Separazione e divorzio: fattispecie, disciplina processuale, effetti patrimoniali, Bologna, 1997, p. 44 Ammette la revocabilità del consenso C.M. BIANCA, La famiglia, cit., p. 250 ss., il quale sostiene che la irrevocabilità implicherebbe la sua efficacia vincolante in contrasto col generale riconoscimento che, relativamente agli atti di disposizione del proprio corpo e del proprio stato, la persona deve essere libera di decidere fin quando non sia intervenuto il mutamento consentito. Secondo altra dottrina (RUBINO), “il consenso prestato nei negozi familiari è sempre revocabile prima che l’atto abbia prodotto i suoi effetti, in ragione del fatto che la parte deve essere lasciata 13 libera di valutare se l’atto che sta compiendo sia conforma agli interessi propri e della propria famiglia”. Per gli approfondimenti del caso si rimanda in particolare a E. GIACOBBE, Separazione consensuale e revoca del consenso, in Rass. dir. civ., 1991, II, p. 698 ss. 14 SEPARAZIONE DEI CONIUGI 1. Separazione come rimedio: Cass. 17 luglio 1997, n. 6566, in Fam. dir., 1998, p. 82 ss. Riforma del ’75 – non più sanzione per colpa, ma rimedio per intollerabilità della convivenza: quindi l’art. 151 c.c. costruisce un modello unitario di separazione fondato su accertamento di presupposti oggettivi – irrilevanza dei comportamenti successivi del coniuge separato – l’addebito trova la sua fonte nella convivenza In tema di separazione personale dei coniugi la riforma del 1975 ha profondamente innovato la previgente disciplina, eliminando la concezione della “sanzione” basata sulla “colpa”, ed introducendo il concetto del “rimedio” ad una situazione di intollerabilità della convivenza, o di grave pregiudizio all’educazione della prole, anche indipendente dalla volontà dei coniugi. Conseguentemente, l’art. 151 c.c. costruisce un modello unitario di separazione, fondato sull’accertamento di presupposti oggettivi, rappresentati dalla sussistenza di fatti tali da integrare la suddetta situazione, rispetto al quale l’addebitabilità ad uno o ad entrambi i coniugi si pone come dichiarazione eventuale, da pronunciare nel contesto della separazione, ove ne ricorrano le circostanze. Una volta accertati i presupposti oggettivi per la pronuncia della separazione, e cessata di fatto la convivenza, non possono logicamente più assumere rilievo i comportamenti successivi del coniuge separato, anche se, in ipotesi, idonei a giustificare una dichiarazione di addebitabilità, posto che l’addebito trova la sua collocazione esclusivamente nel quadro della separazione, come responsabilità causativa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, e non ha quindi ragion d’essere allorché la convivenza è cessata. Tale necessario collegamento tra convivenza ed addebitabilità della separazione, rende inammissibile la richiesta di addebitabilità anche successivamente ad una separazione consensuale. 2. Contenuto essenziale ed eventuale dell’accordo Cass. 15 maggio 1997, n. 4306, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 278 ss., con nota di ZANUZZI Accordo: contenuto essenziale ed eventuale (anche godimento e proprietà dei beni) L'accordo di separazione ha un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati - ed un contenuto eventuale, costituito dalle pattuizioni necessarie ed opportune, in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione familiare (affidamento dei figli; assegni di mantenimento; statuizioni economiche connesse). Nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione rientra, quindi, ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il tribunale - con l’omologazione - non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi. 15 3. Congruità dell’accordo e rifiuto di omologazione Cass. 13 febbraio 1985 n. 1208, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 118 ss.; in Giust. civ., 1985, I, p. 1655 ss.; ed in Dir. fam. pers., 1985, I, p. 510 ss. 1. - La congruità dell’accordo deve essere valutata dal giudice al momento della omologazione. Il giudice può rifiutare l’omologazione de ritiene la pattuizione non conforme all’interesse dei figli. Tutte le condizioni devono essere presentate al giudice. Quindi le clausole concordate prima e non presentate e quelle concordate dopo l’’omologazione non sono efficaci. In tema di separazione consensuale, la congruità degli accordi raggiunti tra i coniugi sulle condizioni della separazione agli interessi dei figli deve essere valutata dal giudice nel momento dell’omologazione; il giudice può rifiutare l’omologazione se ritiene non conforme all’interesse dei figli la pattuizione che riguarda il loro affidamento e mantenimento. Tale diritto-dovere ha un contenuto reale solo se tutte le condizioni vengono presentate al giudice; conseguentemente sono inefficaci sia le clausole concordate prima ma non presentate all’omologazione, sia quelle concordate successivamente all’omologazione le une e le altre in concreto non passate al controllo riservato al giudice. 2. - Potere di controllo del giudice sui contenuti dell’accordo anche nel merito. Ne consegue l’inefficacia dei patti di definizione del mantenimento non sottoposti al giudice In tema di separazione consensuale dei coniugi, l’art. 158 (nuovo testo) c.c., prevedendo il rifiuto dell’omologazione per il caso di accordi sul mantenimento dei figli in contrasto con gli interessi dei medesimi, conferisce al giudice il potere-dovere di controllare i suddetti accordi anche nel merito, e non solo cioè in relazione all’eventuale contrasto con inderogabili principi di ordine pubblico. Ciò comporta che i patti, con cui i coniugi definiscono nel suo complesso il mantenimento del nucleo familiare, includente figli minori, e non si limitino quindi a regolamentare i rapporti patrimoniali fra loro, restano inefficaci qualora vengano sottratti al vaglio dell’omologazione, sia perché non compresi fra le clausole della separazione, sia perché concordati in un momento successivo alla sua omologazione. Cass. 5 luglio 1984 n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 922 ss. Ciascuno dei coniugi ha il diritto di condizionare il consenso alla separazione al soddisfacente assetto dei propri interessi economici, ma senza lesione dei diritti inderogabili. È quindi valido un contratto preliminare con cui si promette il trasferimento della proprietà di un immobile all’altro coniuge in vista di una futura separazione, anche senza omologazione, purché non vi sia lesione del diritto al mantenimento o agli alimenti Poiché ciascuno dei coniugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderogabili, è valido un contratto preliminare con cui uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, promette di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali avviene al di fuori di qualsiasi controllo da parte del giudice che provvede ad omologare gli accordi di separazione, purché tale attribuzione non sia lesiva delle norme relative al mantenimento od agli alimenti, e ciò, altresì, a prescindere dalle condizioni economiche del coniuge beneficiario, una volta che il diritto al mantenimento, od agli alimenti, di quest’ultimo sia stato così riconosciuto dal coniuge obbligato. 16 4. Clausole anteriori, contemporanee e successive dell’omologazione; non contrarietà ai doveri inderogabili all’omologazione; funzione Cass. 22 gennaio 1994, n. 657; in Dir. fam. pers., 1994, I, p. 868 ss.; in Giust. civ., 1994, I, p. 912 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 710 ss., con nota di FERRARI; in Fam. dir., 1994, p. 139 ss., con nota di CARBONE; in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476 ss.; in Vita not., 1995, p. 126 ss., con nota di CURTI; in Dir. eccl., 1995, II, p. 148 ss.; ed in Foro it., 1995, I, c. 2984 ss. Le clausole concordate successivamente all’omologazione (non soggette al vaglio giudiziario) incidono sull’accordo omologato (col limite del 160 c.c.). Le clausole anteriori o contemporanee al procedimento di omologazione operano de si collocano in posizione di non interferenza con l’accordo omologato o in posizione di maggior rispondenza all’interesse tutelato In tema di separazione consensuale, mentre le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione, trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dall’art. 710 c.p.c., quando non varchino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c., le pattuizioni convenute antecedentemente o contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si collocano in posizione di “non interferenza” rispetto a quest’ultimo (perché concernono un aspetto che non è disciplinato nell’accordo formale, oppure perché hanno un carattere meramente specificativo di disciplina secondaria), ovvero in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come per l’assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione. Cass. 5 gennaio 1984 n. 14, in Giust. civ., 1984, I, p. 669 ss.; in Vita not., 1984, p. 407 ss.; in Riv. notar., 1984, pp. 375 ss. e 593 ss.; in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1691 ss.; ed in Dir. fam. pers., 1984, I, p. 473 ss. Inefficacia della clausola sull’obbligo di contribuzione patrimoniale non sottoposta al vaglio dell’omologazione non richiamata nel ricorso per separazione Nel procedimento di separazione consensuale, il regolamento concordato tra i coniugi, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione. Pertanto, la clausola con cui i coniugi, al di fuori del procedimento di separazione, determinano l’obbligo delle contribuzioni patrimoniali nei loro rapporti o verso i figli, ove non sia riprodotta nel verbale omologato dal tribunale, ai sensi degli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., è inefficace, a prescindere dall’inclusione o meno nel ricorso per separazione, se le parti non l’abbiano espressamente richiamato, dovendo ritenersi assorbita delle clausole incluse invece nel verbale. Cass. 18 settembre 1997, n. 9287, in Giust. civ., 1997, I, p. 2383 ss., con osservazione di GIANCALONE; in Vita not., 1998, p. 217 ss. Efficacia dell’accordo per omologazione – operatività dei patti convenuti antecedentemente e contemporaneamente all’accordo omologato se in posizione autonoma non collegate al contenuto necessario del regime In tema di separazione consensuale, il regolamento concordato fra i coniugi, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l’essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti tra i coniugi siano conformi ai superiori interessi della famiglia. Ne consegue che le pattuizioni convenute antecedentemente e contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti solo se si 17 collochino in una posizione di autonomia in quanto non immediatamente riferibili né collegate al contenuto necessario del regime di separazione. Cass. 28 luglio 1997, n. 7029, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 1287 Operatività dei patti convenuti antecedentemente e contemporaneamente all’accordo omologato se in posizione di non interferenza o di maggior rispondenza all’interesse tutelato In tema di separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi antecedentemente o contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si collocano in posizione di non interferenza rispetto a quest’ultimo o in posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato. Cass. 24 febbraio 1993, n. 2270, in Giust. civ., 1994, I, p. 213 ss., con nota di SALA; in Dir. fam. pers., 1994, I., p. 554 ss., con nota di DORIA I patti successivi all’omologazione trovano fonte nell’art. 1322 c.c. e sono validi, anche senza omologazione, purché non contrastino con il limite dell’art. 160 c.c. In tema di separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione, trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dall’art. 710 c.p.c., quando non varchino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c.; per contro, alle pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato, può riconoscersi validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio concordando un assegno di mantenimento in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione), o quando concernino un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 cod. civ. Cass. 8 marzo 1995, n. 2700, in Dir. fam. pers., 1995, I, p. 1390 ss. L’omologazione ha lo scopo di attribuire efficacia all’accordo privato, senza operare integrazione della volontà negoziale. Se contiene una donazione, l’omologazione non vale a rivestire l’atto negoziale della forma dell’atto pubblico Nel procedimento per la separazione consensuale, di cui all’art. 711 c.p.c., il provvedimento di omologazione del Tribunale, operando sul piano del controllo, ha lo scopo di attribuire efficacia all’accordo privato dall’esterno, senza operare alcuna integrazione della volontà negoziale delle parti. Di conseguenza, ove nell’accordo i coniugi abbiano convenuto una donazione, l’omologazione non vale a rivestire l’atto negoziale della forma dell’atto pubblico, richiesto dall’art. 782 c.c., che gli artt. 2699 e 2700 c.c. impongono sia “redatto” e “formato” dal pubblico ufficiale. Cass. 20 ottobre 2005 n. 20290, in Guida dir., 3 dicembre 2005, n. 46, p. 55 Separazione personale dei coniugi – modifiche pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione – validità 18 In tema di separazione personale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione, trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dagli artt. 710 e 711 c.p.c. senz’altro limite che non sia quello di inderogabilità consentito dall’art. 160 c.c. Le pattuizioni, invece, convenute dagli stessi coniugi antecedentemente o contemporaneamente al decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest’ultimo, in posizione di non interferenza o in posizione di conclamata e incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’art. 158 c.c. Cass. 22 aprile 1982 n. 2481, in Giust. civ. Mass., 1982, fasc. 4. I patti modificativi degli accordi economici sono validi ed efficaci anche senza l’omologazione del giudice, se non lesivi del diritto di mantenimento o di alimenti (avente natura inderogabile, ex art. 160 c.c.) I patti modificativi delle condizioni economiche previste in sede di separazione consensuale sono validi ed efficaci, anche senza l’omologazione del tribunale, qualora essi non siano lesivi del diritto di mantenimento o di alimenti, riconducibile al diritto-dovere d’assistenza (art. 143 c.c.), avente natura inderogabile (art. 160 c.c.), ma la parte che lamenta tale lesione per il superamento dei limiti della derogabilità - che non è ravvisabile quando tale diritto sia maggiormente tutelato – può provocare il relativo accertamento giudiziale. (Nella specie, il marito aveva convenuto di corrispondere alla moglie consensualmente separata una somma mensile doppia rispetto a quella fissata in sede di omologazione a titolo di mantenimento, ma successivamente aveva dedotto la nullità di tale pattuizione. Il giudice del merito aveva ritenuto valido il patto modificativo e la Suprema Corte ha confermato tale pronuncia). Trib. Messina 18 maggio 2006 (decr.): esclude che il tardivo ripensamento di uno dei coniugi, rispetto all'assetto di interessi concordato in sede di separazione consensuale, possa giustificare il procedimento di revisione dei provvedimenti, ex artt. 155 e 156 c.c., che si accompagnano alla stessa separazione), con nota di richiami Separazione personale – Consensuale – Procedimento di revisione – Presupposti – Fatti nuovi – Necessità – Tardivi ripensamenti da parte di uno dei coniugi – Irrilevanza (Cod. civ., artt. 155 e 156; cod. proc. civ., art. 710). I provvedimenti di cui agli artt. 155 e 156 c.c. possono essere modificati in qualsiasi tempo, con il procedimento di revisione di cui all’art. 710 c.p.c., solo al fine di porre rimedio a discordanze tra la situazione tenuta presente in sede di separazione e la situazione successiva e non per tardivi ripensamenti da parte di uno dei coniugi, non soddisfatto dall’assetto di interessi concordato. La clausola rebus sic stantibus, cui sono soggetti i provvedimenti che si accompagnano alla separazione dei coniugi, presuppone, per la loro modifica, la sopravvenienza di circostanze che le parti non ebbero la possibilità di prevedere o non previdero in quella sede» (Sul punto, cfr. Cass. 7 marzo 1990, n. 1800, in Foro it., Rep., 1990, voce Separazione di coniugi, n. 88, secondo cui: «Anche in tema di separazione consensuale, l’ammontare dell’assegno di mantenimento deve ritenersi soggetto alla clausola implicita del rebus sic stantibus; con la conseguenza che il giudice può e deve disporne la modifica quando l’equilibrio economico risultante dai fatti della separazione risulti alterato per la sopravvenienza di circostanze che le parti non ebbero la possibilità di prevedere e non previdero in quella sede). 19 5. Decreto di omologazione Cass. 24 agosto 1990 n. 8712, in Giust. civ., 1990, I, p. 2826 ss. ed in Stato civ. ita., 1992, p. 189 ss. 1. - Non è impugnabile il decreto della Corte d’Appello che decide su reclamo avverso il decreto di omologazione, in quanto atto di contenuto decisorio Non è impugnabile per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., il decreto della Corte di Appello che abbia deciso sul reclamo avverso il decreto del tribunale di omologazione della separazione consensuale tra coniugi, costituendo questo provvedimento un atto privo di contenuto decisorio, e quindi inidoneo ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale, che è impugnabile con reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c. e revocabile ai sensi dell’art. 742 c.p.c., per vizi di legittimità che non si convertono in motivi di gravame, ma sono in ogni tempo deducibili nell’ambito della giurisdizione camerale. 2. - Decreto di omologazione è atto di controllo privo di contenuto decisorio, perché incide, ma non decide sui diritti soggettivi Il decreto di omologazione della separazione personale consensuale concordata tra i coniugi è un atto di controllo, privo di contenuto decisorio, perchè incide, ma non decide, su diritti soggettivi perfetti; lo stesso, di conseguenza, impugnabile con reclamo alla Corte d’appello e revocabile per vizi di legittimità (vizi eccepibili, altresì, in un ordinario processo, ove l’esistenza di un valido decreto di omologazione si presenti come imprescindibile condizione di legittimità dell’azione), non ha attitudine ad acquistare l’efficacia di giudicato sostanziale e non è ammissibile, quindi, il ricorso per Cassazione, avverso il decreto della Corte d’appello che abbia deciso sul reclamo contro di esso. Cass. 22 maggio 1990 n. 4613, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 5 Il provvedimento del presidente del tribunale con cui rimette gli atti al collegio per la omologazione non è impugnabile per Cassazione per difetto di decisorietà In causa di separazione personale dei coniugi, il provvedimento del Presidente del tribunale, il quale rimetta gli atti al collegio per la omologazione della separazione consensuale, ritenendo formato un irretrattabile accordo dei contendenti circa il mutamento del titolo della separazione medesima, e disponga inoltre in ordine all’affidamento della prole minore, non è impugnabile, per difetto di decisorietà, con ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., considerando, quanto alla prima statuizione, che la natura ordinatoria della rimessione delle parti al collegio giudicante non resta esclusa per il fatto che in essa si indichi la pronuncia adottanda, alla stregua della provenienza di tale indicazione da organo istituzionalmente privo della potestas iudicandi (e del conseguente suo carattere non vincolante), e, quanto alla seconda statuizione, che si tratta di determinazione provvisoria e cautelare, revocabile e modificabile dal tribunale anche in esito alla rivalutazione degli stessi elementi sulla cui base e' stata emessa. Cass. 16 ottobre 1987 n. 7647, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 10 Il provvedimento di omologazione di cui all’art. 711, comma 4, c.p.c. attribuisce efficacia alla separazione consensuale dei coniugi per il solo fatto che il riscontro sulla sussistenza delle condizioni di legge è stato effettuato con esito positivo; esso non va notificato o comunicato alle parti ed al p.m. ai fini della successiva pronuncia di divorzio. 20 6. Mutamento del titolo della separazione Cass. 29 maggio 1980 n. 3532, in Foro it., 1981, I, c. 156 ss. Mutamento del titolo della separazione da giudiziale in consensuale nel corso del giudizio – rinvio dei coniugi al presidente per nuovo tentativo di conciliazione Qualora nel corso del giudizio di separazione giudiziale, i coniugi decidano di separarsi consensualmente, il giudice istruttore è tenuto a rimetterli davanti al presidente affinché sia esperito lo speciale tentativo di conciliazione e, ove questo fallisca, raccolto il consenso; tuttavia, se il giudice istruttore omette di far ciò e raccoglie egli stesso il consenso, si ha una nullità del verbale di separazione consensuale, che si estende al provvedimento di omologazione, ma che nel successivo processo di divorzio non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente. 7. Riconciliazione Cass. 17 novembre 1983 n. 6860, in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 10. Riconciliazione – ricostruzione del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale – insufficienza delle visite saltuarie Affinché lo stato di separazione tra i coniugi di cui all’art. 3 l. 1 dicembre 1970 n. 898 possa ritenersi interrotto per effetto di riconciliazione e quindi non idoneo per la pronunzia di divorzio è necessaria la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, cessata con la pronunzia di separazione, onde non sono sufficienti a tal fine i saltuari ritorni del marito nel luogo di residenza della moglie nonché gli stessi rapporti sessuali avvenuti in tali occasioni, trattandosi di fatti inidonei a privare di valore lo stato perdurante di separazione. 21 SEPARAZIONE CONSENSUALE E REVOCA DEL CONSENSO QUESTIONE: stabilire se uno dei due coniugi possa revocare il consenso alla separazione personale (artt. 158 c.c. e 711 c.p.c.) prima che sia intervenuta l’omologazione da parte del tribunale. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE A. FALZEA, La separazione personale, Milano, 1943, passim.; A. D’ANTONIO, Irrevocabilità del consenso dei coniugi alla separazione, in Riv. dir. civ., 1959, II, p. 459 ss.; G. DORIA, “Negozio” di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso, in Dir. fam. pers., 1990, I, p. 500 ss., in nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989; E. GIACOBBE, Separazione consensuale e revoca del consenso, in Rass. dir. civ., 1991, II, p. 698 ss., in nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989; M. SALA, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1032 ss.; G. CALIENDO, Sulla revocabilità unilaterale del consenso alla separazione consensuale, in Fam. dir., 1996, 4, p. 335 ss., in nota a App. Napoli, 29 gennaio 1996 e Trib. S. Maria Capua Vetere, 3 ottobre 1995; A. MORACE PINELLI, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano, 2001, p. 129 ss., spec. p. 161 ss.; C.M. BIANCA, La famiglia, Milano, 2005, p. 191 ss., spec. p. 248 ss. G. OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, I e II parte rispettivamente in Fam. dir., 1999, p. 601 ss. e 2000, p. 86 ss. Cass. 5 gennaio 1984 n. 15: risponde affermativamente alla questione. Cass. 3 marzo 1936, in Foro it., 1936, I, c. 518: ritiene revocabile il consenso App. Napoli 29 gennaio 1996, in Fam. dir., 1996, p. 335 ss.: Non è valida la revoca unilaterale del consenso alla separazione consensuale prestato dinnanzi al Presidente del Tribunale Trib. Milano 11 luglio 1991 (decr.), in Dir. fam. pers., 1991, I, p. 1056 ss.: Qualora nel procedimento di separazione giudiziale tra coniugi, sia sopravvenuto, in seno alla comparizione delle parti avanti al Presidente, l’accordo per una separazione consensuale, le cui condizioni siano state verbalizzate nell’udienza presidenziale, ciascuno dei coniugi può revocare il proprio consenso alla separazione amichevole prima che sia stato posto in essere il provvedimento di omologa: l’accordo per una separazione consensuale, pur costituendo manifestazione dell’autonomia dei coniugi nella regolamentazione dei loro rapporti personali e patrimoniali, non è equiparabile ad un negozio contrattuale di diritto privato, ove l’incontro delle reciproche volontà rende irrevocabile il consenso prestato, poiché la volontà dei coniugi costituisce solo il presupposto del provvedimento di omologazione, che ha natura costitutiva. Ritenuta l’opposizione all’omologa, prosegue il giudizio contenzioso di separazione, previa rimessione al Presidente degli atti di causa. Trib. Napoli 13 marzo 1989, in Rass. dir. civ., 1991, II, p. 698 ss.: ritiene revocabile il consenso. Il negozio di separazione consensuale tra i coniugi non p un contratto, ma un accordo, in seno al quale la comunanza d’interessi, la concordia d’intenti e la funzione di cooperazione costituiscono un aomplesso di elementi talmente importante, da postulare che esso accordo debba sopravvivere fino a quando il negozio non possa ritenersi efficacemente concluso sul piano formale, e da rendere quindi giuridicamente rilevante, a differenza di quando avviene nella normalità dei casi, il conflitto di interessi sorto dopo l’accordo ma prima che uest’ultimo sia produttivo di effetti: ne consegue che il consenso alla separazione può essere revocato prima che sia intervenuta l’omologazione da parte del Tribunale (Massima riportata in Dir. fam per., 1990, I, p. 500 ss., a cui segue la nota di G. DORIA, “Negozio” di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso) Il negozio di separazione consensuale rientra anella categoria dell’accordo in senso tecnico, inteso come strumento di collaborazione nel quale si attua il comune indirizzo di interessi paralleli o convergenti, attraverso il quale il coniugi realizzano e sanzionano legalmente il loro stato di separazione, e rispetto al quale tutti gli altri patti, compresi quelli patrimoniali, hanno natura complementare, subordinata o accessoria. L’omologazione del tribunale non viene ad assumere il valore di condizione sospensiva, quanto di accertamento costitutivo che integra una fattispecie procedimentale a formazione progressiva, in cui il consenso dei coniugi si pone come l’elemento o il momento di una serie di atti giuridici coordinati e tendenti alla produzione di un determinato effetto. In questa prospettiva, al fine di escludere la revocabilità unilaterale del consenso non appare decisivo il richiamo all’art. 1372, I comma, c.c. (a tenore del quale il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso), dato che all’accordo in questione non possono applicarsi le norme sul contratto (volte a comporre interessi contrapposti) quando 22 contrastino con quell’elemento della natura dell’accordo (comunanza di interessi) per cui esso si differenzia dal contratto. Con ciò non si vuol negare che anche l’accordo (quando sia efficace in virtù del solo consenso delle parti) vincoli queste ultime alla manifestazione della volontà espressa, né si vuol sostenere che il materia contrattuale il consenso possa essere unilateralmente revocato; bensì si vuol dire che la regola dell’art. 1372 c.c. subisce una deroga quando, per la peculiarità della fattispecie (inefficacia dell’accordo senza il provvedimento giudiziale di omologazione), essa possa risultare non più conciliabile con quella comunanza di interessi che deve essere propria dell’accordo. Se, tanto nell’accordo in questione, quanto nel contratto, la volontà è elemento essenziale, nel primo si pone come immagine speculare di quella comunanza d’interessi che viene a mancare col venir meno del consenso di una delle parti, là dove nel contratto la revoca del consenso si esaurisce in se stessa, senza incidere sulla natura del negozio. Ora, se – come ritenuto da autorevolissima dottrina (Falzea) – la comunanza d’interessi e la funzione di collaborazione proprie dell’accordo rendono inammissibile la configurazione di un contratto preliminare nei riguardi dell’accordo stesso (in quanto non sarebbe più espressione di un concorde indirizzo di interessi convergenti, ma oggetto di una obbligazione da attuarsi anche coattivamente e, dunque, in astratto, riconducibile a situazioni di conflitto di interessi), allo stesso modo, quando l’accordo fa parte di una fattispecie a formazione progressiva che si perfezione con l’omologazione del giudice, esso deve persistere – per acquistare definitività e rilevanza (sottolineato testuale nella sentenza, ma da leggersi come efficacia, dato che la rilevanza l’accordo la ha in se, mentre è l’effetto di esso ad esser subordinato all’omologazione: nota personale) – fino al momento dell’omologazione. Trib. Napoli, 28 maggio 1957, in Temi nap., 1958, I, p. 327 ss.: Il consenso dei coniugi per la separazione non dà luogo ad un contratto, bensì ad un accordo che fa parte di un procedimento in cui il momento conclusivo è l’omologazione del tribunale. Pertanto, fin quando non è intervenuta quest’ultima, ciascuno dei due coniugi può revocare il proprio consenso. Trib. Brescia, 25 marzo 1958, in Foro pad., 1958, I, c. 504 ss.: Quando i coniugi hanno espresso, nelle debite forme, la loro volontà di separarsi consensualmente, il tribunale deve procedere all’omologazione della separazione anche se la relativa istanza è presentata soltanto da uno dei coniugi. Né si obietti che, essendo tutto il procedimento della separazione consensuale fondato sull’accordo dei coniugi, tale consenso debba concorrere anche nel provocare l’omologazione, ché siffatta obbiezione si fonda sull’erroneo presupposto che esso consenso sia inidoneo a far sorgere lo stato legale di separazione e revocabile sino alla pronuncia del provvedimento di omologazione. 23