Licenze facili e permessi edilizi fai da te
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Licenze facili e permessi edilizi fai da te
Piazza Gae Aulenti, è da vedere Piazza Gae Aulenti a Milano, inaugurata nel 2012 ed intitolata ad una delle donne più importanti dell’urbanistica italiana va vista. Un progetto di riqualificazione dell’archistar Cesar Pelli, nella Milano direzionale del grattacielo Unicredit, sempre di Pelli, convinto che il futuro delle grandi città sia nelle altezze piuttosto che consumare suolo, che ben si armonizza con la parte vecchia di Porta Nuova e Porta Garibaldi. Quando ci arrivi non ti accorgi che è sopraelevata per circa 400 metri, molto viva, ospitando peraltro importanti eventi della Settimana della moda. E’ tutto molto armonico e rientra nel progetto di riqualificazione di Porta Nuova iniziato nel 2005. Il naturale risultato di una città che si muove, che va avanti, una città europea del XXI secolo che nel rispetto del proprio passato vive nel futuro. Sono sempre stata preoccupata dagli innesti super contemporanei nelle città vecchie, quello di questa nuova piazza secondo me è perfetto, e non disturba affatto il preesistente panorama urbano. E’ un’opera d’arte articolata su tre piani, comunicanti con lunghe tube d’ottone che diffondono i suoni della città, oltre a spazi per l’arte ha stimolato molte polemiche ma è già frequentatissima, quindi solo per questo un successo di Pelli, convinto che Milano abbia bisogno di più spazi da vivere all’aperto e nelle piazze. Spontaneo il paragone con L’Aquila, di certo per le opportunità finanziarie enormi che ha avuto per riqualificarsi e che continua malamente a sfruttare. Secondo gli amministratori in centro storico non c’era nulla da rivedere dopo il sisma del 2009. L’unica riqualificazione urbana avviata è un progetto per la Banca d’Italia che prevede nuove palazzine, qualche negozio ed una piazza al centro con qualche panchina: solo cemento e solitudine. La ricostruzione praticamente finita in periferia e ancora da fare nei centri storici risulta un insieme di progetti in cemento, assolutamente isolati nel silenzio e nella mancanza di armonia con i tanti contesti di una città troppo diffusa e praticamente disabitata ovunque. Le gru sono tante, ma il contesto urbano resta livido e temporaneo. E non c’è un amministratore interessato ad indagarne le ragioni. Licenze facili e permessi edilizi fai da te Gae Aulenti, l’architetta scomparsa nel 2012, con i colleghi Gregotti e Fuksas firmò nel 2009 un appello contro le speculazioni urbanistiche di questi anni le licenze facili ed i permessi edilizi fai da te, decretano la fine delle nostre malconce istituzioni – scrivevano su Repubblica – il territorio, la città e l’architettura non dipendono da un’anarchia progettuale, che non rispetta il contesto, al contrario dipendono dalla civiltà e dalle leggi della comunità. Quell’appello resta nella storia e nella sensibilità di quanti avrebbero voluto un piano vero per L’Aquila, fatto di recuperi urbani omogenei, belle architetture e controlli ferrei sulle malte e sui nuovi progetti. La Aulenti non è riuscita ad inaugurare il nuovo aeroporto di Perugia ed Assisi, per il cui progetto aveva prediletto il rosso come il cotto delle case umbre, e il verde come gli ulivi sulle colline di Gubbio, colori importanti, studiati perché restassero impressi nelle persone che mai, passando per Perugia, avrebbero dovuto pensare di trovarsi in uno scalo come tanti. Aveva trovato l’ispirazione vivendo l’Umbria e aveva lavorato a quel progetto con passione, il cratere d’Abruzzo invece, continua ad essere solo la vetrina per mettersi in mostra e alla portata di tutti, dagli atenei in cerca di pubblicazioni, agli avventurieri o professionisti in cerca di celebrità senza averne la stoffa, ha trovato spazio chiunque. Perfino sul Progetto case si sono sbizzarriti, oltre che negli affari, nelle fogge e nei colori delle piastre senza conoscere la storia e le radici della comunità che affondano nelle montagne, nel verde, nei colori della roccia e in quelli delle malte medievali, rispettate solo dalle Sovrintendenze, nel rifacimento di alcuni palazzi vincolati visibili in centro storico e su via XX Settembre. Ci fosse stata una sola idea espressa dalla comunità, un Urban center sta nascendo in questi mesi, a sei anni da sisma, di certo non riuscirà ad interferire sui molti giochi urbanistici ed edilizi già conclusi. Insisto sull’importanza delle architetture della nuova città continuando a sperare che non sia troppo tardi, non ci si può arrendere all’evidenza di costruzioni identiche alle speculazioni urbanistiche degli ultimi decenni. Una città non abitata non serve Il noto architetto Mario Cucinella, donò all’indomani del sisma un progetto al Teatro Stabile d’Abruzzo per un teatro a Piazza d’Armi da 500 posti, poi le solite chiacchiere e polemiche, quindi un concorso d’idee che dovrebbe portare Modostudio Cibinel Laurenti Martocchia architetti associati a progettare un Parco urbano in quell’area, non sappiamo se quel dono prestigioso avrà mai seguito, si parla oggi di 900 posti per uno spazio congressi e ne seguiremo gli sviluppi. Intanto Cucinella è tornato all’Aquila per il Salone della ricostruzione, che ha tagliato il nastro ieri, per dirci che L’Aquila ha perso un’occasione. Quella di riqualificare le periferie, più brutte di prima aggiungo io, che avrebbero potuto essere più belle, ed il bello, per Cucinella educa, quindi fare scuole belle, edifici funzionali e vivibili nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza, conducono ad un benessere sociale futuro, che intanto si potrebbe impostare fin dall’edilizie scolastiche da ripensare. L’Aquila avrebbe potuto essere un pioniere in questo cambio culturale che dovrebbe interessare l’Italia, ma non c’è riuscita. Resistenze culturali, ignoranza, arroganza dell’assessorato competente che crede di poter rifare una città medievale con un urbanista e un paio di consulenti. L’architetto è andato oltre, non basta ristrutturare un centro storico, ha ragionato come chiunque dotato di buon senso ancor prima che di professionalità fa da sei anni ormai, una città non abitata non serve a niente, e in effetti non c’è una politica concreta messa in atto, che ci possa davvero far sperare in un ripopolamento certo del cuore cittadino. Tutti i piani strategici e regolatori delle grandi capitale europee sono stati impostati vent’anni fa e più, oggi raccolgono i primi frutti di un’urbanistica più bella, meno selvaggia e più attenta all’ambiente e a non consumare suoli. All’Aquila, città medievale dal glorioso passato diventa sempre più difficile affrontare un ragionamento pubblico che possa per lo meno porre le basi di una nuova cultura architettonica ed ambientale che ci proietti tra trent’anni, verso un futuro davvero migliore. Sentiamo solo chiacchiere politiche ormai, senza un impegno vero, ed è drammatico. La diffida, 106 dormitori da smontare All’indomani del sisma, molte imprese allestirono dormitori, campi base e villaggi per far dormire le centinaia di maestranze che avrebbero lavorato alla ricostruzione all’Aquila. Il Sindaco Cialente, con un’ordinanza del 12 agosto 2010, stabilì un minimo di regole per scongiurare gravi fenomeni di degrado ambientale, sociale ed urbano quali possono conseguire dal proliferare di situazioni abitative inappropriate sotto il profilo sanitario, dell’igiene urbana, della sicurezza, della dignità di lavoratori e cittadini come pure in conseguenza della realizzazione incontrollata di strutture precarie e provvisorie a servizio dei numerosissimi cantieri, situazioni queste, da cui possono facilmente derivare pericoli e compromissioni delle civile convivenza, degrado del territorio, pericolo per la sanità e l’igiene pubbliche e focolai di disordine e illegalità. Giusto ai primi di agosto un blitz dei carabinieri aveva scoperto a San Pio delle Camere, comune dell’aquilano, un capannone dormitorio per 25 operai, con lavori non autorizzati all’interno della struttura, presa in fitto da un imprenditore ventitreenne, senza bagni né finestre. Un proliferare di irregolarità per cui l’amministrazione del capoluogo impose la denuncia delle persone impiegate nella ricostruzione, degli indirizzi dei campi base, fossero state anche baracche, e delle mense, tutti dati che dovrebbe avere l’area sisma del Comune, che comunque non stabilì un limite temporale a questi insediamenti. Sono passati cinque anni e si è perso il controllo della situazione, nel 2013 anche l’incendio degli alloggi Mazzi ad Onna, stamattina in commissione territorio è giunta la diffida del legale Fausto Corti, di provvedere a rimuovere un paio di capannoni abusivi, frutto dell’ordinanza già revocata, entro trenta giorni, altrimenti si rivolgerà alla Procura. Ci sarebbero 106 strutture da controllare e smontare perché ormai non avrebbero più senso, ma l’amministrazione non ha controllato più nulla. L’Ordinanza di revoca che pare misteriosamente apparsa sull’Albo Pretorio solo da qualche giorno non ha avuto seguito, non ci sono termini nonostante le strutture avrebbero dovuto essere temporanee e gli uffici tecnici cadono dalle nuvole, dovrebbero fornire maggiori dettagli ai commissari nelle prossime settimane, ma è sempre più evidente come il controllo del territorio sia sfuggito di mano alla piccola città di provincia, L’Aquila, che non poteva neanche immaginare, il 6 aprile 2009, cosa le sarebbe capitato di lì a seguire. Sede unica, serve un mega architetto Non credo sia una cosa fuori dal mondo, sperare che la sede unica comunale possa essere una struttura architettonica di prestigio vero. Lo Stato ha messo a disposizione del Comune dell’Aquila 35milioni di euro, e non voglio pensare che la progettazione andrà nelle mani di uno studio qualunque che rischia di fare uno scempio urbanistico. Basti pensare alla sede universitaria presso l’ex Ospedale San Salvatore, un mostro bianco di cemento e contemporaneità, incastrato a forza in quell’ambiente, tanto che la vista della struttura spacca a metà la facciata dell’ex Ospedale e mal interpreta il resto. Non sappiamo ancora se la sede unica comunale andrà all’ex Autoparco, una zona alluvionale dove a seguito di alcune indagini geologiche è venuto fuori, ma si sa da sempre, che c’è molta acqua nei sotterranei e che ha una certa pressione. Dunque si potrà anche costruire ma le palificate per farlo costeranno un occhio della testa, tanto che il Sindaco Cialente forse per questo ci ha ripensato e anche fosse andassero fino in fondo, visto che il Consiglio comunale ha dato il via libera, non può andare tutto semplicemente nelle mani di uno studio che dovrà seguire semplicemente le aspettative del Comune, messe nere su bianco in un documento di circa 80 pagine, che andranno a base del concorso per la progettazione preliminare. Parliamo di un’area d’intervento di 15mila metri quadrati, l’amministrazione parla di qualità architettonica, in quella sede andrà l’intera amministrazione, a parte le istituzioni che torneranno a Palazzo Margherita, parla poi di sostenibilità e cura nelle tecniche costruttive, che vorrebbe di tipo tradizionale evoluto e che chiunque potrebbe interpretare in tremila modi differenti ma L’Aquila non può permettersi un altro scempio urbanistico. Quella parte di città e non solo va riqualificata, è la zona dei laghi della Regina Margherita ci vuole il passo di un mega architetto per vedere il futuro in quell’area strategica. Anche perché su 15mila metri quadrati, 22metri massimo di altezza ed un 25% di superficie dedicato al verde pubblico, con biblioteca, asilo nido e sala fitness, se il progetto andasse nelle mani sbagliate, sarebbe una roba orrenda che ci terremo per i prossimi secoli. Vere architetture, visitatori per attrarre Guardando un video sull’architetto Frank O. Gehry, ho pensato non solo alla grandiosa fantasia con cui ha scomposto le forme, ma anche a come ha saputo integrarle nel contesto urbano per cui le ha create. Dalla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles al Guggenheim Museum di Bilbao, alla Beekman Tower di New York. Passando per la sua casa a Santa Monica, una casa nuova che lascia quasi intatta quella preesistente creando aperture, scoperchiando, inventando nuovi varchi e spazi, usando materiali poveri dal compensato all’alluminio ondulato. Il Museum di Bilbao è un simbolo del decostruttivismo, cioè l’arte di scomporre le strutture per poi riassemblarle liberamente ma sempre in armonia, con i rivestimenti esterni in titanio come il cielo di Bilbao, simili a squame di pesci o ali d’uccello. Attira ogni anno oltre un milione di visitatori, curiosi di ammirare quello che è considerato un capolavoro dell’architettura del Novecento, inaugurato nel 1997, è uno dei quattro musei della Fondazione Guggenheim con Venezia, New York e Berlino, e sta contribuendo al rilancio economico di Bilbao e della provincia basca. Costato 170miliardi delle vecchie lire è una struttura unica, con 19 gallerie su tre piani, passerelle sospese, pietra e vetro, mi perdo nelle descrizioni delle sale, tutto nel rigoroso e perfetto rispetto del contesto urbano in cui si incastra. Com’è perfetta la Casa danzante a Praga di Gehry, ideata per uffici e incastonata su un’area bombardata nel corso della seconda guerra mondiale, con altezze nei tre volumi studiate per non togliere la vista del Castello, mentre le finestre si muovono in continuità con quelle dei palazzi storici dell’epoca. Un successo urbanistico, come tutti i suoi lavori. Secondo Gehry l’architetto deve guardare agli edifici circostanti, che mi piaccia o no li devo rispettare, è una questione di buon vicinato, ha dichiarato. All’Aquila non abbiamo avuto la stessa fortuna, basti vedere il pessimo risultato dello studio tecnico che ha realizzato la nuova sede universitaria al vecchio ospedale San Salvatore, una vera intrusa che non rispetta affatto il contesto, col monastero di San Basilio, in cui avrebbe dovuto innestarsi con armonia. Il capoluogo terremotato non riesce a capire che un’architettura ben fatta o un restauro prestigioso e innovativo, potrebbe essere l’inizio di una nuova economia, per attirare appassionati da tutto il mondo. Trent’anni, per la rigenerazione urbana Col nuovo Piano regolatore, almeno a leggere il documento preliminare redatto dal gruppo di lavoro, L’Aquila sogna una totale rigenerazione urbana, un grande parco fluviale ad attraversare la città linearmente col fiume Aterno, così da far dialogare borghi e periferie, qualche quartiere dei 19 del Progetto case da riservare a parchi urbani, e nuove impostazioni di servizi, ignorando la vocazione primaria del capoluogo distrutto dal sisma del 2009, che è quella di costruire e gettare cemento senza preoccuparsi troppo del bello e del verde. E’ dal 1975 che è così, lo era ancor prima, lo è stato dopo un terremoto devastante che avrebbe voluto altre politiche. Su queste basi e dal ritardo colpevole di una politica poco coraggiosa c’è poco da aspettarsi, ed anche a voler impostare una nuova cultura urbanistica, i risultati li avremmo tra 30 anni. Nel decimo rapporto Ispra, sulla Qualità dell’Ambiente urbano, tutte le buone pratiche riportate dai ricercatori, hanno esempi veri nella realtà concreta, come la smart city a Bolzano e le pianificazioni delle città europee impostate da decenni, basti riflettere sul premio che l’Ue assegna dal 2010, l’European Green Capital Award, per standard ambientali elevati, innovazione urbana e riuso delle strutture esistenti. A Stoccolma, che ha riqualificato un’area industriale dismessa col Piano regolatore del 1990, e poi ad Amburgo, che ha cominciato a recuperare quartieri degradati già dagli anni novanta, alla città basca Vitoria Gasteiz che ha creato un doppio anello verde di 30 chilometri intorno alla città antica col Prg del 1996, a Nantes che ha avuto il premio nel 2013, per aver riqualificato un’area industriale dismessa cominciando vent’anni fa, quindi a Bristol (nella foto) che avrà il premio nel 2015, per la capacità di coinvolgimento dei cittadini nel nuovo modo di pianificare. Nel 2014 ha vinto Copenaghen, per un’urbanistica legata alla terra ed agli spazi verdi, con una gestione nuova imperniata su eco innovazione e mobilità sostenibile. Politiche e visioni, impostate venti, trent’anni fa. Il recupero urbano delle città europee La prima città europea a ricevere nel 2010 l’European Green Capital Award, il premio Ue per standard ambientali elevati, innovazione urbana e riuso delle strutture esistenti è stata Stoccolma per aver riqualificato un’area industriale dismessa, col Piano regolatore del 1990, puntando al riutilizzo delle strutture rubane abbandonate. Segue Amburgo nel 2011, per aver adottato fin dagli anni novanta politiche di sviluppo urbano e di riqualificazione dei quartieri degradati, ripensato il trasporto pubblico e ridotto le emissioni, riconvertito depositi di stoccaggio in edilizia residenziale a basso impatto e spazi pubblici multifunzionali offrendo casi studio, per riqualificare capannoni industriali. Nel 2012 è la città basca Vitoria Gasteiz a ricevere il premio green, per aver distribuito i servizi in punti strategici, adottato fonti rinnovabili, trasformato i rifiuti in energia, introdotto un’illuminazione pubblica a led, recuperando aree dismesse. Il piano urbanistico del 2006 l’ha dotata di un doppio anello verde lungo 30 km, con una cintura esterna destinata a bosco ed una interna costituita da aree naturali protette a circondare il centro antico. La francese Nantes ha vinto nel 2013, per la rinascita ecocompatibile dopo la crisi industriale di oltre vent’anni fa, il piano di riqualificazione dell’Ile di Nantes sulla Loira, un tempo occupata da strutture portuali, ha reso questo quartiere un distretto culturale d’eccezione e un buon esempio di pratica urbanistica. Nel 2015 il premio sarà assegnato alla città inglese di Bristol, per l’impegno nel coinvolgimento degli abitanti verso piani e programmi di sostenibilità urbana, nella riqualificazione e rigenerazione di aree degradate o in disuso, nel recupero di valori paesaggistici anche attraverso spazi pubblici condivisi, nella ricerca delle identità culturali e dei luoghi dove relazionarsi. Si vola alto in queste capitali europee, bisogna capire cosa sta facendo L’Aquila per mirare a tali standard, avendo avuto a disposizione risorse, urbanisti di fama mondiale e tempo utile ad impostare politiche innovative per la ricostruzione post sisma, mentre si continua solo a costruire ignorando le aree industriali dismesse, completamente abbandonate a se stesse. L’innovazione urbana di Copenaghen Dal decimo rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano dell’Ispra, presentato a dicembre, riprendo e riporto l’esempio di città europee che per una corretta pianificazione urbana si sono aggiudicate l’European Green Capital Award, il premio che l’Unione assegna dal 2010 per standard ambientali di elevata qualità, risultati nel campo dell’innovazione urbana in termini smart e per modelli che favoriscono il riuso. Copenaghen è la capitale verde 2014, scelta tra Bristol e Francoforte. La città ufficiale della bici con i suoi 2 milioni di abitanti, 40mila ciclisti al giorno ed oltre 160 km di piste ciclabili, corsi d’acqua puliti, una rete alberghiera orientata al green, cucina a km zero, pianificazione legata alla terra ed agli spazi verdi, gestione urbana imperniata su eco innovazione e mobilità sostenibile, governance applicata al miglioramento del sistema socioeconomico, con una riconosciuta capacità di comunicare e sensibilizzare i cittadini sui temi ambientali. Roba da togliere il fiato, ad una città da ripensare come L’Aquila che nemmeno prova, a raggiungere certi standard. A Copenaghen, rileva il Rapporto, la nuova architettura progetta edifici e infrastrutture capaci di coniugare validità ecologica e rispetto delle preesistenze. Il Five Finger Plan, piano urbanistico del 2007, si era focalizzato sul recupero delle aree di espansione degradate. L’attuale strumento di pianificazione urbana e la nuova visione di futuro è costituita dal climate master plan for Copenhagen dove la complessità dei temi da affrontare ha suggerito la copertura di tutti gli edifici con giardini pensili e nelle strade un sistema di viali d’acqua che confluiscono in un unico bacino di raccolta. Le cosiddette aree verdi e blu del masterplan, replicabili in altri contesti e inserite al centro della città, svolgono funzione di drenaggio per i sempre più frequenti fenomeni di allagamento e funzione di recupero per l’acqua piovana resa così risorsa. Il quartiere di Nordhavn, frutto di recupero di aree portuali dismesse e della costruzione di un’area ad uso residenziale e pubblico, è ispirato al concetto della five minute city con mobilità ciclabile, uso delle rinnovabili e recupero dell’edilizia esistente. Ragionamenti improponibili in un contesto arretrato come quello aquilano, ma bisogna sapere ciò che ci accade intorno. In periferia di giorno, in centro di notte Dall’idea di poter valorizzare i quartieri del Progetto case a Map come alloggi per studenti e giovani coppie in social housing, siamo giunti a sei anni dal sisma a dover gestire solo l’urgenza del quotidiano. Il degrado è palpabile ogni giorno di più col verde incolto, nel gettare i rifiuti, nel parcheggiare male l’auto o nel rubare un neon da pochi euro, avevamo gli occhi del mondo addosso, ci seguivano ansiosi di capire come sarebbe rinata una città, con quali funzioni urbanistiche, quali architetture, quale cultura, quale economia. Siamo ancora in tempo? Abbiamo chiuso la porta in faccia a chiunque, e non solo agli sciacalli imbellettati che volevano fare affari, ma anche a quanti avrebbero dato il loro contributo alla smart city, ad una nuova città pedonalizzata e sostenibile, con belle architetture riqualificate e rispettate, e invece è una città che vive nelle periferie di giorno ubriacandosi di notte in centro, si registrano solo scempi, sfoghi e rabbia inesplosa, e man a mano che la gente rientrerà vorrà scappare perché sarà invivibile. Non siamo mai riusciti a pedonalizzare il cuore antico della città (nella foto Le Cancelle pre sisma), a vincere le resistenze dei residenti e di chi era abituato ad arrivare con l’auto a Piazza Palazzo, oggi è ancora peggio, ed accade tutto in un centro cantierizzato o peggio abbandonato nella gran parte delle zone rosse, puntellate da quasi sei anni con ferri e legni che nessuno garantisce da anni, tra i quali c’è chi ha ancora voglia di sfrecciare di notte per parcheggiare sul Corso oppure in via Garibladi. Chi s’è ricollocato ai margini della città guarda inquieto la realtà, gli accadimenti e gli sfregi gratuiti che deturpano i palazzi storici appena finiti, ed ha sempre meno voglia di tornare nell’assenza di un minimo di garanzia di vita e di rispetto. Bisognerebbe chiedersi verso dove andiamo e chi aspira a fare politica dovrebbe cercare di capire, così da prendere atto di un primo risultato che è quello per cui lottiamo da sei anni solo per la sopravvivenza quotidiana, ogni giorno più difficile. E intanto il Sindaco si accontenta e racconta al tg della rai regionale, che se ci fosse stata una cantinola, negli alloggi del Progetto case, sarebbero stati più vivibili.