Per non ridurre una storia di vita a una storia di
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Per non ridurre una storia di vita a una storia di
inter vista | studi | prospettive | inser to | metodo | str umenti | luoghi&professioni | bazar Per non ridurre una storia di vita a una storia di alcol La possibilità di cambiare passa dal produrre sempre nuove narrazioni di Elisa Martino, Teo Vignoli Come sostenere quanti si rivolgono ai Sert per problemi nel consumo e nell’abuso di alcol? I casi crescono in numero e varietà e gli operatori si interrogano su come promuovere reale cambiamento. Una possibilità è rappresentata dallo sperimentarsi in un gruppo che abbia nella narrazione il suo metodo portante. Quanto narrarsi può aiutare a superare i confini di scomode etichette e ad aprire lo sguardo su inedite risorse e opportunità? Quale posizione devono assumere gli operatori per lasciare maggior spazio alle proposte, alle idee, ai desideri delle singole persone e del gruppo? 90 | Animazione Sociale maggio | 2014 metodo N egli ultimi anni si rivolgono al Sert sempre più persone che hanno perso il controllo sul consumo di alcol ma che non hanno ancora pienamente sperimentato le conseguenze di ciò a livello fisico, psichico e di inserimento sociale. Per queste persone il comportamento di abuso rimane circoscritto nella sfera del privato, gestito individualmente o nell’ambito del gruppo ristretto di appartenenza. Accanto a esse, rimane costante il numero di persone che, dopo aver attraversato un periodo di vera e propria dipendenza fisica e psicologica, sono rimaste intrappolate tra le maglie di narrazioni auto- o eteroattribuite, nelle quali viene a mancare la pluralità degli aspetti che caratterizzano una storia di vita e assume invece un ruolo centrale il rapporto con l’alcol, con l’effetto di ridurre le possibilità di cambiamento. Le biografie che ispirano il metodo Queste persone chiedono aiuto per raggiungere l’astensione e gestire le conseguenze fisiche dell’astinenza, ma anche per riappropriarsi di una visione progettuale di sé e recuperare ruoli sociali frammentati, compromessi. «Guarda dove sono finita...» Francesca entra al Sert, accompagnata dai figli adulti che l’hanno costretta a riconoscere di avere un problema con l’alcol. Ha un’espressione confusa e lo sguardo intimorito: per arrivare davanti alle porte sulle quali c’è scritto «medico» e «psicologa», ha dovuto incrociare nel corridoio le persone che quotidianamente vengono a ritirare il metadone e le terapie antagoniste. Chissà quali domande si è posta, nel calcare questo inedito palcoscenico sul quale fino a oggi era convinta potessero recitare solo personaggi appartenenti a un mondo diverso dal suo, immaginati con i termini un po’ caricaturali con cui il senso comune delinea il profilo del consumatore di sostanze: «tossicodipendente», «marginale» e «deviante». Chissà quali ipotesi ha formulato su se stessa, sul suo percorso di vita e sul suo futuro: «sono un’alcolizzata», «come mi sono ridotta», «non riuscirò a cambiare». Francesca ha una casa, una famiglia, un lavoro e una solida rete di relazioni. Come dice lei stessa, il suo percorso di vita, seppur caratterizzato da fluttuazioni tra periodi di soddisfazione per la propria vita familiare e periodi di depressione, rientra in un quadro di normalità. Ma nella sua esperienza soggettiva qualcosa in questo sistema apparentemente perfetto si è inceppato: come se il vaso si fosse scheggiato e un po’ di liquido iniziasse a traboccare dal contenitore sociale dell’adattamento. Francesca ha avuto la capacità, supportata dalle risorse familiari, di chiedere aiuto. E ha varcato per la prima volta la soglia del Sert. Quando la incontriamo, dopo il consueto rito della presentazione reciproca, le chiediamo: «Che cosa ha provato oggi venendo qui?». Lo sguardo di Francesca si rilassa, si avverte un impercettibile sospiro di sollievo: «Ho pensato: come mi sono ridotta... guarda dove sono finita». Le spieghiamo che nel nostro lavoro incontriamo molte persone che, proprio come lei, non corrispondono in modo semplicistico alla rappresentazione dell’alcolizzato con la quale si è confrontata già prima di incontrarci. Le diciamo che è stata molto brava a rivolgersi a un servizio prima che il suo problema diventasse persistente nel tempo e pervasivo nelle aree dell’adattamento che ancora mantiene salde. Francesca appare rassicurata: intuisce di essere giunta in un luogo in cui non verrà Animazione Sociale maggio | 2014 metodo | 91 giudicata a priori sulla base del problema con il quale si è presentata e dove non verrà etichettata come «alcolizzata». «Come posso recuperare?» Giovanni è un uomo di 39 anni. La prima volta che lo incontriamo notiamo che i lineamenti del viso e il fisico appaiono sciupati dalla prolungata dipendenza dall’alcol. La sua è l’espressione di chi è convinto di non aver più niente da perdere nella vita, perché ha già perso tutto: famiglia, lavoro, credibilità sociale e aspettative positive su di sé. Fin da subito colpisce il fatto che, nonostante tale convinzione, manifestata anche verbalmente, abbia scelto di rivolgersi al Sert. Giovanni appartiene alla categoria di persone che nel corso degli anni hanno perso il controllo sulla propria esistenza, pur partendo da una posizione di vantaggio e di adeguatezza sociale. Giovanni stesso ricostruisce l’evoluzione del suo problema con l’alcol. Da un consumo iniziale di tipo occasionale e conviviale, nel tempo è passato all’abuso per supportare lo svolgimento dell’attività lavorativa imprenditoriale, che richiede produttività e «pensiero veloce». Quindi, a seguito di una furiosa lite familiare che ha indotto i vicini di casa a richiedere l’intervento delle Forze dell’ordine, il problema è diventato di dominio pubblico e l’abuso si è consolidato in una vera e propria dipendenza, con un corollario di conseguenze sociali: separazione dalla moglie, perdita del lavoro, progressivo e inesorabile isolamento sociale. Dopo alcuni colloqui Giovanni accetta un ricovero in clinica, per disintossicarsi e provare a imboccare la strada del cambiamento. E fin da subito chiede di poter continuare a venire al servizio dopo la dimissione, perché l’esperienza passata gli ha insegnato che da solo non ce la può fare. Una narrazione che promuove cambiamento Le richieste sono tante e le risorse disponibili insufficienti per strutturare trattamenti medici e psicologici individuali, adeguati in fase acuta e continuativi nel periodo in cui il rischio di ricaduta rimane alto. Nel pensare a un intervento efficace per rispondere a tali richieste ci siamo domandati: è possibile facilitare un cambiamento individuale attraverso il confronto tra persone che vivono esperienze così diverse, cioè, da un lato, tra persone i cui ruoli sociali sono vacillanti ma non ancora pesantemente intaccati dal rapporto problematico con l’alcol e, dall’altro, persone ufficialmente etichettate come «alcolizzate»? E soprattutto, qual è la metodologia più efficace per promuovere esperienze di cambiamento? BOX 1 RACCONTARSI VUOL DIRE RIELABORARE E PROGETTARE L’approccio narrativo si basa sul presupposto che le persone attribuiscono significato agli eventi in forma di storie. Innanzitutto, il pensiero stesso è di tipo narrativo. Le storie che le persone raccontano, su se stesse e sul mondo che le circonda, guidano i vissuti emotivi, gli atteggiamenti, le azioni e i progetti. Inoltre, attraverso l’attività del raccontare ognuno attribuisce arbitrariamente una sequenzialità al flusso della memoria, selezionando aspetti, eventi e situazioni cui dare rilievo, ed escludendone altri, per rendere coerente la rievocazione dell’esperienza autobiografica con l’attuale percezione di sé. Le storie non sono mai solo individuali ma sempre anche intersoggettive, in quanto costruite attraverso le conversazioni e le relazioni, all’interno di un contesto socio-culturale che predefinisce le narrazioni accettabili e potenzialmente raccontabili. In sintesi, il racconto della realtà soggettivamente prodotto genera la scrittura di una biografia personale che, intrecciandosi con le 92 | Animazione Sociale maggio | 2014 metodo e che la Se si condeivèidsempre narrazion ettiva, intersogglinico il lavoro cppo con il grunta il rapprese strumento principaleuovere per promze esperien mento. di cambia storie di altre persone e ricalcando le narrazioni socialmente accettabili, conferisce un senso alle esperienze umane e costruisce il filo conduttore della propria autobiografia. Una descrizione saturata dal problema In questa prospettiva, anche l’etichetta autoed eteroattribuita di «alcolizzato» è una storia, ovvero un modo di sintetizzare un’esperienza di vita ponendo al centro il consumo problematico di alcol. Nello specifico, tale etichetta rappresenta una descrizione di sé «saturata» dal problema, in quanto utilizza come nucleo narrativo centrale il rapporto con l’alcol e non altre parti dell’esperienza presente o passata della persona. In coerenza con tale racconto, tenderanno a essere selezionati gli elementi biografici e esperienziali che confermano il problema, ed esclusi quelli che lo disconfermano. L’etichetta di alcolizzato è il correlato narrativo della dipendenza fisica. L’attribuzione di tale etichetta tende a generarsi quando il consumo di alcol, uscito dal potere di controllo della persona, incorre in una reazione sociale e diventa pubblicamente noto, ovvero quando il consumo problematico di alcol mette in crisi il sistema di funzionamento individuale e incide sulle sfere dell’adattamento sociale. In seguito a questo passaggio, la persona viene a perdere i ruoli funzionali all’integrazione, con conseguenze sulle possibilità di cambiamento, che inesorabilmente si restringono. Tali processi di significazione sociale, cioè di stigmatizzazione e di etichettamento, in riferimento ai quali un individuo viene pubblicamente identificato come dipendente da alcol («alcolizzato») possono essere sintentizzati dal concetto di stigma esterno. Il concetto di stigma interno, invece, descrive l’organizzazione dell’identità individuale intorno al comportamento di abuso di alcol, che diventa il nucleo narrativo centrale in coerenza con il quale la persona si racconta ed è descritta dagli altri. L’accesso a una mente terapeutica interattiva Se si condivide il presupposto che la narrazione è sempre intersoggettiva, il lavoro clinico con il gruppo rappresenta il principale strumento di lavoro per promuovere esperienze di cambiamento. A differenza del colloquio individuale, tale tipologia di intervento rende accessibile una mente terapeutica interattiva in grado di potenziare le competenze narrative, relazionali e comunicative di ogni singolo partecipante attraverso il confronto non solo con il punto di vista professionale dei conduttori (che svolgono un ruolo di «regia» dell’interazione in corso) ma anche con quello esperienziale degli altri partecipanti. La condivisione con il gruppo rende accessibili due tipi di lavoro narrativo: • la riscrittura dell’esperienza, che mira a sostituire le descrizioni di sé saturate dal problema con nuove storie soggettivamente soddisfacenti e socialmente accettabili, in funzione di un maggior benessere percepito e di un equilibrio emotivo della persona; • la moltiplicazione dei punti di vista sull’esperienza, che mira ad amplificare Animazione Sociale maggio | 2014 metodo | 93 le prospettive possibili da cui osservare e descrivere la realtà, generando narrazioni nuove e talvolta inaspettate, con un alto potere ristrutturante. Un approccio maieutico per ricostruire significati La nostra risposta di operatori del Sert al primo dei quesiti precedentemente posti – se, cioè, sia realizzabile un intervento che metta a confronto persone appartenenti a fasi diverse nell’esperienza di consumo problematico di alcol – è stata quella di avviare una sperimentazione con un gruppo clinico narrativo. Accanto ai tradizionali interventi offerti dal servizio, è stato introdotto un lavoro di gruppo rivolto a persone che hanno perso il controllo sul proprio consumo di alcol, sia nel senso dell’abuso sia nel senso della vera e propria dipendenza. Tale gruppo si caratterizza come: • clinico, ovvero orientato a obiettivi di trattamento a parziale o totale sostituzione dei percorsi medici e psicologici individuali; • a conduzione pluriprofessionale, in quanto sono presenti una psicologa psicoterapeuta e un medico internista; • aperto, cioè con possibilità di turnover dei partecipanti, in corrispondenza di nuovi ingressi e uscite dal percorso; • a durata indeterminata. Il percorso di gruppo non ha un inizio e una fine, ma dura continuativamente nel tempo: gli incontri si svolgono a cadenza settimanale presso il Sert, per la durata di due ore ciascuno. Di volta in volta vengono inserite persone che, in sede di colloqui preliminari di valutazione, dopo aver impostato la terapia medica in caso di sindrome astinenziale, accettano e condividono la proposta di partecipare a un lavoro di gruppo. Anche le dimissioni sono sempre discusse e concordate con i conduttori e gli altri partecipanti. Nel rispondere al secondo quesito – quale metodologia adottare per promuovere esperienze di cambiamento – è stato scelto un approccio di tipo narrativo derivante dalla psicoterapia interazionista. Tale approccio trae ispirazione dal noto metodo maieutico, utilizzato da Socrate per accompagnare i suoi discepoli a far emergere in loro stessi una «verità soggettiva», anziché guidarli verso la scoperta di una presunta «verità oggettiva». In tal senso, i conduttori gestiscono ogni incontro in modo da indurre i partecipanti a individuare autonomamente le criticità da affrontare, piuttosto che indicare loro aree di riflessione o argomenti predeterminati, e da accompagnarli nel processo di ricostruzione di un significato che apra opportunità di cambiamento. L’ampliamento delle possibilità narrative che tale processo comporta può essere gestito in modo competente da parte dei due conduttori tenendo conto del fatto che tali possibilità non sono potenzialmente infinite, bensì preselezionate sia dal contesto di intervento (il Sert), che implicitamente definisce gli argomenti trattabili, sia dal metodo di lavoro che è mirato a focalizzare l’attenzione su argomenti atti a promuovere cambiamento. Nella conduzione del gruppo, il medico e lo psicologo non propongono moduli differenziati di intervento sulla base delle proprie specifiche competenze professionali, ma operano in modo complementare e interconnesso, prediligendo di volta in volta un intervento rispetto a un altro a seconda di quanto richiesto dall’argomento trattato. Se, ad esempio, nel gruppo si affronta il tema delle terapie farmacologiche e dei loro effetti collaterali, viene dato maggiore rilievo all’intervento del medico, mentre se 94 | Animazione Sociale maggio | 2014 metodo si discutono le conseguenze dell’assunzione di tali terapie sulla relazione di coppia, acquista maggiore centralità l’intervento dello psicologo. Alcune strategie di intervento La metodologia adottata nell’ambito dell’approccio narrativo prevede differenti strategie di intervento. L’utilizzo di domande generative Si parte da domande generative, ossia domande aperte, che non prevedono una risposta predefinita o dicotomica e sono finalizzate ad avviare o sviluppare un racconto. L’obiettivo di tali domande è consentire ai conduttori di valutare non solo il contenuto della risposta ma anche il modo con cui una persona struttura tale contenuto: quali eventi sceglie di narrare tra i tanti possibili (e quali sceglie di escludere), quali connessioni instaura tra i fatti che espone, quali significati attribuisce alle esperienze vissute. Un tipico esempio di domanda aperta che può essere proposta all’inizio di un incontro è: «Come è andata questa settimana?». Domande di questo tipo danno origine a un racconto profondamente differente rispetto a quello che emergerebbe se venisse chiesto: «Come è stato il vostro rapporto con l’alcol questa settimana?». Le risposte alle domande generative prodotte a turno da tutti i partecipanti, oltre a essere un cardine del colloquio motivazionale, offrono l’opportunità per lavorare sugli attrattori. L’individuazione degli attrattori In una conversazione o in un racconto, gli attrattori sono quei termini o quei concet- ti che mostrano un alto potere organizzatore rispetto alla narrazione in corso. L’individuazione di un attrattore da parte dei conduttori non deve essere effettuata sulla base di un criterio di valutazione soggettiva – su ciò che secondo loro sarebbe opportuno dire –, ma sulla base di un criterio di tipo narrativo. Ecco, di seguito, alcuni dei differenti criteri di tipo narrativo mediante i quali individuare gli attrattori all’interno di una narrazione. • Ridondanza L’attrattore può essere individuato in un racconto ribadito, un significato più volte evocato, una parola ripetuta, che organizza la narrazione dei partecipanti e che spesso sono introdotti nei primi interventi effettuati. Individuato e «restituito» al gruppo da parte dei conduttori, tale attrattore può diventare esplicito e orientare i processi di consapevolezza del gruppo stesso, consentendo in tal modo di sviluppare una successiva riflessione. Nei vostri interventi ognuno di voi ha parlato degli effetti dell’alcol sui rapporti interpersonali: Fabio sulla relazione con la moglie, Francesca sulla relazione con i figli, Daniele sul rapporto sia con la compagna sia con i genitori… C’è qualcosa che volete ancora aggiungere su questo tema? • Rilevanza per contrasto Possono essere considerati attrattori anche due o più racconti emersi dal gruppo che implicano un posizionamento dicotomico rispetto a un significato o a un contenuto rilevante per l’argomentazione. L’intervento di conduzione, allora, consiste nel restituire al gruppo tali racconti in modo che ognuno elabori, insieme agli altri partecipanti, un proprio personale posizionamento rispetto al tema trattato e, quando possibile, condivida una posizione comune all’interno del gruppo. Animazione Sociale maggio | 2014 metodo | 95 Un tema che spesso si impone per contrasto nei racconti dei partecipanti è l’obiettivo di raggiungere un consumo controllato di alcol, di contro alla necessità di perseguire una completa e definitiva astensione. Giovanni ha detto: «Quando bevo non capisco più niente, mi bastano pochi bicchieri per perdere il controllo e diventare aggressivo»; Marco invece ha detto: «Quando bevo, anche se esagero mantengo il controllo». Come vi ponete rispetto a questi due racconti opposti? • Assenza Un attrattore può essere individuato anche nell’assenza dal racconto di un elemento valutato come significativo dai conduttori in riferimento agli obiettivi di contesto, sui quali si vuole riflettere. Poniamo, ad esempio, che i partecipanti siano invitati a riflettere su quali indicatori devono essere presenti per poter parlare di dipendenza da alcol e che essi, elencandoli, citino tutti i criteri presenti nel Dsm (1) tranne il craving (2): a fine racconto, i partecipanti vengono stimolati a riflettere sul criterio omesso e sulle ragioni per le quali non è stato nominato, approfittando della circostanza per fornire una spiegazione. Alcuni attrattori assenti dal racconto possono essere fatti emergere anche mediante l’impiego di «domande indovinello»: l’oggetto della discussione viene individuato partendo dai problemi espressi di volta in volta da un partecipante o identificati utilizzando l’analisi degli attrattori che emergono dopo che ogni persona ha risposto a una domanda generativa. Si può, ad esempio, scegliere di ridefinire e riformulare un problema che un partecipante ha incontrato nel corso della settimana e proposto all’attenzione del gruppo, stimolando la riflessione e attivando processi di consapevolezza. Come già sottolineato, gli argomenti affrontati di volta in volta sono sempre pertinenti in quanto implicitamente preselezionati dal contesto. «Ognuno di voi, nel descrivere il problema, non ha nominato un’importante risorsa attualmente in vostro possesso: di che risorsa si tratta?». Se non fornita dagli stessi partecipanti, la risposta sarà fornita al gruppo da parte dei conduttori: «La capacità di chiedere aiuto, testimoniata dal fatto che siete qui». Il lavoro sulle competenze autopoietiche I partecipanti vengono attivati per fornire sostegno alla persona che espone un problema, stimolati da interventi dei conduttori quali: «Che consiglio dareste a Marco per superare questa difficoltà?». Si parla, a questo proposito, di competenza autopoietica, cioè della capacità dei partecipanti di un gruppo di fare interventi secondo lo stile proposto dai conduttori su uno specifico argomento non trattato in precedenza. Si tratta di una competenza creativa attraverso la quale il gruppo introduce qualcosa di diverso e di nuovo, sul piano contenutistico e metodologico, rispetto ai pattern proposti dai conduttori, mediante il riutilizzo di strategie già sperimentate su piani di lavoro diversi da quelli precedentemente affrontati. La scelta dell’argomento I conduttori non stabiliscono a priori l’argomento da affrontare durante l’incontro: In assenza di uno dei due conduttori, Francesca racconta le difficoltà sperimentate e i tentativi inefficaci di smettere di bere. Fabio interviene a supporto del conduttore presente ponendole domande che la aiutano a non per- 1 | Il Dsm è il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders). 2 | Il craving è il desiderio improvviso, compulsivo e apparentemente irrefrenabile di assumere una sostanza, in questo caso di consumare alcol. 96 | Animazione Sociale maggio | 2014 metodo dere la speranza in un cambiamento possibile. Nell’incontro successivo, Francesca dichiara di aver interrotto il consumo di alcol. La condivisione affettiva Attivata dal gruppo, la condivisione affettiva consente in primo luogo di considerare presente anche una persona in quel momento assente, come se occupasse una sedia vuota sulla quale ognuno sa che è simbolicamente seduta. In un incontro in cui un partecipante parla della difficoltà di sospendere il consumo di alcol chiediamo al gruppo: «Cosa direbbe Nicola, se fosse qui?». Federica risponde: «Direbbe: pensa alle conseguenze sulla salute, fermati adesso che stai ancora bene». (Nda: Nicola ha avuto un ricovero in medicina d’urgenza in seguito a un episodio di abuso che ha prodotto importanti conseguenze di tipo internistico). La condivisione affettiva, poi, facilita il reingresso nel gruppo in seguito a episodi di ricaduta o a interruzioni temporanee della partecipazione, dovute alla fluttuazione del processo di consapevolezza che spesso caratterizza un percorso di cambiamento. Nello specifico, la regolare cadenza settimanale e la consapevolezza dei meccanismi di accoglienza precedentemente sperimentati nel gruppo consentono a chi lo decide di riprendere il percorso senza dover prendere l’appuntamento di rito per fissare un colloquio individuale. Dopo aver partecipato ad alcuni incontri e aver sospeso il consumo di alcol, Sergio ricade e interrompe la partecipazione al percorso. Alcune settimane dopo, partecipa a sorpresa a un incontro e racconta: «Ieri mia sorella mi ha trovato ubriaco a casa e si è arrabbiata con me; io le ho chiesto, se voleva aiutarmi, di portarmi oggi qui al gruppo. E quindi sono qui». Nello stesso incontro, Sergio chiede di riprendere la terapia avversivante con Antabuse, interrotta prima della ricaduta. La comunicazione attraverso l’umorismo Quando nel gruppo si instaura una dimensione di condivisione affettiva, l’umorismo rappresenta una forma di comunicazione e interpretazione degli eventi che può suscitare in ciascuno dei partecipanti reazioni emotive piacevoli, riso e affiliazione sociale, come conseguenza dell’uso di una specifica struttura linguistica e/o di un uso caricaturale della comunicazione verbale e non verbale. La regola sottesa all’umorismo è riconducibile alla rottura dell’aspettativa, all’effetto sorpresa e alla violazione di una norma convenzionale. Nel lavoro con il gruppo l’uso dell’umorismo rafforza la relazione e favorisce la possibilità di far accettare nuovi punti di vista attraverso i quali ciascuno possa osservare la propria situazione problematica. Una strategia umoristica può consistere, ad esempio, nel rendere esplicita un’incoerenza tra contenuto verbale e non verbale della comunicazione in corso. Filippo comunica al gruppo la decisione di iniziare la terapia con Antabuse, farmaco che comporta l’impossibilità di assumere alcol, ma il tono della sua voce esprime palesemente una scarsa convizione. Invitato dal conduttore a ripetere l’affermazione con maggiore fermezza, Filippo ripete più volte sorridendo l’affermazione, utilizzando un tono via via più allegro e finendo con il suscitare il riso negli altri partecipanti. Il lavoro di gruppo procede quindi nell’approfondimento del vissuto di «lutto» che Filippo prova nel dover abbandonare l’alcol. L’attivazione del gruppo nella costruzione delle risposte Nella concezione socratica, l’ironia rappresenta un atteggiamento dialettico che consiste nel mostrarsi ignoranti in merito a una questione da affrontare, in modo da portare l’interlocutore ad argomentare la propria posizione. L’ironia socratica è coerente con Animazione Sociale maggio | 2014 metodo | 97 il metodo maieutico, perché conduce l’interlocutore a trovare da sé le risposte alle proprie domande, piuttosto che affidarsi a una autorità intellettuale in grado di offrire risposte preconfezionate. È sulla base di un tale atteggiamento dialettico che nell’ambito di un gruppo clinico narrativo, i conduttori non rispondono direttamente a una domanda posta dal gruppo, ma restituiscono tale domanda ai partecipanti, intervenendo successivamente per organizzare i racconti prodotti, integrare le risposte fornite e offrire spiegazioni specialistiche sulle tematiche affrontate. Durante un incontro un partecipante chiede al medico quando ci si possa considerare sufficientemente pronti e «sicuri» per poter scegliere di sospendere la terapia con Antabuse. I conduttori propongono di risponsdere agli stessi partecipanti; dalla discussione emerge che è possibile sospendere l’assunzione del farmaco quando: • si riesce a non bere nonostante la situazione (ad esempio, luoghi e circostanze in cui altri bevono e si ubriacano); • si riesce a non bere nonostante l’umore (ad esempio quando si è depressi o irritati); • si ha sufficiente forza di volontà, cioè si riesce a guidare il proprio comportamento in riferimento alla propria motivazione; • si hanno obiettivi che non si realizzerebbero se si continuasse a bere; • non si avverte la necessità di ottenere «certificati di sobrietà» dall’esterno (ad esempio, dai familiari o dal servizio sociale); • ci si trova all’interno di un percorso terapeutico che preveda anche un controllo medico. Alla fine dell’incontro i criteri vengono discussi in gruppo. In un incontro successivo tutti i partecipanti vengono stimolati ad autovalutarsi rispetto ai criteri elencati in modo da poter riflettere sul proprio stato di avanzamento nel processo di cambiamento in corso. La promozione di un ruolo attivo dei partecipanti Alcuni interventi sono focalizzati sulla prevenzione del rischio di ricadute e sulla anti- cipazione di strategie volte a fronteggiare le situazioni di rischio e mirano a promuovere nei partecipanti un ruolo attivo nel percorso di cura che li vede coinvolti. Il valore aggiunto fornito dal gruppo è la possibilità di confronto intersoggettivo in quanto ciascun partecipante – con il supporto del professionista, che aggiunge indicazioni terapeutiche e spiegazioni specialistiche – può svolgere un ruolo di consulenza rispetto agli altri e può intervenire per ampliare i punti di vista sul problema esposto. Nel loro insieme, tali interventi offrono la possibilità di: • fornire informazioni sul disturbo, sulle caratteristiche dell’abuso e delle dipendenze, sugli effetti fisici e comportamentali dati dall’assunzione di alcol; • fornire informazioni sulle varie possibilità di trattamento (percorsi ambulatoriali, ricoveri, ecc.) e approfondimenti sulle terapie farmacologiche e sui loro effetti collaterali; • costruire competenze e condividere strategie utili per anticipare e gestire efficacemente il rischio di ricaduta, attraverso l’individuazione dei segni premonitori e dei fattori di stress specifici che possono favorirne l’insorgere; a questo proposito è fondamentale insegnare ai partecipanti a riconoscere e gestire il craving; • valutare e definire strategie per ampliare la rete sociale, la quale può svolgere un ruolo protettivo rispetto al consumo di alcol. Il potenziamento di competenze e di esperienze di successo Gli interventi dei conduttori sono sempre orientati a valorizzare le esperienze di successo, a favorire la restituzione reciproca dei punti di forza, a potenziare le competenze autoriflessive e d’azione funzionali al processo di cambiamento. 98 | Animazione Sociale maggio | 2014 metodo Durante un incontro i conduttori chiedono ai partecipanti di raccontare la propria storia di vita, scegliendo eventi e situazioni che vogliono condividere con gli altri per farsi conoscere meglio. Tutti raccontano l’evoluzione del proprio rapporto con l’alcol nel tempo, i significati che lo hanno accompagnato e le sfere di relazione ritenute significative. Alla fine degli interventi, i conduttori restituiscono al gruppo: «Nella descrizione di sé e della propria storia ognuno di voi ha citato esperienze di dominio positivo degli eventi: Valentina nella separazione dal marito, Giorgio nella scelta di riprendere il percorso di studio, Francesca nel rapporto costruito con la famiglia... Secondo voi, quali risorse vi hanno permesso di mettere in atto tali competenze?». Un metodo rinnovato per aprire a nuovi inizi Nell’ottica del principio dell’«ecologia della responsabilità», Gaetano De Leo attribuisce la responsabilità degli esiti di un intervento a chi lo realizza, non a chi ne è destinatario. Analogamente, il pensiero teorico di Gregory Bateson ispira la logica in base alla quale «A, per cambiare B, deve prima cambiare A»: in altri termini, se voglio cambiare una persona, devo prima cambiare il mio modo di rapportarmi a lei e rendere accessibile l’opportunità di crescere insieme nell’interazione. In base a questi due principi ispiratori, in quanto operatori abbiamo compreso che per tentare di cambiare rappresentazioni e prospettive di vita delle persone che si rivolgono al Sert dopo aver sperimentato una perdita di controllo sul consumo di alcol, occorreva tentare di cambiare innanzitutto noi stessi, introducendo un nuovo metodo di lavoro. Per noi operatori è stato piacevole constatare come il co-cambiamento intrapreso – in particolare a seguito di incontri particolarmente significativi e intensi sul piano emotivo – abbia finito per produrre effetti più ampi e inattesi di quanto fosse preventivabile all’inizio, ricavandone la sensazione di aver appreso qualcosa di nuovo. Tutto ciò aiuta a rinnovare la sfida di non offrire soluzioni precostituite, ma di fornire risposte che, nella coerenza e nel rigore metodologico, siano adeguate ai problemi presentati di volta in volta dai nostri interlocutori. Nell’ultimo incontro prima della festività natalizia un partecipante esprime il proprio disagio al pensiero di non poter festeggiare l’inizio del nuovo anno con un brindisi. Durante l’incontro che ha luogo la mattina del 31 dicembre, i conduttori esplicitano il concetto che è possibile effettuare il brindisi di rito anche senza alcol. Quindi a ogni partecipante consegnano un bicchiere e una candela, con la richiesta di effettuare il brindisi di mezzanotte accendendo la candela, soffiandoci sopra ed esprimendo un desiderio che vorrebbe vedere realizzato nel 2014. I partecipanti escono dall’incontro dicendo che fotograferanno tale momento per condividere con il gruppo, nel primo incontro del nuovo anno, l’inconsueto brindisi. Elisa Martino è psicologa e psicoterapeuta, dipendente presso l’Ausl di Ravenna, Unità operativa Dipendenze patologiche, distretto di Lugo: [email protected] Teo Vignoli è medico, dipendente presso l’Ausl di Ravenna, Unità operativa Dipendenze patologiche, distretto di Lugo. è segretario della Società italiana di alcologia, sezione Emilia Romagna: [email protected]