Il neopaganesimo agnostico e le ragioni di una fede rinnovata
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Il neopaganesimo agnostico e le ragioni di una fede rinnovata
IL NEOPAGANESIMO AGNOSTICO E LE RAGIONI Dl UNA FEDE RINNOVATA Elmar SALMANN, OSB I. Le tesi e prospettive fondamentale della conferenza: 1. Uno dei grandi misteri della storia e che ogni rivoluzione porta ad una ri-voluzione; ogni avvenimento si ritorce contro di sé, si ribalta nel suo opposto, sfocia in ciò che avrebbe voluto superare. E infatti, niente in questo piccolo mondo antico risulta mai del tutto superato; tutto si ripropone, si ri-presenta alla ribalta, sia pure in modo travestito e trasformato. E questo sarà anche il destino del cristianesimo, sempre raggiunto, sostenuto, fecondato e minato dalle diverse ondate e ellenizzazione e ri-giudaizzazione. 2. Durante gli ultimi decenni, la fede cristiana ha subito un processo “viscerale” di derealizzazione, di un venire meno di convinzione; si è rotta la cinghia di trasmissione, il transfert naturale tra quotidianità e preghiera, tra fede e gestualità vissuta; vi manca uno stile incisivo di vivere la fede e di trasmetterla alla futura generazione. 3. Assistiamo da Schiller, Hoelderlin e Nietzsche in poi ad un rigurgito del mondo pagano, preplatonico, politeista, kairologico (il momento felice o intenso è divino, “theion”), un nuovo rinascimento all'insegna del postmoderno, di cui Prometeo, Ulisse, Apollo, Dioniso, Edipo, Sisifo, Ermete ed Orfeo (Rilke) sono i numi tutelari. Questo mondo pagano è ormai entrato nel subconscio del mondo occidentale, mescolandosi con figure e viaggi spirituali dell’oriente (pensiamo solo al “Siddharta” di H. Hesse). Questo paganesimo si propone come l'opposto liberante del Cristianesimo. Esso “accoglie le novità con interesse e spirito di tolleranza; sempre pronto ad allungare la lista degli dèi, esso contempla l'addizione, l'alternanza, ma non la sintesi... La storia è lenta e l'individuo invecchia alla svelta. Ma qualcosa nell'allegria sempre rinnovata dei politeismi (più preoccupati di rinascita che di eternità), nella serenità senza enfasi dello stoicismo e degli epicurei, ci da a intendere che né la felicità né la coscienza hanno bisogno della speranza” (M. Augé, Genio del paganesimo, Torino 2002, 14, 301). 4. Ma il passato apparentemente remoto si ripropone anche in un'altra forma inaspettata, quella di un neoebraismo agnostico che sembra volerci imporre un ritorno nel deserto. I pensatori ebrei-illuministi hanno fomentato tutte le istanze e temi del post-moderno: mentre la chiesa cattolica si dibatteva nella crisi del modernismo, sono stati loro ad inventare e a ridefinire la nostra mentalità preconscia: psicanalisi, fenomenologia, sociologia, la nuova fisica, musica ed arte del raccontare, la filosofia della vita, del dialogo, della dialettica negativa. In Freud, S.Weil, Loewith, Adorno e molti altri, i temi forti di una tale a-teologia del deserto si è anche legata ad una ripresa di mitologemi della Grecia antica. 5. La scommessa: rileggere questa stagione senza pregiudizi di sorta – e come una chance per un cristianesimo rinnovato. Inoltre possiamo dimostrare che molte delle istanze della teologia fondamentale recente rispondono gia, spesso in modo cifrato e indiretto, alle sfide del mondo a-teologico appena delineato. II. Il ritorno in Grecia e nel deserto, al mondo precristiano: 1. La svolta antiplatonica e l’inversione dei valori Da Origene fino a Rahner e Balthasar la teologia e devozione cattolica è rimasta legata ai primati del mondo platonico: della eternità sul temporale, dell'unità sulla pluralità, della ragione sui sensi, della volontà sulla emozioni, dell'idea sulla realtà, della realtà sulla possibilità, dello spirito sul corpo etc. Ora, questi primati dell'esperienza sacrale si sono invertiti, rovesciati. Da Nietzsche in poi pensiamo e viviamo il primato della vita sull'idea, delle potenze sulla realtà, del momento felice sull'eternità, etc. Sembra che facciamo fatica a trovare forme di vita religiosa che corrispondano a questa rivoluzione del sentire. - Eppure, di per sé la fede cristiana non dovrebbe temere i nuovi accenti, essendo una religione dell'incarnazione, della differenza, dello stacco, del conflitto, della storia, dei sensi spirituali-sacramentali, del tocco, della sofferenza e della forza vissuta dell'uomo... 2. La svolta antiaristotelica: l'estraneità delle categorie di essere, sostanza, causa, analogia, mediazione, proporzione, virtù che hanno sorretto t'impianto teorico e pratico della vita ecclesiale; ora vige il primato della struttura, cioè di un'interdipendenza prospettica e democratica, ove tutto è uguale e infinitamente originale. - Epperò, forse ci muoviamo verso un cristianesimo relazionale, dei passaggi forti e fragili che distingue anche la logica e la dinamica dei misteri cristiani (Trinità, creazione, incarnazione, evento pasquale, eucaristia)? 3.Il ritorno al mondo misterico, preplatonico e il pathos dell'entusiasmo lacerante e lancinante, prometeo-emancipato, orfico-pitagoreo-iniziatico, materno-terrestre-erotico (Demetra), teodrammatico-cultico (Dioniso), del theion e degli dèi (il momento felice ed intenso, il kairos vissuto intensamente), della gioia della metamorfosi, della presenza estetica e dell'astuzia agonale (Apollo), della ragione trasgressiva, traduttrice, pluriprospettica, enigmatica che rispetta l'incommensurabile (Ermete), del girovagare eterno (Ulisse) e fallimentare (Sisifo), del destino tragico della storia davanti agli dèi remoti, beati e situazionalmente coinvolti. La scoperta del conflitto e dell'olismo, del carattere contraddittorio del tutto (Eraclito) che pure rimane il medesimo (Parmenide). E’ facile capirne e subirne il fascino. Il contrasto-accordo tra Apollo e Dioniso “è la sostanza e la legge ultima del mondo. Alla religione olimpica – religione non della sottomissione o dei bisogni del cuore, ma della chiaroveggenza dello spirito – era riservato di riconoscere e venerare – la dove altre religioni separavano e condannavano – “l'armonia di opposte tensioni, come quella dell'arco e della lira” (W.F.Otto, Theophania. Lo spirito della religione greca antica, Genova 1983, 133). Ovviamente, si trovano qui analogia al fascino della religione orientale: “L'essenziale è la poeticizzazione dell'essere. Ci sono due generi di poesia: la poesia artistica e la poesia situazionale” (L. Lombardo Vallauri, Nera luce. Saggi su cattolicesimo e apofatismo, Firenze 2001, 304). Potrebbe anche questo antagonismo forte trasformarsi in un invito: verso un cristianesimo come evento e movimento mistagogico, kairologico, immaginativo, sciolto, plurale, ospitale....? 4. Il disincanto come cantus firmus (Weber, Troellsch); il cristianesimo non è più il tutto, non garantisce la verità per tutti i campi del sapere e agire. Andiamo verso una fede scarna, umile, valorosa, una mistica ed ascesi dello stesso credere (Guardini, Rahner)? 5. Il ritorno nel deserto e la presenza incisiva della prospettiva dell'ebraismo: il primato del No nei confronti di ogni asserzione “totale” (Weil, Rosenzweig) e la dialettica negativa che smaschera ogni pretesa ideologica, ne evidenzia le pretese nascoste di potere e gli effetti contraproducenti; lo sguardo dal basso, dalla parte degli sconfitti; la strana inversione tra un cristianesimo vincente e un ebraismo “crocifisso”, la precisione micrologica, il pathos del “forse” (Buber, A. Neher) e dell'altro, del dialogo, della vita, della mistica del quotidiano hanno inciso sulla mentalità anche dei cristiani, destando spesso una coscienza infelice tra di loro e contestando la centralità di un unico evento salvifico dentro la storia. Come reagire a questo “attacco premuroso” da parte di coloro che da 2000 anni abbiamo ritenuto “superati”? Forse, veniamo spinti verso una fede che terrebbe conto dei sofferenti, degli sconfitti, dei poveri, verso un'etica della concreatività e della compassione, del perdono e della promessa (H. Arendt, Vita activa), del riguardo dell'altro, ad una fede chiaroveggente, precisa, minoritaria, povera, ma forte di una testimonianza e fenomenologia profetica? 6. La svolta culturale del ‘68: la democrazia non è più soltanto una forma di governo, ma la matrice di una mentalità di vita: ognuno è originale, individuale e tutti siamo uguali – in cerca di e con un titolo per la qualità di una vita sana, compiuta. II connubio tra illuminismo e romanticismo erotico-smascherante, un socialismo “idilliaco” e un liberalismo aperto: il mondo dei movimenti, delle donne, dell'androgino, del “soft”, della non-violenza, dell'aversione nei confronti di ogni dogma e morale fissi. Quale tipo di fede e di chiesa potrà rispondere in modo empatico e critico a queste istanze? III. Intermezzo: La ripresa teologica della svolta precristiana La consapevolezza teologica nei confronti di questi problemi non è molto sviluppata. Sul versante del dialogo con la sfida ebraica, ci sono parecchi tentativi di una ripresa serena, serrata e forte: la filosofia dialogica e quella dialettica hanno trovato un riscontro fecondo in ambito teologico: basta pensare alla scuola di B. Casper a Friburgo e di quella di J. Wohlmuth a Bonn per il primo, e teologi come Metz e la sua scuola o A. Rizzi per il secondo fronte. Meno esplicito mi pare il confronto con il mondo mitologico-greco: vi prevalgono dapprima tentativi di un'accoglienza positiva (a nome dell'arte, della poeticità liberante, delle immagini e terapie del profondo) del mito: E. Drewermann, U. Mann, K. Huebner, infondo già la teologia dell'ambivalenza simbolica in Tillich. Critico nei confronti di tali tendenze J.Taubes, Vom Kult zur Kultur, Muenchen 1996, 244ss, 344ss, che ricorda le differenze tra mito e storia già ribadite dal tardo Schelling. E forse varrebbe la pena di riprendere i diversi tentativi di dialogare con Schelling che non mancano nella teologia recente (Hemmerle, W. Kasper, A. Franz). Un ampio confronto con il tardo Heidegger si trova in E. Brito, Heidegger et l'hymne du sacré, Louvain 1999, che ripropone da parte cristiana le categorie del Santo, del Padre (come figura di distanza e di riconoscimento della libertà figliale), del testimone e del credente, tutti custodi di uno spazio dell'abbandono e della libertà, forme di pensiero e di vita care anche a J.L. Marion che dialoga direttamente con Hoelderlin, Nietzsche e Heidegger, cioè le istanze più forti di una ripresa del paganesimo moderno. IV. Verso una fede umile, ma non debole: la teologia fondamentale s-fondata e sfondante ovvero i nuovi loci teologici Le possibilità di ri-prendere la situazione trascendentale della fede come scommessa aperta ed audace, inerme, povera e coraggiosa, soprattutto nei confronti della istanza neoebraica: 1. La povertà della parola esposta al ludibrio della sorte e della intelligenza umana, una parola umile e forte, spregiudicata e giudicante, dialogica e incisiva, che verrebbe da lontano, idonea a contestare e a contestualizzare il mondo; un Logos che non presuppone una ragione trascendentale, ma la costituisce nell'atto della allocuzione (teologia dialettica, Ebeling, G. Ruggieri, Th. Ruster, G. Gaede). 2. La condizione apocalittica della fede dopo la Shoa: l'impossibilità del credere e una fede profetica, anamnetica, umile, che si sa giudicata e che condivide il dolore (Metz, Taxacher, Peukert; Moltmann), si espone al volto vulnerato ed esigente dell'altro, alla logica del dativo (Casper, Wohlmuth). 3. La differenza e l’aporia, che ricorda il carattere “passaggero”, paradossale dei misteri cristiani: il Dio che è il punto debole di ogni sistema, che si ri-vela in uno spazio di distanza e del dono (A. Emo, Cl. Ciancio, G.M. Hoff, Joh. Hoff, J.L. Marion, e tutte le teologie sulla scia di Derrida, Deleuze, della differenza ontologica etc.), di un'eucaristia liberante. Forse una via per dar ragione a Eraclito, una dialettica incastonata in modo cristiano? 4. La dinamica kenotica della rivelazione cristiana e della libertà umana che salvaguardano e ricordano gli spazi aperti di un amore povero e incisivo: Balthasar e la sua teoresi della quadruplice differenza che cerca di reiterare le vie della metafisica classica sotto le condizioni post-heideggeriane a nome di un Dio che da parte sua “ha un debole” per l'uomo. E non sarà del tutto casuale che una tale teologia sa riprendere anche alcuni temi e motivi del paganesimo mitologico ( Gloria IV; Brito; anche U. Mann). Forse una via per sublimare e trasfigurare le figure di Apollo e Dioniso, tra teo-estetica e teodramma? Altri ribadiscono l'istanza della libertà e riflessione moderna, pur tenendo conto dello sfondo preriflessivo di ogni coscienza umana: 5. L'orizzonte trascendentale oscuro, atematico che rende possibile ogni conoscenza concreta e ci espone al mistero oscuro di Dio, della sua presenza anonima in mezzo ad ogni atto conoscitivo, ad ogni decisione e ogni gesto di un amore, cioè atti e forme di presenza che si sanno sempre fragili e nondimeno incondizionati (Rahner). Forse una via per trasformare l'enigma irrazionale (Colli; Edipo) dell'uomo nel linguaggio e nel gesto del mistero? 6. L'ultimo fondamento della vita, della riflessione e della fede sembra ed è la libertà umana come obbligo autovincolantesi, come istanza autoriflettentesi che pure deve scoprirsi vincolata e bene-detta da parte di un Dio che la riconosce e di cui la mente umana deve confessarsi ri-flesso, immagine, giudizio giudicato, istanza imposta. Dio come istanza che ri-conosce la tua e la mia, la nostra libertà che non può non riflettersi come premessa e promessa a se stessa (Proepper, Verweyen, Kl. Mueller). La figura di un Prometeo convertito e liberato? Un'ultima sezione potrebbe, cautamente eppure in modo più esplicito, indicare alcune piste per ovviare alle domande e alle suggestioni del mondo preplatonico, pagano: 7. Vi è il lungo cammino tortuoso della ricerca del senso, come compimento della volontà, della ragione e dell'abbandono dell'uomo; verso un significato da rintracciare in un “piccolo” cammino che attraversa tutte le tentazioni e svolte di una mente idolatrica (Blondel e i suoi numerosi successori fino alle proposte di Pié-Ninot): un Sisifo approdato, salva-guardato, oltre necessità e velleità? 8. Altri puntano sul carattere simbolico-metaforico del cristianesimo, sulla sua forza anonima culturale, archetipale che permette un confronto sereno e serrato col proprio tempo (Tillich e tanti teologi protestanti sulla scia di Ricoeur, Cassirer e Blumenberg: G. Bader, M. Moxter, Ph. Stoellger – e con una vicinanza al tipo 6: M. Bongardt), seguendo poi con simpatia le trasformazioni culturali e contestuali del cristianesimo, che da parte sua sa anche modificare e determinare i propri contesti (Waldenfels, Ohlig), essendo sempre un evento linguistico, ermeneutico (la Scuola di Zurigo da Ebeling fino a H. Weder e I.U. Dalferth), una parola esposta alle domande incisive dell'epoca e con una forte carica di corrispondenza empatica e critica nei confronti di ogni ambiente (E. Biser, che da 40 anni si cimenta con le intuizioni di Nietzsche, della ermeneutica gadameriana, della filosofia linguistica e simbolica; forse le grandi opere di Schillebeeckx potrebbero inserirsi in questo contesto). E non sarà un caso che in questo ambito sono nate delle proposte forti per una cristologia rinnovata (Biser e le sue quattro cristologie in chiave simbolica, terapeutica, interpersonale e dialettica). Una via con e verso un Ermete cristiano, un'arte di mediazione e traduzione umile e forte? 9. La fenomenologia della coscienza credente che si sa e si interpreta come riconoscimento riconosciuto, come luogo di un affetto trasformato e di un ordine di simboli, sa, forse, cogliere molte delle aspirazioni appena presentate (Sequeri, Werbick). In una tale impostazione il pathos della libertà, del dialogo, delle emozioni del consenso e di coinvolgimento, nonché lo stacco del cosmo simbolico, la logica della rivelazione, della redenzione e della rappresentazione ecclesiale si sposano e si configurano in modo convincente. Inoltre, essa sa aprirsi all'istanza della mistica e del rito, all'empatia musicalefemminile e al vigore e rigore della distanza simbolica. 10. Dopo la crisi modernista, la mistica è divenuta un locus theologicus, evento e percorso della genesi e dell'esperienza della fede (Gardeil, Maréchal, Rahner etc.). Il regno dei simboli si condensa nel rito e nella liturgia, come prassi di una fede incarnata; lo stesso corpo appare come fulcro della realtà e della gestualità cristiana (O. Casel, Guardini, E. Mersch, Teilhard de Chardin, M. Henry, J.L. Chauvet, A.N. Terrin, A. Grillo, G. Bader). Orfeo e Demetra trasferiti nel culto e nella mistica cristiani? 11. La sfera pneumatica sa cogliere l'aspetto e la dinamica naturale-selvaggia, profetica, musicale e istituzionale, individuale e comunitaria della realtà spirituale-intercorporea; lo Spirito come atmo-sfera pensonalizzante del “milieu divin”, come anima del mondo, della chiesa – e dell'anima del singolo (H.Timm). E' da li che si potrebbe sviluppare una psicologia sublime dell'alto (Hoehenpsychologie, U. Mann), della grazia, della tradizione divenuto patrimonio dello stile di vita, di un preconscio culturale-religioso. Un cammino con e oltre Edipo, Orfeo, Sisifo? 12. L'integrale del nostro cammino potrebbe essere una formula cara alla teologia recente: l'esperienza coll'esperienza (Blondel, Juengel, Kasper, Rahner, Schaeffler), un cammino nel quale l'esperienza elementare si riflette, inverte, torna verso se stessa, si trasforma in ascolto e una libertà oggettiva, in un gesto di abbandono signorile e umile, in una presenza profetica qualificante, in una indifferenza per ogni differenza e per ogni servizio (Przywara; de Lubac, Paradossi della fede; Bernanos). Le peripezie degli dèi greci troverebbero cosi una loro collocazione e incastonatura? 13. Forse, la categoria della testimonianza sa incastonare e dare vitalita all'insieme delle prospettive (Hemmerle, Ricoeur): il massimo di un coinvolgimento passivo-oggettivante e di una attuazione libera e soggettiva vi si incrociano, facendo leva sulla tradizione e sul giudizio degli altri, alla libertà dei quali il testimone si rivolge. Un tate testimone è inerme e forte, rappresenta una ragione umile e virile, situata e situante; in lui si compie una libertà dialogica e dialettica. Forse, ci servirebbero anche alcuni racconti forti dei e sui Santi, sulle figure che si muovono su confine tra fede e paganesimo, tra chiesa e agnosticismo moderno (Blondel, S. Teresa di Lisieux, Th. Merton, S. Weil, D. Bonhoeffer, D. Hammarskjoeld, M. de Certeau, M. Debrêl). Eraclito e Prometeo come servi inutili? 14. Eppure, rimaniamo esposti e inermi di fronte all'oscillare caleidoscopico delle figure e scene del mondo greco-orientale, alla loro lena atmosferico-spaziale e kairologica, al pathos e alle passioni del finito, dello stare (bene) al mondo (U. Perone, Le passioni del finito, 1995; S. Natoli), del nuovo agnosticismo gaio e sciolto, del tutto in-quadrato tra cielo e terra, dèi e mortali e coinvolto in un pòlemos permanente tra di loro (Heidegger). Esposti e inermi anche nei confronti dello sguardo della Weil e di Kafka, della precisione negativo-messianica di Benjamin o Adorno, della forza analitica e mitobiografica di Freud. Siamo come il Geremia del romanzo di Werfel (Ascoltate la voce, 1936), impressionato dal culto del cielo stellato della Mesopotamia e del regno immutabile dei morti egiziano – eppure lui rimane legato alla forza fragile e incisiva, liberante e vincolante della Parola, poetica e profetica, incarnata e spirituale, trascendente e trascinante. “Resta una parola povera, disarmata, che non possiede altra forza se non la sua capacità di essere detta e ascoltata. Essa riposa su una sorta di scommessa: ci sono ancora persone per ascoltarla?” (P. Ricoeur, La critica e la convinzione, 235). O in termini più teologici: “La theologia crucis non vuole il Dio invadente della società teocentrica, ma neppure il Dio reticente della società antropocentrica. II suo è il Dio della discrezione, del discorso sotto voce, del messaggio che non abbaglia, ma neppure lascia indifferenti. Una società a misura di questo Dio non è né religiosa né atea: è laica” (A. Rizzi, Differenza e responsabilità, 287). Forse queste voci potrebbero aprire una breccia, una porta al neopaganesimo greco-ebraico, senza tradire la presenza inaudita della fede... 15. Retrospettiva prospettica. Ormai il Cristianesimo sembra un fenomeno passato, è passato (remoto?). Ha, certo, lasciato le sue orme, ma, almeno in Europa, è divenuto una minoranza sul piano sociale, mentale, atmosferico. Ne rimane qualche ricordo, motivo, qualche citazione, brandelli fluttuanti in un mare variopinto di possibilità. “A mio parere, ci troviamo di fronte ad una sorte di seconda secolarizzazione: una secolarizzazione della secolarizzazione. Se la prima è stata una secolarizzazione della salvezza, quella contemporanea è una secolarizzazione dalla salvezza...: dalla salvezza dal tempo, alla salvezza nel tempo”, dissolvendo così l'idea stessa di salvezza (S. Natoli, Dio e il divino, 119). Perciò “la condizione umana s'identifica con lo stare al mondo. E una vita riuscita con il saperci stare” (id., Stare al mondo, 7) – Basta pensare ai grandi romanzi del secolo scorso: Joyce (Il “theion” di un'unica giornata banale; Ulisse e l'ebreo vagante, Molly come Magna Mater); Proust (il piacere dell'attimo, del ricordo, l'apocalisse come un ballo in maschera); Th. Mann (La montagna incantata; La tetralogia del Giuseppe); Kafka, Rilke, Hesse (il carattere “cinese” del “Gioco delle pene di vetro”), Gide, Musil (la mistica secolare dell’Uomo senza qualità), Svevo, Yourcenar (ambedue all'insegna di Zenone), Gadda (La cognizione del dolore), Marquez, Nabokov – fino ai quaderni di P. Valéry o di un S. Màrai con il loro lucido stoicismo. Questo “Schlussstrich” (B. Mueller, Lueneburg 1995), questo congedo dalla fede porta ad una sua radicale storicizzazione, per la quale il cristianesimo diventa un fenomeno tra tanti altri. E' forse a questo fatto che si debba la fioritura delle storie della teologia negli ultimi dieci anni, di cui i più suggestivi partono dall'esperienza culturale e mistica della fede (R. Osculati) o con il netto intento di aprire un varco indietro (una rivisitazione tipologica e speculativa della storia) e in avanti (G. Lafont, Storia teologica della chiesa cattolica; id., Immaginare la chiesa cattolica): ripercorrere i paesaggi immensi della cultura, della prassi e teoria della fede per rintracciarvi le orme di un suo possibile avvenire, presentando il cristianesimo come invito e prospettiva, come possibilità e potenza umile di vita, come istanza profetica ed ospitale... CENNI BIOGRAFICI indichiamo soltanto alcuni testi cui ci siamo ispirati oppure che non sono per nulla ovvi o facilmente reperibili ad I-III: Per il ritorno al mondo preplatonico-pagano si consultino i testi classici di K. Reinhardt, di W.F. Otto, di K. Kerényi (un interlocutore importante di Th. Mann), di W. Schadewaldt, poi di G. Colli ( La nascita della filosofia; Dopo Nietzsche); per la stagione postmoderna: R. Calasso (Le nozze di Cadmo e Armonia - e tutto il programma della casa editrice “Adelphi”); H. Rombach, Der kommende Gott, Freiburg 1991 (come introduzione a questo autore postheideggeriano importante: A. De Santis, Dalla dialettica al kairos. L’ontologia dell'evidenza in H. Rombach, Roma 2002); P. Sloterdijk (p.e. Kritik der zynischen Vernunft I-II, Frankfurt 1983; Weltfremdheit, 1993; Sphaeren I-II, 1999); il sistema filosofico di H. Schmitz in 10 volumi, che punta sull'evidenziarsi della forza atmosferica delle emozioni/affetti che ci circondano, sugli spazi fenomenologici del nostro abitare, vivere, giudicare. Per il nostro argomento si veda il volume III,4, Das Goettliche und der Raum, Bonn 1995 (1977) che presenta gli dèi greci insieme alla fenomenologia dello Spirito biblico e della coscienza (1-204); poi M. Ruggenini (Il Dio assente, 1997); la sequenza delle opere di S. Natoli (L’esperienza del dolore, 1986; La felicità, 1994; I nuovi pagani, 1995; Dio e il divino, 1999; Stare al mondo, 2002); e di M. Perniola ( Del sentire; Transiti; Enigmi); la valanga di testi ludici-ironici di M. Onfray; più serio: A. de Benoist, Comment peut-on etre paien?, Paris 1981; M. Augé, Genio del paganesimo, Torino 2002 (orig. Paris 1983); tutti i lavori di H. Blumenberg (Arbeit am Mythos, 1978), di O. Marquard ( Abschied vom Prinzipiellen; Apologie des Zufaelligen), di E. Zolla (Uscite dal mondo; Archetipi), il clima creato da M. Eliade, dalla psicologia culturale di C.G. Jung e dai mitologemi freudiani. Per la ricezione di questi filoni in ambito teologico tutti gli scritti di E. Drewermann; in modo più riflettuto: U. Mann, Theogonische Tage, Stuttgart 1969; id., Tragik und Psyche. Grundzuege einer Metaphysik der Tiefenpsychologie, Stuttgart 1981. Per un'analisi del postmoderno: E. Poulat, Era post-cristiana. Un mondo uscito da Dio, Torino 1996; I. Sanna, L'antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Brescia 1999; C. Dotolo, La teologia fondamentate davanti alle sfide del “pensiero debole” di G. Vattimo, Roma 1999; E. Salmann, Presenza di spirito, Padova 2000; una panoramica del pensiero filosofico postmoderno italiano in chiave teologica: A. Matteo, Della fede dei laici, Soveria Mannelli 2001. Per il confronto col pensiero ebraico moderno: E. Salmann, Der geteilte Logos, Roma 1992, 188-289; M. Cacciari, Icone della legge; Dallo Steinhof. Per una fenomenologia delle nuove religioni: le diverse opere di A.N. Terrin, cf. l'articolo da lui curato nell'enciclopedia recente di F. Lenoir – Y.T. Masquelier, La religione, I-VI, Torino 2001, qui VI, 409-434. Nel primo volume di quest'opera si trova un'introduzione valida nel mondo della religiosità dei greci (179-256, con bibliografie utili). Per un dialogo critico e una svolta cristiana: M. Guzzi, La svolta. La fine della storia e la vita del ritorno, Milano 1987; sul piano spirituale i libri di J.-M. Verlinde: Le cristianisme au défi des nouvelles religions, Versailles 2002; id., L'expérience interdite, Versailles 1998. ad IV: ad 1. G. Ruggieri, La compagnia della fede, Casale Monferrato 1980; Th. Ruster, Der verwechselbare Gott, Freiburg 2000; G. Gaede, Viele Religionen - ein Wort Gottes, Guetersloh 1998; ad 2. G.Taxacher, Nicht endende Endzeit. Nach Auschwitz Gott in der Geschichte denken, Guetersloh 1998; J. Valentin – S.Wendel, Juedisohe Traditionen in der Philosophie des 20.Jh., Darmstadt 2000; un forte accento verso questo versante si trova anche nella Fundamentaltheologie, curato da Kl. Mueller, Regensburg 1998. A. Rizzi, Messianismo nella vita quotidiana, Casale Monferrato 1981; si potrebbe leggere la sequenza impressionante delle opere di Moltmann in questa chiave di un dialogo permanente con tutti i versanti dell'ebraismo e della sua storia fiera e sofferta nonché con la cultura del post-'68, un cammino di fede e di esperienza kairologica e teologica, il cui riepilogo si trova in: Esperienze di pensiero teologico, Brescia 2000. Sarebbe suggestivo leggerlo insieme ai diversi resoconti teologici di Balthasar... ad 3. Si tratta di una forma di realizzare e di pensare del cristianesimo: A. Emo, Il Dio negativo, Venezia 1989; J. Hoff, Spiritualitaet und Sprachverlust. Theologie nach Foucault und Derrida, Paderborn 1999; G.M. Hoff, Aporetische Theologie, Paderborn 1997; id., Die prekaere Identitaet des Christlichen. Die Herausforderung postmodernen Differenzdenkens fuer eine theologische Hermeneutik, Paderborn 2002; A. Rizzi, Differenza e responsabilità, Casale Monferrato 1983. Per Marion: N. Reali, Fino all'abbandono. L’eucaristia nella fenomenologia di J.L. Marion, Roma 2001; T. Specker, Einen anderen Gott denken? Zum Verstaendnis der Alteritaet Gottes bei Marion, Frankfurt 2002. Cl. Ciancio, Il paradosso della verità, Torino 1999; G. Lorizio, La logica del paradosso, Roma 200. ad 4. L’affinità tra pensiero postmoderno-ebraico e teologia balthasariana: C. Pagazzi, La singolarità di Gesù Cristo come criterio di unità e differenza nella chiesa, Milano 1997; per il rapporto tra una fenomenologia della modernità e una teologia della croce in Hegel, Juengel e Balthasar: A. Toniolo, La theologia crucis nel contesto della modernità, Milano 1995. ad 6. Th.Proepper, Evangelium und freie Vernunft, Freiburg 2001.; per KI.Muelier vd. ad 2. ad 8 G. Bader, Melancholie und Metapher, Tuebingen 1990; Symbolik des Todes Jesu, Tuebingen 1988; M.Moxter, Kultur als Lebenswelt, Tuebingen 2000; Ph. Stoellger, Metapher und Lebensweit, Tuebingen 2000; M.Bongardt, Die Fraglichkeit der Offenbarung, Regensburg 2000. I lavori di Dalferth mediano permanentemente tra i mondi della linguistica, del mito, della rivelazione, per rendere possibile un discorso su Dio sotto le condizioni postmoderne. ad 10 A. N. Terrin, Il rito, Brescia 2000; id. (ed.), Liturgia e incarnazione, Padova 1997; da confrontare colle opere di M.Perniola, Più-che-sacro, più-che-profano, Milano 1992; id., Il sentire cattolico, Bologna 2001; A Grillo, Teologia fondamentale e liturgia, Padova 1995. S.Ubbiali (ed.), Mistica e ritualità, Padova 1999; G.Bader, Die Abendmahlsfeier, Tuebingen 1993; id. Psalterium affectuum palaestra, Tuebingen 1996. ad 11. Accanto al già citato H. Schmitz, vi è il teologo protestante H. Timm e la sua fenomenologia dello Spirito Santo in quattro volumi, per noi significativi per la vicinanza alla sensibilità greca ed ebraica: Das Weltquadrat. Eine religioese Kosmologie, Guetersloh 1986; Diesseits des Himmels, ib.1988; Zwischenfaelle. Die religioese Grundierung des Alltags, ib.1986 ad 12. Un riassunto si trova presso E. Salmann, Erfahrung mit der Erfahrung: Kl.Arntz/P.Schallenberg (Hrsg.), Ethik zwischen Anspruch und Zuspruch (FS Demmer), Freiburg 1996, 125-139; id., Gezeitigte Freiheit - gefreite Zeit. Erwaegungen zur menschlichen 'Mythobiographie’: J.Quitterer/ A.Schwibach (Hrsg.), Der Aufgang der Wahrheit (FS C.Huber), Zagreb 2001, 87-100. ad 13. P. Ciardella – M. Gronchi (edd.), Testimonianza e verità, Roma 2000; bella la testimonianza sulla testimonianza in P. Ricoeur, La critica e la convinzione, Milano 1997; istruttiva e commovente la grande biografia su de Certeau: F. Dosse, Michel de Certeau. Le marcheur blessé, Paris 2002. Per una “analysis fidei” drammatico-biografica dopo Nietzsche: D. D’Alessio, Ecce homo. II dramma dell'umanesimo cristiano, Milano 2000. ad 14. Sarebbe eccitante leggere insieme il romanzo di Werfel e il libro di A. Neher, Il silenzio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, Casale Monferrato 1983. Per il tragico nel cristianesimo sulla scia del teatro greco: R. Ottone, Il tragico come domanda, Milano 1998; suggestiva anche una lettura parallela dell'opera di Werfel del romanzo “pagano-sapienziale” della Yourcenar, Memorie di Adriano, nonché della versione ironico-archetipale dei racconti biblici in Th. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli.