Giacomo da Lentini Amor e uno desio(analisi)

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Giacomo da Lentini Amor e uno desio(analisi)
Giacomo da Lentini, Amor è uno desìo che ven da core
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Amor è uno desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l'amore
e lo core li dà nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so 'namoramento,
ma quell'amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nascimento:
ché gli occhi rapresentan a lo core
d'onni cosa che veden bono e rio,
com'è formata naturalemente;
e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.
.
Inquadramento
Del notaio (il “Notaro”) Giacomo da Lentini esistono ancora dei documenti redatti per conto dell’imperatore
Federico II negli anni 1233 e 1240. A quegli anni risale probabilmente anche la sua produzione poetica, di
cui ci sono giunti una quarantina di componimenti (16 canzoni, 1 discordo, 21 sonetti, di cui tre inclusi nella
tenzone con l’abate Tivoli e in quella con Iacopo Mostacci e Pier della Vigna1.
Il componimento Amor è uno desìo che ven da core fa parte di una tenzone nata dal quesito posto da Iacopo
Mostacci nel sonetto Solicitando un poco meo savere, a cui Pier della Vigna aveva risposto con il sonetto
Però ch’Amore no si po’ vedere.
La tenzone verte sulla natura dell’amore: è una sostanza, cioè un essere reale (una sorta di potente divinità,
come credevano gli antichi identificandolo con Eros), oppure è solamente una condizione accidentale che
può manifestarsi in una persona (una qualità di una sostanza)?
Iacopo Mostacci espone il quesito: si dice generalmente che l’amore abbia il potere di signoreggiare le
persone, costringendole ineluttabilmente a sottomettersi al suo potere; ma Iacopo Mostacci ne dubita, dato
che l’amore non è una cosa visibile. Esso sembra essere piuttosto una “amorositate”, cioè una disposizione
ad amare, una qualità accidentale che si manifesta in una sostanza (in una persona).
Pier della Vigna risponde che il fatto di non essere visibile, non impedisce ad Amore di essere sostanza
(anche la forza della calamita è invisibile). Esso manifesta in modo così evidente il suo potere sulle persone,
che Pier della Vigna non dubita che “c’Amore sia” (v.13), cioè esista realmente come sostanza.
Iacopo da Lentini si allinea con Iacopo Mosacci, provvedendo la sua tesi di argomenti dotti che provengono
dal trattato De Amore di Andrea Cappellano.
Forma metrica: ABAB, ABAB, ACD, ACD. Il sonetto è una risposta “per le rime”: Iacopo da Lentini
riprende la rima –ore di Iacopo Mostacci e la rima –ente di Pier della Vigna..
Analisi e commento
Il discorso sviluppato da Iacopo da Lentini si divide chiaramente in quattro parti, che coincidono con le
quattro strofe del sonetto.
Nella prima quartina il poeta afferma con decisione che l’amore è un desiderio, cioè una passione (dunque
uno stato accidentale, non una sostanza provvista di essere proprio!) dell’anima sensitiva, rappresentata per
sineddoche dal cuore (core), nel quale, secondo la filosofia del tempo essa ha sede, come già sostenevano
Aristotele e il medico Galeno. La causa che lo fa nascere è una forte impressione di piacere suscitata dalla
bellezza (abondanza di gran piacimento). Secondo lo stesso Aristotele, “dell’amore sensuale è cagione il
diletto suscitato in noi dal vedere”2. Il piacimento (v. 2) è il diletto che prova l’anima di fronte alla bellezza.
1
Per le notizie biografiche, cfr. Cesare Segre, Carlo Ossola (a cura di), Antologia della poesia italiana, Duecento,
Einaudi, Torino 1999, p.559. Per l’interpretazione del testo seguo soprattutto Bruno Nardi, Filosofia dell’amore nei
rimatori italiani del Duecento e in Dante, in Dante e la cultura medievale, Laterza, Bari 1985 (1942), in particolare pp.
15-22.
2
Nardi, op. cit., p. 17.
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1
Il desiderio è, secondo Aristotele, un movimento dell’animo verso qualcosa, non molto diverso dal
movimento fisico verso un oggetto verso cui prova un appetito. Il movimento cessa, quando l’oggetto
desiderato è raggiunto: ne consegue uno stato di quiete. Per Iacopo da Lentini, l’amore è dunque questa
pulsione (desiderio) verso qualcosa che suscita piacere.
L’amore è generato dalla vista (occhi) e poi alimentato dall’anima sensitiva (vv.3-4): qui Iacopo espone il
meccanismo dell’innamoramento in termini generali, riservando lo sviluppo dei particolari alle due terzine.
La seconda quartina si sofferma su un’eccezione al principio esposto sopra, eccezione di cui il caso più noto
è quello del poeta provenzale Jaufre Rudel di cui si narra che si sia innamorato della contessa di Tripoli in
Siria per la fama della sua bellezza, cioè senza averla veduta: senza vedere so [il suo] ‘namoramento
[l’oggetto del suo amore]3. Ma (v. 7), si tratta di un’eccezione, sostiene Iacopo da Lentini, perché l’amore
vero, quello che dispiega violentemente il suo potere nelle persone (che stringe con furore), nasce senza
dubbio solo dalla vista.
Questo problema “interesserà specialmente coloro che all’amore daranno un’origine soprasensibile” (Nardi,
op. cit., p.49).
Nelle due terzine l’autore descrive nei particolari il fenomeno dell’innamoramento, soffermandosi dapprima
su ciò che avviene negli occhi (vv. 9-11) e poi su ciò che avviene nel cuore (vv. 12-13).
Gli occhi forniscono all’anima sensitiva una rappresentazione (immagine) fedele di ogni cosa, mostrandone
le caratteristiche buone come quelle malvagie (bono e rio). L’espressione “com’è formata naturalmente” (v.
11), rinvia espressamente al concetto di forma, cioè alla matrice da cui l’oggetto prende la sua essenza, il suo
essere specifico.
Nel cuore, cioè nell’anima sensitiva, la facoltà immaginativa genera (concepisce) l’immagine dell’oggetto
(lo cor, che di zò [ciò] è concepitore,/ imagina), e si compiace del desiderio che questa immagine
intensamente pensata suscita (e piace quel desio).
Iacopo da Lentini segue qui quasi alla lettera il trattato De Amore di Andrea Capellano, che non riporta solo
il luogo comune che l’amore nasce dalla vista, ma sottolinea l’importanza di una immoderata cogitatio, cioè
di un pensare l’oggetto amato intensamente, senza misura, perché l’amore possa insediarsi nell’animo4.
In questo soffermarsi della mente sull’immagine dell’oggetto amato consiste dunque il nutrimento
(nutricamento, v.4) che alimenta e tiene vivo l’amore, che perciò acquista un potere irresistibile (regna, v.14)
nelle persone.
L’ultimo verso riprende la conclusione di Pier della Vigna, con il quale Iacopo da Lentini è quindi d’accordo
per quanto riguarda il potere irresistibile che l’amore ha nel sottomettere gli amanti, pur non condividendone
l’idea che l’amore abbia un essere indipendente, cioè sia una sostanza.
Commento
Dal punto di vista del contenuto, questo sonetto descrive analiticamente il meccanismo dell’innamoramento
seguendo le concezioni psicologiche del tempo, fondate in gran parte sugli scritti di Aristotele (in particolare
il De Anima) e sui commenti medievali dei sui scritti.
I concetti esposti si trovano anche nel sonetto anonimo Non trovo chi mi dica che sia amore, nel sonetto
forse dantesco Molti, volendo dir che fosse amore, in Cino da Pistoia, Amore è uno spirito (Segre-Ossola).
Vedi inoltre il sonetto di Iacopo da Lentini Molti amadori la lor malatia.
L’immagine entrata per la vista è paragonata a una pittura fedele al suo modello dallo stesso Iacopo da
Lentini nella canzonetta Meravigliosamente un amor mi ristringe.
E come della bella donna il cuore accolga non la persona ma l’immagine, egli lo spiega con una similitudine
nel sonetto Or come pote sì gran donna entrare.
Al problema se l’amore sia sostanza o accidente accennerà anche Dante Alighieri nella Vita Nuova, nel
commento che segue un sonetto in cui Amore appare personificato: Dante spiega che si tratta solo di una
figura poetica, e non mette in dubbio che amore sia accidente, concordando in ciò con il suo “primo amico”
Guido Cavalcanti (di cui vedi in particolare la canzone Donna me prega) .
Nel canto XVIII del Purgatorio (vv. 22-23) Dante illustrerà con rigore filosofico, attenendosi a Tommaso
d’Aquino, il meccanismo per cui l’oggetto passa attraverso gli occhi nell’anima sensitiva, che ne genera una
intenzione (parola del linguaggio filosofico per indicare l’immagine), da cui scaturisce l’amore e,
successivamente, il desiderio (il movimento che porta l’animo a tendere verso l’oggetto), che, se appagato,
cessa nella quiete (riposo), generando diletto.
3
Precedenti dell’innamoramento per fama e dell’amore di lontano si trovano anche in Ovidio (Heroides XVI 36-8),
come segnala una nota in Segre-Ossola, op. cit., p. 49.
4
Cfr. Nardi, p. 18 ; Segre-Ossola, p. 49.
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