“nuova” Elena , di Angela Todisco

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“nuova” Elena , di Angela Todisco
La “nuova” Elena
di Angela Todisco
«Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più.
Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta.
Perché? Con tutta serietà il re mi chiese: perché.
Bisogna solo, disse, fare in modo che l’esercito conservi la fede nel
fantasma.
E poi, perché addirittura la guerra.
Sempre con questi paroloni»
(Christa Wolf, Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, p. 87)
«Imiterò la nuova Elena»: con queste parole Mnesiloco nelle Tesmoforiazuse di Aristofane
dà inizio alla parodia dell’Elena di Euripide. Nel 411 a.C., qualche mese dopo la Lisistrata,
Aristofane rappresenta una commedia di travestimenti e di ambiguità in cui il bersaglio principale è
Euripide, accusato di misoginia.
Mnesiloco, parente del tragediografo, depilato e travestito da donna, si reca alla festa delle
Tesmoforie per difendere Euripide, ma, spogliato e riconosciuto, è imprigionato. Nel tentativo di
salvarsi interpreta vari personaggi femminili tragici, dando vita a divertenti parodie paratragiche. La
prima è tratta dall’Elena di Euripide, annunciata al v. 850, «con la precisione di una locandina»
(Paduano), con th\n kainh\n (Ele/nhn mimh/somai («impersonerò la nuova Elena»: Paduano).
Mnesiloco cita a memoria ampie sezioni della tragedia euripidea (vv. 855-857 = vv. 1-3; vv.
859-860 = vv. 16-17; v. 862 = v. 22; vv. 864-865 = vv. 52-53; vv. 866-868 = v. 49, v. 56; v. 871 =
v. 68; vv. 905-912 = vv. 558-566; ad sensum vv. 460-467), dando vita ad un’operazione
metateatrale, in cui la commedia si fa parodia tragica: Mnesiloco, travestito da donna, fa la “parte”
di Elena, in una scena dal tono burlesco; Euripide, travestito da Menelao, giunge a salvare il suo
Mnesiloco/Elena; la carceriera è ribattezzata Teonoe, colei che nella tragedia permette ad Elena e
Menelao di fuggire dall’Egitto.
«Ma la più vasta operazione compiuta sull’Elena da Aristofane non concerne le micro-figure
della dizione quanto la sua intera struttura. Non si crederà facilmente che per caso Aristofane abbia
scelto – a scatenare il dubbio sul principio di identità attraverso la “doppia” voce di Mnesiloco –
l’unica tragedia a noi pervenuta che mette in discussione appunto quel principio» (Paduano).
Eppure, fatta eccezione per i versi tratti dalla scena del riconoscimento tra Elena e Menelao (vv.
907-912 – Hel. vv. 561-566), nella parodia aristofanea mancano altri espliciti riferimenti al tema
dell’identità e del doppio, presenti invece in numerose scene della tragedia euripidea.
Aristofane, come si è detto prima, quando dà inizio con gioco metateatrale alla “farsa”
dell’Elena, fa dire a Mnesiloco: th\n kainh\n (Ele/nhn mimh/somai, «imiterò la nuova Elena».
L’aggettivo kaino/j qualifica ciò che è «nuovo, recente, fresco» (lat. recens, novus), specie di
drammi composti per la prima rappresentazione (cfr. trag%d%=n gignome/nwn kainw=n, Eschine
3.34); oppure indica ciò che è «inventato o introdotto di recente, moderno, inaudito, insolito,
strano» (cfr. kainoi\ qeoi/, Platone, Eutifrone 3b; h( kainh\ diaqh/kh: il Nuovo Testamento).
Aristofane dunque definisce kainh/ l’Elena nel senso di tragedia “di recente rappresentazione ed
invenzione”.
Certo, la tragedia doveva essere apparsa “nuova, insolita, moderna” a tutti gli Ateniesi
presenti nel teatro di Dioniso, a partire già dalle prime battute: non a Troia o a Sparta, ma Elena era
a Faro, in Egitto, davanti alla reggia di Proteo. Il mito, tuttavia, raccontava del soggiorno egiziano
di Elena. Molti spettatori forse avranno avuto anche in mente le pubbliche letture del II libro delle
Storie di Erodoto e di quel passo (II. 113-120) in cui lo storico racconta, secondo la versione
egiziana, che Elena, rapita da Paride, giunse in Egitto anziché a Troia, a causa di un naufragio, e il
re Proteo, cacciato Paride, la trattenne, in attesa di restituirla a Menelao. Insomma, non era certo
questa la “novità” della tragedia euripidea.
Anche la storia che voleva che a Troia fosse giunto non Elena, ma un suo simulacro, si
conosceva. Era stato Stesicoro, come ci racconta Platone nel Fedro (243 a-b), ad inventare, forse
per primo, la favola dell’ei)/dwlon: Elena non andò mai a Troia, ma rimase in Egitto con il saggio
re Proteo e poi con suo figlio Teoclimeno; a Troia andò il suo ei)/dwlon, un fantasma creato da Era,
adirata con Paride per il giudizio da lui espresso nelle disputa divina fra Era, Afrodite e Atena.
Aristofane, però, nella parodia dell’Elena di Euripide non fa alcun cenno all’ei)/dwlon, come se non
fosse questa la “novità” della riscrittura euripidea del mito di Elena. Cosa allora risultò “nuovo” agli
Ateniesi e ad Aristofane nella messa in scena dell’Elena? Cosa aveva di “nuovo” questa Elena
rispetto alle altre Elene, ancorché euripidee?
Già prima del 412 a.C. Euripide aveva scelto Elena come personaggio. Nell’ Andromaca,
Ecuba, Troiane, Elettra, Ifigenia Taurica Elena è l’Elena omerica, colei che fu la causa della guerra
di Troia, colei che fu rovina per i Greci, una metafora dell’atrocità della guerra, un simbolo della
bellezza, uno strumento passivo nelle mani di Afrodite. Non è figura diversa da quella cara ad
Eschilo, che nell’Agamennone giunge all’ardita etimologia del nome della donna “come colei che
prende o distrugge (e(lei=n) le navi (nau=j)” e la definisce “complice volontaria della colpa di
Paride, causa della rovina di Troia e dunque dell’ambiguo trionfo di Agamennone” (vv. 681-698).
Del resto, i testi in nostro possesso sulla figura di Elena non ci lasciano intravedere una Elena
diversa da ciò che ancora oggi ella rappresenta nel nostro immaginario: l’archetipo della donna
bellissima e adultera, che abbandona marito e famiglia per seguire in una terra lontana un uomo che
ha violato le regole dell’ospitalità; una novella Pandora, “un male camuffato dal bene”, la bella
responsabile della guerra di Troia.
Solo Saffo, a quanto sappiamo, l’aveva scagionata dalla terribile accusa e da “colpevole e
sterminatrice” (così Alceo fr. 42 V. e fr. 283 V.) l’aveva creduta “innamorata”: «Elena che superava
/ ogni donna in bellezza, abbandonato il suo illustre marito, / andò a Troia per mare, / scordando del
tutto la figlia / e i genitori» (fr. 16 L.-P., trad. Paduano).
Ma, nel 412 a.C. Euripide porta in scena per la prima volta una “nuova” Elena: non
fedifraga, ma fedele; non seducente, ma implorante; non altera, ma dimessa; non “eroina”, ma
“donna”.
La fedeltà al marito Menelao, rimasta salda per ben 17 anni, non può non richiamare quella
archetipica di Penelope per Odisseo, così come Menelao che “andò errando” per mare per sette
anni, dopo la distruzione di Troia, e che giunge naufrago in Egitto è un “altro” Odisseo. Ma i
parallelismi con i poemi omerici si fermano qui e rimangono in superficie. Tuttavia, un’inaspettata
Elena, paradigma di fedeltà e amore coniugale, non dovette passare inosservata al pubblico ateniese
ed è plausibile credere che propria questa nuova cartterizzazione del personaggio colpì anche
Aristofane che non a caso nelle Tesmoforiazuse, per difendere Euripide dalle accuse di misoginia, fa
recitare a Mnesiloco l’Elena.
Euripide non è interessato a fare della sua Elena un’altra Penelope. Una tale operazione
avrebbe significato sostituire molto semplicemente il modello archetipico della donna adultera con
quello della donna fedele. Euripide osa molto di più. Grazie all’espediente dell’ei)/dwlon, riesce a
“duplicare” Elena: non elimina l’Elena della tradizione omerica, ma la lascia convivere in un nuovo
personaggio, da lui per la prima volta “inventato” con le caratteristiche non di un “carattere fisso”,
ma di un personaggio “a tutto tondo”, complesso, che vive una forte conflittualità interna. È questa
una delle “novità” della tragedia euripidea: non esiste una sola Elena, quella che la tradizione ha
tramandato, ma esiste anche un’altra Elena, quella che Euripide spoglia del suo statuto mitico e
rende donna prostrata dalla nostalgia della sua patria, innamorata di un marito che forse non vive
più, tenace nelle resistenze al pretendente Teoclimeno.
Questa “nuova” Elena non ha nulla della grandezza tragica, ad esempio, di Medea. Medea
atterrisce nella sua lucida e mascolina vendetta, nella sua feroce fermezza. Elena, invece, suscita
una «adesione simpatetica senza riserve. Elena, l’infedele per eccellenza, è diventata la protagonista
di un amore eroico disposto ad affrontare la prova della morte» (Paduano).
Euripide, accogliendo la variante del mito diffusa da Stesicoro, sorprende i propri spettatori
dando corpo e voce ad un’altra Elena, che, rimasta nascosta in Egitto, non ha mai potuto dire la
verità sulla guerra che per dieci lunghi anni i Greci hanno combattuto per un inganno, per un
fantasma, per l’ei)/dwlon che Era aveva inviato a Troia al suo posto.
Per tutta la tragedia l’ei)/dwlon non appare mai in scena. Di esso si parla in quattro diversi
momenti (vv. 34, 582, 683, 1136) e in tutti è ricordato come oggetto delle lamentazioni di Elena,
che ad esso imputa la responsabilità della sua cattiva fama e della guerra di Troia.
Nel prologo Elena racconta: «Era, rabbiosa per non aver vinto le dee, fece svanire
(e)chne/mwse) per Alessandro le mie nozze: non me, ma un ei)/dwlon, simile in tutto
(o(moiw/sasa) a me, dotato di respiro (e)/mpnoun), plasmato con l’aria del cielo (ou)ranou=
cunqei=s’ a)/po), dà al figlio del re Priamo. Ed egli crede di avere me (dokei= m’ e)/xein), una vana
illusione (kenh\n do/khsin), pur non avendomi» (vv. 31-36).
Nella prima scena del secondo episodio, Menelao, naufrago nella terra d’Egitto, quando si
trova davanti Elena, non crede ai suoi occhi: vede il corpo di sua moglie (to\ sw=m’o(/moion), ma sa
che sua moglie si trova nella grotta. Ed Elena gli dice: «Non io andai a Troia, ma era un ei)/dwlon»
(v. 582). «Come dunque – le chiede Menelao – potevi stare qui e Troia contemporaneamente?». «Il
nome può stare ovunque, il corpo invece no (tou)/noma ge/noit’ a)\n pollaxou=, to\ sw=ma d’
ou)/)», gli risponde Elena (v. 588). E, dopo che un marinaio, compagno di Menelao, gli comunica
che la donna che credeva sua moglie si è levata in cielo ed è svanita, è Menelao a ripetere ad Elena
la storia dell’ei)/dwlon (v. 683), come se avesse bisogno di dare veridicità al racconto.
Ma che cosa intende Elena quando parla del suo ei)/dwlon?
Il termine compare già in Omero a significare i fantasmi dei defunti (yuxh/), le immagini
dei sogni (o)/nar) o le apparizioni che gli dei inviano agli uomini (fa/sma). Come ha ricordato
Jean-Pierre Vernant, gli eidola omerici (Achille che cerca di abbracciare Patroclo, apparsogli in
sogno; Odisseo che per tre volte invano tenta di stringere tra le braccia la madre Anticlea) non sono
“immagini”, ma “apparizioni” con l’aspetto della persona reale che «rendono presenti qualcosa che
allo stesso tempo reca ineliminabile il sigillo dell’assenza».
Ma ei)/dwlon è anche “simulacro”: la statua dedicata alla divinità, la pittura intagliata nel
legno, la stele funeraria, la statua di Protesilao che sua moglie Laodamia si costruisce dopo la morte
del marito o quella di Alcesti che il marito Admeto vorrebbe mettere nel suo letto, una volta morta.
È un sostituto, una “replica” della persona reale, come quello che Artemide sostituisce alla vera
Ifigenia perché non sia sacrificata dagli Achei. L’ei)/dwlon arcaico può perciò essere “apparizione”
inafferrabile o oggetto materiale, “simulacro”.
Tra VIII e V secolo a.C. «ciò che accomuna tutti gli eidola è l’essere oggetti “visibili” (da
*weid-, che eprime l’idea di vedere), che appartengono alla sfera dell’immagine, dell’aspetto
esteriore, che nulla dice della reale natura e che non è distinguibile dall’originale, come copia, né
dal vero, in quanto falso» (Bettini-Brillante).
L’ei)/dwlon (da *weid-, che eprime l’idea di vedere) è perciò «una semplice copia
dell’apparenza sensibile, che si rivolge allo sguardo, con un effetto di inganno, di delusione, di
“adescamento”, apate, e gli fa dimenticare il modello a cui si sostituisce, al punto da prenderne il
posto a guisa di doppio».
Solo a partire da Platone il termine ei)/dwlon designa “un secondo oggetto simile” (e(/teron
toiou=ton, Sofista 240 a), la replica o il duplicato di un primo oggetto, una sorta di suo gemello. È
del resto proprio Platone il primo filosofo ad elaborare una teoria generale dell’imitazione e
dell’immagine (l’attività mimetica è ei)dw/lwn dhmiourgi/a “fabbricazione di immagini” (Rep.
599 a7) e a porre a fondamento del suo pensiero filosofico la distinzione tra apparenza ed essere,
immagine e realtà, imitazione e modello. Nel corso del V secolo la problematica dell’essere e
dell’apparire era già certamente emersa all’interno della retorica e della sofistica, ma diventa
centrale solo nel IV secolo a.C.
Ma, torniamo all’Elena euripidea che andò in scena nel 412 a.C. Elena parla di sé come
soggetto duplice, dimezzato, perché il suo ei)/dwlon costituisce una seconda persona in tutto simile
alla prima, è un”immagine vivente” che si sostituisce ad essa, creando confusione e sconcerto.
«Bisognerebbe tradurre ei)/dwlon con doppio o spettro, piuttosto che con immagine. Un “doppio” è
tutt’altra cosa che un’immagine, perché esso è una realtà esterna al soggetto e riproduce, al di là
dell’aspetto fisico, l’identità del soggetto» (Vernant).
L’ei)/dwlon nella tragedia euripidea non può perciò essere solo espediente teatrale, suggerito
dalla versione stesicorea, per discolpare Elena, ma «rappresenta l’incertezza epistemologica
dell’uomo, smarrito in un mondo dove l’identità apparente sembra rimandare a esperienze diverse e
incompatibili, al punto che Menelao preferisce pensare alla possibilità di un mondo oggettivamente
tutto raddoppiato (vv. 497-9)» (Paduano). La categoria del “doppio”, che produce sugli spettatori un
effetto “perturbante”, secondo Freud, è presente nell’Elena sia a livello tematico sia a livello
strutturale: non una sola Elena, ma due Elene, in due paesi diversi (Egitto –Troia), con due diversi
profili morali (adultera – fedele), in una tragedia con due prologhi, due ingressi del coro, due
versioni sulla nascita di Elena, due riconoscimenti, due racconti di messaggeri.
Ciò che l’ei)/dwlon ”è” è “altro” da ciò che è la “vera” Elena. Perciò Elena e il suo
ei)/dwlon, anche se vicini (nascosto in una grotta sulla costa l’ei)/dwlon, presso la reggia la “vera”
Elena), non si incontrano mai, come due opposti che si respingono, due rette parallele che mai si
intersecano. Entrambi, la “vera” Elena e il suo simulacro, come Doctor Jekyll e Mister Hyde, sono
però uno e due, e, quando c’è l’uno, l’altro non c’è. Quando Menelao riconosce nell’Elena
incontrata in Egitto la sua “vera” moglie, l’ei)/dwlon scompare, svanisce, aria che ritorna aria, ed
Elena non ha più il suo “doppio”, il suo fantasma che si portava dentro e la tragedia può volgere
(altra “stranezza” di questa tragedia che non a caso è stata definita “tragicommedia” o
“melodramma”) al lieto fine.
La “vera” Elena non è quanto “gli altri” e, in primis, suo marito Menelao, pensano di lei.
L’Elena di Troia, l’ei)/dwlon, è una costruzione del loro pensiero, è “l’immagine” dell’Elena
adultera che il mito ha costruito, è il simulacro creato dagli dei per gli uomini che per qualsiasi
pretesto fanno la guerra, persino quei grandi e divini eroi del mito che hanno scatenato una
lunghissima guerra, la “più grande” prima della guerra del Peloponneso, per un fantasma! Tuttavia,
la critica contro la guerra e la vanità dell’uomo nell’Elena resta in sottofondo, perché non è Elena
responsabile della guerra, ma lo è l’idea di bellezza a lei associata: il suo corpo, il suo bel corpo, è
scisso dalla sua anima; è ciò che la sua anima vorrebbe non fosse. Elena che maledice il proprio
corpo, la propria bellezza, è vittima della sua stessa bellezza, è donna che lotta contro la sua
immagine pubblica, contro una fama che vive una vita propria e distinta da colei che l’ha ispirata. È
questa un’altra delle “novità” della tragedia euripidea.
La tragedia di Elena non è aver provocato la morte di “numerose vite di eroi” (ella non ha
colpe: come si può essere colevole di ciò che non si è fatto?), ma vivere l’onta di vedere infangato il
suo nome, sapere che tutti, persino suo marito, ritengono lei responsabile di tante nefandezze. Il suo
cruccio è essere impotente nei confronti della communis opinio, quella doxa, che si fonda non
sull’aletheia, ma sulle false opinioni, sugli eidola. Elena per lunghi 17 anni ha fatto esperienza su sè
stessa delle conseguenze nefaste di una falsa e cattiva fama e ha imparato che “uno può essere
uguale a molti”, come Edipo che, solo quando sa di essere proprio lui il responsabile della morte del
padre, riconosce la falsità di quella che credeva la sua verità, e cioé che “mai uno potrà essere
uguale a molti” (Edipo re , v. 845).
Euripide, attraverso l’espediente dell’ei)/dwlon, intese sollecitare gli Ateniesi ad interrogarsi
su ciò che è vero e ciò che è falso, su ciò che è e ciò che appare. Perciò nel teatro di Dioniso portò
in scena un’Elena mai vista prima, mai prima conosciuta, che, in quel gioco di illusione che è il
teatro, spiazzò lo spettatore che, fermo nelle sue certezze granitiche fondate sulla veridicità del
mito, fu costretto a chiedersi quale fosse la vera Elena, a quale storia dovesse credere, se a quella da
sempre tramandata o a quella proposta dal tragediografo. Non solo Elena si tormentava sulla scena,
ma tutti si trovavano a vivere nell’incertezza della vita, in un mondo che non è come appare o
appare come non è, in anni in cui la guerra era tornata (e questa volta era sì megi/sth, come la
definì Tucidide), aveva raggiunto luoghi lontani dalla Grecia e non ancora accennava a concludersi.
Bibliografia di riferimento
Jean-Pierre Vernant, L’immagine e il suo doppio. Dall’era dell’idolo all’alba dell’arte, Mimesis
Edizioni, Milano-Udine 2010
M. Cavalli, Lo spettacolo nel mondo greco, Bruno Mondadori, Milano 2008
G. Mastromarco – P. Totaro, Storia del teatro greco, Le Monnier Università, Milano 2008
Gorgia, Encomio di Elena, a c. di G. Paduano, Liguori Editori, Napoli 2004
M. Bettini – C. Brillante, Il mito di Elena. Immagini e racconti della Grecia a oggi, Einaudi, Torino
2002
G. Paduano, Il teatro antico. Guida alle opere, Editori Laterza, Roma-Bari 2005
Euripide, Elena, a c. di M. Fusillo, Rizzoli, Milano1997
Aristofane, La festa delle donne, a c. di G. Paduano, Rizzoli, Milano 1983
F. Mura, Il mito di Elena tra filosofia, retorica e teatro. Stesicoro, Euripide, Gorgia, in
www.filosofia.it.