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LORENZO AGNELLI E LE CALABRIE
Con Decreto Regio del 20 agosto 1865 Lorenzo Agnelli veniva trasferito
dal Liceo Governativo "C. Broggia" di Lucera, ove da incaricato insegnava Lettere italiane, al R. Liceo Ginnasiale "Galluppi" di Catanzaro, in qualità di Vice
Direttore.
Originario di S. Agata di Puglia (Foggia) ove nacque il 6 gennaio 1830,
terzogenito dei dieci figli di Saverio e Angela Mazzeo, l'Agnelli crebbe in un
ambiente culturalmente modesto, ma sano ed equilibrato, ricco di stimoli e dei
più autentici valori. Dai genitori, onesti e laboriosissimi, che traevano sostentamento per la numerosa famiglia dalle risorse agricole e dal contributo di un
prozio prete, imparò ad amare la famiglia, il lavoro, la rettitudine, il sacrificio,
l'onestà.
Destinato al sacerdozio dal momento della nascita per volere dei familiari, furono a lui dedicate cure ed attenzioni più che agli altri figli. Verso i 6-7
anni fu affidato ad un sacrestano perché imparasse a leggere e scrivere, poi all'arciprete Nicola Morese, che teneva scuola privata per altri ragazzi del paese e
che lo iniziò allo studio del latino.
Nel novembre del 1846 entrò nel seminario di Bovino, donde uscì sacerdote nel dicembre del 1854. Nel corso degli studi che lo portarono al sacerdozio si distinse per la diligenza, il senso del dovere, il profitto, le considerevoli
capacità di apprendimento, l'amore per le lettere.
Rientrato in paese nel 1854, l'Agnelli comprese subito quanto statica
fosse la realtà culturale dell'ambiente. Voleva introdurre, perciò, qualcosa di
fresco, stimolante, vitale e costruttivo. Lo richiedevano anche i tempi, che
promettevano ormai grossi rivolgimenti politico-sociali. Suo pensiero costante
fu l'elevazione del popolo, della classe meno abbiente, dei contadini. Propose,
tracciandone anche un sommario programma, l'istituzione di una scuola di insegnamento secondario a spese del Comune e di una biblioteca comunale. Della biblioteca dovevano poter fruire tutti, ma soprattutto il popolo, che non aveva altra possibilità di avvicinarsi al libro se non tramite una istituzione pubblica. Pensò anche al modo di realizzare questo progetto senza gravare solo
sulle finanze comunali: "ogni uomo del ceto civile si sottoscriverebbe per dodici carlini all'anno, il clero porrebbe in comune la sua parte, il comune metterebbe in bilancio 100 ducati all'anno..." 1. Si fece anche animatore di un vero
1 - AGNELLI L., Memorie, Sciacca, 1870 - Biblioteca Provinciale di Foggia - Manoscritto inedito n. 119, carta 14 v.
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e proprio cenacolo culturale, galvanizzando un gruppo di brillanti intelligenze
con il programma di raccogliere poesie e scritti vari di concittadini viventi e
direttamente dalla bocca del popolo i canti popolari, da pubblicare sotto il titolo di Strenna. Ma "nemo propheta in patria". I suoi disegni, propri di un uomo
nuovo, erano destinati, purtroppo, a non realizzarsi per le contrarietà che gli
venivano da più parti. "... è l'eterna sventura dei piccioli paesi l'intoppare nei
malvagi e negli stolidi facilmente creduti 2... i pochi che credonsi veditori e galantuomini, perché leggicchianti si aduggiano nel sentire che la gente popolana
si alzi..." 3.
***
La vita del seminario prima e l'impatto poi con la difficile realtà del suo
paese natale gli fecero ben presto comprendere che non l'attendevano prove
facili e che molto avrebbe avuto a patire: "... giovinetto ancora cominciai a sentire l'acerbo peso dei disinganni e della sventura ora sotto l'aspetto di un flagello che minaccia e distrugge, ora sotto il flusso di ingiustizie. Tra il cuore che
sognava bene e gloria ed ardeva, tra la funesta ira degli uomini che comprimevano i generosi ardimenti, e le repentine ed impensate sventure di famiglia, l'animo incominciò a sospettare degli uomini, a temere delle cose, ed a provare
continuamente i tormenti del dolore. Il mondo mi apparve in un continuo malessere, in un travaglio..." 4.
Aveva 29 anni quando gli morì il padre cinquantaduenne. La perdita del
genitore gli fece d'un tratto sentire sulle spalle il peso della numerosa famiglia,
che ormai dipendeva da lui: e lui fu sostegno, lui fu guida e conforto sempre.
"La morte di mio padre m'impose un gran dovere, cui disonoratamente avrei
potuto rinunziare, perché la famiglia avrebbe dovuto da sè provvedere a se
stessa. Ma come poteva riuscire a bene se i debiti assorbivano le rendite, i vigneti ed il ricolto non bastavano alle spese ordinarie? Tenni a religione sacrificar tutto me al bene delle sorelle e dei fratelli" 5.
Ebbe fede nella Provvidenza sempre e si rifugiava nello studio per ricreare lo spirito e riprendere forza morale: "Lo studio mi è stato come un bisogno
in cui potevo disfogare e calmare l'infrenabi2 - Ibidem, op. cit., c. 14 v.
3 - Ibidem, op. cit., c. 14 v.
4 - AGNELLI L., Scritti vari ed inediti del prof. Lorenzo Agnelli, Direttore del R.
Ginnasio di Sciacca, vol. 1, Sciacca, 1862. Biblioteca Provinciale di Foggia, Manoscritto inedito n. 135, L'arte e i miei scritti, c. 7 v.
5 - AGNELLI L., Memorie, 119 cit., c. 32 v.
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le ansia dell'animo ed un rifugio alle affligenti considerazioni della vita" 6. Studiava, meditava, scriveva. La sua prima educazione letteraria gli venne dagli
scrittori italiani neocattolici che scrissero dal '30 al 50; successivamente si arricchì grazie ad altri autori classici e contemporanei, italiani e stranieri.
Per verificare la sua cultura e le sue doti di educatore, nonché le sue capacità comunicative scrisse e recitò nei tre anni che trascorse a S. Agata (18541857) diversi panegirici ed orazioni sacre, svolse catechesi spiegando al popolo
il vangelo ogni domenica, nella chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo, e
tenne, anche per necessità economiche, lezioni private per dieci carlini al mese
7.
Poiché sacerdote, educato all'ideale giobertiano, poi filoborbonico, non
potendo condividere la politica e la legislazione anticlericale del governo subalpino, mirante alla laicizzazione dell'intera Italia con l'unità politica, gli fu difficile inserirsi nelle scuole governative, ove sembravano favoriti ex preti, ex frati,
liberali e comunque gente votata al nuovo regime 8. "Ripensando alle mie condizioni nelle quali ho dovuto vivere, a me stesso pare soverchio se non prodigioso quello che ho fatto, combattendo contro ingiustizie di uomini, avversità
di fortuna, mancanza di vita pubblica e comunicativa, e spesso anche di libri" 9.
6 - AGNELLI L., Scritti vari, etc., ms. cit. n. 135, c. 10 v.
7 - AGNELLI L., Amministrazione, Cefalù, 1879. Archivio privato Ing. Giuseppe Agnelli, Bari. Carte non numerate.
8 - Verso l'Agnelli i liberali santagatesi nutrirono una costante e perseverante avversione. Cercarono anche di farlo cacciare dal Seminario di Bovino, ove insegnò dal
1857 al 1860: "... Arrosisco al pensarlo: ma è cosa ordinaria che i peggiori nemici son
quelli della casa; nè profeta fu mai accettevole nel suo paese..." (Memorie, c. 21 v.). Nel
luglio del 1861 un sacerdote di S. Agata al Governatore di Capitanata scriveva dell'Agnelli
e dell'amico sac. G. Danza (entrambi avevano chiesto ammissione all'insegnamento popolare): "... questi due sacerdoti sono nemici dichiarati dell'attuale Governo, e l'hanno
sempre contraddetto con mille calunnie, gittando malcontento nel popolo, col dipingere
l'augustissimo nostro Re Vittorio Emanuele quale usurpatore, e nemico della Religione, e
l'indulgenza usata a questi due preti gli ha fatti ora più ardimentosi e nocivi che prima,
perché ora sono due spie giurate di Mons. Gallo e Montuoro... Quando faceva la rivoluzione... gittavano fuoco di reazione nel popolo... Ed ora si soffrirebbe l'amarezza di vedere settari di reazione prendersi un pane da quella mano che tuttora maledicono... E quale
istruzione si avrebbero da costoro i figli di un popolo...? Istruzione di spionaggio, di dispotismo, di immoralità, d'ipocrisia..." (Archivio di Stato di Foggia, Pubblica Istruzione,
F. 91, f. 2244).
9 - AGNELLI L., Scritti vari, etc., ms. n. 135 cit., c. 12 v.
"Tutto ciò che facevo, lo era per volontà mia; in casa niuno sapeva e voleva vigilarmi,
neanco raccomandarmi lo studio". (Memorie, c. 8 v.).
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Dal novembre del 1857 all'agosto 1860 insegnò "bassa umanità" nel
seminario di Bovino, di cui fu anche economo; dal 20 novembre 1861 all'agosto 1862 fu maestro di "belle lettere" nel seminario di Ariano Irpino (cattedra che era già stata di P. Paolo Parzanese). Entrò nelle scuole di stato
con D.R. del 31 gennaio 1864, come professore incaricato di lettere italiane
nel Liceo di Lucera, ove rimase per due anni. Stando in Lucera pubblicò il
corso di letteratura tenuto per gli studenti di Ariano nel 1862, che uscì per i
tipi dell'editore napoletano Lombardi con il titolo di "Filosofia delle letterature", e fu socio promotore dell'Accademia Agronomo-letteraria Lucerina
con il professore di botanica Parente.
***
Da Lucera Lorenzo Agnelli fu mandato a Catanzaro come Vice Direttore del Ginnasio Liceo "Galluppi" nel 1865.
Accettò "a malincuore e con infiniti patimenti" e dopo molte titubanze il trasferimento. A Lucera si trovava bene, in un liceo fra i più prestigiosi della provincia, a quattro passi da casa sua, tra persone familiari. La
Calabria gli appariva come un'avventura e Catanzaro troppo lontana. Il passaggio da docente a vice direttore più che una promozione gli sembrò una
punizione e l'inizio di un esilio.
In quel periodo nel napoletano infieriva il colera: un motivo in più per
giungere nella nuova sede con un po' di ritardo. Partì da S. Agata il 1° novembre. Attraverso Grottaminarda ed Avellino arrivò a Salerno. Qui fu costretto a
sostare fino al giorno 13 a causa dell'epidemia e del grande esodo della gente
verso la Calabria. "L'unica vettura postale che giornalmente parte da Napoli per
le Calabrie, giungeva sempre gremita di calabresi, che impauriti dal crescere del
cholera si avevano accaparrati i posti di partenza sempre per anticipazione: carrozze salernitane non intraprendevano il viaggio se non a prezzi esorbitanti, ed
appena sino a Spezzano e Castrovillari" 10. Ripensò alla famiglia, ebbe la tentazione di ritornare a casa, temette "come un fanciullo", ma alla fine prevalse la
decisione a non indietreggiare. Cosa avrebbero detto e pensato i santagatesi nel
vederlo rientrare nel paese? E S. Agata, cosa gli prometteva? Ci voleva coraggio. Sarebbe andato a Catanzaro. A Salerno incontrò il proféssore di fisica
Giovanni Palmieri di Monopoli, suo collega a Lucera. Con lui visitò la città, che
lo affascinò. In quella
10 - AGNELLI L., I miei viaggi per le Calabrie e la Sicilia, Catanzaro, 1866-69.
Biblioteca Provinciale di Foggia, Manoscritto inedito n. 108, c. 10 v.
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permanenza forzata pensò di scrivere "I miei viaggi per le Calabrie". Visitò, tra
l'altro, il palazzo della prefettura ed ammirò in una sala il gran dipinto di Giuseppe de Mattia di Vallo raffigurante la principessa Sichelgaita con Roberto il
Guiscardo, circondata dai figli minori Ruggero e Boemondo, il fratello del re di
Babilonia e un vecchio scalzo che porgeva a Roberto le opere di Aristotele e
Galeno. L'opera gli ispirò il componimento "Costantino Africano e Roberto il
Guiscardo", aggiunto poi a "I monti della Calabria". Partì quindi per Catanzaro,
ove giunse il 22 novembre, dopo un avventuroso viaggio e soste ancor più avventurose tra briganti. Alloggiò nel convitto. Era Preside Rettore il sacerdote
Niccolò Stranieri di Barletta 11, sulla quarantina "buon ingegno, mediocri studi... mezzana pratica di scrivere, molto contegno, alcune volte esagerato ed irritante, buon cuore, sa fingere a tempo e corteggiare, sufficiente pratica nel suo
ufficio, volontà grande di compierlo bene, destro nel conversare..." 12.
Con lui l'Agnelli familiarizzò subito e stabilì un rapporto di amicizia sincera e profonda, basata su una stima vera, su una comunanza di ideali e di aspirazioni 13. Grazie a lui ed all'intero consiglio di amministrazione ebbe vitto ed
alloggio gratuito nel convitto per la maggior parte del tempo trascorso a Catanzaro. Il preside Stranieri succedeva nell'incarico a Filippo Patella (ex parroco di
un paese del Cilento ed ex maggiore garibaldino dei Mille), trasferito dal Liceo
di Lucera, del cui convitto era stato Rettore, a Catanzaro dopo la proditoria
uccisione del preside piemontese Antonio Ghiglioni. È bene notare a questo
punto che un altro pugliese dirigeva un altro importante istituto scolastico della
città, le scuole magistrali femminili, di cui poteva dirsi il fondatore: il canonico
Pasquale Barba di Gallipoli, brillante figura di educatore e dirigente, molto stimato, noto ed influente nell'ambiente catanzarese. Col Barba, che spesso lo
invitava a visitare il suo Istituto, l'Agnelli fu in ottimi rapporti. Nel corso del
1866 un altro pugliese, Giuseppe Bortone, ex prete di Lecce, fu trasferito da
Lucera a Catanzaro come censore di disciplina del Galluppi.
Nel periodo che stiamo considerando, quindi, gli istituti scolastici più
importanti di Catanzaro erano diretti da pugliesi: Nicola
11 - COLAPIETRA R., in Potere e Cultura a Catanzaro dall'Unità alla Re pubblica, Soveria Mannella (Cz), Ed. Rubbettino, 1982, p. 26, nota 21, lo dice, erroneamente, nativo di Brescia.
12 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 31 v.
13 - L'Agnelli e lo Stranieri di comune accordo adottano a Catanzaro l'abito
ecclesiastico corto fuori della chiesa, al posto del talare lungo.
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Stranieri, Lorenzo Agnelli e Pasquale Barba, tre religiosi che naturalmente dovevano dare alla scuola e quindi alla cultura un'impronta di stampo cattolico e,
per quanto mi è stato possibile dedurre dalle annotazioni dell'Agnelli, anche
abbastanza progressista.
Per la verità il liceo "Galluppi", che fu degli Scolopi, era stato avviato alla laicizzazione dal Ghiglioni prima e poi dal Patella, il quale con la collaborazione di qualche docente, come il Tamburini (ex scolopio ammogliato) aveva
introdotto nella scuola la rivolta al posto della disciplina. "... per opera del Patella e del Tamburini trovammo distratta la disciplina e le menti dei giovani
torte a ree sentenze. Che se i pochi buoni avessero taciuto o tornato indietro, la
gioventù e gli studi starebbero a tanti tanto peggiori" 14.
Lo Stranieri ereditava, quindi, una realtà scolastica tutt'altro che facile, in
un ambiente non scevro di sospetti e prevenzioni, che richiedeva comprensione ma soprattutto fermezza. Ed in ciò gli fu di valido sostegno l'Agnelli. Un'intesa perfetta univa i due pugliesi nell'organizzazione didattico-disciplinare della
scuola e questo convergere di impegni fu tutto a vantaggio della stessa che, in
breve, acquistò prestigio e buona fama. Nota l'Agnelli nelle "Memorie": "La
mia fermezza e sincerità gli giovava anche quando qualche servo cacciato dal
convitto il minacciò invano, sapendolo al passeggio sempre con me che conoscevano risoluto e sempre armato col revolver e col bastone a lama lunga..." 15.
A Catanzaro l'Agnelli rimase tre anni e visse la sua stagione più lieta dal
punto di vista spirituale, culturale ed operativo. La serietà e lo zelo profusi nell'attività didattica, uniti ad un'eccezionale carica di entusiasmo, la sua ricca umanità, la sua considerevole apertura culturale lo resero ben presto noto e benvoluto e lo introdussero nei più colti ambiti cittadini. Prese subito ad amare
Catanzaro e la Calabria. "... Il Lagonegrese mi aveva profondamente contristato... Mettendo il piede nel limitare delle Calabrie, l'animo si risollevava come se
si avvicinasse alle case paterne", dirà ne "I miei viaggi" 16. E nelle "Memorie"
annota: "... Eccellente alloggio, affetto degli alunni, concordia con gli insegnanti, simpatia dai cittadini, frutto bastevole dalle fatiche, amicizia piena col Preside, aria salutare, campagne pittoresche, e qualche onesto divertimento mi fecero amare il soggiorno di Catanzaro e le Calabrie, sulle quali scrissi con entusiasmo e stampai I monti delle Calabrie, versi che spontanei mi
14 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 39 v.
15 - Ibidem, cc. 34 r. - 35 v.
16 - AGNELLI L., I miei viaggi, ms. 108 cit., c. 22 v.
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uscivano anche dopo la stanchezza della scuola. Tanto è vero che dove il cuore
è pieno, il genio prende vita e slancio. È poi Catanzaro una città gremita di uffizi pubblici ed impiegati con i quali è facile conversare dove e come si vuole: le
famiglie paesane hanno fortuna ricevervi nelle serate, sia a conversare, sia a
sentire il pianoforte, sia il canto" 17.
Supplì vari docenti di diverse discipline, come il prof. Luigi Conte, veronese, insegnante di filosofia, partito per la guerra nel 1866. Nei primi tre mesi
dell'anno scolastico 1867 sostituì nella classe terza l'insegnante Enrico Pozzetto
di Crema; nelle vacanze dello stesso anno il Preside Stranieri anche nell'amministrazione del convitto, riuscendo ad economizzare una buona somma, che gli
consentì di rifare i muri del cortile, piantare agrumi e fiori nel giardino, rendendo così l'ambiente decoroso e ridente. Ispezionò il ginnasio di Santa Severina
nella stessa estate ed il 7 agosto 1867 fu esaminatore per le patenti magistrali.
Da maggio a luglio del 1868 supplì nella quinta classe l'insegnante di lettere
Giuseppe Poli trasferito in Sardegna.
Riuscì a conciliare felicemente gli impegni di vice direttore, di docente
(impartiva anche lezioni private per 30 lire al mese per ciascun alunno), di sacerdote (celebrava solo nella cappella del convitto e mai fuori perché i catanzaresi non chiedevano celebrazioni di messe a preti forestieri) con altri prettamente culturali propri della Calabria, alla quale dedicò alcune delle sue opere
più significative dal punto di vista storico-ambientale-sociale.
Il dotto Luigi Grimaldi, Presidente dell'Accademia di Scienze e Lettere
di Catanzaro, con l'approvazione di tutti i membri, il 10 dicembre 1866 lo nominò socio onorario ed il 26 giugno 1867 socio ordinario della stessa. Il 27
gennaio 1867 l'Agnelli entrò a far parte, come socio corrispondente, della Società letteraria "Alessandro Poerio", presieduta da Vincenzo Gallo di Rocca
Ferdinandea e costituita, come lui stesso nota, dalla migliore gioventù di Catanzaro. Ottimi erano i rapporti che lo legavano ai leaders culturali dell'ambiente
calabrese: Luigi Grimaldi, autore degli Studi statistici, in cui inserì un importantissimo capitolo sull'arte serica in Calabria ed in Catanzaro, promotore ed animatore di iniziative tendenti alla conoscenza ed allo studio del territorio (nel
1866 portava a termine uno studio sui dialetti calabresi); Domenico Marincola,
docente del Galluppi, "nelle patrie storie versatissimo", già autore di monografie edite su Sibari, Mesma, Petelia, Ipponio, Temesa e inedite su Cosenza, Sciletio e Pandosia; Ippolito de Riso, deputato, che tra il settembre e l'ottobre del
1867 lesse nell'Accademia di Scienze e Lettere
17 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 60 v.
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l'opera "La vita e le opere di Cassiodoro"; A. Serravalle che successe al Grimaldi nella guida dell'Accademia. Il Nostro fu molto amico di famiglie ragguardevoli, fra cui quella dei Colosimi di Sersale e Mauro Pirrò. Era in rapporti epistolari con Nicolò Tommaseo, Michele Praus, Cesare Cantù, Diego
Vitrioli, Ercole Ricotti, Vito Fornari, Aleardo Aleardi.
Le sollecitazioni accademiche lo indussero a volgere le sue attenzioni ed
i suoi studi alle Calabrie, non distogliendolo tuttavia da quelli per la sua provincia, che spesso raffrontava alla calabrese, nè da quelli specifici sul suo luogo
natio, S. Agata di Puglia, per il quale stava portando a termine la "Cronaca di
Santagata di Puglia", che pubblicherà a Sciacca nel 1869.
Recepì le istanze di base dell'Accademia e partecipò attivamente e con
valido contributo a quella corrente di vitalità di studi ed a quel risveglio sociopolitico che caratterizzò Catanzaro nel periodo post unitario, contributo che
non si esaurirà nell'arco dei tre anni da lui ivi vissuti, ma lascerà tracce durature
ed incisive nella coscienza e nella formazione dei giovani e nella stessa facies
culturale della città.
Per l'Accademia compose e lesse in varie sedute "I monti della Calabria" nel 1866 18. Gli articoli letti furono pubblicati in un volume sotto lo
stesso titolo a Catanzaro dalla tipografia All'insegna del Pitagora nel 1867.
Dedicò l'opera a Niccolò Stranieri: "Quivi giungemmo, e per due anni, lavoriamo insieme con affetto sincero a questa speranzosa gioventù calabrese...
Le Calabrie ci son piaciute, uomini e cose: le abbiamo studiato ed amato. Il
loro passato è splendido, l'avvenire non meno: l'uno e l'altro sta scritto sopra
i loro monti. Li ho cantati ed i miei versi, malinconici ricordi e speranze nuove, consacro a voi..." (28 gennaio 1867) 19. In risposta: "Lorenzo mio, mi offri
a testimonio di affetto i tuoi sentiti e robusti versi... Li accetto di cuore; amo
anche io la Calabria quanto il possa un vero cuore calabrese... I monti calabresi a te ispirarono il canto, in me raddoppiarono amore e lena per l'avvenire
di quei figli che oramai non di Calabria sola, ma di tutta l'Italia sono la speranza e saranno la gloria. A Catanzaro ci lega un affetto sacro... la gratitudine... Il tutto tuo N. Stranieri. 29 gennaio 1867" 20.
18 - AGNELLI L., I monti della Calabria, aggiunto Costantino Africano e Roberto il
Guiscardo, Catanzaro, Tip. all'insegna del Pitagora, 1867. Dedicò al padre, Saverio Agnelli, "Costantino Africano e Roberto il Guiscardo"; alla madre, Angela
Mazzeo, "La santa spina", lavoro in versi composto in Ariano Irpino nel 1862,
pubblicato a pp. 81-84 de "I monti della Calabria".
19 - AGNELLI L., op. cit ., p. 3.
20 - AGNELLI L., op. cit ., p. 4.
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Il 20 giugno 1866, sempre nell'Accademia, lesse la relazione sulla
seconda dispensa dell'opera del Prof. Linguiti "Le lettere italiane considerate nella storia" 21 .
Nel 1867 compose e lesse "La quistione della Sila" e "Gita in Sila";
nel 1868 pubblicò con la Tipografia del Pitagora "Escursione nella Sila",
quattro articoli già letti nell'Accademia: Prospetto topografico della Sila, Il
mistero della Sila, La popolazione della Sila, La viabilità della Sila 22.
Scrisse anche, su richiesta del Serravalle, un articolo su un processo
ad una strega che il catanzarese Raffaelli aveva difeso in giudizio a Napoli
nel '700, articolo pubblicato su "Il giurista calabrese", che riscosse successo e fu elogiato da molti giornali.
Altri articoli di contenuto vario scrisse sul giornale "La Calabria"
nei numeri 27, 30, 32, 35, 47, del 1866, articoli che solitamente non riportavano la sua firma.
***
La sua attività di scrittore rivolta all'ambiente ed all'uomo della Calabria, visti nel reciproco rapporto di interdipendenza, nelle caratteristiche
storiche, sociologiche, ecologiche, umane, alla cultura popolare, agli usi e
costumi, alle tradizioni, alle manifestazioni religiose e folcloristiche, ci
consente ora di leggere pagine che risultano eccezionali documenti di palpitante attualità, che inducono a riflettere su quella che fu ed è la questione meridionale nelle sue forme più esasperate, più autentiche, più vere.
L'Agnelli amò la Calabria nella sua ricchezza e nella sua miseria, ne
volle capire la storia nelle luci e nelle ombre. Nell'analisi del problema
sociale studiò e valutò il grande problema del brigantaggio, sollecitò l'elevazione culturale delle masse, la valorizzazione delle immense possibilità e
risorse naturali, umane, materiali. Ripose grandissima fiducia nella gioventù, che considerò la vera promessa della Calabria.
21 - AGNELLI L., Miscellanea di scritti, Biblioteca Provinciale di Foggia,
m s . 121, cc. 34-35.
22 - Su richiesta del Serravalle, Carlo Tarantino, professore del Gallu ppi, il 7 giugno 1868 lesse il suo lavoro di ricerca ambientale dal titolo "Cenni
fisico -geologici della Media Calabria e brevi notizie agronomiche". Il Colapietra rileva: "Oltre a spostare il discorso sul piano meramente descrittivo
preferito dai conservatori, liquidava con un sommario accenno ciò che nello
studioso di S. Agata era potuto apparire materia d'incisivo intervento rifo rmistico" (o p. c i t . p p . 21-22).
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"Comunque sia, queste province meritano rispetto ed amore, grandissimo sì perché furono la regione più classica d'Italia, dopo il Lazio, sì perché han
tali ricchezze naturali, che un avvenire lietissimo non loro manca, se la vita civile, agricola e commerciale si andrà sviluppando. Vi sono quistioni vitali, che
non potransi rimanere insolute, senza perpetuare la cancrena del brigantaggio;
son quistioni sociali. Alla gioventù, che non porterà rancori e pretenzioni saranno confidate: ... il popolo svegliato all'affetto del lavoro, camminerà meglio
che altri, alla prosperità, alla gloria, all'avvenire delle Calabrie" 23.
"... Altrove le Calabrie vengono immaginate un deserto, o montagne
crude e paurose, e gli abitanti gente selvatica, accoltellatrice e fuori governo.
Falsa ed ingiusta l'una e l'altra cosa. I monti della Calabria sono una mirabile
storia, in cui si leggono più di tremila anni di fatti, e di vicende clamorose. La
gioventù è una magnifica speranza. La storia delle Calabrie raccoglie la primitiva civiltà d'Italia, che prima da quì tolse il nome; è un solco luminoso, che nell'antichissima tenebre dei tempi ha segnato le sorti italiane. Quivi gloria di armi,
di lettere, di scienze, di leggi, quivi commercio, coraggio di uomini, bellezza di
donne; quivi monumenti, ricchezze, istituti, ardor di libertà... E dietro questa
gloria, e sovra questi monti è la speranza patria, la gioventù, che nell'amore degli studii unisce la modestia e la temperanza, allo slancio della libertà il sentimento dell'onoratezza e della gloria. Le Calabrie e le Puglie erano la Magna
Grecia, cioè furono sorelle che si lavano e si specchiano nelle medesime acque;
siano sempre sorelle... dev'essere la gioventù, che, mettendo a paragone l'antica
con la moderna Calabria, deve pugnare contro l'ignoranza, iregiudizi, e la miseria della plebe, contro inveterate prepotenze" 24 .
E da "Escursione nella Sila": "Tutto questo altopiano calabro compendia
la diversa natura geologica e vegetale d'Italia con le sue infinite accidentalità di
terreni, di torrenti, di fiumi, di cultura, di climi. Nelle zone terragne dell'antica
Sila, dicono gli storici, nacque prima il fortunato nome d'Italia; in questa estrema penisola calabra surse la storia della penisola italiana, e quasi provvidenzialmente venne, che quest'ultima plaga mediterranea riepiloghi e rappresenti
tutta la patria nostra dalle Alpi a Scilla" 25.
Condannò il dissodamento agrario dei boschi, l'incendio e la di23 - AGNELLI L., I monti della Calabria, etc., p. 94.
24 - AGNELLI L., op. cit., p . 5.
25 - AGNELLI L., Escursione nella Sila, Catanzaro, Tip. all'insegna del Pitagora, 1868, p p . 5-6.
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struzione selvaggia degli alberi: "Nella Sila l'economia silvana andò sempre in sciupo in maniere devastatrici, ed oggi ancora peggio. Lo stato ed i
comuni barattano considerevoli somme per i guardaboschi, che sono primi ad incitare, per mercimonio, od indolenza, alla distruzione degli alberi,
necessari agli usi della vita e del commercio. Il disboscamento di alcune
contrade dovrebbe essere compiuto con senno ed arte, e non per incendio
o per modi, che distruggono senza guadagno... Ma più acerba e dispiacente è la vista delle selve bruciate..." 26.
Fu affascinato l'Agnelli dal mistero della Sila e dalle sue bellezze naturali: "In autunno la rugiada notturna s'apprende, coagola, si aggiela intorno ai pinoli, che ne restano non solo a bianco vestiti, ma immorsati
nella saldatura brinosa. Con lo spuntare del sole i pinoli disgelandosi
romponsi, si schiattano con uno scoppiettio vario e succedentesi, seminando orizzontalmente gli scossi semi, sicché ad un tempo senti un continuo scoppiettar che si ripete ed echeggia tra il silenzio della selva, e vedi
una pioggia fitta di pinolini, che scende e grilla tra le fronde ed i rami sottani... Il sole si piegava dietro la Sila, il cui crine pieno di faggi, di pini e di
qualche abete era percosso ed illuminato dai morenti raggi. Quel crine
piegandosi a seconda l'altezza e la varietà delle montagne e dei colli, sembrava un'immensa frangia, che ora s'affonda come a precipizio, ora pare
che spezzasi, ora si rialza a gomito, ed a punta, ed ora mollemente curvandosi prende mille altre guise. La prodigiosa varietà di quell'arborea
frangia, ripercossa e pinta dai rinfrangentisi raggi sembrava una stragrande
fascia di colori, che vincevano la varietà e la bellezza dell'iride; un fondo
aurato sfumantesi era mirabilmente colorito per tante maniere diverse per
quanti erano i capricci e le positure delle chiome degli alberi. Fiocchi di
luce azzurrina in un tratto si dealbavano, o mutavansi a rubino, tinte vivaci di minio, sfuggivano innanzi ad un leggerissimo color celeste, che si
ventilava e s'inchiariva; linee sottolissime di vermiglio incarnato si tramutavano in una zona aurata a fiamme volanti; un gitto di luce repentina
rompeva un mezzo cerchio nereggiante tra uno sfondo. Quindi di minuto
in minuto tutta quella sfera iva cangiandosi dalla massima vivacità sino a
che rimase un pallido e moribondo sorriso tra il sole, ch'era disparito, le
selve, che si rabbrunivano e si abbuiavano, ed il cielo, che si popolava di
stelle. Quello spettacolo mi rapì; rimasi in un'estasi, che mi quetava il respiro quasi per paura di macchiare, o turbare quella serenità di colori. Era
quello il mistero della bellezza" 27.
26 - Ibidem, p. 9.
27 - Ibidem, pp. 20-21.
137
Spunti paesaggistici felici e di effetto, come tanti altri delle sue opere
silane, da cui si delinea la sua chiara vocazione ecologica, oltre alla fede naturalistica.
Perché tanti misteri sulla Sila?
"... Non è meraviglia che nella Sila spuntarono alla mente tanti misteri, se essa stessa in mezzo al secolo delle finanze, delle bancherotte, degl'istituti agricoli è ancora un mistero non solo per i ministri, ma per parte
grandissima dei Calabresi. Perché la Sila è dimenticata, sprezzata, e maledetta?
Perché non si conosce. Ed è veramente un fatto misterioso, che mentre i Romani dopo la seconda guerra punica conobbero, e valutarono le ricchezze silane, dopo due mila anni la stessa Sila è ignorata! " 28.
Nell'analisi delle condizioni socio-politico-economiche della Calabria,
come si può notare dai passi riportati, trovi lo studioso attento che scruta,
indaga, alloga; e dietro lo studioso l'uomo, sempre.
Il disordine e la disparità sociale andavano condannati e corretti subito,
sia da parte dei ricchi che dei poveri: "... Lo stato normale delle Calabrie (specialmente di quella parte, che corrisponde all'antica Brezia, cioè il Cosentino, e
buon taglio del Catanzarese) è stato questo, cioè una certa classe di ricchi proprietarii in forma di baronia, ed un'altra numerosa classe di mediocri lavoratori.
La mancanza di centri sufficientemente popolati, e lo sterminato numero di
villaggetti, di casali, di gruppi rurali, e di paesuncoli spiega il fatto accennato. ...
La mancanza di strade, forse voluta a studio, la topografia sequestrata e difficile
dei paesettini, surti più per difesa, che per opportunità commerciale, l'ignoranza
ed un tenore di vita boscareccia e vassalla tennero isolati i villaggi, spesso in
uggia, e qualche volta anche a gara di sangue. Aggiungasi che i ricchi dei paesi
montani tenevano possessioni nelle zone marittime ... Per questo stato di cose
nacque, che il solo ricco fu riconosciuto come proprietario incontrastato; che i
piccoli proprietari sorgenti doveano cedere sempre al primo, - che il popoletto
sia agricolo, sia mandriano dovea stare a voglia del ricco, donde riceveva alimento, lavoro, proteggimento per le famigliuole. ... L'agricoltura, raccolta nelle
grandi masse dei proprietari, ristagna, perché i prodotti con stento si possono
cambiare, o vendere, mancando l'opportunità del commercio, e perciò dei
compratori. Debbono alcune derrate cadere inesorabilmente nelle branche di
pochi speculatori, che arbitrano sul prezzo nella compra, e lo impongono a
capriccio di smodato guadagno nella, rivendita per i bisogni interni del medesimo paese. L'usu28 - Ibidem, pp. 26-27.
138
ra fa il resto. Cosiffatto guadagno, avvilendo il prezzo, scema l'introito nel
proprietario, ch'è vincolato a tenere in basso, e scemare anche il salario, ed
il prezzo del lavoro, altrimenti il disquilibrio tra l'esito e la rendita ruinerebbe il proprietario in breve tempo.
L'insufficienza e la modicità del salario deturpa la fatica, ed insinua
un'apatia al lavoro, se non un odio. Forse l'unica classe, che meno risente la
povertà della fatica è quella dei pastori, che compartecipano d'un terzo all'utile della pastorizia, detrattene le spese.
... L'armentizia e l'agricoltura sono in gran parte nelle mani dei ricchi
proprietarii. La maggioranza del popolo deve stringersi alla piccola industria, o vivere per quotidiano lavoro che non può essere continuo.
...Stremati così gli ufficii ed i compensi della fatica sì per la numerosa concorrenza delle braccia, sì perché l'agiato può direttamente provvedersi, e
con i mezzi proprii di ciò, che gli è uopo, gran parte del volgo deve tapinare, o vivere di stenti, o emigrare" 29.
Non poteva tacere l'Agnelli lo stato di miseria e di disagio della classe
meno abbiente, e nella descrizione si coglie la compartecipazione del suo
animo cristiano, sensibile e desideroso di equità: "... Spesso mi è accaduto
vedere d'assai uomini emunti ed a cenci dilacerati, e di donne scalze ed immagrite venire trafilate dalle falde silane, affannando per vie dirotte e difficilissime, con travicelli sull'omero, o sul capo, ognuno di soverchiante peso,
venderlo per una lira, o poco più, o poco meno. Quanti stenti ha costato un
viaggio ed un peso così improbi? E con sì maghero guadagno come dar vitto e vestito ad una famigliuola? E dopo un ansare tanto rovinoso ed un travagliar sì continuo si può amare una vita casalinga, e non traboccare ai funesti inviti di una vita di colpe, e di audaci delitti? Il proletario calabrese ha
durezze miserabili e dolorose, e, se non il soccorresse la benignità di una
terra ferace, donde può disbramar la fame anche con l'erba, patirebbe a
doppio delle genti, cui natura scarsamente provvide" 30.
E c'è un perché anche alla ribellione, che può diventare brigantaggio,
ed ai delitti: "... Per cosiffatte condizioni doloranti non sarà meraviglia, che
la gente facilmente ribelli per qualsiasi cagione, e violenta e fiera, sia dal
fanatismo, sia dal sopruso, sia da un incongruo sospetto, corra alle armi, e
non sosti se non la difesa sia passata a vendetta compiuta. Se al malessere
antico e normale aggiungi l'indole vivace, e rischievole, troverai bene la cagione di quel continuo agognare a novità, donde si spera trarre vantaggio
ancorché momentaneo... Il brigantaggio è un certo che di nomadismo, o
una celata rappresaglia, se non vuolsi dire vendetta; è un mestiere tradi29 - Ibidem, pp. 27-28-32-33-34.
30 - Ibidem, pp. 34-35.
139
zionale per non averne altro di meglio: ma in fondo è la voce di un malessere antico e comune. Dal volgo si recluta, sul volgo si appoggia, perché con
esso prova e divide i dolori e gli scarsi delirii della vita. Visitando la Sila, in
cui il brigantaggio passa i giorni più sicuri, ho potuto venire a questa conclusione, che per istinto il brigante calabrese non è sanguinario, altrimenti
farebbe massacri senza essere offeso: tanti sono i ripari, gli agguati, e le
scappatoie, che presentansi in quelle vaste e svariatissime boscaglie: che
ritrova le simpatie della gente campestre, che l'approvigiona, lo guarda, lo
avverte di ogni movimento ostile; che la Sila offre un luogo di acquiescenza
e di allettamento ad una vita spensierata e solitaria, che diviene rapina, perché si vuole difendere e perdurarvi. Comunque sia, il volgo calabrese soffre,
perché d'indole svelta è condannato al marasmo, mancando sodisfacenti
compensi a qualunque fatica. Ma non volendo lucubrare a lungo sulle cause
produttrici del brigantaggio, possiamo dire solo che il brigante può nascere
dalla miseria, dalla mancanza di lavoro, da qualche pertinace rancore, dal
desiderio di vivere più libero, ed anche dal delitto. Ma se a questa vita solitaria ed isolata si opponesse la vita pubblica, e commerciale, l'agiatezza potrebbe divenire comune, il lavoro accessibile a tutti, le prepotenze abbassate, la fierezza plebea ammansita, il monopolio distrutto. Chi guarda le cose
ricordate innanzi troverà le cagioni della dolorosa statistica della giustizia
penale nelle Calabrie. La Lombardia del 6 febbraio con rincrescimento dice:
«Le nostre Corti di Assisie di Milano, Lodi, Pavia, Como e Sondrio diedero
in un anno fra tutte cause 78, e la sola Corte di Cosenza ne diede nell'anno
scorso più di 300 a fronte dell'interruzioni cagionate dal cholera, e dalla malattia del Presidente. In quest'anno poi ve ne saranno ivi a sbrigare più di
500. La spinta al misfatto in quelle regioni è spaventevole, nè possiamo farcene un'idea». Gli uomini di là ignorano le condizioni, l'indole delle Calabrie, e maravigliano dell'enorme spinta al delitto, e gridano contro la ferocia
calabrese, ma non hanno il coraggio di gridare al Governo: Non dimenticate le Calabrie, che soffrono e pagano... Nè si creda che il brigantaggio calabro è stato un fenomeno nuovo, che non ha avuto storia, e che non potrà
risorgere, e minacciare l'avvenire. Sino a che dureranno le medesime condizioni, il brigantaggio, in un giorno di fanatismo e di delirio, sorgerà dalle
ossa dei briganti, e minaccerà sempre la società. Bisogna, che la civiltà faccia disparire le tracce antiche, e colla pace insinui a tutti la concordia del
lavoro e dell'onestà..." 31.
Sospettava di certi interventi governativi che gli sapevano di congiura
e di sfruttamento, e coraggiosamente non li tacque: "... I
31 - Ibidem, pp. 31-34-35-55.
140
Governi succedutisi nel Regno non compresero giammai la Sila nella sua vera
importanza, ed attesero solo a distrarne qualche danno, che ritornava a peggio dello Stato, senza cura a richiederle i vantaggi, che migliorando il benessere delle plebi silane, creavano al Governo stesso simpatie, e risorse. Ma che
loro caleva aspreggiare tanti proprietarii, che aveano potenti aderenze, e potevano sommovere plebi rudi e silvestri, e crear imbarazzi pericolosi?... Nè
creda il Governo, che possa far baratto dei beni demaniali della Sila con associazioni straniere, ed anche di capitalisti di altre provincie italiane. Il brigantaggio sorgerebbe più nutrito e feroce a sturbarne i possessi. La Sila deve essere delle Calabrie, se la si vogliano mettere in pace: qualunque altra speculazione sarebbe come rendere fatale, e necessario il brigantaggio. ... Sventuratamente le Calabrie sono disconosciute, ed iniquamente dimenticate: quasi
distaccate dalla vita pubblica della nazione, ne subiscono l'inconsulto abbandono, come se fossero l'Irlanda e la Polonia d'Italia. Se confidano risorgere
per sola opera governativa, non risorgeranno giammai: l'antico proverbio
francese - ajutati tu, che Dio ti ajuta - deve essere la sola e vera parola perle
Calabrie..." 32.
La storia della Calabria è un po' la storia dello stesso scrittore e della
sua gente. I motivi che fanno della Calabria una terra negletta vanno rimossi.
Ad essa, come alle altre terre del Sud, devono essere restituiti quel decoro e
quel rispetto di cui è degna e meritevole.
Ai mali individuati l'Agnelli propone questi rimedi: "... A chi spetta porvi
rimedio? Tutti gridano al Governo, come se fosse il tutore ed il depositario
universale di ogni cosa. Io credo che spetti a tutti: al Governo per l'iniziativa, ai
proprietarii per i mezzi di associazione e di lavoro, ai proletarii stessi istruendosi, faticando con buona volontà, liberandosi da certi trasporti consumatori e
disonesti. Le utopie hanno esagerato i mali e le speranze delle plebi inquiete,
ponendo la cagione dei primi in un'immaginaria lega di Governi e di proprietarii, eccitando le altre per un avvenire di tempeste. Le speranze esagerate sono
delirii, che non guariscono, ma peggiorano sempre più i mali. La società soffre,
perché di giorno in giorno perde il sentimento e l'opera dell'onestà; soffre ancora, perché il lavoro o manca, o è malamente retribuito. Onestà e lavoro saranno la bandiera di salvezza alla società febbricitante... Bisognerebbe dunque
1°. donare l'abitazione ed il poderetto alla nuova famiglia con obbligo d'un canone, tranne i primi dieci anni - 2°. libero il combustibile, ed il pascolo per un
picciolo numero di bestiame - 3°. franchigia del sale per un decennio - 4°. esenzione di servizio militare per venti anni, obbligo di mantenere libera la Sila
da qualsiasi malfatto32 - Ibidem, pp. 30-31-72.
141
re - 5°. dritto di avere alcuni posti gratuiti negli Stabilimenti governativi per
professioni necessarie alla vita di un paese... Tutt'i grandi proprietarii colonici delle Calabrie dovrebbero usare la medesima diligenza per spingere a
meglio l'industria agricola, e farla rifiorire. Dal loro esempio anche i piccioli
proprietarii prenderebbero argomento, raddoppiando sforzi ed affetto per
la prosperità paesana. In ogni cosa l'esempio al meglio costa qualche sacrificio; ma dal sacrificio, compiuto con volontà efficace e generosa, il bene
s'affaccia sulla terra, e, svecchiandola, la governa..." 33.
Ed infine, sereno ma fermo, il suo auspicio, che è anche incitamento
ad un progresso da ottenersi non nell'inerzia, ma operando e cooperando a
tutti i livelli. Affida agli studiosi, agli scrittori calabresi, il delicato compito
di far conoscere la Calabria nella sua vera luce e farla quindi apprezzare e
rivalutare; agli studi la missione di ristabilire la pace e la serenità nella stessa
società.
"... Facciam voto, che presto gl'Italiani, e massime i Calabresi si conoscano meglio, e si ajutino con il cambio e le permutazioni tanto delle idee, quanto del commercio. Ora bisogna, che gli scrittori, e gli uomini onesti
dismettano utopie e velenose contumelie, dimentichino le vacue astrazioni,
con cui è facilissimo armeggiare con parole impietosamente inani e romoreggianti, e si accomodino a rilevare i positivi interessi del popolo, chiarendone la mente per quelle pratiche virtù, ed in quei studii, che procurando
l'onorata agiatezza calmano e soavizzano gli spiriti soverchiamente ri ritati e
vaneggianti... Lo scrittore calabrese ha poi più urgente dovere di accudire
agl'interessi regionali: le Calabrie, per quanto potranno in sveltezza d'ingegno, e feracità di natura gareggiare con le altre regioni italiane, e forse vincerle, vi si trovano ora in un'inferiorità e malegevolezza incontrastabile,
donde non usciranno, se non si compiranno due leghe, due associazioni,
quella degli scrittori, e quella dei proprietarii-associazione d'ingegniassociazione di ricchezza. È necessario che gli altri conoscano le Calabrie, e
non le apprendano per l'esagerazione del mal nome, che l'è venuto dal brigantaggio, e dall'arte maliziosa di chi avea interesse ad isolare regioni per
ogni verso degne di rispetto. Appoggiandosi ed avvivandosi l'una e l'altra
lega, si toglieranno i due mali calabresi l'ignoranza ed il proletariato. Quando questo fecondo connubio sarà compiuto, vi potrà lietamente dire-che le
Calabrie si sono ricordate della MagnaGrecia..." 34.
33 - Ibidem, pp. 35-36-45-51.
34 - Ibidem, pp. 74-75.
142
L'Agnelli, da attento osservatore-psicologo nelle pagine de "I miei
viaggi per le Calabrie" ci fornisce uno spaccato della vita calabrese negli
anni da lui vissuti a Catanzaro, con annotazioni di vasto interesse.
"L'indole del calabrese va detta indole focosa, mutevole, sanguinaria,
caparbia, intollerante... Il calabrese ha il cuore sensibile e più del dovere e
del bisogno prova l'oltraggio e l'insulto con la medesima intensità del beneficio... Caldo di fantasia, pronto ad intendere le cose, premuroso ad uscire
d'incertezza..." 35.
Notò che nel reggino l'uomo è più pacifico, portato a trovare l'utile
nelle cose, equivoco nella parola; nel cosentino è più severo, intelligente,
cogitativo, con un certo che di riservato e misterioso; sincero, forte, risoluto nel cotronese; tenace, robusto, commettitore di vendette quello della
Sila, zona in cui anche la donna è capace di usare il coltello.
E sulla donna: "... Altera, uggiosa, inceppata" quella proveniente dalle
famiglie più ragguardevoli (la causa è da ricercarsi forse nel fatto che limitavano le scelte matrimoniali nell'ambito delle stesse parentele); svelta, intelligente, snella, vivace la popolana: "La donna si mantiene in disparte dalla
vita civile nella stessa famiglia in cui se vi giunge un forestiero non ha speranza di vedere a pranzo o alla conversazione la madre o la figlia dell'ospite... Cautele e riminiscenze orientali: il divieto fa la donna increscevole di sè
e della vita e la stimola a desideri per un incognito esagerato" 36. Nel capitolo "I portoni di Catanzaro", dopo aver messo in evidenza il disordinato sviluppo urbanistico della città, dovuto all'immigrazione dai centri limitrofi di
molta gente di varia estrazione sociale, e la sporcizia e la cattiva manutenzione delle strade, l'Agnelli riferisce che quotidianamente arrivano dai paesetti vicini ragazze e giovanette che o si mettono al servizio di qualche famiglia benestante o, con la scusa di portare nella città legna o altro da vendere, si fermano in case di lenocinio. Ma sono gli stessi portoni di Catanzaro che favoriscono gli incontri e la facile prostituzione. "La donna in Calabria fatica poco: le aggrada la vita spensierata, vagheggia la vita voluttuosa
che le eccita il senso più per il piacere che per il guadagno... A dodici anni la
ragazza qui s'aggiusta a connubii improvvisi" 37. Le mogli sanno e non contrastano, i mariti, i fratelli sanno e tacciono. Questa facilità a prostituirsi
l'Agnelli l'attribuisce a varie cause, quali il clima, la miseria, l'ignoranza, la
precocità dei sensi. Visitò l'orfanotrofio della Stella per orfane e ragazze
aspiranti maestre e mentre parlava
35 - AGNELLI L., I miei viaggi, ms. 108 cit., c. 75 v.
36 - Ibidem, c. 75 r.
37 - Ibidem, c. 39 r.
143
con una suora sentì delle urla. Ne chiese spiegazioni e gli fu risposto che erano
di una ragazza di soli sedici anni che desiderava marito e che perciò era quasi
impazzita: "Se lasciamo uscire questa, da oggi una dietro l'altra impazziscono
tutte e vogliono la stessa cosa", precisò la suora.
Di queste situazioni l'Agnelli non finiva mai di stupirsi. Ma forse lo stupore maggiore lo colse quando, con il preside Stranieri, passeggiando lungo il
corso, sul muro della Villa, a sinistra, insieme scoprirono e lessero un'iscrizione
latina "raffazzonata dall'ode più epicurea di Orazio":
"Omnes eodem cogimur
dum res et aetas et trium sororum
atra fila patiuntur
Huic
cyterea Venus imminente luna
ducit choros
et iunctae nymphis gratiae ducentes
alterno pede quatiunt terram
Hic
carpe diem
nam
aut adversa sunt mortalia aut prospera
si prospera et fallunt
miser fies frustra axspectando
si adversa et mentiuntur
miser fies frustra timendo
Hic ergo
sume delicias" 38.
Pubblico incitamento alla pubblica prostituzione? All'uno ed all'altro,
meravigliati, parve proprio di sì.
Interessante la pagina intitolata "I festini e le maschere in Calabria".
"Oggi 14 febbraio 1866 giorno delle ceneri è morto... Stagliano, già prefetto di
disciplina in questo convitto, traslocato in Lucera, in cui mai è andato per essere affetto da tisi. Bel giovane, e di buona opinione e sebbene una volta l'avessi
veduto, ho versato una lacrima alla sua morte, all'immatura vita! La morte e la
gioventù sono qualche cosa di amaramente affligente. Ho pensato alla morte di
mio padre, alla lontananza della mia famiglia ed ho pianto in mezzo al funebre
corteo. L'anima afflitta ha bisogno di volare se non sulle gioie che mancano,
sulle vanità almeno. Ecco la ragione perché scrivo oggi.
38 - Ibidem, c. 40 v.
144
Il generale Pallavicino, dopo la presa di Corea, ebbe un titolo di
cittadinanza dal municipio di Catanzaro, che più per raggiri di qualcheduno che
per spontaneità di sentimento impartì al vincitore colonnello di Aspromonte il
dritto di cittadinanza. Il generale credette inaugurare la novella patria con una
festa da ballo, quanto più splendida e sfolgorata potea. Interessò una provincia
per aver cacciagione, e n'ebbe a josa. Il buffet riuscì, se non delicato, ricco e
abbondante. La sera del capodanno del 1866, verso le nove, fummo nel
palazzo divisionale, in cui per la ristrettezza delle sale, convenne patir disagio, e
star siepato di militari. Le donne catanzaresi, sebben all'improviso, mostrarono
sfarzo e non poca civetteria. Il municipio, per rispondere alla splendidezza del
Generale, fermò dare in di lui onore un altro festino ai 7 febbraio, nel palazzo
municipale. Le principali famiglie presero concerto di tassarsi non meno di 60
franchi per ciascheduna e circa novanta vi si sottoscrissero. Il palazzo fu messo
con la maggiore eleganza possibile, e si prestò mirabilmente e per l'ampiezza
della sala e delle stanze, e per la loro simmetria, e per gusto, che vi spiegarono
nell'addobbarlo. Il buffè, i riposti di confetture, e di vini, e la prontezza della
servitù fecero un effetto incantevole. Io non avea veduto di più elegante. Le
donne erano vestite con lusso strabocchevole ed immodesto in alcune, che
pure spiegarono soverchia arrendevolezza. Mi persuasi che la modestia qui sta
un poco al bando.
Un'altra cosa mi ha fatto impressione, le mascherate in questi ultimi giorni.
Nel Natale vidi due presepi, in cui alcuni uomini con l'intento di scroccar danaro,
muovevano alcuni pupi così ridicoli e li accompagnavano con..., e burle, che era
da indispettirsi. Eppure a questa triviale speculazione la sera correvano genti di
ogni stato, e di ogni condizione. Questa foggia di moralità è antica e si è perpetuata specialmente in una famiglia che per un ricordo santissimo, accomoda, a
seconda gli spettatori, le cose ora da bordello ed ora da divozione. Le mascherate
del carnevale sono una cosa da matti. Per più giorni vi è dato vedere qua e là per
tutte le strade genti travestite e mascherate che muovono così freddamente da
farti arrabbiare. Bagasce e pezzenti, artieri e studenti, la vanno così alla spensierata che ti paion gatti che vanno per i fatti loro. La sera poi degli ultimi giorni le
famiglie distinte in maschere ed in carrozza vanno da altre famiglie, e là baldoria"
39.
Un altro capitolo interessante de "I miei viaggi" è "Il clero e le Congregazioni secolari" 40. In esso l'autore riferisce di un clero poco preparato, poco influente nell'esercizio del suo ministero e nella
39 - Ibidem, c. 36 v.
40 - Ibidem, c. 70 v. e r.
145
vita pubblica, poco capace di guidare ed educare il popolo alle pratiche religiose. Cause principali: ignoranza, ipocrisia, disonestà, benefici ecclesiastici
poveri e, di conseguenza, pigrizia, indifferenza, scarso impegno. "Difficilmente si consacra alla severità dello studio chi per altra via deve attendere
ai bisogni della vita". Tutto ciò favorì il monachesimo in ogni epoca, per
opera dei basiliani di Cassiodoro, S. Francesco da Paola, i discepoli di S.
Bruno, monachesimo che spesso si trasformò, come sulle montagne del
vibonese, in un dominio più che feudale. Per mantenere pace tra la massa,
calmare dissidi, pacificare animi e dare una certa solennità e ritualità al culto
religioso, sorsero a Catanzaro quattro congregazioni religiose: l'Immacolata,
il Rosario, il Carmine e S. Giovanni. Le prime due erano formate da rappresentanti di famiglie ricche e notabili, quella di S. Giovanni dagli insigniti
della Croce di Malta e loro discendenti, successivamente anche da bottegai
ed artigiani. Dette confraternite riuscirono a metter su le migliori chiese
della città, che con i suoi 25.000 abitanti aveva tre "chiesoline" parrocchiali,
per giunta mal tenute e mal governate, nove monasteri maschili e tre femminili.
Considerevole la presenza di gente di origine greca e di una "ritualità
riassuntiva di tanti differenti elementi".
A proposito dei riti della Settimana Santa, l'Agnelli ci lascia pagine di
indiscutibile valore documentario che riporto nelle linee più significative.
Le quattro confraternite hanno il diritto di fare ciascuna una processione tra il giovedì ed il venerdì santo. Il diritto di precedenza spetta alla
congregazione dell'Immacolata. "Sono le processioni della "Naca", cioè cuna. Sopra una grande ed aggiustata cuna si porta il Cristo Morto, seguito
dalle statue della Veronica e dell'Addolorata e preceduto da una gran Croce.
Portare uno di questi segni di devozione è un privilegio che si compra con
grande offerta in denaro o in grano, che torna a beneficio della congregazione. Il privilegio si acquista per incanto, quasi concorso subasta e resta al
maggiore offerente. In alcuni anni la Croce o la statua dell'Addolorata si è
incantata sino a cento ducati o 60 tomoli di grano... Soleasi dal mercoledì
cominciare la festa con una gran comitiva di tamburi e gran cassa che accaparrata dalla Congregazione dell'Immacolata percorreva la città... Mettevan
la veglia, e avvinazzati di qua... ubriachi di là facevano un tale stormo che
sembrava un diavole 41.
La notte successiva esce la processione della congregazione del Carmine a suon di tamburi. Le due processioni devono percorrere
41 - Ibidem, c. 72 v.
146
strade diverse e cercare di non incontrarsi mai. Incontrandosi i confratelli dell'una entrano in rissa con quelli dell'altra sino "a coltello teso". Tutti i confratelli
portano una croce e procedono distrattamente, senza dar segno di meditare
sullo scopo del rito. Non perdono occasione di occhieggiare verso finestre e
veroni per scambiarsi sguardi di intesa con le donne affacciate. Di tanto in tanto qualche confratello o componente la banda tira fuori un fiaschetto di vino o
di liquore e beve a sazietà. In mancanza si rifà alla più vicina bettola. "Che se
pietà di lor ti prende... o vuoi richiamarli a serietà son facili a rissarti con le croci e ne può venir fuori un finimondo".
La statua dell'Addolorata e la "Naca" si portano in processioni separate e
per strade diverse. Devono però incontrarsi in un punto convenuto come due
amici che a lungo si sono cercati e poi ritrovati. L'incontro si chiama "Confronta". Alla Confronta seguono le "pigliate", cioè sacre rappresentazioni e dialoghi
sulla Passione, animati da persone in genere ubriache. Un uomo, reso appositamente ubriaco, recita la parte del Cristo, cadendo or qua or là. Gli si conficcano spine acutissime nel capo e gli si lacerano gli avambracci per far fuoruscire sangue. La vista del sangue carica di una strana emotività collettiva la scena
e, perché il dolore venga ben tollerato, si riconforta continuamente l'attore con
abbondanti sorsate di vino. Corrono per le strade uomini nella parte di giudei,
essi pure brilli. Cercano Cristo per flagellarlo. Trovatolo, lo flagellano. Spesso la
flagellazione è avvenuta con tanta violenza da farci scappare veramente il morto, come ricorda la cronaca. "Son fatti che oltraggiano e paganizzano il cristianesimo".
A Stalettia, per raffigurare la Maddalena piangente nell'atto di lavare i
piedi a Cristo, si scelgono il più bel giovane e la più avvenente fanciulla. Il primo siede su uno sgabello, coperto solo da un gonnellino cortissimo, spesso di
carta. Ai suoi piedi la giovane "spalle e petto disvelato, piangendo e toccando e
baciando i piedi a lui gli faceva spesso cangiar colore...".
"Il giovedì santo per Catanzaro è una rivista feminea, che può appellarsi
un piccolo carnevale". Tutte le donne a gruppi, indossando costumi cittadini,
nelle migliori acconciature e ostentando una mostestia provocante si recano in
chiesa dalla mattina a mezzanotte. "Profano e santo in quel giorno si uniscono
per far intendere il voluttuoso incedere delle donne la cui bellezza non è seconda a qualunque altra dei paesi calabri"'z.
Nel capitolo de "I miei viaggi", intitolato "Pietro Corea, o il brigante Calabrese", l'Agnelli riprende un altro importante problema del tempo, il brigantaggio, inquadrandolo nel momento storico e ri42 - Ibidem, c. 73 v.
147
traendolo nelle peculiarità dell'ambiente. "Era il giorno 8 dicembre... quando
venne nuova che in Galliano, paesetto a tre miglia da Catanzaro, era stato preso
dalla squadriglia di certo Muraca il famoso capobanda Pietro Corea con altri
due e la sua druda. Immantinente un'onda di popolo rigurgitò verso il borgo
per vedere un uomo che incuteva terrore. Era un'ora di notte quando arrivò in
mezzo ad un formidabile apparato di soldati. Anche io mossi per vederlo, ma
riuscimmi impossibile. Dopo due giorni ne vidi passare altri tre, quantunque
meno celebri, pure aveano l'impronta ed il vestito del brigante calabrese. Per
quanto avessi cercato sapere sulle cagioni del brigantaggio sono riuscito sempre
a questo: essere il brigantaggio un'erba antica e continua di queste contrade. In
questi ultimi rivolgimenti però è stato potente ed inesorabile, perché è stato il
residuo di una lotta reazionaria. Qui note cagioni vi hanno contribuito, che non
vorrei ricordare. Quando mossi per Catanzaro avea innanzi agli occhi che le
Calabrie fossero state tutte piene di ardore alla libertà, e di entusiasmo per la
ricomposizione nazionale. Il tempo mi ha disingannato... Il movimento del
sessanta esalcerò vie più il volgo contro i proprietari... I soldati improvidamente sbandati accrebbero l'odio, poiché si videro distratti dalla bandiera, cui si
erano votati, ed amareggiati dagl'irrompenti Piemontesi, che menavano scalpore di vittorie procurate non dalle loro mani ma dal tradimento e dall'aiuto e
stratagemma dei liberali meridionali. Il soldato, comunque rozzo, si attacca al
principio di onore. Odio dunque del volgo contro i ricchi, odio degli sbandati
contro il nuovo ordine di cose fecero produrre un movimento reazionario... il
quale se avesse avuto capi intelligenti e concerto di movimenti avrebbe compromesso il movimento italiano e queste provincie sarebbero divenute l'ecatombe dei Piemontesi...
Pietro Corea era stato sbandato da Garibaldi, e ritornato al suo mestiere
di contadino in Albi, suo luogo nativo, compartecipò alle passioni di odio, e di
vendetta, che si erano diffuse tra le plebi. L'improvido ordine del General Fanti, Ministro della guerra, che chiamava alle bandiere gli sbandati, eccitò il malcontento anche più, e pure nel Corea - che gittatosi alla campagna è stato per
tre anni il terrore del Cosentino e della Calabria media. Caduto nelle mani delle
autorità militari fu giudicato e sentenziato il giorno 14 di dicembre. Centocinque furono i delitti impostigli. Richiesto a difendersene, imperturbabilmente
rispose: Signore, fui richiamato a militare; nol volli perché avea giurato servire il
mio Re. Mi decisi perciò fare il brigante, come lo si deve fare. L'ho fatto, e mi
duole solo di essermi mancato tempo a compierlo come l'avea desiderato. Io
ho fatto quanto mi accusate; ma voleva farne di più. Il tempo è mancato e non
la volontà -. Innanzi a questa cinica imperturbabilità in un uo148
mo di 27 anni, tutti specialmente gli uffiziali restarono presi da meraviglia.
Corea era un brigante ma avea il carattere dell'impassibilità anche innanzi
alla morte. Andò al supplizio a piè fermo ed occhi bassi, guardando la figura di un santo, che gli aveano messa sulle mani ligate. Oh! se questo coraggio si fosse consacrato a bene della Patria! Ordinariamente il brigante calabrese è vestito con un... stretto di color verde, o rosso, intorno, intorno
orlato di strisce di velluto, trine e laccettini di seta; il giustacore della medesima roba abbottonato in mezzo di una fila, all'estremo dinanzi ha una pancera guarnita con tre o quattro fila di piccoli bottoni d'argento in forma di
un S coricato: gli serve a portar le cartuccie. Le brache sono di velluto verde
o nero a trine. Alle gambe ha stivaletto anco di velluto con rivolte sopra ed
a pizzo pur con trine bianche. Il cappello è della usanza calabra; cioè cilindrico fasciato di strisce di velluto sciorinate al lato destro. L'arma è il due
colpi - pistole o revolver, ed il coltello calabrese, specie di daghetta affilata a
quattro spigoli; e si pone in una lunga tasca al lato destro delle brache...
L'audacia e le astuzie del brigante calabrese sono proverbiali. Quando ha
giurato un colpo di mano o una vendetta, non viene meno al suo proposito" 43.
***
Calabrese con i calabresi, l'Agnelli si adeguò ai costumi locali, come
ad esempio, l'essere sempre armato: "La mia stanza era quasi un'armeria:
una doppietta magnifica, un'eccellente carabina rivoltella, il revolver, il bastone accennato (quello a lama lunga, n.d.r.), due pugnali calabresi e munizioni per tutto. In Calabria non si può vivere con le mani in mano, essendo
tutti armati: anche gli alunni venivano a scuola con stiletto e coltelli, e qualcheduno con rivoltella e pistola. Ma avevo acquistato tanta influenza e sicurtà, che come ne sapevo qualcuno, che portava armi, gliela toglievo, ed
esso si rimaneva tremante " 44.
Partecipò, da osservatore s'intende, all'entusiasmo elettorale per l'elezione del deputato di Catanzaro nel 1866, e per la circostanza compose un
allegro epigramma:
"Riso? No - Ricasolano - Ippolito Riso già deputato
Greco? Peggio - Luterano - Ant. Greco, canonico spogliato ammogliato
43 - Ibidem, cc. 33 r, 34 v. e r.
44 - AGNELLI L., Memorie, cit., c. 35 v.
149
Pippo? È foglia innanzi al vento - Filippo Marincola che poscia riuscì d eputato
Rossi? È donna in Parlamento - Giuseppe Rossi tenuto qual cinedo essendo
giovane
Leo - Leonardo Larossa
Menichini? A dir lo vero la sua scienza è ancor mistero - Libero Menichino,
uomo indefinibile
Dunque? Zero, Zero, Zero" 45 .
Ebbe particolarmente a cuore il problema dei giovani della Calabria,
che considerò "una magnifica speranza". Anche se solo dal 1864 nei Licei
Governativi, nell'opera di insegnante ed educatore portò il frutto di un'esperienza più che decennale acquisita nei seminari di Bovino ed Ariano, nel
liceo di Lucera e nell'insegnamento privato impartito a Sant'Agata, a Lucera,
a Bovino. Fu attento ai problemi della scuola, ai programmi d'insegnamento, alle condizioni degli insegnanti. "L'andazzo iniquo dei tempi" non lo
scoraggiò. "Tra le cagioni che mi mossero a pormi nella carriera governativa
e continuarla, quella di opporre un controveleno all'iniquo insegnamento
altrui è stato efficace a quietare la mia coscienza. L'insegnamento è un ufficio santissimo con cui si può far senza a considerare quistioni politiche. La
verità s'insegna, o almeno deve insegnanrsi sotto qualunque forma governativa: essa è Dio, e non può essere scacciata dalla società. Il sacerdote n'ebbe
specialissima missione da Cristo, che impose il docete omnes gentes. Si potrà malignare e calunniare la chiesa, ma essa schiaccerà calunnie e calunniatori, dovendo tener ferma la bandiera dell'insegnamento: quando sorgessero
altri Neroni, il sacerdote insegnerà sempre: se il cacceranno dagli istituti del
governo, insegnerà nella chiesa e sulla strada. Ma credo ai giorni di pace per
l'Italia: il sacerdote prenderà allora il posto che gli spetta" 46.
E per il Tommaseo annoterà: "Il pubblico insegnamento non va perché... in grandissima parte degli insegnanti manca coscienza ed attitudine...
l'ingiustizia dura d'assai ed oltre allo sconforto semina lo scherno, e la gioventù viene per opera nostra tradita e pervertita..." 47.
Della gioventù calabra, che stimò moltissimo, annotò: "La gioventù
studiosa merita riguardi e se non disperde per la reità dei tempi il necessario
raccoglimento contiene veraci speranze per l’avvenire delle Calabrie. Pronta
d'intelletto, facilissima ad intendere, capace di una fede a tutta prova, violenta ad indispettirsi se la si
45 - AGNELLI L., I miei viaggi, ms. 108 cit., c. 66 v.
46 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 36 v.
47 - AGNELLI L., Scritti vari, etc. ms. 135 cit., c. 21.
150
punge per rovescio ed ingiustamente, arriva financo al sangue, ordinariamente armata di coltello, di rasoio, di arma da fuoco, si addolcisce come una fanciulla se sperimenta un carattere fermo, autorevole e benevolo. La trascini
ovunque ti aggrada e giunge allora sino all'estremo dell'obbedienza... Una
gioventù capace di affetto crescente se l'autorità che le si impone nasce dall'amore" 48.
Conservò tra le sue carte, ricordo dei suoi alunni di Catanzaro, un
giornale di scuola contenente scritti in prosa ed in versi italiani e latini - V
classe ginnasiale - Catanzaro, 30 luglio 1866. Gli scritti, copiati direttamente
dagli alunni, sono: Vita dell'orfanella e La buona famiglia di Nicola Singlito;
La buona famiglia e La gloria del soldato del difendere la Patria (orazione) di
Santo Ceniti; Giovani e Patria (orazione) e Un sindaco di villaggio ai popolani
(concione) di Domenico Colosimo; Un cittadino che parla al popolo per animarlo alla difesa (concione) di Andrea Fabiani; Un capitano esorta i suoi
soldati a combattere (concione) di Francesco Vecchi; La libertà e La giustizia
e la società (dialogo) di I. Nicotera; Dialogo sopra il dialogo, di Roberto Raniero49.
Per la festa scolastica del 14 marzo 1868 compose il "Dialoghetto sopra Alessandro Poerio", recitato da nove convittori: Colosimo, Massa, Talarico, Falcone, Serrao, Minici, Iannoni, Gigliotti, Alemanni.
....
Colosimo - Massa: Oh! sorgi qui in mezzo - grande anima onesta
Calabria si onora - d'averti per figlio
Per te la cittade - risuona di festa
Compagni s'accresca il nostro gioir
....
Talarico - Falcone: Catanzaro fra cento sorelle
Serrao – Minici
Che fan plauso dei forti all'ingegno
Ti sien liete le piagge, le stelle,
Che ai tuoi figli consacri l'onor
E noi nati per tempi men duri
D'Alessandro seguendo l'esempio
Di nostre alme vivendo sicure
A virtù sacriamo l'amor.
48 - AGNELLI L., I miei viaggi, m s . 108 cit., c. 76 v.
49 - AGNELLI L., Scritti vari, vol. IV, Biblioteca Provinciale di Foggia,
m s . 138 cit., cc. 250-251.
151
Colosimo - Massa: Viva l'Italia: d'un saldo pensiero
Iannoni – Gigliotti Sarem sempre ma onesti e fidenti
Non ci oltraggi più esoso stranier:
È l'Italia padrona di sè.
Noi cresciuti con nobili affetti
Se ci turban la pace e l'onore
Pugneremo all'estremo coi petti.
Viva l'Italia: giurata è la fè 50.
Pianse per la morte del quattordicenne alunno convittore Ettore Verardi
Gironda, componendo per lui un sonetto:
"Ettore mio...
bello d'ingegno e per virtude umile / meritavi sulla terra altro soggiorno / ... Tu dormi, o giovanetto quattordicenne / sulla bara degli estinti /oggi 14 marzo 1868/ i
tuoi fratelli piangono /i genitori inconsolabili /s'addolorano!/... Verranno sull'odorosa tomba / che ti accoglie o Ettore Verardi /i tuoi compagni del Collegio Galluppi
/piangendo pregheranno/per te che d'ingegno di virtù /eri carissimo/Rispondi/Amici
piangete solo/quando l'innocenza è perduta/... Se dopo la rugiada / che rinfrancherà
la notte della tua fossa / o Ettore / verrà l'uragano / non addolorartene. / Beato te
che partisti / prima della tempesta" 5l.
Delle orazioni sacre, scritte e recitate dall'Agnelli in Catanzaro ci resta
"Le tre ore di agonia", scritta in due giorni, per la domenica delle Palme, 15
aprile 1867 52 .
L'amore per la campagna, ereditato dall'ambiente familiare 53 , e
50 - AGNELLI L., Scritti vari, m s . 135 cit., c. 103 r.
51 - Ibidem, c. 103 v.
52 - AGNELLI L., Scritti vari, vol. III, Biblioteca Provinciale di Foggia,
ms. inedito n. 137, c. 36 r. e sgg.
53 - Scriverà al fratello Giuseppe: "Stanco ormai... dell'insegnamento,
ho volto l'animo alle pacifiche considerazioni dei campi... Ti mando i Dialoghi. Ma non a te solo li mando: è al nostro popolo, è alla nostra Provincia
che io li mando. Ormai non c'è da scegliere: le piazze ammorbano per scioperatezza e per nequitosi intenti: le case mancano di pace e di benessere: i ca m pi soli ci possono dare l'uno e l'altro. Ricordati che il tesoro degli onesti è la
fatica e preferisci la modesta gloria del povero operoso alla ricchezza del d elitto". La lettera non riporta data nè luogo. Si evince facilm ente che fu scritta
da Sciacca nel 1869. (AGNELLI L., Corrispondenza epistolare, 1882-1889, Biblioteca
Provinciale di Foggia, ms. inedito n. 94).
I "Dialoghi per gli agricoltori", scritto a Sciacca, furono pubblicati a Foggia
nel 1871, nell'appen dice al giornale "La Capitanata".
152
che si fortificò col passare del tempo, l'interesse costante rivolto alla pastorizia e
all'agricoltura, che vedeva proficua solo se aperta alle innovazioni e sperimentazioni, e se adattata al tipo di clima e di terreno (di cui raccomandava la conoscenza delle componenti prima di avviare qualsiasi piantagione o semina) gli fecero
scrivere "Ricordi e considerazioni sulla pastorizia ed agricoltura. A Domenicuzzo
Colosimo di Sersale", Catanzaro, 15 marzo 1868. Il lavoro è preceduto da una
lettera indirizzata a Domenico Colosimo "Carissimo Mincuzzo, Negli otto giorni
che stetti al Carrà, a te ed al tuo affettuoso zio manifestai le impressioni, che...
ebbi in riguardo all'armentizia e all'agricoltura calabrese... Ma per renderti un segno speciale di affetto, brevemente ho qui raccolto le più interessanti cose, che
spero... varranno mano mano a rendere le vostre industrie campestri sempre più
prosperevoli. So che contro tali innovazioni insorgono pregiudizi inveterati, ed
un certo sbigottimento, che si prova sempre che ci mettiamo ad esperimentare
cose nuove che richiedono qualche sacrificio... sarò sempre lieto, ovunque mi
possa trovare, quando saprò, che non invano mi sono diretto all'ottima famiglia
Colosimo di Sersale per vedere fiorire la pastorizia e l'agricoltura del Marchesato..." 54.
L'opera è corredata da due tavole-schizzi per costruire recinti per mandrie
e greggi.
***
La poliedricità degli interessi dell'Agnelli si ricava da un altro studio
che lui condusse tra il 1867 ed il 1868, su richiesta del Serravalle, sugli usi e
costumi di Catanzaro. La ricerca col titolo "Piccolo codice di consuetudini
catanzaresi" fu pubblicata prima in appendice su "Il giurista calabrese" e nel
1869 in volume dalla tipografia del Pitagora. Il pregevole lavoro vuole mettere in evidenza l'importanza delle consuetudini per una società. "Sonvi per
l'uomo due specie di leggi, le particolari, e le generali, come sonvi due società, la piccola e la grande: confonderle è l'assurdo, che genera la schiavitù
ed il dispotismo. Le leggi della piccola società nascono per i bisogni locali,
son governate dal buon senso, si connaturano spontaneamente, accompagnano di continuo i rapporti della vita domestica ed urbana: si appellano
consuetudini... Dalle cose dette possiamo
54 - AGNELLI L., Ricordanze e considerazioni sulla pastorizia ed agricoltura. A Domenicuzzo Colosimo di Sersale, Catanzaro, 1868. Biblioteca Provinciale di Foggia,
manoscritto inedito n. 132, cc. 2 e sgg.
153
raccogliere, - 1° che le consuetudini nascono spontaneamente dai bisogni
intimi e locali dei popoli - 2° che essi hanno per originaria sanzione la buona fede, e l'onore - 3° che abbracciano tutti gl'interessi, morali, religiosi,
campestri, industriali, suntuarii, commerciali, letterarii, militari, ec. ec. - 4°
che s'immedesimano con i costumi, e si trasformano con essi – 5° che costituiscono il fondamento delle leggi, positive e scritte, cioè dei Codici...
Alcune legislazioni parlamentari moderne nascono e muoiono quotidianamente con una fecondità prodigiosa simile a quella delle zanzare, perché i
legislatori in gran parte vaneggiano nelle astrazioni, studiando accomodare i
popoli alle leggi, e non queste a quelli... il pericolo viene dal corrompimento
morale: in corruptissima republica, dice Tacito, plurimae leges".
Un pensiero di Fra' Paolo Sarpi introduce il lavoro: "Non è niente
più autorevole della consuetudine: essa è legge: giure scritto è una larva, se a
quella non s'appoggia". Esso prende in considerazione: Consuetudini urbane e privilegii, Dritto di congruità e ritrattazione - Affitto delle case, Modo
di acquistar la cittadinanza, Privilegi di Catanzaro nei giudizii penali, Della
fede, Consuetudini matrimoniali, Costumanza funeraria, Consuetudini
campestri, Pastorizia, Agricoltura. Si conclude con queste considerazioni,
che documentano la stima che l'autore ebbe per gli uomini e la civiltà della
Calabria: "Io più obbedendo ad un autorevole invito che al mio genio, ho
voluto ricordare alcune consuetudini catanzaresi; e ben lietamente vi posi
l'animo, perché Catanzaro, tra tutte le Calabre città, merita riguardo ed affetto. E se animi vigorosi e pazienti mettessero opera a studiare le consuetudini di tutti gli altri paesi e città Calabre, ed a raccogliere in un concetto
verificante, la storia si avrebbe un guadagno grandissimo, le Calabrie sarebbero conosciute ed illustrate, ed a quelli, che beffardamente le sprezzano, o
le disonorano, sarebbe facile rispondere, o che non conoscono essi le Calabrie, o non ne sono degni" 55.
Nel 1867 lo studioso ripubblicò per i tipi dell'editore Mariano Lombardi
di Napoli la "Filosofia delle letterature", che riscosse molti consensi. Tra i più
autorevoli resta il giudizio del Tommaseo che definì l'opera "... un felice co ncetto" ed elogiò il modo con cui l'autore aveva affrontato temi di attualità e
soprattutto l'attenzione da lui rivolta alla donna "non tanto come autrice di
scritti, quanto come soggetto, anzi ispiratrice della parola, stampata o no che
sia, cioè cagione o occasione di affetti e d'idea" 56. Anche le sue opere
55 - V. Copia anastatica a cura di Giovanni Bruno, Catanzaro, dicembre 1979.
56 - TOMMASEO N., IN La donna e la famiglia, n. 3 vol. VI, Genova, maggio
1867, p. 178.
154
sulla Calabria, che si affermarono rapidamente, meritarono giudizi positivi
dal Ministero dell'Interno, dell'Agricoltura e del Commercio e da autorità
culturali a lui contemporanee. Lui stesso diceva dei suoi studi sulla Sila all'amico santagatese Avv. Costantino Volpe: "Hanno suscitato interesse
grandissimo in Calabria. Mi costano non poche fatiche, nè vi ho trascurato
alcune riflessioni riguardanti la nostra Provincia" 57.
***
Tra tanti successi, consensi, affermazioni, nel conforto di tanta stima,
nell'Agnelli si faceva sempre più tenace l'attaccamento al luogo natio e
sempre più vivo il bisogno di ritornare fra le mura domestiche. Stando sulla
Sila tra il 24 ed il 25 settembre 1867, compose un carme, il cui titolo, La
solitudine, ed il cui contenuto denunziano i suoi travagli e le sue reali aspirazioni:
"... o pace santa /Come discendi ad irrorar di gioia/ La mia stanchezza! Oh!
quanto mi sorridi, / E mi bei d'amor, la culla prima / Dell'innocenza in mente mi ritorna, / E sento ancora nella balia il carme, / Caldo e soave della madre il bacio, / Che di latte pascevami e di speme. / O dì beati! amaramente
fugge / Della vita il disio, ed una mesta, / Illusion di ricordanze passa / Come un'onda di mar, che non ha posa. / Che altro sospiro? Sull'eterno / Oblio
della tomba mi accolgo, e sospirando / Raddolorato pellican, che geme / Sulle
rovine della mente, il canto, / Ultimo affetto della stanca vita / Sposo nel giorno, che mi muore innanzi" (vv. 222-238) 58 .
Quante volte i monti della Calabria gli riportarono al cuore di esule il
suo amato "appulo colle" ove nacque e dove sperava trovar pace.
"... Nacqui / Pur io su un colle, che sereno e svelto / I piedi allarga tra lo Speca e il Frugno, /E, qual desto gigante, agli ampli piani, /Daver l'occaso, della
Daunia l'occhio / Drizza, ed ascolta secolar riposo / Tra b oschive colline. Fa
coperchio /Al torrito capo una torrita rocca, / A miti affetti or di famiglia
volta / Ma un dì pugnace, e guardiana intenta /Di genti all'odio baronal invise. /Il mandriano e il pellegrin, che vaga /Per le granifere appule pianure, /La
mirano da ogni loco, e
57 - AGNELLI L., Lettera a Costantino Volpe, Catanzaro, 30 luglio 1867, Archivio privato Volpe, S. Agata di Puglia.
58 - AGNELLI L., Scritti vari, vol. I, ms. 135, La solitudine, cc. 100-102, vv.
222-238.
155
il sol che aurato / Dall adrio mar si sveglia, l'incorona/Da mane a sera con fecondo
raggio. /Laura dei monti là mi prese l'alma, /Mi scosse il genio, ravvivommi il core /
Ad oneste speranze, onde si pasce / Dei miei verdi anni il senso, e ancor si vive /
Con la memoria di giocondi affetti / Al suol, che vide il primo pianto, e il riso / Dei
giorni primi. Inestinguibil foco / Della culla è l'amor, che a nostra vita / Il giorno
alluma, e da chiarezza il porta / Di cosa in cosa, tra sospiri e speme / Sin che l'invera nell'eterno die. / Oh! voglia il ciel! che le osse mie in pace /posino un dì con le
paterne accanto, / E sentano l'amor, che si ravviva/ Sotto la pace dei congiunti affetti. /Appulo colle, ti saluto: in sogno / quando già l'alma del suo frale stanca, / Il
lascia in pace, e sospirando vola /Nel pensiero di Dio per calle arcano, / E si bea al
fulgor di cose nuove, / Pur ti riveggo, e ti saluto: eterna / Vive allo spirto la memoria
santa /Dell'alba prima d'innocenza "59.
Nostalgia, malinconia, rimpianti? Presentimenti di amarezze? Il
canto della balia, il bacio della mamma, l'oblio della tomba, la stanca v ita, l'aura dei monti suoi, la memoria di giocondi affetti... sono accenti
significativi che denotano uno stato d'animo complesso e meditativo, ma
anche triste, angosciato, stanco.
Aleggia nei versi un costante bisogno di raccoglimento che si traduce in necessità di pace e di affetti autentici. Sembrano confidenze le
sue, sentimenti sussurrati, timori sopiti, ansia di liberazione. E nel m onologo ascolti la vera voce dell'anima che, sempre vigile, non si lascia
ingannare dalle effimere seduzioni. Eppure Catanzaro gli offriva infinite
possibilità di realizzazioni!
***
Ma le più belle stagioni dell'uomo sono caduche come le più belle
fioriture.
L'anno scolastico 1867-68 per l'Agnelli doveva essere l'ultimo della sua permanenza a Catanzaro. "Il cuore passò tra illusioni, illudendo e
stoltamente sperando e facendo sperare. Ero divenuto troppo catanzarese, et fata vigebant! " 60. Un diverbio tra il presid e Stranieri ed il professor Giovanni Lavadino di Treviso, insegnante delle scuole magistrali,
portò improvvisamente e clamorosamente alla luce una serie di rancori e
gelosie a lungo covati e celati nell'ambiente scolastico. E fu subito p olemica, che si estese a macchia
59 - AGNELLI L., I monti della Calabria, cit., pp. 18-19. L' "appulo co lle" è la
sua nativa S. Agata di P.
60 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 37 r.
156
d'olio coinvolgendo preside, vice direttore, professori. Ricorsi e calunnie da
ogni parte arrivarono anche al ministero. Era provveditore agli studi Francesco
Fenile di Palermo e prefetto un tale Alvigini. Nè l'uno nè l'altro riuscirono ad
arginare la polemica, fattasi ancor più accesa anche grazie alla stampa. Il Fenile,
che prima sembrava favorevole allo Stranieri, gli girò le spalle quando si fece
più forte la bufera. Soffiavano nel fuoco insegnanti come Capparelli, Tamburini, Serravalle, Aloisio, Goggi. Lo Stranieri, forte della protezione del deputato
catanzarese Antonio Greco, volle recarsi a Firenze, allora capitale d'Italia, per
parlare direttamente con Cesare Correa, suo amico e capo divisione del ministero. Scopo del viaggio era quello di mettere a tacere le voci ed ottenere, secondo l'Agnelli, una promozione. Ottenne l'una e l'altra cosa. La questione, per
la verità, presenta una svolta inattesa, e poco chiara risulta anche la sua conclusione. Lo Stranieri fu riconfermato preside e nominato direttore del ginnasio.
L'Agnelli fu trasferito con D.R. del 15 settembre 1868 a Sciacca come direttore
del ginnasio. Una promozione per il Nostro? No! Fu un colpo amarissimo che
avrebbe dato una svolta a tutta la sua vita. Egli avrebbe voluto spiegazioni, ma
il ministero tacque. Gli si fece intendere che per motivi economici si andava
sopprimendo il posto di vice direttore, assegnando l'incarico, con una gratificazione annua, allo stesso preside del liceo. Ma poteva lo Stranieri, un amico, anzi
un fratello, per una semplice gratificazione annuale accettare un incarico rinunziando all'amicizia ed alla vicinanza di una persona tanto cara, quale gli era stato
l'Agnelli? Questi ne soffrì moltissimo e si rifiutò di credere ad una cattiveria.
"Non vorrò mai credere ad un'azione che uccide l'amicizia" 61. Eppure il suo
animo presagiva amarezze...! Dice infatti ne "I miei viaggi": "Il sentimento divinando... calamità e guerre mi sollecitava ad uscirmi..." 62. Chiese trasferimento
con il titolo di professore ad Avellino
61 - Ibidem, c. 35 r.
62 - AGNELLI L., I miei viaggi, ms. 108 cit., c. 73 r.
All'Agnelli non saranno subito assegnate titolarità e sedi richieste. Se ne lamenta
con il deputato Luigi Miceli in una lettera scritta da Sciacca il 29 maggio 1870: "Le prove
sono state sufficienti solo nel dar dolori traslocando senza ragione quà e là sino a confinarlo in questo lembo di Africa, in mezzo a partiti che il Ministero non ha saputo nè calmare nè abbattere: e nel negargli più di 300 lire di gratificazione che gli spettavano per la
supplenza tenuta in Catanzaro nella V classe dalla metà di aprile ad agosto 1868. E mentre i Ministeri dell'Interno e dell'Agricoltura e Commercio lo ringraziavano per gli scritti
sulla Sila, e uomini dotti gli elogiavano sopra i giornali le altre opere, il solo Ministero
della Pubblica Istruzione lo incoraggiava col silenzio, con negar la gratificazione, con
spostarlo quà e là aspettando ancora prove sufficienti di idoneità! " (AGNELLI L., Corrispondenza epistolare, Biblioteca Provinciale di Foggia, ms. 94).
157
o in un liceo di una località della provincia di Foggia. Lo ebbe invece per Sciacca!
In tre giorni salutò gli amici, i conoscenti, raccolse la sua roba e partì, rimpianto da quanti lo stimarono. "Il pianto mi fu l'unica parola. Non potetti dire
addio. La piena di affetti che ebbi a Catanzaro non mi cadrà mai dal cuore. Addio
Catanzaro, addio. Io cammino pel Pizzo, la carrozza corre, ma il mio cuore è
rimasto in te, e chi sa quando e se potrò riscattarlo. Addio. Dolori ed affetti si
sono raccolti in uno, speranze e menzogna vegliano insieme. Se ti rivedrò, il mio
animo sarà pienissimo di gioia. Addio, e se buona memoria di me conservi, in
certo ti conservo l'amore e la riconoscenza" 63.
Si concludono così i suoi tre anni a Catanzaro.
***
In quel momento di sconforto volle recarsi a S. Agata, sperando di ritemprare lì, nella quiete dei campi e tra gli affetti domestici, l'animo deluso.
In Calabria l'Agnelli non ritornerà più, e delle persone che ivi conobbe,
come si evince dalle Memorie e da altri scritti, rivedrà il Fenile, divenuto Provveditore agli studi di Palermo, al quale da Milano, il 26 dicembre 1881, dedicherà
l'opera "I diritti ed i doveri, ad uso delle scuole", ed. Giacomo Agnelli, Milano,
1882.
Ma i motivi più profondi e significativi della sua opera di educatore, storico, letterato, ricercatore, saranno assorbiti ed assimilati dalle coscienze e dalle
correnti di studio e di cultura della Calabria. Le tematiche affrontate dall'Agnelli,
ed alcune con competenza specifica, continueranno ad essere dibattute nei decenni successivi. E per quest'aspetto, nel vasto quadro della vita socio-culturale
calabrese, e non soltanto calabrese, l'Agnelli risulta un innovatore e precoce meridionalista, anticipando tesi care a chi ai problemi della Calabria e del Sud in genere dedicherà successivamente studi ed attenzioni.
Dinamico risulta, e rivoluzionario può ancora definirsi, il suo punto di vista, che non giustificava quello iato esistente tra i ricchi proprietari da un lato e
l'esteso proletariato dall'altro. Iato da saldare in una società che doveva unirsi per
"fare" la Calabria e collocarla degnamente nel nuovo quadro politico italiano,
evitando di lasciare aperta una "questione", di perpetuare situazioni incresciose
(sfruttamento, ignoranza, sottosviluppo, non-sviluppo, disoccupazione o sottoccupazione, emigrazione, mancanza di vie di comunica63 - AGNELLI L., I miei viaggi, ms. 108 cit., c. 74 r.
158
zione, di attività commerciali e posti di lavoro, ecc.), piaghe endemiche di
miseria, di ribellione, prepotenze, inerzia, diffidenza verso le strutture sociali e governative. Bisognava, secondo l'Agnelli, allontanare dall'uomo la disponibilità ad una vita di compromessi per la sussistenza, educare, istruire,
creare, in senso morale e materiale, vie di comunicazione, promuovere condizioni civili degne di ogni uomo. Non inerzia, quindi, non ignoranza, non
scetticismo, non accettazione passiva di situazioni precostituite, bensì opere
di rinnovamento, di promozione e crescita a vantaggio dell'intera società,
fede decisa e tenace nella propria cultura, nella propria civiltà da valorizzare
e difendere ad ogni costo.
Tutte le sue idee hanno alla base la spinta cristiana di uguaglianza e di
giustizia, valori conquisi da inveterate ed ingiustificate situazioni sociopolitiche. Il suo insegnamento di umana convivenza regolata da leggi eque
mediava la sua tradizionale formazione cattolica con l'esigenza dei tempi e
della nuova società aperta a nuove forme di economia, di politica e di cultura.
Alla luce delle ultime considerazioni, vien da chiedersi se un uomo
come l'Agnelli, che coraggiosamente propugnava certi ideali ed additava le
vie di riscatto morale e materiale, spesso anche con accenti polemici e critici, oltre al velato moralismo, non risultasse un personaggio scomodo. Il
Tommaseo, al quale aveva forse già palesati i suoi pensieri, nella lettera del
15 marzo 1867 gli scriveva "... rette mi paiono parecchie sue osservazioni, e
data la debita importanza alle cose religiose. Onde non è meraviglia che ella
non goda i favori di certa gente..." 64. Insomma, lanciatosi a capofitto e senza compromessi nella mischia, divenuto personalità di spicco, non poteva
non attendersi atteggiamenti di rigetto e... sventure.
Quel "silenzio a cui l'Agnelli è ridotto per parecchi anni dopo un esordio interpretativo così interessante...", che rinviene il Colapietra65, si giustifica solo con l'allontanamento da Catanzaro del Nostro e non con l'esclusione, stando in sede come vuole lo stesso Colapietra, dagli ambienti culturali. Infatti da Catanzaro Lorenzo Agnelli fu trasferito a Sciacca nel 1868 e
non a Cefalù nel 1875 come sostiene lo stesso studioso.
"La traslocazione in Sciacca è stata un'espiazione di Catanzaro" 66. Ed
a Sciacca spesso appunta "... animo e corpo sofferente" 67. Precisa "Non ho
potuto neanche essere prete: non ho celebra64
65
66
67
-
AGNELLI L., Scritti vari, ms. 135 cit., c. 14 v.
COLAPIETRA R., op. cit., p. 26.
AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 36 v.
AGNELLI L., Ricordi, Sciacca 1871, Biblioteca Provinciale di Foggia, ms.
131.
159
to una volta, nè recitato l'ufficio; la coscienza in continuo malcontento non mi
consigliava accostarmi all'altare: la mancanza del breviario ha scusato la mia
svogliatezza" 68.
Al Tommaseo scrive: "Sono sei anni che lavoro nel pubblico insegnamento ancora incaricato e gittato quà e là senza ragione al mondo... in luogo in
cui fare il dovere è delitto, coltivare le lettere è un'offesa" 69.
Tacito gli tenne compagnia e lo confortò nelle lunghe ore di solitudine e
di meditazione 70. Comprese, l'Agnelli, e giustificò anche la disperazione di Ovidio esule, perché esilio sentì, dopo Catanzaro, il suo peregrinare da un capo
all'altro dell'Italia: da Sciacca a Cefalù, a Bobbio, a Vittoria, a Caltagirone, a
Gravina di Puglia, ad Acquaviva delle Fonti 71.
Ma mai da vittima nè da vinto. Nella vicenda alterna delle nomine e degli
incarichi lo ritroveremo sempre risoluto, coerente, di una operosità quasi aggressiva. Il suo cammino di scrittore e di uomo prosegue nella pienezza del vivere e
dell'operare. È l'alfierismo del suo carattere. "L'indole mia ignea, irritabile, per
travagli e dolori ritemprata, rassegnandosi alla crudeltà delle cose quasi si rafforzò, non paventando e le privazioni e il solitario vivere e le acrimonie di gente...
Molte cose utili nel disinganno appresi... Ho imparato a vivere, "72.
DORA DONOFRIO DEL VECCHIO
(Il lavoro è tratto dalla Biografia di Lorenzo Agnelli, ancora inedita, della stessa autrice).
68 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit. c. 36 v.
69 - AGNELLI L., Scrit ti vari, ms. 135 cit., c. 21 v.
70 - A Sciacca nel 1869 l'Agnelli scrisse Meditazioni sopra Tacito (Biblioteca
Provinciale di Foggia, ms. 118).
71 - Stando ad Acquaviva delle Fonti (Bari) chiese ed ottenne la "giubilazione",
nel marzo 1892: "... Stanco per l'infermità le secrete congiure, per l'età". (AGNELLI
L., Memorie, ms. 119 cit., c. 55 r.). Lasciava così il mondo della scuola, dopo "... anni
di fatiche mal retribuite dal Ministero, ma fruttuose di bene ai giovani, alla mia famiglia,
alla mia istruzione letteraria". (AGNELLI L., Amministrazione, Cefalù, 1879, ms.
inedite, p. 13, Archivio privato Ing. Giuseppe Agnelli, Bari).
Ritornò a S. Agata di Puglia, ove si dedicò alla famiglia, al ministero sacerdotale,
alla campagna, agli studi. Morì all'età di 74 anni, il 7 agosto 1904.
72 - AGNELLI L., Memorie, ms. 119 cit., c. 36 r.
160
OPERE EDITE ED INEDITE DEL PROF. L. AGNELLI
Lorenzo Agnelli si rivelò scrittore versatile e fecondo da giovane età.
Singolare figura di studioso, molto attento ai fatti della cultura del suo tempo,
fu sollecitato sempre da validi e vasti interessi di carattere pluridisciplinare. Affrontò e trattò temi riguardanti didattica, insegnamento pubblico e privato, letteratura, linguistica, arte, poesia, storia, filosofia, teologia, fenomeni religiosi,
tradizioni popolari, questioni sociali, politica, economia, agricoltura, pastorizia.
Le opere pubblicate meritarono attenzione e lusinghieri giudizi critici da
parte di personalità di spicco della cultura a lui contemporanee.
Della "Filosofia delle letterature" così scriveva N. Tommaseo: "Preg. S.
Prof. Il titolo del suo libro 'Filosofia della letteratura' è un felice concetto; e
nella storia e nella critica letteraria pochi cercano l'idea dominante che governa,
come ella ben nota, non pur la parola e le opere tutte dell'arte, ma quei fatti
altresì della vita, in cui gli uomini paiono non altro adoperare che la forza e
patirla. Non piccola parte del lavoro di lei deve dunque essere quello, che concerne la donna non tanto come autrice di scritti quanto come soggetto anzi
ispiratrice della parola, stampata o no, che sia, cioè cagione o occasione di affetti e di idee. Com'ella sodisfaccia al suo tema dal poco, che ho potuto vederne, non posso arguire, ma rette mi paiono parecchie delle sue osservazioni, e
data la debita importanza alle cose religiose. Onde non è meraviglia che ella
non goda i favori di certa gente". (Firenze, 15 marzo 1867).
Nel Supplemento perenne alla "Nuova enciclopedia popolare italiana",
dispensa 63, vol. IV, Torino 15 marzo 1869, il cav. Francesco Di Mauro così si
esprimeva sulla "Filosofia delle letterature": "Cercar diligentemente i principii,
che informano le letterature, ossia le ragioni fondamentali e generatrici delle
medesime; ravvisare mercé pazienti analisi quello che nelle singule letterature
nazionali è fondamento ad ognuna; apprestare i sommi criterii allo studioso
nell'appurare sì le antiche, che le moderne, e come a dire, inalzare il prodromo
allo studio della storia delle generazioni, è il tema che prese a trattare l'egregio
Prof. del R. Liceo di Lucera nel volume, che abbiamo in mano. Nella Introduzione, di belle e buone cose abbiamo letto non poche;..."
Angiolo de Gubernatis, dopo un rapido profilo biografico e l'elenco delle opere edite, scrive: "L'Agnelli è scrittore generalmente purgato, che sa unire
la non poca erudizione con un sentimento vivace del bene e delle bellezze della
natura meridionale". (Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze, 1879, p. 14).
161
Da Milano, il 23 maggio 1869, gli scriveva Cesare Cantù sulla "Cronaca
di S. Agata di Puglia": "Il suo libro è scritto con tanta pulizia e con tanto affetto
che si fa leggere da capo a fondo. Io ho sempre prediletto queste monografie...
chè in quest'Italia, tanto più dopo che è una, difficilissima è il conoscere e far
conoscere qualche opera letteraria che spunti tra la fungaia giornalistica".
Da Torino, il 27 maggio 1869, il Sen. Ettore Ricotti, professore di storia
moderna dell'Università di Torino; "... l'ho letta subito (la Cronaca di S. Agata
di Puglia) con quella curiosità e con quel piacere con cui si leggono le cose
buone... Vi ho trovato molto ordine insieme con abbondanza e varietà di ricerche e di idee: e quindi indizii certi che Ella potrà utilmente applicare l'animo ad
imprese anche più vaste...".
(I giudizi del Tommaseo Di Mauro, Cantù, Ricotti sono riportati dallo
stesso Agnelli. cfr. manoscritto n. 135 cit., cc. 19 v. r., 22 r., 23 r.).
OPERE EDITE
FILOSOFIA DELLE LETTERATURE, Napoli, ed. Mariano Lombardi, 1864
e 1867.
I MONTI DELLA CALABRIA aggiunto COSTANTINO AFRICANO e
ROBERTO IL GUISCARDO, Tip. all'insegna del Pitagora, Catanzaro,
1867.
ESCURSIONE NELLA SILA, Catanzaro, Tip. all'insegna del Pitagora, 1868.
LE CONSUETUDINI LEGALI DI CATANZARO, Catanzaro, Tip. all'insegna del Pitagora, 1869.
CRONACA DI S. AGATA DI PUGLIA, Cefalù, Sciacca, 1902 - Gussio, 1869.
LA PENTECOSTE, Sciacca, 1870 - Torino, G. Marietti, 1873.
DIALOGO PER GLI AGRICOLTORI, appendice a "La Capitanata", Foggia,
1871.
LA DAUNIA ANTICA E LA CAPITANATA MODERNA, appendice a "La
Capitanata", Foggia 1874 - Napoli, A. Morano, 1879.
LA FAMIGLIA E LA SCUOLA, Napoli, A. Morano, 1879.
I DOVERI E I DIRITTI AD USO DELLE SCUOLE e in appendice LO
STATUTO DEL REGNO, Milano, G. Agnelli, 1882.
LA FAMIGLIA DEL SINDACO, ovvero DOVERI E DIRITTI, Napoli, A.
Morano, 1887.
162
APPUNTI GRAMMATICALI PER UNA NOMENCLATURA COMUNE
NELLE CLASSI GINNASIALI, Vittoria, G.B. Velardi, 1884.
S. AGATA DI PUGLIA NEL 1895, Milano, Galli, 1895.
NOVENE, S. AGATA, S. LUCIA, S. LORENZO, S. ROCCO, S. VITO, Cefalù, 1901.
LE SCUOLE DI CEFALÙ IN OTTO ANNI, Napoli, A. Morano, 1880.
DISCORSI TENUTI NEL R. GINNASIO DI GRAVINA, STAMPATI IN
OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DI INSEGNAMENTO
DI ARCANGELO SCACCHI, AGGIUNTOVI IL MAURIZIO LETTIERI, Gravina, Stamperia Salv. Ianora, 1891.
N.B. L'elenco completo delle carte edite e inedite possedute dalla Biblioteca
Provinciale di Foggia è riportato in I manoscritti della biblioteca provinciale
di Foggia a cura di PASQUALE DI CICCO, Foggia, 1977, pp. 58-72.
Nella Biblioteca Comunale di Sant'Agata di Puglia si trova un fondo librario
donato dall'Agnelli. Altre opere inedite di Agnelli sono depositate presso
gli eredi.
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