Scarica il pdf

Transcript

Scarica il pdf
Magistrati: l'assoluzione penale non preclude la sanzione disciplinare
In tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il
giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice
penale. Il principio è stato ribadito dal giudice di legittimità con sentenza del 9 luglio 2015, n. 14344.
Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 09/07/2015, n. 14344
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 luglio 2015, n. 14344 – Pres. Rovelli – Rel. Greco
Svolgimento del processo
Il magistrato D.L.C. , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, venne incolpata
dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, carena 1, lettera n), e 4, comma 1, lettera d), del d.lgs. 23 febbraio
2006, n. 109, per aver usato in modo improprio la sua utenza di servizio di telefonia mobile per effettuare
tra il maggio e l'ottobre 2003 sessantacinque chiamate ad una utenza a tariffazione speciale riferibile ad un
servizio di cartomanzia, astrologia e previsioni del lotto.
Il processo penale, correlato all'ipotizzato delitto di peculato, che aveva determinato la sospensione del
procedimento disciplinare, è stato definito in appello con piena formula liberatoria, "perché il fatto non
sussiste", "per difetto del danno economico di rilievo tale da configurare l'elemento materiale del delitto de
quo", atteso che delle 65 telefonate addebitate nel periodo detto, circa 49 si erano risolte in "meri impulsi
telefonici ossia in tentativi di contattare l'utenza telefonica chiamata senza successo, della durata di...
meno di un minuto", mentre "solo 16 telefonate avevano sortito delle conversazioni peraltro molte di
breve durata con costi del tutto contenuti, restando le rimanenti impulsi senza generazione di costi".
La Sezione disciplinare, premesso che sussisteva la certezza dell'uso del telefono da parte dell'incolpata per
65 chiamate dirette ai fornitori di servizi di cartomanzia, astrologia e previsioni del lotto nel periodo
maggio/ottobre 2003, e che il fatto accertato in sede penale andava ritenuto immutabile, e suscettibile,
così come cristallizzato, di valutazione nel giudizio disciplinare, ha rilevato che la disamina del fatto
conduceva all'ipotesi disciplinare declinata sia dall'art. 2, lettera n), del d.lgs. n. 109 del 2006, sia dalla
disciplina, vigente all'epoca di consumazione dei fatti, riconducibile all'art. 18 del r.d. n. 511 del 1946,
evidenziando l'estraneità al dato patrimoniale del bene giuridico presidiato dalle due norme - l'una il
principio di buona amministrazione e l'altra l'immagine ed il prestigio della magistratura.
Ha pertanto ritenuto il magistrato responsabile dell'incolpazione di cui all'art. 2, corona 1, lettera n), del
d.lgs. n. 109 del 2006, infliggendole la sanzione della censura, mentre l'ha mandata assolta da ogni
addebito, in applicazione dell'art. 20 del d.lgs. n. 109 del 2006, "in quanto l'incolpazione di cui all'art. 4,
comma 1, lettera d), si aderge esattamente alla specie concreta valutata con giudizio assolutorio dalla Corte
d'appello di Catanzaro".
Per la cassazione della sentenza - la dottoressa D.L. ha proposto ricorso articolando tre motivi.
Il Ministero della giustizia non ha svolto attività.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando “violazione dell'art. 606, comma 1, lettere b) ed e), c.p.p., in relazione
agli artt. 20, comma 2, e 2, cortina 1, lettera f), del d.lgs. n. 109 del 2006 - violazione del giudicato, per
avere la sentenza disciplinare contraddetto l'accertamento del giudice penale", la ricorrente si duole non
sia stata considerata l'esatta e giusta portata del rapporto tra il procedimento disciplinare ed il giudizio
penale definito, a favore della ricorrente, con sentenza assolutoria piena, dichiarativa dell'insussistenza del
fatto.
Il motivo è infondato.
Secondo il fermo orientamento di queste Sezioni unite, "in terra di rapporti fra procedimento penale e
procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una
rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive
responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro
materialità, operato da quest'ultimo, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio
posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale
dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti
nell'ottica dell'illecito disciplinare" (Cass., sez. un. 24 novembre 2010, n. 23778),- la disciplina dei rapportò
fra processo penale e procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, "in base a cui nel
procedimento disciplinare fa sempre stato l'accertamento dei fatti, oggetto del processo penale, risultanti
da sentenza passata in giudicato (regola con cui non contrasta il disposto dell'art. 653 cod. proc. pen.
sull'efficacia nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o
l'imputato non l'ha connesso), non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati
dal giudice penale, essendo diversi i presupposti della responsabilità penale e di quella disciplinare, fermo
restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità" (Cass., sez. un., 18
ottobre 2000, n. 1120).
Nel caso in esame, governato dalla regola fissata con il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, dall'art. 20, comma 3
- a tenore del quale "ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento che il
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione" -, la
Sezione disciplinare, cane si è visto supra, ha in primo luogo rilevato che sussisteva la certezza dell'uso del
telefono da parte dell'incolpata per 65 chiamate dirette ai fornitori di servizi di cartomanzia, astrologia e
previsioni del lotto nel periodo maggio/ottobre 2003, e che il fatto accertato in sede penale andava
ritenuto immutabile nel giudizio disciplinare.
In secondo luogo, ha affermato che i fatti cane accertati dal giudice penale "nella loro materialità", erano
suscettibili, così cane cristallizzati, di valutazione nel giudizio disciplinare.
Ed ha infine ritenuto che la disamina del fatto conduceva all'ipotesi di illecito declinata sia dall'art. 2, lettera
n), del d.lgs. n. 109 del 2006, sia dalla disciplina, vigente all'epoca di consumazione dei fatti, riconducibile
all'art. 18 del r.d. n. 511 del 1946, evidenziando l'estraneità al dato patrimoniale del bene giuridico
presidiato dalle due norme - l'una il principio di buona amministrazione e l'altra l'immagine ed il prestigio
della magistratura -, di guisa che l'accertamento della mancanza di danno economico, che aveva condotto il
giudice penale ad' escludere la sussistenza del delitto' di peculato, non spiegava nel giudizio disciplinare (in
relazione a tale capo di incolpazione) rilievo alcuno.
Con il secondo motivo denuncia "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in.
ordine alla configurazione dell'illecito", "soprattutto in relazione all'assoluzione che la Sezione disciplinare
ha ritenuto di pronunciare in afferenza alla violazione dell'art. 4, canna 1, lettera d), del d.lgs. 109/2006.
Coerenza avrebbe dovuto incorre diversa statuizione". Con riguardo all'illecito di cui all'art. 2, canna 1,
lettera n), del d. lgs. n. 109 del 2006 - del quale ella è stata ritenuta responsabile -, illecito che presuppone
che l'inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli
organi competenti si presenti "grave" o "reiterata", la ricorrente assume che "in modo inappropriato
quanto ingiustificato la Sezione disciplinare ha ritenuto sussistere entrambe le aggettivazioni, seppure
normativamente disgiunte, laddove ha ritenuto di escludere proprio l'ipotesi di incolpazione caratterizzata
dalla condotta lesiva dell'immagine del magistrato (art. 4 lett. d)".
Il motivo, pervero formulato in forma non proprio lineare, è infondato, sol che si consideri che l'illecito
previsto dall'art. 4, lettera d), del d.lgs. più volte citato è uno degli illeciti disciplinari conseguenti al reato,
ed è integrato da "qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l'immagine dei magistrato, anche se il
reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita". Ne consegue,
cane chiaramente esposto dalla Sezione disciplinare, che una volta escluso dal giudice penale il reato di
peculato contestato, viene meno la configurabilità del detto illecito disciplinare, dal quale il magistrato è
stata quindi assolta.
E ne consegue ancora, quanto all'illecito disciplinare nell'esercizio delle funzioni individuato dall'art. 2,
canna 1, lettera n), del d. lgs. n. 109 del 2006 nella "reiterata o grave inosservanza delle norme
regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi o informatici adottate
dagli organi competenti", che non è "inappropriato o ingiustificato" aver ritenuto sussistente una
inosservanza grave e reiterata - laddove la disgiunzione "o" 'lascia intendere sia sufficiente la ricorrenza di
uno solo dei due requisiti -, a condizione che la sentenza contenga in ordine ad essa una valutazione (in
proposito, Cass., sez. un., 25 marzo 2013, n. 7383), nella specie presente in forma congrua in ordine ad
entrambi i requisiti.
Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente, con riferimento all'art. 3 bis del d.lgs. n. 109
del 2006 - secondo cui l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa importanza assume che nella specie, in considerazione della mancata compromissione dell'immagine del magistrato e
della magistratura, difetterebbe-"a monte qualsivoglia elemento costitutivo dell'illecito disciplinare,
ingiustamente ritenuto sussistente, e, in ogni caso, la rilevanza del fatto".
Il motivo è infondato, in quanto non risulta essere stata richiesta al giudice disciplinare l'applicazione
dell'esimente, né la ricorrente deduce sul punto alcunché.
Questa Corte ha affermato il principio a tenore del quale "la previsione di cui all'art. 3-bis del d.lgs 23
febbraio 2006, n. 109 (aggiunta dall'art. 1 della legge 24 ottobre 2006, n. 269), secondo cui l'illecito
disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, risulta applicabile - sia per il suo tenore
letterale che per la sua collocazione sistematica - a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorché la
fattispecie tipica risulta essere stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili
all'incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che
costituisce carpito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a
sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo
insufficiente o illogico, fermo restando che un'esplicita motivazione non risulta neppure necessaria quando
l'incolpato abbia omesso di sollecitarla" (Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7937). Se è infatti "certamente
consentita alla Sezione una valutazione negativa formulata con motivazione implicita le volte in cui nessuna
espressa richiesta di applicazione provenga dalla difesa (S.U. 14665 del 2011 e 6237 del 2012), la Sezione
stessa dovrà farsi carico di una esplicita motivazione dell'eventuale diniego le volte - e tale è il caso
sottoposto - in cui la difesa abbia espressamente invocato l'istituto di cui trattasi allegando le ragioni della
sua applicabilità: S.U. 20570 e 7934 del 2013" (Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24152, in motivazione).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.