adesso basta!

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adesso basta!
ADESSO BASTA!
I FIAMMIFERI SERVIRANNO PURE A QUALCOSA
Pozzo&Martini
Milano 1887
Ogni giorno me ne vado in giro per le vie di Milano.
Sono il primo a iniziare e l’ultimo a finire. Anche il sole se ne va prima di me.
E rimango da solo nelle vie senza luce.
Mi fanno male le gambe, mi fa male la schiena. E sul collo ho un segno rosso che
brucia come il fuoco. D’altronde, non c’è altro modo per portare questa cassetta a
tracolla.
- Cento, signori! Cento in una sola scatola, parola mia! – urlo tutto il giorno.
Il più delle volte sono cento per davvero. Cento fiammiferi proprio come è scritto sulla
scatola. Capita che qualcuno ne trovi sei o sette in meno. Ma può sbagliarsi, no? Se c'è
scritto cento fiammiferi, cento fiammiferi sono, parola mia.
Giro tutto il giorno per tirare su qualche centesimo con questi cerini.
Intanto il Giletta strilla: - Giornali! Giornali per signore e signorine, buone notizie
mattutine!
E strizza l’occhio a ogni donna che passa.
- Mi rubi i clienti – gli urlo. - Un giorno o l’altro faccio un falò con i tuoi giornali,
parola mia!
Il Giletta mi taglia la strada e resta a pochi passi da me. Gira e rigira, me lo trovo
sempre davanti. Eppure Milano è grande.
Allora, cerco di urlare più forte ma il Giletta sbraita a squarciagola.
- Notizie fresche come uova di giornata!
E strilla le notizie del giorno come le avesse inventate lui.
In quel momento penso che la vita sia dura solo per me. Mica la sente la crisi, lui.
- Giornali per signore e signorine, notizie belle per le sposine! - dice a gran voce.
- Prima o poi finirai pure tu su quei giornali, parola mia – gli urlo.
Ma il Giletta sembra ignorarmi. E continua: - Giornali gente, belle notizie veramente!
Non va via finché non ha venduto anche l’ultima copia.
Allora si ritira in quella catapecchia fatta con assi di legno marce e non mette neanche
un lucchetto alla porta. Intanto non c’è niente da rubare, dice, a parte i soldi. Ma quelli
sono nascosti.
L'ho seguito, una notte, e ho visto che li metteva in un buco nella terra, sotto un vaso
di margherite gialle. Proprio vicino alla porta di quella stamberga che cade a pezzi.
Io ci sfamerei i miei figli per almeno sei mesi con quelle monete. Io che sono costretto
a vendere a metà prezzo le mie scatole di fiammiferi. E i soldi non bastano mai.
Non so cosa sia successo quest’anno là, nelle fabbriche, dove ci sono le persone che
contano. Dove certo non pensano che noi qui, sulle strade, facciamo la fame. Là si
divertono a giocare con i macchinari. E gioca oggi, gioca domani, capita che, per
sbaglio, si producano troppi fiammiferi.
Interessa a qualcuno se devo vendere una scatola a soli cinque centesimi? E quelli
come me sono tutti per le strade, pieni di fiammiferi da vendere e pochi soldi in tasca.
E mia moglie è costretta a lavare i panni dei signori milanesi. E sbatte e sciacqua e
strizza. Quanta cenere serve per pulire quelle lenzuola. Non sarebbero così bianche
senza tutta quella cenere.
E allora, mi dico, i fiammiferi serviranno pure a qualcosa!
Potrei dare fuoco a Milano con i miei fiammiferi, parola mia.
Quanta cenere ci sarebbe.
Quando arrivo a casa la sera e vedo mia moglie con le ginocchia livide, e vedo i miei
figli che presto dovranno darsi da fare per non morire di fame, e non posso lasciare
nemmeno un pezzo di pane sul tavolo, perché il pane è diventato troppo caro, allora
non mi resta che dare fuoco a qualche sterpaglia e dire “almeno scaldatevi tutti quanti,
visto che la pancia è vuota”.
Dico proprio così, parola mia.
Passo le giornate in strada con la cassetta a tracolla a vendere i miei cerini. Ma siamo
in troppi. Più di trecento per le vie di Milano. Cosa se ne fa la gente di tanti
fiammiferi.
- Per il fuoco, per il fumo! – grido.
I più neanche si avvicinano. Neanche si girano verso di me.
- Per far fuoco in ogni dove! – continuo.
E le scatole di fiammiferi rimangono nella cassetta a tracolla. E mentre penso ai miei
figli e a mia moglie che si rompe la schiena al lavatoio, passo davanti al Duomo.
Tutti vanno di corsa, per il freddo. Mi fermo e li sto a guardare.
E subito, come mi avesse seguito, arriva il Giletta. E come sempre, sorride.
Fa smancerie, s’inchina dinanzi a donne con vistosi gioielli e ventagli dipinti.
E così riesce a vendere i suoi maledetti giornali.
Ha le tasche piene di monete, posso vederle anche da qui.
Adesso basta! Basta sul serio.
- Fiammiferiiii! – urlo mentre uomini con cappelli a tuba e scarpe lucide scendono
dalle carrozze. Li guardo dritto in faccia. Ma loro non mi vedono neppure.
Allora insisto.
- Fiammiferi signori, cento fiammiferi, cento, parola mia!
A questo punto si voltano e, svogliati, ne prendono una scatola. La mettono in un
taschino del panciotto. Poi mi lanciano i centesimi come si lancia un osso a un cane.
Il Giletta continua a vendere i suoi giornali. Non ne ha quasi più.
Tra poco tornerà a casa con le tasche piene di monete. Le mie, invece, sono vuote.
Sempre vuote.
Adesso basta!
Non penso più a nulla. Né a mia moglie né ai miei figli affamati come lupi.
Guardo il Giletta che si allontana senza più un giornale. So dove abita, sulla Darsena.
Ci vive da solo in quella catapecchia. Lo seguo mentre la cassetta che tengo al collo è
ancora piena di scatole di fiammiferi e sbatte sul petto. E mi fa male.
Rallento il passo, non devo destare sospetti.
Cosa ne farà il Giletta di tutti quei soldi, penso. Di certo li mette in un buco sotto terra,
proprio sotto il vaso di margherite gialle accanto alla porta.
Adesso basta!
– Fuoco a tutto quanto – ripeto a bassa voce. E stringo i pugni.
Il Giletta si ferma a parlare con un uomo che ho già visto. Uno strillone, uno come lui.
I due parlottano poi s’infilano in una bettola. E io, qui, con le tasche vuote.
Mi avvio verso casa. La cassetta che ho al collo pesa e a ogni passo sbatte sul petto.
Anche stasera troverò mia moglie con le ginocchia livide e le mani bruciate dall'acqua
gelida del Naviglio. Troverò i miei figli che mi guarderanno senza parlare. Anche
stasera non ho nemmeno un pezzo di pane da mettere sul tavolo.
Adesso basta!
Mi fermo. E guardo la cassetta che ho al collo. Torno indietro. Cammino veloce
mentre conto le scatole di cerini. Ogni scatola cento fiammiferi. Cento, sissignore!
Quante scatole saranno, venti, trenta? Ne bastano meno, parola mia.
Mi avvicino alla stamberga del Giletta. Non cerco i soldi. Non scavo nella terra come
un animale. Non voglio i suoi soldi. Resto fuori, nel buio. E accendo un mucchio di
fiammiferi poi li butto intorno a quella catapecchia.
Una bella fiammata. E scappo.
Sto ancora correndo quando da quella stamberga escono delle urla.
Sento dei passi a distanza. Sento gridare.
- Ladri! Assassini!
Assassini? Penso fra me e me. Mi fermo. E guardo.
La situazione mi è sfuggita di mano. Non avevo visto il Giletta uscire dalla bettola e
infilarsi in quella stamberga. E ora lui è avvolto dalle fiamme, chiede aiuto, implora.
Uomini che fino a quel momento erano nelle osterie a buttare giù vino rosso ora
corrono verso quel falò che luccica nella notte.
Il Giletta gira su se stesso, più volte, allunga un braccio in fiamme e sembra porgere un
giornale in un estremo tentativo di guadagnare ancora qualcosa. Gira su se stesso e
dalle tasche escono monete che luccicano nel fuoco. Poi si ferma un istante, cade a
terra. E brucia.
Resto a guardarlo mentre si agita ancora come uno scarafaggio a pancia in su. E dico a
me stesso che i fiammiferi serviranno pure a qualcosa!
E quando finalmente il Giletta non si muove più, alzo le spalle e mi avvio verso casa.
Lascio dietro di me le ultime fiamme a illuminare questa gelida notte di febbraio.
Tra poco sarà tutto buio.
Mentre cammino penso che domani sarò di nuovo qui, lungo le strade di Milano, con
la cassetta di fiammiferi che picchia sul petto e il sudore che cola dalla fronte, anche se
è inverno, anche se è freddo.