Orario di lavoro e di servizio, turni, part

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Orario di lavoro e di servizio, turni, part
6) Orario di lavoro e di servizio, turni, part-time, mansioni, indennità varie
Quesito 1 (n. 23/2011)
1) In materia di polizia locale, è possibile articolare l'orario di lavoro della polizia locale, dopo idonea
concertazione in modo che sia modulato sulle esigenze dell'amministrazione ( per es. il turno è dalle
13,00 alle 19,00 , può l'amministrazione richiedere che le sei ore di servizio siano traslate in avanti ,
senza corresponsione dello straordinario ma solo della maggiorazione di legge se l'orario diventa
notturno oppure se cade in un giorno festivo? Si può concedere un'indennità di disagio oppure il
disagio è compreso nell'indennità di turno? E' possibile per l'Amministrazione prevedere di regola il
recupero il giorno dopo se per esempio gli agenti o uno di essi lavori in giorno festivo per es. la
domenica? E' possibile con delibera di giunta istituire l'orario di servizio, dalle 7 a mezzanotte su sei
giorni settimanali, e poi con altra delibera di giunta, dopo concertazione con i sindacati, istituire
l'orario di lavoro, che è di 36 ore settimanali organizzate in turni che si modulano sulle esigenze
dell'Amministrazione?
2) Di recente con delibera di giunta è stato concesso il part-time ad un dipendente di categoria D. Nel
comune di X ci sono sette dipendenti di cat. D nelle tre aree istituite su 15 dipendenti totali di cui un
part-time a tempo determinato. Secondo l'art 15 del ccnl del 1995 i contingenti di personale da
destinare a tempo parziale non possono superare il 25% della dotazione organica complessiva di
personale a tempo pieno di ciascuna qualifica funzionale... ecc.. Se ho 7 cat D , 7 per 25% mi dà
come risultato 1,75. Posso io concedere un secondo part-time per la persona di cat D che me l'ha
chiesta? In altri termini 1,75 viene arrotondato per difetto o per eccesso? Nel caso in cui fosse
possibile concedere il secondo part-time si potrebbe trasformare a tempo pieno il dipendente parttime a tempo determinato che è stato assunto con regolare concorso a tempo determinato per due
anni?
Risposta
A) La disciplina concernente le turnazioni è contenuta nell’art. 22 del CCNL 14.9.2000. In particolare il
comma 5 di detto articolo regola le modalità di corresponsione della relativa indennità che vale a
compensare integralmente il disagio connesso alla particolare articolazione dell’orario turnato. Per questo
motivo non si ritiene legittimo concedere anche l’indennità di disagio.
I turni devono essere prestabiliti secondo quanto prevede il CCNL su base mensile e si ritiene che eventuali
variazioni dai turni standard debbano essere anch’esse predefinite; ad esempio, si stabilisce in via
preventiva che nelle giornate di consiglio comunale il turno sia 18-24 invece di 13-19; se legato ad eventi o
avvenimenti particolari, anche per questi dovrebbe esserci una previsione specifica.
Si ritiene quindi necessario che tali specificità siano previste anche in sede di accordo sindacale. In tale caso
rimane quindi l’istituto del turno ed il dipendente che svolgerà orario notturno e/o festivo percepirà solo
l’indennità normale di turno con la maggiorazione oraria del 30% o 50% prevista dal predetto art. 22.
B) Nel caso in cui il lavoratore sia inserito in un turno che, nell’ambito delle 36 ore settimanali di lavoro
dovute abbracci anche la domenica, con conseguente fruizione del riposo settimanale in altro giorno della
settimana successiva, allo stesso, nel caso di lavoro domenicale deve essere corrisposto solo il compenso
per il turno festivo ex art. 22 c. 5, secondo alinea, sopra richiamato. Il giorno del riposo settimanale diverso
dalla domenica può essere preventivamente stabilito dall’Amministrazione nell’ambito della concertazione
dell’orario di servizio, che verrà definito con atto dirigenziale.
C) L’istituzione di turni giornalieri di lavoro è lasciata ala facoltà degli enti in relazione alle proprie esigenze
organizzative o di servizio, pertanto è di competenza dei Dirigenti e/o Responsabili dei Servizi senza
particolari vincoli, se si eccettua la contrattazione decentrata sui criteri generali per le politiche dell’orario di
lavoro (con delibera giuntale) e la concertazione sull’articolazione dell’orario di servizio.
D) L’art. 4, comma 2, del CCNL 14.9.2000 prevede che il limite del 25% della dotazione organica
complessiva di personale a tempo pieno di ciascun categoria è arrotondato per eccesso onde arrivare
comunque all’unità. Pertanto il vostro risultato dell’1,75 è arrotondato a 2 unità.
E) Le prestazioni contrattuali relative alla trasformazione di rapporti a part-time in rapporti a tempo pieno si
riferiscono esclusivamente a posti di ruolo. Nulla è detto per quanto riguarda eventuali tempi determinati.
Si ricorda che in generale la trasformazione a tempo pieno o l’aumento della percentuale di part-time può
comunque avvenire solo su richiesta del lavoratore (fatta salva la revisione dei part-time di ruolo già
concessi, per effetto delle ultime riforme).
D’altro canto, l’Amministrazione nel bandire il concorso aveva collegato l’assunzione a tempo determinato a
una esigenza temporanea ed eccezionale, che si valutava soddisfabile con un part-time.
Prudenzialmente si ritiene quindi che ulteriori e diverse necessità temporanee ed eccezionali debbano
essere fronteggiate con ulteriori selezioni/assunzioni.
Quesito 2 (n. 20/2010)
Chiedo informazioni circa una richiesta di part-time orizzontale (dal lunedì al venerdì), per 30 ore
settimanali anziché 36, di un'educatrice asilo nido comunale, qualifica educatrice ed inquadramento
C. E' possibile, siccome più funzionale per il servizio, chiedere alla dipendente di effettuare un orario
spezzato?
Risposta
In relazione al quesito posto, si prospetta la seguente soluzione.
Un problema di grande rilevanza che pone la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a
parziale è quello della collocazione e articolazione oraria della prestazione. Nel caso in cui l’ente non abbia
individuato i posti da destinare a tempo parziale nel rispetto dei criteri definiti dall’art. 4, comma 2, del CCNL
14.9.2000 e non abbia adottato regolamenti interni che disciplinano le procedure per la trasformazione dei
rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il principio generale è che le parti devono raggiungere
un accordo (art. 5, comma 3, del CCNL 14.9.2000).
Nel ricercare tale accordo il lavoratore ed il dirigente dovranno trattare secondo correttezza e buona fede, in
quanto sarebbero censurabili dal giudice del lavoro comportamenti irragionevoli delle parti.
La funzionalità del servizio è quindi sicuramente un elemento che dovrà trovare spazio nell’ambito di un
accordo che, come detto, non vede però la predeterminazione di una regola fissa per la collocazione
dell’orario, salvo che l’ente abbia già preventivamente adottato criteri e orari applicabili a tutte le richieste di
part-time.
Si ricorda comunque che in materia di concessione del part-time trova applicazione l’art. 73 della legge n.
133/2008 che ha modificato l’art. 1, comma 58, della legge n. 662/1996, assegnando la discrezionalità
all’amministrazione in base alle esigenze organizzative.
Infatti il nuovo iter prevede che a richiesta del dipendente, entro i limiti percentuali previsti, la trasformazione
del rapporto di lavoro a tempo parziale può essere concessa dall’amministrazione.
La trasformazione, quindi, del rapporto di lavoro a tempo parziale non avviene più in maniera automatica ma
viene concessa discrezionalmente dall’amministrazione, entro sessanta giorni dalla domanda,
coerentemente alle esigenze organizzative di funzionalità dei servizi. Pertanto l’amministrazione può
respingere la domanda quando la trasformazione del rapporto di lavoro comporta “pregiudizio” alla sua
funzionalità.
Si ricorda, altresì, che ai sensi dell’art. 4, comma 13, del CCNL 14.9.2000 il rapporto di lavoro a tempo
parziale viene costituito mediante sottoscrizione di apposito contratto individuale di lavoro, contenente
l’indicazione della durata della prestazione lavorativa nonché della collocazione temporale dell’orario con
riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno e del relativo trattamento economico.
Quesito 3 (n. 29/2011)
Nel comune di X ci sono due agenti di polizia locale che svolgono i loro turni articolati su trentasei
ore settimanali per sei giorni compreso il sabato. Attualmente siamo in concertazione con i sindacati
per il cambiamento dell'orario di lavoro dei due agenti che verrà articolato sempre su trentasei ore
settimanali, con turni non più fissi come è stato fino ad ora, ma con turni modulati sulle esigenze del
comune. Per esempio in occasione del consiglio comunale il turno partirà dalle ore 18,00 alle ore
24,00. Quando ci sarà l'esigenza di controllare i parchi e le aree a verde del paese il turno
pomeridiano non sarà fisso dalle ore 12,30 alle ore 18,30, come è stato finora, ma dalle 14,00 alle
20,00 e così via. La domanda è la seguente: i turni così articolati su sei giorni settimanali
ammontano a trentasei ore settimanali o a trentacinque ore settimanali? Chiedo gentilmente un
chiarimento su quanto chiesto. faccio presente che i turni finora sono stati sempre : ore 7,30- 13,30 e
12,30-18,30 , mentre d'ora in poi i turni saranno più flessibili prevedendo , dal mese di aprile al mese
di settembre anche turni notturni cioè fino alle 24,00.
Risposta
L’art. 22, comma 1, del CCNL 1.4.1999 prevede l’applicazione al personale adibito a regimi di orario
articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimanale, della riduzione di orario fino a 35 ore
medie settimanali.
Il contratto, pertanto, non sembra preludere ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione rispetto
all’adozione di tale regime orario, indipendentemente dal tipo di turnazione concordata; lascia una scelta
solo in ordine alle modalità di fronteggiare i maggiori oneri derivanti dalla applicazione dell’orario ridotto. In
particolare l’ente li può fronteggiare o con proporzionali riduzioni del lavoro straordinario o con stabili
modifiche dell’assetto organizzativo.
Qualora si intenda organizzare il servizio della Polizia su 36 ore settimanali, è possibile prevedere che per
ogni settimana di servizio a 36 ore ogni dipendente maturi un credito di un’ora che può essere accumulato
dando luogo a successive forme di riposo.
Quesito 4 (n. 86/2010)
In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale
non in occasione di consultazioni elettorali ma ad es. in caso di calamità naturali (neve):
- tutte le ore fatte vanno recuperate indipendentemente dalla durata della giornata lavorativa
ordinaria?
- entro quale termine?
- Il recupero può essere frazionato in più volte?
- sono retribuite con quale percentuale?
Risposta
In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale per
fronteggiare situazioni di lavoro imprevedibili ed eccezionali (art. 38 CCNL 14.9.2000), quali quelle da voi
indicate (neve),
se chieste a pagamento:
viene riconosciuto lo straordinario maggiorato come segue:
- 30% per il lavoro straordinario prestato nei giorni festivi o in orario notturno (dalle ore 22 alle ore 6
del giorno successivo);
- 50% per il lavoro straordinario prestato in orario notturno-festivo
Se invece vengono chieste a recupero:
possono essere recuperate tutte le ore effettuate, anche se di durata superiore alla giornata lavorativa
ordinaria, compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio, anche frazionando il recupero,
concordandolo con il responsabile del servizio. Contrattualmente non c’è un termine massimo per il
recupero, gli enti possono stabilirlo autonomamente, in via preventiva, per uniformare il trattamento dei
dipendenti.
Fattispecie diversa è invece quella disciplinata dall'art 24 del CCNL 14.9.2000, integrato dall'art. 14
CCNL 5.10.2001, che al comma 1 regola il caso di prestazione lavorativa svolta nel giorno di riposo
settimanale per particolari esigenze di servizio; si pensi ad esempio all'apertura, la domenica, di una
mostra che richiede la presenza del personale, normalmente in riposo settimanale. In questo caso, le
esigenze di servizio, seppure particolari, sono programmate, e si applica perciò il sopra citato articolo
che prevede, per ogni ora di lavoro prestata, sia il compenso aggiuntivo pari al 50% della retribuzione
oraria sia il riposo compensativo da fruire di regola (quindi non obbligatoriamente, ma di norma) entro 15
giorni, e comunque non oltre il bimestre successivo.
Quesito 5 (n. 58/2011)
In data 30 giugno 1998 un istruttore direttivo a tempo indeterminato ha chiesto (ai sensi dell’art. 1
comma 58 L. 662/1996) e ottenuto la trasformazione del rapporto di lavoro in tempo parziale 18/36.
Visto il comma 14 art. 4 CCNL comparto Regioni Autonomie Locali stipulato il 14.09.2000 (code
contrattuali), allo scadere del biennio il dipendente ha diritto di tornare a tempo pieno anche in
soprannumero o, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto
in organico;
preso atto che dopo la scadenza del biennio, luglio 2000, il dipendente in questione non si è avvalso
di detto diritto;
nel corso degli anni successivi questa Amministrazione ha variato la dotazione organica, in
particolare ha trasformato il tempo pieno del suddetto istruttore direttivo in tempo parziale 18/36;
solo ora in data ottobre 2011 il dipendente ha chiesto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo
parziale a tempo pieno.
Questa a.c. intende non accogliere tale richiesta per i seguenti motivi:
preso atto che detta richiesta non può essere accolta essendo scaduti i termini contrattuali;
il posto in dotazione organica è stato trasformato in tempo parziale;
visti gli obblighi imposti dalla normativa sul tetto della spesa personale in particolare art. 1
comma 562 L.296/2006 nonché il parametro tra spese personale spese correnti di cui all’art. 14
comma D.L. 78/10.
E’ corretta tale interpretazione, anche alla luce della delibera n.2/2009/Par Corte dei Conti Veneto?
Risposta
- la richiesta del dipendente assunto a tempo pieno, che ha trasformato il rapporto a tempo parziale, di
ritornare a tempo pieno, può essere esercitata alla scadenza del biennio: con ciò si intende però che il
dipendente deve lasciar trascorrere almeno un biennio dalla trasformazione ma, decorso tale termine, può
in qualunque momento esercitare il proprio diritto. Si tratta quindi di un termine iniziale e non di un termine
finale. La natura del termine dovrebbe quindi indurre gli enti a mantenere prudenzialmente invariata (e
quindi a tempo pieno) la previsione di spesa per il suddetto personale, proprio perché soggetta a possibile
riespansione nel caso di rientro dal tempo parziale. La natura “minima” del termine biennale è confermata
anche dal parere ARAN n. RAL 307 che si allega in calce alla presente.
- Il CCNL 14.9.2000, art. 4, prevede che il ritorno a tempo pieno, decorsi i due anni dalla trasformazione,
possa essere esercitato dal dipendente anche se “in soprannumero”, mentre la disponibilità del posto in
organico è circoscritta solamente all’ipotesi di richiesta di rientro a tempo pieno prima della scadenza dei 2
anni. Quindi, nel caso in esame, la previsione del CCNL supera il motivo ostativo costituito dalla
trasformazione del posto.
- La richiesta di rientro a tempo pieno è qualificata dal CCNL come “diritto” del lavoratore, condizionata solo
dal termine biennale; la delibera da voi citata esplicitamente esclude che il diritto individuale possa essere
limitato dalle norma sul contenimento della spesa, tenuto conto che, come si diceva, una corretta
previsione della spesa potenziale per il dipendente avrebbe dovuto tener conto dell’importo relativo al
tempo pieno, proprio per non dover subire conseguenze negative inaspettate nel caso di rientro dal tempo
parziale.
- Il divieto al rientro potrebbe essere sancito solo da una specifica disposizione contraria, che però non si
rinviene attualmente nell’ordinamento; al contrario, si è recentemente introdotta la sola possibilità di
negare la trasformazione da tempo pieno a part-time (che prima era un diritto differibile al massimo di 6
mesi) in occasione della modifica del D.L.112/08 alla L. 662/96.
- Poiché, infine, il dipendente era stato assunto in origine a tempo pieno, non si possono neppure, a nostro
parere, opporre le limitazioni alle assunzioni attualmente vigenti, che invece dovrebbero essere tenute in
conto qualora il dipendente fosse stato assunto a tempo parziale; in questo caso infatti la trasformazione
del rapporto sarebbe equivalsa a nuova assunzione, con tutte le conseguenze del caso.
Per questi motivi la richiesta del dipendente appare legittima.
Quesito n. 6 (n. 63/2011)
In Comune sono presenti due agenti di Polizia Locale cat C che, a turno durante i consigli comunali
si occupano di curare la registrazione audio della seduta consiliare, si occupano
dell'approvvigionamento di acqua per i consiglieri e curano l'apertura e chiusura del comune oltre a
fare tutte le fotocopie per i consiglieri che durante la seduta chiedono copia di qualche documento.
Uno dei due agenti si rifiuta di occuparsi di tali incombenze ritenendole al di fuori del cd mansionario
e non ascrivibili al profilo di appartenenza ( cat C). Si precisa però che l'art. X del vigente
regolamento di polizia locale del comune così recita: " Oltre ai compiti ed alle funzioni derivantigli da
leggi e regolamenti in relazione alla qualifica rivestita,rientrano tra i compiti particolari degli operatori
di polizia municipale: comma 21: disimpegnare tutti gli altri servizi che nell'interesse del comune
sono loro ordinati". Alla luce del citato comma l'Assessore x , in apertura di seduta consiliare,
invitava l'agente di polizia locale a procedere alla registrazione della seduta ricevendo come risposta
dall'agente un atteggiamento di diniego e di rifiuto ad adempiere a quanto richiestogli e, inoltre a
chiusura di seduta si rifiutava di occuparsi della chiusura del comune. A seguito di quanto sopra
l'assessore al personale ha investito della questione la commissione di disciplina del comune. Si
chiede di sapere se è legittimo procedere con un procedimento disciplinare e quindi chiede di sapere
se le incombenze chieste all'agente in questione si possono richiedere o, se , non si possono
richiedere e dunque il procedimento disciplinare è illegittimo.
Risposta
Nel caso prospettato, la norma di riferimento è l’art. 52 comma 1 del d.lgs. 165/01, secondo il quale
“Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni
equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che
abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera
a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini
dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.”
Nel caso di specie, è necessario preliminarmente valutare se le mansioni richieste al lavoratore siano
equivalenti professionalmente a quelle proprie del suo inquadramento. A questo proposito, la Cassazione
(sentenze n.12121/1995; n.7040/1998) ha più volte affermato che, perché si possa parlare di equivalenza,
non si deve far riferimento esclusivamente all’appartenenza astratta alla stessa categoria, ma è necessario
che le mansioni siano aderenti alla competenza tecnico-professionale del dipendente; ne consegue che la
questione sarà sempre da esaminare in concreto, in relazione a contenuto, natura, modalità di svolgimento
delle stesse. Fatta tale premessa, in riferimento alla presente fattispecie, gli elementi prospettati inducono a
ritenere che non si possa parlare di mansioni equivalenti.
In merito alla mancata equivalenza, è implicito, in via generale, il divieto di modificare in peius le mansioni
rispetto alla professionalità per cui il dipendente è assunto o che ha successivamente acquisito, fatte salve le
deroghe esplicite di legge, nel caso in cui il demansionamento sia l’unica alternativa al licenziamento o nel
caso di inidoneità a svolgere la mansione originaria per inabilità sopravvenuta. Al di fuori di tali ipotesi, il
lavoratore può chiedere il risarcimento del danno purché provi l’avvenuto demansionamento illegittimo.
A questi principi generali si affianca un’ampia elaborazione giurisprudenziale, in base alla quale, pur non
essendo espressamente previsto da alcuna norma, sia possibile richiedere al lavoratore lo svolgimento di
mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del profilo posseduto, purché le stesse abbiano carattere
marginale e strumentale/accessorio rispetto all’attività principale svolta dal lavoratore e la richiesta non sia
pretestuosa o lesiva della dignità del lavoratore.
Tale interpretazione si basa sul generale obbligo di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni nonché
sul dovere di collaborazione che incombe sul lavoratore subordinato (art. 2094 cod.civ.), oltre che sui canoni
di buon andamento, efficacia ed efficienza cui deve essere improntata l’attività delle pubbliche
amministrazioni.
In questo senso depongono numerose sentenze della Cassazione; in particolare la n. 2045 del 25.2.1998
specifica che, per ragioni di efficienza ed economia del lavoro o di sicurezza, possano essere affidate
mansioni inferiori in modo incidentale e marginale; la sentenza n. 6714 del 2.5.2003 ritiene legittima la
richiesta di svolgimento di mansioni di livello inferiore purché marginali ed accessorie rispetto alla
competenza principale e purché non rientrino nella competenza di altri lavoratori di professionalità meno
elevata; la Cassazione, in questa sentenza, ha anche affermato non essere rilevante la circostanza per cui il
legittimo comportamento del datore di lavoro non avesse carattere straordinario ma costituisse una prassi
aziendale, come appunto pare nel caso di specie allorché si riunisce il Consiglio comunale.
Secondo le sentenze n.7821 dell’8.6.2001 2 n. 11045 del 10.6.2004, una volta che l’attività prevalente e
assorbente del lavoratore corrisponde alla sua qualifica, è legittima l’adibizione a mansioni inferiori rispetto
alla prima, purché accessorie alla stessa e svolte con carattere marginale per motivate esigenze aziendali.
Ancora, la sentenza 17774 dell’agosto 2006 ribadisce l’orientamento consolidato, in base al quale l’attività
prevalente e assorbente svolta dal lavoratore deve essere quella della categoria di appartenenza ma, per
ragioni di economia, efficienza o sicurezza possono essere richieste, incidentalmente e marginalmente,
attività di livello inferiore, ed il lavoratore è tenuto ad espletarle.
Lo stesso orientamento è confermato dall’ARAN nel parere RAL 117, che sottolinea la necessità che i
compiti inferiori affidati siano strumentali rispetto alle mansioni prevalenti.
La norma regolamentare del Comune, anche se di tenore molto generale, quale norma di chiusura cui
frequentemente si ricorre, può essere un ulteriore elemento di forza cui fare riferimento anche se comunque
deve necessariamente raccordarsi con l’art. 52 del d.lgs. 165/01 citato in apertura.
Nel caso segnalato, è quindi fondamentale capire se le mansioni svolte in aggiunta a quelle proprie della
polizia municipale, se, come appare, ritenute di livello inferiore rispetto alle prestazioni tipiche della cat. C,
siano svolte in maniera marginale e se possano considerarsi accessorie rispetto a quelle prevalenti e tipiche
del profilo.
Altro elemento di cui tener conto è la presenza o meno di personale di categoria inferiore competente a
svolgere le funzioni in questione. A questo proposito, non si può prescindere da un esame concreto della
situazione di fatto in cui tale fattispecie si presenta con particolare riferimento alla condizione organizzativa e
gestionale in cui si trova un Comune di soli 3.900 abitanti, con un numero estremamente ridotto di
dipendenti, la cui assunzione o sostituzione si rivela limitata e problematica, che devono far fronte a compiti
numerosi e variegati.
E’ necessario rammentare che le motivate esigenze aziendali costituiscono un valido punto di forza per
ammettere, nei limiti più sopra indicati, lo svolgimento di mansioni inferiori in modo marginale.
A quanto è dato comprendere, sulla base di una sintetica illustrazione dei fatti, parrebbero potersi rinvenire
nella situazione di fatto descritta le caratteristiche della marginalità, dell’incidentalità e dell’accessorietà nelle
prestazioni richieste, rispetto alle funzioni prevalenti del lavoratore, che paiono occupare interamente il
tempo lavorativo dei vigili, fatte salve le eccezioni oggetto della presente disamina. Nel caso si ritengano
presenti le condizioni sopra indicate, allora il lavoratore potrebbe essere passibile di procedimento
disciplinare, in ipotesi per inosservanza delle disposizioni di servizio.
Si ricorda infine che in base a una giurisprudenza consolidata, l’onere della prova in ordine al mancato
demansionamento e alla legittimità del proprio operato spetta al datore di lavoro (Cass. N. 4766 del
6.3.2006), mentre è in capo al lavoratore provare in giudizio il danno derivante dalla dequalificazione
professionale/demansionamento, non essendo automaticamente riconducibile a tale situazione,
quand’anche fosse riconosciuta, .una situazione di pregiudizio per il lavoratore tale da portare al risarcimento
di un danno.
Quesito 7 (n. 15/2010)
Indennità di rischio e disagio: devono essere pagate in base alla presenza in servizio?
Risposta
In relazione al quesito avanzato, si riportano di seguito alcune indicazioni tratte da orientamenti dottrinali e
dall’esame di alcuni contratti collettivi decentrati.
INDENNITA’ DI DISAGIO (CCNL EE. LL. 1.4.1999 art. 17)
La definizione dei criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità e l’ammontare dell’indennità stessa
sono di competenza della contrattazione decentrata.
L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento.
L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva presenza in servizio e deve essere, pertanto,
proporzionata in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale. In proposito si richiamano le indicazioni fornite
in merito dall’Aran: “Compensi per attività disagiate: occorre, in primo luogo, individuare con chiarezza i
contenuti delle prestazioni lavorative che possono essere causa di disagio per i lavoratori interessati, è
evidente che il disagio è una condizione del tutto peculiare e non può coincidere con le ordinarie prestazioni
di lavoro (come i rientri pomeridiani) e non può riguardare tutti (o quasi) i dipendenti dell’ente; non è corretto
neanche assegnare il compenso per disagio a specifiche prestazioni che sono già oggetto di specifici
compensi definiti dal CCNL (come il turno o la reperibilità); occorre, poi, determinare l’importo del compenso
che deve essere corrisposto ai lavoratori interessati per il periodo di effettivo svolgimento delle
prestazioni disagiate (sono escluse le assenze); il relativo valore deve essere fissato con criteri
ragionevolezza, tenendo conto dei valori già corrisposti per condizioni analoghe: sarebbe contestabile,
infatti, se venisse pagato un compenso per disagio superiore a quello del turno (che rappresenta la
condizione
più
tipica
e
più
rilevante
del
disagio)”.
Compensi per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio
effettivamente presenti nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il
pagamento del compenso; si deve trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che
siano idonei a mettere a rischio la salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere
correlato al possesso di un profilo professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è
ragionevole ipotizzare che tutti i lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di
rischio a prescindere dalle modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa;
il rischio, in sintesi, è una condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di
categoria e profilo diversi ma può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo.”
INDENNITA’ DI RISCHIO (CCNL EE. LL. 14.9.2000 art. 37 e CCNL 22.01.2004 art. 41)
L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento.
I criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità sono definiti dalla contrattazione decentrata.
L’ammontare dell’indennità è individuato dall’art. 41 del CCNL 22/01/2004.
L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva esposizione al rischio e deve essere proporzionalmente
ridotta in caso di non esposizione.
Le direttive dell’Aran di cui sopra si sono espresse anche in relazione alla presente indennità: “Compensi
per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio effettivamente presenti
nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il pagamento del compenso; si deve
trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che siano idonei a mettere a rischio la
salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere correlato al possesso di un profilo
professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è ragionevole ipotizzare che tutti i
lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di rischio a prescindere dalle
modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa; il rischio, in sintesi, è una
condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di categoria e profilo diversi ma
può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo”.
Per quanto concerne il rapporto tra indennità di rischio e quella per attività disagiate, la relativa cumulabilità
deve intendersi esclusa in quanto la “condizione di rischio” può essere considerata come fattispecie tipica
della più ampia “condizione di disagio”, come affermato anche dall’Aran.
Da quanto sopra risulta evidente che i principi che sono alla base del disagio si applicano anche al rischio.
Quesito 8 (n. 55/2010)
Un agente di polizia municipale cui mensilmente viene retribuita l'indennità di vigilanza di € 1.110,00=
annui, gode del congedo facoltativo per maternità. L'indennità deve comunque venire pagata a
questo agente ?
Risposta
L’indennità di vigilanza riconosciuta all’agente di polizia locale è considerata una voce di trattamento
economico fisso del dipendente.
Atteso che tale indennità è legata al profilo professionale ricoperto dal dipendente, si ritiene che, anche nel
caso di assenza per congedo facoltativo per maternità, l’indennità in oggetto debba comunque essere
corrisposta.
Quesito 9 (n. 85/2010)
Si chiede se gli incarichi di progettazione per un importo superiore a €. 5.000,00.= siano da inviare
alla corte dei conti.
Risposta
In relazione al quesito presentato si osserva in via preliminare che negli ultimi tempi si sono succeduti
numerosi – e non sempre ben coordinati – interventi da parte del legislatore, tesi principalmente a limitare
l’uso dello strumento degli incarichi, per ragioni di contenimento della spesa pubblica. Sinteticamente si
ricordano:
- l’art. 1, co. 127 della L. 662/1996;
- l’art. 1 commi 11 e 42 della L. 311/2004;
- l’art. 1, co. 173 della L. 266/2005
- Legge Finanziaria n. 244/2007 per il 2008.
Vanno altresì ricordati l’art. 7 del D.Lgs. 165/2001 relativo all’affidamento di incarichi professionali riferibili ad
attività consulenziali, nonché l’art. 91 del D.Lgs. 163/2006 inerente ad attività di progettazione e di direzione
lavori.
L’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), attualmente vigente, dispone un obbligo
per gli enti locali (di cui all’art. 1, co. 2 del D.Lgs. 165/2001) di trasmissione alla competente sezione della
Corte dei conti degli “atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro relativi ad incarichi di studio, di
consulenza, alle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza ai fini
dell’esercizio del controllo successivo sulla gestione”.).
Tale obbligo vale anche per i Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti.
Al riguardo va ricordato che la Corte dei conti, sez. riunite in sede di controllo, con deliberazione n. 6 del 15
febbraio 2005 ha approvato le linee di indirizzo e i criteri interpretativi sulle disposizioni della Legge
Finanziaria per il 2005 in materia di affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza. La
Corte ha precisato che gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da
parte dell’amministrazione, mentre le consulenze riguardano le richieste di pareri ad esperti; gli incarichi di
studio presuppongono la consegna di una relazione scritta finale, nella quale sono illustrati i risultati e le
soluzioni proposte; il contenuto di tali incarichi coincide con il contratto di prestazione d’opera intellettuale.
La Corte, nel caso specifico, esclude dall’ambito di applicazione degli artt. 11 e 42 della Legge Finanziaria
2005, e cioè dall’obbligo di comunicazione, le prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o
adempimenti obbligatori per legge; la rappresentanza in giudizio e il patrocinio dell’amministrazione; gli
appalti e le esternalizzazioni di servizi necessari per raggiungere gli scopi dell’amministrazione.
Con deliberazione n. 4 del 17 febbraio 2006, la Corte dei Conti, sez. Autonomie, nel dettare linee
giuda per l’attuazione dell’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 nei confronti di Regioni ed Enti
Locali, precisa che il rinvio del comma 173 ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 è limitato alla sola
individuazione della tipologia di atti da trasmettere alla Corte.
Tale deliberazione sembra mantenere, pertanto, la distinzione (già enucleata dalla stessa Corte dei
Conti nella delibera n. 6 del 2005) tra incarichi “operativi”, tra cui rientrano quelli di progettazione, ed incarichi
finalizzati a sostenere i processi decisionali delle Amministrazioni, con presumibile mantenimento
dell’esclusione dei primi dall’applicazione delle norme della L. 266/05.
Successivamente al parere reso dalla Corte dei Conti, sez. Autonomie, le sezioni regionali non si
sono espresse in modo univoco.
- La Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Toscana, con deliberazione n.
301/2009, ha affermato che “la Sezione ritiene che le comunicazioni degli atti di spesa di cui
al richiamato comma 173 debbono essere acquisite ed utilizzate nell’ambito della verifica
della gestione finanziaria di ciascun ente, come ulteriore elemento di analisi della spesa
corrente, e dell’impatto di atti di spesa sugli equilibri di bilancio, intendendo escluse le spese
d’investimento e, quindi, anche quelle per gli incarichi in materia di lavori pubblici”. Dello
stesso avviso è la Corte dei conti dell’Abruzzo (parere 262/08).
- Di orientamento opposto è la Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per l’Emilia Romagna,
che, con deliberazione n. 7/2009, ha specificato che “tenuto conto che le norme attualmente
in vigore non contemplano alcuna esclusione dall’obbligo di invio in ragione del settore di
attività al quale si riferisce l’incarico conferito, è da ritenere che anche gli incarichi inerenti ai
servizi di architettura e di ingegneria (progettazione, direzione lavori, collaudi…) di cui al
D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) di importo superiore a cinquemila euro
debbano essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti”. Dello
stesso avviso è la Sezione regionale di controllo per il Piemonte (cfr. pareri n. 3/2007 e n.
3/2008).
Va inoltre ricordato che la circolare n. 23 del14/06/2005 del Ministero dell’Economia e delle Finanze –
Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – avente ad oggetto la deliberazione n. 6/05 della Corte
dei conti sopra richiamata, precisa che “sono state escluse dal campo di applicazione delle disposizioni
contenute nel comma 11 (della legge Finanziaria 2005) le prestazioni professionali consistenti nella resa di
servizi o adempimenti obbligatori per legge, la rappresentanza e la difesa dell’amministrazione in giudizio, le
consulenze facenti parte integrante di gare di appalto di lavori pubblici e le “esternalizzazioni” di servizi per
raggiungere gli scopi dell’amministrazione”. La Ragioneria Generale dello Stato precisa, inoltre, che “i
contratti rientranti nelle previsioni del comma 11 della L.F. 2005 sono quelli aventi ad oggetto: attività di
studio; attività di ricerca; attività di consulenza estrinsecatesi in pareri, valutazioni, espressione di giudizi,
supporti specialistici.
Non vanno, conseguentemente, trasmessi alla Corte dei conti i contratti di collaborazione aventi oggetto
diverso dai sopra elencati”.
Con ulteriore circolare n. 7 del 10.02.2006, la Ragioneria Generale dello Stato conferma quanto già espresso
nelle precedente circolare sopra richiamata, evidenziando che i commi 9 e10 della L.F. 2006 si riferiscono a
spese per studi e consulenze, spese di rappresentanza, pubblicità, mostre, convegni, mentre gli articoli 56 e
57 si riferiscono esclusivamente agli incarichi aventi ad oggetto attività di consulenza.
In dottrina si ricorda la posizione di Luigi Oliveri, il quale, pur condividendo la tesi esposta dalla Sez.
Autonomie e rilevando la diversa disciplina degli incarichi contenuta nel D.Lgs. 165/2001 e nel D.Lgs.
163/2006, ritiene utile, per mere ragioni di prudenza, che laddove aggiudicatari delle prestazioni di servizi
risultino persone fisiche, si provveda comunque a trasmettere il carteggio alle sezioni di controllo, se
l’importo del contratto è superiore ai 5.000 euro.
Alla luce
- della pronuncia della Corte dei Conti, sez. Autonomie,
- degli orientamenti non univoci delle sezioni regionali della Corte dei conti e
- delle circolari della Ragioneria Generale dello Stato,
si ritiene, a parere dello scrivente, si possa sostenere che gli incarichi di servizi di architettura e ingegneria
non sono sottoposti all’obbligo della comunicazione, senza peraltro voler escludere comportamenti
improntati alla massima prudenza se ritenuti preferibili dalle singole amministrazioni.
Quesito 10 (n.59/2011)
Sottoponiamo i seguenti quesiti:
- relativamente a personale a tempo indeterminato:
1) alla luce della sentenza della Corte dei Conti Sezioni Unite n. 51 del 04/10/2011 relativa alla
“possibilità di remunerare prestazioni professionali per la progettazione di opere pubbliche ……”,
è possibile estendere quota di tale incentivo anche al RUP e collaboratori anche se la
progettazione dell’opera è stata eseguita da un professionista esterno?
2) le somme riguardanti tali incentivi, inseriti alla lettera “K” del fondo incentivante, sono escluse dal
limite dell’anno 2010 (comma 2 bis art. 9 D.L. 78/2010)?
- relativamente a personale a tempo determinato assunto con incarico ai sensi dell’art. 110:
3) è possibile incaricarlo della progettazione interna di un’opera e liquidare il relativo incentivo
“Merloni”?
4) gli spetta quota parte dell’incentivo “Merloni” per il RUP anche senza progettazione interna ma
con professionista esterno?
Risposta
1) Si ritiene che la percentuale di incentivo determinata in base al regolamento del Comune vada
riconosciuta al RUP e agli eventuali collaboratori anche nel caso di progettazione affidata all'esterno, se ed
in quanto egli svolga comunque i propri compiti di coordinamento e controllo sull'attività di progettazione, in
quanto si tratta di incarichi diversi. Ciò pare confermato dall'art. 92 comma 5 del D.lgs. 163/06,secondo il
quale:
•
le quote di incentivo corrispondenti a prestazione svolte all'esterno sono da considerarsi
economie
•
la ripartizione degli incentivi tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni da svolgere sulla base dell'accertamento dell'attività svolta dai dipendenti ad
opera del dirigente competente;
si ritiene per questo motivo che le quote di prestazioni che continuano ad essere svolte all'interno
possano essere remunerate con la quota di incentivo fissata dal regolamento interno per quelle
prestazioni.
2) le ultime pronunce delle sezioni regionali della Corte dei conti (Liguria n. 16/2011, Lombardia n. 435/2011,
Piemonte 57/2011), ed in particolare la pronuncia delle sezioni riunite n. 51 del 4.10.2011 hanno affermato
l'esclusione dei compensi in argomento dal blocco disposto dall'art.9 comma 2 del D.L. 78/2010 in quanto
“...le sole risorse di alimentazione dei fondi da ritenere non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 9,
comma 2-bis, sono solo quelle destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati
o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso all’esterno dell’amministrazione
pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti. Pertanto in tali ipotesi dette risorse
alimentano il fondo in senso solo figurativo dato che esse non sono poi destinate a finanziare gli incentivi
spettanti alla generalità del personale dell’amministrazione pubblica. 4.2. Detta caratteristica ricorre per
quelle risorse finalizzate a incentivare prestazioni poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, in
quanto in tal caso si tratta all’evidenza di risorse correlate allo svolgimento di prestazioni professionali
specialistiche offerte da personale qualificato in servizio presso l’amministrazione pubblica; peraltro, laddove
le amministrazioni pubbliche non disponessero di personale interno qualificato, dovrebbero ricorrere al
mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni con possibili aggravi di costi per il bilancio dell’ente
interessato. Deve aggiungersi, con specifico riferimento a tale tipologia di prestazione professionale, che
essa afferisca ad attività sostanzialmente finalizzata ad investimenti. 4.3. Caratteristiche analoghe
presentano le risorse che affluiscono al fondo per remunerare le prestazioni professionali dell’avvocatura
interna (comunale/provinciale), in quanto, anche in questo caso, si tratta di prestazioni professionali tipiche
la cui provvista all’esterno potrebbe comportare aggravi di spesa a carico dei bilanci delle amministrazioni
pubbliche.”
La Corte suggerisce altresì che:
“4.6. Alla luce di quanto precede deve aggiungersi che, ai fini del calcolo del tetto di spesa cui fa riferimento
il vincolo di cui al citato art. 9, comma 2-bis, e cioè per stabilire se l’ammontare complessivo delle risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale non superi il corrispondente importo
dell’anno 2010, occorrerà sterilizzare, non includendole nel computo dell’importo 2010, le risorse destinate a
dette finalità, vale a dire progettazione interna e prestazioni professionali dell’avvocatura interna; con tale
accortezza sarà così possibile evitare effetti distorsivi nell’applicazione della norma, come ad esempio nel
caso in cui un ente, nel 2010, abbia destinato consistenti risorse a dette finalità, con ciò elevando in modo
improprio il tetto delle risorse complessive destinabili alla contrattazione integrativa.
3) l'art. 91 comma 8 del d.lgs. 163/06 (già art. co. 2 quater della l. 109/94) prevede che:
“E' vietato l'affidamento di attività di progettazione,coordinamento della sicurezza in fase di progettazione,
direzione dei lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione,
collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse
da quelle previste dal presente codice.”
Tale previsione, come anche specificato dall'Autorità di Vigilanza in diversi pareri (deliberazioni nn.
R79/2000, 123/2001, 169/2001, 158/2002, 25/2005) non va intesa quale contrasto assoluto tra attività di
progettazione e lavoratore titolare di contratto di lavoro a termine, purchè tale tipologia contrattuale non sia
intesa ad eludere le norme sull'affidamento dei servizi tecnici.
In altre parole, se il contratto a tempo determinato è stipulato per lo svolgimento di una parte organica di
attività istituzionali dell'ente, nella quale sono funzionalmente ricomprese anche competenze in materia di
progettazione, non siamo in presenza del divieto di cui alla norma sopra citata. Il divieto non opera quindi se
ci troviamo nel caso in cui si ricopra un posto di dotazione organica dell'ente che potrebbe normalmente
essere ricoperto anche con una assunzione a tempo indeterminato. Qualora invece il contratto a tempo
determinato sia stipulato solo ed esclusivamente con la finalità di assegnare una determinata attività di
progettazione, si ricade nel divieto di cui all'art. 91 co. 8.
4) visto quanto affermato al punto precedente, per tale quesito valgono le stesse considerazioni svolte per il
punto 1): se parte delle prestazioni sono svolte all'interno, esse potranno essere remunerate con quota parte
dell'incentivo.
Quesito 11 (n. 86/2012)
Questa amministrazione intende appaltare il servizio mensa scolastica, in quanto non dispone di
personale in numero sufficiente per proseguire nella gestione diretta del servizio, attualmente in
corso.
Si intenderebbe però continuare ad impiegare il proprio personale qualificato (cuoco, aiuto cuoco)
nel suddetto servizio, non avendo la necessità né la possibilità di “recuperarlo” su altri servizi con
pari qualifica.
Si chiede se sia possibile il distacco c/o la ditta appaltatrice per la durata dell’appalto, in base ad
apposita clausola da inserire nel capitolato.
Risposta
Al fine di fornire una risposta al quesito posto, si indicano, quali elementi normativi imprescindibili, i seguenti:
l’art. 6 bis e l’art.31 D.lgs 165/01, l’art. 2112 c.c. e, da ultimo, l’art.13 della L.183/2010, il c.d. collegato lavoro,
sulla base dei quali si può affermare che, in caso di conferimento di attività ovvero di trasferimento (*), si
verifica una eccedenza di personale e ciò che si deve assolutamente evitare è una duplicazione dei costi per
l’ente, quelli per remunerare il soggetto terzo e quelli per il pagamento del personale in servizio presso l’ente,
non proficuamente occupato.
Da quanto sopra brevemente esposto, deriva che le Pubbliche Amministrazioni, in caso di esternalizzazione
di servizi, hanno l’obbligo di attivarsi perché non abbiano a verificarsi tali effetti negativi sulle proprie risorse
finanziarie.
Sulla base del combinato disposto delle norma sopra richiamate, sembra che a tal fine le strade percorribili
siano due:
• attuare le disposizioni di cui all’art.33 D.lgs.165/2001, come modificato dalla L.183/2011, e cioè verificare
la possibilità di utile e proficua ricollocazione all’interno della amministrazione ovvero presso altre
amministrazioni; in caso negativo mettere il personale in esubero in mobilità ovvero
• prevedere in sede di gara che il personale, in precedenza impiegato nel servizio reso all’interno, passi
alle dipendenze del soggetto, pubblico o privato , che svolgerà nel futuro il servizio. In tale caso il
rapporto di lavoro del dipendente pubblico continuerà con il nuovo soggetto, dal quale il primo dipenderà
a tutti gli effetti pur con la salvaguardia dei diritti acquisiti precedentemente e del contenuto economico
pure acquisito.
Ne deriva in via diretta una serie di operazioni in materia di personale: il congelamento dei posti in dotazione
organica, il ritocco della dotazione e, qualora il personale transiti alle dipendenze del soggetto terzo ovvero
venga assegnato in mobilità ad altra pa ovvero messo in mobilità, la riduzione dei costi della contrattazione
decentrata.
In ordine alla precisa domanda posta, si segnala l’orientamento prevalente secondo il quale non sussistono
le condizioni giuridiche che consentono di assegnare provvisoriamente il dipendente pubblico al soggetto
privato che è individuato come gestore del servizio, in particolare tramite l’aspettativa e/o il comando.
Secondo tale linea interpretativa, infatti, il comando ed il distacco del personale pubblico possono essere
disposti solo nei confronti di amministrazioni pubbliche e non nei confronti di soggetti privati.
Non si tralascia, peraltro, di menzionare, per completezza espositiva, una posizione minoritaria, secondo la
quale, se la fonte per la disciplina del comando viene individuata nel codice civile, si può ritenere che non
sussistono vincoli o prescrizioni che possano circoscrivere il comando stesso alle sole pubbliche
amministrazioni dovendosi, invece, ritenere praticabile anche una mobilità temporanea da e verso aziende
private. Saranno i soggetti interessati al comando a definire consensualmente le condizioni e i tempi della
utilizzazione del lavoratore e l’accollo dei relativi oneri finanziari; il tutto con la capacità e i poteri del privato
datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001.
(*)Se con il termine conferimento si ritiene che la fattispecie di riferimento sia la costituzione di una società, con il termine
trasferimento, di più ampia portata, si ritiene che nella relativa disciplina sia ricompreso anche l’affidamento con appalto.
A maggior ragione il collegato lavoro ha espressamente contemplato anche la esternalizzazione di attività e servizi,
sancendo il principio del divieto di duplicazione della spesa a seguito di detti processi. Pertanto, se il personale non
passa al soggetto affidatario della attività ovvero non viene utilmente ricollocato all’interno, afferma la norma, deve
essere messo in disponibilità per la durata massima di 24 mesi. Si segnala come la mancata segnalazione delle
eccedenze di personale sia valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale in capo al dirigente.
Quesito 12 (n. 93/2012)
Si chiede se è possibile incrementare la percentuale di part-time di un dipendente pubblico, assunto
nel 2010 con rapporto di lavoro part-time al 66,67%.
A tale fine che si procederà ad una verifica del rispetto della spesa di personale nonché del risparmio
che l’amministrazione conseguirebbe adibendo il personale anziché ricorrere al mercato.
Risposta
Se il dipendente fu assunto nel 2010 su un posto di organico a tempo parziale, la trasformazione del posto a
tempo pieno equivale a nuova assunzione, con tutte le conseguenze del caso, come specifica la
deliberazione n. 51/2012 della Corte dei Conti Lombardia, che afferma:
” .. l’aumento delle ore lavorative del personale in servizio è sicuramente assimilabile ad una nuova
assunzione nel caso in cui il dipendente era stato assunto a tempo parziale …”
“Al contrario, si dovrebbe pervenire alla conclusione che la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo
parziale a tempo pieno non è assimilabile a nuova assunzione, nel caso in cui i dipendenti siano stati assunti
originariamente a tempo pieno e abbiano successivamente avuto una riduzione dell’orario di lavoro…”.
Quindi nel primo caso (posto originario a tempo parziale),viene in rilievo l’art. 3 comma 101 della legge
finanziaria 2008, che prevede:
“La trasformazione del rapporto a tempo pieno del personale assunto a tempo parziale, può avvenire nel
rispetto delle modalità e dei limiti previsti in materia di assunzioni. In caso di assunzione di personale a
tempo pieno, è data la precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti assunti a
tempo parziale che ne abbiano fatto richiesta.”
Essendo in presenza di una scelta discrezionale dell’ente, devono essere rispettate tutte le regole
attualmente in vigore per gli enti, a seconda della loro dimensione: rispetto del patto di stabilità, rispetto del
contenimento delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 della finanziaria 2007, rispetto delle regole
sul turn-over, rapporto tra spese di personale e spese correnti inferiore al 50%.
Nel secondo caso invece (posto originario a tempo pieno), la trasformazione può avvenire nel rispetto dei
limiti di spesa previsti per l’ente dall’art. 1 co. 562 della L. 296/06 (recentemente modificati dal D.L. 16/2012,
convertito nella L.44, con la sostituzione del limite del riferimento all’anno 2004 con il 2008). .D’altra parte, se
il posto fosse stato originariamente a tempo pieno, l’ente avrebbe dovuto comunque tenerne conto nelle
spese di personale, in quanto il lavoratore, decorsi i due anni dalla trasformazione in part-time, ha diritto al
rientro a tempo pieno, e non vi è spazio alcuno alla discrezionalità dell’amministrazione. La natura del
termine biennale previsto dal CCNL dovrebbe quindi indurre gli enti a mantenere prudenzialmente invariata
(e quindi a tempo pieno) la previsione di spesa per il suddetto personale, proprio perché soggetta a possibile
riespansione nel caso di rientro dal tempo parziale.
In questo senso si vedano anche i pareri di Gianluca Bertagna
http://www.gianlucabertagna.it/2012/03/07/ancora-sulla-trasformazione-del-part-time/
Quesito 13 (n. 94/2012)
Un dipendente comunale in part-time al 66,67%, ha la possibilità di poter svolgere, previa
autorizzazione del datore di lavoro, attività di collaborazione occasionale a favore di committente
privato, nel limite del compenso di € 5.000,00 lordi annui?
Quali obblighi di comunicazione incombono sul lavoratore di che trattasi e quali sono gli
adempimenti fiscali previsti per legge?
E quali i doveri del datore di lavoro nei confronti del predetto lavoratore?
Risposta
Trattandosi di dipendente con rapporto di lavoro superiore al 50%, vige il divieto di esercitare altre attività di
lavoro, come previsto dall’art. 53 del d.lgs.165/01, dall’art. 60 del DPR 3/57; qualora, invece, la percentuale
di part time sia uguale o inferiore al 50% tale divieto non sussiste (l. 662/96, art. 1, commi 56-65).
Tale disciplina si basa sul dovere di esclusività del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti, da cui
discende il divieto, per il dipendente, di svolgere prestazioni, collaborazioni od accettare incarichi, a titolo
oneroso, senza averne prima ottenuto formale autorizzazione.
Pertanto, l'eventuale prestazione di attività esterne (occasionali) al rapporto di lavoro con il comune deve
essere valutata preventivamente, e, quindi, assoggettata ad autorizzazione, anche in base e con le modalità
previste eventualmente nel proprio regolamento degli uffici e dei servizi.
L'ente di fronte alla richiesta, deve valutare se non vi sia conflitto di interessi fra le attività e, inoltre, valutare
la compatibilità in termini di impegno rispetto alle attività istituzionali e rispetto al puntuale adempimento delle
funzioni presso il comune.
E' quindi necessario che l'autorizzazione sia presentata, ed eventualmente rilasciata, prima dello
svolgimento dell'attività. La legge prevede anche che, in caso di silenzio da parte dell'amministrazione, operi
il silenzio-assenso dopo 60 giorni dalla presentazione della richiesta, per cui l'attività deve intendersi
autorizzata; chiaramente, anche in questo caso, comunque la richiesta deve essere precedente rispetto
all'inizio dell'attività.
Le attività che possono essere autorizzate coincidono con prestazioni occasionali; in nessun caso può
essere autorizzato lo svolgimento di un’altra attività di lavoro subordinato, né di collaborazione coordinata e
continuativa.
Il lavoratore deve quindi obbligatoriamente comunicare tutti i dati relativi alla prestazione occasionale
(soggetto che conferisce l’incarico, oggetto della prestazione, durata e impegno presunti, compenso
presunto, luogo e modalità di svolgimento dell’attività) prima di effettuarla al fine di ottenere la relativa
autorizzazione del Comune.
Nessun obbligo di tipo fiscale incombe sul Comune, ma sarà cura del lavoratore, in occasione della
presentazione della denuncia dei redditi dichiarare, oltre ai redditi da lavoro dipendente presso il Comune,
anche i redditi relativi a tali prestazioni.
Quesito 14 (n. 101/2012)
Questa Amministrazione comunale. nel contratto decentrato integrativo ha fissato la misura del
compenso, entro la forcella prevista dal CCNL 9.5.2006, cioè entro il tetto massimo di 2.500 euro
annui lordi. La misura è stata differenziata, anche per fasce, in base alla importanza degli incarichi di
specifica responsabilità ovvero alla categoria di inquadramento al rapporto di lavoro tempo pieno o
tempo parziale.
Nello specifico l’indennità prevista per il personale a tempo parziale è stata rapportata alla
percentuale di part-time, esempio:
cat. C tempo pieno € 900,00; cat. C part time 50% € 450,00 (medesimi incarichi di specifica
responsabilità).
Si chiede se è stato correttamente applicato questo istituto contrattuale, in particolare sull’aspetto
della riduzione legato all’effettiva presenza in servizio del dipendente.
Risposta
L’art.17, comma 2, lettera F) CCNL 1/4/1999, come modificato dall’art.36, comma 1 CCNL 22/01/2004 e
dall’art.7 CCNL 9/5/2006, disciplina i compensi per l’esercizio di compiti che comportano specifiche
responsabilità da parte del personale delle categorie B e C.
Remunera inoltre le specifiche responsabilità affidate al personale di categoria D, che non risulti incaricato di
funzioni dell’area delle posizioni organizzative ai sensi degli artt. 8 e 11 CCNL 31/03/1999.
L’importo dell’indennità in oggetto può essere fissato in sede di contrattazione decentrata integrativa, fino ad
un valore massimo di €. 2.500.00 annui lordi, per dodici mensilità, e la relativa graduazione d’importo andrà
definita in relazione alle scelte ed agli indirizzi formulati dagli organi di governo in merito alle condizioni
organizzative dell’ente, contemperando le stesse alle disponibilità di risorse sul fondo risorse decentrate di
cui all’art. 31 del CCNL 22/01/2004.
L’indennità in esame è stata istituita con il preciso scopo di compensare l’esercizio di attività o di compiti
connessi a particolari obiettivi, con specifiche responsabilità da parte del dipendente incaricato, come nel
caso in cui il questo venga nominato responsabile di procedimento o d’ufficio ovvero in altre fattispecie,
anche senza la titolarità di posizione organizzativa.
Nel caso sottoposto all’attenzione dello scrivente ufficio, nel quale l’indennità è stata corrisposta a personale
inquadrato in regime di part-time, si ritiene preferibile, alla luce della ratio dell’istituto, che l’indennità in
oggetto non venga proporzionata alla durata della prestazione lavorativa, in quanto trattasi di compenso
volto a remunerare lo svolgimento di compiti che comportino specifiche responsabilità, non essendo a tal fine
rilevante la durata della prestazione ma lo svolgimento di un compito di particolare responsabilità
Quesito 15 (n. 119/2012)
Si chiedono chiarimenti in merito alla possibilità o meno di autorizzare il vigile del nostro Comune ad
effettuare straordinari in misura superiore ad 12 ore settimanali da effettuarsi in un Comune
convenzionato con il nostro per il servizio di vigilanza, in occasione di una manifestazione
Risposta
In riferimento al vostro quesito si precisa che:
- il limite massimo annuale per le prestazioni di lavoro straordinario, che per la legge (D.lgs. 66/2003)è
fissato in 250 ore annue, è invece ridotto per il nostro comparto dall'art. 14 comma 4 del CCNL
1.4.1999 in 180 ore annue, elevabili solo tramite contratto collettivo decentrato per esigenze
eccezionali di assistenza agli organi istituzionali;
Nella legge e nel contratto collettivo non si rinvengono norme che fissino espressamente il limite
giornaliero o settimanale dello straordinario, che però si può ricavare indirettamente da altra
previsione, vale a dire l'art. 4 comma 2 del D.Lgs. 66/03, in calce riportato per comodità, che fissa la
durata media massima dell'orario di lavoro per ogni periodo di sette giorni in 48 ore comprensive del
lavoro straordinario. La media va calcolata in riferimento ad un periodo non inferiore a 4 mesi, (art. 4
comma 3), a meno che il CCNL non abbia stabilito periodi di riferimento più lunghi. Il che significa
che non deve essere considerata la singola settimana bensì deve essere fatto il conteggio dell'orario
massimo settimanale all'interno di un arco temporale della lunghezza anzidetta.
- Il contratto Regioni-Autonomie locali non prevede periodi diversi e pertanto è confermato il periodo di
riferimento di quattro mesi. Poiché nel nostro comparto l'orario settimanale è fissato in 36 ore, ciò
significa che non sarà possibile in via generale svolgere lavoro straordinario per più di 12 ore
settimanali per ogni settimana del periodo considerato.
Nel vostro caso è possibile superare il limite delle 12 ore solo se la media dell'orario settimanale calcolata
sul quadrimestre non superi le 48 ore settimanali, fatto salvo sempre il limite annuo massimo di 180 ore.
L'arco di tempo quadrimestrale deve avere natura fissa e uguale per tutti i lavoratori dell'ente. I periodi di
sette giorni non sono necessariamente quelli dal lunedì alla domenica ma potranno essere diversamente
individuati in base alla concreta organizzazione dell'ente. I periodi di ferie e malattia vanno scomputati dal
periodo di riferimento (art. 6 comma 1 d.lgs. 66/03). Le ore straordinarie cui fa seguito relativo riposo
compensativo non vengono computate nella media di cui all'art.4 comma 2 (art. 6 comma 2 D.lgs. 66/03).
Art.4 D.lgs.66/2003.
1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
2. La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le
quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con
riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi.
4. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero
fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate
negli stessi contratti collettivi.
Quesito 16 (n. 145/2012)
Una dipendente che sta usufruendo dell'allattamento per n. 1 ora giornaliera nei giorni senza rientro
pomeridiano e n. 2 ore nel giorno con rientro pomeridiano, iniziando alle ore 9,30 anzichè alle 8,30
può essere autorizzata ad eseguire lavoro straordinario, con prolungamento dell'orario di uscita?
Risposta:
Gli artt. 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001 prevedono la possibilità, rispettivamente per la madre ed il padre
lavoratori dipendenti, di fruire, in base al proprio orario giornaliero, di periodi di riposo (permessi per
allattamento). Sull'eventualità da parte del lavoratore di poter effettuare lo straordinario durante tale periodo
di riposo, si ritiene che questa sia strettamente correlata all'articolazione oraria scelta dall'interessato. In
particolare, laddove quest'ultimo chieda di usufruire della riduzione oraria prevista dall'art. 39 del D.Lgs. n.
151/2001 all'inizio o durante il proprio orario di lavoro giornaliero, nulla vieta che esso possa prestare lavoro
straordinario alla fine del proprio turno. Al contrario qualora la riduzione oraria sia applicata alla fine
dell'orario di lavoro, sebbene il contratto e il D.Lgs. 151/2001 non contengano alcuna espressa previsione,
appare poco conforme alllo spirito della norma richiedere al lavoratore il rientro in servizio per prestare lavoro
straordinario fatta salva la disponibilità dello stesso. Inoltre, secondo la normativa vigente, tali periodi di
riposo sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, indicando la
completa equiparazione delle ore riconosciute per l'accudimento del bambino durante il primo anno di vita
alla ordinaria presenza lavorativa del dipendente sul luogo di lavoro.
Quesito 17 (n. 164/2013)
Un dipendente comunale a tempo indeterminato - tempo pieno 36 ore non può svolgere la libera
professione (ad es. ingegnere, architetto ecc.) con partita IVA ?
Ci sono situazioni o modalità particolari che consentono la libera professione?
Risposta
Il dipendente pubblico non può essere titolare di cariche gestionali in società costituite a fine di lucro, non
può esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera continuativa, professionale e lucrativa ,
non può esercitare attività agricola in maniera prevalente né, comunque, attività professionale, ai sensi
dell’art. 60 del D.P.R. 3/1957, applicabile anche agli enti locali in virtù del richiamo fatto dall’art. 53 del d.lgs.
165/01.
Allo stesso modo, non può essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o
privato.
In base all’art. 53 del d.lgs. 165/01, il pubblico dipendente a tempo pieno o con part-time superiore al 50%
può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere
meramente occasionale, cioè non esercitate abitualmente; se così non fosse, eventuali attività
acquisirebbero il carattere della professionalità (con conseguente rischio di evasione IVA) e violazione del
divieto sopra citato.
L’attività autorizzabile deve avere carattere marginale ed istantaneo e non ingenerare situazioni, anche
potenziali, di conflitto di interessi.
I dipendenti a tempi pieno o con part-time superiore al 50% non possono pertanto svolgere la libera
professione, in quanto tale attività sarebbe in contrasto con il dovere di esclusività previsto dall’art. 89 della
Costituzione e dalle leggi sopra menzionate.
Soltanto per i dipendenti con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50% del tempo pieno si attenua
affievolisce il dovere di esclusività, in base alla L. 662/96.
Questi dipendenti possono svolgere un'altra attività, anche libero-professionale che richieda la iscrizione ad
albi o l'appartenenza ad ordini professionali.
Si tenga conto però che ai dipendenti iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non
possono essere conferiti incarichi professionali da parte di pubbliche amministrazioni (L. 662/96 art. 56-bis).
Esiste poi una diversa limitazione applicabile ai servizi tecnici di cui al D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti),
per quanto attiene alle attività di progettazione, direzione e supporto al RUP nei lavori pubblici: “I pubblici
dipendenti che abbiano un rapporto di lavoro a tempo parziale non possono espletare, nell'ambito territoriale
dell'ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni di cui all‘articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, se non conseguenti ai
rapporti d'impiego. “. Quindi, nel caso delle attività sopra elencate, attinenti a lavori pubblici, l’eventuale
attività professionale potrà essere svolta solo al di fuori dell’ambito territoriale di appartenenza del
dipendente.
I dipendenti a tempo parziale hanno comunque l'obbligo di comunicare l'inizio o la variazione dell'attività
affinché l'ente possa valutare un eventuale conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta.
La comunicazione non deve essere generica ma tale da consentire all'amministrazione un adeguato
apprezzamento.
Si ricorda in ogni caso il divieto di svolgere la professione di avvocato ai sensi della L. 339/2003.
Quesito 18 (n. 175/2013)
Le indennità previste dall'art. 36, comma 2 del CCNL 22.01.2004, per le funzioni di Ufficiale di Stato
Civile ed Anagrafe, Ufficiale Elettorale e Responsabile Tributi vanno erogate in base alle presenze
effettive (giornate effettive di presenza come per l'indennità di maneggio valori o l'indennità di
rischio) oppure vanno erogate a forfait nell'importo esatto previsto dalla contrattazione?
Risposta:
L'art. 36 del CCNL 22/1/2004 è formulato in modo simile a quello dell'indennità di responsabilità e sembra
legare questa indennità alla titolarità della responsabilità e non all'effettiva presenza in servizio così come
specificamente previsto invece per il turno (art. 22 CCNL 14/9/2000), il rischio (art. 37 CCNL 14/9/2000) e/o
il disagio (art. 17, c. 2, lett. e CCNL 1/4/99).
Si fa presente che i criteri per l'attribuzione, le condizioni di pagamento e la quantificazione del compenso
devono essere sempre e preventivamente disciplinati in sede di contrattazione decentrata e che le somme
destinate al finanziamento di questo istituto devono comunque trovare copertura nell'ambito delle risorse
decentrate.
Quesito 19 (n. 192/2013)
Il comune gestisce in forma diretta la mensa scolastica e il personale, cuochi e addetti alla
distribuzione del pasto, prestano la propria attività giornalmente in 7 ore e 12 minuti.
Questo personale ha diritto al pranzo consumato all’interno dell’orario di lavoro?
Se hanno diritto al pranzo sono obbligati a fare anche la sosta prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 66/2003,
questo periodo deve rientrare nell’orario di lavoro?
Il personale che rinuncia al pasto deve fare la sosta di minimo 10 minuti, tale periodo deve rientrare
nell’orario di lavoro?
Il riconoscimento del pasto o dei 10 minuti deve essere contrattato?
Risposta:
La fonte normativa cui fare riferimento è l'art..45, comma 5, CCNL 14.9.2000, che di seguito si riporta: "Il
servizio di mensa è gratuito per il personale che contestualmente è tenuto ad assicurare la vigilanza e
l'assistenza ai minori ed alle persone non autosufficienti e//per il personale degli enti che gestiscono le
mense nonché quelli//per il diritto allo studio universitario che sia tenuto a consumare il pasto in orari
particolari e disagiati in relazione alla erogazione dei servizi di mensa. Il tempo relativo è valido a tutti gli
effetti anche per il completamento dell'orario di servizio."
Si richiama, inoltre, per la pertinenza rispetto alla fattispecie sottoposta al nostro esame l'orientamento
ARAN, RAL 036, che di seguito interamente si riporta: "Il personale che, contestualmente alla fruizione della
mensa, è tenuto all’assistenza ed alla vigilanza dei minori o delle persone non autosufficienti nonché quello
che gestisce le mense o che, operando presso gli enti per il diritto allo studio universitario è tenuto a
consumare il pasto in orari particolari e disagiati, ha diritto a fruire della mensa, a titolo gratuito, anche nel
caso di un ordinario orario di lavoro articolato nella fascia 8-14, senza prosecuzione anche nelle ore
pomeridiane?
Il quesito, per la rilevanza che riveste, è stato sottoposto allo specifico Tavolo di Coordinamento Giuridico
operante presso la nostra Agenzia, composto oltre che da dirigenti dell’ARAN, da docenti di diritto del lavoro
e da esperti di discipline giuslavoristiche. Il suddetto tavolo di Coordinamento Giuridico ha espresso il
seguente parere: “ La formulazione letterale del testo dell’art.45, comma 5, del CCNL del comparto RegioniAutonomie Locali del 14.9.2000, consente di ritenere che la particolare disciplina ivi contenuta ha
sicuramente carattere di specialità, rispetto alla generale previsione del comma 2 del medesimo articolo, che
fissa il necessario requisito del prolungamento anche nelle ore pomeridiane dell’attività lavorativa, ai fini del
riconoscimento del diritto del lavoratore a fruire gratuitamente del servizio mensa (o del buono pasto
sostitutivo). Pertanto, il personale che, contestualmente alla fruizione della mensa, è tenuto all’assistenza ed
alla vigilanza dei minori o delle persone non autosufficienti nonché quello che gestisce le mense o che,
operando presso gli enti per il diritto allo studio universitario è tenuto a consumare il pasto in orari particolari
e disagiati, ha diritto a fruire della mensa, a titolo gratuito, qualunque sia l’articolazione dell’orario di lavoro
dello stesso (e pertanto anche nel caso di un ordinario orario di lavoro articolato nella fascia 8-14, senza
prosecuzione anche nelle ore pomeridiane). Tuttavia, ai fini dell’esatta di individuazione dei lavoratori
destinatari del beneficio della mensa gratuita è necessario tenere conto anche della precisa indicazione
contenuta, a tal fine, nello stesso art.45, comma 5, che fa riferimento al: “…. personale che contestualmente
è tenuto ad assicurare la vigilanza ai minori ed alle persone non autosufficienti e per il personale degli enti
che gestiscono le mense nonché quelli per il diritto allo studio universitario che sia tenuto a consumare il
pasto in orari particolari e disagiati in relazione alla erogazione dei servizi di mensa …..”. In conclusione, non
tutti i dipendenti in servizio possono fruire del beneficio della mensa gratuita, a prescindere dall’articolazione
del loro orario di lavoro anche nelle ore pomeridiane, ma solo quelli fra essi, espressamente individuati dalla
clausola contrattuale, che, per ragioni connesse alla specifica organizzazione del lavoro adottata e per le
mansioni che svolgono: 1. fruiscono della mensa nello stesso momento dei minori o delle persone non
autosufficienti, ai quali devono comunque garantire in via esclusiva la diretta vigilanza e assistenza; 2. sono
tenuti a consumare il pasto in orari particolari e disagiati,
per la necessità di assicurare l’erogazione dei
servizi mensa”. Ne consegue che il personale di cui al comma richiamato ha diritto alla gratuita fruizione del
pasto che il tempo per il pasto è orario di servizio che il personale deve comunque godere di una pausa per
il recupero delle energie psico-fisiche qualora l'orario giornaliero superi le 6 ore. In assenza di una
previsione collettiva, la pausa non può essere inferiore a 10 minuti. Il momento di fruizione della stessa può
coincidere con qualsiasi momento della giornata lavorativa, anche prima che decorrano le 6 ore di lavoro. Il
periodo di pausa può essere fruito anche sul posto di lavoro e la sua collocazione, in assenza di una
previsione collettiva, è decisa dal datore di lavoro a seconda delle esigenze tecniche del processo produttivo
Quesito 20 (n. 196/2013)
Una dipendente comunale deve partecipare come commissario ad una commissione di concorso
pubblico per assunzione a tempo determinato presso il proprio comune. La dipendente non
percepirà alcun compenso, inoltre nei giorni di svolgimento del concorso la stessa si trova in ferie.
La domanda e’ la seguente: le ore che svolgerà sono ore di lavoro straordinario, sono ore di
presenza da scontare dalle ferie oppure questi servizi sono da svolgere al di fuori dell'orario di
lavoro anche se non retribuiti e quindi non va conteggiato nulla?
Risposta
Poichè la vostra dipendente non percepisce compenso per la sua partecipazione in qualità di componente
della commissione del concorso da voi bandito, l'attività che è chiamata a svolgere è considerata come
servizio. Pertanto il caso da voi rappresentato si può configurare come richiamo dalle ferie per motivi di
servizio (art. 18 CCNL 6/7/1995); le ferie saranno poi fruite dalla lavoratrice in un periodo successivo.
Si fa presente inoltre che non può essere riconosciuto in alcun modo il lavoro straordinario durante l'assenza
per ferie.
Quesito 21 (n. 197/2013)
L'orario di lavoro di un vigile comunale deve essere modificato, per una singola giornata, con una
variazione oraria, anzichè fare 7.30-13.30 dovrà fare 18.00-24.00.
Si chiede se deve essere corrisposta la maggiorazione oraria per le 2 ore di notturno (22.00-24.00),
anche se non si tratta di straordinario ma di orario ordinario.
Risposta
Nel caso sottoposto, occorre innanzi tutto distinguere se l’attività dei vigili sia o meno organizzata in regime
di turnazione, in quanto a seconda dei casi, a parità di attività lavorativa svolta, varia il trattamento
economico da riconoscere.
Nel caso di attività in regime di turnazione, occorre far riferimento alle disposizioni contenute nell’art.22
del ccnl 14/09/2000.
Come si può evincere dall’esame dei commi 4 e 5 dell’art.22, la misura delle maggiorazioni orarie da
riconoscere al dipendente, per l’attività lavorativa svolta in turnazione, sono in funzione della fascia oraria in
cui si svolge l’attività lavorativa e variano a seconda che si tratti di giorno feriale o giorno festivo:
Turnazioni in giorno feriale:
- se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 6:00 e le 22:00, al lavoratore spetta la maggiorazione oraria
per turno diurno antimeridiano o pomeridiano pari al 10% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2
lett.c) ccnl 14/09/2000.
- se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 22:00 e le 6:00 del mattino successivo, spetta la
maggiorazione oraria per turno notturno pari al 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c)
ccnl 14/09/2000
Turnazioni in giorno festivo:
- se il periodo lavorativo è ricompreso fra le 6:00 e le 22:00, spetta la maggiorazione per turno festivo pari
al 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000
- se il periodo lavorativo si svolge in giornata festiva e contemporaneamente nella fascia notturna (22:006:00), spetta la maggiorazione oraria per turno notturno pari al 50% della retribuzione di cui all’art.52
comma 2 lett.c) ccnl 14/09/2000
Quindi, sulla base delle regole contrattuali sopra esposte, nel caso sottoposto alla nostra attenzione,
l’indennità di turnazione deve essere riconosciuta sulla base del seguente criterio:
Turnazione 18:00-24:00 che si svolga in giorno feriale infrasettimanale:
- dalle 18:00 alle 22:00, trattandosi di turno diurno, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la
maggiorazione oraria diurna del 10% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000;
- dalle 22:00 alle 24:00 trattandosi di turno notturno, in quanto il periodo lavorativo è ricompreso tra le
22,00 e le 6,00 del mattino, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la maggiorazione oraria diurna
del 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-09-2000;
Turnazione 18:00-24:00 che si svolga in giorno festivo
- dalle 18:00 alle 22:00, trattandosi di turno diurno-festivo, spetta l’indennità di turnazione calcolata con la
maggiorazione oraria diurna del 30% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000;
- dalle 22:00 alle 24:00 trattandosi di turno notturno-festivo, spetta l’indennità di turnazione calcolata con
la maggiorazione oraria diurna del 50% della retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c) del ccnl 14-092000
Nel caso in cui invece, l’attività dei vigili non sia organizzata in regime di turnazione, per la fascia
oraria dalle 18:00 alle 22:00 non spetta alcun compenso aggiuntivo, mentre per la fascia oraria dalle 22:00
alle 24:00 deve essere riconosciuta la maggiorazione di cui all’art.24 comma 5 CCNL 14/09/2000.
La norma contenuta nel comma 5 dell’art.24 prevede infatti che “anche in assenza di rotazione per turno, nel
caso di lavoro ordinario notturno è dovuta una maggiorazione della retribuzione oraria di cui all’art.52 comma
2 lett.b) CCNL 14/09/2000 nella misura del 20%; nel caso di lavoro ordinario festivo-notturno la
maggiorazione dovuta è del 30%”.
Quesito 22 (n. 222/2014)
Un dipendente comunale con qualifica di Istruttore Tecnico/Geometra cat. C, presso l’Area Lavori
Pubblici part-time a 24 ore settimanali, chiede il nullaosta per lo svolgimento di una singola
prestazione ”onde poter dar corso ad una singola attività di natura professionale che trova
concretezza nella redazione di pratica edilizia (D.I.A.) necessaria alla realizzazione di piccola
abitazione in legno disposta su unico piano”. La prestazione verrà svolta al di fuori dell’orario di
lavoro.
Si chiede se è possibile rilasciare il nulla osta per lo svolgimento di tale prestazione professionale.
Risposta
Il dipendente pubblico, ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 3/1957, non può essere titolare di cariche gestionali in
società costituite a fine di lucro, non può esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera
continuativa, professionale e lucrativa, non può esercitare attività agricola in maniera prevalente né,
comunque, attività professionale.
Il divieto è applicabile anche agli enti locali in virtù del richiamo fatto dall’art. 53 del D.lgs. 165/01.
Allo stesso modo, non può essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o
privato.
In base all’art. 53 del d.lgs. 165/01, il pubblico dipendente a tempo pieno o con part-time superiore al
50% può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere
meramente occasionale, cioè non esercitate abitualmente; se così non fosse, eventuali attività
acquisirebbero il carattere della professionalità (con conseguente rischio di evasione IVA) e violazione del
divieto sopra citato.
L’attività autorizzabile deve avere carattere marginale ed istantaneo e non ingenerare situazioni, anche
potenziali, di conflitto di interessi.
Quindi, nel vostro caso, valutata l’occasionalità e unicità della prestazione, la stessa potrebbe essere
autorizzata, in quanto non pare sufficiente a configurare attività professionale: sarà però necessario, prima di
concedere l’autorizzazione, verificare attentamente l’assenza di conflitto di interessi tra l’attività per la
quale è fatta richiesta e l’attività svolta come dipendente comunale, come previsto dall’art. 53 del D.lgs.
165/01.
Quesito 23 (n. 230/2014)
Al personale esterno del Comune viene riconosciuta l'indennità di rischio di 30,00 euro mensili ai
sensi dell'art. 37 del CCNL stipulato il 14/09/2000.
Come deve essere determinata?
Se un dipendente lavora tutto il mese senza effettuare assenze a qualsiasi titolo vanno corrisposti i
30,00 euro per i giorni lavorativi previsti nel mese;
oppure i 30,00 euro devono essere suddivisi per i giorni di calendario (ad esempio gennaio 31 giorni)
e poi l'importo risultante va moltiplicato per i giorni effettivamente lavorati?
Risposta
L’indennità di rischio, in base agli orientamenti dell’ARAN, va pagata per i soli giorni di effettiva esposizione
al rischio da parte dei dipendenti individuati.
In assenza di ulteriori specificazioni da parte del contratto collettivo nazionale, il criterio adottato dal nostro
ente per calcolare l’importo effettivamente dovuto è il seguente: si fa riferimento all’importo mensile
dell'indennità (euro 30,00) e lo si divide per 26 (in base al principio di cui all’art. 10, comma 4 del CCNL
9.5.2006 che definisce la retribuzione giornaliera): il risultato ottenuto viene quindi moltiplicato per il numero
di giorni di effettiva presenza del lavoratore.
Quesito 24 (n. 236/2014)
Il Comune ha in servizio a tempo indeterminato 2 dipendenti con la mansione di cuoca per la
refezione scolastica; è possibile attribuire loro anche il compito di “scodellamento” dei pasti atteso
che nel contratto di assunzione non si specificano dettagliatamente le mansioni da svolgere?
Risposta
In via generale si fa presente che con il termine mansione si fa riferimento alla attività che costituisce
oggetto della obbligazione di lavoro; in altre parole, l'insieme dei compiti che vengono richiesti al lavoratore.
Di norma, le amministrazioni si dotano di un documento generale che elenca i profili professionali della
organizzazione, descrivendo contestualmente il contenuto e le attività prevalenti connesse a ciascun profilo.
In mancanza di tale atto organizzativo di valenza generale, la sede idonea ad esplicitare il contenuto delle
prestazioni di lavoro è rappresentata dal contratto individuale di lavoro.
Ne consegue che sono esigibili dal lavoratore le mansioni per le quali è stato assunto e che sono indicate nel
contratto di lavoro ovvero nel medesimo richiamate per relationem, quando esiste il documento generale
sopra richiamato; sono, inoltre, esigibili le mansioni c.d. equivalenti, ai sensi dell'art.2013 c.c. e dell'art.52
D.lgs 165/2001.
Nel caso in esame, sembra, alla luce di quanto esposto nella richiesta di parere, mancare il punto di
partenza cui appigliarsi e sulla base del quale argomentare; se, infatti, le mansioni fossero indicate e
descritte, da queste si dovrebbe partire per effettuare una valutazione in ordine alla equivalenza delle
mansioni. In merito, ci si limita ad accennare che l'accertamento della equivalenza deve essere effettuato in
concreto, in relazione al contenuto, alla natura e alle modalità di svolgimento delle stesse nonché sulla base
delle competenze tecnico-qualitative richieste per l'esercizio delle mansioni.
Pertanto, a fronte della mancata determinazione dell'oggetto della prestazione, potrebbe essere utile
pensare ad intervento correttivo ed integrativo volto a dare contenuto concreto al profilo assegnato o
mediante una modifica contrattuale ovvero mediante un contratto aggiuntivo, nel quale potranno essere
elencate e descritte le attività oggetto della prestazione lavorativa.
Si aggiunge che, anche qualora le mansioni fossero state previste nel contratto, il datore di lavoro potrebbe
procedere alla assegnazione di nuove mansioni; il rifiuto del dipendente di svolgere mansioni diverse da
quelle già esercitate, purchè ad esse equivalenti, può legittimare la irrogazione di sanzioni disciplinari.
Quesito 25 (n. 243/2014)
Il Comune, privo di dirigenti, con dipendenti inquadrati in cat. D deve individuare il responsabile dell’area
finanziaria attribuendo la relativa Posizione Organizzativa perchè vacante.
In tale area ci sono alcuni dipendenti a tempo pieno appartenenti alla cat. C.
L’Amministrazione Comunale intende attribuire tale posizione organizzativa ad uno dei dipendenti di
categoria C, sulla base di considerazioni legate alla competenza, all’affidabilità, alla puntualità dimostrate nel
corso degli anni da tale dipendente, attuando in tal modo i principi contenuti nel cosiddetto “Decreto
Brunetta”
Ciò in deroga a quanto stabilito dall’art. 11 del C.C.N.L. del 31/03/1999 che prevede l’attribuzione delle
posizioni organizzative esclusivamente ai dipendenti di categoria D.
Evidenziato però che l’art. 109 secondo comma del D.Lg.vo 267/2000 stabilisce che “nei comuni privi di
personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107, commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione
dell'articolo 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del
sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in
deroga a ogni diversa disposizione”
e che l’art. 5 comma primo del Decreto Leg.vo 165/2001 prevede che “Le amministrazioni pubbliche
assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2,
comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa.”
chiede se la citata attribuzione della posizione organizzativa sia da considerasi legittima o meno.
Risposta
In riferimento al vostro quesito, vengono in rilievo due norme della contrattazione nazionale, vale a dire l’art.
11 del CCNL 31.3.1999 e l’art. 8 del CCNL 5.10.2001.
Partendo da quest’ultimo, il comma 2 specifica che la disciplina del conferimento delle posizioni
organizzative negli enti privi di dirigenza è esclusivamente quella di cui all’art. 11 CCNL 31.3.1999
anche in vigenza di quanto disposto dall’art 109 del d.lgs. 267/00.
L’ articolo 11 CCNL 31.3.1999, dapprima, riserva il conferimento di p.o. al personale della categoria D
(comma 1); al comma 3 ne permette il conferimento a personale delle categorie B e C cui sia attribuita la
responsabilità di uffici o servizi nel solo caso in cui gli enti siano privi di posti della categoria D.
Poiché nel vostro caso il Comune è dotato di posti di categoria D, si ritiene che non sia possibile attribuire la
p.o. a un dipendente di categoria inferiore.
Si fa, inoltre, presente, la possibilità, qualora nessun vostro dipendente appartenente alla categoria D abbia
competenze idonee al ruolo di PO dell'area finanziaria e vi sia in dotazione organica un posto di categoria D
non coperto, di conferire le mansioni superiori
Quesito 26 (n. 246/2014)
ll Sindaco ha stabilito la chiusura degli uffici per ferie il giorno sabato 16 agosto 2014.
Con gli uffici sempre aperti al pubblico al sabato,si possono obbligare i dipendenti che dovrebbero
essere in servizio a richiedere il giorno di ferie ? Qualcuno ha proposto di considerare il 16 agosto
festività. Il Comune ha respinto la proposta di considerare tale giornata "una festività in più".
Come si deve procedere?
Risposta
Sicuramente la sua risposta è corretta in quanto le festività non vengono definite a livello di ente ma in via
generale con normativa nazionale.
Con riferimento alla fattispecie da lei sottoposta alla nostra attenzione si possono rilevare altri aspetti, ai
quali di seguito si fa un breve riferimento.
Il datore di lavoro ha il potere di assegnazione delle ferie. La materia trova la sua regolamentazione
generale nell'art.2109 c.c. (“...nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro....”) e, in riferimento al comparto Regioni ed enti locali,
nell'art. 18 CCNL 6 luglio 1995. Al datore di lavoro compete di stabilire il periodo di fruizione delle ferie da
parte dei lavoratori e le relative modalità, dandone preventiva comunicazione.
Quanto affermato non è contraddetto dal fatto che la strada normalmente seguita nella prassi preveda che il
dipendente presenti una richiesta di ferie al superiore gerarchico che la valuta tenendo presenti e
contemperando le esigenze dell’impresa e gli interessi dei lavoratori.
Alla luce di quanto sopra risulta pertanto fondata e legittima la richiesta dal Sindaco.
Si fa presente che, in alternativa al giorno di ferie, la amministrazione potrebbe lasciare al lavoratore la
possibilità di giustificare l'assenza anche con il recupero di eventuale lavoro straordinario oppure con un
permesso breve (non superiore comunque alla metà dell'orario giornaliero e da recuperare entro il
successivo mese di settembre – art. 20 CCNL 6/7/95).
Sicuramente, come detto in apertura, si esclude la possibilità di considerare il giorno 16 agosto una “festività”
in aggiunta a quelle di calendario.
Per completezza si richiama alla vostra attenzione la fattispecie prevista e punita ai sensi dell'art.340 c.p.
(interruzione di pubblico servizio). In merito si sottolinea l'avvertenza di comunicare diffusamente e con
congruo anticipo alla cittadinanza che il 16 agosto gli uffici saranno chiusi lasciando eventualmente un
numero cui rivolgersi per eventuali urgenze.
Quesito 27 (n. 248/2014)
Il Comune intende procedere all’assunzione di una cuoca in sostituzione di quella attuale in quanto
ha presentato le dimissioni dal servizio .
Si chiede se nel bando di concorso è possibile attribuire, oltre al profilo di cuoca, anche le funzioni di
pulizia degli uffici comunali e degli ambulatori.
Risposta
In riferimento al quesito posto, è necessario ricordare che con il termine mansione si fa riferimento alla
attività che costituisce oggetto della obbligazione di lavoro; in altre parole, l'insieme dei compiti che vengono
richiesti al lavoratore.
Di norma, le amministrazioni si dotano di un documento generale che elenca i profili professionali della
organizzazione, descrivendo contestualmente il contenuto e le attività prevalenti connesse a ciascun
profilo.
In mancanza di tale atto organizzativo di valenza generale, la sede idonea ad esplicitare il contenuto delle
prestazioni di lavoro è rappresentata dal contratto individuale di lavoro.
Ne consegue che sono esigibili dal lavoratore le mansioni per le quali è stato assunto e che sono
indicate nel contratto di lavoro ovvero nel medesimo richiamate per relationem, quando esiste il documento
generale sopra richiamato; sono, inoltre, esigibili le mansioni c.d. equivalenti, ai sensi dell'art.2013 c.c.
e dell'art.52 D.lgs 165/2001. L'accertamento della equivalenza deve essere effettuato in concreto, in
relazione al contenuto, alla natura e alle modalità di svolgimento delle stesse nonché sulla base delle
competenze tecnico-qualitative richieste per l'esercizio delle mansioni.
Si evidenzia però nel vostro caso che il profilo di “cuoca” pare corrispondere a un ben preciso tipo di
prestazione che, ad un esame sommario, non ricomprende attività di pulizia dei locali del comune.
E' quindi indispensabile per dare una risposta al vostro quesito, verificare:
1) se esiste un atto generale che descriva il contenuto dei profili; se, infatti, le mansioni fossero indicate e
descritte, si potrebbero verificare 2 casi:
a) sono comprese anche le mansioni da voi indicate, per cui il problema è risolto;
b) non sono specificate tali ulteriori mansioni: si potrebbe in questo caso prevedere un intervento di
integrazione dell'atto relativo ai profili prima del concorso in modo da dare in via generale il contenuto
voluto al profilo stesso.
2) se invece dovesse mancare del tutto l'atto generale relativo ai profili, si potrebbero seguire due vie:
a) l'adozione di detto atto generale;
b) la specificazione delle mansioni richieste direttamente nel bando, seppure questo atto rivesta carattere di
specialità con riferimento alla procedura concorsuale in atto e a quella specifica assunzione e quindi manchi
il carattere generale applicabile anche a futuri altri casi.
Si segnala infine che, poiché le prestazioni da voi richieste non appaiono completamente omogenee quanto
a contenuto professionale, potrebbe essere opportuno prevedere una denominazione del profilo più ampia
rispetto a quella ben precisa e individuabile di “cuoco”, magari ampliandolo anche nella denominazione ad
attività ausiliarie quali quelle da voi indicate.
Quesito 28 (n. 262/2014)
Una dipendente a tempo pieno, comandata presso un altro comune ha chiesto l’autorizzazione a
prestare la propria attività lavorativa presso un Ente Parco per l’anno 2015, per la definizione di uno
Studio di Fattibilità, con la corresponsione di un importo omnicomprensivo.
Alla luce della vigente normativa il Comune può concedere l’autorizzazione?
Risposta
Il caso da voi esposto rientra nella previsione di cui all'art. 53 del D.lgs. 165/01.
Come è noto, in base all'art. 60 della L. 3/1957, il dipendente pubblico non può
- essere titolare di altro impiego alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato,
- essere titolare di cariche gestionali in società costituite a fine di lucro,
- esercitare attività industriali, commerciali e artigianali in maniera continuativa, professionale e lucrativa,
- esercitare attività agricola in maniera prevalente né, comunque, attività professionale. .
Può essere invece autorizzato dalla propria amministrazione a svolgere attività retribuite con carattere
meramente occasionale, in base appunto all'art. 53 del D.lgs. 165/01.
L'attività autorizzabile deve avere carattere marginale e istantaneo, non deve essere cioè ripetitiva non solo
in riferimento alla singola annualità ma anche nell'ambito di una visione di insieme della vita lavorativa del
dipendente. La marginalità può avere anche un contenuto economico nel rapporto tra la retribuzione e il
compenso dell'incarico. Inoltre, in ogni caso, l'attività non deve ingenerare situazioni, anche potenziali, di
conflitto di interessi (art.1, comma 42, L. 190/2012).
Al fine di ottenere l'autorizzazione, è necessario che il lavoratore, o chi intende conferire l'incarico, presenti
una richiesta specifica che contenga i seguenti dati:
a) oggetto e natura della prestazione;
b) modalità di svolgimento dell'attività;
c) termine di inizio, conclusione e prevedibile durata della prestazione in termini di impegno orario
d) luogo di svolgimento dell'attività;
e) il soggetto che intende conferire l'incarico, con indicazione del codice fiscale o partita IVA;
f) i compensi previsti, anche in via presuntiva.
Poiché il Comune potrà comunque aver disciplinato diversamente la materia nel proprio regolamento degli
uffici e dei servizi, i dati di cui sopra sono a mero titolo esemplificativo.
Qualora l'incarico esterno venga conferito da parte di amministrazione pubblica, devono essere specificati
nella richiesta:
•la norma in base alla quale l’incarico viene conferito;
•le ragioni del conferimento;
•I criteri di scelta utilizzati dall’amministrazione.
La richiesta dovrà quindi essere valutata dal Comune di appartenenza per verificare la compatibilità
dell'incarico con le attività di ufficio e l'assenza di conflitto di interessi anche potenziale.
Nel vostro caso, poiché l'attività lavorativa effettiva si svolge presso altro ente tramite comando, pare
opportuno che l'autorizzazione sia rilasciata da voi in quanto il rapporto di lavoro è giuridicamente
incardinato presso il Comune di Ostiano, ma previa acquisizione del parere in ordine alla compatibilità e
all'assenza di conflitto di interessi anche da parte dell'altro ente dove presta la sua attività il dipendente, in
quanto il conflitto di interessi o l'incompatibilità vanno verificati in concreto e potrebbero sussistere, ad
esempio, presso tale ente e non presso il Comune di Ostiano.
Si ricorda infine che la L. 190/2012 ha introdotto l'obbligo di comunicare in via telematica al Dipartimento
della Funzione Pubblica entro 15 giorni gli incarichi conferiti o autorizzati ai propri dipendenti con
l'indicazione dell'oggetto e del compenso lordo ove previsto, tramite la procedura telematica dell'Anagrafe
delle prestazioni.
Quesito 29 (n. 263/2014)
E' possibile autorizzare un dipendente, titolare di posizione organizzativa, a compiere lavoro
straordinario in occasione di emergenza per pericolo alluvione, emergenza giustificata con ordinanze
del Sindaco di evacuazione anche della zona golenale?
Gli straordinari di cui sopra possono essere assimilati a quelli svolti per le elezioni?
Risposta
In merito alla sua richiesta è utile in via preliminare sottolineare quanto segue.
1. la vigente disciplina contrattuale, in relazione ai titolari di posizione organizzativa, si limita a stabilire la
durata minima della prestazione lavorativa settimanale (le 36 ore) e non anche quella massima che sarà,
invece, collegata, genericamente e dinamicamente, alla rilevanza ed alle effettive necessità delle funzioni
da svolgere;
2. l’orario minimo settimanale, pertanto, deve essere soggetto alla vigente disciplina relativa a tutto il
personale dell’ente e agli ordinari controlli sulla relativa quantificazione; la vigente contrattazione collettiva
di comparto, in particolare, non attribuisce in alcun modo, al dipendente, il potere o il diritto alla
autogestione dell’orario settimanale consentita, invece, al solo personale dirigenziale, né questa potrebbe
essere consentita dal datore di lavoro.
3. pertanto, relativamente all’orario di lavoro, il personale incaricato delle posizioni organizzative,
diversamente dai dirigenti, è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative settimanali non inferiori a 36 ore,
mentre non sono retribuite le eventuali prestazioni ulteriori che gli interessati potrebbero aver effettuato e
che neppure danno titolo o diritto ad eventuali recuperi compensativi, in relazione all’incarico affidato e agli
obiettivi da conseguire;
4. a tal fine si deve ricordare che l’art. 10, comma 1, del CCNL del 31.3.1999 non consente di corrispondere
al personale, dallo stesso contemplato, il compenso per lavoro straordinario, dovendosi,
conseguentemente, ritenere che le eventuali prestazioni eccedenti le 36 ore d’obbligo rappresentano
sempre orario di lavoro ordinario e sono compensate con la retribuzione di posizione e di risultato.
Essendo vietata la corresponsione del compenso per lavoro straordinario, deve ritenersi vietata anche
l’applicazione di istituti sostitutivi di detto compenso. Pertanto, le eventuali maggiori prestazioni rese oltre
il normale orario d’obbligo settimanale (36 ore) non danno in alcun caso titolo a corrispondenti riposi
compensativi;
5. il titolare di posizione organizzativa non ha diritto a compensi aggiuntivi o a riposi compensativi neppure
nel caso di prestazione resa in giornata festiva infrasettimanale;
6. a tali regole fa eccezione solo il caso della prestazione lavorativa resa nel giorno del riposo settimanale, in
considerazione della tutela costituzionale, legale e contrattuale, apprestata per tale riposo; in presenza di
questa particolare fattispecie, il titolare di posizione organizzativa avrà diritto comunque a fruire di una
giornata di riposo settimanale che potrà, dunque, essere recuperata secondo modalità da concordare con
il dirigente, in modo comunque proporzionato alla durata delle prestazioni rese.
Dato il carattere assorbente ed onnicomprensivo del trattamento economico previsto per gli incaricati di
posizione organizzativa, rappresentato dalla retribuzione di posizione e di risultato, secondo le previsioni
dell’art.10 del CCNL del 31.3.1999, in aggiunta allo stesso possono essere erogati solo quegli emolumenti
espressamente previsti ed ammessi dalla contrattazione collettiva nazionale, che attualmente sono:
a) i compensi connessi agli incarichi di progettazione, ai sensi dell'art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006;
b) i compensi per i professionisti legali, ai sensi dell’art. 27 CCNL 14.9.2000;
c) i compensi per lo straordinario elettorale e dei compensi Istat, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del CCNL del
14.9.2000;
d) l'indennità di vigilanza prevista dall'art. 37 comma 1, lett. b) del CCNL del 6.7.1995, ai sensi dell’art. 35 del
CCNL del 14.9.2000;
e) i compensi connessi agli effetti applicativi dell'art. 12, comma 1, lett. b) della legge n. 556/96, spese del
giudizio, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del CCNL del 5.10.2001;
f) i compensi per lavoro straordinario elettorale prestato nel giorno del riposo settimanale, ai sensi dell’art. 16
del CCNL del 5.10.2001;
g) i compensi per lavoro straordinario connesso a calamità naturali, ai sensi dell'art. 40 del CCNL del
22.1.2004;
h) i compensi (art. 6 del CCNL del 9.5.2006) connessi ai progetti per condono edilizio, secondo le
disposizioni della legge n. 326/2003.
In merito a quanto previsto dalla lett.g), si riporta il testo dell'articolo citato.
ART.40 - Straordinario per calamità naturali
1. Le risorse finanziarie formalmente assegnate agli enti, con i provvedimenti adottati per far fronte elle
emergenze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono
essere utilizzate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di uno
posizione organizzativa.
Da quanto sopra risulta che le posizioni organizzative possono essere retribuite per lo svolgimento di lavoro
straordinario alla duplice condizione che sussista una situazione di emergenza di calamità naturale
formalmente dichiarata (dal Governo, dalla Regione in base alla legislazione vigente),e che,
conseguentemente, siano state assegnate agli enti apposite risorse.
Diversa è la fattispecie in cui lo stesso ente integri le risorse per far fronte a straordinari connessi ad eventi
straordinari ed imprevedibili, i quali non incidono sui limiti di legge; alla po in tal caso non potrà essere
riconosciuto alcun compenso.