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OMMARIO
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COMMENTARY
Una realtà editoriale che non cambia
A Journal that does not change
di C. Romano
6
TOPIC HIGHLIGHT
Intervista a Jean-Louis Bresson
I "Claim" relativi alla salute e alla nutrizione
Nutrition and Health Claim
di M. Baldassarre
9
CLINICAL SYSTEMATIC REWIEV
Ruolo dell’analisi molecolare nel bambino
con sospetta diarrea congenita
Role of molecular analysis in children with suspected congenital diarrhea
di V. Pezzella e R. Berni Canani
14
PEDIATRIC HEPATOLOGY
Terapia dell’epatite C cronica nel bambino
Treatment of chronic hepatitis C in children
di G. Indolfi, E. Bartolini, M. Regoli, A. Nesi, M. Resti
18
PEDIATRIC NUTRITION
La dieta chetogena nel bambino neurologico
The ketogenic diet for neurological disorders in childhood
di E. Pironti, F. Martino, G. Catone, G. Coppola
21
CASE REPORT
Il vomito cronico
The chronic vomiting
di F. Porcaro e C. Romano
22
IBD HIGHLIGHTS
Prevenzione della recidiva post-chirurgica nella malattia di Crohn
Prevention of post-surgical recurrence in Crohn’s disease
di S. Renna, E. Orlando, A. Orlando, F. Civitelli, A. Dilillo, F. Viola
27
NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Disordine linfoproliferativo post trapianto nei bambini:
diagnosi precoce, gestione e terapie innovative
Post transplant lymphoproliferative disorder in children:
early diagnosis, management and innovative therapies
di S. Riva, F. Cirillo, M. Sciveres
S
31
OMMARIO
RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE
Nuove terapie nella Fibrosi Cistica
New therapeutic approaches in Cystic Fibrosis
di V. Raia e L. Maiuri
35
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
Colonscopia incompleta: ruolo della colonscopia con videocapsula
Incomplete colonoscopy: the role of colonoscopy with videocapsula
di C. Spada, L. Minelli Grazioli, G. Costamagna
37
SIGENP UNITS PRESENTATION
Chi siamo e cosa facciamo
Who we are and what we do
A. Staiano (NA) - S. Cucchiara (RM)
40
HEALTH AND FOOD SCIENCE
Snack “tropicali” per una obesità nazionale
“Tropical” snacks and National childhood obesity
di V. L. Miniello, A. Colasanto, L. Diaferio, L. Ficele, E. Gallo, M. S. Lieggi, V. Santoiemma
CONSIGLIO DIRETTIVO SIGENP
Presidente
Annamaria Staiano
Vice-Presidente
Valerio Nobili
Segretario
Sandra Brusa
Tesoriere
Flavia Indrio
Consiglieri
Giovanni Di Nardo, Daniela Knafelz,
Tiziana Guadagnini, Silvia Salvatore
COME SI DIVENTA SOCI DELLA
Con il contributo di
© 2013 Area Qualità S.r.l.
DIRE T TORE R ES PONS ABILE
Giovanna Clerici [email protected]
L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro che,
essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano
interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e
Nutrizione Pediatrica.
I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare
una apposita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentapresenta
tori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae
che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia,
Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
In seguito ad accettazione della presente domanda da par
parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di
ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento
della quota associativa SIGENP.
Soci ordinari e aderenti - Dal 2013 i Soci possono scegliere tra
le seguenti opzioni:
- solo quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD
(anno solare) € 35.
- quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD
on-line (anno solare) € 75.
Specializzandi: quota associativa annuale SIGENP senza DLD
(anno solare) € 30 previa presentazione di certificato di
iscrizione alla scuola di specialità.
Per chi è interessato la scheda di iscrizione
è disponibile sul portale SIGENP
www.sigenp.org
Per eventuale corrispondenza o per l’iscrizione alla
SIGENP contattare la Segreteria SIGENP:
Area Qualità S.r.l. - Via Comelico, 3 - 20135 Milano
Tel. 02/5512322 - Fax 02/73960564
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in conformità alla norma ISO
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Fiorenza Lombardi Borgia
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Volume V - N°1/2013 - Bimestrale
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autorizzata per iscritto dall’Editore. Questa rivista è spedita in
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I VANTAGGI DI ESSERE SOCI SIGENP
GLI SCOPI PRINCIPALI DELLA SOCIETÀ SONO:
• Promuovere studi di fisiopatologia dell’intestino, del fegato, del pancreas e di nutrizione clinica in età pediatrica,
con particolare attenzione agli aspetti multidisciplinari;
• Promuovere attività di educazione scientifica dei giovani ricercatori;
• Promuovere la standardizzazione di metodologie cliniche;
• Promuovere le conoscenze in gastroenterologia pediatrica attraverso l’aggiornamento dei pediatri;
• Elevare la consapevolezza sull’importanza delle patologie croniche dell’apparato digerente e del fegato in età pediatrica;
• Tutelare la salute supportando la ricerca e l’educazione sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento delle malattie
dell’apparato digerente e del fegato;
• Sviluppare le relazioni scientifiche con le altre Società italiane e internazionali e le attività di ricerca in gastroenterologia,
epatologia e nutrizione pediatrica;
• Promuovere la cooperazione scientifica con l’industria al fine di facilitare il raggiungimento degli scopi societari.
COME SI DIVENTA SOCI DELLA SIGENP
L’iscrizione alla SIGENP come socio è riservata a coloro che, essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 soci presentatori.
I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostra interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
In seguito ad accettazione della domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed
indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP.
Soci ordinari e aderenti - Dall’anno 2013 i Soci potranno scegliere tra le seguenti opzioni:
- solo quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD (anno solare) € 35.
- quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD on-line (anno solare) € 75.
Specializzandi: quota associativa annuale SIGENP senza DLD (anno solare) € 30
previa presentazione di certificato di iscrizione alla scuola di specialità.
I BENEFICI CONCESSI AI SOCI SONO:
• La possibilità di partecipare agli studi multicentrici proposti o di essere promotori lori stessi di nuovi;
• La possibilità di accedere alle aree riservate del portale SIGENP che contengono le linee guida elaborate dalla Società,
articoli scelti dalla letteratura nazionale ed internazionale, l’elenco dei progetti in corso ancora aperti, tutte le informazioni
della vita della Società, i bandi delle borse di studio;
• La possibilità di partecipare ai bandi per vincere le borse di studio che annualmente vengono bandite
per premiare i progetti di studio più meritevoli;
• L’abbonamento al Giornale SIGENP;
• La quota ridotta di iscrizione al congresso nazionale.
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Kaleidon IDRO è un prodotto dietetico per la reidratazione
orale con aggiunta di Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103
KALE 12 17
Dosi e modalità di assunzione
consigliate: bere ad libitum.
Sciogliere il contenuto della busta A e
della busta B in circa 200 ml di acqua.
C
OMMENTARY
a cura del Direttore Editoriale Claudio Romano
Una realtà editoriale che non cambia
C. ROMANO
Tra le poche novità “2013” del nostro Giornale trovate in “prima battuta” quella relativa alla sostituzione dell’editoriale con la rubrica “Paper Alert” che, dal prossimo numero, prevederà un commento “critico” di un lavoro della
letteratura di area gastroenterologica o “traslazionale”. Speriamo che questa scelta possa trovare il vostro consenso.
Come da tradizione del nostro Editore è stata effettuata una indagine di lettura per conoscere l’opinione dei soci
SIGENP, i cui risultati meritano di essere resi noti e commentati. Hanno risposto il 30% circa dei soci SIGENP ed oltre
il 95% ritiene utile la lettura del nostro Giornale. Assiduamente e ad ogni uscita viene letto dall’80% dei soci con un
dichiarato sostegno che il contenuto scientifico fornisce alle attività quotidiane ed alla soluzione di problematiche
di tipo clinico-assistenziale (valutazione del 90% circa dei soci responders).
È uno strumento di continuo aggiornamento professionale per oltre il 95% degli “intervistati” ed è un ausilio importante per l’autoformazione. Le rubriche che prevedono l’approfondimento di argomenti di ampio respiro quali il
Topic Highlight, Continuing Medical Education Activities (da quest'anno si chiamerà Clinical Systematic Rewiev) e
IBD Highlights raccolgono il maggiore interesse senza richiesta di particolari modifiche del piano editoriale. Appare
inoltre interessante l’esigenza avanzata per numeri monotematici (47%) che possano essere considerati anche mezzi di formazione a distanza con relativi crediti (25%).
In linea con questa indicazione, a partire da quest’anno abbiamo previsto 2 fascicoli monotematici di estremo
interesse e che rappresenteranno una novità editoriale oltre che un ulteriore sforzo per la redazione e per lo sponsor
Malesci che ci ha gratificato anche quest’anno con il suo sostegno.
Volendo continuare la presentazione dell’edizione 2013, troverete qualche piccola novità sul piano grafico e l’inserimento di 2 nuove rubriche quali Health and Food Science, coordinata da Ruggiero Francavilla che propone temi
per discutere i rapporti tra "alimentazione e salute" e SIGENP Units Presentation rubrica resa possibile grazie ad
un "piccolo tour" in giro per l’Italia per conoscere quali attività vengano svolte presso i Centri di Gastroenterologia
Pediatrica SIGENP e quali interessi vengano coltivati in ambito di ricerca di base e clinica.
Tutto il resto può essere considerato sostanzialmente immodificato, anche se maggiore spazio ed un taglio più pratico daremo alla rubrica sulle IBD, dove oltre al “cross-talk” tra gastroenterologo pediatra e dell’adulto, è prevista la
presentazione di alcuni casi clinici.
Ogni numero sarà presentato con una newsletter ai soci “Il blog del Giornale SIGENP” in cui daremo anticipazioni sui contenuti e sugli autori.
Il Comitato Editoriale è stato confermato in tutte le sue componenti ed abbiamo avviato le procedure per ottenere
l’indicizzazione della rivista con un duplice obiettivo: da un lato assicurare maggiore diffusione ai contenuti che
possano essere visibili su più vetrine “di impatto” e dall’altro per aumentarne il prestigio (un periodico di qualità è
indicizzato da più banche dati). I tempi per ottenere questo obiettivo non saranno immediati e probabilmente sfruttabili non prima del prossimo anno.
Buona lettura quindi e buon lavoro per il Comitato di Redazione, per l’Editore Area Qualità e per tutti gli Autori che
hanno garantito il loro contributo per la programmazione editoriale di quest’anno.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):5
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In questo numero del Giornale
ci occupiamo di corretta
informazione alimentare,
in particolare della
regolamentazione delle descrizioni
o messaggi pubblicitari (Claim:
di difficile traduzione italiana,
alla lettera significa asserzione,
indicazione) che affermino,
suggeriscano o sottintendano
che un alimento abbia particolari
proprietà nutrizionali o un preciso
rapporto con la salute, in termini
di riduzione del rischio di una malattia.
Il Professore Jean-Louis Bresson
è stato dal 2003 al 2012 membro
dell’European Food Safety Authority
(EFSA), la massima autorità europea
in tema di corretta informazione
alimentare, ed ha contribuito
attivamente alla stesura del nuovo
Regolamento, approvato
di recente dal Parlamento Europeo.
Le informazioni raccolte in questa
breve intervista sono estremamente
importanti e forse poco note
alla maggior parte di noi.
Key Words
Nutrition claim
6
I NTERVISTA A JEAN-LOUIS BRESSON
I “Claim” relativi alla salute
e alla nutrizione
MARIELLA BALDASSARRE - U.O. di Neonatologia e T.I.N. del Policlinico Universitario di Bari
‘Claim’ means any message or representation, which is not mandatory under
Community or national legislation, including pictorial, graphic or symbolic
representation, in any form, which states, suggests or implies that a food
has particular characteristics. Scientific substantiation should be the main aspect
to be taken into account for the use of claims. The food business operators
using claims should justify them. Experience has shown that it is necessary to adopt
measures aimed at guaranteeing that unsafe food is not placed on the market
and at ensuring that systems exist to identify and respond to food safety problems.
The EFS
EFSA
A (European Food Safety Authority) shall provide scientific advice
and scientific and technical support for the Community's legislation and policies
in all fields which have a direct or indirect impact on food and feed safety.
Caro Professore, iniziamo questa intervista cercando di fare chiarezza
sulle definizioni: asserzioni nutrizionali (nutrition claim), asserzioni
sulla salute (health claim): a cosa ci
riferiamo esattamente?
Nel dicembre 2006 l'Unione europea ha
fissato nuove norme circa le informazioni pubblicitarie relative agli alimenti diffusi nel mercato comune europeo, allo
scopo di aumentare la tutela dei consumatori, di facilitare la circolazione delle
merci, di aumentare il livello di certezza
giuridica per gli operatori economici e
di garantire una concorrenza leale. Devo sottolineare che la legislazione europea in merito alle “asserzioni nutrizionali e di salute (health and nutrition
claim) si è perfezionata nel corso di numerosi anni. La Commissione Europea
preposta a ciò, formata da rappresentanti di tutti gli Stati membri, ha presentato il regolamento finale al Parlamento
Europeo che lo ha approvato. Non si è
dunque trattato di un "incidente" giuridico, ma di un complesso percorso formativo.
Nel corso di questa intervista farò riferimento a specifici articoli tratti da tale
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):6-8
regolamento. "Asserzione nutrizionale" (nutrition claim) (art. 8) è
qualunque messaggio o rappresentazione, non obbligatorio in base alla legislazione comunitaria o nazionale,
comprese le rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche in qualsiasi
forma, che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari
caratteristiche.
Per "alimento" si intende qualsiasi sostanza o prodotto, trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato,
destinato ad essere ingerito da esseri
umani. Tra gli alimenti sono comprese
le bevande, le gomme da masticare e
qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione,
preparazione o trattamento. Non sono
invece compresi i medicinali, gli animali
vivi, a meno che siano preparati per
l'immissione sul mercato per il consumo
umano, i vegetali prima della raccolta, i
cosmetici, le sostanze stupefacenti o psicotrope, i residui e i contaminanti.
Un'asserzione nutrizionale si riferisce alla
composizione dei prodotti alimentari:
"ricco di…", "fonte di…", "a basso
Jean Louis Bresson is pediatrician at “Hôpital des Enfants Malades” in Paris
and Professor of Nutrition at “Descartes” Medical School in Paris.
He created and chaired the Clinical Research Center at “Hôpital des Enfants
Malades” in 1993 and started research in nutrition (indirect calorimetry,
isotope dilution). He has also been working for AFSSA (French EFSA) from
2000 to 2009 and for EFSA from 2003 to 2012.
Hôpital Necker-Enfants Malades di Parigi (Francia)
tenore di...". Le condizioni da soddisfare per poter fornire determinate
informazioni sono descritte in un allegato alla legislazione in materia, che
specifica in maniera assolutamente
precisa qual è la concentrazione che
quella determinata sostanza deve
avere in quel determinato alimento.
Ad esempio, un alimento è "a basso
contenuto di zuccheri" solo se il
prodotto contiene non più di 5 g di
zuccheri per 100 g per i solidi o 2.5 g
di zuccheri per 100 ml per i liquidi,
oppure è "fonte di fibre" solo se
contiene almeno 3 g di fibre per 100
grammi o 1.5 g di fibre per 100 kcal.
Le asserzioni riguardanti la salute sono di due tipi. Il primo, più "ambizioso", si riferisce alla riduzione di un
fattore di rischio per una determinata
malattia che si può ottenere con un
determinato alimento (Art. 14; es: colesterolo). Per ottenere la possibilità di
asserire ad esempio che l’assunzione
di tale alimento riduce il colesterolo, il
richiedente deve presentare "a priori" un dossier corredato di tutta la
documentazione scientifica a supporto di quanto si vuole affermare.
Il secondo tipo di asserzione riguardante la salute (art. 13) descrive il ruolo fisiologico del nutriente nelle funzioni normali del corpo (es.: Il calcio è
necessario alle ossa) o si riferisce ad un
contributo positivo alla salute o al miglioramento di una funzione (ad
esempio lo yogurt e l’ingestione del
lattosio). Tutte le asserzioni nutrizionali che riguardano l’infanzia sono
soggette alle disposizioni contenute
nell'articolo 14 del presente regolamento (Art. 14. Riduzione dei rischi di
malattia e indicazioni riguardanti lo sviluppo e la salute dei bambini).
Qual è l’iter da compiere perché
un alimento abbia determinate
informazioni nutrizionali o relative alla salute e quali sono le
massime autorità preposte a salvaguardia di ciò?
Quando un produttore alimentare vuole
corredare il suo prodotto di un’asserzione
concernente alcune proprietà nutrizionali
o a salvaguardia della salute (tali disposizioni
sono contenute negli art. 14 e 13.5) deve presentare una domanda all'Autorità per la sicurezza alimentare del proprio paese dell'Unione Europea, che successivamente la
trasmette all'EFSA (European Food Safety Authority) per la valutazione. L'EFSA
redige un parere motivato (vi è/non vi è
un rapporto di causa ed effetto tra l’alimento e l’effetto rivendicato). Per la gestione del rischio, un comitato ad hoc
(costituito da rappresentanti della Commissione Europea e degli Stati membri), decide sulla base della recensione
dell'EFSA se autorizzare la asserzione
richiesta. Le indicazioni dell'EFSA sono state, finora, generalmente fatte proprie dal suddetto comitato.
Il legislatore ha emesso due raccomandazioni: in primo luogo, per gli operatori
economici, precisa che "la giustificazione scientifica dovrebbe essere
l'aspetto principale di cui tenere
conto nell'utilizzo di indicazioni nutrizionali"; la seconda raccomandazione è per i valutatori (EFSA) e gestori del
rischio (Commissione e Stati membri)
affinchè la "valutazione scientifica
del più alto livello possibile" sia
l'aspetto principale di cui tenere conto per l'uso delle indicazioni.
Si propone pertanto che l'effetto indicato
sia scientificamente dimostrato. Poiché
non è possibile estrapolare le osservazioni
negli animali agli esseri umani, ciò equivale
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):6-8
a chiedere che la prova dell'efficacia sia effettuata nella specie umana.
Infine, va osservato che sono vietate le affermazioni inerenti alla prevenzione o cura delle malattie per quanto riguarda gli
alimenti. Quindi la Commissione, gli Stati membri e il Parlamento europeo sono
stati tutti d'accordo che la scienza tornasse
in cima alla lista.
Gli Stati membri hanno presentato
alla Commissione preposta più di
40.000 domande che sono state riclassificate, ridotte a 4.400 e trasmesse all'EFSA per la valutazione (con le
pubblicazioni scientifiche a supporto). Sono stati rilasciati circa 3.000
pareri e nel maggio 2012 è stato pubblicato un elenco di 226 indicazioni
autorizzate relative all'articolo 13.1 (le
cosiddette asserzioni funzionali). È
stato anche creato un registro pubblico contenente le asserzioni tutte rifiutate sulla base della valutazione scientifica. Dal 15 dicembre 2012, tutti le
asserzioni che non sono state autorizzate dovrebbero essere vietate.
Il nuovo regolamento approvato dal
Parlamento Europeo si applica a tutte
le indicazioni fornite nella comunicazione commerciale. Esso non si applica
alle indicazioni che figurano in comunicazioni non commerciali, quali gli
orientamenti o i consigli dietetici espressi dalle autorità sanitarie.
La mia sensazione personale è che tutto
ciò rappresenti un miglioramento importante sia per i consumatori che sono
molto critici nei confronti delle asserzioni diffuse attualmente, ma anche per
l'agro-industria: le società che hanno
progettato i propri prodotti in base alle
loro ricerche, condotte con serietà, dovrebbero essere meglio tutelate rispetto
a quelle che semplicemente "copiano".
7
Topic Highlight
ESPGHAN - NASPGHAN
Sulla base di questa normativa recente, credo sia aumentata quindi la
veridicità delle “etichettature”, a rassicurazione di noi consumatori….
Con il termine "etichettatura" ci riferiamo
intanto a tutto ciò che sia menzione, indicazione, marchio di fabbrica, nome commerciale, immagine o simbolo riferentesi ad un
prodotto alimentare, figurante su qualsiasi
imballaggio, documento, cartello, anello o fascetta che accompagna o si riferisce a tale
prodotto alimentare. Tale informazione non
deve essere falsa, ambigua o fuorviante, dare
adito a dubbi sulla sicurezza e/o sull'adeguatezza nutrizionale di altri alimenti, incoraggiare il consumo eccessivo di un elemento,
affermare, suggerire o sottintendere che una
dieta equilibrata e varia non possa fornire
quantità adeguate di sostanze nutritive, non
deve quindi indurre in errore l'acquirente attribuendo al prodotto alimentare effetti o
proprietà che non possiede né tantomeno attribuire al prodotto alimentare proprietà atte
a prevenire, curare o guarire una malattia
umana. Inoltre le asserzioni sulla salute sono consentite solo se nell’etichetta sono incluse le seguenti informazioni:
a) una dicitura relativa all'importanza
di una dieta varia ed equilibrata ed
uno stile di vita sano
tuazione molto diversa da quella che ha prevalso finora, in cui, accanto ad alcune affermazioni scientificamente fondate brulicavano
asserzioni ingiustificate, per non parlare di
imposture reali.
CORRESPONDING AUTHOR
JEAN-LOUIS BRESSON
Direttore Centro di Ricerca Clinica
Hôpital Necker-Enfants Malades
149 Rue de Sèvres - 75015 Paris (Francia)
Tel. + 33 1 44 49 40 00
E-mail: [email protected]
BIBLIOGRAFIA
1. Lenoir-Wijnkoop I, Nuijten MJ, GutiérrezIbarluzea I et al. Workshop Report: concepts
and methods in the economics of nutrition-gateways to better economic evaluation of
nutrition interventions. Br J Nutr 2012;108:
1714-20.
2. Buttriss JL, Benelam B. Nutrition and health
claims: the role of food composition data. Eur J
Clin Nutr 2010;64Suppl3:S8-13.
3. Vero V, Gasbarrini A. The EFSA health claims
'learning experience'. Int J Food Sci Nutr
2012;63Suppl1:14-6.
4. Hugas M, Tsigarida E, Robinson T et al. Risk
assessment of biological hazards in the
European Union. Int J Food Microbiol
2007;120:131-5.
b) la quantità dell'alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere
l'effetto benefico
c) se necessario, una dicitura rivolta alle persone che dovrebbero evitare di
consumare l'alimento
d) un'appropriata avvertenza per i
prodotti che potrebbero presentare un
rischio per la salute se consumati in
quantità eccessive.
Il rispetto della legge da parte di tutte le parti
interessate dovrebbe ridare ai consumatori fiducia nei confronti degli operatori economici
del settore. Ci troviamo certamente in una si-
8
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):6-8
Key Points
• Esiste attualmente in ambito europeo
un Regolamento redatto dall’European
Food Safety Authority (EFSA) che contiene nuove norme circa le informazioni pubblicitarie relative agli alimenti
diffusi nel mercato comune europeo,
allo scopo di aumentare la tutela dei
consumatori, e di garantire una concorrenza leale.
• Le informazioni autorizzate dall’EFSA fanno
riferimento al più alto livello di evidenza
scientifica al momento disponibile.
• Le indicazioni fornite sull’etichetta non
devono indurre in errore l'acquirente
attribuendo al prodotto alimentare
effetti o proprietà che non possiede
né tantomeno attribuire al prodotto
alimentare proprietà atte a prevenire,
curare o guarire una malattia umana.
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Ruolo dell’analisi molecolare
nel bambino
con sospetta diarrea congenita
Vincenza Pezzella e Roberto Berni Canani
Dipartimento di Medicina Traslazionale - Sezione Pediatrica, Laboratorio Europeo per lo Studio
delle Malattie Indotte da Alimenti (ELFID), Università degli Studi di Napoli "Federico II”
INTRODUZIONE
Le diarree congenite (CDD) sono un gruppo di rare enteropatie ereditarie caratterizzate da un tipico inizio nelle prime settimane di vita (1,2). Nonostante la
maggior parte di queste patologie sia caratterizzato da un quadro clinico in gran
parte simile, le cause, la gestione e la prognosi delle varie forme di CDD sono molto diverse. Per gran parte di queste condizioni, la diarrea cronica severa rappresenta la principale manifestazione clinica, più raramente la diarrea è soltanto una
componente di un quadro multiorgano più complesso. Nella maggior parte dei
casi, la terapia appropriata deve essere avviata immediatamente per prevenire la
disidratazione e gravi complicanze a breve e lungo termine (1). Esistono anche forme relativamente più lievi di CDD, con un quadro clinico meno grave e che possono rimanere non diagnosticate fino all’età adulta. Ad oggi, nella maggior parte dei
casi di CDD sono noti i geni responsabili di malattia. Pertanto, l'analisi molecolare
ha assunto un ruolo fondamentale nell’approccio diagnostico in queste patologie.
Recentemente abbiamo proposto una classificazione delle CDD in quattro gruppi in relazione al principale meccanismo fisiopatologico responsabile (3):
Congenital diarrheal
disorders (CDDs) are a group
of inherited enteropathies
with a typical onset early in
the life. Infants with these
disorders have frequently
chronic diarrhea of sufficient
severity to require parenteral
nutrition. For most CDDs
the disease-gene is known
and molecular analysis may
contribute to an unequivocal
diagnosis. We review CDDs
on the basis of the genetic
defect, focusing on the
significant contribution of
molecular analysis
in the complex, multistep
diagnostic work-up. New
entities were also presented.
I
II
III
IV
difetti di digestione, assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti
difetti di differenziazione e polarizzazione degli enterociti
difetti della differenziazione delle cellule enteroendocrine
difetti di modulazione della risposta immunitaria intestinale
Questa classificazione può essere un pratico punto di partenza per il complesso approccio diagnostico ai pazienti con sospetta CDD.
EPIDEMIOLOGIA
Come è facile osservare dai dati riportati in Tabella 1 fatta eccezione per il malassorbimento di fruttosio (FM) (3), le CDD sono generalmente molto rare. Alcune
CDD sono più frequenti nei gruppi etnici dove sono consueti le unioni tra consanguinei o in alcune aree geografiche a causa dell’effetto fondatore (2,3). In un
recente studio nazionale italiano, è stata descritta un’incidenza di 3 casi di CDD
su 5.810 neonati ricoverati per diarrea in terapia intensiva neonatale, in un periodo di tre anni (4). Uno studio della Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP nel 1999 denominata SIGEP) ha stimato che
le cause più comuni di CDD sono l’alterata modulazione della risposta immunitaria intestinale e i difetti di differenziazione e polarizzazione degli enterociti (5).
Key Words
Chronic diarrhea, genes,
enteropathies, prenatal diagnosis,
total parenteral nutrition
APPROCCIO DIAGNOSTICO
Il moderno approccio diagnostico alle CDD è un processo a più fasi che prevede
l'attenta valutazione dei dati anamnestici e clinici, i comuni esami di laboratorio
e l’analisi molecolare. In alcuni casi può essere necessario il ricorso a procedure
strumentali [Figura 1]. Una storia familiare positiva per diarrea cronica ad esordio
precoce, polidramnios e/o evidenza ecografica di anse intestinali dilatate durante la gravidanza sono elementi altamente suggestivi di CDD.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):9-13
99
Clinical Systematic Rewiev
Tabella 1 Classificazione, Epidemiologia e Geni coinvolti nelle principali forme di CDD
Gene
OMIM
Esone
number
Nome
Posizione
Proteina
Trasmissione e incidenza
AR, 1:60.000 in Finlandia;
più bassa in altri gruppi etnici
AR, 1:5.000; più alta incidenza
in Groenlandia, Alaska e Canada
1. Difetti di digestione, assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti
Deficit congenito di lattasi (LD)
Deficit congenito
di sucrasi-isomaltasi (SID)
Deficit congenito
di maltasi-glucoamilasi (MGD)
Malassorbimento
glucosio-galattosio (GGM)
LCT (Lattasi)
603202
17
2q21.3
Lattasi-prolizina
ad attività idrolasica
SI (Sucrasi-Isomaltasi)
609845
48
3q26.1
Sucrasi-isomaltasi
MGAM
(Maltasi-Glucoamilasi)
154360
7q34
Attività maltasi-glucoamilasi
Pochi casi descritti
SLC5A1
182380
22q13.1
Cotrasportatore intestinale
Na/glucosio (SGLT1)
AR, poche centinaia di casi descritti
15
126650
21
7q31.1
SLC7A7
603593
11
14q11.2
SLC10A2
601295
6
13q33.1
CFTR
PRSS7
602421
27
25
7q31.2
21q21
Trasportatore
Glucosio/fruttosio (GLUT5)
Trasportatore basolaterale
di glucosio 2 (GLUT2)
Trasportatore Intestinale
zinco-specifico
Scambiatore
cloro/bicarbonato
Trasportatore
basolaterale di AA
Trasportatore ileale di Sali
biliari dipendente da sodio
CFTR
Inibitore di serina-proteasi
PRSS1
276000
5
7q34
Tripsinogeno cationico
SPINK1
167790
4
5q32
Inibitore della secrezione
di tripsina pancreatica
Deficit congenito di lipasi
pancreatica (APL)
PNLIP
246600
13
10q25.3
Lipasi pancreatica
Abetalipoproteinemia (ALP)
MTTP
157147
17
4q27
Proteina microsomiale
che trasferisce trigliceridi
AR, circa 100 casi descritti;
più alta la frequenza tra Ashkenazi
Ipobetalipoproteinemia
familiare (HLP)
Apo B
107730
26
2p24.1
Apolipoproteina B 100/48
Autosomica co-dominante
5q31.1
SAR 1B proteina che interviene
nel traffico intracellulare
di chilomicroni
AR, circa 40 casi descritti
19q13.2
Inibitore dell'attivatore
del fattore di crescita
degli epatociti (HGF)
AR
Sconosciuta
AR
Malassorbimento di fruttosio (FM) SLC2A5 (?)
Sindrome di Fanconi-Bickel (FBS)
138230
SLC2A2
Acrodermatite enteropatica (ADE) SLC39A4
Cloridorrea congenita (CCD, DIAR 1) SLC26A3
Intolleranza alla proteina
lisinurica (LPI)
Malassorbimento primitivo
di acidi biliari (PBAM)
Fibrosi Cistica (CF)
Deficit enterochinasi
1p36.2
138160
10
3q26.2
607059
12
8q24.3
Pancreatite ereditaria (HP)
Malattia da accumulo
di chilomicroni (CRD)
SAR1B
607690
Diarrea Congenita da perdita
di Sodio (CSD, DIAR 3)
SPINT2
(solo nella forma sindromica)
605124
SBDS
607444
Sindrome
di Shwachman-Diamond (SDS)
Diarrea associata a mutazione
di DGAT1
Diarrea familiare associata
a mutazione di GUCY2C
8
DGAT1
Sintesi di trigliceridi
GUCY2C
Gene codificante
la guanilato-ciclasi intestinale
più di 40%
AR, raro, più alta frequenza
tra consanguinei
AR, 1:500.000
AR, sporadico;
frequente in alcune etnie
AR, circa 1:60.000 in Finlandia
e Giappone; rara in altri gruppi etnici
AR
AR, 1:2.500
AR
AR, casi con mutazioni composte
in diversi geni; le mutazioni di SPINK1
possono provocare una pancreatite tropicale
2. Difetti nella differenziazione e polarizzazione degli enterociti
Atrofia congenita dei microvilli
(DIAR 2)
MYO5B
Enteropatia congenita a ciuffi
(DIAR 5)
EpCAM
Diarrea Sindromica
TTC37 SKIV2L
606540
185535
40
18q21.1
Miosina B
Molecole di adesione
di cellule epiteliali
Proteina con 20
tetratricopeptidi
AR, rara; più alta la frequenza tra Navajo
AR, 1:50-100.000; più alta tra gli Arabici
9
2p21
45
5q15
2
10q21.3
Fattore di trascrizione basico
elica-doppia-elica
AR, pochi casi descritti
5q15-q21
Enzima per elaborazione
della proinsulina di tipo I
AR
Xp11.23-q13.3
Fattore di trascrizione
X-linked, molto rara
21p22.3
Fattore di regolazione
autoimmunitario
AR, 1:400.000
3. Difetti nella differenziazione di cellule enteroendocrine
Diarrea congenita malassorbitiva
(CMD, DIAR 4)
NEUROG3
604882
Deficit di Proproteina convertasi
1/3 (PCD)
PCSK1
162150
4. Difetti di modulazione della risposta immunitaria intestinale
Dsfunzione immunitaria,
FOXP3
poliendocrinopatia, X-linked (IPEX)
Sindrome IPEX-like
11
Sconosciuto
Sindrome polighiandolare
AIRE
autoimmune tipo I (APSI) o APECED
10
304790
Enteropatia autoimmune
associata ad immunodeficienza
Sconosciuto
Enteropatia autoimmune
associata a colite
Sconosciuto
Non X-linked
607358
14
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):9-13
AR, AD (1 famiglia)
Ruolo dell’analisi molecolare nel bambino con sospetta diarrea congenita
Bisogna tener conto che anche durante le prime settimane di vita infezioni e allergie alimentari sono cause frequenti di diarrea cronica (3), e che tali condizioni, oltre alle malformazioni del tratto gastrointestinale, devono essere sempre preliminarmente escluse (1,2).
Un passo importante nel processo diagnostico della CDD è l'identificazione di una diarrea
conseguente a meccanismo osmotico o secretorio attraverso la misurazione degli elettroliti
fecali (Na+ e K+) [Figura 1]. È sempre importante misurare anche la concentrazione di Clnelle feci per escludere una cloridorrea congenita (CLD), caratterizzata da un’elevata perdita fecale di tale ione (> 90 mmol / L) (6). Successivamente grazie al risultato di altri esami
di laboratorio o strumentali e alla risposta ad eventuali diete speciali il percorso diagnostico
proseguirà sino all'analisi molecolare, oggi disponibile per la maggioranza dei casi [Figura 1].
DIAGNOSI MOLECOLARE
La maggior parte dei geni responsabili della CDD non sono particolarmente grandi, e
questo ha permesso di utilizzare tecniche come il sequenziamento genico per l'analisi
molecolare (1). La Tabella 1 mostra che solo in pochi casi non può essere eseguita una
diagnosi molecolare. L’analisi delle mutazioni nei geni responsabili di CDD può aiutare
a predire il fenotipo della malattia, sulla base dell'effetto della mutazione (una mutazione “nonsense” che abolisce completamente l'attività della proteina dovrebbe dar luogo
ad una malattia più grave di un “missense”, che coinvolge una regione di proteina con
Sospetto di CDD
Elettroliti fecali
Osmotica
Normale istologia/ME
Malassorbimento
generalizzato
Monosaccaridi
o formula
priva di CHO
Na>145mM/L
Sindrome
intestino corto
Normale lunghezza
intestino
Malassorbimento
di fruttosio
No infiammazione
Infiammazione
cronica estesa
alla lamina propria
Anti-cromogranina A
Tri<10mg/dl
Chol. 25-40mg /dl
No cellule enteroendocrine
con altre cellule normali
Abetalipoproteinemia
APOB
Ipobetalipoproteinemia
Normal TG e APOB
MTP
Fruttosio + formula
priva CHO
Neurog3
H2 test
glucosio
SGLT1
SARA2
Malattia da accumulo
di chilomicroni
Normali cellule
caliciformi di Paneth,
enteroendocrine
ed epiteliali
Anendocrinosi
enterica
Disendocrinosi
enterica
DRA
Cloridorrea congenita
No infiammazione
variabile astrofia dei villi
Colestiramina
ASBT
Malassorbimento
di acidi biliari primari
Enteropatia
Autoimmune
Epitelio a ciuffi
EpCAM
Foxp3
S.IPEX-like
Enteropatia a ciuffi
IPEX
Inclusioni microvillari
intracitoplasmatiche al ME
Enteropatia autoimmune
associata a immunodeficienza
Malassorbimento
di glucosio-galattosio
Sodiorrea
congenita
CI>90mM/L
Infiammazione cronica, iperplasia
delle cripte e astrofia dei villi
Rx
digerente
H2 breath test
al fruttosio
Normale istologia
Enterociti ricchi di grassi
Malassorbimento
di nutrienti specifici
Secretiva
MY05B
Enteropatia autoimmune
con colite
M. da inclusione
dei microvilli
AIRE
S. Polighiandolare
autoimmune
Sangue
Breath test
Trial dietetico/terapeutico
Analisi molecolare
Istologia
Elettroliti fecali
Figura 1 Indicazioni per un moderno approccio diagnostico alle principali forme di CDD
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):9-13
11
Clinical Systematic Rewiev
attività meno critica). Tuttavia, una chiara
correlazione genotipo-fenotipo non è sempre
facile da dimostrare. Inoltre, in alcune forme
di CDD come la CLD è stato suggerito il
ruolo di geni modificatori del fenotipo, ereditati indipendentemente dal gene-malattia (7).
Tabella 2 Analisi molecolare disponibili presso il nostro Centro
malattia
gene
Deficit congenito di sucrasi-isomaltasi (SID)
SI
Malattia da accumulo di chilomicroni (CRD)
SAR1B
RECENTI PROGRESSI
Malassorbimento di acidi biliari primari (PBAM)
SLC10A2
La ricerca nel campo delle CDD è molto
Acrodermatite enteropatica (ADE)
SLC39A4
attiva e nell’ultimo anno sono stati ottenuti
interessanti risultati con la dimostrazione di
Intolleranza alla proteina lisinurica (LPI)
SLC7A7
due nuove entità. In due fratelli appartenenti ad una famiglia di Ebrei Ashkenazi è stata
Cloridorrea congenita (CCD)
SLC26A3
identificata e caratterizzata una rara mutaMalassorbimento glucosio-galattosio (GGM)
SLC5A1
zione nel gene DGAT1, uno dei due enzimi
che catalizza la sintesi dei trigliceridi (8). La
Malattia da accumulo di microvilli (DIAR 2)
MYO5B
perdita di funzione in omozigosi è associata
Enteropatia a ciuffi (DIAR5)
EpCAM
a CDD e la mutazione riguarda una delezione dell'esone 8 e un allele nullo. Come il
Fibrosi Cistica (CF)
CFTR
deficit di DGAT1 provochi diarrea non è
SPINK1
ancora completamente chiaro, probabilPancreatite ereditaria (HP)
PRSS1
mente un accumulo di substrati lipidici come diacilgliceroli o acil CoA a livello intestinale risulta tossico per gli enterociti. Clinicamente entrambi i bambini presentavano pochi giorni dopo la
nascita vomito, dolori addominali, diarrea acquosa non ematica severa (8-10 evacuazioni/die), con sviluppo
di acidosi metabolica e disidratazione, enteropatia protido-disperdente (con valori di α1 anti-tripsina fecale
tra 8 e 20 mg/g e ipoalbuminemia). In entrambi i casi si è resa necessaria la nutrizione parenterale ed infusioni di albumina.
La seconda nuova condizione riguarda una forma di CDD di tipo secretivo secondaria ad una mutazione eterozigote missenso (c.2519G "T) nel gene GUCY2C (9). La sostituzione coinvolge il sito catalitico e probabilmente
altera l’attività guanilato-ciclasica del recettore della guanilina. La guanilina è un peptide secretivo endogeno in
grado di attivare la guanilato ciclasi e aumentare i livelli intracellulari di cGMP. L’esposizione del recettore mutante alla guanilina determina un abnorme aumento della produzione di cGMP in grado di provocare iperattivazione del CFTR con conseguente significativo aumento della secrezione di fluidi da parte degli enterociti. La
mutazione è stata identificata studiando 32 membri di una famiglia norvegese. Le caratteristiche cliniche ricorrenti tra i membri erano diarrea acquosa, meteorismo, dolori addominali, disidratazione, acidosi metabolica e
squilibri elettrolitici, distensione addominale e dilatazione delle anse del piccolo intestino.
Dati recenti, infine, si sono resi disponibili riguardo la diarrea sindromica/sindrome trico-epato-enterica (SD/
THE), una grave e rara malattia intestinale (prevalenza stimata 1/1.000.000 nascite, trasmissione autosomica
recessiva). Durante il loro decorso clinico, la maggior parte dei bambini richiede nutrizione parenterale e spesso
la supplementazione di immunoglobuline. La prognosi dipende dalla gestione ed è in gran parte relativa alla presenza di complicanze legate alla nutrizione parenterale o alle infezioni. Anche con una gestione ottimale, la maggior parte dei bambini riporta ritardo di crescita, bassa statura e lieve ritardo mentale nella metà dei casi. In uno
studio condotto in Francia, presso l’Università di Marsiglia, sono state individuate mutazioni a livello della RNA
elicasi SKIV2L (10). Questo gene, al pari di TTC37 (già in precedenza associato a questa condizione) codifica
per co-fattori del complesso SKI putativo umano. Il complesso SKI è un cofattore eterotetramerico che assicura
il controllo della qualità dei mRNA. La forma classica è caratterizzata da 9 segni clinici, di cui 5 si trovano in più
dei 2/3 dei pazienti: diarrea congenita severa ad esordio nel primo mese di vita che di solito porta a scarsa crescita e richiede nutrizione parenterale; dismorfismi facciali (caratterizzati da fronte prominente, radice nasale larga
ed ipertelorismo); anomalie dei capelli descritti come “lanosi” e fragili; anomalie immunitarie per difetto a carico
di immunoglobuline o della produzione di anticorpi; scarsa crescita intrauterina; anomalie cutanee come macchie caffè-latte o xerosi cutanea; epatopatie; difetti cardiaci; e anomalie del palato. Grazie a queste recenti evidenze la diagnosi SD/THE può adesso essere confermata dal sequenziamento diretto di TTC37 e SKIV2L.
12
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):9-13
Ruolo dell’analisi molecolare nel bambino con sospetta diarrea congenita
UN SITO DEDICATO
Per favorire l’approccio diagnostico-terapeutico al bambino con sospetta CDD
abbiamo recentemente creato un sito web dedicato a queste condizioni:
www.congenitaldiarrhealdisorders.net
La consultazione del sito permette, oltre alla conoscenza dei più recenti sviluppi in
queste patologie, anche un accesso rapido all’analisi molecolare ed altre procedure
diagnostiche. In Tabella 2 sono riportate le patologie in cui è disponibile l’analisi
molecolare presso il nostro Centro. Il sito funge, inoltre, da piattaforma per un
database dedicato ai pazienti. Questa banca dati fornirà informazioni utili per
futuri studi collaborativi.
RINGRAZIAMENTI
Il lavoro è stato supportato da un finanziamento dell’Agenzia Italiana del Farmaco
(prot. n° MRAR08W002)
Corresponding author
Vincenza Pezzella e Roberto Berni Canani
Dipartimento di Medicina Traslazionale - Sezione Pediatrica
Laboratorio Europeo per lo Studio delle Malattie Indotte da Alimenti (ELFID)
Università degli Studi di Napoli "Federico II"
Via Sergio Pansini, 5 - 80131 Napoli (NA)
Tel. + 39 081 7462680/3266
Fax + 39 081 5451278
E-mail: [email protected]
Key Points
Le diarree congenite (CDD)
•
sono un gruppo di rare e
severe enteropatie ereditarie, caratterizzate da un tipico
inizio nei primi giorni di vita.
• Nella maggior parte dei casi, la
terapia appropriata deve essere avviata immediatamente
per prevenire la disidratazione
e complicanze a volte anche
molto gravi.
• La maggior parte dei geni
responsabili della CDD non
sono particolarmente grandi, permettendo di utilizzare
tecniche come il sequenziamento genico per l'analisi
molecolare.
• L'approccio diagnostico alle
diarree congenite è un processo a più fasi che prevede
l'attenta valutazione dei dati
anamnestici e clinici, i comuni esami di laboratorio, le procedure strumentali e l’analisi
molecolare.
BIBLIOGRAFIA
1. Berni Canani R, Terrin G, Cardillo G et al. Congenital diarrheal disorders: improved understanding
of gene defects is leading to advances in intestinal physiology and clinical management. J Pediatr
Gastroenterol Nutr 2010;50:360-6.
2. Berni Canani R, Cirillo P, Terrin G. Chronic and intractabile diarrhea. In: Guandalini S, ed. Essential
pediatric gastroenterology hepatology and nutrition. Chicago: McGraw-Hill, Medical Publishing
Division 2005;25-47.
3. Terrin G, Tomaiuolo R, Passariello A et al. Congenital diarrheal disorders: an updated diagnostic
approach. Int J Mol Sci 2012;13:4168-85.
4. Passariello A, Terrin G, Baldassarre ME et al. Diarrhea in neonatal intensive care unit. World J
Gastroenterol 2010;16:2664-68.
5. Catassi C, Fabiani E, Spagnuolo MI et al. Severe and protracted diarrhea: results of the 3-year
SIGEP multicenter survey. Working Group of the Italian Society of Pediatric Gastroenterology and
Hepatology (SIGEP). J Pediatr Gastroenterol Nutr 1999;29:63-68.
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diarrhea. Gastroenterology 2004;127:630-34.
7. Salvatore F, Scudiero O, Castaldo G. Genotype-phenotype correlation in Cystic Fibrosis: the role of
modifier genes. Am J Med Genet 2002;111:88-95.
8. Haas JT, Winter HS, Lim E et al. DGAT1 mutation is linked to a congenital diarrheal disorder. J Clin
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GUCY2C mutation. N Engl J Med 2012;366:1586-95.
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trichohepatoenteric syndrome. Am J Hum Genet 2012 Apr 6;90(4):689-92.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):9-13
13
gy
ia
c
tri
d
Pe
o
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pa
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IO
R
LE
Terapia dell’epatite C cronica
nel bambino
GIUSEPPE INDOLFI, ELISA BARTOLINI, MARTA REGOLI, ALESSANDRO NESI, MASSIMO RESTI
Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer, Pediatria Medica, Epatologia Pediatrica di Firenze
The main purposes
of the present review are
to provide the reader with
a comprehensive overview
of the current available
therapies for chronic
hepatitis C in children.
The combined treatment
with pegylated interferon
and ribavirin in children
infected with genotype 2
or 3 has been demonstrated
to be highly effective
(sustained virological
response > 90%). One out
of two children infected
with genotype 1 will achieve
sustained virological
response with pegylated
interferon and ribavirin.
Key Words
Hepatitis C virus, treatment,
pegylated interferon, interleukin 28B,
protease inhibitor
14
TERAPIA DELL’EPATITE C
Il trattamento combinato con interferone pegilato α-2b e ribavirina è stato recentemente approvato in Italia per l’utilizzo nel bambino con infezione cronica da
virus dell’epatite C. Obiettivo di questa revisione è descrivere le principali caratteristiche di questo trattamento in termini di efficacia e sicurezza e valutare le
prospettive terapeutiche future riassumendo le molteplici novità affermatesi per
l’adulto con epatite C cronica.
LA STORIA NATURALE DELL’EPATITE C CRONICA
IN ETÀ PEDIATRICA
Modalità di infezione e progressione della malattia
Il virus dell’epatite C (hepatitis C virus, HCV) nei paesi occidentali è la prima causa
di epatopatia cronica a eziologia infettiva nel bambino. Fino agli inizi degli anni
’90, prima dell'inserimento e dell’implementazione del controllo dei prodotti da
trasfusione, la principale modalità di trasmissione dell'infezione da HCV in età
pediatrica era mediante trasfusione di sangue o emoderivati infetti (1). Attualmente la trasmissione da madre a bambino è diventata la più importante fonte
d’infezione da HCV in età pediatrica. Globalmente il rischio di trasmissione perinatale da madre viremica (cioè con HCV RNA rilevabile nel sangue periferico
mediante reazione polimerasica a catena) si attesta intorno al 4% (2). Sebbene
molteplici fattori siano stati identificati in diversi studi riguardo al rischio di trasmissione perinatale di HCV, il meccanismo ultimo della trasmissione non è ancora noto. La trasmissione perinatale è quasi esclusivamente limitata a madri viremiche (2). A seguito della trasmissione perinatale, la clearance spontanea di HCV
RNA, con conseguente normalizzazione delle transaminasi, è un evento che si
verifica in circa il 20% dei bambini infetti e solitamente nei primi tre anni di vita.
Più della metà dei bambini che elimina spontaneamente il virus presenta nella
fase pre-clearance una spiccata ipertransaminasemia (alanina transaminasi > 5 x
valore normale), è più spesso infettata dal genotipo virale 3 e presenta il genotipo
C/C del polimorfismo dell’interleuchina 28B (interferone λ3). Nei bambini che
non eliminano spontaneamente il virus, l'infezione cronica da HCV persiste in
età adulta. La maggior parte dei bambini con epatite C, quindi, contribuirà al
pool di pazienti adulti con infezione cronica (1). I bambini con epatite cronica da
virus C sono spesso asintomatici. L’epatomegalia è riscontrata in circa il 10% dei
pazienti (3). La malattia epatica avanzata con cirrosi epatica e insufficienza funzionale è possibile in un piccolo gruppo di pazienti stimato inferiore al 3% degli
infetti (1,3). Nel complesso, sebbene alcuni studi dimostrino che la fibrosi epatica
correli con età del paziente e durata della malattia, l’epatite C cronica in età pediatrica è solitamente una malattia lieve con fibrosi modesta o assente.
OBIETTIVO DEL TRATTAMENTO
Sulla base di quanto esposto, se si eccettuano i rari casi d’infezione a rapida progressione, l’obiettivo del trattamento dell’epatite cronica C in età pediatrica è
l’eradicazione dell’infezione. La scelta di trattare il bambino deve basarsi sulla
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):14-17
valutazione della terapia in termini di efficacia, sicurezza e tollerabilità. In questo contesto, nel processo decisionale che porta a proporre o rimandare la terapia di un bambino,
un occhio attento deve essere posto anche alle novità e continue nuove acquisizioni sul
trattamento della popolazione adulta.
LA TERAPIA IN ETÀ PEDIATRICA: DOVE SIAMO
La duplice terapia combinata con interferone pegilato α-2b (1,5 µg/Kg/settimana per
via sottocutanea) e ribavirina (15 mg/Kg/die in due somministrazioni per via orale) è
stata approvata per l’utilizzo nel bambino con età superiore a tre anni dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) nel novembre 2010. Tale approvazione ha seguito quella della
Food and Drug Administration (FDA) americana di dicembre 2008 e dell’European Medicines
Agency (EMA) di dicembre 2009. La terapia combinata con interferone pegilato α-2a
(100 µg/m2/settimana per via sottocutanea) e ribavirina è stata approvata dalla sola FDA
nel dicembre 2009. La durata della terapia per entrambe le preparazioni interferoniche
è quarantotto settimane per le infezioni da genotipo 1, 4, 5, 6 e ventiquattro settimane
per i genotipi 2 e 3.
LA TERAPIA IN ETÀ ADULTA: DOVE SIAMO E DOVE ANDIAMO
La triplice terapia combinata con interferone pegilato (indifferentemente α-2a o α-2b),
ribavirina e un inibitore della proteasi virale NS3/4a (boceprevir o telaprevir) è stata recentemente definita nuova standard of care per il paziente adulto con epatite C cronica da
genotipo 1 (4). I due inibitori delle proteasi sono stati approvati per l’utilizzo in Italia
dall’AIFA nel novembre 2012. Per tutti gli altri genotipi la standard of care rimane la duplice terapia combinata con interferone pegilato e ribavirina (4-6).
Nella più recente letteratura (7), nel 2012 al congresso dell’European Association for the Study
of The Liver e, più recentemente, in occasione del congresso dell’American Association for the
Study of Liver Diseases tenutosi a Boston a novembre 2012, sono state presentate molte novità riguardanti sperimentazioni cliniche per la cura dell'epatite C cronica nell’adulto,
con terapie somministrate per via orale, senza interferone e per periodi generalmente
inferiori a ventiquattro settimane. La maggior parte di questi trial di fase 2 riguarda il
trattamento del genotipo 1. Tali trattamenti, qualora i risultati preliminari dovessero essere confermati, saranno disponibili in Italia per il paziente adulto, presumibilmente, tra
il 2016 e il 2020. I tempi per la sperimentazione in età pediatrica e l’eventuale approvazione sono ovviamente più lunghi e, al momento, non facilmente prevedibili.
I POLIMORFISMI DELL’INTERLEUCHINA 28B
Studi sulla popolazione adulta hanno permesso di dimostrare che il più forte predittore
di risposta virologica sostenuta (negatività di HCV RNA nel sangue periferico ventiquattro settimane dopo l’interruzione del trattamento) in corso di terapia combinata con interferone pegilato e ribavirina è il polimorfismo di un singolo nucleotide (C o T) situato
sul cromosoma 19 nella sequenza del promotore del gene umano che codifica per l’interleuchina 28B (8). I pazienti adulti con genotipo rs12979860 C/C hanno un tasso di risposta virologica sostenuta due - tre volte maggiore rispetto a quello dei pazienti con
genotipo T/T. Risultati preliminari in età pediatrica sembrano confermare questa associazione. Il genotipo rs12979860 C/C è stato associato a una maggior probabilità di ottenere la clearance spontanea del virus sia in età pediatrica che adulta (8).
I RISULTATI DELLA TERAPIA NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
L’efficacia della duplice terapia combinata interferone pegilato e ribavirina nel bambino,
misurata in termini di risposta virologica sostenuta, è circa 55% nei trattati con infezione
cronica da genotipo virale 1/4 e maggiore del 90% nei trattati con infezione cronica da
genotipo virale 2/3 (9). Nei diversi studi pediatrici pubblicati non è emersa alcuna differenza di efficacia nell’utilizzo dell’interferone pegilato α-2a e α-2b (9). Questi risultati
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):14-17
15
Pediatric Hepatology
sono migliori rispetto a quelli ottenuti dalla duplice terapia
nell’adulto che, come riportato e riassunto nelle recenti linee guida americane e europee, è in grado di determinare
risposta virologica sostenuta nel 45% dei soggetti non precedentemente trattati con infezione cronica da genotipo
Polimorfismo C/C del gene dell’interleuchina 28B
1/4 e nell’80% di quelli con infezione da genotipo 2/3 (4Genotipo virale 2/3
6). La risposta virologica alla duplice terapia migliora negli
adulti in funzione di alcuni parametri identificati come preCarica virale < 600.000 UI/mL
dittori positivi di risposta (riassunti in Tabella 1) e in particoEtà < 40 anni
lar modo in funzione del genotipo IL28B. La triplice terapia combinata (interferone pegilato, ribavirina e boceprevir/
Razza caucasica
telaprevir) nei pazienti che non hanno mai ricevuto alcun
Assenza di malattia epatica avanzata (setti porto - portali, cirrosi)
trattamento antivirale, dagli studi registrativi, determina
Assenza di insulino - resistenza
globalmente un incremento dei tassi di risposta virologica
sostenuta del 20-30% circa rispetto alla duplice terapia. Più
Peso < 75 Kg
nel dettaglio, telaprevir si è dimostrato efficace nel 75% e
Valori di alanina transaminasi 3 x valore normale
boceprevir nel 66% dei pazienti trattati (4). L’efficacia della
terapia e la prevenzione del fenomeno della "resistenza",
Sesso femminile
ovvero la comparsa di varianti del virus che sfuggono all'azione dei farmaci, con gli attuali inibitori delle proteasi dipende dalla costanza nell’assunzione (4). Questi farmaci devono
Tabella 2 Tabella riassuntiva dei valori di risposta virologica sostenuta ottenuti
essere somministrati tre volte al
nel bambino e nell’adulto in relazione ai diversi trattamenti e ai predittori
pre-trattamento di risposta
giorno e nel caso del telaprevir
con cibo che contenga 15-20 g di
G1
G 2,3
grassi. Queste caratteristiche li
bambino (9)
55%
>90%
rendono poco agevoli nella somministrazione ai bambini. Negli
adulto naïve al trattamento (5,6)
45%
80%
Interferone pegilato + ribavirina
adulti trattati, sono stati segnalati
adulto naïve al trattamento
effetti collaterali che riguardano
86%
------IL28B CC, caucasico, F0-2 (10)
prevalentemente l’inibizione della poiesi midollare (linea rossa e
Interferone pegilato + ribavirina + telaprevir
adulto naïve al trattamento (4)
75%
------bianca) più marcata rispetto a
Interferone pegilato + ribavirina + boceprevir
adulto naïve al trattamento (4)
66%
------quella segnalata con la duplice
terapia e possibili effetti collaterali soggettivi anche gravi come
reazioni cutanee con telaprevir e disgeusia (sapore amaro o metallico) con boceprevir (4).
Considerazioni su efficacia, sicurezza e di farmaco-economia hanno spinto a un’attenta
valutazione dell’applicabilità della triplice terapia. La superiorità della triplice terapia in
età adulta è particolarmente evidente nel ritrattamento dei pazienti con precedente fallimento terapeutico mentre in alcuni gruppi selezionati il guadagno legato all’utilizzo della triplice terapia in termini di probabilità di eradicazione dell’infezione rispetto alla duplice è assente o modesto (risultati riassunti nella Tabella 2). Per questo motivo l’AISF, ad
esempio, in un recente position paper (scaricabile @ webaisf.org) sull’onda di quanto riportato in letteratura, in pazienti naïve con infezione da genotipo 1 e fattori predittivi di risposta al trattamento consiglia l’utilizzo della duplice terapia.
Tabella 1 Predittori pre-trattamento di risposta virologica
alla terapia combinata con interferone pegilato
e ribavirina in età adulta (3,4)
GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA DUPLICE TERAPIA
Nei diversi studi la quasi totalità dei bambini trattati ha presentato effetti collaterali. In
una recente meta-analisi è stato dimostrato che il 4% dei bambini interrompe la terapia per gli effetti avversi (9). I sintomi simil-influenzali (febbre, diminuzione dell'appetito, astenia e stanchezza) sono stati osservati in genere durante le prime settimane di
trattamento. Altri effetti collaterali riguardano il possibile sviluppo di tiroidopatia e
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):14-17
Terapia dell’epatite C cronica nel bambino
l’inibizione dose dipendente della poiesi midollare. Anemia (11%), leucopenia (32%)
e neutropenia (54%) sono gli effetti collaterali più comuni. Perdita di capelli reversibile con l’interruzione dei farmaci, eritema e prurito nella sede di iniezione sono
stati descritti nel 15%, 27% e 6% dei bambini trattati. Il trattamento si associa a un
modesto rallentamento della velocità di crescita staturo-ponderale. Tale effetto è limitato alla durata della terapia. Alcuni autori hanno descritto un aumento compensatorio del peso dopo l’interruzione della terapia ma non è ancora chiaro se nel
lungo termine i bambini trattati presentino crescita staturale compensatoria. La terapia nel bambino è tollerata meglio che in età adulta (9).
CONCLUSIONI
L’unica terapia approvata in Italia per il trattamento dei bambini con infezione cronica da virus dell’epatite C è la duplice terapia combinata con interferone pegilato
α-2b e ribavirina. I risultati presenti in letteratura e confermati dai dati preliminari
dello studio italiano SIGENP sul trattamento combinato con interferone pegilato
α-2b e ribavirina attualmente in corso (consultabile @ sigenp.org), confermano l’elevata efficacia nella cura dell’infezione da genotipo 2/3 (>90%). Circa 1 paziente su 2
con infezione da genotipo 1 ottiene la risposta virologica sostenuta con il duplice trattamento. Gli studi attualmente in corso devono mirare all’identificazione dei predittori di risposta positiva alla terapia che permetteranno una migliore selezione dei
pazienti da sottoporre al trattamento. Gli studi sulla popolazione adulta aprono, a
lungo termine, interessanti prospettive di trattamenti altamente efficaci con regimi
terapeutici all oral, interferon free.
Key Points
• L’epatite C in età pediatrica
è un’infezione cronica, lieve e
nella maggior parte dei casi
asintomatica.
• 80% dei bambini infetti entrerà
a far parte del pool dei pazienti adulti con infezione cronica.
• L’unica terapia attualmente
approvata in Italia per l’utilizzo
in età pediatrica è il trattamento combinato con interferone
pegilato α-2b e ribavirina.
• L’efficacia della duplice terapia riportata in letteratura è >
90% nei bambini con infezione da genotipo 2/3 e > 50%
nei bambini con infezione da
genotipo 1. I dati preliminari dello studio SIGENP attualmente in corso sul trattamento combinato con interferone
pegilato α-2b e ribavirina sembrano confermare tali risultati
anche nei bambini italiani.
CORRESPONDING AUTHOR
GIUSEPPE INDOLFI
A.O.U. Meyer, Pediatria Medica
Viale Pieraccini, 34 - 50139 Firenze
Tel. + 39 055 5662410
Fax + 39 055 5662400
E-mail: [email protected]
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17
it
utr
La dieta chetogena
nel bambino neurologico
O
EL
Erica Pironti, Federica Martino, Gennaro Catone, Giangennaro Coppola
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Salerno
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CA
The ketogenic diet is a
high-fat, adequate- protein
and low-carbohydrate
diet, which is mainly used
for the treatment of drugresistant epilepsy and in
case of serious intolerance
to antiepileptic drugs;
furthermore, it is a firstline therapy of metabolic
disorders such as GLUT-1
deficiency syndrome and
pyruvate dehydrogenase
complex (PDC) deficiency. It
may be as well considered in
a variety of other neurologic,
metabolic, oncologic,
neurodegenerative and
psychiatric disorders, such
as autism, depression,
migraine and brain trauma.
Key Words
Ketogenic diet, refractory epilepsy,
metabolic disorders, neurologic diseases,
childhood
18
INTRODUZIONE
La dieta chetogena è un regime alimentare calcolato individualmente e controllato
rigidamente, che fornisce una quota elevata di acidi grassi, un adeguato apporto di
proteine e un basso apporto di carboidrati. Essa è utilizzata non solo nel trattamento
delle crisi epilettiche farmaco-resistenti, ma anche di altre patologie neurologiche.
Attualmente sono utilizzati essenzialmente tre tipi di dieta chetogena: “classica”,
MCT (medium chain trglycerides) e MCT modificata. Mentre nella forma
“classica” (rapporto tra acidi grassi e proteine-carboidrati di 4 a 1) il 90% dell’apporto
calorico viene fornito dagli acidi grassi, il 6% dalle proteine ed il 4% dai carboidrati,
nelle altre due forme la quota di acidi grassi si abbassa al 71% (di cui il 60% è rappresentato dall’olio MCT e l’11% da acidi grassi a catena lunga nella “MCT”, mentre il
30% dall’olio MCT ed il 41% dagli acidi grassi nella “MCT modificata”), con conseguente aumento della quota riservata alle proteine (10%) e ai carboidrati (19%).
Ad oggi, i meccanismi ipotizzati alla base del suo funzionamento sono diversi: il cambiamento del pH cerebrale, essendo i canali ionici sensibili alla concentrazione protonica; il cambiamento dell’equilibrio idro-elettrolitico; l’azione inibitoria diretta degli
acidi grassi, quali, ad esempio, gli acidi grassi polinsaturi (polyunsaturated fatty acids,
PUFAs); le alterazioni dei neurotrasmettitori; i cambiamenti del metabolismo energetico. Le prime due ipotesi sono state, nel corso degli anni, ridimensionate.
Nel 1978 l’introduzione dell’acido valproico, con la sua efficacia a largo spettro,
potenziò notevolmente la terapia farmacologica delle epilessie, inducendo ad
una drastica riduzione dell’impiego del trattamento dietetico.
Dalla metà degli anni ’90, si riaccese l’interesse per la dieta chetogena a causa del
persistere di circa il 30% di pazienti con epilessia farmacoresistente; vi fu inoltre
una estensione delle sue applicazioni terapeutiche anche ad altre patologie di natura neurologica (emicrania, crisi epilettiche), oncologica, metabolica, neurodegenerativa (morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica) e
psichiatrica (depressione), ed in condizioni quali lo stroke, l’angina e l’autismo.
LA DIETA CHETOGENA NELLA PATOLOGIA NEUROLOGICA
Dal punto di vista epilettologico, la dieta chetogena si è dimostrata efficace nel
ridurre la frequenza e l’intensità delle crisi in un gran numero di sindromi, comprese quelle condizioni ad esordio nei primi anni di vita che, per la loro gravità,
vengono definite “epilessie catastrofiche”. Uno studio su 38 pazienti affetti da
tali encefalopatie epilettiche ha dimostrato una riduzione di > 50% delle crisi
nella metà dei pazienti dopo 1 anno di dieta chetogena (1). Nello specifico, la
dieta si è mostrata utile nel controllo delle crisi nella sindrome di Dravet e nell’epilessia mioclono-astatica di Doose, inducendo una risposta significativa in 9/17
ed in 6/11 pazienti, rispettivamente (2). Hong et al (3) hanno evidenziato, in uno
studio effettuato su 104 pazienti affetti da spasmi infantili (sindrome di West) in trattamento con dieta chetogena per 24 mesi, la scomparsa delle crisi nel 33% dei
pazienti ed un miglioramento della sintomatologia nel 44%.
Nelle crisi parziali associate a sclerosi tuberosa, la dieta chetogena ha indotto la
scomparsa delle crisi in 2 pazienti su tre, favorendo la riduzione delle “crisi di
caduta” in un altro paziente (4). Anche nella sindrome di Angelman la dieta che-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):18-20
togena si è dimostrata efficace nel controllare le crisi farmaco-resistenti, così come in un
bambino con sindrome di Alpers-Huttenlocker in cui ha permesso il controllo delle crisi
parziali continue e un miglioramento del quadro elettroencefalografico. Infine, la dieta può
risultare efficace sia in bambini affetti da epilessia associata a diabete di tipo I che in casi di
encefalopatia epilettica refrattaria indotta da febbre in bambini in età scolare (FIRES).
LA DIETA CHETOGENA NELLA PATOLOGIA METABOLICA
La dieta chetogena è considerata il trattamento di prima scelta in caso di disturbi metabolici, quali il deficit di GLUT-1 e il deficit di piruvato deidrogenasi [Tabella 1].
Il deficit di GLUT-1 è un disordine a trasmissione autosomica dominante caratterizzato dall’assenza del trasportatore del glucosio GLUT-1; tale trasportatore, espresso nelle
cellule endoteliali della barriera emato-encefalica e negli eritrociti, è responsabile dell’ingresso del glucosio all’interno delle cellule neuronali. La sindrome fu descritta per la
prima volta nel 1991 da De Vivo ed è causata, nella maggior parte dei pazienti, da mutazioni a carico del gene SCL2A1 (1p35-31.3), costituito da 10 esoni con 2.842 coppie
di basi che codificano per 493 aminoacidi.
Un recente studio su 57 pazienti (5) ha permesso di ritrovare 49 differenti mutazioni:
Dieta chetogena
Forma Classica
90% acidi grassi
6% proteine
4% carboidrati
MTC e MTC modificata
71% acidi grassi
10% proteine
19% carboidrati
37 mutazioni non note (13 missense, 5 nonsense, 13 frame-shift,
4 splice-site e 2 translation initiation mutations),
6 mutazioni note e 6 delezioni esoniche multiple.
Tutte le mutazioni comportano l’assenza o la perdita di funzione di uno degli alleli di
SCL2A1. Sono stati riconosciuti 3 differenti fenotipi: fenotipo classico (84%, di cui il
65% presenta un esordio precoce ed il 18% un esordio tardivo); fenotipo non classico
(15%), caratterizzato da ritardo mentale, alterazioni del movimento, senza epilessia;
deficit in età adulta (un unico caso), caratterizzato da sintomi minimi.
Il ritardo diagnostico del fenotipo classico è stato in media 6.6 anni (da 1 mese a 16 anni);
in tutti i pazienti la concentrazione di glucosio nel liquor cerebrospinale è risultata inferiore
a 2.5 mmol/l (range 0.9-2.4 mmol/l) ed il rapporto tra il glucosio presente nel liquor e quello nel plasma inferiore a 0.50 in tutti i pazienti tranne uno; il lattato nel liquor è risultato
basso o normale in tutti i pazienti. Il tipo di mutazione si è rivelato correlato alla severità del
ritardo mentale ed alla presenza di alterazioni motorie complesse. La dieta chetogena si è
dimostrata efficace nell’86% dei pazienti affetti da epilessia nell’ambito del deficit del
GLUT-1; è stata in grado, inoltre, di ridurre le alterazioni motorie nel 48% dei pazienti con
fenotipo classico e nel 71% dei pazienti con fenotipo non classico. Gli autori affermano che
la puntura lombare rappresenta lo strumento diagnostico di scelta e può ridurre il ritardo
diagnostico, consentendo l’inizio precoce di una terapia con dieta chetogena.
Il deficit di GLUT1 è senz’altro sottodiagnosticato; esso inoltre andrebbe preso in considerazione in ogni bambino con epilessia tipo assenza ad esordio precoce o disturbi del movimento anche se sono presenti solo lievi difficoltà di apprendimento.
Il deficit di piruvato deidrogenasi è causato da mutazione a carico del DNA mitocondriale, e
configura una patologia che, sebbene abbia uno spettro clinico ampio, presenta un fenotipo
dominante caratterizzato da insorgenza dei sintomi nel primo anno di vita, degenerazione
neurologica e neuromuscolare, con alterazioni cerebrali evidenziate dalle neuroimmagini,
Tabella 1 Indicazioni e controindicazioni della dieta chetogenica
Indicazioni alla dieta chetogenica
Patologie metaboliche:
• Deficit di GLUT-1
• Deficit di piruvato deidrogenasi
• Malattie mitocondriali (deficit del complesso 1)
• Deficit di fosfofruttochinasi
• Glicogenosi di tipo V
Epilessia:
• Epilessie farmacoresistenti
• Intolleranza grave agli AED
Controindicazioni alla dieta chetogenica
Patologie metaboliche:
• Deficit primitivo di carnitina:
- Deficit di carnitina palmitoiltransferasi (CPT) I e II
- Deficit di carnitina traslocasi
• Difetti della β-ossidazione degli acidi grassi:
- Deficit di acil-coA deidrogenasi a media catena (MCAD)
- Deficit di acil-coA deidrogenasi a lunga catena (LCAD)
- Deficit di acil-coA deidrogenasi a corta catena (SCAD)
- Deficit di 3-idossiacil-coA a lunga catena
• Deficit di piruvato carbossilasi
• Porfirie
Scarsa compliance
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):18-20
19
Pediatric Nutrition
Key Points
•La dieta chetogena è un
regime alimentare calcolato individualmente e controllato rigidamente, che
fornisce una quota elevata
di acidi grassi, un adeguato apporto di proteine e un
basso apporto di carboidrati.
•Essa è utilizzata soprattutto
nel trattamento di encefalopatie epilettiche resistenti
quali la sindrome di Dravet e
l’epilessia mioclono-astatica
di Doose, gli spasmi infantili
refrattari e le crisi associate
a sclerosi tuberosa.
•La dieta chetogena è considerata il trattamento di
prima scelta in caso di
disturbi metabolici, quali il
deficit di GLUT-1 e il deficit
di piruvato deidrogenasi.
•La dieta chetogena può
essere efficace anche nel
deficit di PFK e nella malattia
di McArdle.
acidosi lattica e un rapporto lattato/piruvato ematico superiore a 20. Le opzioni terapeutiche prevedono l’uso di sodio bicarbonato, tiamina, dieta chetogena e dicloroacetato (6).
Anche il deficit di fosfofruttochinasi (7) e il deficit dell’isoforma muscolare della glicogeno fosforilasi (malattia di McArdle o glicogenosi tipo 5) sono stati trattati con la dieta
chetogena con un significativo miglioramento della sintomatologia (8).
Non va dimenticato, a proposito dei disturbi del metabolismo, che la dieta chetogena è
assolutamente controindicata nel deficit di carbossilasi e nel deficit di β-ossidazione, in
quanto può indurre gravi stati di acidosi metabolica. Nelle malattie mitocondriali, al
contrario, può essere impiegata ed anche con buoni risultati (9).
Altra patologia in cui può essere presa in considerazione la dieta chetogena è l'emiplegia alternante dell'infanzia (EA), che è una rara malattia caratterizzata da episodi ricorrenti di
emiplegia e disturbi parossistici associati a ritardo dello sviluppo psicomotorio e ritardo mentale. L’incidenza è di circa 1:1000.000; in Italia sono presenti circa 50 casi, 1.000 nel mondo.
Sono state individuate, nei pazienti affetti da tale patologia, mutazioni a carico del gene
ATP1A3 (19q13.3), che causano una riduzione dell’attività dell’ATPasi (10); in un paziente
è stata ritrovata la stessa mutazione a carico del gene SCL2A1 che di norma causa del deficit di GLUT1. Lo studio tramite PET del metabolismo cerebrale nel periodo intercritico ha
mostrato una ridotta attività metabolica nel lobo frontale e nel cervelletto. Si sta valutando la
possibilità di introdurre come presidio terapeutico, anche in tali pazienti, la dieta chetogena.
CONCLUSIONI
Come accennato all’inizio, vi sono patologie neurologiche o psichiatriche dell’età evolutiva oltre l’epilessia per il cui trattamento è stata presa in considerazione la dieta
chetogena. Va precisato, però, che si tratta spesso di studi preliminari e limitati a casi
aneddotici; tra queste ricordiamo le neoplasie cerebrali, la cefalea resistente, i disturbi
dello spettro autistico e comportamentali gravi, i traumi cranio-encefalici e la patologia ipossico-ischemica, in base al possibile ruolo neuroprotettivo riconosciuto alla dieta, basato soprattutto sulla sua azione a livello mitocondriale.
Attualmente, la dieta chetogena ha un ruolo sempre più riconosciuto nel trattamento
delle epilessie farmaco-resistenti. Essa è, infatti, considerata precocemente nel trattamento della sindrome di Dravet e nella sindrome di Doose. Quanto ai disturbi del
metabolismo, la dieta chetogena è una terapia di prima scelta nel deficit di GLUT1 e
di piruvatodeidrogenasi. Studi iniziali indicano che essa è efficace anche nel deficit di
fosfofruttochinasi e nella malattia di McArdle (glicogenosi tipo V).
BIBLIOGRAFIA
Corresponding author
Giangennaro Coppola
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università di Salerno
Ospedale S. Giovanni di Dio
e Ruggi d’Aragona
Largo Città di Ippocrate
84131 Salerno
Tel./Fax + 39 089 672578
E-mail: [email protected]
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16 month old female
was admitted for recurrent
and post-prandial vomiting
episodes started at 11 months
of age and failure to thrive.
The differential diagnosis
of chronic vomiting includes
many conditions
that may be required.
Il vomito cronico
FEDERICA PORCARO E CLAUDIO ROMANO
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Messina
PRESENTAZIONE CLINICA
Sabrina è una bambina di 16 mesi giunta alla nostra osservazione per episodi di
vomito alimentare “a getto”, prevalentemente postprandiali, con frequenza di 3-4
episodi/settimana, insorti dopo lo svezzamento ed associati ad una deflessione
della curva ponderale durante gli ultimi 3 mesi (dal 10° a < 5° centile). L’obiettività
addominale evidenziava solo uno spiccato meteorismo addominale. Lo sviluppo
psicomotorio appariva adeguato all’età. L’anamnesi familiare risultava positiva per
ernia diaframmatica congenita paterna trattata chirurgicamente. L’anamnesi personale remota evidenziava storia di reflusso gastroesofageo (GER) di grado lieve
nei primi mesi di vita, trattato in maniera conservativa.
Scenario clinico: paziente con vomito cronico a carattere ingravescente e failure
to thrive.
ESAME OBIETTIVO
Addome diffusamente dolente, soprattutto in sede epigastrica.
DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE
1. Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE)
Commento: ipotesi poco probabile poiché il vomito non è sinonimo di GER,
di MRGE o di patologia acido-correlata; l’assenza di altra sintomatologia associata (pirosi, epigastralgia, disfagia) o familiarità positiva per malattia peptica
o ernia iatale consente l’esclusione di tale ipotesi.
2. Patologia infettiva o infiammatoria
Commento: ipotesi poco probabile, data l’assenza di sintomi sistemici o suggestivi di infezione d’organo.
3. Patologia endocrino/metabolica
Commento: ipotesi da prendere in considerazione per amminoacidopatie,
organicoacidurie nonostante l’assenza di sintomatologia neurologica o ritardo dello sviluppo psicomotorio.
4. Patologie del sistema nervoso centrale
Commento: ipotesi da prendere in considerazione per lesioni determinanti
l’incremento della pressione endocranica, sebbene i caratteri del vomito (postprandiale, alimentare) e l’assenza di sintomi neurologici non appaiono tipici del
vomito “neurogeno” (spesso mattutino o notturno, non correlato ai pasti).
5. Cause anatomiche
Commento: ipotesi da prendere in considerazione per alterazioni anatomiche dell’apparato gastrointestinale (atresia/stenosi esofagea, diverticolo di
Zenker, diaframma duodenale, malrotazione, volvolo).
Key Words
Postprandial vomiting,
chronic gastric volvulus,
anterior and fundal gastropexy
La soluzione del caso clinico a pagina 39
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):21
21
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CASO CLINICO 1
Ragazza di 14 anni con malattia di
Crohn (MC) stenosante dell’ileo-terminale in terapia con budesonide e mesalazina: l’endoscopia di controllo evidenzia stenosi non valicabile a circa 5
cm dalla valvola ileo-cecale (VIC). Dopo due dilatazioni endoscopiche non
risolutive, per la ricomparsa di sintomi
sub occlusivi, viene sottoposta a resezione chirurgica del tratto stenotico.
Dalla dimissione terapia con metronidazolo, ben tollerato, per 6 mesi e mesalazina di mantenimento.
Al follow-up post-chirurgico benessere clinico, metodiche di imaging ed endoscopia nella norma a 6 mesi, 1 e 2
anni dall’intervento.
CASO CLINICO 2
Ragazza di 16 anni con MC ileo-colonica giunge alla nostra osservazione per
sintomi sub-occlusivi. Le metodiche di
imaging e l’endoscopia evidenziano
esteso interessamento ileale, stenosi
serrata della VIC e tramite fistoloso con
il colon trasverso. Viene sottoposta a resezione ileo-colica con anastomosi latero-laterale ed affondamento di fistola
sul trasverso. Inizia subito ciclo di terapia con metronidazolo e dopo tre mesi
azatioprina 2.5 mg/kg. L’endoscopia di
controllo a 6 mesi evidenzia recidiva a
livello dell’anastomosi e del colon trasverso (Rutgeers score i3) per cui inizia
terapia biologica con Adalimumab, con
remissione clinica ed endoscopica a 1 e
2 anni dall’intervento.
Key Words
Crohn’s disease, post-surgical recurrence,
prevention, aminosalicilates,
immunosuppressants, biologics
22
Prevenzione della recidiva
post-chirurgica nella malattia di Crohn
SARA RENNA, EMANUELE ORLANDO, AMBROGIO ORLANDO
DI.BI.MIS., U.O. di Medicina Interna, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti ‘‘Villa Sofia-V. Cervello’’ di Palermo
FORTUNATA CIVITELLI, ANNA DILILLO, FRANCA VIOLA
UOC Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica, Sapienza Università di Roma
Up to 70% of Crohn’s disease patients undergo intestinal resection. After
After 1 y
year
ear from
surgery 70% of patients show endoscopic recurrence and 20% have clinical relapse.
Several treatments have been evaluated in the prevention of post-surgical recurrence.
The efficacy of 55-A
ASA
AS
SA is modest. Antibiotics seem to be effective but not well tolerated.
5-ASA
The efficacy of immunosuppressants is based on scant evidence. Data on biologics are
promising but further studies are needed.
INTRODUZIONE
Nonostante i progressi in campo farmacologico, la chirurgia può essere considerata
una valida opzione terapeutica nella MC. Oltre l’80% dei pazienti va infatti incontro ad un intervento chirurgico nel corso della sua vita. In età pediatrica, il rischio
chirurgico è pari al 20% dei pazienti a 3 anni dalla diagnosi ed al 34% circa a 5
anni (1).
La terapia chirurgica della MC è riservata alle complicanze intestinali, quali l’ostruzione secondaria a stenosi, ed extra-intestinali (ascessi, fistole, malattia perianale).
L’indicazione alla chirurgia può essere però rappresentata anche dal fallimento della terapia medica che, nel paziente pediatrico, ha come obiettivo non solo la remissione della malattia in quanto tale, ma anche garantire la crescita staturo-ponderale
e lo sviluppo puberale. Data la lunga aspettativa di vita del bambino e dell’adolescente e l’andamento cronico-recidivante della malattia, il timing della terapia chirurgica va attentamente valutato.
L’intervento chirurgico non rappresenta però una cura definitiva per la MC, infatti,
circa il 70% dei pazienti presenta una recidiva endoscopica ad 1 anno dall’intervento
e nel 25% dei casi questa è già una recidiva severa. Inoltre circa il 20% dei pazienti
operati manifesta una recidiva clinica entro 1 anno dall’intervento e dal 30 al 70%
dei pazienti richiede un nuovo intervento entro 10 anni dal primo.
L’identificazione di fattori predittivi di Recidiva Post Operatoria (RPO) potrebbe
rivelarsi assai utile nella pratica clinica, poiché consentirebbe di stratificare i pazienti in base al rischio e quindi di formulare linee guida per la profilassi medica da mettere in atto per prevenire le recidive.
Vari studi hanno analizzato, con risultati contrastanti, i possibili fattori di rischio di
RPO precoce nella MC e quelli maggiormente imputati sono risultati essere: il fumo, la malattia fistolizzante e la malattia ileale estesa (2-3). Recentemente sono risultati fattori di rischio associati a RPO anche la durata breve di malattia prima della
chirurgia, dato questo molto importante in pediatria, ed il coinvolgimento del tratto
gastrointestinale superiore (3) [Tabella 1].
DIAGNOSI DI RECIDIVA
L’esame endoscopico, che secondo le linee guida ECCO dovrebbe essere eseguito
entro un anno dall’intervento chirurgico (4), è considerato il gold standard per la
diagnosi di recidiva endoscopica, la cui severità è comunemente valutata utilizzando lo score di Rutgeerts et al (5) [Tabella 2].
La comparsa di lesioni endoscopiche a livello dell’anastomosi e dell’ileo pre-anastomotico precede la comparsa dei sintomi clinici, ed è stata riportata una correlazione tra la
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):22-26
Tabella 1 Potenziali fattori di rischio di recidiva post-operatoria.
Modificata da De Cruz et al. Inflamm Bowel Dis 2012 (3)
severità delle lesioni endoscopiche e la probabilità di recidiva clinica nei 5 anni successivi all’intervento (5).
Molto entusiasmo nella comunità scientifica è
oggi rivolto al miglioramento delle metodiche
non-invasive (videocapsula endoscopica, ecografia standard e con mezzo di contrasto orale
-SICUS- ed entero-RM) per la diagnosi di
RPO ed al tentativo di definire degli scores per
ognuna di queste, in grado di prevedere il rischio di recidiva e di stratificare il paziente in
base ad esso. Queste metodiche sono meglio
accettate dal paziente, specialmente pediatrico,
non necessitano di sedazione, richiedono una
minore preparazione intestinale e non presentano complicanze che possono essere invece associate alla colonscopia. Inoltre, per problematiche di aderenze postoperatorie, la colonscopia
a volte può essere tecnicamente difficile, tanto
da essere interrotta senza permettere la visualizzazione della zona pre-anastomotica.
Fattori correlati al paziente
- Fumo
- Storia familiare di IBD
Fattori correlati alla malattia
- Sede di malattia (ileo vs colon, interessamento
del tratto gastrointestinale superiore)
- Malattia penetrante
- Precedente intervento di resezione
- Giovane età di insorgenza di malattia
- Breve durata di malattia prima dell’intervento
- Estensione di malattia/lunghezza del segmento
asportato
- Attività della malattia al momento della resezione
- Genetica: (NOD2/CARD15)
- Sierologia: ASCA +
- Presenza di granulomi all’istologia
Fattori correlati all’intervento
- Tipo di intervento (open vs laparoscopia)
- Tipo di anastomosi
- Margini di resezione interessati da malattia attiva
- Complicanze post-operatorie
- Necessità di trasfusioni post-intervento
Tabella 2 Score di Rutgeerts per la valutazione della severità delle lesioni
anastomotiche e dell’ileo pre-anastomotico (5)
i0
Assenza di lesioni nella sede dell’anastomosi e nell’ileo preanastomotico
TRATTAMENTO
i1 Presenza di meno di 5 afte
Gli studi in letteratura circa la prevenzione e il
trattamento delle recidive della MC operata riPresenza di più di 5 afte con mucosa circostante normale o ulcere confinate
i2
guardano prevalentemente l’età adulta, mentre
all’anastomosi con diametro < 1 cm
sono scarsi quelli relativi all’ età pediatrica. Difi3 Presenza di afte diffuse con mucosa circostante infiammata
ferenti approcci terapeutici sono stati valutati
allo scopo sia di prevenire la recidiva endoscoi4 Presenza di larghe ulcere, diffusa ileite, modularità o stenosi dell’anastomosi
pica che di trattarla e prevenire così una probabile successiva recidiva clinica. I farmaci per i
quali vi è una maggiore evidenza in letteratura sono: gli aminosalicilati, gli antibiotici,
i probiotici, gli immunosoppressori e, negli ultimi anni, i farmaci biologici. Riportiamo
di seguito le evidenze della letteratura sull’efficacia dei singoli trattamenti.
Aminosalicilati
Diversi studi hanno valutato l’efficacia della mesalazina nella prevenzione della RPO,
confrontandola con il placebo o con altri farmaci. Una recente metanalisi della Cochrane (6) ha mostrato una modesta efficacia della mesalazina rispetto al placebo nel
prevenire la recidiva clinica (RR 0.76; 95% CI 0.62 a 0.94, NNT = 12) ed endoscopica
severa (RR 0.50; 95% CI 0.29 a 0.84, NNT = 8) a 12 mesi dall’intervento. Confrontando però l’efficacia della mesalazina con quella dell’azatioprina, tra i due farmaci non
è stata riportata una differenza significativa. È da considerare però l’estrema eterogeneità degli studi inclusi in questa metanalisi, in cui sono stati utilizzati diverse formulazioni
di mesalazina, diversi dosaggi, diversi follow-up e diverse definizioni di recidiva.
Messaggio
Sulla base di questi dati il ruolo della mesalazina nella prevenzione
della RPO della MC merita di essere
confermato in altri e più estesi trials
clinici.
Antibiotici
Due studi hanno valutato l’efficacia del metronidazolo somministrato per 3 mesi al dosaggio di 20 mg/kg, e dell’ornidazolo somministrato per 12 mesi al dosaggio di 1
gr/die nella prevenzione della RPO. In entrambi gli studi il rischio di recidiva clinica ed endoscopica severa a 1 anno dall’intervento è risultato minore nei pazienti
trattati con terapia antibiotica rispetto al placebo. Tuttavia la percentuale di eventi
avversi, che ha motivato l’interruzione del trattamento, è risultata elevata in entrambi gli studi. Pertanto gli antibiotici, pur essendo potenzialmente efficaci nel preveni-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):22-26
Messaggio
Questi dati confermano l’utilità della terapia con metronidazolo nella
prevenzione della RPO nella MC.
23
IBD Highlights
re la RPO, sono poco tollerati a lungo termine e questo limita il loro utilizzo (6).
Uno studio più recente (7) ha valutato l’efficacia di una terapia di 3 mesi con metronidazolo associato ad azatioprina, supportando il vantaggio di questa combinazione terapeutica nel prevenire la recidiva endoscopica a 12 mesi dall’intervento. In
questo studio 81 pazienti sono stati randomizzati a ricevere il trattamento combinato o solo un ciclo di 3 mesi con metronidazolo. Dopo 12 mesi il 44% dei pazienti
trattati con metronidazolo + azatioprina presentava una recidiva endoscopica, contro il 69% dei pazienti solo in metronidazolo (p = 0.048). Tuttavia, considerando il
totale dei pazienti inclusi nello studio, la percentuale di recidiva endoscopica severa
(Rutgeerts i3 o i4) a 12 mesi dall’intervento era del 23%, più bassa rispetto a quella
riportata negli altri studi.
Immunosoppressori
Messaggio
La reale efficacia degli immunosoppressori nella prevenzione della
RPO rimane dubbia e sono necessari ulteriori studi su ampi numeri e
con una corretta metodologia per
poter inserire a pieno titolo questi
farmaci nel protocollo di trattamento dei pazienti con MC sottoposti ad
intervento chirurgico.
COSA SUGGERISCONO
LE LINEE GUIDA
LINEE GUIDA ECCO (2010):
• Statement 8F. La profilassi farmacologica è raccomandata dopo la resezione intestinale (EL1, RG A). Le tiopurine
sono più efficaci della sola mesalazina
o degli antibiotici (metronidazolo) nel
prevenire le recidive sia cliniche che
endoscopiche (EL1, RG A). Nel paziente con un fattore di rischio di recidiva
post-chirurgica il farmaco di scelta è
l’azatioprina/mercaptopurina (EL3, RG
C). La mesalazina ad alte dosi è un’opzione valutabile nei pazienti con resezione ileale isolata (EL 1b, RG B). Gli
antibiotici (metronidazolo) sembrano
essere efficaci nel post-operatorio ma
non sono ben tollerati a lungo termine (EL 1a, RG A).
• Statement 8G. È bene iniziare la profilassi farmacologica entro due settimane
dall’intervento chirurgico (EL5, RG D).
• Statement 8H. La durata del trattamento di profilassi farmacologica deve
essere di almeno 2 anni (EL 1a, RG B).
24
Una metanalisi della Cochrane del 2009 (6) ha confrontato l’efficacia delle tiopurine
con quella del placebo nella prevenzione della RPO, riscontrando un ridotto rischio
di recidiva clinica (RR 0.59; 95% CI 0.38 - 0.92, NNT = 7) ed endoscopica severa
(RR 0.64; 95% CI 0.44 - 0.92, NNT = 4) a 12 mesi nei pazienti trattati con tiopurine.
Quando però l’efficacia delle tiopurine è stata confrontata con quella della mesalazina
non è stata evidenziata una differenza significativa, né in termini di recidiva clinica né
di recidiva endoscopica severa. In una più recente metanalisi (8) le tiopurine sono risultate più efficaci dei controlli nel prevenire la recidiva clinica ed endoscopica severa
a 12 mesi dall’intervento, seppur meno tollerate. Quest’ultima metanalisi è però metodologicamente discutibile, perché ha analizzato studi molto diversi tra di loro, con
differenti popolazioni, diversi dosaggi e diversi farmaci di confronto. In particolare gli
autori hanno inserito in un unico gruppo di controllo sia i pazienti trattati con placebo
che con mesalazina, non tenendo conto degli studi precedenti, in cui la mesalazina è
risultata, seppur modestamente, più efficace del placebo. È stato recentemente pubblicato un trial di confronto tra azatioprina e mesalazina nella prevenzione della recidiva clinica in pazienti in cui è stata già evidenziata una recidiva endoscopica. Dopo
1 anno di trattamento il tasso di recidiva clinica è risultato lievemente minore nei pazienti trattati con azatioprina rispetto a quelli trattati con mesalazina, ma la percentuale di eventi avversi è risultata maggiore nel primo gruppo (9).
Biologici
Dati recentemente pubblicati fanno ipotizzare un ruolo promettente degli antiTNFα nella prevenzione della RPO. In un piccolo studio (10) pubblicato nel 2009,
24 pazienti con MC sottoposti a resezione ileo-colica sono stati trattati con Infliximab (IFX) o placebo entro 4 settimane dall’intervento. Dopo 1 anno di follow-up
oltre il 90% dei pazienti trattati con IFX ha mantenuto la remissione endoscopica
contro il 15% del gruppo placebo. Nessun paziente trattato con IFX ha manifestato
una recidiva clinica.
In un altro studio recente (11) 31 pazienti con MC, sottoposti a resezione ileo-colica
nelle precedenti 4 settimane, sono stati randomizzati a ricevere trattamento con
IFX al dosaggio di 5 mg/kg ogni 8 settimane per 36 mesi o nessun trattamento.
Tutti i pazienti inclusi nei 2 bracci ricevevano trattamento con mesalazina. A 12 e
36 mesi di follow-up il 100% ed il 93% rispettivamente dei pazienti trattati con IFX
aveva mantenuto la remissione, contro il 69% e 56% rispettivamente dei pazienti
non trattati (P < 0.03). Inoltre nei pazienti trattati con IFX la percentuale di remissione endoscopica a 12 mesi era maggiore rispetto ai pazienti non trattati (79% vs
19%; P= 0.004).
In uno studio prospettico (12) è stata infine valutata l’efficacia dell’IFX nella prevenzione della recidiva clinica in pazienti in cui era stata evidenziata una recidiva
endoscopica 6 mesi dopo l’intervento, confrontandola con quella della mesalazina e dell’azatioprina. Ventisei pazienti sono stati randomizzati a ricevere mesala-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):22-26
Prevenzione della recidiva post-chirurgica nella malattia di Crohn
zina (3 gr/die), azatioprina (50 mg/die) o IFX (ogni 8 settimane, senza fase di
induzione). Dopo un follow-up di 6 mesi una recidiva clinica è stata riportata: in
nessun paziente trattato con IFX, in 3 trattati con azatioprina (38%) ed in 7 trattati con mesalazina (70%).
Un miglioramento delle lesioni endoscopiche è stato inoltre riscontrato nel
75% dei pazienti trattati con IFX, nel 38% di quelli trattati con azatioprina e in
nessuno trattato con mesalazina.
Dati preliminari sull’efficacia dell’adalimumab (ADA) nella prevenzione RPO
giungono da piccoli studi non randomizzati. Un recente studio prospettico (13)
ha valutato l’efficacia di ADA in un gruppo di 23 pazienti ritenuti ad elevato
rischio di recidiva, trattati con il farmaco subito dopo l’intervento (8 pazienti) o
dopo il riscontro di recidiva endoscopica a 6 mesi dall’intervento (15 pazienti)
nonostante trattamento con mesalazina, azatioprina o IFX. Nel primo gruppo
una recidiva endoscopica è stata riscontrata in 1 paziente a 6 mesi ed in 1 paziente a 24 mesi dall’inizio del trattamento. Nel secondo gruppo di pazienti il
60% (9/15) ha ottenuto una guarigione delle lesioni endoscopiche dopo 24
mesi di trattamento con ADA.
CONCLUSIONI
In relazione alle evidenze della letteratura, non è possibile ad oggi definire con chiarezza quale possa essere considerata la strategia terapeutica più corretta da utilizzare
nella prevenzione primaria della RPO nella MC.
Ovvero, la recidiva endoscopica va prevenuta o trattata? E ancora, quando è
più opportuno eseguire il controllo endoscopico?
Secondo le Linee Guida ECCO (4), i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico dovrebbero
essere valutati endoscopicamente ad un anno dall’intervento. Uno studio italiano ha recentemente riportato la presenza di una elevata percentuale di recidiva endoscopica già dopo 6
mesi, ipotizzando il vantaggio di eseguire un controllo endoscopico precoce (a 6 mesi piuttosto
che a 1 anno dall’intervento) in
modo da selezionare i pazienti che
più precocemente necessitano di
FATTORI DI RISCHIO
un trattamento di prevenzione delFumo attivo, malattia penetrante, lesioni perianali,
malattia ileale estesa, precedente resezione intestinale
la recidiva clinica (14).
Se volessimo ipotizzare un algoritmo diagnostico-terapeutico per i
≥ 2 FATTORE DI RISCHIO
NO FATTORI DI RISCHIO
1 FATTORE DI RISCHIO
pazienti con MC sottoposti ad ine/o IFX da ≥ 6 mesi al momento della chirurgia
tervento chirurgico, che ci aiuti nella pratica clinica, noi suggeriremmo
un trattamento con metroniNo trattamento
Tiopurine + Antibiotici
Anti-TNFα
dazolo per 3 mesi dopo l’intero 5-ASA
(+Anti-TNFα)
vento, ed un successivo controllo endoscopico a 6 mesi
dall’intervento chirurgico.
Colonscopia a 6 mesi
Colonscopia a 6 mesi
Colonscopia a 6 mesi
In presenza di recidiva endoscopica il paziente andrebbe
trattato con immunosoppresRutgeerts
Rutgeerts
Rutgeerts
Rutgeerts
Rutgeerts
Rutgeerts
score < 2
score > 2
score < 2
score > 2
score < 2
score > 2
sori o con farmaco biologico,
la cui scelta andrebbe correlata con le caratteristiche e la
Tiopurine
storia clinica del paziente. Se
Anti-TNFα
No terapia
e/o
Anti-TNFα
Tiopurine
Anti-TNFα
o switch
non è presente una recidiva
o 5-ASA
Anti-TNFα
terapia
endoscopica a 6 mesi dall’intervento il paziente potrebbe
essere trattato con mesalaziFigura 1 Algoritmo diagnostico-terapeutico per la prevenzione della recidiva post-chirurgica della MC.
Modificato da Buisson A et al. Dig Liv Dis 2012 (2)
na [Figura 1].
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):22-26
25
IBD Highlights
Key Points
• È importante eseguire un controllo endoscopico entro 6-12 mesi
dall’intervento chirurgico, perché
la recidiva endoscopica precede
quasi sempre la recidiva clinica.
• L’efficacia della mesalazina nella
prevenzione della RPO della MC
è modesta.
• Gli antibiotici sono potenzialmente
efficaci nel prevenire la RPO, ma
sembrano essere poco tollerati a
lungo termine. Un breve ciclo di trattamento con metronidazolo subito
dopo l’intervento può essere utile.
• Alla luce dei dati della letteratura la reale efficacia degli immunosoppressori nella prevenzione
della RPO rimane ad oggi dubbia.
• I dati sull’efficacia dei biologici
sono promettenti ma sono necessari studi più ampi per poterla
confermare.
ed il trattamento
pr
• La prevenzione
ottimale della RPO e la scelta di
un atteggiamento terapeutico più
o meno aggressivo dovrebbero
sempre esser fatti tenendo conto
dei fattori di rischio e della storia
clinica del singolo paziente.
26
In età pediatrica, sebbene non esistano delle linee guida specifiche, maggiore valore
hanno oggi le metodiche di imaging non invasivo, in particolare l’ultrasonografia e la
entero-RM che, secondo la nostra esperienza, potrebbe essere utile effettuare già dopo
3 mesi dall’intervento.
Questa proposta di gestione della prevenzione post-chirurgica del paziente con MC
deve essere adattata al singolo paziente e fenotipo di malattia. L’utilizzo precoce
della terapia biologica nel post-operatorio in presenza di fattori di rischio, deve essere considerata una valida opzione specialmente in età pediatrica, in relazione al
decorso in genere più aggressivo della malattia e delle recenti evidenze circa la maggiore efficacia della terapia top-down rispetto al tradizionale approccio step-up
già alla diagnosi di MC.
CORRESpONDING AuTHOR
AMBROGIO ORLANDO
DI.BI.MIS., U.O. di medicina interna
Azienda Ospedaliera "Villa Sofia-V. Cervello"
Via Trabucco, 180 - 90146 Palermo
Tel. + 39 3385942487
Fax + 39 0916885111
E-mail: [email protected]
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s i ente colo
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O
M
Disordine linfoproliferativo post
trapianto nei bambini: diagnosi
precoce, gestione e terapie innovative
SILVIA RIVA, FRANCESCO CIRILLO, MARCO SCIVERES
Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato, ISMETT - University of Pittsburgh Medical Center di Palermo
INTRODUZIONE
I disordini linfoproliferativi post-trapianto (PTLD) costituiscono un
gruppo clinicamente ed istologicamente eterogeneo di malattie che hanno a fattore comune l’insorgenza dopo un trapianto d’organo solido o ematologico (1).
La cellula d’origine (T o B), l’attitudine proliferativa, il grado di atipia cellulare
e il potenziale aggressivo della malattia variano in maniera considerevole secondo lo specifico sottotipo e si possono avere da forme di linfoproliferazione
policlonale, a scarsissimo potenziale maligno ma suscettibili di progressione
(Early Lesions), a forme linfomatose estremamente maligne paragonabili a
quelle che insorgono nel paziente non trapiantato [Tabella 1].
In età pediatrica la maggioranza (80%) e la quasi totalità delle forme precoci
(entro i sei mesi dal trapianto) sono a partenza da cellule B infettate ed immortalizzate da Epstein Barr virus (EBV). Le forme non EBV-correlate, in genere
più tardive e più aggressive (2), sono rappresentate principalmente da PTLD
T-cellulari.
L’incidenza è variabile in base all’età del paziente ed all’organo trapiantato:
inferiore al 5% dopo trapianto di rene, inferiore al 10% dopo trapianto di fegato, raggiunge il 10-32% dopo trapianto di polmone ed intestino, sia per l’utilizzo di schemi immunosoppressivi più impegnativi sia per la presenza di abbondante tessuto linfoide intrinseco nel graft (3).
Le forme “Early” possono essere completamente asintomatiche o presentare
una sintomatologia sfumata come ipertrofia adenotonsillare con ostruzione nasale, microadenomegalia diffusa, diarrea recidivante, astenia, calo ponderale,
febbricola; nelle forme monoclonali, al contrario, prevale la focalità per cui ai
sintomi generali si associano i segni dovuti alla presenza di una massa infiltrante in maniera non dissimile ai linfomi del paziente non trapiantato [Figura 1].
Epstein Barr virus (EBV)
is frequently related
to post-transplant
lymphoproliferative
disorder (PTLD). Early
diagnosis and treatment of
polyclonal variants could
probably avoid progression
toward malignant disease.
Treatment strategies for
PTLD
D include reduction
of immunosuppression,
targeting of B-cells with
monoclonal antibodies, or
chemotherapy. Adoptiv
A
Adoptive
doptive
doptive
immunotherapy with EBVspecific C
CTLs to restore a
cellular immune response to
EBV is an innovative and safe
treatment option.
Tabella 1 Classificazione OMS 2008 dei PTLD
Key Words
Post-transplant lymphoproliferative disorder,
EBV-specific cytotoxic T-cell response,
early detection and diagnostics, risk factors,
adoptive T-cell therapy
CATEGORIA
CLONALITÀ
STATO EBV
Lesioni precoci
(iperplasia plasmacitica - mononucleosi-like)
Policlonale
Sempre EBV positivo
PTLD Polimorfico
Monoclonale
Sempre EBV positivo
PTLD Monomorfico
Linfoma B cellulare
Linfoma T cellulare
Monoclonale
Monoclonale
Frequentemente EBV positivo
Raramente EBV positivo
PTLD Linfoma di Hodgkin like
Monoclonale
Sempre EBV positivo
EBV, Epstein-Barr virus; PTLD, disordine linfoproliferativo post trapiant. Modificato da [1]
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News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
EBV - MECCANISMO DI INFEZIONE E PATOGENESI
DEL PTLD
EBV è un virus oncogeno, che appartiene alla famiglia herpes virus e ne condivide la caratteristica costante di determinare un’infezione latente che fa seguito ad una fase acuta, replicativa. L’infezione primaria nell’individuo immunocompetente avviene
nell’orofaringe mediante l’interazione tra la glicoproteina virale
GP340 e il recettore di superficie cellulare dei linfociti B: comporta
l'inizio di un ciclo replicativo virale e la morte della cellula infettata
per lisi cui segue il rilascio di nuove particelle virali complete ed
infettive. Al termine della fase replicativa EBV cambia strategia: il
genoma virale inizia la sintesi di alcune proteine nucleari (EBNA-1,
EBNA-2, EBNA-3A, EBNA-3B, EBNA-3C) e di membrana
(LMP-1, LMP-2A e LMP-2B) che governano il ciclo di latenza e
determinano un'attivazione permanente dei linfociti B (immortaFigura 1 Localizzazione sinusale con invasione
lizzazione cellulare). Alcuni di questi blasti entrano in fasi di latenza
intraorbitaria di PTLD B monomorfo (linfoma B a grandi
non proliferativa come cellule memoria capaci di brevi riattivazioni
cellule) a partenza dal tessuto adenoideo, insorto dopo 6
periodiche del ciclo litico. La maggior parte, tuttavia si replica indemesi dal trapianto di polmone in una bambina di 7 anni.
La piccola aveva manifestato a 2 mesi dal trapianto la
finitamente, sebbene a basso ritmo (4). Il controllo dell’infezione riprima infezione EBV con viremie elevatissime. Al momento
chiede entrambi i meccanismi di risposta immunitaria, cellulare ed
della diagnosi di PTLD la carica viremica era minima
umorale: la produzione di anticorpi limita la diffusione del virus nella forma infettiva, mentre l'attivazione del meccanismo di sorveglianza T cellulare agisce sulla proliferazione delle cellule B-memoria EBV infette, dimostrandosi efficace nel controllare la diffusione delle
cellule trasformate. Nel paziente immunosoppresso la funzione T-cellulare è deficitaria (i farmaci inibitori delle calcineurine limitano principalmente la funzione dei linfociti T) consentendo, quindi, ai linfociti B immortalizzati dal virus di andare incontro ad una proliferazione incontrollata ed allo sviluppo di
malattia linfoproliferativa (5)
MONITORAGGIO EBV E DIAGNOSI PRECOCE
Il fattore di rischio più significativo per PTLD è l’età al trapianto, per cui i bambini sono ipso facto una
popolazione a rischio. Tale rilievo è chiaramente un epifenomeno che rimanda a quanto detto circa
il ruolo patogeno dell’EBV. Il reale fattore di rischio, molto comune nei bambini, è infatti lo status di
sieronegatività per EBV al momento del trapianto. Tale condizione minimizza la possibilità di sviluppo di un'efficace risposta immune e, in ultima analisi, la citolisi dei blasti proliferanti EBV+. Anche il
tipo di trapianto effettuato porta con sè un potenziale di rischio: quello di organi con una maggiore
quantità di tessuto linfoide o che richiedono un’immunosoppressione più profonda (es. polmone, cuore o intestino) implica un rischio di PTLD notevolmente maggiore. Altri fattori di rischio minori, non
universalmente riconosciuti, sono il matching tra un ricevente EBV- ed un organo EBV+ (la prima
infezione nei riceventi di organi EBV- è solo ritardata, non evitata), la concomitante infezione da
CMV ed il tipo di immunosoppressione (tacrolimus più di ciclosporina) (1,3).
Il monitoraggio per PTLD del bambino trapiantato, in mancanza di un singolo parametro efficace
ed affidabile, si basa su un insieme di parametri clinici e bioumorali. In primo luogo vi è necessità di
seguire l’andamento dell’infezione da EBV, specie dopo l’avvenuta prima infezione o riattivazione del
virus. Lo strumento più utile e quello su cui vi è maggiore esperienza è la viremia EBV. È piuttosto
forte infatti l’evidenza che, al momento della fase replicativa, quindi in genere precocemente dopo il
trapianto, alte viremie EBV rappresentino un importante fattore di rischio. Nel tempo la tecnica di
rilevazione del DNA si è evoluta e si è passati dalla semplice PCR su plasma, che misura principalmente le copie di DNA “libero” provenienti dalla lisi cellulare, alla misurazione delle copie presenti
all’interno delle cellule mononucleate (PBMC, peripheral blood mononuclear cells). Quest’ultima
tecnica offrirebbe un quadro molto più preciso del numero di linfociti B EBV-carrier in fase di latenza (6). Tuttavia non sempre è documentata una correlazione fra PTLD e “viral load”. La recente introduzione del test di valutazione della risposta linfocitotossica EBV-specifica appare promettente. La
rilevazione di una risposta cellulo-mediata ridotta o assente, espressa come numero di linfociti T del
paziente producenti Interferon-gamma dopo attivazione con antigeni di EBV (ELISPOT), indica
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TIPO DI PTLD
TERAPIA DI PRIMA SCELTA
Riduzione
dell'immunosoppressione (RI)b
Lesioni precoci
Sistemico
Polimorfico
Localizzato
RI, se possibileb e:
• Solo Rituximab
o
• Chemioimmunoterapiae
RI, se possibileb e:
• RT ± Rituximab
o
• Chirurgia ± Rituximab
o
• Solo Rituximab
RI, se possibileb e/o:
Monomorficoa
• Solo Rituximabd
o
• Chemioimmunoterapiac
RISPOSTA INIZIALE
TERAPIA DI SECONDA SCELTA
Risposta completa
Gestione immunosoppressionee
e monitoraggio EBV PCR
Persistenza o progressione
della malattia
Rituximab and monitor EBV PCR
Risposta completa
Persistenza o progressione
della malattia
Risposta completa
Persistenza o progressione
della malattia
Si consideri la profilassi per la sindrome lisi tumorale (vedi NHODG-B)
Vedi anticorpo monoclonale e riattivazione virale (NHODG-B)
aIl trattamento si basa unicamente sull’istologia
altamente sintomatici o che non tollerano la chemioterapia a
causa di comorbidità
e
strettamente monitorati; la RI deve essere coordinata con Il reincremento dell’immunosoppressione deve essere
individualizzato, tenendo in considerazione il livello di RI
l'equipe di trapianto
iniziale ed il tipo di trapianto d'organo. Tali decisioni
cChemioimmunoterapia concomitante o sequenziale
devono essere prese in collaborazione con il team di
dCome parte di un approccio graduale in pazienti che non sono
trapianto.
bLa risposta alla RI è variabile ed i pazienti devono essere
Monitoraggio EBV PCR e:
• Osservazione
o
• Continuare RI, se possibile
± mantenimento Rituximab
Chemioimmunoterapiac
o
Sperimentazione clinica
o
Immunoterapia cellulare
con linfociti T citotossici EBV
specifici (se EBV correlate)
Vedere le linee guida
istologiche appropriate
per il follow-up
Se RI era la terapia di prima
scelta, poi Rituximab o
Chemioimmunoterapiac
o
Se Rituximab era la
monoterapia di prima scelta,
poi Chemioimmunoterapiac
o
Sperimentazione clinica
o
Immunoterapia cellulare
con linfociti T citotossici EBV
specifici (se EBV correlate)
Note: Tutte le raccomandazioni sono categoria 2A, se non diversamente indicato.
Sperimentazioni cliniche: NCCN crede che la migliore gestione di qualsiasi malato di cancro sia la sperimentazione clinica. La partecipazione a sperimentazioni cliniche
è particolarmente incoraggiata.
Figura 2 Trattamento del PTLD. Linee guida 2013 del National Comprehensive Cancer Network
infatti un deficit del paziente a sviluppare una risposta citotossica nei confronti di cellule EBV-positive.
I limiti di tale tecnica sono la scarsa standardizzazione (diversi tipi di melange antigenici) e l’assenza
di una reale validazione “sul campo” come predittiva di sviluppo di PTLD (7). Accanto alla sorveglianza virologica, l’attento follow-up clinico riveste un ruolo cruciale. È necessario valorizzare prontamente quei segni e sintomi, spesso sfumati o aspecifici, non riconducibili ad una causa nota ed alternativa. L’ipertofia adenotonsillare, comune nel bambino, nel paziente trapiantato assume
un'importanza completamente diversa. È infatti noto che l’anello linfatico orofaringeo rappresenta il
principale serbatoio di replicazione del virus EBV ed è precocemente sede di fenomeni di iperplasia
linfoide (8) istologicamente non dissimili da quello che si osserva nella mononucleosi infettiva, salvo il
fatto che non tendono alla autolimitazione spontanea. Il tessuto adenotonsillare, infatti, è la sede più
frequente di PTLD focali monoclonali nel bambino (3), verosimile evoluzione di quadri inizialmente
policlonali e benigni.
L’obiettivo di una diagnosi precoce non può che essere perseguito tramite un campionamento istologico dei tessuti accessibili in maniera mini-invasiva (adenoidi, tonsille, tessuto linfoide associato alla
mucosa intestinale) o la biopsia di una lesione focale sospetta.
L’individuazione di un paziente con sintomi compatibili, in assenza di chiare lesioni focali, offre la
preziosa opportunità di evidenziare un processo linfoproliferativo in stadio precoce e scarsamente
aggressivo. Presso il nostro Istituto è operativo un programma di screening istologico precoce che,
in pazienti selezionati sulla base di elementi clinici, ha permesso di dimostrare un'incidenza superiore all'80% di forme “Early” (9) e di avviare precocemente un'adeguata presa in carico terapeutica. Tale modus operandi riteniamo sia il principale determinante della completa assenza di diagnosi di PTLD monomorfi nella nostra coorte di pazienti trapiantati che ormai approssima i 5
anni di follow-up mediano.
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News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
Key Points
• I disordini linfoproliferativi post trapianto rappresentano un gruppo
clinicamente ed istologicamente eterogeneo di malattie, con
ampio spettro clinico: da lesioni
benigne a forme linfomatose.
• l principale fattore di rischio è
rappresentato dall'infezione primaria da EBV che avviene dopo
il trapianto, in quanto nel paziente immunosoppresso la funzione
T-cellulare è deficitaria consentendo ai linfociti B immortalizzati
dal virus di andare incontro ad
una proliferazione incontrollata
ed allo sviluppo di malattia linfoproliferativa.
• Il monitoraggio dell'infezione si
avvale della determinazione
della viremia EBV mediante PCR
e del test di valutazione della
risposta linfocitotossica EBVspecifica.
• La diagnosi precoce richiede
un’attenta sorveglianza clinica
ed il campionamento istologico
dei tessuti accessibili in maniera
mini-invasiva (adenoidi, tonsille,
tessuto linfoide associato alla
mucosa intestinale) o la biopsia
di una lesione focale sospetta.
• L'approccio terapeutico dipende soprattutto dal sottotipo di
disordine: tuttavia la terapia più
innovativa, clinicamente validata, è rappresentata dall’uso di
linee cellulari T-linfocitarie autologhe addestrate in vitro ad aggredire i linfoblasti portatori di EBV e
ripristinare l’immunosorveglianza
virus specifica.
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TERAPIE INNOVATIVE
Il trattamento delle diverse forme di PTLD è schematizzato in Figura 2. Le forme linfomatose si avvalgono della combinazione di Rituximab (anticorpo monoclonale antiCD 20), capace di eliminare la maggioranza dei linfociti B, con cicli brevi di chemioterapia che limita le popolazioni cellulari rapidamente proliferanti. Con questa
combinazione la frequenza di remissione completa supera l’80%. Il novero di presidi
terapeutici tradizionalmente adoperati nel caso di forme “Early” policlonali è al contrario molto limitato. La relativa benignità del quadro non giustifica infatti l’uso del
Rituximab (che non presenta un profilo di sicurezza ideale) e l’unico approccio storicamente adoperato è stato la riduzione o la sospensione della immunosoppressione.
Sebbene il tasso di regressione sia molto elevato, tale approccio comporta un rischio
elevato e non accettabile di rigetto acuto o cronico e di perdita del graft. Un possibile
approccio alternativo può essere l’uso di farmaci immunosoppressori differenti dal
tacrolimus senza ridurre significativamente l’impegno immunosoppressivo globale.
Esistono in letteratura diversi dati che indicano negli inibitori delle m-TOR delle valide alternative al tacrolimus e la nostra esperienza preliminare con la rapamicina è
stata più che positiva. L’approccio più innovativo, tuttavia, è l’uso di linee cellulari Tlinfocitarie autologhe addestrate in vitro ad aggredire i linfoblasti portatori di EBV che
presentano un profilo di immunogenicità particolarmente favorevole. L’esperienza
con queste cellule, dette CTL (Cytotoxic T Lymphocytes) EBV specifiche è ormai
consolidata ed i risultati sono eccellenti (10). Il principale ostacolo al loro utilizzo è la
disponibilità di una Cell-Factory capace di prepararle per ogni singolo paziente.
CORRESPONDING AUTHOR
SILVIA RIVA
Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato
ISMETT - University of Pittsburgh Medical Center di Palermo
Via Tricomi, 1 - 90127 Palermo
Tel. + 39 091 2192111
Fax + 39 091 2192201
E-mail: [email protected]
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Nuove terapie nella Fibrosi Cistica
R
VALERIA RAIA1 E LUIGI MAIURI2,3
1Dipartimento di Pediatria, Centro Regionale Fibrosi Cistica, Università di Napoli "Federico II"
2European Institute for Research in Cystic Fibrosis, Istituto Scientifico San Raffaele di Milano
3Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Foggia
INTRODUZIONE
La Fibrosi Cistica (FC), la più comune malattia genetica della popolazione caucasica a prognosi severa, è causata da mutazioni del gene CFTR che codifica
per una proteina (CFTR) espressa sugli epiteli di diversi organi ed apparati. Ha
un’incidenza variabile che oscilla fra 1 su 2.500 e 1 su 3.500 nati vivi; la frequenza dell’ eterozigote è compresa tra 1:25 e 1:30. È caratterizzata da malattia polmonare cronica ostruttiva, ricorrenti infezioni delle basse vie respiratorie, insufficienza pancreatica esocrina e aumento della concentrazione di elettroliti nel
sudore. L’apparato gastrointestinale è compromesso a vari livelli e nelle diverse
fasce di età in circa il 90% dei pazienti FC. L’ileo da meconio è la manifestazione clinica più precoce ed interessa circa il 10-20% dei neonati con diagnosi di
FC, mentre nelle età più avanzate la Sindrome da Ostruzione Intestinale Distale (DIOS) è caratterizzata da quadri di subocclusione intestinale correlata prevalentemente alla stasi di materiale fecale. Iperacidità gastrica, alterazione della
composizione degli acidi biliari, disfunzioni della motilità intestinale, predisposizione alla sindrome dell’intestino infetto sono tutti elementi che in varia misura possono concorrere a modificare il compenso digestivo e lo stato nutrizionale
(1). Attualmente le terapie sono prevalentemente indirizzate a monitorare l’andamento della malattia, diagnosticare precocemente le complicanze ed instaurare un’adeguata terapia delle singole manifestazioni cliniche. Negli ultimi anni
numerosi studi in vitro, ex vivo e in vivo hanno correlato il deficit funzionale della
proteina CFTR alla disregolazione della risposta infiammatoria. Tuttavia, le
terapie antiinfiammatorie attualmente utilizzate in FC sono indirizzate alla correzione degli eventi causati dal difetto funzionale della CFTR e pertanto agiscono a valle del difetto di base della malattia (2).
Sebbene la terapia genica sia in teoria il gold standard per la cura dei pazienti
con FC, i risultati ottenuti sono stati insoddisfacenti (3). La terapia cellulare è
ancora in fase di studio e non ci sono al momento risultati che consentano la
trasferibilità al paziente.
We focus on the manipulation
of proteostasis and
autophagy as a new option
of CFTR-repairing
-repairing therapy
therap to
rescue functional F508delCFTR
TR in CF. We highlight how
targeting the intracellular
environment surrounding
the misfolded mutant
TR instead of protein
CFTR
itself could constitute an
attractive therapeutic option
to sensitize F508del-CFTR
patients to the beneficial
action of CFTR
TR potentiators
on lung inflammation.
Key Words
CFTR,CFTR correctors and potentiators,
tissue transglutaminase,
proteostasis regulators,
autophagy,inflammation
LA CORREZIONE DEL DIFETTO DI BASE IN FC
La conoscenza dei meccanismi attraverso cui le oltre 1800 mutazioni identificate nel gene CFTR conducono alla difettiva funzione della proteina mutata ha
aperto la strada alla cosiddetta "CFTR repairing therapy". Questa terapia si
basa sull'uso di molecole capaci di incrementare la funzione della CFTR mutata (potenziatori) o di molecole capaci di correggerne il difetto di traffico intracellulare della proteina (correttori) (4). Una di queste molecole, il potenziatore VX770 (Ivacaftor, Kalideco, Vertex Co.), identificato attraverso tecniche di
"highthroughput screening", si è rivelato efficace in vivo nel migliorare la funzione polmonare in pazienti con una rara mutazione, la G551D, che codifica
per una proteina capace di essere correttamente trasportata sulla superficie cellulare ma che presenta un difetto della funzione di canale del cloro (5). Il successo di tale terapia ha portato alla sperimentazione del VX-770 in pazienti con la
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Recent Advance in Basic Science
più comune mutazione della CFTR, la delezione di fenilalanina in posizione 508
(F508del), presente nel 70% circa dei pazienti FC (1-3). Tale mutazione codifica per una
proteina “misfolded” che è trattenuta nel reticolo endoplasmico (RE) e prematuramente degradata, non riuscendo a trafficare verso il Golgi per essere glicosilata e quindi essere trasportata sulla membrana cellulare, sede di attività del canale ionico CFTR.
Pertanto, come atteso, il potenziatore VX-770 si è rivelato inefficace in questi pazienti
FC. La F508del-CFTR conserva la funzione di canale ionico, sia pur incompleta, ma
teoricamente sufficiente a prevenire le manifestazioni FC, se viene trasportata in membrana mediante manipolazioni sperimentali o attraverso l'uso di molecole "chaperons".
Pertanto, l'identificazione di molecole capaci di favorire il traffico della F508del-CFTR
verso la membrana cellulare (correttori) è di grande interesse per la clinica. Fra queste,
il correttore VX-809 si è rivelato il più efficace in sistemi in vitro. Tuttavia, i risultati di
un trial clinico su pazienti F508del-CFTR omozigoti sono stati insoddifacenti (6).
È attualmente in corso uno studio clinico che prevede la combinazione del VX-809 e
del potenziatore VX-770. Sebbene il trial clinico sia ancora in corso, i risultati preliminari indicano l'inefficacia della terapia nel migliorare nei pazienti trattati il test del sudore, identificato come outcome primario.
La scarsa efficacia di questa combinazione terapeutica è motivata da studi recenti (7)
che dimostrano come, una volta trasportata in membrana dai correttori, la F508delCFTR
è instabile ed è rapidamente ubiquitinata ed avviata verso la degradazione lisosomiale.
Questo secondo meccanismo di controllo di qualità non consente alla F508del-CFTR di
risiedere in membrana tanto a lungo da essere disponibile per l'azione dei potenziatori.
Pertanto, la principale necessità della “drug discovery” in FC è quella di identificare molecole capaci non solo di favorire il traffico della F508del-CFTR verso la superficie cellulare, ma anche di stabilizzarla in membrana per favorire l'azione dei potenziatori.
ALTERAZIONI DELLA PROTEOSTASI IN FC
L'attuale strategia di identificazione di nuovi e più potenti correttori mediante "highthroughput screening" (approccio “top-down”) è basata sulla ricerca di molecole che interagiscono con la proteina CFTR mutata favorendone il traffico verso la membrana. Studi
recenti del nostro gruppo suggeriscono percorsi alternativi per favorire il traffico della
F508del-CFTR che si basano sulla identificazione di modulatori specifici di “pathways”
compromesse dal difetto funzionale di CFTR (approccio “bottom-up”).
I nostri studi hanno offerto la prima dimostrazione che il difetto funzionale di CFTR
conduce ad una cascata di eventi in cui un incremento dei livelli di Specie Reattive all'Ossigeno (ROS) determina una persistente attivazione della Transglutaminasi Tissutale
(TG2), una proteina multifunzionale e con variegata localizzazione intracellulare che, se
attivata, induce “cross-linking”, ubiquitinazione e sequestro in stazioni di deposito intracellulare (aggresomi) di varie proteine-substrato, fra cui il PPARγ e l'IK-Bα, con conseguente risposta pro-infiammatoria (8).
L'attivazione della TG2 induce "cross-kinking" di BECN1, proteina cuciale nel processo
di autofagia, un meccanismo di degradazione che la cellula adotta in condizioni di stress.
Il crosslinking di BECN1 spiazza il complesso di proteine fondamentali per l'autofagia
che interagiscono con BECN1 (Vps34, Vps15, AMBRA1, ATG14) dal RE, sede di azione fisiologica, e lo sequestra in aggresomi. Cio' porta ad inibizione della autofagia con
accumulo di p62/SQSTM1, una proteina legante ubiquitina che favorisce la formazione degli aggresomi (9).
La rilevanza pre-clinica di questo meccanismo patogenetico, schematizzato in Figura 1, è
evidenziata dal fatto che, ripristinando i livelli di BECN1 sia mediante diretta overespressione genica che con molecole che inibiscono l'attività della TG2, quali cistamina o cisteamina, non solo si ripristina la risposta autofagica, ma si ottiene un efficace controllo
della infiammazione polmonare in vivo in un modello murino omozigote per la F508delCFTR. Questi trattamenti ripristinano anche il traffico verso la membrana plasmatica e
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Nuove terapie nella Fibrosi Cistica
A
B
∆FCFTR
∆FCFTR
∆FCFTR
∆FCFTR
∆FCFTR
∆FCFTR
Figura 1 (A) Il difetto di CFTR induce un aumento di ROS con conseguente persistenza di elevati livelli di TG2.
L'attivazione della TG2 induce cross-linking di beclin 1 e sequestro funzionale dell'interattoma di BECN1 con
conseguente blocco dell'autofagia con aumentati livelli di p62 e accumulo di proteine ubiquitinate in
aggresomi.Questo processo sostiene un circolo vizioso che induce ulteriori incrementi di ROS e infiammazione.
La F508del-CFTR, in parte degradata attraverso il proteasome, accumula anche in aggresomi a causa del blocco
di autofagia con sovraccarico del proteasome e non può raggiungere il Golgi per essere glicosilata e trasportata
in membrana. (B) Il trattamento con cisteamina interrompe il circolo vizioso e favorisce una normale risposta
autofagica. Conseguentemente, la F508del-CFTR traffica verso la membrana plasmatica ove e' stabilizzata
anche dopo sospensione del trattamento con cisteamina. Ciò consente l'azione dei potenziatori che risultano
così efficaci nel favorire il controllo dell'infiammazione
la funzione della DFCFTR: F508del-CFTR (9,10). Pertanto, il difetto di funzione della
CFTR innesca un circolo vizioso che, attraverso l'asse ROS/TG2, induce inibizione di
autofagia e infiammazione e compromette il suo stesso traffico intracellulare.
UNA NUOVA STRATEGIA TERAPEUTICA PER LA F508DEL-CFTR
Queste evidenze indicano che l'uso di molecole in grado di correggere l'alterazione della
proteostasi, correlata alla difettiva funzione della CFTR, anzichè interagire con la CFTR
mutata, è una opzione alternativa per favorire il traffico della F508del-CFTR verso la
membrana cellulare.
Il goal della terapia riparatrice del difetto di base della CFTR è non solo quello di garantire un corretto traffico della proteina mutata verso la superficie cellulare, ma anche e
soprattutto quello di stabilizzare la proteina in membrana per consentire l'azione dei
potenziatori della CFTR. Un nostro recente studio (10) ha dimostrato che la cistamina
(o la cisteamina), ma non i noti correttori della CFTR, stabilizza la F508del-CFTR in
membrana e consente ai potenziatori di migliorare il controllo dell'infiammazione polmonare in topi F508del-CFTR omozigoti anche dopo oltre una settimana di sospensione del trattamento con cisteamina. La potenziale rilevanza clinica di questi dati consiste
nel fatto che l'efficacia dei potenziatori è strettamente dipendente dalla normalizzazione
del traffico intracellulare e dalla stabilizzazione in membrana della F508del-CFTR in-
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Recent Advance in Basic Science
Key Points
• La F508del-CFTR è precocemente degradata e non raggiunge la membrana plasmatica delle cellule epiteliali.
• Il traffico intracellulare della
F508del-CFTR può essere ripristinato mediante l'uso di correttori ma la CFTR mutata è
poco stabile sulla membrana
plasmatica ed è rapidamente
degradata.
• Il difetto funzionale della CFTR
inibisce l'autofagia attraverso
l'azione della Transglutaminasi
tissutale.
• Molecole regolatrici della proteostasi, ripristinano l'autofagia,
stabilizzano la F508del-CFTR
in membrana e favoriscono
l'azione dei potenziatori con
conseguente controllo dell'infiammazione polmonare.
dotti dal trattamento con cisteamina. La F508del-CFTR funzionalmente attiva presente
in membrana può in tal modo interrompere il circolo vizioso che porta all'autofagia e
all'infiammazione e sostenere la sua stessa permanenza in membrana (10).
Questi studi indicano che la correzione del difetto di base della CFTR mediante regolatori della proteostasi, controlla l'infiammazione polmonare, la principale causa di morbidità e mortalità in FC. Gli effetti della cisteamina sono stati validati oltre che in topi
F508del omozigoti, anche in modelli ex vivo su cellule da brushing nasali di pazienti
omozigoti per la F508del-CFTR. Se questi dati saranno confermati in trials clinici in
pazienti FC con mutazione F508del-CFTR, si potrebbe ipotizzare una nuova strategia
terapeutica che prevede l'uso sequenziale di un regolatore della proteostasi, quale la cisteamina, seguito da un potenziatore della CFTR.
CORRESPONDING AUTHOR
VALERIA RAIA
Centro Regionale Fibrosi Cistica
Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II
Via S. Pansini, 5 - 80131 Napoli
Tel. + 39 081 746 3273
Fax + 39 39 081 746 3273
E-mail: [email protected]
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corrector compound, in subjects with cystic fibrosis homozygous for the F508del-CFTR mutation. Thorax
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34
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):31-34
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Le
Colonscopia incompleta:
ruolo della colonscopia
con videocapsula
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CRISTIANO SPADA, LEONARDO MINELLI GRAZIOLI, GUIDO COSTAMAGNA
U.O.C. di Endoscopia Digestiva, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Complete colonic evaluation
is a measure of colonoscopy
colonoscop
quality. Unfortunately, cecal
intubation is often lower
than the target of ≥ 90%,
even when colonoscopy is
performed by experienced
endoscopists. Multiple
endoscopic and radiological
techniques were described
to complete colonoscopic
Recently,, colon
R
examinations. Recently
capsule endoscopy ((CC
(CCE)
E) has
been released. Preliminary
data suggest that CCE is
feasible and safe in patients
with incomplete colonoscopy.
Key Words
Colon capsule endoscopy,
incomplete colonoscopy,
CT-colonography
PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO
Riportiamo il caso di un paziente con indicazione ad una colonscopia per screening del cancro del colonretto. Nonostante un’adeguata sedazione, la colonscopia
era risultata incompleta a causa di una diverticolosi severa e di una scarsa compliance del paziente che avevano impedito la prosecuzione dell’esame oltre il sigma medio.
La completa valutazione del colon è uno dei parametri per la valutazione della
qualità nella colonscopia. Purtroppo, il tasso di intubazione del cieco nella pratica
quotidiana è spesso inferiore al target del ≥ 90%. Infatti, anche quando eseguita
da endoscopisti esperti, circa il 6-26% delle colonscopie sono incomplete (1, 2).
Diverse tecniche endoscopiche e radiologiche (come clisma opaco, colonscopia
virtuale, colonografia MR) sono indicate come test complementari in caso di colonscopia incompleta. Il clisma opaco è stato tradizionalmente usato per completare la visualizzazione del colon, tuttavia, i dati in letteratura suggeriscono una sua
performance sub-ottimale nell’identificazione di lesioni coliche (1,2). La colonscopia virtuale (CTC) ha sostanzialmente sostituito le tecniche di radiologia tradizionale ed oggi è generalmente accettato che la CTC sia più accurata del clisma nella
diagnosi di lesioni cancerose e precancerose del colon. Infatti la Società Americana
di Gastroenterologia (AGA) riconosce la CTC come la modalità di imaging di scelta
in caso di colonscopia incompleta (3). All’armamentario del Gastroenterologo, più
recentemente, si è aggiunta anche la colonoscopia con videocapsula (CCE) (4,5)
che è una tecnica non-invasiva, che permette la visualizzazione diretta della mucosa del colon senza far ricorso all’endoscopio tradizionale né a radiazioni e che può
essere impiegata in caso di colonscopia incompleta (6).
Attualmente è in commercio la seconda generazione di capsula del colon (PillCam
Colon Capsule Endoscopy 2 - CCE-2) che include importanti miglioramenti. La nuova
CCE-2 ha dimensioni di 11.6 x 31.5 mm. Dispone di 2 cupole ottiche con un angolo di visualizzazione di 172° gradi per ogni cupola, consentendo una copertura di
quasi 360° della mucosa del colon. Inoltre, al fine di migliorare la visualizzazione del
colon e per risparmiare la batteria, la capsula è dotata di un sistema automatico di
adattamento di acquisizione delle immagini (Adaptive Frame Rate - AFR). Mediante
l’AFR, la CCE-2 cattura 35 immagini al secondo quando è in movimento e 4 immagini al secondo quando è ferma. Ad oggi, solo due studi hanno valutato la CCE-2
mostrando risultati sovrapponibili con una sensibilità per polipi ≥ 6 mm dell'8489% ed una specificità del 64-76% e per polipi ≥ 10 mm una sensibilità dell’88% ed
una specificità dell’89-95% (4, 5).
SVILUPPO DEL CASO CLINICO
Nel presente caso, per il completamento della valutazione del colon, il paziente ha effettuato una CCE dopo una preparazione intestinale specifica che prevede oltre alla
soluzione di polietilene glicole, uno o due stimolanti la motilità intestinale (fosfato
di sodio) allo scopo di accelerare il transito della capsula attraverso l’intestino (4,5,6).
Il paziente ha facilmente ingerito la capsula che è stata espulsa dopo circa 4.30
ore. La qualità della preparazione era adeguata. Nel piccolo intestino esplorato non
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):35-36
35
Endoscopy Learning Library
sono state evidenziate lesioni significative. Nel colon di sinistra, in corrispondenza della regione della flessura splenica, nella porzione di colon non visualizzato dalla precedente colonscopia, prossimalmente rispetto alla regione diverticolare [Figura 1], la capsula ha evidenziato un polipo di circa 18 mm
[Figura 2]. Alla successiva colonscopia eseguita con strumento pediatrico ed
in sedazione profonda il polipo è stato confermato [Figura 3] e rimosso.
CONCLUSIONI
Il caso descritto suggerisce che la CCE rappresenta una valida tecnica complementare alla colonscopia nei casi in cui quest’ultima risulti incompleta.
L'applicazione di questa tecnica e le relative indicazioni in età pediatrica
necessitano di essere validate attraverso trials clinici ampi e numerosi.
Figura 1 Diverticoli visualizzati
alla colonscopia con videocapsula
CORRESPONDING AUTHOR
CRISTIANO SPADA
Università Cattolica del Sacro Cuore
Policlinico "A. Gemelli"
U.O. di Endoscopia Digestiva Chirurgica
Largo A. Gemelli, 8 - 00168 Roma
Tel. + 39 06 30156580
Fax + 39 06 30156581
E-mail: [email protected]
BIBLIOGRAFIA
Figura 2 Polipo della regione del colon
di sinistra visualizzato alla colonscopia
con videocapsula. Il software di seconda
generazione include un sistema di
misurazione dei polipi
1. Schrock TR. Colonoscopy versus barium enema in the diagnosis of colorectal cancer and polyps. Gastrointest
Endosc Clin N AM 1993;3:585-610.
2. Culpan DG, Mitchell AJ, Hughes S et
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al. Colon capsule endoscopy: European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) Guideline. Endoscopy
2012;44:527-36.
Key Points
Figura 3 Il polipo visualizzato dalla CCE
è confermato alla colonscopia
tradizionale e sottoposto a polipectomia
36
o inferiore al target del ≥ 90%.
• Il tasso di colonscopie complete è spess
scopisti esperti, circa il 6-26%
Infatti, anche quando eseguita da endo
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):35-36
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SIGENP "UNIT"
CHI SIAMO E COSA FACCIAMO
SIGENP presenta SIGENP, chi siamo e cosa facciamo. Una "vetrina" dedicata ai Centri presenti
sul territorio nazionale è un atto dovuto verso una gastroenterologia pediatrica italiana moderna
ed al passo con i tempi. In questo numero, il Presidente Annamaria Staiano ed il past-President,
Salvatore Cucchiara ci accompagnano in un viaggio virtuale all'interno delle loro Units presentando
le varie attività ed i particolari interessi di natura clinico-assitenziale.
Unità di Endoscopia e Motilità Digestiva Pediatrica
Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Infiammatorie
Croniche dell’Età Evolutiva Dipartimento Clinico di Pediatria
Generale e Specialistica Università di Napoli “Federico II”
ELEONORA GIANNETTI, ERASMO MIELE, ANNAMARIA STAIANO
L’Unità di Endoscopia e Motilità Digestiva Pediatrica del Dipartimento Clinico di Pediatria
Generale e Specialistica dell’Università di Napoli “Federico II” fornisce assistenza
multidisciplinare sia in ambiente ospedaliero che ambulatoriale. Tale Unità offre servizi
completi di diagnostica gastroenterologica e rappresenta un centro di riferimento per
ANNAMARIA STAIANO
la diagnosi e cura dei disordini della motilità esofagea, della stipsi cronica, della malattia
di Hirschsprung, della malattia da reflusso Gastroesofageo, dei disordini funzionali gastrointestinali e dei disordini
gastrointestinali del bambino diversamente abile. Inoltre, presso tale Struttura è stato istituito il primo Centro di
Riferimento Regionle per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) dell’età evolutiva (Bollettino Ufficiale
della Regione Campania - n. 45 del 13 agosto 2007), nell’ambito del quale vengono regolarmente seguiti circa 250
pazienti. Responsabile del Centro è la Prof.ssa Annamaria Staiano, Professore Ordinario di Pediatria. La Prof.ssa Staiano
è coadiuvata nella sua opera da un Ricercatore Universitario, Erasmo Miele, da un Medico Contrattista Eleonora Giannetti,
da Infermieri Pediatrici, da Assistenti in Formazione, da Nutrizioniste e da uno Psicologo.
Servizi Diagnostici
L’Unità effettua più di 1.000 procedure strumentali all’anno che includono: endoscopie digestive alte e basse, studio del
piccolo intestino con videocapsula, manometrie ad alta risoluzione, pH-impedenzometrie, biopsie rettali; tale Centro
inoltre è stato riconosciuto quale Centro prescrittore di farmaci biologici per le malattie infiammatorie croniche intestinali.
Presso il Centro vengono utilizzati i più moderni strumenti diagnostici, tra cui videogastroscopi, videoenteroscopio,
videocolonoscopi, videocapsula endoscopica, apparecchi
pH-impedenzometrici, manometro ad alta risoluzione.
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
Inoltre, presso il Centro è possibile effettuare la più sofisticata
Esofagoduodenogastroscopia
Breath Test (H2, C13)
diagnostica di laboratorio e per immagini dei disordini del tratto
Ileocolonoscopia
gastrointestinale. L’attività si espleta mediante ambulatori
Radiologia tradizionale
specialistici, Day Hospital e ricoveri ordinari. Sono dedicati ai
Videocapsula endoscopica
Scintigrafia intestinale
pazienti con patologie gastrointestinali 24 posti letto di
pH-impedenzometria esofagea
ricovero ordinario e 12 di Day Hospital. Presso il Centro diretto
Test allergologici cutanei
Biopsia rettale per suzione
dalla Prof.ssa Staiano si svolge un’intensa attività di ricerca sia
Ultrasonografia standard
clinica che di base, con la collaborazione di importanti Centri
Manometria digestiva ad alta risoluzione
e dinamica (SICUS)
Europei e del Nord America e sono in corso trial clinici
Risonanza Magnetica del tratto intestinale
Terapia Biologica
internazionali sulla sperimentazione di nuovi trattamenti per
(con contrasto orale e gadolinio)
le malattie gastrointestinali in età pediatrica.
PUBBLICAZIONI
• Gyawali CP, Bredenoord AJ, Conklin JL, Fox M, Pandolfino JE, Peters JH, Roman S, Staiano A, Vaezi MF. Evaluation of
esophageal motor function in clinicalpractice. Neurogastroenterol Motil 2013;25:99-133.
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after healing by omeprazole: is it advisable? Am J Gastroenterol 2007;102:1291-7.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):37-38
RECAPITI TELEFONICI
Prof.ssa A. Staiano
Tel. 081 7462679
E-mail: [email protected]
Dott. E. Miele
Tel. 081 7464565
E-mail: [email protected]
Centro Unico di Prenotazione
Tel. 081 7464418- 419-420-421
Day Hospital
Tel. 081 7464231
Fax 081 5451278
Reparto
Tel. 081 7463266
37
S
SIGENP Units Presentation
Unità Operativa Complessa Gastroenterologia ed Epatologia
Pediatrica Policlinico Umberto I, Sapienza - Università di Roma
SALVATORE OLIVA, SALVATORE CUCCHIARA
L’Unità Operativa Complessa (UOC) di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica è diretta
dal Prof. Salvatore Cucchiara, Ordinario di Pediatria della Facoltà di Medicina e Odontoiatria
presso la Sapienza Università di Roma, e Direttore del Dipartimento Universitario di Pediatria
e Neuropsichiatria Infantile della stessa Facoltà.
La UOC si articola nei seguenti Servizi: Day Hospital dotato di 8 posti letto e di confortevoli
locali per l’accoglienza e l’effettuazione di test diagnostici e procedure terapeutiche di III
SALVATORE CUCCHIARA
livello; reparto di degenza (10 posti letto) in un ambiente moderno e confortevole;
laboratorio di Motilità Gastrointestinale in cui si eseguono tecniche di valutazione della funzionalità intestinale; servizio di
Endoscopia Digestiva diagnostica e operativa, dotato di una strumentazione all’avanguardia soprattutto in alcuni ambiti
(come ad esempio nella valutazione del piccolo intestino con l’enteroscopia a singolo pallone e l’endoscopia capsulare) e
dove si esegue un’ampia gamma d’interventi terapeutici (dilatazioni, applicazioni di stent, scleroterapia e legatura di varici
esofagee, estrazione di corpi estranei, gestione delle lesioni da caustici, applicazioni di gastrostomie, polipectomie
complesse, trattamento fistole tracheo-esofagee); locali dedicati al trattamento terapeutico avanzato quali la
somministrazione di farmaci biologici; ambulatori per la malattia celiaca, le allergie alimentari (con esecuzione di test
cutanei), le malattie infiammatorie intestinali, l’epatologia, la reumatologia, e per la gestione multidisciplinare dei pazienti
neurologici; Servizi di diagnostica per immagini di livello eccellente (radiologia convenzionale, risonanza magnetica,
ultrasonografia, scintigrafia).
La UOC è a livelli d’eccellenza soprattutto nell’ambito delle malattie infiammatorie intestinali e dell’endoscopia digestiva
diagnostica ed operativa, con notevoli risultati in campo clinico e scientifico, che ne fanno uno dei Centri Accademici più
accreditati a livello internazionale in questo settore. Attualmente nella UOC lavorano 7 dirigenti medici di I livello e 18 unità
infermieristiche (6 dedicate alle degenza diurna e 12 a quella ordinaria).
Sul piano della ricerca di base sono in attuazione numerosi progetti (in collaborazione con altre Università e Enti di Ricerca, nazionali
e internazionali) che mirano allo studio dei meccanismi di malattia e all’identificazione di marcatori precoci d’infiammazione nelle
malattie infiammatorie intestinali; mentre la ricerca
clinica si focalizza soprattutto nella validazione e
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
utilizzo di nuove tecniche diagnostiche e
Endoscopia con videocapsula
terapeutiche in ambito endoscopico.
Endoscopia diagnostica e terapeutica
del piccolo intestino e del colon
Negli ultimi anni, infatti l’Unità è diventata
pH-Impedenzometria
Manometria ad alta risoluzione
riferimento per la valutazione e il trattamento
endoscopico delle patologie del piccolo
Ultrasonografia standard e dinamica
Breath Test (H2, C13)
intestino. Viene anche svolta un’intensa attività
(SICUS)
di educazione post-graduata, sia nell’ambito
Risonanza Magnetica del tratto intestinale
Radiologia tradizionale
(con contrasto orale e gadolinio)
della scuola di specializzazione in Pediatria, sia
della Pediatria Ospedaliera e del territorio, con
Scintigrafia intestinale
Ecografia articolare
organizzazione di Corsi di formazione, Congressi
Test allergologici cutanei
Terapia Biologica
e Master in Gastroenterologia, Epatologia e
Endoscopia Digestiva Pediatrica.
PUBBLICAZIONI
• Di Nardo G, Rossi P, Oliva S, Aloi M, Cozzi DA, Frediani S, Redler A, Mallardo S, Ferrari F, Cucchiara S. Pneumatic
balloon dilation in pediatric achalasia: efficacy and factorspredictingoutcomeat a single tertiary pediatric
gastroenterology center. Gastrointest Endosc 2012;76:927-32.
• Di Nardo G, Aloi M, Oliva S, Civitelli F, Casciani E, Cucchiara S. Investigation of small bowel in pediatric Crohn's
disease. Inflamm Bowel Dis 2012;18:1760-76.
• Di Nardo G, Oliva S, Aloi M, Rossi P, Casciani E, Masselli G, Ferrari F, Mallardo S, Stronati L, Cucchiara S. Usefulness of
single-balloon enteroscopy in pediatric Crohn's disease. GastrointestEndosc. 2012;75:80-6.
• Vitali R, Stronati L, Negroni A, Di Nardo G, Pierdomenico M, del Giudice E, Rossi P, Cucchiara S. Fecal HMGB1 is a novel
marker of intestinalmucosalinflammation in pediatric inflammatoryboweldisease. Am J Gastroenterol
2011;106:2029-40.
• Negroni A, Costanzo M, Vitali R, Superti F, Bertuccini L, Tinari A, Minelli F, Di Nardo G, Nuti F, Pierdomenico M,
Cucchiara S, Stronati L. Characterization of adherent-invasive Escherichia coli isolated from pediatric patients with
inflammatoryboweldisease. Inflamm Bowel Dis 2012;18:913-24.
38
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):37-38
RECAPITI TELEFONICI
Segreteria UOC
Tel. 06 49979269 - 49979324-326
Prof. A. Cucchiara
E-mail: [email protected]
Day Hospital
Tel. 06 49979318
Fax 06 49979325
Reparto
Tel. 06 49979320
Fax 06 49979352
E-mail: [email protected]
http://www.gastropediatrriaroma.it
Soluzione del caso clinico di pagina 21
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Il vomito cronico
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FEDERICA PORCARO E CLAUDIO ROMANO
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Messina
SVILUPPO DEL CASO CLINICO
Sabrina è stata sottoposta ad indagini di laboratorio al fine di escludere processi
infettivi/infiammatori, ovvero alterazioni di tipo endocrino/metabolico quali cause del vomito. La valutazione neurologica (fundus oculi ed EEG) risultava nella
norma. L’esame Rx con pasto baritato dell’apparato digerente documentava, invece, marcata ectasia e orizzontalizzazione dello stomaco con associato ritardo
dello svuotamento gastrico [Figura 1]. L’esame endoscopico (eseguito per completezza diagnostica) non evidenziava alterazioni mucosali. Alla luce dell’esito
delle suddette indagini si poneva diagnosi di volvolo gastrico (GV) cronico di tipo
organo-assiale. Dopo counseling medico-chirurgico, si decideva di procedere ad
intervento chirurgico di gastropessi anteriore e fundica senza funduplicatio in
relazione ad alcuni fattori: età, ingravescenza dei sintomi, fallimento della terapia
conservativa e presenza di segnali d’allarme (failure to thrive).
SPUNTI DI RIFLESSIONE
Figura 1 Ectasia e orizzontalizzazione
La diagnosi di GV cronico risulta spesso complessa in relazione all’assoluta
gastrica all’Rx con pasto baritato
aspecificità della sintomatologia (1). L’indagine radiologica con pasto baritato è
diagnostica (2) poiché individua la rotazione dello stomaco lungo i suoi assi e la dilatazione gastrica conseguente al suo
rallentato svuotamento. Il GV può essere considerato nella diagnostica differenziale del vomito cronico non biliare in età
pediatrica (1). L’incidenza e la prevalenza risultano sottostimate, frequentemente è idiopatico, raramente associato ad altre
alterazioni anatomiche dell’apparato gastrointestinale. L’approccio è prevalentemente conservativo - specie nel primo anno
di vita - e la sintomatologia clinica tende ad autolimitarsi spontaneamente durante lo sviluppo (3). L’eventuale scelta chirurgica è dettata dalla presenza di segnali d’allarme (failure to thrive, ingravescenza e persistenza dei sintomi dopo il primo
anno di vita o dopo lo svezzamento). L’intervento chirurgico prevede l’esecuzione della gastropessi anteriore con o senza
funduplicatio (4). Questo caso clinico ribadisce la necessità di individualizzare la gestione clinica e diagnostica del bambino
con vomito cronico, ponendo particolare attenzione ai caratteri e al contenuto del vomito, oltre che alla presenza di segnali
d’allarme (arresto di crescita o failure to thrive).
Key Points
CORRESPONDING AUTHOR
FEDERICA PORCARO
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche
Università degli Studi di Messina
Tel. + 39 090 2212918
E-mail: [email protected]
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):39
•Il volvolo gastrico rappresenta una
delle cause di vomito non biliare in
etàpediatrica.
•L’incidenzaelaprevalenzadelvolvolo
gastricocronicoinetàpediatricanon
sononote.
•L’aspecificitàdelquadroclinicorende
spessoladiagnosidifficileetardiva.
•Laradiografiaconpastobaritatorappresental’indaginegoldstandard.
•Ilvolvolo gastricocronicorichiedeun
trattamento conservativo, sebbene
possa essere necessario l’intervento
chirurgico nelle formead espressività
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The worldwide prevalence of
obesity has increased
at an alarming rate not only
in adults but also in children.
Although there are other
contributing factors such
as reduced physical activity,
the increase in snacking
is considered a major factor.
One way to reduce the
amount of saturated fats
in the snacks and limit
saturated fat consumption
to less than 7% of total
daily calories is to limit
consumption of foods
containing “tropical oils”
(coconut, palm and palm
kernel oils).
Snack “tropicali”
per una obesità nazionale
Vito Leonardo Miniello, Angela Colasanto, Lucia Diaferio,
Laura Ficele, Elisabetta Gallo, Maria Serena Lieggi, Valentina Santoiemma
U.O. “Bruno Trambusti” Azienda Ospedaliero Universitaria “Consorziale” Policlinico-Giovanni XXIII di Bari
“Globesity”
Nel corso delle ultime due-tre decadi è stato registrato in tutto il mondo, e particolarmente in contesti socio-economici industrializzati, un drammatico incremento della prevalenza di obesità che non risparmia, tra l’altro, Paesi ad economia emergente (1). Per tale pandemia, lo statunitense Centre for Disease
Control and Prevention ha coniato il neologismo “globesity”.
Nell’ambito europeo il nostro Paese detiene il primato negativo sulla prevalenza di bambini in età scolare affetti da sovrappeso/obesità (36%).
I recentissimi risultati di “Okkio alla Salute” (2), la più vasta indagine epidemiologica realizzata in Italia (condotta su un campione rappresentativo di
45.590 bambini delle scuole primarie) prospettano uno scenario inquietante: il
23.6% dei soggetti esaminati risulta essere in sovrappeso mentre il 12.3% è affetto da obesità.
Indagine epidemiologica
Italiana su 49.590 bambini
delle scuole primarie
• 23.6% risulta essere
in sovrappeso
• 12.3% è affetto da obesità
Lo studio, che fa parte del Progetto OMS-Regione Europea “Childhood Obesity Surveillance Initiative”, ha evidenziato sensibili differenze territoriali, risultando più penalizzate le regioni centro-meridionali.
Solide evidenze scientifiche hanno dimostrato inconfutabilmente che l’obesità
rappresenta il principale fattore di rischio di patologie cronico-degenerative
quali ipertensione, dislipidemia, insulino-resistenza, diabete mellito tipo 2, steatosi epatica, apnea notturna, osteo-artropatie e malattia coronarica (3,4).
Tra l’altro, non va trascurato in tempi di congiuntura e spending review l’impatto socio-economico che tale patologia comporta; un recente rapporto
dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)
riferisce che la spesa sanitaria di un soggetto obeso risulta essere superiore del
25% rispetto a quella di un individuo normopeso.
Key Words
childhood obesity, snacking,
TV advertising, saturated fats, tropical oils
40
“Consigli per gli acquisti”
Ad oggi le strategie preventive nei confronti dell’epidemia di obesità, indirizzate soprattutto all’età scolare e adolescenziale, sono naufragate in risultati deludenti.
Risulta pertanto necessario adottare un nuovo approccio operativo e soprattutto culturale, finalizzato a consolidare l’educazione ad una sana alimentazione e
a corretti stili di vita che devono partire dall’ambito famigliare. In un editoriale
del 2003, Sue Kimm sottolinea la “trasmissione culturale di un comportamento
obesogeno dai genitori ai figli” (5), concetto ripreso nel Policy Statement dell’American Academy of Pediatrics in cui si conferma che l’obesità “corre in fami-
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glia”. Nelle società occidentali l’inattività fisica, l’affrancamento dal lavoro duro e il
desk-eating (assunzione di pasti davanti al televisore, computer, videogiochi) rappresentano i principali induttori di obesità. Il desk-eating incrementa le opportunità
di consumare bevande e snack ad alto densità energetica, proposti da messaggi pubblicitari che strategicamente imperversano in TV nella fascia oraria destinata ai piccoli (6).
La tutela del minore, sancita nel 1989 dalla Convenzione delle Nazioni Unite, non
deve prescindere dalla pressione pubblicitaria a cui sono sottoposti bambini e adolescenti. La presenza pervasiva della pubblicità è in grado di alterare le interazioni tra
bambino e genitori, plasmare valori e scelte in misura sensibilmente maggiore di
quanto faccia con un soggetto adulto. Il nuovo marketing manda messaggi più o meno latenti che tendono a sminuire l’autorevolezza genitoriale sulle scelte alimentari,
rendendo il bambino protagonista di una sorta di rozza indipendenza che lo autorizza a decidere cosa, come e quando mangiare (7).
Dai risultati di “Okkio alla salute” emerge una larga diffusione di scorretti comportamenti alimentari:
• l’11% dei bambini non fa colazione
• il 28% lo fa in maniera inadeguata
• l’82% consuma a scuola uno snack
qualitativamente non corretto
• il 41% fa un uso giornaliero
di bevande zuccherate
La pubblicità, intesa nelle sue varie articolazioni (cartellonistica, spot, televendite,
telepromozioni, sponsorizzazioni) invade il nostro quotidiano, ma la forma decisamente più insidiosa è quella distillata nell’ambito delle mura domestiche attraverso
la televisione.
Al fine di tutelare il minore, nel nostro Paese vige il “Codice di autoregolamentazione TV
e minori”, sottoscritto nel 2002 come atto di natura privata e normato nel 2004 dalla
Legge 112/04, successivamente confluita nel Testo Unico per la Radiotelevisione
(D.Lgs. 177/2005).
Per quanto riguarda la pubblicità il Codice prevede 3 livelli di protezione (generale,
rafforzata e specifica), in base alle fasce orarie di programmazione. La cosiddetta
protezione specifica si applica nella fascia oraria in cui si presume che l’ascolto da
parte del pubblico in età minore non sia supportato dalla presenza di un adulto (dalle 16.00 alle 19.00 e all’interno dei programmi direttamente rivolti ai minori). Purtroppo, in tale fascia sensibile il Codice vieta espressamente la pubblicità di:
• bevande superalcoliche e alcoliche…
• servizi telefonici a valore aggiunto…
• profilattici e contraccettivi…
ignorando paradossalmente l’affollamento pubblicitario dedicato a snack e bevande
zuccherate.
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Healt and Food Science
Si fa presto a dire “olio vegetale”
L’interesse riversato negli ultimi anni sulla scienza della nutrizione ha enfatizzato il
tam-tam informativo solo quantitativamente ma non qualitativamente. è indubbio
che le sirene mediatiche hanno avuto buon gioco per una carente educazione nutrizionistica. Un esempio paradigmatico è rappresentato dai cosiddetti “oli tropicali” (olio di
cocco, di palma e di palmisti o nocciolo del frutto di palma), vera
beffa della natura. Infatti, al contrario di altri oli vegetali (olio d’ooli tropicali
liva, oli di semi) quelli tropicali contengono un’elevata percentuale
di acidi grassi saturi (92% nell’olio di cocco, 82% nell’olio di pal% acidi grassi
oli
misti e 50% in quello di palma), prerogativa dei grassi di origine
saturi
animale (60% nel burro). Gli oli tropicali hanno ormai invaso il
• olio di cocco
92%
nostro quotidiano ma per una inaccettabile lacuna normativa
• olio di palmisti
82%
vengono “sdoganati” sull’etichetta del prodotto finito con il termi• olio di palma
50%
ne rassicurante di “oli vegetali” mentre altri grassi notoriamente
saturi e radicati nella nostra cultura territoriale (latte, burro e uova) hanno finito per essere demonizzati da riviste pseudoscientifiche e santoni della nutrizione.
Gli oli tropicali vengono utilizzati dall’industria alimentare e nella ristorazione in
quanto garantiscono larghi margini di guadagno, una seducente lunga vita di scaffale, resistenza alle elevate temperature della frittura e palatabilità anche dopo una
settimana di utilizzo intensivo.
L’olio di palma in particolare viene utilizzato
per la produzione di prodotti da forno
(fette biscottate, crackers, grissini, merendine),
patatine fritte, gelati e creme spalmabili.
L’olio di palma rappresenta l’olio commestibile più prodotto al mondo (circa 38 milioni
di tonnellate). La sua versatilità nella lavorazione industriale ed economicità (costa un
terzo meno dell’olio di soia) hanno favorito la rapida espansione della sua coltivazione in
Indonesia e Malesia che forniscono l’85% della produzione mondiale. Sul fronte della
sostenibilità ambientale il WWF ed altre Ong hanno però denunciato il devastante impatto ambientale che la produzione intensiva di palma da frutto comporta. Secondo le
Nazioni Unite, due terzi dell‘attuale espansione delle coltivazioni di palma in Indonesia
avviene sulla conversione di foreste pluviali con conseguente distruzione degli habitat
naturali e della biodiversità.
I grassi alimentari comportano una ricaduta clinico-metabolica differente. è stato recentemente dimostrato che l’acido palmitico (saturo), ma non l’oleico (monoinsaturo),
induce la produzione della interleuchina (IL)-1β, citochina proinfiammatoria con un
ruolo chiave nel determinismo di insulino resistenza e diabete di tipo 2 (8). La produzione deregolata o eccessiva di IL-1β è in grado di causare danno tissutale (isole pancreatiche) e patologie infiammatorie (sistema cardiovascolare). Questa ed altre evidenze confermano la stretta associazione tra grassi alimentari saturi, flogosi ed insulino
resistenza (9,10).
Al fine di fornire ai consumatori una corretta informazione sulla composizione dei
grassi espressa sulle etichette, la Commissione Europea ha recentemente pubblicato
(8 novembre 2012) il Regolamento sull’informazione al consumatore n. 1047/2012.
In realtà ci si è limitati a normare l’indicazione “a tasso ridotto di grassi saturi” senza l’obbligo di svelare la tipologia degli “oli vegetali”, rimandando la trasparenza al
14 dicembre 2014, data fatidica indicata dal nuovo Regolamento (UE), quando sarà
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Snack “tropicali” per una obesità nazionale
obbligatorio specificare sulle etichette dei prodotti alimentari il tipo di olio e di grasso utilizzati.
Ma i cugini d’oltralpe non sono rimasti ad aspettare… Dopo la vicenda della tassa sui
cosiddetti junk food, che aveva coinvolto i gruppi Coca Cola e Schweppes, la Commissione per gli affari sociali del Senato francese ha varato nel novembre 2012 un emendamento al prossimo progetto di legge finanziaria sul welfare, che punta ad incrementare sensibilmente (300%) la tassa sull’olio di palma, uno dei principali ingredienti
della crema spalmabile più amata nel mondo, affinché le industrie agroalimentari “sostituiscano quest’olio con nuove composizioni più rispettose della salute umana”.
Corresponding author
Vito Leonardo Miniello
U.O. “Bruno Trambusti” Azienda Ospedaliero
Universitaria “Consorziale”
Policlinico-Giovanni XXIII
Via Amendola, 207 - 70126 Bari
Tel. + 39 080 5594075
Fax + 39 080 5592287
E-mail: [email protected]
“The ‘obesogenic’
environment needs to be
tackled at the highest levels.
It is not adequate to focus
on the individual,
especially the child,
and expect them to exercise
self-control against a stream
of socially-endorsed stimuli
designed to encourage
the consumption of excess
food calories.”
House of Commons Health
Committee, London. Obesity:
third report of session 2003-04.
BIBLIOGRAFIA
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Ther 2013;35:18-32.
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childhood obesity. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2011;18:831-5.
5. Kimm SY. Nature versus nurture in childhood obesity: a familiar old conundrum. Am J Clin Nutr.
2003;78:1051-2.
6. Potvin Kent M, Dubois L, Wanless A. A nutritional comparison of foods and beverages marketed to children in two
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inflammation and insulin resistance. Nat Med 2011;17:179-88.
Key Points
evolutiva.
• La pandemia di obesità coinvolge l’età
i da
prevalenza di bambini in età scolare affett
sulla
eo
europ
to
prima
il
ne
• L’Italia detie
sovrappeso/obesità (36%).
frutto di
o, di palma e di palmisti o nocciolo del
• I cosiddetti “oli tropicali” (olio di cocc
di prodotti
ette
etich
sulle
ti
indica
sono
,
saturi
palma), particolarmente ricchi di acidi grassi
la rassicurante dicitura “oli vegetali”.
da forno, gelati e creme spalmabili con
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