Orario di lavoro e di servizio, turni, part
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Orario di lavoro e di servizio, turni, part
6) Orario di lavoro e di servizio, turni, part-time, mansioni, indennità varie Quesito 1 (n. 23/2011) 1) In materia di polizia locale, è possibile articolare l'orario di lavoro della polizia locale, dopo idonea concertazione in modo che sia modulato sulle esigenze dell'amministrazione ( per es. il turno è dalle 13,00 alle 19,00 , può l'amministrazione richiedere che le sei ore di servizio siano traslate in avanti , senza corresponsione dello straordinario ma solo della maggiorazione di legge se l'orario diventa notturno oppure se cade in un giorno festivo? Si può concedere un'indennità di disagio oppure il disagio è compreso nell'indennità di turno? E' possibile per l'Amministrazione prevedere di regola il recupero il giorno dopo se per esempio gli agenti o uno di essi lavori in giorno festivo per es. la domenica? E' possibile con delibera di giunta istituire l'orario di servizio, dalle 7 a mezzanotte su sei giorni settimanali, e poi con altra delibera di giunta, dopo concertazione con i sindacati, istituire l'orario di lavoro, che è di 36 ore settimanali organizzate in turni che si modulano sulle esigenze dell'Amministrazione? 2) Di recente con delibera di giunta è stato concesso il part-time ad un dipendente di categoria D. Nel comune di X ci sono sette dipendenti di cat. D nelle tre aree istituite su 15 dipendenti totali di cui un part-time a tempo determinato. Secondo l'art 15 del ccnl del 1995 i contingenti di personale da destinare a tempo parziale non possono superare il 25% della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascuna qualifica funzionale... ecc.. Se ho 7 cat D , 7 per 25% mi dà come risultato 1,75. Posso io concedere un secondo part-time per la persona di cat D che me l'ha chiesta? In altri termini 1,75 viene arrotondato per difetto o per eccesso? Nel caso in cui fosse possibile concedere il secondo part-time si potrebbe trasformare a tempo pieno il dipendente parttime a tempo determinato che è stato assunto con regolare concorso a tempo determinato per due anni? Risposta A) La disciplina concernente le turnazioni è contenuta nell’art. 22 del CCNL 14.9.2000. In particolare il comma 5 di detto articolo regola le modalità di corresponsione della relativa indennità che vale a compensare integralmente il disagio connesso alla particolare articolazione dell’orario turnato. Per questo motivo non si ritiene legittimo concedere anche l’indennità di disagio. I turni devono essere prestabiliti secondo quanto prevede il CCNL su base mensile e si ritiene che eventuali variazioni dai turni standard debbano essere anch’esse predefinite; ad esempio, si stabilisce in via preventiva che nelle giornate di consiglio comunale il turno sia 18-24 invece di 13-19; se legato ad eventi o avvenimenti particolari, anche per questi dovrebbe esserci una previsione specifica. Si ritiene quindi necessario che tali specificità siano previste anche in sede di accordo sindacale. In tale caso rimane quindi l’istituto del turno ed il dipendente che svolgerà orario notturno e/o festivo percepirà solo l’indennità normale di turno con la maggiorazione oraria del 30% o 50% prevista dal predetto art. 22. B) Nel caso in cui il lavoratore sia inserito in un turno che, nell’ambito delle 36 ore settimanali di lavoro dovute abbracci anche la domenica, con conseguente fruizione del riposo settimanale in altro giorno della settimana successiva, allo stesso, nel caso di lavoro domenicale deve essere corrisposto solo il compenso per il turno festivo ex art. 22 c. 5, secondo alinea, sopra richiamato. Il giorno del riposo settimanale diverso dalla domenica può essere preventivamente stabilito dall’Amministrazione nell’ambito della concertazione dell’orario di servizio, che verrà definito con atto dirigenziale. C) L’istituzione di turni giornalieri di lavoro è lasciata ala facoltà degli enti in relazione alle proprie esigenze organizzative o di servizio, pertanto è di competenza dei Dirigenti e/o Responsabili dei Servizi senza particolari vincoli, se si eccettua la contrattazione decentrata sui criteri generali per le politiche dell’orario di lavoro (con delibera giuntale) e la concertazione sull’articolazione dell’orario di servizio. D) L’art. 4, comma 2, del CCNL 14.9.2000 prevede che il limite del 25% della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascun categoria è arrotondato per eccesso onde arrivare comunque all’unità. Pertanto il vostro risultato dell’1,75 è arrotondato a 2 unità. E) Le prestazioni contrattuali relative alla trasformazione di rapporti a part-time in rapporti a tempo pieno si riferiscono esclusivamente a posti di ruolo. Nulla è detto per quanto riguarda eventuali tempi determinati. Si ricorda che in generale la trasformazione a tempo pieno o l’aumento della percentuale di part-time può comunque avvenire solo su richiesta del lavoratore (fatta salva la revisione dei part-time di ruolo già concessi, per effetto delle ultime riforme). D’altro canto, l’Amministrazione nel bandire il concorso aveva collegato l’assunzione a tempo determinato a una esigenza temporanea ed eccezionale, che si valutava soddisfabile con un part-time. Prudenzialmente si ritiene quindi che ulteriori e diverse necessità temporanee ed eccezionali debbano essere fronteggiate con ulteriori selezioni/assunzioni. Quesito 2 (n. 20/2010) Chiedo informazioni circa una richiesta di part-time orizzontale (dal lunedì al venerdì), per 30 ore settimanali anziché 36, di un'educatrice asilo nido comunale, qualifica educatrice ed inquadramento C. E' possibile, siccome più funzionale per il servizio, chiedere alla dipendente di effettuare un orario spezzato? Risposta In relazione al quesito posto, si prospetta la seguente soluzione. Un problema di grande rilevanza che pone la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale è quello della collocazione e articolazione oraria della prestazione. Nel caso in cui l’ente non abbia individuato i posti da destinare a tempo parziale nel rispetto dei criteri definiti dall’art. 4, comma 2, del CCNL 14.9.2000 e non abbia adottato regolamenti interni che disciplinano le procedure per la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il principio generale è che le parti devono raggiungere un accordo (art. 5, comma 3, del CCNL 14.9.2000). Nel ricercare tale accordo il lavoratore ed il dirigente dovranno trattare secondo correttezza e buona fede, in quanto sarebbero censurabili dal giudice del lavoro comportamenti irragionevoli delle parti. La funzionalità del servizio è quindi sicuramente un elemento che dovrà trovare spazio nell’ambito di un accordo che, come detto, non vede però la predeterminazione di una regola fissa per la collocazione dell’orario, salvo che l’ente abbia già preventivamente adottato criteri e orari applicabili a tutte le richieste di part-time. Si ricorda comunque che in materia di concessione del part-time trova applicazione l’art. 73 della legge n. 133/2008 che ha modificato l’art. 1, comma 58, della legge n. 662/1996, assegnando la discrezionalità all’amministrazione in base alle esigenze organizzative. Infatti il nuovo iter prevede che a richiesta del dipendente, entro i limiti percentuali previsti, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale può essere concessa dall’amministrazione. La trasformazione, quindi, del rapporto di lavoro a tempo parziale non avviene più in maniera automatica ma viene concessa discrezionalmente dall’amministrazione, entro sessanta giorni dalla domanda, coerentemente alle esigenze organizzative di funzionalità dei servizi. Pertanto l’amministrazione può respingere la domanda quando la trasformazione del rapporto di lavoro comporta “pregiudizio” alla sua funzionalità. Si ricorda, altresì, che ai sensi dell’art. 4, comma 13, del CCNL 14.9.2000 il rapporto di lavoro a tempo parziale viene costituito mediante sottoscrizione di apposito contratto individuale di lavoro, contenente l’indicazione della durata della prestazione lavorativa nonché della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno e del relativo trattamento economico. Quesito 3 (n. 29/2011) Nel comune di X ci sono due agenti di polizia locale che svolgono i loro turni articolati su trentasei ore settimanali per sei giorni compreso il sabato. Attualmente siamo in concertazione con i sindacati per il cambiamento dell'orario di lavoro dei due agenti che verrà articolato sempre su trentasei ore settimanali, con turni non più fissi come è stato fino ad ora, ma con turni modulati sulle esigenze del comune. Per esempio in occasione del consiglio comunale il turno partirà dalle ore 18,00 alle ore 24,00. Quando ci sarà l'esigenza di controllare i parchi e le aree a verde del paese il turno pomeridiano non sarà fisso dalle ore 12,30 alle ore 18,30, come è stato finora, ma dalle 14,00 alle 20,00 e così via. La domanda è la seguente: i turni così articolati su sei giorni settimanali ammontano a trentasei ore settimanali o a trentacinque ore settimanali? Chiedo gentilmente un chiarimento su quanto chiesto. faccio presente che i turni finora sono stati sempre : ore 7,30- 13,30 e 12,30-18,30 , mentre d'ora in poi i turni saranno più flessibili prevedendo , dal mese di aprile al mese di settembre anche turni notturni cioè fino alle 24,00. Risposta L’art. 22, comma 1, del CCNL 1.4.1999 prevede l’applicazione al personale adibito a regimi di orario articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimanale, della riduzione di orario fino a 35 ore medie settimanali. Il contratto, pertanto, non sembra preludere ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione rispetto all’adozione di tale regime orario, indipendentemente dal tipo di turnazione concordata; lascia una scelta solo in ordine alle modalità di fronteggiare i maggiori oneri derivanti dalla applicazione dell’orario ridotto. In particolare l’ente li può fronteggiare o con proporzionali riduzioni del lavoro straordinario o con stabili modifiche dell’assetto organizzativo. Qualora si intenda organizzare il servizio della Polizia su 36 ore settimanali, è possibile prevedere che per ogni settimana di servizio a 36 ore ogni dipendente maturi un credito di un’ora che può essere accumulato dando luogo a successive forme di riposo. Quesito 4 (n. 86/2010) In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale non in occasione di consultazioni elettorali ma ad es. in caso di calamità naturali (neve): - tutte le ore fatte vanno recuperate indipendentemente dalla durata della giornata lavorativa ordinaria? - entro quale termine? - Il recupero può essere frazionato in più volte? - sono retribuite con quale percentuale? Risposta In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale per fronteggiare situazioni di lavoro imprevedibili ed eccezionali (art. 38 CCNL 14.9.2000), quali quelle da voi indicate (neve), se chieste a pagamento: viene riconosciuto lo straordinario maggiorato come segue: - 30% per il lavoro straordinario prestato nei giorni festivi o in orario notturno (dalle ore 22 alle ore 6 del giorno successivo); - 50% per il lavoro straordinario prestato in orario notturno-festivo Se invece vengono chieste a recupero: possono essere recuperate tutte le ore effettuate, anche se di durata superiore alla giornata lavorativa ordinaria, compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio, anche frazionando il recupero, concordandolo con il responsabile del servizio. Contrattualmente non c’è un termine massimo per il recupero, gli enti possono stabilirlo autonomamente, in via preventiva, per uniformare il trattamento dei dipendenti. Fattispecie diversa è invece quella disciplinata dall'art 24 del CCNL 14.9.2000, integrato dall'art. 14 CCNL 5.10.2001, che al comma 1 regola il caso di prestazione lavorativa svolta nel giorno di riposo settimanale per particolari esigenze di servizio; si pensi ad esempio all'apertura, la domenica, di una mostra che richiede la presenza del personale, normalmente in riposo settimanale. In questo caso, le esigenze di servizio, seppure particolari, sono programmate, e si applica perciò il sopra citato articolo che prevede, per ogni ora di lavoro prestata, sia il compenso aggiuntivo pari al 50% della retribuzione oraria sia il riposo compensativo da fruire di regola (quindi non obbligatoriamente, ma di norma) entro 15 giorni, e comunque non oltre il bimestre successivo. Quesito 5 (n. 58/2011) In data 30 giugno 1998 un istruttore direttivo a tempo indeterminato ha chiesto (ai sensi dell’art. 1 comma 58 L. 662/1996) e ottenuto la trasformazione del rapporto di lavoro in tempo parziale 18/36. Visto il comma 14 art. 4 CCNL comparto Regioni Autonomie Locali stipulato il 14.09.2000 (code contrattuali), allo scadere del biennio il dipendente ha diritto di tornare a tempo pieno anche in soprannumero o, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico; preso atto che dopo la scadenza del biennio, luglio 2000, il dipendente in questione non si è avvalso di detto diritto; nel corso degli anni successivi questa Amministrazione ha variato la dotazione organica, in particolare ha trasformato il tempo pieno del suddetto istruttore direttivo in tempo parziale 18/36; solo ora in data ottobre 2011 il dipendente ha chiesto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno. Questa a.c. intende non accogliere tale richiesta per i seguenti motivi: preso atto che detta richiesta non può essere accolta essendo scaduti i termini contrattuali; il posto in dotazione organica è stato trasformato in tempo parziale; visti gli obblighi imposti dalla normativa sul tetto della spesa personale in particolare art. 1 comma 562 L.296/2006 nonché il parametro tra spese personale spese correnti di cui all’art. 14 comma D.L. 78/10. E’ corretta tale interpretazione, anche alla luce della delibera n.2/2009/Par Corte dei Conti Veneto? Risposta - la richiesta del dipendente assunto a tempo pieno, che ha trasformato il rapporto a tempo parziale, di ritornare a tempo pieno, può essere esercitata alla scadenza del biennio: con ciò si intende però che il dipendente deve lasciar trascorrere almeno un biennio dalla trasformazione ma, decorso tale termine, può in qualunque momento esercitare il proprio diritto. Si tratta quindi di un termine iniziale e non di un termine finale. La natura del termine dovrebbe quindi indurre gli enti a mantenere prudenzialmente invariata (e quindi a tempo pieno) la previsione di spesa per il suddetto personale, proprio perché soggetta a possibile riespansione nel caso di rientro dal tempo parziale. La natura “minima” del termine biennale è confermata anche dal parere ARAN n. RAL 307 che si allega in calce alla presente. - Il CCNL 14.9.2000, art. 4, prevede che il ritorno a tempo pieno, decorsi i due anni dalla trasformazione, possa essere esercitato dal dipendente anche se “in soprannumero”, mentre la disponibilità del posto in organico è circoscritta solamente all’ipotesi di richiesta di rientro a tempo pieno prima della scadenza dei 2 anni. Quindi, nel caso in esame, la previsione del CCNL supera il motivo ostativo costituito dalla trasformazione del posto. - La richiesta di rientro a tempo pieno è qualificata dal CCNL come “diritto” del lavoratore, condizionata solo dal termine biennale; la delibera da voi citata esplicitamente esclude che il diritto individuale possa essere limitato dalle norma sul contenimento della spesa, tenuto conto che, come si diceva, una corretta previsione della spesa potenziale per il dipendente avrebbe dovuto tener conto dell’importo relativo al tempo pieno, proprio per non dover subire conseguenze negative inaspettate nel caso di rientro dal tempo parziale. - Il divieto al rientro potrebbe essere sancito solo da una specifica disposizione contraria, che però non si rinviene attualmente nell’ordinamento; al contrario, si è recentemente introdotta la sola possibilità di negare la trasformazione da tempo pieno a part-time (che prima era un diritto differibile al massimo di 6 mesi) in occasione della modifica del D.L.112/08 alla L. 662/96. - Poiché, infine, il dipendente era stato assunto in origine a tempo pieno, non si possono neppure, a nostro parere, opporre le limitazioni alle assunzioni attualmente vigenti, che invece dovrebbero essere tenute in conto qualora il dipendente fosse stato assunto a tempo parziale; in questo caso infatti la trasformazione del rapporto sarebbe equivalsa a nuova assunzione, con tutte le conseguenze del caso. Per questi motivi la richiesta del dipendente appare legittima. Quesito n. 6 (n. 63/2011) In Comune sono presenti due agenti di Polizia Locale cat C che, a turno durante i consigli comunali si occupano di curare la registrazione audio della seduta consiliare, si occupano dell'approvvigionamento di acqua per i consiglieri e curano l'apertura e chiusura del comune oltre a fare tutte le fotocopie per i consiglieri che durante la seduta chiedono copia di qualche documento. Uno dei due agenti si rifiuta di occuparsi di tali incombenze ritenendole al di fuori del cd mansionario e non ascrivibili al profilo di appartenenza ( cat C). Si precisa però che l'art. X del vigente regolamento di polizia locale del comune così recita: " Oltre ai compiti ed alle funzioni derivantigli da leggi e regolamenti in relazione alla qualifica rivestita,rientrano tra i compiti particolari degli operatori di polizia municipale: comma 21: disimpegnare tutti gli altri servizi che nell'interesse del comune sono loro ordinati". Alla luce del citato comma l'Assessore x , in apertura di seduta consiliare, invitava l'agente di polizia locale a procedere alla registrazione della seduta ricevendo come risposta dall'agente un atteggiamento di diniego e di rifiuto ad adempiere a quanto richiestogli e, inoltre a chiusura di seduta si rifiutava di occuparsi della chiusura del comune. A seguito di quanto sopra l'assessore al personale ha investito della questione la commissione di disciplina del comune. Si chiede di sapere se è legittimo procedere con un procedimento disciplinare e quindi chiede di sapere se le incombenze chieste all'agente in questione si possono richiedere o, se , non si possono richiedere e dunque il procedimento disciplinare è illegittimo. Risposta Nel caso prospettato, la norma di riferimento è l’art. 52 comma 1 del d.lgs. 165/01, secondo il quale “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.” Nel caso di specie, è necessario preliminarmente valutare se le mansioni richieste al lavoratore siano equivalenti professionalmente a quelle proprie del suo inquadramento. A questo proposito, la Cassazione (sentenze n.12121/1995; n.7040/1998) ha più volte affermato che, perché si possa parlare di equivalenza, non si deve far riferimento esclusivamente all’appartenenza astratta alla stessa categoria, ma è necessario che le mansioni siano aderenti alla competenza tecnico-professionale del dipendente; ne consegue che la questione sarà sempre da esaminare in concreto, in relazione a contenuto, natura, modalità di svolgimento delle stesse. Fatta tale premessa, in riferimento alla presente fattispecie, gli elementi prospettati inducono a ritenere che non si possa parlare di mansioni equivalenti. In merito alla mancata equivalenza, è implicito, in via generale, il divieto di modificare in peius le mansioni rispetto alla professionalità per cui il dipendente è assunto o che ha successivamente acquisito, fatte salve le deroghe esplicite di legge, nel caso in cui il demansionamento sia l’unica alternativa al licenziamento o nel caso di inidoneità a svolgere la mansione originaria per inabilità sopravvenuta. Al di fuori di tali ipotesi, il lavoratore può chiedere il risarcimento del danno purché provi l’avvenuto demansionamento illegittimo. A questi principi generali si affianca un’ampia elaborazione giurisprudenziale, in base alla quale, pur non essendo espressamente previsto da alcuna norma, sia possibile richiedere al lavoratore lo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del profilo posseduto, purché le stesse abbiano carattere marginale e strumentale/accessorio rispetto all’attività principale svolta dal lavoratore e la richiesta non sia pretestuosa o lesiva della dignità del lavoratore. Tale interpretazione si basa sul generale obbligo di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni nonché sul dovere di collaborazione che incombe sul lavoratore subordinato (art. 2094 cod.civ.), oltre che sui canoni di buon andamento, efficacia ed efficienza cui deve essere improntata l’attività delle pubbliche amministrazioni. In questo senso depongono numerose sentenze della Cassazione; in particolare la n. 2045 del 25.2.1998 specifica che, per ragioni di efficienza ed economia del lavoro o di sicurezza, possano essere affidate mansioni inferiori in modo incidentale e marginale; la sentenza n. 6714 del 2.5.2003 ritiene legittima la richiesta di svolgimento di mansioni di livello inferiore purché marginali ed accessorie rispetto alla competenza principale e purché non rientrino nella competenza di altri lavoratori di professionalità meno elevata; la Cassazione, in questa sentenza, ha anche affermato non essere rilevante la circostanza per cui il legittimo comportamento del datore di lavoro non avesse carattere straordinario ma costituisse una prassi aziendale, come appunto pare nel caso di specie allorché si riunisce il Consiglio comunale. Secondo le sentenze n.7821 dell’8.6.2001 2 n. 11045 del 10.6.2004, una volta che l’attività prevalente e assorbente del lavoratore corrisponde alla sua qualifica, è legittima l’adibizione a mansioni inferiori rispetto alla prima, purché accessorie alla stessa e svolte con carattere marginale per motivate esigenze aziendali. Ancora, la sentenza 17774 dell’agosto 2006 ribadisce l’orientamento consolidato, in base al quale l’attività prevalente e assorbente svolta dal lavoratore deve essere quella della categoria di appartenenza ma, per ragioni di economia, efficienza o sicurezza possono essere richieste, incidentalmente e marginalmente, attività di livello inferiore, ed il lavoratore è tenuto ad espletarle. Lo stesso orientamento è confermato dall’ARAN nel parere RAL 117, che sottolinea la necessità che i compiti inferiori affidati siano strumentali rispetto alle mansioni prevalenti. La norma regolamentare del Comune, anche se di tenore molto generale, quale norma di chiusura cui frequentemente si ricorre, può essere un ulteriore elemento di forza cui fare riferimento anche se comunque deve necessariamente raccordarsi con l’art. 52 del d.lgs. 165/01 citato in apertura. Nel caso segnalato, è quindi fondamentale capire se le mansioni svolte in aggiunta a quelle proprie della polizia municipale, se, come appare, ritenute di livello inferiore rispetto alle prestazioni tipiche della cat. C, siano svolte in maniera marginale e se possano considerarsi accessorie rispetto a quelle prevalenti e tipiche del profilo. Altro elemento di cui tener conto è la presenza o meno di personale di categoria inferiore competente a svolgere le funzioni in questione. A questo proposito, non si può prescindere da un esame concreto della situazione di fatto in cui tale fattispecie si presenta con particolare riferimento alla condizione organizzativa e gestionale in cui si trova un Comune di soli 3.900 abitanti, con un numero estremamente ridotto di dipendenti, la cui assunzione o sostituzione si rivela limitata e problematica, che devono far fronte a compiti numerosi e variegati. E’ necessario rammentare che le motivate esigenze aziendali costituiscono un valido punto di forza per ammettere, nei limiti più sopra indicati, lo svolgimento di mansioni inferiori in modo marginale. A quanto è dato comprendere, sulla base di una sintetica illustrazione dei fatti, parrebbero potersi rinvenire nella situazione di fatto descritta le caratteristiche della marginalità, dell’incidentalità e dell’accessorietà nelle prestazioni richieste, rispetto alle funzioni prevalenti del lavoratore, che paiono occupare interamente il tempo lavorativo dei vigili, fatte salve le eccezioni oggetto della presente disamina. Nel caso si ritengano presenti le condizioni sopra indicate, allora il lavoratore potrebbe essere passibile di procedimento disciplinare, in ipotesi per inosservanza delle disposizioni di servizio. Si ricorda infine che in base a una giurisprudenza consolidata, l’onere della prova in ordine al mancato demansionamento e alla legittimità del proprio operato spetta al datore di lavoro (Cass. N. 4766 del 6.3.2006), mentre è in capo al lavoratore provare in giudizio il danno derivante dalla dequalificazione professionale/demansionamento, non essendo automaticamente riconducibile a tale situazione, quand’anche fosse riconosciuta, .una situazione di pregiudizio per il lavoratore tale da portare al risarcimento di un danno. Quesito 7 (n. 15/2010) Indennità di rischio e disagio: devono essere pagate in base alla presenza in servizio? Risposta In relazione al quesito avanzato, si riportano di seguito alcune indicazioni tratte da orientamenti dottrinali e dall’esame di alcuni contratti collettivi decentrati. INDENNITA’ DI DISAGIO (CCNL EE. LL. 1.4.1999 art. 17) La definizione dei criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità e l’ammontare dell’indennità stessa sono di competenza della contrattazione decentrata. L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento. L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva presenza in servizio e deve essere, pertanto, proporzionata in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale. In proposito si richiamano le indicazioni fornite in merito dall’Aran: “Compensi per attività disagiate: occorre, in primo luogo, individuare con chiarezza i contenuti delle prestazioni lavorative che possono essere causa di disagio per i lavoratori interessati, è evidente che il disagio è una condizione del tutto peculiare e non può coincidere con le ordinarie prestazioni di lavoro (come i rientri pomeridiani) e non può riguardare tutti (o quasi) i dipendenti dell’ente; non è corretto neanche assegnare il compenso per disagio a specifiche prestazioni che sono già oggetto di specifici compensi definiti dal CCNL (come il turno o la reperibilità); occorre, poi, determinare l’importo del compenso che deve essere corrisposto ai lavoratori interessati per il periodo di effettivo svolgimento delle prestazioni disagiate (sono escluse le assenze); il relativo valore deve essere fissato con criteri ragionevolezza, tenendo conto dei valori già corrisposti per condizioni analoghe: sarebbe contestabile, infatti, se venisse pagato un compenso per disagio superiore a quello del turno (che rappresenta la condizione più tipica e più rilevante del disagio)”. Compensi per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio effettivamente presenti nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il pagamento del compenso; si deve trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che siano idonei a mettere a rischio la salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere correlato al possesso di un profilo professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è ragionevole ipotizzare che tutti i lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di rischio a prescindere dalle modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa; il rischio, in sintesi, è una condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di categoria e profilo diversi ma può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo.” INDENNITA’ DI RISCHIO (CCNL EE. LL. 14.9.2000 art. 37 e CCNL 22.01.2004 art. 41) L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento. I criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità sono definiti dalla contrattazione decentrata. L’ammontare dell’indennità è individuato dall’art. 41 del CCNL 22/01/2004. L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva esposizione al rischio e deve essere proporzionalmente ridotta in caso di non esposizione. Le direttive dell’Aran di cui sopra si sono espresse anche in relazione alla presente indennità: “Compensi per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio effettivamente presenti nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il pagamento del compenso; si deve trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che siano idonei a mettere a rischio la salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere correlato al possesso di un profilo professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è ragionevole ipotizzare che tutti i lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di rischio a prescindere dalle modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa; il rischio, in sintesi, è una condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di categoria e profilo diversi ma può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo”. Per quanto concerne il rapporto tra indennità di rischio e quella per attività disagiate, la relativa cumulabilità deve intendersi esclusa in quanto la “condizione di rischio” può essere considerata come fattispecie tipica della più ampia “condizione di disagio”, come affermato anche dall’Aran. Da quanto sopra risulta evidente che i principi che sono alla base del disagio si applicano anche al rischio. Quesito 8 (n. 55/2010) Un agente di polizia municipale cui mensilmente viene retribuita l'indennità di vigilanza di € 1.110,00= annui, gode del congedo facoltativo per maternità. L'indennità deve comunque venire pagata a questo agente ? Risposta L’indennità di vigilanza riconosciuta all’agente di polizia locale è considerata una voce di trattamento economico fisso del dipendente. Atteso che tale indennità è legata al profilo professionale ricoperto dal dipendente, si ritiene che, anche nel caso di assenza per congedo facoltativo per maternità, l’indennità in oggetto debba comunque essere corrisposta. Quesito 9 (n. 85/2010) Si chiede se gli incarichi di progettazione per un importo superiore a €. 5.000,00.= siano da inviare alla corte dei conti. Risposta In relazione al quesito presentato si osserva in via preliminare che negli ultimi tempi si sono succeduti numerosi – e non sempre ben coordinati – interventi da parte del legislatore, tesi principalmente a limitare l’uso dello strumento degli incarichi, per ragioni di contenimento della spesa pubblica. Sinteticamente si ricordano: - l’art. 1, co. 127 della L. 662/1996; - l’art. 1 commi 11 e 42 della L. 311/2004; - l’art. 1, co. 173 della L. 266/2005 - Legge Finanziaria n. 244/2007 per il 2008. Vanno altresì ricordati l’art. 7 del D.Lgs. 165/2001 relativo all’affidamento di incarichi professionali riferibili ad attività consulenziali, nonché l’art. 91 del D.Lgs. 163/2006 inerente ad attività di progettazione e di direzione lavori. L’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), attualmente vigente, dispone un obbligo per gli enti locali (di cui all’art. 1, co. 2 del D.Lgs. 165/2001) di trasmissione alla competente sezione della Corte dei conti degli “atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro relativi ad incarichi di studio, di consulenza, alle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza ai fini dell’esercizio del controllo successivo sulla gestione”.). Tale obbligo vale anche per i Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti. Al riguardo va ricordato che la Corte dei conti, sez. riunite in sede di controllo, con deliberazione n. 6 del 15 febbraio 2005 ha approvato le linee di indirizzo e i criteri interpretativi sulle disposizioni della Legge Finanziaria per il 2005 in materia di affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza. La Corte ha precisato che gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione, mentre le consulenze riguardano le richieste di pareri ad esperti; gli incarichi di studio presuppongono la consegna di una relazione scritta finale, nella quale sono illustrati i risultati e le soluzioni proposte; il contenuto di tali incarichi coincide con il contratto di prestazione d’opera intellettuale. La Corte, nel caso specifico, esclude dall’ambito di applicazione degli artt. 11 e 42 della Legge Finanziaria 2005, e cioè dall’obbligo di comunicazione, le prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge; la rappresentanza in giudizio e il patrocinio dell’amministrazione; gli appalti e le esternalizzazioni di servizi necessari per raggiungere gli scopi dell’amministrazione. Con deliberazione n. 4 del 17 febbraio 2006, la Corte dei Conti, sez. Autonomie, nel dettare linee giuda per l’attuazione dell’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 nei confronti di Regioni ed Enti Locali, precisa che il rinvio del comma 173 ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 è limitato alla sola individuazione della tipologia di atti da trasmettere alla Corte. Tale deliberazione sembra mantenere, pertanto, la distinzione (già enucleata dalla stessa Corte dei Conti nella delibera n. 6 del 2005) tra incarichi “operativi”, tra cui rientrano quelli di progettazione, ed incarichi finalizzati a sostenere i processi decisionali delle Amministrazioni, con presumibile mantenimento dell’esclusione dei primi dall’applicazione delle norme della L. 266/05. Successivamente al parere reso dalla Corte dei Conti, sez. Autonomie, le sezioni regionali non si sono espresse in modo univoco. - La Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Toscana, con deliberazione n. 301/2009, ha affermato che “la Sezione ritiene che le comunicazioni degli atti di spesa di cui al richiamato comma 173 debbono essere acquisite ed utilizzate nell’ambito della verifica della gestione finanziaria di ciascun ente, come ulteriore elemento di analisi della spesa corrente, e dell’impatto di atti di spesa sugli equilibri di bilancio, intendendo escluse le spese d’investimento e, quindi, anche quelle per gli incarichi in materia di lavori pubblici”. Dello stesso avviso è la Corte dei conti dell’Abruzzo (parere 262/08). - Di orientamento opposto è la Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per l’Emilia Romagna, che, con deliberazione n. 7/2009, ha specificato che “tenuto conto che le norme attualmente in vigore non contemplano alcuna esclusione dall’obbligo di invio in ragione del settore di attività al quale si riferisce l’incarico conferito, è da ritenere che anche gli incarichi inerenti ai servizi di architettura e di ingegneria (progettazione, direzione lavori, collaudi…) di cui al D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) di importo superiore a cinquemila euro debbano essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti”. Dello stesso avviso è la Sezione regionale di controllo per il Piemonte (cfr. pareri n. 3/2007 e n. 3/2008). Va inoltre ricordato che la circolare n. 23 del14/06/2005 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – avente ad oggetto la deliberazione n. 6/05 della Corte dei conti sopra richiamata, precisa che “sono state escluse dal campo di applicazione delle disposizioni contenute nel comma 11 (della legge Finanziaria 2005) le prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge, la rappresentanza e la difesa dell’amministrazione in giudizio, le consulenze facenti parte integrante di gare di appalto di lavori pubblici e le “esternalizzazioni” di servizi per raggiungere gli scopi dell’amministrazione”. La Ragioneria Generale dello Stato precisa, inoltre, che “i contratti rientranti nelle previsioni del comma 11 della L.F. 2005 sono quelli aventi ad oggetto: attività di studio; attività di ricerca; attività di consulenza estrinsecatesi in pareri, valutazioni, espressione di giudizi, supporti specialistici. Non vanno, conseguentemente, trasmessi alla Corte dei conti i contratti di collaborazione aventi oggetto diverso dai sopra elencati”. Con ulteriore circolare n. 7 del 10.02.2006, la Ragioneria Generale dello Stato conferma quanto già espresso nelle precedente circolare sopra richiamata, evidenziando che i commi 9 e10 della L.F. 2006 si riferiscono a spese per studi e consulenze, spese di rappresentanza, pubblicità, mostre, convegni, mentre gli articoli 56 e 57 si riferiscono esclusivamente agli incarichi aventi ad oggetto attività di consulenza. In dottrina si ricorda la posizione di Luigi Oliveri, il quale, pur condividendo la tesi esposta dalla Sez. Autonomie e rilevando la diversa disciplina degli incarichi contenuta nel D.Lgs. 165/2001 e nel D.Lgs. 163/2006, ritiene utile, per mere ragioni di prudenza, che laddove aggiudicatari delle prestazioni di servizi risultino persone fisiche, si provveda comunque a trasmettere il carteggio alle sezioni di controllo, se l’importo del contratto è superiore ai 5.000 euro. Alla luce - della pronuncia della Corte dei Conti, sez. Autonomie, - degli orientamenti non univoci delle sezioni regionali della Corte dei conti e - delle circolari della Ragioneria Generale dello Stato, si ritiene, a parere dello scrivente, si possa sostenere che gli incarichi di servizi di architettura e ingegneria non sono sottoposti all’obbligo della comunicazione, senza peraltro voler escludere comportamenti improntati alla massima prudenza se ritenuti preferibili dalle singole amministrazioni. Quesito 10 (n.59/2011) Sottoponiamo i seguenti quesiti: - relativamente a personale a tempo indeterminato: 1) alla luce della sentenza della Corte dei Conti Sezioni Unite n. 51 del 04/10/2011 relativa alla “possibilità di remunerare prestazioni professionali per la progettazione di opere pubbliche ……”, è possibile estendere quota di tale incentivo anche al RUP e collaboratori anche se la progettazione dell’opera è stata eseguita da un professionista esterno? 2) le somme riguardanti tali incentivi, inseriti alla lettera “K” del fondo incentivante, sono escluse dal limite dell’anno 2010 (comma 2 bis art. 9 D.L. 78/2010)? - relativamente a personale a tempo determinato assunto con incarico ai sensi dell’art. 110: 3) è possibile incaricarlo della progettazione interna di un’opera e liquidare il relativo incentivo “Merloni”? 4) gli spetta quota parte dell’incentivo “Merloni” per il RUP anche senza progettazione interna ma con professionista esterno? Risposta 1) Si ritiene che la percentuale di incentivo determinata in base al regolamento del Comune vada riconosciuta al RUP e agli eventuali collaboratori anche nel caso di progettazione affidata all'esterno, se ed in quanto egli svolga comunque i propri compiti di coordinamento e controllo sull'attività di progettazione, in quanto si tratta di incarichi diversi. Ciò pare confermato dall'art. 92 comma 5 del D.lgs. 163/06,secondo il quale: • le quote di incentivo corrispondenti a prestazione svolte all'esterno sono da considerarsi economie • la ripartizione degli incentivi tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere sulla base dell'accertamento dell'attività svolta dai dipendenti ad opera del dirigente competente; si ritiene per questo motivo che le quote di prestazioni che continuano ad essere svolte all'interno possano essere remunerate con la quota di incentivo fissata dal regolamento interno per quelle prestazioni. 2) le ultime pronunce delle sezioni regionali della Corte dei conti (Liguria n. 16/2011, Lombardia n. 435/2011, Piemonte 57/2011), ed in particolare la pronuncia delle sezioni riunite n. 51 del 4.10.2011 hanno affermato l'esclusione dei compensi in argomento dal blocco disposto dall'art.9 comma 2 del D.L. 78/2010 in quanto “...le sole risorse di alimentazione dei fondi da ritenere non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 9, comma 2-bis, sono solo quelle destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso all’esterno dell’amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti. Pertanto in tali ipotesi dette risorse alimentano il fondo in senso solo figurativo dato che esse non sono poi destinate a finanziare gli incentivi spettanti alla generalità del personale dell’amministrazione pubblica. 4.2. Detta caratteristica ricorre per quelle risorse finalizzate a incentivare prestazioni poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, in quanto in tal caso si tratta all’evidenza di risorse correlate allo svolgimento di prestazioni professionali specialistiche offerte da personale qualificato in servizio presso l’amministrazione pubblica; peraltro, laddove le amministrazioni pubbliche non disponessero di personale interno qualificato, dovrebbero ricorrere al mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni con possibili aggravi di costi per il bilancio dell’ente interessato. Deve aggiungersi, con specifico riferimento a tale tipologia di prestazione professionale, che essa afferisca ad attività sostanzialmente finalizzata ad investimenti. 4.3. Caratteristiche analoghe presentano le risorse che affluiscono al fondo per remunerare le prestazioni professionali dell’avvocatura interna (comunale/provinciale), in quanto, anche in questo caso, si tratta di prestazioni professionali tipiche la cui provvista all’esterno potrebbe comportare aggravi di spesa a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche.” La Corte suggerisce altresì che: “4.6. Alla luce di quanto precede deve aggiungersi che, ai fini del calcolo del tetto di spesa cui fa riferimento il vincolo di cui al citato art. 9, comma 2-bis, e cioè per stabilire se l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale non superi il corrispondente importo dell’anno 2010, occorrerà sterilizzare, non includendole nel computo dell’importo 2010, le risorse destinate a dette finalità, vale a dire progettazione interna e prestazioni professionali dell’avvocatura interna; con tale accortezza sarà così possibile evitare effetti distorsivi nell’applicazione della norma, come ad esempio nel caso in cui un ente, nel 2010, abbia destinato consistenti risorse a dette finalità, con ciò elevando in modo improprio il tetto delle risorse complessive destinabili alla contrattazione integrativa. 3) l'art. 91 comma 8 del d.lgs. 163/06 (già art. co. 2 quater della l. 109/94) prevede che: “E' vietato l'affidamento di attività di progettazione,coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste dal presente codice.” Tale previsione, come anche specificato dall'Autorità di Vigilanza in diversi pareri (deliberazioni nn. R79/2000, 123/2001, 169/2001, 158/2002, 25/2005) non va intesa quale contrasto assoluto tra attività di progettazione e lavoratore titolare di contratto di lavoro a termine, purchè tale tipologia contrattuale non sia intesa ad eludere le norme sull'affidamento dei servizi tecnici. In altre parole, se il contratto a tempo determinato è stipulato per lo svolgimento di una parte organica di attività istituzionali dell'ente, nella quale sono funzionalmente ricomprese anche competenze in materia di progettazione, non siamo in presenza del divieto di cui alla norma sopra citata. Il divieto non opera quindi se ci troviamo nel caso in cui si ricopra un posto di dotazione organica dell'ente che potrebbe normalmente essere ricoperto anche con una assunzione a tempo indeterminato. Qualora invece il contratto a tempo determinato sia stipulato solo ed esclusivamente con la finalità di assegnare una determinata attività di progettazione, si ricade nel divieto di cui all'art. 91 co. 8. 4) visto quanto affermato al punto precedente, per tale quesito valgono le stesse considerazioni svolte per il punto 1): se parte delle prestazioni sono svolte all'interno, esse potranno essere remunerate con quota parte dell'incentivo. Quesito 11 (n. 86/2012) Questa amministrazione intende appaltare il servizio mensa scolastica, in quanto non dispone di personale in numero sufficiente per proseguire nella gestione diretta del servizio, attualmente in corso. Si intenderebbe però continuare ad impiegare il proprio personale qualificato (cuoco, aiuto cuoco) nel suddetto servizio, non avendo la necessità né la possibilità di “recuperarlo” su altri servizi con pari qualifica. Si chiede se sia possibile il distacco c/o la ditta appaltatrice per la durata dell’appalto, in base ad apposita clausola da inserire nel capitolato. Risposta Al fine di fornire una risposta al quesito posto, si indicano, quali elementi normativi imprescindibili, i seguenti: l’art. 6 bis e l’art.31 D.lgs 165/01, l’art. 2112 c.c. e, da ultimo, l’art.13 della L.183/2010, il c.d. collegato lavoro, sulla base dei quali si può affermare che, in caso di conferimento di attività ovvero di trasferimento (*), si verifica una eccedenza di personale e ciò che si deve assolutamente evitare è una duplicazione dei costi per l’ente, quelli per remunerare il soggetto terzo e quelli per il pagamento del personale in servizio presso l’ente, non proficuamente occupato. Da quanto sopra brevemente esposto, deriva che le Pubbliche Amministrazioni, in caso di esternalizzazione di servizi, hanno l’obbligo di attivarsi perché non abbiano a verificarsi tali effetti negativi sulle proprie risorse finanziarie. Sulla base del combinato disposto delle norma sopra richiamate, sembra che a tal fine le strade percorribili siano due: • attuare le disposizioni di cui all’art.33 D.lgs.165/2001, come modificato dalla L.183/2011, e cioè verificare la possibilità di utile e proficua ricollocazione all’interno della amministrazione ovvero presso altre amministrazioni; in caso negativo mettere il personale in esubero in mobilità ovvero • prevedere in sede di gara che il personale, in precedenza impiegato nel servizio reso all’interno, passi alle dipendenze del soggetto, pubblico o privato , che svolgerà nel futuro il servizio. In tale caso il rapporto di lavoro del dipendente pubblico continuerà con il nuovo soggetto, dal quale il primo dipenderà a tutti gli effetti pur con la salvaguardia dei diritti acquisiti precedentemente e del contenuto economico pure acquisito. Ne deriva in via diretta una serie di operazioni in materia di personale: il congelamento dei posti in dotazione organica, il ritocco della dotazione e, qualora il personale transiti alle dipendenze del soggetto terzo ovvero venga assegnato in mobilità ad altra pa ovvero messo in mobilità, la riduzione dei costi della contrattazione decentrata. In ordine alla precisa domanda posta, si segnala l’orientamento prevalente secondo il quale non sussistono le condizioni giuridiche che consentono di assegnare provvisoriamente il dipendente pubblico al soggetto privato che è individuato come gestore del servizio, in particolare tramite l’aspettativa e/o il comando. Secondo tale linea interpretativa, infatti, il comando ed il distacco del personale pubblico possono essere disposti solo nei confronti di amministrazioni pubbliche e non nei confronti di soggetti privati. Non si tralascia, peraltro, di menzionare, per completezza espositiva, una posizione minoritaria, secondo la quale, se la fonte per la disciplina del comando viene individuata nel codice civile, si può ritenere che non sussistono vincoli o prescrizioni che possano circoscrivere il comando stesso alle sole pubbliche amministrazioni dovendosi, invece, ritenere praticabile anche una mobilità temporanea da e verso aziende private. Saranno i soggetti interessati al comando a definire consensualmente le condizioni e i tempi della utilizzazione del lavoratore e l’accollo dei relativi oneri finanziari; il tutto con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001. (*)Se con il termine conferimento si ritiene che la fattispecie di riferimento sia la costituzione di una società, con il termine trasferimento, di più ampia portata, si ritiene che nella relativa disciplina sia ricompreso anche l’affidamento con appalto. A maggior ragione il collegato lavoro ha espressamente contemplato anche la esternalizzazione di attività e servizi, sancendo il principio del divieto di duplicazione della spesa a seguito di detti processi. Pertanto, se il personale non passa al soggetto affidatario della attività ovvero non viene utilmente ricollocato all’interno, afferma la norma, deve essere messo in disponibilità per la durata massima di 24 mesi. Si segnala come la mancata segnalazione delle eccedenze di personale sia valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale in capo al dirigente. Quesito 12 (n. 93/2012) Si chiede se è possibile incrementare la percentuale di part-time di un dipendente pubblico, assunto nel 2010 con rapporto di lavoro part-time al 66,67%. A tale fine che si procederà ad una verifica del rispetto della spesa di personale nonché del risparmio che l’amministrazione conseguirebbe adibendo il personale anziché ricorrere al mercato. Risposta Se il dipendente fu assunto nel 2010 su un posto di organico a tempo parziale, la trasformazione del posto a tempo pieno equivale a nuova assunzione, con tutte le conseguenze del caso, come specifica la deliberazione n. 51/2012 della Corte dei Conti Lombardia, che afferma: ” .. l’aumento delle ore lavorative del personale in servizio è sicuramente assimilabile ad una nuova assunzione nel caso in cui il dipendente era stato assunto a tempo parziale …” “Al contrario, si dovrebbe pervenire alla conclusione che la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo parziale a tempo pieno non è assimilabile a nuova assunzione, nel caso in cui i dipendenti siano stati assunti originariamente a tempo pieno e abbiano successivamente avuto una riduzione dell’orario di lavoro…”. Quindi nel primo caso (posto originario a tempo parziale),viene in rilievo l’art. 3 comma 101 della legge finanziaria 2008, che prevede: “La trasformazione del rapporto a tempo pieno del personale assunto a tempo parziale, può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti in materia di assunzioni. In caso di assunzione di personale a tempo pieno, è data la precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti assunti a tempo parziale che ne abbiano fatto richiesta.” Essendo in presenza di una scelta discrezionale dell’ente, devono essere rispettate tutte le regole attualmente in vigore per gli enti, a seconda della loro dimensione: rispetto del patto di stabilità, rispetto del contenimento delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 della finanziaria 2007, rispetto delle regole sul turn-over, rapporto tra spese di personale e spese correnti inferiore al 50%. Nel secondo caso invece (posto originario a tempo pieno), la trasformazione può avvenire nel rispetto dei limiti di spesa previsti per l’ente dall’art. 1 co. 562 della L. 296/06 (recentemente modificati dal D.L. 16/2012, convertito nella L.44, con la sostituzione del limite del riferimento all’anno 2004 con il 2008). .D’altra parte, se il posto fosse stato originariamente a tempo pieno, l’ente avrebbe dovuto comunque tenerne conto nelle spese di personale, in quanto il lavoratore, decorsi i due anni dalla trasformazione in part-time, ha diritto al rientro a tempo pieno, e non vi è spazio alcuno alla discrezionalità dell’amministrazione. La natura del termine biennale previsto dal CCNL dovrebbe quindi indurre gli enti a mantenere prudenzialmente invariata (e quindi a tempo pieno) la previsione di spesa per il suddetto personale, proprio perché soggetta a possibile riespansione nel caso di rientro dal tempo parziale. In questo senso si vedano anche i pareri di Gianluca Bertagna http://www.gianlucabertagna.it/2012/03/07/ancora-sulla-trasformazione-del-part-time/ Quesito 13 (n. 94/2012) Un dipendente comunale in part-time al 66,67%, ha la possibilità di poter svolgere, previa autorizzazione del datore di lavoro, attività di collaborazione occasionale a favore di committente privato, nel limite del compenso di € 5.000,00 lordi annui? Quali obblighi di comunicazione incombono sul lavoratore di che trattasi e quali sono gli adempimenti fiscali previsti per legge? E quali i doveri del datore di lavoro nei confronti del predetto lavoratore? Risposta Trattandosi di dipendente con rapporto di lavoro superiore al 50%, vige il divieto di esercitare altre attività di lavoro, come previsto dall’art. 53 del d.lgs.165/01, dall’art. 60 del DPR 3/57; qualora, invece, la percentuale di part time sia uguale o inferiore al 50% tale divieto non sussiste (l. 662/96, art. 1, commi 56-65). Tale disciplina si basa sul dovere di esclusività del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti, da cui discende il divieto, per il dipendente, di svolgere prestazioni, collaborazioni od accettare incarichi, a titolo oneroso, senza averne prima ottenuto formale autorizzazione. Pertanto, l'eventuale prestazione di attività esterne (occasionali) al rapporto di lavoro con il comune deve essere valutata preventivamente, e, quindi, assoggettata ad autorizzazione, anche in base e con le modalità previste eventualmente nel proprio regolamento degli uffici e dei servizi. L'ente di fronte alla richiesta, deve valutare se non vi sia conflitto di interessi fra le attività e, inoltre, valutare la compatibilità in termini di impegno rispetto alle attività istituzionali e rispetto al puntuale adempimento delle funzioni presso il comune. E' quindi necessario che l'autorizzazione sia presentata, ed eventualmente rilasciata, prima dello svolgimento dell'attività. La legge prevede anche che, in caso di silenzio da parte dell'amministrazione, operi il silenzio-assenso dopo 60 giorni dalla presentazione della richiesta, per cui l'attività deve intendersi autorizzata; chiaramente, anche in questo caso, comunque la richiesta deve essere precedente rispetto all'inizio dell'attività. Le attività che possono essere autorizzate coincidono con prestazioni occasionali; in nessun caso può essere autorizzato lo svolgimento di un’altra attività di lavoro subordinato, né di collaborazione coordinata e continuativa. Il lavoratore deve quindi obbligatoriamente comunicare tutti i dati relativi alla prestazione occasionale (soggetto che conferisce l’incarico, oggetto della prestazione, durata e impegno presunti, compenso presunto, luogo e modalità di svolgimento dell’attività) prima di effettuarla al fine di ottenere la relativa autorizzazione del Comune. Nessun obbligo di tipo fiscale incombe sul Comune, ma sarà cura del lavoratore, in occasione della presentazione della denuncia dei redditi dichiarare, oltre ai redditi da lavoro dipendente presso il Comune, anche i redditi relativi a tali prestazioni. Quesito 14 (n. 101/2012) Questa Amministrazione comunale. nel contratto decentrato integrativo ha fissato la misura del compenso, entro la forcella prevista dal CCNL 9.5.2006, cioè entro il tetto massimo di 2.500 euro annui lordi. La misura è stata differenziata, anche per fasce, in base alla importanza degli incarichi di specifica responsabilità ovvero alla categoria di inquadramento al rapporto di lavoro tempo pieno o tempo parziale. Nello specifico l’indennità prevista per il personale a tempo parziale è stata rapportata alla percentuale di part-time, esempio: cat. C tempo pieno € 900,00; cat. C part time 50% € 450,00 (medesimi incarichi di specifica responsabilità). Si chiede se è stato correttamente applicato questo istituto contrattuale, in particolare sull’aspetto della riduzione legato all’effettiva presenza in servizio del dipendente. Risposta L’art.17, comma 2, lettera F) CCNL 1/4/1999, come modificato dall’art.36, comma 1 CCNL 22/01/2004 e dall’art.7 CCNL 9/5/2006, disciplina i compensi per l’esercizio di compiti che comportano specifiche responsabilità da parte del personale delle categorie B e C. Remunera inoltre le specifiche responsabilità affidate al personale di categoria D, che non risulti incaricato di funzioni dell’area delle posizioni organizzative ai sensi degli artt. 8 e 11 CCNL 31/03/1999. L’importo dell’indennità in oggetto può essere fissato in sede di contrattazione decentrata integrativa, fino ad un valore massimo di €. 2.500.00 annui lordi, per dodici mensilità, e la relativa graduazione d’importo andrà definita in relazione alle scelte ed agli indirizzi formulati dagli organi di governo in merito alle condizioni organizzative dell’ente, contemperando le stesse alle disponibilità di risorse sul fondo risorse decentrate di cui all’art. 31 del CCNL 22/01/2004. L’indennità in esame è stata istituita con il preciso scopo di compensare l’esercizio di attività o di compiti connessi a particolari obiettivi, con specifiche responsabilità da parte del dipendente incaricato, come nel caso in cui il questo venga nominato responsabile di procedimento o d’ufficio ovvero in altre fattispecie, anche senza la titolarità di posizione organizzativa. Nel caso sottoposto all’attenzione dello scrivente ufficio, nel quale l’indennità è stata corrisposta a personale inquadrato in regime di part-time, si ritiene preferibile, alla luce della ratio dell’istituto, che l’indennità in oggetto non venga proporzionata alla durata della prestazione lavorativa, in quanto trattasi di compenso volto a remunerare lo svolgimento di compiti che comportino specifiche responsabilità, non essendo a tal fine rilevante la durata della prestazione ma lo svolgimento di un compito di particolare responsabilità Quesito 15 (n. 119/2012) Si chiedono chiarimenti in merito alla possibilità o meno di autorizzare il vigile del nostro Comune ad effettuare straordinari in misura superiore ad 12 ore settimanali da effettuarsi in un Comune convenzionato con il nostro per il servizio di vigilanza, in occasione di una manifestazione Risposta In riferimento al vostro quesito si precisa che: - il limite massimo annuale per le prestazioni di lavoro straordinario, che per la legge (D.lgs. 66/2003)è fissato in 250 ore annue, è invece ridotto per il nostro comparto dall'art. 14 comma 4 del CCNL 1.4.1999 in 180 ore annue, elevabili solo tramite contratto collettivo decentrato per esigenze eccezionali di assistenza agli organi istituzionali; Nella legge e nel contratto collettivo non si rinvengono norme che fissino espressamente il limite giornaliero o settimanale dello straordinario, che però si può ricavare indirettamente da altra previsione, vale a dire l'art. 4 comma 2 del D.Lgs. 66/03, in calce riportato per comodità, che fissa la durata media massima dell'orario di lavoro per ogni periodo di sette giorni in 48 ore comprensive del lavoro straordinario. La media va calcolata in riferimento ad un periodo non inferiore a 4 mesi, (art. 4 comma 3), a meno che il CCNL non abbia stabilito periodi di riferimento più lunghi. Il che significa che non deve essere considerata la singola settimana bensì deve essere fatto il conteggio dell'orario massimo settimanale all'interno di un arco temporale della lunghezza anzidetta. - Il contratto Regioni-Autonomie locali non prevede periodi diversi e pertanto è confermato il periodo di riferimento di quattro mesi. Poiché nel nostro comparto l'orario settimanale è fissato in 36 ore, ciò significa che non sarà possibile in via generale svolgere lavoro straordinario per più di 12 ore settimanali per ogni settimana del periodo considerato. Nel vostro caso è possibile superare il limite delle 12 ore solo se la media dell'orario settimanale calcolata sul quadrimestre non superi le 48 ore settimanali, fatto salvo sempre il limite annuo massimo di 180 ore. L'arco di tempo quadrimestrale deve avere natura fissa e uguale per tutti i lavoratori dell'ente. I periodi di sette giorni non sono necessariamente quelli dal lunedì alla domenica ma potranno essere diversamente individuati in base alla concreta organizzazione dell'ente. I periodi di ferie e malattia vanno scomputati dal periodo di riferimento (art. 6 comma 1 d.lgs. 66/03). Le ore straordinarie cui fa seguito relativo riposo compensativo non vengono computate nella media di cui all'art.4 comma 2 (art. 6 comma 2 D.lgs. 66/03). Art.4 D.lgs.66/2003. 1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro. 2. La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario. 3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. 4. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi. Quesito 16 (n. 145/2012) Una dipendente che sta usufruendo dell'allattamento per n. 1 ora giornaliera nei giorni senza rientro pomeridiano e n. 2 ore nel giorno con rientro pomeridiano, iniziando alle ore 9,30 anzichè alle 8,30 può essere autorizzata ad eseguire lavoro straordinario, con prolungamento dell'orario di uscita? Risposta: Gli artt. 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001 prevedono la possibilità, rispettivamente per la madre ed il padre lavoratori dipendenti, di fruire, in base al proprio orario giornaliero, di periodi di riposo (permessi per allattamento). Sull'eventualità da parte del lavoratore di poter effettuare lo straordinario durante tale periodo di riposo, si ritiene che questa sia strettamente correlata all'articolazione oraria scelta dall'interessato. In particolare, laddove quest'ultimo chieda di usufruire della riduzione oraria prevista dall'art. 39 del D.Lgs. n. 151/2001 all'inizio o durante il proprio orario di lavoro giornaliero, nulla vieta che esso possa prestare lavoro straordinario alla fine del proprio turno. Al contrario qualora la riduzione oraria sia applicata alla fine dell'orario di lavoro, sebbene il contratto e il D.Lgs. 151/2001 non contengano alcuna espressa previsione, appare poco conforme alllo spirito della norma richiedere al lavoratore il rientro in servizio per prestare lavoro straordinario fatta salva la disponibilità dello stesso. Inoltre, secondo la normativa vigente, tali periodi di riposo sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, indicando la completa equiparazione delle ore riconosciute per l'accudimento del bambino durante il primo anno di vita alla ordinaria presenza lavorativa del dipendente sul luogo di lavoro. Quesito 17 (n. 164/2013) Un dipendente comunale a tempo indeterminato - tempo pieno 36 ore non può svolgere la libera professione (ad es. ingegnere, architetto ecc.) con partita IVA ? Ci sono situazioni o modalità particolari che consentono la libera professione? Risposta Il dipendente pubblico non può essere titolare di cariche gestionali in società costituite a fine di lucro, non può esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera continuativa, professionale e lucrativa , non può esercitare attività agricola in maniera prevalente né, comunque, attività professionale, ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 3/1957, applicabile anche agli enti locali in virtù del richiamo fatto dall’art. 53 del d.lgs. 165/01. Allo stesso modo, non può essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato. In base all’art. 53 del d.lgs. 165/01, il pubblico dipendente a tempo pieno o con part-time superiore al 50% può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere meramente occasionale, cioè non esercitate abitualmente; se così non fosse, eventuali attività acquisirebbero il carattere della professionalità (con conseguente rischio di evasione IVA) e violazione del divieto sopra citato. L’attività autorizzabile deve avere carattere marginale ed istantaneo e non ingenerare situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. I dipendenti a tempi pieno o con part-time superiore al 50% non possono pertanto svolgere la libera professione, in quanto tale attività sarebbe in contrasto con il dovere di esclusività previsto dall’art. 89 della Costituzione e dalle leggi sopra menzionate. Soltanto per i dipendenti con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50% del tempo pieno si attenua affievolisce il dovere di esclusività, in base alla L. 662/96. Questi dipendenti possono svolgere un'altra attività, anche libero-professionale che richieda la iscrizione ad albi o l'appartenenza ad ordini professionali. Si tenga conto però che ai dipendenti iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi professionali da parte di pubbliche amministrazioni (L. 662/96 art. 56-bis). Esiste poi una diversa limitazione applicabile ai servizi tecnici di cui al D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti), per quanto attiene alle attività di progettazione, direzione e supporto al RUP nei lavori pubblici: “I pubblici dipendenti che abbiano un rapporto di lavoro a tempo parziale non possono espletare, nell'ambito territoriale dell'ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni di cui all‘articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, se non conseguenti ai rapporti d'impiego. “. Quindi, nel caso delle attività sopra elencate, attinenti a lavori pubblici, l’eventuale attività professionale potrà essere svolta solo al di fuori dell’ambito territoriale di appartenenza del dipendente. I dipendenti a tempo parziale hanno comunque l'obbligo di comunicare l'inizio o la variazione dell'attività affinché l'ente possa valutare un eventuale conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta. La comunicazione non deve essere generica ma tale da consentire all'amministrazione un adeguato apprezzamento. Si ricorda in ogni caso il divieto di svolgere la professione di avvocato ai sensi della L. 339/2003. Quesito 18 (n. 175/2013) Le indennità previste dall'art. 36, comma 2 del CCNL 22.01.2004, per le funzioni di Ufficiale di Stato Civile ed Anagrafe, Ufficiale Elettorale e Responsabile Tributi vanno erogate in base alle presenze effettive (giornate effettive di presenza come per l'indennità di maneggio valori o l'indennità di rischio) oppure vanno erogate a forfait nell'importo esatto previsto dalla contrattazione? Risposta: L'art. 36 del CCNL 22/1/2004 è formulato in modo simile a quello dell'indennità di responsabilità e sembra legare questa indennità alla titolarità della responsabilità e non all'effettiva presenza in servizio così come specificamente previsto invece per il turno (art. 22 CCNL 14/9/2000), il rischio (art. 37 CCNL 14/9/2000) e/o il disagio (art. 17, c. 2, lett. e CCNL 1/4/99). Si fa presente che i criteri per l'attribuzione, le condizioni di pagamento e la quantificazione del compenso devono essere sempre e preventivamente disciplinati in sede di contrattazione decentrata e che le somme destinate al finanziamento di questo istituto devono comunque trovare copertura nell'ambito delle risorse decentrate. Quesito 19 (n. 192/2013) Il comune gestisce in forma diretta la mensa scolastica e il personale, cuochi e addetti alla distribuzione del pasto, prestano la propria attività giornalmente in 7 ore e 12 minuti. Questo personale ha diritto al pranzo consumato all’interno dell’orario di lavoro? Se hanno diritto al pranzo sono obbligati a fare anche la sosta prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 66/2003, questo periodo deve rientrare nell’orario di lavoro? Il personale che rinuncia al pasto deve fare la sosta di minimo 10 minuti, tale periodo deve rientrare nell’orario di lavoro? Il riconoscimento del pasto o dei 10 minuti deve essere contrattato? Risposta: La fonte normativa cui fare riferimento è l'art..45, comma 5, CCNL 14.9.2000, che di seguito si riporta: "Il servizio di mensa è gratuito per il personale che contestualmente è tenuto ad assicurare la vigilanza e l'assistenza ai minori ed alle persone non autosufficienti e//per il personale degli enti che gestiscono le mense nonché quelli//per il diritto allo studio universitario che sia tenuto a consumare il pasto in orari particolari e disagiati in relazione alla erogazione dei servizi di mensa. Il tempo relativo è valido a tutti gli effetti anche per il completamento dell'orario di servizio." Si richiama, inoltre, per la pertinenza rispetto alla fattispecie sottoposta al nostro esame l'orientamento ARAN, RAL 036, che di seguito interamente si riporta: "Il personale che, contestualmente alla fruizione della mensa, è tenuto all’assistenza ed alla vigilanza dei minori o delle persone non autosufficienti nonché quello che gestisce le mense o che, operando presso gli enti per il diritto allo studio universitario è tenuto a consumare il pasto in orari particolari e disagiati, ha diritto a fruire della mensa, a titolo gratuito, anche nel caso di un ordinario orario di lavoro articolato nella fascia 8-14, senza prosecuzione anche nelle ore pomeridiane? Il quesito, per la rilevanza che riveste, è stato sottoposto allo specifico Tavolo di Coordinamento Giuridico operante presso la nostra Agenzia, composto oltre che da dirigenti dell’ARAN, da docenti di diritto del lavoro e da esperti di discipline giuslavoristiche. Il suddetto tavolo di Coordinamento Giuridico ha espresso il seguente parere: “ La formulazione letterale del testo dell’art.45, comma 5, del CCNL del comparto RegioniAutonomie Locali del 14.9.2000, consente di ritenere che la particolare disciplina ivi contenuta ha sicuramente carattere di specialità, rispetto alla generale previsione del comma 2 del medesimo articolo, che fissa il necessario requisito del prolungamento anche nelle ore pomeridiane dell’attività lavorativa, ai fini del riconoscimento del diritto del lavoratore a fruire gratuitamente del servizio mensa (o del buono pasto sostitutivo). Pertanto, il personale che, contestualmente alla fruizione della mensa, è tenuto all’assistenza ed alla vigilanza dei minori o delle persone non autosufficienti nonché quello che gestisce le mense o che, operando presso gli enti per il diritto allo studio universitario è tenuto a consumare il pasto in orari particolari e disagiati, ha diritto a fruire della mensa, a titolo gratuito, qualunque sia l’articolazione dell’orario di lavoro dello stesso (e pertanto anche nel caso di un ordinario orario di lavoro articolato nella fascia 8-14, senza prosecuzione anche nelle ore pomeridiane). Tuttavia, ai fini dell’esatta di individuazione dei lavoratori destinatari del beneficio della mensa gratuita è necessario tenere conto anche della precisa indicazione contenuta, a tal fine, nello stesso art.45, comma 5, che fa riferimento al: “…. personale che contestualmente è tenuto ad assicurare la vigilanza ai minori ed alle persone non autosufficienti e per il personale degli enti che gestiscono le mense nonché quelli per il diritto allo studio universitario che sia tenuto a consumare il pasto in orari particolari e disagiati in relazione alla erogazione dei servizi di mensa …..”. In conclusione, non tutti i dipendenti in servizio possono fruire del beneficio della mensa gratuita, a prescindere dall’articolazione del loro orario di lavoro anche nelle ore pomeridiane, ma solo quelli fra essi, espressamente individuati dalla clausola contrattuale, che, per ragioni connesse alla specifica organizzazione del lavoro adottata e per le mansioni che svolgono: 1. fruiscono della mensa nello stesso momento dei minori o delle persone non autosufficienti, ai quali devono comunque garantire in via esclusiva la diretta vigilanza e assistenza; 2. sono tenuti a consumare il pasto in orari particolari e disagiati, per la necessità di assicurare l’erogazione dei servizi mensa”. Ne consegue che il personale di cui al comma richiamato ha diritto alla gratuita fruizione del pasto che il tempo per il pasto è orario di servizio che il personale deve comunque godere di una pausa per il recupero delle energie psico-fisiche qualora l'orario giornaliero superi le 6 ore. In assenza di una previsione collettiva, la pausa non può essere inferiore a 10 minuti. Il momento di fruizione della stessa può coincidere con qualsiasi momento della giornata lavorativa, anche prima che decorrano le 6 ore di lavoro. Il periodo di pausa può essere fruito anche sul posto di lavoro e la sua collocazione, in assenza di una previsione collettiva, è decisa dal datore di lavoro a seconda delle esigenze tecniche del processo produttivo Quesito 20 (n. 196/2013) Una dipendente comunale deve partecipare come commissario ad una commissione di concorso pubblico per assunzione a tempo determinato presso il proprio comune. La dipendente non percepirà alcun compenso, inoltre nei giorni di svolgimento del concorso la stessa si trova in ferie. La domanda e’ la seguente: le ore che svolgerà sono ore di lavoro straordinario, sono ore di presenza da scontare dalle ferie oppure questi servizi sono da svolgere al di fuori dell'orario di lavoro anche se non retribuiti e quindi non va conteggiato nulla? Risposta Poichè la vostra dipendente non percepisce compenso per la sua partecipazione in qualità di componente della commissione del concorso da voi bandito, l'attività che è chiamata a svolgere è considerata come servizio. Pertanto il caso da voi rappresentato si può configurare come richiamo dalle ferie per motivi di servizio (art. 18 CCNL 6/7/1995); le ferie saranno poi fruite dalla lavoratrice in un periodo successivo. Si fa presente inoltre che non può essere riconosciuto in alcun modo il lavoro straordinario durante l'assenza per ferie. Quesito 21 (n. 197/2013) L'orario di lavoro di un vigile comunale deve essere modificato, per una singola giornata, con una variazione oraria, anzichè fare 7.30-13.30 dovrà fare 18.00-24.00. Si chiede se deve essere corrisposta la maggiorazione oraria per le 2 ore di notturno (22.00-24.00), anche se non si tratta di straordinario ma di orario ordinario. Risposta Nel caso sottoposto, occorre innanzi tutto distinguere se l’attività dei vigili sia o meno organizzata in regime di turnazione, in quanto a seconda dei casi, a parità di attività lavorativa svolta, varia il trattamento economico da riconoscere. Nel caso di attività in regime di turnazione, occorre far riferimento alle disposizioni contenute nell’art.22 del ccnl 14/09/2000. Come si può evincere dall’esame dei commi 4 e 5 dell’art.22, la misura delle maggiorazioni orarie da riconoscere al dipendente, per l’attività lavorativa svolta in turnazione, sono in funzione della fascia oraria in cui si svolge l’attività lavorativa e variano a seconda che si tratti di giorno feriale o giorno festivo: Turnazioni in giorno feriale: - se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 6:00 e le 22:00, al lavoratore spetta la maggiorazione oraria per turno diurno antimeridiano o pomeridiano pari al 10% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000. - se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 22:00 e le 6:00 del mattino successivo, spetta la maggiorazione oraria per turno notturno pari al 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000 Turnazioni in giorno festivo: - se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 6:00 e le 22:00, spetta la maggiorazione per turno festivo pari al 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000 - se il periodo lavorativo si svolge in giornata festiva e contemporaneamente nella fascia notturna (22:006:00), spetta la maggiorazione oraria per turno notturno pari al 50% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000 Quindi, sulla base delle regole contrattuali sopra esposte, nel caso sottoposto alla nostra attenzione, l’indennità di turnazione deve essere riconosciuta sulla base del seguente criterio: Turnazione 18:00-24:00 che si svolga in giorno feriale infrasettimanale: - dalle 18:00 alle 22:00, trattandosi di turno diurno, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la maggiorazione oraria diurna del 10% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000; - dalle 22:00 alle 24:00 trattandosi di turno notturno, in quanto il periodo lavorativo è ricompreso tra le 22,00 e le 6,00 del mattino, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la maggiorazione oraria diurna del 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-09-2000; Turnazione 18:00-24:00 che si svolga in giorno festivo - dalle 18:00 alle 22:00, trattandosi di turno diurno-festivo, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la maggiorazione oraria diurna del 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000; - dalle 22:00 alle 24:00 trattandosi di turno notturno-festivo, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la maggiorazione oraria diurna del 50% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000 Nel caso in cui invece, l’attività dei vigili non sia organizzata in regime di turnazione, per la fascia oraria dalle 18:00 alle 22:00 non spetta alcun compenso aggiuntivo, mentre per la fascia oraria dalle 22:00 alle 24:00 deve essere riconosciuta la maggiorazione di cui all’art.24 comma 5 CCNL 14/09/2000. La norma contenuta nel comma 5 dell’art.24 prevede infatti che “anche in assenza di rotazione per turno, nel caso di lavoro ordinario notturno è dovuta una maggiorazione della retribuzione oraria di cui all’art.52 comma 2 lett.b) CCNL 14/09/2000 nella misura del 20%; nel caso di lavoro ordinario festivo-notturno la maggiorazione dovuta è del 30%”. Quesito 22 (n. 222/2014) Un dipendente comunale con qualifica di Istruttore Tecnico/Geometra cat. C, presso l’Area Lavori Pubblici part-time a 24 ore settimanali, chiede il nullaosta per lo svolgimento di una singola prestazione ”onde poter dar corso ad una singola attività di natura professionale che trova concretezza nella redazione di pratica edilizia (D.I.A.) necessaria alla realizzazione di piccola abitazione in legno disposta su unico piano”. La prestazione verrà svolta al di fuori dell’orario di lavoro. Si chiede se è possibile rilasciare il nulla osta per lo svolgimento di tale prestazione professionale. Risposta Il dipendente pubblico, ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 3/1957, non può essere titolare di cariche gestionali in società costituite a fine di lucro, non può esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera continuativa, professionale e lucrativa, non può esercitare attività agricola in maniera prevalente né, comunque, attività professionale. Il divieto è applicabile anche agli enti locali in virtù del richiamo fatto dall’art. 53 del D.lgs. 165/01. Allo stesso modo, non può essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato. In base all’art. 53 del d.lgs. 165/01, il pubblico dipendente a tempo pieno o con part-time superiore al 50% può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere meramente occasionale, cioè non esercitate abitualmente; se così non fosse, eventuali attività acquisirebbero il carattere della professionalità (con conseguente rischio di evasione IVA) e violazione del divieto sopra citato. L’attività autorizzabile deve avere carattere marginale ed istantaneo e non ingenerare situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Quindi, nel vostro caso, valutata l’occasionalità e unicità della prestazione, la stessa potrebbe essere autorizzata, in quanto non pare sufficiente a configurare attività professionale: sarà però necessario, prima di concedere l’autorizzazione, verificare attentamente l’assenza di conflitto di interessi tra l’attività per la quale è fatta richiesta e l’attività svolta come dipendente comunale, come previsto dall’art. 53 del D.lgs. 165/01. Quesito 23 (n. 230/2014) Al personale esterno del Comune viene riconosciuta l'indennità di rischio di 30,00 euro mensili ai sensi dell'art. 37 del CCNL stipulato il 14/09/2000. Come deve essere determinata? Se un dipendente lavora tutto il mese senza effettuare assenze a qualsiasi titolo vanno corrisposti i 30,00 euro per i giorni lavorativi previsti nel mese; oppure i 30,00 euro devono essere suddivisi per i giorni di calendario (ad esempio gennaio 31 giorni) e poi l'importo risultante va moltiplicato per i giorni effettivamente lavorati? Risposta L’indennità di rischio, in base agli orientamenti dell’ARAN, va pagata per i soli giorni di effettiva esposizione al rischio da parte dei dipendenti individuati. In assenza di ulteriori specificazioni da parte del contratto collettivo nazionale, il criterio adottato dal nostro ente per calcolare l’importo effettivamente dovuto è il seguente: si fa riferimento all’importo mensile dell'indennità (euro 30,00) e lo si divide per 26 (in base al principio di cui all’art. 10, comma 4 del CCNL 9.5.2006 che definisce la retribuzione giornaliera): il risultato ottenuto viene quindi moltiplicato per il numero di giorni di effettiva presenza del lavoratore. Quesito 24 (n. 236/2014) Il Comune ha in servizio a tempo indeterminato 2 dipendenti con la mansione di cuoca per la refezione scolastica; è possibile attribuire loro anche il compito di “scodellamento” dei pasti atteso che nel contratto di assunzione non si specificano dettagliatamente le mansioni da svolgere? Risposta In via generale si fa presente che con il termine mansione si fa riferimento alla attività che costituisce oggetto della obbligazione di lavoro; in altre parole, l'insieme dei compiti che vengono richiesti al lavoratore. Di norma, le amministrazioni si dotano di un documento generale che elenca i profili professionali della organizzazione, descrivendo contestualmente il contenuto e le attività prevalenti connesse a ciascun profilo. In mancanza di tale atto organizzativo di valenza generale, la sede idonea ad esplicitare il contenuto delle prestazioni di lavoro è rappresentata dal contratto individuale di lavoro. Ne consegue che sono esigibili dal lavoratore le mansioni per le quali è stato assunto e che sono indicate nel contratto di lavoro ovvero nel medesimo richiamate per relationem, quando esiste il documento generale sopra richiamato; sono, inoltre, esigibili le mansioni c.d. equivalenti, ai sensi dell'art.2013 c.c. e dell'art.52 D.lgs 165/2001. Nel caso in esame, sembra, alla luce di quanto esposto nella richiesta di parere, mancare il punto di partenza cui appigliarsi e sulla base del quale argomentare; se, infatti, le mansioni fossero indicate e descritte, da queste si dovrebbe partire per effettuare una valutazione in ordine alla equivalenza delle mansioni. In merito, ci si limita ad accennare che l'accertamento della equivalenza deve essere effettuato in concreto, in relazione al contenuto, alla natura e alle modalità di svolgimento delle stesse nonché sulla base delle competenze tecnico-qualitative richieste per l'esercizio delle mansioni. Pertanto, a fronte della mancata determinazione dell'oggetto della prestazione, potrebbe essere utile pensare ad intervento correttivo ed integrativo volto a dare contenuto concreto al profilo assegnato o mediante una modifica contrattuale ovvero mediante un contratto aggiuntivo, nel quale potranno essere elencate e descritte le attività oggetto della prestazione lavorativa. Si aggiunge che, anche qualora le mansioni fossero state previste nel contratto, il datore di lavoro potrebbe procedere alla assegnazione di nuove mansioni; il rifiuto del dipendente di svolgere mansioni diverse da quelle già esercitate, purchè ad esse equivalenti, può legittimare la irrogazione di sanzioni disciplinari. Quesito 25 (n. 243/2014) Il Comune, privo di dirigenti, con dipendenti inquadrati in cat. D deve individuare il responsabile dell’area finanziaria attribuendo la relativa Posizione Organizzativa perchè vacante. In tale area ci sono alcuni dipendenti a tempo pieno appartenenti alla cat. C. L’Amministrazione Comunale intende attribuire tale posizione organizzativa ad uno dei dipendenti di categoria C, sulla base di considerazioni legate alla competenza, all’affidabilità, alla puntualità dimostrate nel corso degli anni da tale dipendente, attuando in tal modo i principi contenuti nel cosiddetto “Decreto Brunetta” Ciò in deroga a quanto stabilito dall’art. 11 del C.C.N.L. del 31/03/1999 che prevede l’attribuzione delle posizioni organizzative esclusivamente ai dipendenti di categoria D. Evidenziato però che l’art. 109 secondo comma del D.Lg.vo 267/2000 stabilisce che “nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107, commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione dell'articolo 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione” e che l’art. 5 comma primo del Decreto Leg.vo 165/2001 prevede che “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa.” chiede se la citata attribuzione della posizione organizzativa sia da considerasi legittima o meno. Risposta In riferimento al vostro quesito, vengono in rilievo due norme della contrattazione nazionale, vale a dire l’art. 11 del CCNL 31.3.1999 e l’art. 8 del CCNL 5.10.2001. Partendo da quest’ultimo, il comma 2 specifica che la disciplina del conferimento delle posizioni organizzative negli enti privi di dirigenza è esclusivamente quella di cui all’art. 11 CCNL 31.3.1999 anche in vigenza di quanto disposto dall’art 109 del d.lgs. 267/00. L’ articolo 11 CCNL 31.3.1999, dapprima, riserva il conferimento di p.o. al personale della categoria D (comma 1); al comma 3 ne permette il conferimento a personale delle categorie B e C cui sia attribuita la responsabilità di uffici o servizi nel solo caso in cui gli enti siano privi di posti della categoria D. Poiché nel vostro caso il Comune è dotato di posti di categoria D, si ritiene che non sia possibile attribuire la p.o. a un dipendente di categoria inferiore. Si fa, inoltre, presente, la possibilità, qualora nessun vostro dipendente appartenente alla categoria D abbia competenze idonee al ruolo di PO dell'area finanziaria e vi sia in dotazione organica un posto di categoria D non coperto, di conferire le mansioni superiori Quesito 26 (n. 246/2014) ll Sindaco ha stabilito la chiusura degli uffici per ferie il giorno sabato 16 agosto 2014. Con gli uffici sempre aperti al pubblico al sabato,si possono obbligare i dipendenti che dovrebbero essere in servizio a richiedere il giorno di ferie ? Qualcuno ha proposto di considerare il 16 agosto festività. Il Comune ha respinto la proposta di considerare tale giornata "una festività in più". Come si deve procedere? Risposta Sicuramente la sua risposta è corretta in quanto le festività non vengono definite a livello di ente ma in via generale con normativa nazionale. Con riferimento alla fattispecie da lei sottoposta alla nostra attenzione si possono rilevare altri aspetti, ai quali di seguito si fa un breve riferimento. Il datore di lavoro ha il potere di assegnazione delle ferie. La materia trova la sua regolamentazione generale nell'art.2109 c.c. (“...nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro....”) e, in riferimento al comparto Regioni ed enti locali, nell'art. 18 CCNL 6 luglio 1995. Al datore di lavoro compete di stabilire il periodo di fruizione delle ferie da parte dei lavoratori e le relative modalità, dandone preventiva comunicazione. Quanto affermato non è contraddetto dal fatto che la strada normalmente seguita nella prassi preveda che il dipendente presenti una richiesta di ferie al superiore gerarchico che la valuta tenendo presenti e contemperando le esigenze dell’impresa e gli interessi dei lavoratori. Alla luce di quanto sopra risulta pertanto fondata e legittima la richiesta dal Sindaco. Si fa presente che, in alternativa al giorno di ferie, la amministrazione potrebbe lasciare al lavoratore la possibilità di giustificare l'assenza anche con il recupero di eventuale lavoro straordinario oppure con un permesso breve (non superiore comunque alla metà dell'orario giornaliero e da recuperare entro il successivo mese di settembre – art. 20 CCNL 6/7/95). Sicuramente, come detto in apertura, si esclude la possibilità di considerare il giorno 16 agosto una “festività” in aggiunta a quelle di calendario. Per completezza si richiama alla vostra attenzione la fattispecie prevista e punita ai sensi dell'art.340 c.p. (interruzione di pubblico servizio). In merito si sottolinea l'avvertenza di comunicare diffusamente e con congruo anticipo alla cittadinanza che il 16 agosto gli uffici saranno chiusi lasciando eventualmente un numero cui rivolgersi per eventuali urgenze. Quesito 27 (n. 248/2014) Il Comune intende procedere all’assunzione di una cuoca in sostituzione di quella attuale in quanto ha presentato le dimissioni dal servizio . Si chiede se nel bando di concorso è possibile attribuire, oltre al profilo di cuoca, anche le funzioni di pulizia degli uffici comunali e degli ambulatori. Risposta In riferimento al quesito posto, è necessario ricordare che con il termine mansione si fa riferimento alla attività che costituisce oggetto della obbligazione di lavoro; in altre parole, l'insieme dei compiti che vengono richiesti al lavoratore. Di norma, le amministrazioni si dotano di un documento generale che elenca i profili professionali della organizzazione, descrivendo contestualmente il contenuto e le attività prevalenti connesse a ciascun profilo. In mancanza di tale atto organizzativo di valenza generale, la sede idonea ad esplicitare il contenuto delle prestazioni di lavoro è rappresentata dal contratto individuale di lavoro. Ne consegue che sono esigibili dal lavoratore le mansioni per le quali è stato assunto e che sono indicate nel contratto di lavoro ovvero nel medesimo richiamate per relationem, quando esiste il documento generale sopra richiamato; sono, inoltre, esigibili le mansioni c.d. equivalenti, ai sensi dell'art.2013 c.c. e dell'art.52 D.lgs 165/2001. L'accertamento della equivalenza deve essere effettuato in concreto, in relazione al contenuto, alla natura e alle modalità di svolgimento delle stesse nonché sulla base delle competenze tecnico-qualitative richieste per l'esercizio delle mansioni. Si evidenzia però nel vostro caso che il profilo di “cuoca” pare corrispondere a un ben preciso tipo di prestazione che, ad un esame sommario, non ricomprende attività di pulizia dei locali del comune. E' quindi indispensabile per dare una risposta al vostro quesito, verificare: 1) se esiste un atto generale che descriva il contenuto dei profili; se, infatti, le mansioni fossero indicate e descritte, si potrebbero verificare 2 casi: a) sono comprese anche le mansioni da voi indicate, per cui il problema è risolto; b) non sono specificate tali ulteriori mansioni: si potrebbe in questo caso prevedere un intervento di integrazione dell'atto relativo ai profili prima del concorso in modo da dare in via generale il contenuto voluto al profilo stesso. 2) se invece dovesse mancare del tutto l'atto generale relativo ai profili, si potrebbero seguire due vie: a) l'adozione di detto atto generale; b) la specificazione delle mansioni richieste direttamente nel bando, seppure questo atto rivesta carattere di specialità con riferimento alla procedura concorsuale in atto e a quella specifica assunzione e quindi manchi il carattere generale applicabile anche a futuri altri casi. Si segnala infine che, poiché le prestazioni da voi richieste non appaiono completamente omogenee quanto a contenuto professionale, potrebbe essere opportuno prevedere una denominazione del profilo più ampia rispetto a quella ben precisa e individuabile di “cuoco”, magari ampliandolo anche nella denominazione ad attività ausiliarie quali quelle da voi indicate. Quesito 28 (n. 262/2014) Una dipendente a tempo pieno, comandata presso un altro comune ha chiesto l’autorizzazione a prestare la propria attività lavorativa presso un Ente Parco per l’anno 2015, per la definizione di uno Studio di Fattibilità, con la corresponsione di un importo omnicomprensivo. Alla luce della vigente normativa il Comune può concedere l’autorizzazione? Risposta Il caso da voi esposto rientra nella previsione di cui all'art. 53 del D.lgs. 165/01. Come è noto, in base all'art. 60 della L. 3/1957, il dipendente pubblico non può - essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato, - essere titolare di cariche gestionali in società costituite a fine di lucro, - esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera continuativa, professionale e lucrativa, - esercitare attività agricola in maniera prevalente né, comunque, attività professionale. . Può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere meramente occasionale, in base appunto all'art. 53 del D.lgs. 165/01. L'attività autorizzabile deve avere carattere marginale e istantaneo, non deve essere cioè ripetitiva non solo in riferimento alla singola annualità ma anche nell'ambito di una visione di insieme della vita lavorativa del dipendente. La marginalità può avere anche un contenuto economico nel rapporto tra la retribuzione e il compenso dell'incarico. Inoltre, in ogni caso, l'attività non deve ingenerare situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi (art.1, comma 42, L. 190/2012). Al fine di ottenere l'autorizzazione, è necessario che il lavoratore, o chi intende conferire l'incarico, presenti una richiesta specifica che contenga i seguenti dati: a) oggetto e natura della prestazione; b) modalità di svolgimento dell'attività; c) termine di inizio, conclusione e prevedibile durata della prestazione in termini di impegno orario d) luogo di svolgimento dell'attività; e) il soggetto che intende conferire l'incarico, con indicazione del codice fiscale o partita IVA; f) i compensi previsti, anche in via presuntiva. Poiché il Comune potrà comunque aver disciplinato diversamente la materia nel proprio regolamento degli uffici e dei servizi, i dati di cui sopra sono a mero titolo esemplificativo. Qualora l'incarico esterno venga conferito da parte di amministrazione pubblica, devono essere specificati nella richiesta: •la norma in base alla quale l’incarico viene conferito; •le ragioni del conferimento; •I criteri di scelta utilizzati dall’amministrazione. La richiesta dovrà quindi essere valutata dal Comune di appartenenza per verificare la compatibilità dell'incarico con le attività di ufficio e l'assenza di conflitto di interessi anche potenziale. Nel vostro caso, poiché l'attività lavorativa effettiva si svolge presso altro ente tramite comando, pare opportuno che l'autorizzazione sia rilasciata da voi in quanto il rapporto di lavoro è giuridicamente incardinato presso il Comune di Ostiano, ma previa acquisizione del parere in ordine alla compatibilità e all'assenza di conflitto di interessi anche da parte dell'altro ente dove presta la sua attività il dipendente, in quanto il conflitto di interessi o l'incompatibilità vanno verificati in concreto e potrebbero sussistere, ad esempio, presso tale ente e non presso il Comune di Ostiano. Si ricorda infine che la L. 190/2012 ha introdotto l'obbligo di comunicare in via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica entro 15 giorni gli incarichi conferiti o autorizzati ai propri dipendenti con l'indicazione dell'oggetto e del compenso lordo ove previsto, tramite la procedura telematica dell'Anagrafe delle prestazioni. Quesito 29 (n. 263/2014) E' possibile autorizzare un dipendente, titolare di posizione organizzativa, a compiere lavoro straordinario in occasione di emergenza per pericolo alluvione, emergenza giustificata con ordinanze del Sindaco di evacuazione anche della zona golenale? Gli straordinari di cui sopra possono essere assimilati a quelli svolti per le elezioni? Risposta In merito alla sua richiesta è utile in via preliminare sottolineare quanto segue. 1. la vigente disciplina contrattuale, in relazione ai titolari di posizione organizzativa, si limita a stabilire la durata minima della prestazione lavorativa settimanale (le 36 ore) e non anche quella massima che sarà, invece, collegata, genericamente e dinamicamente, alla rilevanza ed alle effettive necessità delle funzioni da svolgere; 2. l’orario minimo settimanale, pertanto, deve essere soggetto alla vigente disciplina relativa a tutto il personale dell’ente e agli ordinari controlli sulla relativa quantificazione; la vigente contrattazione collettiva di comparto, in particolare, non attribuisce in alcun modo, al dipendente, il potere o il diritto alla autogestione dell’orario settimanale consentita, invece, al solo personale dirigenziale, né questa potrebbe essere consentita dal datore di lavoro. 3. pertanto, relativamente all’orario di lavoro, il personale incaricato delle posizioni organizzative, diversamente dai dirigenti, è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative settimanali non inferiori a 36 ore, mentre non sono retribuite le eventuali prestazioni ulteriori che gli interessati potrebbero aver effettuato e che neppure danno titolo o diritto ad eventuali recuperi compensativi, in relazione all’incarico affidato e agli obiettivi da conseguire; 4. a tal fine si deve ricordare che l’art. 10, comma 1, del CCNL del 31.3.1999 non consente di corrispondere al personale, dallo stesso contemplato, il compenso per lavoro straordinario, dovendosi, conseguentemente, ritenere che le eventuali prestazioni eccedenti le 36 ore d’obbligo rappresentano sempre orario di lavoro ordinario e sono compensate con la retribuzione di posizione e di risultato. Essendo vietata la corresponsione del compenso per lavoro straordinario, deve ritenersi vietata anche l’applicazione di istituti sostitutivi di detto compenso. Pertanto, le eventuali maggiori prestazioni rese oltre il normale orario d’obbligo settimanale (36 ore) non danno in alcun caso titolo a corrispondenti riposi compensativi; 5. il titolare di posizione organizzativa non ha diritto a compensi aggiuntivi o a riposi compensativi neppure nel caso di prestazione resa in giornata festiva infrasettimanale; 6. a tali regole fa eccezione solo il caso della prestazione lavorativa resa nel giorno del riposo settimanale, in considerazione della tutela costituzionale, legale e contrattuale, apprestata per tale riposo; in presenza di questa particolare fattispecie, il titolare di posizione organizzativa avrà diritto comunque a fruire di una giornata di riposo settimanale che potrà, dunque, essere recuperata secondo modalità da concordare con il dirigente, in modo comunque proporzionato alla durata delle prestazioni rese. Dato il carattere assorbente ed onnicomprensivo del trattamento economico previsto per gli incaricati di posizione organizzativa, rappresentato dalla retribuzione di posizione e di risultato, secondo le previsioni dell’art.10 del CCNL del 31.3.1999, in aggiunta allo stesso possono essere erogati solo quegli emolumenti espressamente previsti ed ammessi dalla contrattazione collettiva nazionale, che attualmente sono: a) i compensi connessi agli incarichi di progettazione, ai sensi dell'art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006; b) i compensi per i professionisti legali, ai sensi dell’art. 27 CCNL 14.9.2000; c) i compensi per lo straordinario elettorale e dei compensi Istat, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del CCNL del 14.9.2000; d) l'indennità di vigilanza prevista dall'art. 37 comma 1, lett. b) del CCNL del 6.7.1995, ai sensi dell’art. 35 del CCNL del 14.9.2000; e) i compensi connessi agli effetti applicativi dell'art. 12, comma 1, lett. b) della legge n. 556/96, spese del giudizio, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del CCNL del 5.10.2001; f) i compensi per lavoro straordinario elettorale prestato nel giorno del riposo settimanale, ai sensi dell’art. 16 del CCNL del 5.10.2001; g) i compensi per lavoro straordinario connesso a calamità naturali, ai sensi dell'art. 40 del CCNL del 22.1.2004; h) i compensi (art. 6 del CCNL del 9.5.2006) connessi ai progetti per condono edilizio, secondo le disposizioni della legge n. 326/2003. In merito a quanto previsto dalla lett.g), si riporta il testo dell'articolo citato. ART.40 - Straordinario per calamità naturali 1. Le risorse finanziarie formalmente assegnate agli enti, con i provvedimenti adottati per far fronte elle emergenze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono essere utilizzate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di uno posizione organizzativa. Da quanto sopra risulta che le posizioni organizzative possono essere retribuite per lo svolgimento di lavoro straordinario alla duplice condizione che sussista una situazione di emergenza di calamità naturale formalmente dichiarata (dal Governo, dalla Regione in base alla legislazione vigente),e che, conseguentemente, siano state assegnate agli enti apposite risorse. Diversa è la fattispecie in cui lo stesso ente integri le risorse per far fronte a straordinari connessi ad eventi straordinari ed imprevedibili, i quali non incidono sui limiti di legge; alla po in tal caso non potrà essere riconosciuto alcun compenso.