Religione Scuola Città

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Religione Scuola Città
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma
R I V I S TA PE R L A S C U O L A D E L L A D I O C E S I D I RO M A
Editoriale: Vivere la riforma
L’educazione formale, informale,
non formale nel processo formativo
dell’alunno
La centralità della persona nella scuola
L’IRC nella Scuola Cattolica
L’IRC dentro la scuola della riforma
L’adeguamento dell’Oratorio di don
Bosco alle leggi dello Stato Sabaudo
The Truman Show di Peter Weir
Le opere e i giorni
Incontri romani
Notizie legali e sindacali
3/2004
Religione
Scuola
Città
Religione Scuola Città
RIVISTA PER LA SCUOLA
DELLA DIOCESI DI ROMA
Anno X (2004) n. 3/4
Sommario
EDITORIALE
Manlio Asta Editoriale: Vivere la riforma
3
Direttore responsabile
Angelo Zema
Direttore
Gregoria Cannarozzo L’educazione formale, informale, non formale
nel processo formativo dell’alunno
Manlio Asta
Consiglio di redazione
Carmine Brienza
Giuseppe Iovino
Filippo Morlacchi
Alessandro Tarzia
Grazia Palma Testa
Pasquale Troìa
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del 18.02.1995
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00184 ROMA
Sira Serenella Macchietti La centralità della persona nella scuola.
Il contributo della religione cattolica
4
9
Carmine Brienza L’IRC nella scuola cattolica
14
Filippo Morlacchi L’IRC dentro la Scuola della Riforma
16
TUTTA UN’ALTRA STORIA
Federico Corrubolo L’adeguamento dell’Oratorio di don Bosco
alle leggi dello Stato Sabaudo (1848-1863)
20
RIPRESE & DETTAGLI
Andrea Monda The Truman Show di Peter Weir
23
LE OPERE E I GIORNI
Pasquale Troìa Globalizzazione, comunicazione e Tradizione - Per
un codice deontologico degli insegnanti - Explora, Il
museo dei bambini di Roma - Rapporto Jòvens 2000
y Religion - Grammatiche della creazione
26
INCONTRI ROMANI
Roberto Rossi Iniziazione alla meditazione profonda
32
NOTIZIE LEGALI E SINDACALI
Angelo Zappelli L’organico di diritto dell’IRC - Contratti individuali
annuali 2004/05 - In rualo dopo il Concorso i primi
docenti di Religione
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MATERIALI E DOCUMENTI
CEI - Servizio Nazionale “Raccomandazioni” per il contributo specifico
per l’IRC dell’IRC alla elaborazione dei piani di studio
personalizzati nella scuola primaria
36
Editoriale
I
Il presente numero di RSC, dedicato alle tematiche della riforma della
scuola, offre - insieme ad altri contributi - una sintesi dell’intervento della
prof. Cannarozzo al Convegno dei Docenti Cattolici della Diocesi di Roma
svoltosi presso il santuario del Divino Amore l’11 settembre scorso, dedicato
all’educazione formale, non formale e informale. Le tre categorie sono presenti nel PECUP, nel momento in cui si afferma che la scuola, per raggiungere
le sue finalità educative, deve saper valorizzare anche le conoscenze e abilità
che lo studente acquisisce negli altri ambienti in cui cresce. Emerge quindi la
chiara affermazione che la scuola sa di non essere l’unico luogo educativo e
istruttivo e si impegna a comportarsi di conseguenza.
Mi sembra interessante far notare che le tre categorie corrispondono senza alcuna forzatura - alle tre parole della nostra testata: “R” come “religione”, vita vissuta in un preciso orizzonte di senso, e quindi educazione intenzionale non scolastica nei percorsi ecclesiastici di formazione; “S” come
“scuola”: il sistema formale per definizione, che pare davvero avviato a recuperare la sua originaria funzione educativa; “C” come “città”, l’ambiente che
educa anche quando
non ne è pienamente
consapevole.
Voglio dire che la
prospettiva dell’alleanza
educativa, per leggere il fatto nell’ottica scolastica, e della pastorale integrata,
per leggerlo in ottica ecclesiale, è sempre stato lo scenario in cui abbiamo cercato di elaborare la nostra proposta.
Questa sottolineatura di continuità può motivarci ad accogliere alcune
indicazioni che il Cardinale Vicario ci ha offerto nel programma pastorale
diocesano:
• promuovere e sostenere la consapevolezza dell’insostituibile ruolo educativo della famiglia;
• realizzare una sempre maggiore integrazione dell’azione educativa della
scuola nella pastorale degli adolescenti, valorizzando la categoria pedagogica del “progetto di vita”;
• sviluppare iniziative concrete di aiuto verso i genitori che si trovano in
difficoltà educative nei confronti dei figli.
Infine, una parola sulla personalizzazione, di cui si occupa espressamente l’articolo della prof. Macchietti, per ricordare che - tra le varie prospettive che questa scelta educativa coltiva - una sopra tutte le altre deve stare a
cuore a noi cattolici, impegnati a preoccuparci degli ultimi e dei poveri:
quella per cui attraverso l’elaborazione di itinerari personalizzati possiamo
combattere e ridurre i troppi insuccessi scolastici, non attraverso la gherminella della promozione assicurata, ma grazie al raggiungimento di un effettivo successo formativo.
Manlio Asta
Vivere la riforma
3
L’educazione formale,
informale, non formale nel
processo formativo dell’alunno
di Gregoria Cannarozzo
1. Circolarità del sistema formale, informaIn terzo luogo, perché nella società contemporale, non formale nel processo di istruzione e
nea la famiglia non solo è entrata in crisi più delle
formazione - Parlare di integrazione fra il sistealtre istituzioni formative, ma è anche cambiata
ma formale (la scuola), il sistema informale (la
senz’altro più della scuola. Basta pensare alla presfamiglia, il volontariato, le associazioni, il lavoro
sione sempre crescente del lavoro (orari, ansia di
e tutto ciò che interviene nella educazione non
perderlo, competitività esasperante), che sottrae
formalizzata della persona) e il sistema non fortempi e persone (lavoro femminile) alle risorse
male (internet, i media, l’opinione comune…)
familiari, e alla difficoltà che incontrano i genitonei processi di istruziori a mantenere il prone e formazione signifiprio ruolo etico-educaca ragionare sulle
tivo e culturale-educatiL’articolo riproduce in forma sintetica la
migliori pratiche per
vo. Dato che i figli
relazione che la prof. Cannarozzo, memrealizzare percorsi di
imparano comportabro del gruppo di ricerca sulla Riforma e
apprendimento/insementi e valori e svilupdocente all’Università di Bergamo, ha
gnamento unitari e
pano affettività sia
tenuto al Convegno dei Docenti Cattolici
condivisi da tutti i sogattraverso l’amore e la
di Roma presso il Santuario del Divino
getti con compiti educura che ricevono dai
cativi. Almeno per tre
genitori, sia dall’esemAmore (11 settembre 2004). Vi si mette
motivi.
pio e dalla pratica delle
in luce come la Riforma, ispirandosi larIn primo luogo, perché
regole con cui si congamente alla tradizione personalista,
non esiste più la situafrontano, il venir meno
metta al centro del suo progetto l’interazione di un tempo,
o anche il semplice
zione fra i diversi sistemi di educazione,
quella in cui la scuola
affievolirsi della presenza la quale risulta impossibile conseistruiva e la famiglia
senza educativa della
educava.
famiglia producono l’eguire l’obiettivo complessivo: educare non
In secondo luogo, persaurirsi di una ricchezza
solo a sapere, ma ad essere, e proseguire
ché le conoscenze di cui
tutta da recuperare.
tale formazione per l’arco di tutta la vita.
noi e i nostri ragazzi
Diventare co-protagodisponiamo e con cui ci
nisti e assumere la
confrontiamo ogni giorno, nella maggior parte dei
responsabilità dei processi educativi e formativi
casi non sono conoscenze che contribuiscono a
per ripristinare il valore dell’educare, istruire e
creare un progetto di vita, snodo fondamentale per
formare è una vera e propria sfida, che, per essere
l’educazione, l’istruzione e la formazione della peraccolta, può avvalersi del nuovo assetto istituziosona, ma sono conoscenze che si sviluppano a livelnale e ordinamentale delineatosi nel nostro sistelo frammentario ed epidermico, consumate in fretma scolastico a partire dall’ultimo scorcio del
ta, mediatiche. Fenomeno, questo, che non può
secolo scorso: decentramento amministrativo
essere affrontato unicamente dalla scuola e, tanto
(Legge 59/97), autonomia delle istituzioni scolameno, da una scuola che si limiti a “trasmettere”
stiche (Dpr. 275/99), istituzione del servizio pubconoscenze, non di rado basandosi su metodologie
blico integrato di scuole statali e non statali
e strutture educative abbastanza fragili.
(Legge 62/2000), novellato Titolo V della Costi4
Giorgio De Chirico (1888-1978), Archeologi
(1968), olio su tela, 84,5x64,5. Roma, Fondazione Giorgio e Isa De Chirico.
La scuola non è archeologia del sapere. Né i nostri
studenti archivi di passato o musei di statue nozionistiche. Il passato del sapere è il futuro che era
cominciato da alcuni secoli e decenni. E non sarà
l'assecondarci o il reciproco consolarsi che inventerà
il futuro, ma nuove avventure, a volte solitarie, a
volte condivise. Ad un certo costo. Nonostante
tutto. Come ogni novum che genera cultura nella
vita delle persone. L'unica consolazione possibile oggi nella scuola - è quella di inventare il passato
del domani: oggi per noi futuro di speranza.
(P. Troìa)
tuzione (Legge 3 del 18/10/2001, nuovo rapporto centro-periferia). Tale assetto si caratterizza,
innanzi tutto, per il suo generale improntarsi al
principio costituzionale di sussidiarietà1 che esige
la cooperazione di scuole, famiglie, enti locali-territoriali e stato2 al fine di costruire il processo
educativo e formativo di ciascuno studente.
Secondo la sussidiarietà verticale è l’ente amministrativo più vicino al cittadino a rispondere per
primo ai suoi bisogni. Secondo la sussidiarietà
orizzontale ciò che può essere fatto, via via, dalle
‘formazioni sociali’ (famiglia, associazioni, volontariato ecc.) non è opportuno sia avocato dalle
altre istituzioni amministrative, enti territorialilocali, ecc. In particolare, la famiglia è la prima
‘formazione sociale’ con cui la scuola deve inter-
loquire per realizzare la autonomia funzionale
(Dpr. 275/99 cit., art. 1) di cui è dotata3.
Il principio di sussidiarietà non è nuovo nella
nostra tradizione culturale. È stato, infatti, tema
costante nelle encicliche papali da Leone XIII, a
Pio XI, a Giovanni XXIII, a Giovanni Paolo II.
Nella Quadragesimo anno di Pio XI leggiamo
che «è illecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l’ industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto
rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori si può fare».
Tuttavia, nel passaggio da un sistema burocratico
e statalista (tutto si decide al centro) a un sistema
poliarchico (condivisione delle scelte), per evitare
i rischi della frammentazione (ognuno regione fa
1
Art. 118, legge 3 del 18 ottobre 2001; cfr. Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle attività educative nelle Scuole dell’Infanzia, http://www.istruzione.it/news/2002/allegati/sperimentazione/raccomandazioni_infanzia.pdf; cfr anche in:
http://www.cisem.it.
2
G. BERTAGNA, Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella scuola secondaria di I grado, Inserto, Scuola e Didattica, n. 10, La
Scuola, Brescia 2003, pp. 2ss.; anche in http://www.istruzione.it/normativa/2003/allegati/indicazioni_media_05_03.pdf.
3
Significa che le istituzioni scolastiche sono corpi sociali dotati di autonomia finanziaria, didattica e amministrativa proprio per realizzare meglio
quel servizio alla persona che è la scuola.
5
come vuole) e della polarizzazione (scuole di serie
A e di serie B sul territorio locale e nazionale),
non basta la sussidiarietà per assicurare a ogni cittadino della Repubblica, in orizzontale e in verticale, giustizia in educazione, ma occorre anche
garantire equità. E per concretizzare sussidiarietà
ed equità è necessaria la solidarietà fra tutti i soggetti. Ma per avere sussidiarietà, equità e solidarietà è indispensabile l’assunzione personale e
sociale del principio di responsabilità.
2. «L’educazione ci attende ogni giorno» (don
Giussani) - Quelle fino qui analizzate sono questioni che hanno il loro precedente storico in due
documenti significativi del passato: il rapporto
Faure del 1972 e il rapporto Unesco del 1996. Il
primo già affermava testualmente che: “la nostra
epoca è segnata da una domanda di educazione di
un’ampiezza e di un vigore senza precedenti.
Tutto fa presagire che questa corrente andrà crescendo. A noi sembra irreversibile”. Inoltre, sottolineava la necessità di riaffermare la valenza
educativa della scuola insieme all’urgenza di
rimotivarla a educare nella società complessa e
ribadiva che uno dei pilastri dell’educazione è
educare ad essere, cioè a passare da un’idea di
educazione come semplice trasmissione di conoscenze e abilità a una idea di educazione che
metta al centro la persona nella sua interezza.
Quindi, era già posto, nel 1972, il problema di
passare dal sapere, saper fare e saper essere (tutto
l’apprendimento è incardinato sull’aspetto
cognitivo) al sapere, fare ed essere (la qualità dell’essere prende il posto della conoscenza come
valore a sé stante). Ed era altrettanto posto il
principio per cui ciascuna persona deve avere la
possibilità di apprendere per tutto l’arco della
vita. Così, in fatto di educazione, era già messa
in conto l’integrazione fra sistema formale,
informale, non formale.
Successivamente, nel 1996, J. Delors (Nell’educazione un tesoro. Rapporto Unesco sull’educazione per il XXI secolo, Armando, Roma 1996)
sosteneva che: «di fronte alle molteplici sfide del
futuro l’educazione appare come una carta vincente indispensabile per permettere all’umanità
di progredire verso ideali di pace, di libertà, di
giustizia sociale… occorre allora assumere un
atteggiamento non pregiudizialmente negativo di
fronte alle molte e complesse proposte di riforma
6
e di trasformazione che stanno radicalmente
modificando la struttura base di ciò che chiamiamo scuola».
Rileggendo le parole dei due documenti non si
può certo ascrivere al caso il fatto che le date del
1972 e del 1996 richiamino due radicali trasformazioni nell’ambito della produzione della conoscenza. La prima è collegata alla introduzione del
computer e l’altra alla introduzione di internet:
due strumenti che hanno modificato e modificano completamente la qualità, ed anche la quantità, dell’impegno richiesto a chi lavora nella
scuola e negli altri sistemi di educazione e di formazione dei ragazzi. Consapevoli del rischio che,
a fronte di una rete di conoscenze che tende ad
investirci, non esista una rete organizzativa (scuola, famiglia ed extrascuola) in grado di cooperare
per la realizzazione dei processi formativi e, non
di meno, per cogliere le criticità di una comunicazione, informazione, relazione sempre più spesso, e troppo, virtuali.
Occorre poi tener conto di altre problematiche
non sono scisse da quelle fin qui discusse. Ad
esempio:
1. entro il 2010, come ci dice l’Europa, dovremo
ridurre dal 29 % al 10 % la percentuale dei
nostri diciottenni che, oggi, escono dal sistema
di istruzione e di formazione senza neanche una
qualifica;
2. la necessità di reimpostare la questione della
formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e
della valutazione e autovalutazione del sistema
scuola;
3. il problema della inter-dipendenza dei fenomeni, per esempio le conoscenze, l’ambiente e
l’integrazione delle diversità culturali;
4. la necessità, e urgenza, di imparare a cambiare.
3. Riforma e circolarità fra sistema formale,
informale, non formale - La personalizzazione del
processo di apprendimento/insegnamento, la
rendicontazione del lavoro svolto e la flessibilità
organizzativa sono alcune delle più significative
strategie che la riforma (Legge 53/2003, D.lvo
59/2004 e documenti allegati, A, B, C, D) individua per integrare il sistema formale, informale,
non formale.
Innanzi tutto, la personalizzazione: «personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare le capacità e le competenze personali di ciascu-
Il tempo e i tempi della scuola non sono soltanto
quelli scanditi da una campanella o dall'impazienza degli studenti. Sono anche quelli che intorno alla scuola (il territorio, la città, la nazione,
l'Europa, il mondo) ritmano con le azioni dei loro
genitori e misurano il tempo della cultura o sono
da essi misurati (più raramente).
L'orologio della scuola segna le ore della giornata
ma anche le giornate della storia scolastica di ogni
studente, come di ogni protagonista della scuola.
Qui l'orologio è in alto alle spalle dei bambini:
(forse per non distrarli). Ma l'orologio della storia
(se la storia si fa misurare da un orologio degli
uomini soltanto) andrebbe posto come un grande
abside di fronte agli studenti, perché tutti viaggiamo verso quel tempo che l'orologio ancora non
misura ma che saranno questi studenti a misurare,
configurare, ricreare, modificare, costruire, programmare, trasfigurare, vivere e personalizzare.
È ancora a tutto questo che tende la scuola di oggi?
Chi è la scuola di oggi! Il Piano dell'offerta formativa sembra codificare un processo, tentando di
personalizzare, di offrire e di formare. Che tutto
non sia un obbligo burocratico, ma un percorso
formativo comune e condiviso. Perché è sempre la
coeducazione che educa come è sempre lo studio
professionale del docente che professionalizza il suo
insegnare e pone qualche garanzia alla sua efficacia ed efficienza di professionista della formazione
integrale dello studente, cittadino della sua storia
nazionale, europea e mondiale.
È solo per caso che l'orologio capita all'intersecarsi
di due assi a croce. Ma su questo si potrebbe molto
analogare.
(P. Troìa)
7
no; dare a ciascuno il proprio che è unico e irripetibile; valorizzare le identità personali, non svilirle, ma considerarle la condizione per un dialogo fecondo con altre identità che possono, così,
perfezionarsi a vicenda»4.
Secondo questa lettura, il processo educativo e
formativo non può certo essere pensato come un
processo di adattamento della persona a qualcosa
che viene data uguale a tutti. Non c’è peggiore
ingiustizia del pensare di fare giustizia dando l’uguale a situazioni differenti, leggiamo in don
Milani. Ecco che, allora, le conoscenze e le abilità
elencate nelle Indicazioni nazionali, livelli essenziali di prestazione (LEP) del servizio che lo Stato
stabilisce (a garanzia dell’equità), art. 117, co. 2,
punto m, nuovo Titolo V, e che ogni istituzione
scolastica della Repubblica deve assicurare ai suoi
cittadini, sono il mezzo per progettare professionalmente percorsi formativi in grado di rispondere alle capacità uniche e irripetibili di ciascuno
studente, avvalorandole al massimo.
Il Profilo educativo, culturale e professionale in uscita dal I e dal II ciclo (quest’ultimo in bozza),
primo documento, prescrittivo, della Riforma,
preceduto dalla legge 53, ma introdotto dal D.lvo
59/2004 (all. D), mette bene in evidenza che,
invece, il fine dell’educazione è la persona dello
studente e la maturazione globale migliore possibile delle sue capacità, nei contesti, nei processi e
nelle relazione date. Egli è riconosciuto competente «quando, facendo ricorso a tutte le capacità di
cui dispone, utilizza le conoscenze e le abilità apprese per….conferire senso alla vita… e … possiede gli
strumenti di giudizio sufficienti per valutare se stesso, le proprie azioni, i fatti e i comportamenti individuali, umani e sociali degli altri, alla luce di parametri derivati dai grandi valori spirituali che ispirano la Convivenza civile»5.
La educazione alla Convivenza civile, nelle sue sei
dimensioni, e il Profilo danno, quindi, la motivazione per creare inter-connessioni, inter-relazioni
e inter-azioni fra sistema formale, informale e
non formale (sussidiarietà).
La educazione alla Convivenza civile non è una
‘materia’ in più e neanche può essere delegata
a un docente che la insegni per conto suo, ma
è in ogni disciplina ed è compito di tutti
4
5
6
8
(scuola, famiglia, extrascuola) farsene carico.
Il Piano dell’offerta formativa (POF) di ciascuna
istituzione scolastica diventa, allora, centro di convergenza e terreno del confronto tra formale, informale e non formale.
Profilo e Indicazioni nazionali, anch’esse prescrittive, danno la direzione per realizzare, attraverso
‘il che cosa’ (conoscenze e abilità), il ‘chi’ è lecito
attendersi, da parte di genitori e insegnanti, che
sia lo studente, a 14 e a 18 anni, dopo l’esercizio
del diritto dovere sociale e civile a 12 anni di
istruzione di formazione.
Attraverso le Unità di apprendimento, progettate,
in itinere, dalle équipe pedagogiche coordinate
dal tutor e inserite nel Piano di studio personalizzato di ciascun gruppo classe, il Profilo e ‘gli
obiettivi generali dei processi formativi e gli
obiettivi specifici di apprendimento’ (art. 8 del
Dpr. 275/99) si trasformeranno in ‘obiettivi formativi’ (art. 13, Dpr. cit.) e, quindi, in competenze riconosciute come tali da ciascuno studente e
dai suoi genitori. Sempre rammentando, da un
lato, che gli obiettivi specifici disciplinari richiamano continuamente quelli di educazione alla
Convivenza civile (solidarietà e reciprocità umana
e sociale fra i tre sistemi), e viceversa, e, dall’altro,
che non bisogna mai lasciare spazio, nella progettazione, a separazioni organizzative e didattiche
né a successioni temporali fra organizzazione e
didattica. Per esempio, garantendo nella Offerta
Formativa dell’orario la sua articolazione in
obbligatorio (27 ore), che assicura i livelli essenziali di prestazione del servizio (nuovo Titolo V
della Costituzione) e in opzionale-facoltativo
(fino a più 3 e fino a più 6, a seconda del grado
di scuola) , che garantisce la libertà di scelta educativa dei genitori (Legge 59/97, art. 21 e artt. 2,
29 e 30 della Costituzione): flessibilità.
Il percorso di apprendimento/insegnamento sarà
documentato (accountability) nel Portfolio di
ogni allievo grazie all’intreccio narrativo delle due
sezioni dell’orientamento e della valutazione ed
anche grazie alla cooperazione dei genitori.
Raccomandazioni, cit.
Cfr. D.lvo. 59/2004, all. D (Profilo educativo, culturale e professionale): http://www.istruzione.it/prehome/comunicati/2004/allegati/all_d.pdf.
All’orario obbligatorio e opzionale facoltativo si aggiunge il tempo eventualmente dedicato alla mensa.
La centralità della persona nella scuola.
Il contributo della religione cattolica
di Sira Serenella Macchietti
1. Ripensare la scuola - Nell’ultimo trentennio
prio sé, in quella della conquista della civiltà e
del Novecento si sono affermati vari slogans, che
della cultura e della loro produzione, in quella
hanno accentuato e sottolineato alcuni caratteri
etico morale, che ha come criterio ultimo e come
della scuola enfatizzandoli, spesso a scapito di
fondamento il valore e la dignità di ogni soggetto
altri. Si è parlato di “scuola dell’istruzione”, di
umano, in quella della socializzazione e in quella
“scuola dell’apprendimento”, di “scuola della
della crescita della coscienza religiosa.
ragione” e più raramente di “scuola di cultura” e
di “scuola di piena educazione” e quindi di scuo2. La scuola per la persona - Nella prospettiva
la “per la persona”.
della pedagogia personalista «la persona, non il
L’affermazione e la diffusione di questi slogans
programma; la persona, non l’orario scolastico; la
non ha favorito la comprensione del “sistema
persona, non le tecniche, costituisce l’insostituibiscuola” e quindi la conle ricchezza che la scuoquista di chiarezza di
la si dà da amministraidee intorno alla natura,
re».1
La prof. Sira Serenella Macchietti, docente
Infatti, soltanto il
all’identità e alla specirispetto del valore della
ficità di questa istituziodi Pedagogia presso l’Università di Siena e
persona può consentire
ne, che è chiamata a
l’Università Lateranense, presenta un conil costante accrescimenconfigurarsi come una
tributo in cui la recuperata centralità della
to dell’organismo sociacomunità, in cui l’aziopersona, tante volte affermata nell’attuale
le, la continuità e il
ne educativa è legata
progetto di riforma scolastica, viene riconricambio, la trasmissioall’interazione di un
dotta alla sua genuina matrice filosoficone, il potenziamento
insieme di elementi (la
delle conoscenze, l’afproposta della cultura,
pedagogica, ossia il pensiero personalistico
fermazione e la diffusiol’intenzionalità, la condi matrice cristiana. Diventa chiaro, in tal
ne della cultura e delle
tinuità, la professionamodo, che il contributo che l’IRC può offrivirtù che nobilitano l’ulità, la corresponsabire alla scuola è tutt’altro che episodico o
manità.
lità, la relazionalità,
marginale: l’IdR è da sempre cosciente di
In questa prospettiva
l’inter-relazionalità, la
un ruolo educativo forte, che va ben oltre lo
occorre ribadire il doveprogettualità, la verifistretto ambito disciplinare.
re della scuola di concabilità, la valutazione e
sentire ad ognuno di
la “validazione”).
raggiungere il massimo
Per comprendere il
possibile di cultura e di educazione, di costruire la
significato della scuola tuttavia giova avere chiapropria personalità e di tener presente il fermenrezza di idee sull’educazione, vista sia come proto culturale dei nostri giorni e i contributi offerti
cesso che come esito, non dimenticando che è il
dalle scienze umane e in particolare da quelle delsuo soggetto che ne determina le finalità.
l’educazione.
Il processo educativo consente all’essere umano di
E poiché la scuola è oggi chiamata a rispondere
farsi personalità e si muove almeno su queste
alle sfide della multiculturalità il ritorno alla perdirezioni: in quella della maturazione della prosona e alla cultura educativa è una condizione
pria identità, del senso del proprio io e del pro1
Cfr. S.S. MACCHIETTI, Pedagogia e teoria della scuola, in Scuola Italiana Moderna, n. 8, 15 gennaio 1984, pag. 13. Cfr. anche di A. AGAZZI,
Teoria e pedagogia della scuola nel mondo moderno, La Scuola, Brescia 1958, pagg. 11-47.
9
indispensabile per passare dalla cultura dell’indifferenza alla convivialità delle differenze, cioè per
educare al rispetto di sé e degli altri, della propria
e dell’altrui cultura, alla comprensione, all’accoglienza, alla condivisione, alla solidarietà etica,
intellettuale ed operativa, al senso della comunità, al gusto dell’impegno, alla responsabilità.
Alla scuola si chiede pertanto di riconoscere
potenzialità e risorse e di valorizzarle, di aiutare
l’alunno a prendere coscienza di sé, delle proprie
esigenze e dei propri bisogni ed a soddisfarli, di
incoraggiarlo a vivere da protagonista il processo
educativo.
Da ciò emerge la centralità dell’alunno nella
scuola che è chiamata a porsi al servizio della sua
educazione e quindi a conoscerlo ed a conoscere
la situazione in cui si educa, gli elementi che
influenzano il processo educativo ed a testimoniare nei confronti di ciascuno capacità di accoglienza, di accettazione empatica, di premura personalizzata, perché ciascuno possa coltivare quella disponibilità ad apprendere che è propria di
ogni uomo, con la certezza che tutti hanno il
diritto di esercitare le funzioni che interagiscono
nella personalità individuale e quindi di conquistare e di arricchire il patrimonio culturale che
l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli.
3. Riscoprire la persona - Le considerazioni fatte
sulla scuola rimandano al problema dell’educazione della persona e ribadiscono la necessità di
riscoprirne il valore e di guardarla anche secondo
l’ordine del cuore.
L’azione educativa che si pone in questa prospettiva reclama scienza, saggezza e concretezza e non
trascura nessun elemento di umanità. È attenta al
corpo, alla mente e non ha paura di parlare dell’anima e all’anima, di andare oltre l’animo, oltre
le emozioni, i sentimenti e oltre la stessa ragione.
Soltanto a questa condizione l’educazione può
essere unitaria e “piena”, integrale, anche se è
chiamata a differenziarsi nei vari momenti dell’esistenza perché è coessenziale all’essere umano, di
cui non può non interpretare il bisogno di cultura, di significato e di senso, la disponibilità naturale che apre all’universo delle conoscenze, della
morale e della fede.
2
3
4
Proprio perché l’uomo ha bisogno di sapere chi è,
dove va, a che cosa è destinato, qual è il significato della sua esistenza, l’educazione non può
misconoscere il suo potere creativo in virtù del
quale l’essere umano aspira a conquistare ed a
definire una sua concezione della vita.
Pertanto non può non essere valorizzata la nativa
disponibilità dell’essere umano all’esperienza religiosa, che consente di conquistare un sentimento
religioso maturo, di natura euristica, in virtù
della quale si riesce a sentirsi saldi su se stessi nell’impresa che ci impegna a dare alla nostra esistenza «un significato positivo, dotato di forza
espansiva, e quindi portatore di una pace dinamica, nella quale l’umanità può crescere»2.
Alla ricerca di questo significato si collega la
domanda di educazione morale, che rimanda alla
domanda di etica. Essa, nella prospettiva della
piena educazione della persona, chiede di essere
intesa come educazione dell’uomo buono capace
di conoscere, di apprezzare, di vivere e di condividere, di conquistare le virtù, andando oltre il
relativismo e il rischio di un fondamentalismo
giuridico, che induce a sacralizzare il diritto, che
può prendere il posto dell’etica e della coscienza.
4. Personalizzare l’azione educativa - Nella prospettiva della pedagogia della persona non si legittima una scuola che prenda di mira solo ed esclusivamente gli aspetti puramente formali relativi
alle diverse discipline e le potenzialità cognitive
dell’essere umano, senza preoccuparsi di sollecitare il gusto della scoperta, l’amore per la riflessione,
per i segreti colloqui con se stessi, la ricerca dei
significati e il bisogno di andare oltre.
Emerge pertanto l’importanza del docente-educatore, il quale è «colui che accompagna, incoraggia,
consiglia, e non solo il colto intellettuale o il professionista competente che dispensa conoscenza»3.
A questo educatore si chiede di saper personalizzare l’azione educativa e di predisporre appositi
itinerari di apprendimento «con specifico riguardo alla storia personale e alla valorizzazione dei
talenti unici e irripetibili di ciascuno».
Può essere opportuno, a questo proposito, ricordare la lezione di Victor García Hoz, autore di un
imponente trattato sull’educazione personalizzata4,
Cfr. M. MENCARELLI, Creatività, La Scuola, Brescia 1976, pag. 114.
G. CHIOSSO, Teorie dell’educazione e della formazione, Mondadori Università, Milano 2004, pag. 142.
Cfr. V. GARCÍA HOZ, Educazione personalizzata: individualizzazione e socializzazione nell’insegnamento, Le Monnier, Firenze 1981; ID. et
ALII, Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palombo, Palermo 1997 (20023).
10
il quale «parte dal principio che all’intrinseca
unità della vita umana (l’uomo sperimenta se stesso come un tutto integrale di intelligenza, volontà,
apertura all’altro) debba corrispondere, anche sul
piano dell’intervento educativo, un’unità di intenti, per cui gli obiettivi particolari di ogni atto educativo convergono verso il medesimo fine. Allo
sviluppo dell’intelligenza (cui sono destinati gli
obiettivi di apprendimento) si devono perciò
affiancare altri obiettivi, come quelli di sviluppo
(o attitudinali) e di valore (o etici)»5.
L’organizzazione di questi obiettivi e il fatto che
possono essere conseguiti, realizzando esperienze
interdipendenti (cognitive, emotive, estetiche,
religiose), possono consentire di superare il
rischio della frammentarietà e di conquistare
conoscenze che conferiscono significato alle
nozioni apprese e che permettono al soggetto di
costruire un sapere proprio.
L’educazione personalizzata nella programmazione dell’apprendimento chiede di conciliare «le
esigenze di conoscenza comune e di riconoscere il
giusto spazio alle aspettative personali. Ciò è possibile, nella pratica scolastica, se ci si avvale di due
tipologie di obiettivi: obiettivi comuni e obiettivi
individuali».
«Dall’intersecarsi degli “obiettivi comuni” e degli
“obiettivi individuali” scaturiscono gli itinerari di
apprendimento “personalizzati”, cioè coerenti
con le capacità, le vocazioni e le aspettative degli
allievi»6.
5. La “Riforma Moratti” per favorire la crescita
e la valorizzazione della persona umana - I traguardi formativi proposti dalla Legge 53/20037
mirano alla promozione integrale della persona
umana, alla quale si riconosce il diritto di apprendere durante tutto l’arco della vita, per assicurare
«a tutti pari opportunità di raggiungere elevati
livelli culturali e di sviluppare le capacità e le
competenze, attraverso conoscenze e abilità,
generali e specifiche, coerenti con le attitudini e
le scelte personali, adeguate all’inserimento nella
vita sociale e nel mondo del lavoro»8.
Le precisazioni relative alle finalità dei cicli e in
particolare la proposta dei Profili degli studenti e
la richiesta della personalizzazione dei piani educativi e di studio, del docente-coordinatore-tutor
e dell’elaborazione del portfolio si collocano in
un rapporto di coerenza con l’affermazione della
centralità della persona nella scuola.
In particolare, in rapporto a quanto si afferma
nella citata Legge 53/2003, si chiede di promuovere «il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della
Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica
e di appartenenza alla comunità locale, alla
comunità nazionale ed alla civiltà europea»9.
In questa prospettiva la proposta del “Profilo”
può essere considerata «un modo concreto per
dare attuazione alla centralità dell’alunno nella
scuola riformata e per esplicitare l’antropologia
che sottostà al progetto educativo»10 di questa istituzione.
Inoltre può essere vista come una testimonianza
della premura per lo studente, infatti questa proposta sembra dimostrare che le finalità della scuola assumono significato quando, egli, vivendo e
realizzando il suo processo formativo, può raggiungere gli obiettivi che convergono in questi
traguardi.
Alla centralità della persona si collega l’attenzione
per le scelte educative delle famiglie e per le comunità, quindi per i mondi vitali, per la cultura che
essi possiedono e producono e per i valori che
determinano la loro identità.
Nella valorizzazione della persona e nel rispetto del
suo diritto alla piena educazione trovano la loro
legittimazione l’educazione morale e religiosa.
Il richiamo all’impegno personale, alla differenza tra il bene e il male, alla capacità di sapersi
orientare sembra testimoniare una rinnovata
attenzione per il senso dell’educare e per la natura culturale ed educativa dell’istituzione scolastica, alla quale si chiede di riconoscere potenzialità e risorse e di valorizzarle, di aiutare l’alunno
a prendere coscienza di sé ed a costruire il suo
progetto di vita.
Cfr. G. CHIOSSO, Teorie dell’educazione e della formazione, cit., pag. 143.
Ib., pagg. 144-145.
7
Si può leggere il testo completo in: http://www.istruzione.it/normativa/2004/legge53.shtml.
8
Cfr. Legge Delega del Ministro Moratti, Art. 2, comma 1.a.
9
Art. 2, comma 1.b.
10
Cfr. S.S. MACCHIETTI, “Favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana”…: sottolineature e domande, in «Il Nodo - Scuole in rete»,
n. 24, 2 gennaio 2004, pag. 37.
5
6
11
6. L’IRC per la crescita qualitativa della scuola L’IRC, proposto in seguito al cosiddetto “Secondo Concordato”, inizialmente si è configurato
come un insegnamento “alternativo” per la sua
anima personalista e per la visione dell’uomo,
dell’educazione e della scuola che testimoniava,
per le finalità che intendeva conseguire, per l’impegno rivolto a coltivare tutta l’umanità di ogni
persona. Offriva infatti una “parola” da vivere e
da proporre, una cultura da far crescere, un orizzonte aperto cui tendere.
La Chiesa non si limitava a presentare “programmi”: la proposta dell’IRC infatti si collocava in un
progetto globale, unitario, differenziato, articolato, elaborato nel corso di un biennio, secondo
un’unica sintassi, posto su un’unica base, rivolto
al conseguimento di un’unica precisa finalità, in
cui erano chiamati a convergere ed a confluire
tutti gli obiettivi, i traguardi a breve, medio e
lungo termine.
Si trattava di una proposta che trovava la sua
ragione di essere nella volontà di soddisfare i
bisogni psicologici di ogni persona (pensiamo
ai bisogni di natura affettiva, intellettuale…) e
di offrire a ciascuno la possibilità di conseguire
il massimo possibile di educazione e di cultura
e la conquista di elementi capaci di consentire
ad ognuno di orientarsi nella ricerca di significato e di senso, attraverso il confronto con il
messaggio evangelico e quindi con i valori che
esso esprime.
Pertanto, se riflettiamo sulla storia della scuola,
che ha fatto seguito a questa proposta, possiamo agevolmente rilevare che essa ha forse contribuito a richiamare l’attenzione sulla persona,
sul suo diritto all’educazione integrale e sulla
“progettualità” oltre ad accrescere di cultura
l’offerta formativa scolastica.
7. L’IRC oggi - Oggi l’IRC si inserisce con la sua
specificità in un progetto di scuola che afferma la
centralità della persona, che sollecita la promozione della disponibilità e della volontà di instaurare rapporti di collaborazione con gli altri, che
mira alla formazione della coscienza personale, e
che pertanto sembra aperto all’antropologia cristiana, e legittima la sua presenza. A questo insegnamento pertanto si può chiedere di sostenere e
favorire la declinazione didattica dei principi e
dei motivi forti della Riforma scolastica.
12
In un certo senso si può affermare che l’IRC può
contribuire a facilitare una lettura chiara e corretta dei motivi antropologici che sorreggono la
Riforma e in particolare di favorire la comprensione del significato della parola persona. In effetti possiamo costatare che questo termine appartiene ormai al linguaggio corrente ed è impiegato
in contesti e con significati diversi, soprattutto in
campo etico.
Inserendosi in questo pluralismo, l’IRC propone
un concetto di persona che scaturisce dalla tradizione religiosa ebraico-cristiana, tradizione nella
quale sono depositate le radici stesse della concezione di persona nella cultura occidentale.
Secondo questa concezione la persona è fatta a
“immagine e somiglianza di Dio” (cfr Gen
1,26s); dall’incontro con il Creatore scaturisce la
sua “assoluta” dignità, alla quale si collega il suo
diritto all’educazione integrale, che, per realizzarsi, postula modalità educative differenziate adeguate ai singoli soggetti.
Questa visione della persona può offrire agli studenti la possibilità di collocare le loro conoscenze
e la cultura che conquistano con l’apprendimento dei saperi, in un orizzonte di senso, consentendo così ai beni culturali di diventare beni educativi, il cui possesso rende capaci di realizzare la
propria vocazione umana.
L’IRC infatti per la forza del messaggio che propone può sollecitare gli studenti alla riflessione e
quindi ad impegnarsi per scoprire e conoscere e
riconoscere le loro interiori risorse e le loro possibilità di rispondere agli appelli della vita.
Inoltre può offrire un contributo significativo
per rivalutare la valenza culturale ed educativa
delle varie discipline e coltivare la disponibilità
degli studenti ad aprirsi alla ricerca del significato e del valore dell’esistenza e quindi anche ai
valori della fede.
Se pensiamo al fatto che l’interpretazione dei
“Profili” dello studente richiede confronto,
condivisione, corresponsabilità e che questi
documenti possono orientare nella scelta degli
obiettivi formativi e nell’elaborazione dei
“Piani personalizzati delle attività educative” e
dei “Piani di studio personalizzati” possiamo
anche pensare che l’Insegnamento della Religione Cattolica potrà offrire un contributo
significativo alla riflessione sull’unitarietà e l’organicità del sapere e sulla globalità integrale dei
Paul Klee (1879-1940), Maske Furcht,
(1932), olio su tela, 100,4x57,1. New York,
The Museum of Modern Art, Nelson A.
Rockefeller Founds.
Quest'opera di Paul Klee potrebbe oggi essere la
metafora della scuola? Una testa immensa che
coincide con il corpo, ma una fragilità di camminare al passo dei tempi (nonostante ben
quattro gambe che la sostengono). Un patrimonio di esperienze di base alla quale la Riforma
vorrebbe e tenta di dare corpo. Questa testacorpo sembra costituire il paradigma di uno
stato d'animo (la paura) Ed il titolo dell'opera
(Maske Furcht, Maschera della paura) smaschera la paura di tanti e conferma lo scetticismo di
molti. Che fare?
(P. Troìa)
traguardi educativi. A questo proposito, giova
anche tener presente che tutti gli aspetti dei
“Profili” possono trovare una maggiore saldezza e motivazione, specialmente quando si parla
di “identità”, “responsabilità”, “progetto di
vita”, se sono inquadrati nella proposta di una
visione dell’esistenza umana che faccia perno
sui valori del Vangelo e sul riferimento alla tradizione cristiana.
All’insegnante di Religione Cattolica si chiede
pertanto di testimoniare il potenziale culturale
ed educativo della sua disciplina anche agli effetti della promozione della relazionalità dialogica
tra le persone e della conquista della capacità di
responsabilità e di cultura degli studenti. Un
corretto insegnamento della religione cattolica
può inoltre educare alla documentazione oggettiva delle affermazioni di valore che si fanno, al
confronto critico con altre visioni di realtà e proporre un messaggio di speranza.
Queste considerazioni inducono a ricordare che il
contributo dell’IRC è legato all’insegnante, al
quale si domanda:
• di conoscere gli alunni, la scuola, la sua disciplina (giova ricordare che questa conoscenza esige
la piena consapevolezza delle ragioni della proposta dell’insegnamento della sua materia, dei
contenuti e dei metodi di ricerca utilizzati per
costruirli, tenendo presente che nell’IRC si
incontrano molteplici scienze di natura diversa
e vari lessici specifici);
• di sapersi mettere in relazione, di saper comunicare, progettare, definire piani di studio personalizzati, valutare, verificare, organizzare;
• di impegnarsi a crescere professionalmente
(conquistando competenze professionali) e
arricchire le conoscenze relative ai contenuti
del proprio insegnamento (competenze disciplinari);
• di sapersi costruire e ri-costruire come persona,
di saper quindi crescere in umanità…;
• di saper potenziare la sua spiritualità, la
quale sorregge il suo essere uomo e professionista, non dimenticando mai che il fine
dell’educazione cristiana è l’educazione dell’uomo, che ha come modello Cristo, anche
se nella scuola dello Stato non si chiede di
educare alla fede, ma alla conquista della
consapevolezza del significato e del senso
della cultura cattolica.
13
L’IRC nella scuola cattolica
di Carmine Brienza
Il Sussidio pastorale del Consiglio Nazionale
della Scuola Cattolica:
una presentazione e qualche riflessione
Il primo luglio di questo anno, il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica consegna alle scuole
cattoliche e alle comunità cristiane un Sussidio
pastorale dal titolo: “IRC e Scuola Cattolica”.
Preceduto da un intenso lavoro di preparazione
(convegni,seminari di studio e gruppi di riflessione), il testo soddisfa un’attesa che non poteva più
essere prolungata. In ballo, dietro l’oggetto formale dell’Insegnamento della religione cattolica,
vi è la stessa identità della scuola cattolica come
soggetto ecclesiale, sociale e culturale. Infatti, il
dibattito in corso da anni e anni sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola statale sembrava aver coinvolto la scuola cattolica solo
marginalmente.
All’indomani della legge sulla parità, la scuola
cattolica è potentemente richiamata a riflettere,
insieme alla scuola statale, sulla sua rinnovata
identità di scuola “pubblica”, ridisegnando all’interno del suo progetto educativo una presenza
dell’insegnamento della religione cattolica che lo
qualifichi in senso squisitamente culturale, come
fiore all’occhiello della sua proposta educativa e
scolastica.
Il Sussidio, infatti, assume come orizzonti di riferimento, alcuni punti ormai ‘acquisiti’ dal lungo
dibattito sull’IRC:
• La presenza dell’Insegnamento della religione cattolica come necessario ad una scuola
che voglia dirsi tale, all’insegna del servizio
educativo e culturale che essa svolge. Una
scuola che non affronti il problema religioso è una scuola incompleta. Si afferma il
valore della cultura religiosa in sé.
• Dunque l’IRC è parte integrante del curriculum scolastico e non corpo estraneo e
marginale al processo scolastico stesso.
14
• La sua caratteristica di insegnamento culturale, nel quadro delle finalità proprie della
scuola, è offerto a tutti, a prescindere dalla
propria appartenenza religiosa.
• L’IRC è distinto e complementare rispetto
alla catechesi
• La presenza della religione cattolica nella
scuola è giustificata dal fatto che la religione
cattolica è parte essenziale della cultura del
popolo italiano
1. IRC e Scuola Cattolica
Nella scuola cattolica, tuttavia, il discorso riguardante l’IRC va affrontato in una prospettiva più
chiaramente e decisamente contestualizzata.
Una scuola cattolica definisce la sua identità culturale in base al suo Progetto educativo orientato
in senso cristiano. Tutta la vita della scuola e la
sua attività didattica ed educativa riceve da questo progetto così caratterizzato un’impronta particolare.
L’aggettivo “cattolica”, infatti, lungi dal deprimere l’essere scuola, dà ad essa il suo colore educativo e la sua “forma” culturale, pedagogica e finanche organizzativa (c’è modo e modo di rendere
“sana” un’azienda, alla ricerca di un ambiente di
lavoro che faccia sentire le persone valorizzate e
serene!).
All’interno di questo progetto educativo, che
pone al centro la persona nella ricchezza di tutte le
sue dimensioni, inclusa e includente la dimensione religiosa nel suo aspetto culturale e nel suo ineliminabile appello alla formazione delle coscienze
e al problema del senso, si pone l’IRC come suo
cuore e suo motore culturale e pedagogico.
L’IRC si pone, dunque, nella scuola cattolica
come parte integrante e ineliminabile del suo
Progetto educativo.
Il Sussidio, pertanto, giustamente afferma che «è
ragionevole chiedere che tutti coloro che frequentano la scuola cattolica e ne accettano il progetto educativo si avvalgano di questo insegnamento per la sua valenza culturale».
Credo che l’uso dell’aggettivo ragionevole abbia
la sua forza nel fatto che trattandosi di un sussidio pastorale è chiaro l’invito a “ragionare” sul
problema, per intraprendere insieme un cammino come Chiesa.
L’indicazione resta comunque chiara e rafforzata
dal “tutti”: l’orizzonte comune da condividere
nella teoria e nella prassi è quello di un IRC talmente connesso con il Progetto educativo della
scuola cattolica fino al punto che non si possa
rifiutare l’uno senza che cada l’altro.
Non è “ragionevole” scegliere una scuola cattolica
e chiedere di essere esonerato dall’insegnamento
della religione cattolica.
2. IRC e Impegno educativo della scuola cattolica
Occorre, però, fare un passo avanti, perché il Sussidio dice una parola chiara, forte e significativa
sul rapporto tra IRC e impegno all’educazione
cristiana che la scuola cattolica si pone.
L’insegnamento della religione cattolica si offre,
nella scuola cattolica come «un aspetto e un
mezzo specifico che si colloca all’interno di una
proposta educativa più ampia».
La proposta formativa della scuola cattolica si colloca, infatti, ad un triplice livello:
a) Tutta l’attività didattica, cioè la vita scolastica
nel suo complesso è considerata sotto l’aspetto educativo, fondata su una concezione della
vita, dell’educazione e dell’uomo profondamente cristiana
b) L’insegnamento della religione cristiana,
offerta culturalmente significativa, pienamente inserita negli obiettivi didattici della scuola
c) specifiche offerte formative che possono consistere in «momenti celebrativi e formativi
spirituali» che la scuola offre come opzione
alla libertà degli alunni e che ubbidiscono ad
una logica pastorale ed ecclesiale.
3. L’IRC nella scuola paritaria cattolica
Dal momento che le scuole cattoliche paritarie
fanno parte del “sistema nazionale di istruzione”
è “ragionevole” che il profilo dell’IRC presenti in
esse almeno la stessa fisionomia di fondo delle
scuole statali.
Dunque
• Insegnanti qualificati in possesso dei titoli
di qualificazione professionale previsti dalla
normativa concordataria
• Formazione in servizio e aggiornamento
• Orario: qui, in coerenza con quanto detto
prima, si avanza la proposta di portare a due
ore settimanali l’IRC nelle scuole secondarie
di primo e secondo grado
• Valutazione: tenere ferma l’importanza delle
valutazione specifica di questo insegnamento. Invito a studiare nuove forme di valutazione nell’ambito di ogni grado scolastico.
• Programmi e testi: le indicazioni della CEI
sono precise, insieme alla raccomandazione
dell’uso di un libro di testo idoneo. Testi
pensati appositamente per la scuola cattolica? Il Sussidio avanza questa ipotesi, nella
consapevolezza della sua difficoltà.
• Idoneità per insegnare religione cattolica.
Essa è rilasciata dall’Ordinario diocesano
dopo aver verificato il possesso dei titoli
richiesti e la abilità didattica e pedagogica. Il
Sussidio invita a studiare e a mettere in atto
le modalità opportune perché si pervenga al
rispetto della normativa canonica anche per
la scuola cattolica.
Il Sussidio si offre come strumento prezioso per la
scuola cattolica e avvia un processo di riflessione
che si spera possa dare frutti concreti per una
qualificazione sempre più alta dell’Insegnamento
della Religione cattolica.
Si tratta di superare le pigrizie e le abitudini del
passato e incamminarsi verso una prassi condivisa che rispetti il carisma educativo di ogni scuola
cattolica, ma che pervenga a motivi di consonanza forte a livello ecclesiale e culturale.
15
L’IRC nella Scuola della Riforma
di Filippo Morlacchi
Il 24, 25 e 26 ottobre 2004 si è tenuto presso
il santuario romano del Divino Amore il corso
organizzato dalla CEI e dal MIUR su «L’insegnamento della religione dentro la Scuola della
Riforma». Vi hanno preso parte un centinaio di
IdR provenienti da tutto il territorio nazionale:
sono i “formatori dei formatori”, coloro che
dovranno poi impegnarsi a promuovere l’applicazione della riforma nelle diocesi di appartenenza.
La tre-giorni, valida anche come corso di aggiornamento per i docenti, è stata davvero ben organizzata: tutti i partecipanti hanno espresso un
sincero apprezzamento sia nei confronti dei relatori che in merito ai lavori svolti in gruppo. Gli
organizzatori del corso, in particolare don Giosuè
Tosoni e Suor Feliciana Moro, sono stati ringraziati con calore da tutti i partecipanti per aver
progettato e condotto felicemente a termine una
iniziativa così preziosa.
La prima giornata si è aperta con un gradito
fuori-programma. Era previsto un breve saluto
alle autorità; tra queste, il MIUR era rappresentato dal dott. Giuseppe Cosentino, direttore generale del personale scolastico. Il suo intervento, che
doveva essere un rapido augurio per i corsisti, si è
trasformato in una comunicazione di ricco contenuto, relativa alle difficoltà rilevate da chi opera
“in alto” per la riforma della scuola. In tutti i paesi
dell’Unione Europea la riforma dei sistemi scolastici versa in gravi difficoltà: perché? Non bastano
- ha rilevato il dott. Cosentino - schemi di ingegneria gestionale, pur necessari. Il processo di
riforma si può attuare solo se la riforma stessa
viene tarata sulle reali esigenze della base. È necessario perciò un costante processo di monitoraggio
e una più efficace interazione con coloro che per
primi dovrebbero trasformare gli astratti princìpi
pedagogici in un nuovo modello educativo reale,
e cioè i docenti. In Italia le nuove norme sono
state accolte spesso con un ossequio puramente
formale, e talvolta addirittura con una furbesca
manipolazione o un esplicito rifiuto. Così non si
va da nessuna parte. Si rende oggi necessario agire
con più efficacia presso i dirigenti scolastici e
soprattutto presso gli insegnanti, affinché cresca
in essi la consapevolezza di dover essere veri e pro1
Ph. MEIRIEU, Frankenstein pédagogue, ESF, Paris 1996.
16
pri formatori degli alunni, ben al di là delle singole competenze disciplinari. Questa nuova mentalità è il presupposto imprescindibile senza il quale
la riforma della scuola resterà inevitabilmente
inefficace. Non serve a nulla sostituire schemi
didattici obsoleti con altri più nuovi, né elaborare
nuove procedure operative (applicare la “lettera”
della riforma) se tutto questo non viene vissuto
con rinnovata passione educativa (“lo spirito della
riforma”).
La relazione del prof. Giorgio Chiosso (Università di Torino) su Le valenze educative della
riforma ha ricostruito l’impianto teorico che soggiace all’attuale riforma scolastica. Una lezione
magistrale di alto profilo che ha riscosso gli
applausi convinti dell’uditorio. Due orientamenti - ha rilevato il pedagogista - sembrano caratterizzare il dibattito politico sulla scuola. Da un
lato vi sono coloro che ragionano in termini
puramente aziendali, convinti che in «un bagno
di mercato e di managerialità» si possa trovare la
soluzione delle attuali difficoltà. Attivare la concorrenza scolastica, ottimizzare le prestazioni
d’insegnamento, migliorare il funzionamento del
sistema, razionalizzare le spese: questa è la via
suggerita. Dall’altro lato, la cultura nichilistica
oggi sempre più diffusa suggerisce di ridurre la
portata della riforma a semplice innovazione
pragmatico-tecnologica: tutta l’attenzione è sulle
prassi metodologiche, «a danno di un approccio
culturale capace di cogliere il senso delle cose e di
attribuirvi significati personali». Contro queste
due tendenze, che interpretano entrambe la riforma in chiave puramente funzionalistica, occorre
riproporre con energia un modello di scuola
umanizzante, che miri non tanto ad “assemblare”
gli alunni consegnando loro nuove conoscenze,
quanto piuttosto a svilupparne una più matura e
consapevole umanità. Con l’immagine suggerita
da Philippe Merieu1, non si tratta di produrre
nuovi Frankestein, mettendo insieme un po’ di
pezzi con nuove e più efficaci tecniche didattiche,
ma di far ripercorrere ad ogni alunno il cammino
umanizzante di Pinocchio, da burattino di legno
a ragazzo e poi uomo. I due passaggi culturali per
realizzare questo progetto sono da identificare nel
principio dell’autonomia scolastica e nel principio
di personalizzazione. Autonomia significa flessibilità, ma non in senso adattivo: la scuola non si
deve adattare alla domanda degli utenti, né più
né meno come un buon medico non deve fare
tutto quanto gli chiede un paziente. Sono i metodi operativi che si devono diversificare, mantenendo chiara però l’identità scolastica, grazie alla
formulazione di un Piano dell’Offerta Formativa
ben costruito, che manifesti un coerente progetto
educativo. Non si tratta di “ampliare la gamma
dei prodotti offerti” come se si dovesse attirare la
clientela in un supermercato, bensì di articolare il
POF sulle reali necessità di ciascuno. In tal modo
la flessibilità si sposa con la personalizzazione: il
nuovo punto di vista è quello che punta a migliorare non l’insegnamento (“quello che il docente
fa”) ma l’apprendimento (“quello che l’alunno
impara”). I contributi di H. Gardner, R. Feurstein, V. García Hoz ci hanno ormai abituato a
riconoscere come legittimi diversi modelli di
razionalità. Anzi, la stessa idea di tolleranza della
diversità - che appena pochi anni orsono sembrava già una conquista - cede oggi il passo all’apprezzamento della diversità come risorsa positiva.
Il doppio sistema di istruzione e formazione proposto dalla legge 53/2003 intende valorizzare itinerari formativi fortemente personalizzati, tramite la valorizzazione delle capacità peculiari di ciascuno studente. In conclusione, la riuscita della
riforma dipende dall’impegno di tutti gli operatori scolastici nell’evitare di arenarsi su questioncelle secondarie «nel segno di una scuola al servizio dell’efficienza produttiva», e raccogliere la
sfida di «affidarsi ad un’idea forte di educazione,
ricca di proposte importanti, proprio come chiede la maggior parte delle famiglie e desiderano
molte comunità civili».
La prof.ssa Giuliana Sandrone Boscarino
(Università di Bergamo) ha riferito su La riforma
scolastica: punto della situazione. Si è trattato di
una relazione squisitamente tecnica sugli aspetti
legislativi ed operativi della riforma, attraverso
una disamina degli artt. 3 e 4 della legge
53/2003. L’art. 3 si occupa della valutazione degli
apprendimenti e della qualità del sistema educativo; il decreto legislativo corrispondente è in via
di approvazione. La valutazione esterna è effettuata dall’I.N.VAL.S.I., e non ha lo scopo di esprimere giudizi valutativi sui singoli, né allievi né
operatori: mira piuttosto a valutare da un lato i
livelli di padronanza da parte degli allievi delle
conoscenze ed abilità indicate negli OSA (Obiettivi Specifici di Apprendimento), dall’altro gli
elementi strutturali della scuola. La valutazione
interna, invece, comporta da un lato la verifica
degli apprendimenti e del comportamento degli
allievi, documentata nel Portfolio delle competenze personali acquisite, e dall’altro l’autovalutazione d’Istituto. L’elemento di spicco è lo spostamento dei criteri valutativi sulla persona dell’alunno: l’importante non sono le singole conoscenze disciplinari, ma le competenze personali
acquisite e raccolte nel Portfolio. L’art. 4, il cui
decreto legislativo è già approvato, si occupa dell’alternanza scuola-lavoro. La legge prevede un
duplice binario per la scuola secondaria di secondo grado, e cioè il sistema di istruzione (scuola
dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado
e licei), e il sistema di istruzione e formazione
professionale (IFP). I due insiemi sono di pari
dignità (non ci devono essere dunque scuole di
prima e di seconda classe, ma scuole che formano
a diverse competenze!) e dovranno essere sempre
più complementari e interconnessi tra loro, consentendo non solo il passaggio dai licei agli IFP (le
vecchie “passerelle” per evitare il fallimento scolastico agli alunni meno brillanti), ma anche il
movimento inverso. Questo rende necessaria nei
licei la scansione di 2+2+1 anni, per consentire il
passaggio da e agli IFP. Non più dunque una quadripartizione gerarchica degli studi (prima licei,
poi istruzione tecnica, poi istruzione professionale e infine formazione professionale), ma un
unico sistema educativo di istruzione e formazione. L’idea chiave che dovrebbe rendere possibile
tale interconnessione è l’istituzione del campus
scolastico: una stessa sede potrebbe ospitare corsi
liceali quinquennali e corsi di IFP a durata variabile da 3 a 9 anni, integrando così il sapere
(theorìa), il fare (tèchne) e l’agire consapevole
(pràxis). Scuola e lavoro non sarebbero più ambiti separati, ma proficuamente interagenti. Si
vuole così tutelare la diversità dei percorsi formativi nel riconoscimento del loro comune carattere
educativo e della loro complementarità in ordine
allo sviluppo sociale. In sintesi, il progetto di
riforma si potrebbe formulare come il passaggio
dalla pedagogia di Comenius (“tutto a tutti nello
stesso modo”) a quella di Rousseau (“ciascuno
personalmente in un processo di libertà”). Lo
snodo obbligato perché tutto ciò diventi realtà è
17
la formazione adeguata degli insegnanti, di cui
tratta l’art. 5 della legge. Ma il decreto legislativo
corrispondente è ancora in discussione, e la strada da percorrere si rivela lunga e impegnativa.
I due interventi di p. Matteo Giuliani avevano la funzione di preparare e indirizzare i lavori di
gruppo. Progettare l’IRC nella Scuola della Riforma
era il titolo degli interventi, che hanno fornito
una lettura dettagliata degli elementi prescrittivi
della riforma (quello che si deve fare) e offerto
alcuni suggerimenti di percorso (quello che si
potrebbe fare). A questo proposito è stata lanciata
l’idea di articolare il progetto formativo di ciascun
anno scolastico secondo un «motivo conduttore
annuale», ricavabile dal confronto tra il Profilo
Educativo Culturale e Professionale (P.E.Cu.P.) e i
bisogni educativi più rilevanti degli alunni. Tale
motivo conduttore potrebbe contribuire a rafforzare l’identità scolastica e a tener desta l’attenzione educativa globale, al di là delle singole aree
disciplinari. Si tratta di una semplice proposta (né
la terminologia né il concetto sono presenti, allo
stato attuale, nel lessico della riforma), che dimostra però quanta libertà di azione e quanta creatività siano consentite - o, meglio ancora, siano
richieste - per l’attuazione della riforma. Il relatore ha poi presentato le caratteristiche degli Obiettivi Specifici di Apprendimento disciplinari: essi
«disegnano la mappa concettuale del docente» e
«indicano il livello essenziale di prestazione del servizio per l’unità del sistema formativo». Gli OSA
dell’ IRC sono stati poi presentati nella loro
dimensione teologica (l’agire di Dio in Cristo e la
risposta dell’uomo), antropologica (l’apertura trascendentale dell’uomo al mistero) e culturale
(espressioni contestualizzate della religione: arte,
letteratura...). È stato messo in luce anche il concetto di «unità di apprendimento», che si distingue
dalla tradizionale «unità didattica» come il processo di apprendimento si differenzia da quello di
insegnamento. L’unità di apprendimento è un
insieme coerente di conoscenze e abilità che va formulato a partire dagli OSA, e che deve essere continuamente ridefinito in funzione del feedback
ricevuto dagli alunni stessi nel corso dell’attività
didattica. Può essere semplice (monodisciplinare e
unitaria), sequenziale (monodisciplinare per tappe
successive secondo una scansione progressiva),
articolata (coinvolgente diversi ambiti disciplinari), complessa (pluridisciplinare per tappe successi2
ve). La elaborazione di unità di apprendimento
articolate dovrebbe aiutare a migliorare la collaborazione interdisciplinare senza però annacquare le
competenze specifiche di ciascun insegnante.
L’IdR potrebbe aiutare a formulare unità di
apprendimento sensibili non solo ai diversi contenuti disciplinari, ma anche al compito educativo
globale. Un passo ulteriore è stato fatto nel dare le
indicazioni per i laboratori di gruppo, suddivisi per
fasce d’età (infanzia, primaria, secondaria di primo
e di secondo grado). Nella prima sessione si chiedeva di arrivare alla formulazione di un motivo
educativo conduttore a partire dal P.E.Cu.P.; nella
seconda si trattava di individuare un «obiettivo formativo in forma contratta» che guidasse la elaborazione di una unità di apprendimento di IRC. La
discussione nei diversi gruppi è stata sempre vivace; sono emerse domande, perplessità e suggestive
intuizioni, in un clima di ricerca comune esemplarmente costruttivo. Le difficoltà incontrate nei
gruppi della secondaria di secondo grado, dovute
al fatto che ancora non sono disponibili gli OSA
per questa fascia d’età, sono state stimolo per lavorare con lena ancor maggiore.
Nell’ultima giornata è stata ascoltata l’attesa
relazione del prof. Sergio Cicatelli su L’insegnante
di religione cattolica dopo il concorso: rapporto con la
scuola e con la Chiesa. Il relatore, dirigente scolastico in un liceo romano, era già conosciuto dalla
quasi totalità dei presenti, grazie anche al sussidio
da lui compilato per la preparazione al concorso2.
Il suo contributo si prefiggeva di rispondere alla
domanda: cosa cambia, dopo il concorso, per lo
Stato, per la Chiesa, per l’insegnante, per l’insegnamento? La risposta, che scherzosamente ricalca i
diffusi questionari per i sondaggi di opinione, è la
seguente: rispettivamente molto, poco, abbastanza, nulla. Partendo dall’ultimo punto, per l’IRC
non cambia nulla nel senso che esso «continua ad
essere facoltativo e a conservare le sue note peculiarità valutative e didattiche». “Facoltativo” però
non va confuso con “opzionale”: non si tratta di un
insegnamento che possa essere scelto invece di altri
(opzionalità), bensì di un insegnamento costitutivo «che, solo per il fatto di riferirsi a contenuti che
toccano la libertà di coscienza di una persona, si
presenta all’utenza in forma facoltativa». L’ingesso
in ruolo degli IdR significa solo la ratifica del valore curricolare attribuito all’IRC nel Concordato
del 1983. Qualcosa di più cambia forse per gli
S. CICATELLI, Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione. Guida al concorso per insegnanti di religione cattolica, La Scuola, Brescia 2004.
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insegnanti, che ottengono una maggiore stabilità e
un rapporto di lavoro a tempo pieno. In realtà,
molti IdR già esercitavano la professione in una
sostanziale stabilità e a tempo pieno: per loro cambia davvero poco. Semmai, si deve rilevare il fatto
paradossale che gli IdR vengano stabilizzati proprio mentre il resto del mondo lavorativo e scolastico si muove verso una maggior flessibilità e
mobilità! La stabilizzazione non significa, in ogni
caso, emancipazione dal vincolo ecclesiastico: l’idoneità e la nomina d’intesa rimangono i due fondamentali requisiti concordatari per l’IdR. Ecco
allora la terza questione: cosa cambia per la Chiesa? Le novità sono qui più rilevanti. Qualcuno
potrebbe pensare che le perplessità manifestate in
passato circa l’assunzione in ruolo degli IdR fossero dettate dal timore di «perdere gran parte della
propria libertà nella gestione di questi insegnanti».
La legge (70% in ruolo e 30% no) ha proposto
una mediazione accettabile. Alla Chiesa ora spetta
il compito - delicato e impegnativo - di individuare l’assegnazione della sede definitiva degli insegnanti, poi non più spostabili facilmente. In tal
senso, se la potestà ecclesiastica di rilasciare l’idoneità e procedere alle nomine d’intesa resta assolutamente intatta, il potere sulle persone, che la precarietà del sistema conferiva alla Chiesa, risulta
almeno in parte ridimensionato. Le prerogative
che rimangono esclusivo appannaggio della Chiesa sono relative a tre ambiti: la formazione (e si
aprirebbe qui il delicato capitolo del riconoscimento dei titoli di studio statali da parte dell’autorità ecclesiastica), il rilascio dei certificati di idoneità (e stavolta la questione delicata riguarda la
revoca dell’idoneità, che potrebbe essere sfruttata
strumentalmente per passare ad altra collocazione
professionale) e la nomina d’intesa (e a questo
riguardo i cambiamenti potranno essere rilevanti:
se finora il potere dell’ordinario diocesano nei confronti dei singoli dirigenti scolastici era pressoché
assoluto, quando l’intesa dovrà essere raggiunta tra
l’ordinario e l’ufficio scolastico regionale potrebbe
essere necessario - ad esempio per motivi relativi
all’orario di insegnamento - addivenire ad una vera
e propria contrattazione). Infine, per lo Stato cambia davvero molto: l’immissione in ruolo significa
infatti una ben precisa assunzione di responsabilità. L’ora di religione perciò non potrà più esser
considerata uno spazio benevolmente concesso alla
Chiesa da parte di uno Stato che, così facendo,
dichiara tutta la propria estraneità e il proprio
disinteresse alla faccenda; ora lo Stato si fa carico, a
nuovo titolo, dell’IRC, perché riconosce la cultura
religiosa come un valore, e per questo assume i
docenti nel suo organico. A questo punto si auspica che venga presto istituita anche una classe di
concorso per la disciplina della religione cattolica.
Si può già pensare così agli scenari del prossimo
concorso (per il 30% degli esclusi e per chi non ha
potuto parteciparvi), con tutte le sue possibili
incertezze. Se infatti avrà luogo tra un numero sufficiente di anni, potrebbero esserci in commissione
di esame anche alcuni IdR: «e allora - ma la legge
non lo consente - perché non verificare anche la
conoscenza dei contenuti disciplinari?». Ossia,
come potrebbe lo Stato dire di “non aver competenza in materia di religione cattolica”? In sintesi, il
concorso non ha messo in dubbio la facoltatività
dell’IRC, garantita dal concordato, ma ha solo
riconosciuto il «pieno diritto di cittadinanza della
cultura religiosa (e dell’insegnante che l’assicura)
all’interno della scuola»: questo è il vero, fondamentale cambiamento.
Fr. Enzo Biemmi (direttore dell’ISSR di Verona), invitato come osservatore esterno, è stato incaricato di tracciare un bilancio consuntivo dei lavori svolti. Lo ha fatto presentando Alcune osservazioni sul Corso nella prospettiva della formazione dei
formatori. I suoi rilievi: in merito al programma, ha
elogiato la presenza di contributi di alto respiro
educativo, e non solo relativi alla competenza
didattica. «Siamo chiamati a lavorare per qualcosa
di alto, di importante. Ci è nuovamente concesso
di servire un sogno. Se c’è un sogno, possiamo faticare ad attuarlo». In merito al contenuto, ha lodato
invece l’approccio laico (in senso positivo) dei
diversi contributi: ci si è indirizzati agli IdR semplicemente in quanto insegnanti, per la loro professionalità e per il contributo che possono dare
all’intero processo formativo, di cui - ora a maggior
titolo - costituiscono parte integrante. Infine,
riguardo al vissuto del corso, è stato rilevato il forte
spessore emotivo che ha accompagnato i lavori,
soprattutto davanti alla prospettiva stimolante ma
inquietante del cambiamento. Certamente tutti si
sono messi in gioco, e questo è stato garanzia di
successo dell’iniziativa.
In conclusione: la riforma, volenti o nolenti, si sta
facendo. Gli IdR, vuoi grazie al concorso in cui ne
hanno dovuto studiare le leggi, vuoi grazie a simili corsi di formazione, sono certamente tra i docenti più preparati ad assumere un ruolo da protagonisti in questo delicato cambiamento. È un’occasione da non perdere.
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T U T T A
U N ’ A LT R A
S T O R I A
Ostacoli ed opportunità:
Don Bosco alle prese con la Riforma
scolastica sabauda (1848-1863)
di Federico Corrubolo
In ambito scolastico non è la prima volta che
primi a tradurlo in pratica nella scuola troviamo
cambiano le “regole del gioco”. Prima della RiforS.Giovanni Bosco. Sarà quindi opportuno riperma Moratti c’è stata la riforma Berlinguer, prima
correre le sue scelte quando, nel giro di pochi
ancora la riforma della scuola media (1962), e
anni, fra il 1848 ed il 1859 cambiarono le “regocosì via a ritroso fino agli anni del Risorgimento:
le del gioco” nel Regno di Sardegna.
in mezzo due guerre mondiali e vent’anni di ditCon la Legge Boncompagni del 1848 veniva
tatura. Nonostante un percorso così accidentato
affermata per la prima volta l’autonomia e la
la scuola è rimasta un
libertà dello Stato
terreno molto fecondo
sabaudo nei confronti
per l’azione della Chiedella Chiesa in materia
Questo contributo inaugura la collaborasa in Italia negli ultimi
di insegnamento1. Inolzione di don Federico Corrubolo, già insedue secoli. Di fronte a
tre in pari tempo si
gnante di IRC e parroco a Roma. L’articoquesti scatti riformatori
dichiarava che lo Stato
lo vuol mostrare in sintesi l’intelligente
nella scuola italiana i
non riconosceva la valiadeguamento di Don Bosco alle leggi dello
cattolici hanno assunto
dità dell’insegnamento
Stato Sabaudo in materia di ordinamendiversi atteggiamenti.
impartito nei seminari e
to scolastico. La riforma Moratti non è né
Dalla protesta al disimnei collegi ecclesiastici.
la prima né l’ultima…
pegno, dall’attesa alla
Pertanto gli insegnanti
polemica. Spesso la
dei seminari e dei collenota dominante è stata la paura ed il sospetto per
gi dovevano sottoporsi ad un esame di abilitazioil futuro. Tuttavia alla fine ha prevalso uno spirine come tutti gli altri docenti del Regno. Si tratto di leale collaborazione con lo Stato. Gli spiriti
ta di una disposizione che anticipa la famose leggi
più illuminati hanno capito presto che le nuove
Siccardi di due anni dopo: la Chiesa e le sue isti“regole del gioco” andavano di volta in volta stutuzioni devono uniformarsi al diritto comune,
diate, comprese ed attuate, sfruttando le potenoppure sparire. Veniva in questo modo revocata
zialità che esse offrivano per la scuola d’ispiraziouna posizione di privilegio che era stata considene cristiana. Questo perfino nei tempi più duri
rata del tutto naturale almeno fino alla Rivoludel fascismo e della guerra, quando continuare la
zione francese.
Le scuole secondarie superiori dello Stato
missione educativa significava entrare in un convenivano ripartite in un liceo classico considerato
fronto sempre meno indiretto e sempre più peripropedeutico all’università, che poteva essere frecoloso con la natura totalitaria dello Stato.
quentato presso scuole comunali, enti morali, o
Questo spirito positivo (nonostante tutto) nei
addirittura presso singoli professori che davano
rapporti tra Stato e Chiesa ritrova le sue radici nel
lezioni private; e nel ramo delle cosiddette scuole
“cattolicesimo liberale” risorgimentale. Fra i
1
P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), LAS, Roma 1980, pp. 231ss
20
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“speciali o tecniche” di abilitazione professionale
che però non erano seguite perchè non davano
alcun titolo di studio legalmente riconosciuto. In
altre parole esisteva una scuola dei “colletti bianchi” che preparava il jet-set ben distinta da una
“scuola per i poveri”.
Al momento dell’entrata in vigore di questa
legge, i giovani dell’Oratorio di don Bosco vanno
a lezioni private da diversi professori, alcuni laici
altri sacerdoti. Questi docenti non sono per il
momento interessati dalla legge Boncompagni,
che prescrive l’esame di Stato solo per gli insegnanti nei Seminari e nei collegi ecclesiastici. Ma
la situazione peggiora rapidamente negli anni
successivi. Nel 1850 Con le già citate leggi Siccardi, fra l’altro viene abolita la manomorta ecclesiastica (i beni immobili della Chiesa esenti da
tasse), il che toglieva all’Oratorio un notevole serbatoio di finanziamenti. Nel 1855 la “legge sui
conventi” aboliva fra mille polemiche tutti gli
ordini religiosi che non fossero dediti all’assistenza dei malati e all’insegnamento. Il cerchio si
stringeva. Se don Bosco voleva metter su un
nuovo Istituto avrebbe dovuto per forza dargli
questa connotazione. Non basta ancora. Nell’anno seguente, un decreto del ministro Lanza stabilisce l’esame di Stato anche per i professori che
davano lezioni private, che come s’è detto erano
stati in un primo momento esclusi dalla legge
Boncompagni.
Di fronte a queste nuove regole del gioco,
decise unilateralmente dallo Stato, Don Bosco
come già Rosmini e come molti altri si mossero
nella convinzione radicata che non bisognava né
rinunciare ai diritti civili né muoversi fuori dell’ordine legale: alla politica del “fatto compiuto”
essi decisero di rispondere accettando i diritti
civili e politici e agendo su tale base.2 Perciò fece
iscrivere tutti i sacerdoti che insegnavano all’Oratorio alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, elemento importante per ottenere l’approvazione governativa.
2
3
S T O R I A
Che questa fosse la buona strada lo affermò lo
stesso presidente del Consiglio Urbano Rattazzi, in
un colloquio del 1857 che vale la pena di rileggere:
«Ma il Governo - chiede d. Bosco - due anni or sono,
soppresse parecchie comunità religiose, e permetterà egli
che se ne fondi un’altra non dissimile da quelle?...». «La
legge di soppressione - riprese Rattazzi - io la conosco e
ne conosco anche lo scopo. Essa non Le reca verun incaglio, purché la Signoria Vostra instituisca una Società
secondo le esigenze dei tempi e conforme alla vigente
legislazione. «E come sarebbe?». «Sarebbe una Società ...
in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti
alle leggi dello Stato, paghi le imposte e via dicendo. In
una parola, la nuova Società in faccia al Governo non
sarebbe altro che un’associazione di liberi cittadini, i quali
si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di beneficenza. Nessun Governo costituzionale e regolare impedirà
l’impianto e lo sviluppo di una tale società, come non
impedisce, anzi promuove le società di commercio, d’industria, di cambio, di mutuo soccorso, e simili. Qualsiasi associazione di liberi cittadini è permessa, purché lo
scopo e gli atti suoi non siano contrari alle leggi e alle istituzioni dello Stato»3.
I salesiani nacquero secondo queste indicazioni il 13 dicembre 1859. Don Bosco non fa politica ma “sta al gioco”, accettando le nuove regole
imposte dal governo e perciò stesso trasformandosi in imprenditore.
«Nell’ambito dell’economia liberale modellata sul progetto politico cavouriano don Bosco dunque si ancorò a un
sistema di proventi economici che non derivavano da
beni di natura ecclesiastica. In tal modo finì per avere una
sua propria autonomia anche nei confronti dell’autorità
ecclesiastica diocesana. Questa d’altronde, nelle mani di
vicari generali moderati. durante il lungo esilio di mons.
Fransoni, era tra la simpatia e la tolleranza verso le iniziative che don Bosco portava avanti in prima persona.
…Lo Stato liberale, ispirandosi in parte all’antica tradizione giurisdizionalista sabauda ed europea, rivendicava a
sé il diritto di dare o no esistenza legale alle corporazioni
religiose; la rilevanza politica e utilitaria di esse infatti era
proclamata di competenza dello Stato. D’altra parte lo
Stato riconosceva la priorità e inviolabilità della proprietà
privata, connessa quasi per natura ai diritti dell’uomo e
del cittadino. Non abdicare ai diritti civili personali significava, sotto la prospettiva economica e sociale, accettare,
o per lo meno non discutere, i presupposti essenziali del
liberismo economico. Don Bosco stette al gioco dell’economia capitalistica in cui si trovò, muovendosi sempre
STELLA 1980, p. 233; cfr. anche F. FONZI, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Roma 1977, p. 43ss.
Memorie biografiche di don Giovanni Bosco, raccolte da G.B. LEMOYNE, S. Benigno Canavese 1905, vol. V, p. 698, citato da R. AUBERT, La
Chiesa e l’Italia fino al 1870 in: E. GUERRIERO (ed.), La Chiesa in Italia, Cinisello Balsamo 1996, p. 41.
21
T U T T A
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sulla base dei suoi diritti civili. Divenne proprietario di
una quantità sempre maggiore di beni mobili e immobili. Come i Fratelli delle scuole cristiane e come altri, salvaguardò la proprietà e la continuità legale muovendosi
sul filo delle società tontinarie, consolidando prima nella
sua persona la proprietà di tutto, poi redistribuendola a
gruppi fidati»4.
Nello stesso anno 1859 viene varata la Legge
Casati che riforma nuovamente l’ordinamento
scolastico del Regno5 In linea di principio la legge
garantiva, ampi poteri all’amministrazione periferica, controbilanciandoli però con un ampio controllo governativo, applicabile fino a rendere i
poteri locali semplici esecutori. Fu la linea di
fatto seguita quando la legge si estese al resto d’Italia, appena unificata nel ’61.
A lungo andare la legge sanzionò una divisione tra ceti dirigenziali e ceti popolari, riservando
ai primi destinati a mansioni di governo lo studio
delle lettere classiche, della filosofia e della retorica, lasciando ai secondi l’istruzione minima,
espressamente definita “inferiore”. La destra storica oscilla tra promozione di iniziative per l’istruzione del popolo e timori di una eccessiva
istruzione del medesimo, che rimetta in discussione la leadership del ceto dirigente. La legge
risente di questa indecisione, riserva l’accesso
all’Università solo per chi proviene dal classico,
ma permette a tutti i privati di aprire scuole,
anche per venire in aiuto al governo (art. 246).
Le scuole dell’Oratorio di Valdocco richiesero
la regolarizzazione al provveditore Selmi il 4
dicembre 1862: ma tre giorni dopo, a seguito dei
fatti avvenuti in Aspromonte, il 7 dicembre 1862
cade il governo di Urbano Rattazzi, che come s’è
visto non era affatto sfavorevole all’attività di don
Bosco. Farini e Minghetti, suoi successori sono
più ostili di Rattazzi a d. Bosco, per via delle sue
attenzioni al proletariato, che come s’è detto
inquietavano la destra storica. Nonostante questo
il provveditore Selmi emana un’approvazione
provvisoria in data 21 dicembre 1862. Nel frattempo i professori dovevano regolarizzare la loro
4
5
6
STELLA 1980, p. 397
STELLA 1980, p. 236ss
Lettera del 13 luglio 1863: STELLA 1980, p. 238.
22
S T O R I A
posizione, sottoponendosi agli esami di Stato.
Improvvisamente, nel maggio-giugno 1863 ha
luogo un’ispezione governativa all’Oratorio. L’episodio è increscioso: sempre per il sospetto nei
confronti del proletariato gli ispettori cercano di
carpire qualche espressione ostile al governo per
negare l’approvazione definitiva all’Oratorio. Si
ventila l’ipotesi di chiudere provvisoriamente le
scuole col pretesto della regolarizzazione dei
docenti. Don Bosco si difende con coraggio e
scrive a Selmi prospettandogli il danno dell’interruzione della didattica:
“Riguardo alle scuole, se mi lascerà continuare così, finché i maestri reggenti abbiano ultimati i loro esami, sarà
un bene che si fa ai poveri giovani: altrimenti devo cercarmene dei titolati e perciò rifiutare ricovero ad un
determinato numero di poveri giovani. Ma spero molto
nella continuazione dei suoi favori. Del resto pensi che
siamo ambedue persone pubbliche. Ella per autorità, io
per carità. Ella di nulla abbisogna da me, io molto da lei.
Ma ambedue possiamo meritarci la benedizione di Dio,
la gratitudine degli uomini, beneficando e togliendo
dalle piazze poveri giovanetti.”6
Impressiona constatare che don Bosco non
considera neppure l’ipotesi di continuare a tenere
aperto l’Oratorio con docenti fuori legge. Non è
solo una mossa strategica per evitare passi falsi, ma
anche una nuova manifestazione di quello spirito
di obbedienza alle leggi dello Stato che abbiamo
già visto negli anni precedenti. Uno spirito positivo, nonostante tutto: e l’approvazione definitiva
arrivò dopo diversi mesi: il 2 novembre 1863.
L’Oratorio di Valdocco fu riconosciuto conforme
alle disposizioni della Legge Casati ed ottenne
l’approvazione definitiva da parte del Minstro
della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna.
La vicenda di don Bosco ci parla quindi delle
difficoltà ma anche della fecondità di un atteggiamento positivo verso le “nuove regole del
gioco”, anche quando sembrano - e talvolta sono
- sfavorevoli. Il generale Mac Arthur - che non
c’entra niente con questa storia - direbbe che
tutto sta ad esercitarsi a scorgere opportunità laddove gli altri vedono solo ostacoli…
R I P R E S E
&
D E T T A G L I
The Truman Show di Peter Weir
di Andrea Monda
Quando apparve nel 1998 questo bel film di Peter
storia). Questa crisi di Truman, evidenziata sin dalla
Weir (forse il suo migliore) fu considerato come un
prima inquadratura (lui che si guarda, smarrito e alieduro atto d’accusa contro la televisione e la terribile
nato, allo specchio) è alquanto inspiegabile e all’inizio
potenza di mistificazione e alienazione insita nel mezzo
lo spettatore non riesce bene a comprenderla. Trutelevisivo. In realtà il film parla di molto d’altro e,
man, infatti, ha “tutto” ciò di cui un uomo avrebbe
innanzitutto, della sete d’infinito e d’amore che è racbisogno: una moglie piacente e affezionata, l’amico
chiusa nel cuore d’ogni uomo, della sua dignità come
del cuore sempre a sua disposizione, i vicini carini e
creatura dotata di libero
cordiali, un posto di lavoarbitrio. La trama è nota:
ro sicuro, una saluta di
Truman Burbank è l’inferro. Sea-Heaven poi è un
Andrea Monda, docente di IRC a
consapevole “star” di un
posto davvero meraviglioprogramma
televisivo
so dove vivere: la piccola e
Roma nella secondaria di secondo
visto da milioni di spettaridente città è tranquilla,
grado e giornalista, ci accompagnerà
tori che coincide con la
pulita, salubre, senza
con commenti di film più o meno
sua vita: egli è infatti
smog, criminalità o corruripreso, a sua insaputa, da
zione, sempre “uguale a se
recenti, che si prestano ad un uso
telecamere nascoste, in
stessa” circondata com’è
didattico. Il titolo recensito stavolta
ogni luogo e in ogni
da una bella foresta e da
presenta - in modo perfino sorprendenminuto della sua vita, da
un mare tranquillo e
te - valenze squisitamente religiose
circa 30 anni, cioè sin
distensivo dove il sole tradalla nascita. Una serie di
monta ogni sera in scenari
all’analisi dello spettatore attento.
“segni” che troverà nel suo
che, per luci e colori, sono
cammino lo indurranno a
degni delle migliori cartosospettare la verità nascosta, fino al momento in cui,
line illustrate. È il mondo “come dovrebbe essere”
spinto anche dall’amore per una donna, Truman riusecondo la definizione che il suo ideatore dà quando
scirà a ribellarsi e ad “evadere” dalla prigione dorata
viene intervistato in televisione (la TV è sempre autodel set televisivo. Il successo dello show è così spiegarefenziale, parla solo di sé). Ma l’ambiguità di Seato, a metà del film, dal regista e ideatore del programHaven è subito evidente, al punto che lo stesso ideama stesso: “la gente è portata ad accettare la realtà del
tore dello show, nel corso della medesima intervista,
mondo così come essa si presenta”. Truman riesce a
poche battute dopo, lo definisce “una cella”. S’intuicogliere l’invisibile attraverso il visibile e a trovare quel
sce ben presto che la crisi di Truman è profonda, radipunto frizione, quello scarto (che per lui sarà anche
cata nel suo animo e riguarda in particolare la sua stovia d’uscita) che distingue la realtà dalla Verità e che le
ria e il suo senso. Truman è in crisi sia rispetto al propone come due entità non sovrapponibili. La dimenprio passato che al proprio futuro. Da dove viene? E
sione in cui ci muoviamo è quella del Mistero.
dove va? Che senso ha la sua vita?
La prima domanda è rappresentata dal rapporto col
I nomi
padre o, meglio, con “i” suoi molti padri.
Partiamo dai nomi: il protagonista (interpretato dalIl padre naturale non c’è: Truman è infatti figlio
l’attore comico Jim Carrey, qui in un’insolita e convin(abbandonato), frutto di un rapporto non desiderato.
cente versione drammatica) si chiama Truman, cioè
C’è invece il padre “finto” cioè un attore che, come la
True-Man = Vero-Uomo: egli è l’unico uomo “vero” di
madre, la moglie, gli amici e i concittadini, recita la
tutta la storia, tutti gli altri sono invece finti, così come
parte assegnatagli dal vero “padre” di tutto il mondo
tutto il “mondo” che lo circonda. Il tema della Verità è
finto di SeaHeaven: Kristoph, l’ideatore-regista-proquindi, senz’altro, il tema centrale del film di Weir.
duttore del Truman Show. Kristoph (il nome non è
Un altro nome significativo è Sea-Heaven, “Paradiso
casuale) è il Demiurgo, il “Creatore” di Truman come
del Mare”, il “paradisiaco” nome della cittadella dove
egli stesso si definisce nella scena conclusiva e decisiva
Truman vive, lavora, si sposa… ed entra in crisi (perdel film. Vale la pena ripercorrere, quasi fotogramma
ché senza “crisi”, senza conflitto, non c’è film, non c’è
per fotogramma, la sequenza finale.
23
R I P R E S E
Mondi fin(i)ti e teofanie.
Truman ha preso la decisione fondamentale della sua
vita e con strenua determinazione, oltre le sue stesse
forze, ha navigato con una barca a vela verso l’orizzonte, lasciandosi alle spalle il passato e la prigione dorata
del paese natio. È una scena epica in cui vediamo Truman che, nella tempesta provocata ad arte da Kristoph
per cercare di non perdere la sua “star”, come un antico
titano, grida contro gli dei e contro il fato rivendicando
la sua piena e totale libertà (quello del libero arbitrio è
un altro dei grandi temi affrontati dal film).
Così il buon Truman (fino a quel momento il classico
“uomo comune”) si è scoperto un po’ Ulisse e un po’
Prometeo, ha osato sfidare gli dei ed è arrivato finalmente alle “colonne d’Ercole”, dove il mare (Sea) si
tocca con il cielo (Heaven), e proprio lì scopre, per la
prima volta, che quell’orizzonte era solo uno sfondo
dipinto di cartone. La mano che lentamente arriva a
toccare la “morta” superficie della parete dipinta ricorda,
paradossalmente, la mano dell’Adamo michelangiolesco
toccata dalla mano vivificante di Dio. La musica, che
fino a quel momento aveva seguito la sua avventura con
tonalità epiche e romantiche, improvvisamente cade e lo
spettatore assiste al grido muto di
dolore con cui Truman si scaglia THE TRUMAN SHOW
locandina del film
contro l’orizzonte finito e finto.
Verità, Libertà e sete di Infinito:
questi i principali temi del film che però, proprio sul
finale, si colora di una sfumatura decisamente religiosa.
Mentre Truman in lacrime scarica la sua rabbia dando
pugni allo splendido fondale di cartapesta ricreato dalle
maestranze dello show televisivo, ecco che, per la prima
volta, il suo “demiurgo” Kristoph afferma di “voler parlare con lui”. E così, finalmente, il “dio” di Sea-Haven”
appare all’unica creatura di quel mondo che, a parte Truman, è privo di vita e di storia. La sequenza ha tutti i crismi di una teofania: questa “divinità” non si vede ma si
sente, dalle nuvole si ode infatti una voce che sembra
provenire direttamente dal sole (e infatti il sole – e la luna
– sono le sedi degli studi da dove il regista e i suoi collaboratori dirigono lo spettacolo) e che chiama per nome
l’unico uomo che si trova in ascolto. “Truman!”. Il giovane alza lo sguardo al cielo, quasi stordito da quell’evento, e rivolge le due Domande fondamentali:
- “Chi sei tu?” (al che Kristoph si autoproclama “creatore”, ma solo di uno show televisivo, che però “dà speranza a milioni di telespettatori”) e la seconda domanda è:
- “Chi sono io?” (al che il regista risponde, sinceramente e semplicemente, “la star”).
Viene in mente Sant’Agostino con il suo “Noverim
Te, noverim me, Domine”. Che io conosca te, che io
conosca me, Signore.
24
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D E T T A G L I
Sono le domande che ogni uomo porta dentro, che lo
accompagnano per tutta la vita. Ma Truman è ormai
“scottato”, è l’uomo del mito della caverna di Platone,
che ha ormai capito la differenza tra l’originale e il
falso: a Kristoph che mostra di conoscerlo intimamente, in tutte le “pieghe” della sua esistenza da lui seguita
sin dall’inizio, Truman risponde indicando la sua testa,
il suo mondo interiore: “non hai una telecamera nella
mia testa!” (la “morale” è quella della libertà dell’uomo, basata sulla sua ragione; la stessa morale di un
libro/film come Fahrenheit 451 anch’esso ambientato
in un futuro prossimo e iper-tecnologico).
Quindi Truman si gira, volta le spalle al suo “padrepadrone” e apre la porticina (una “porta stretta” e buia)
che conduce al di fuori degli studi televisivi. A Kristoph non gli è rimasta nessun altra arma se non la
paura per “tentare” Truman, per cercare di convincerlo a restare nel confortevole mondo dello show. Ecco
allora che gli prospetta il mondo che troverà al di fuori
di quella porta buia: un mondo violento, ipocrita,
sporco moralmente e fisicamente… l’opposto del tranquillo e “disinfettato” SeaHeaven dove lui, Truman,
“non ha nulla da temere”. È interessante osservare che
Kristoph di fatto non mente: SeaHeaven è un mondo
“perfetto” e “ideale” rispetto a quello reale, così fragile,
faticoso e corrotto. Ma è appunto “perfectus”, nel
R I P R E S E
senso di “finito”, in altre parole, morto. È un mondo
finto e per questo è meno allettante agli occhi del “neonato” Tru(e)man, Vero-Uomo che non può far altro
che sbeffeggiare il suo Finto e Diabolico patrigno per
entrare, coraggiosamente per la porta stretta.
Come scrive in una poesia giovanile G. K. Chesterton, compito dell’uomo è «andare nel buio con cuore
gioioso». Una vita prevedibile e scontata, per quanto
comoda, non può certo soddisfare e appagare il cor
inquietum dell’uomo. Il passo di Truman verso il buio
che lo risucchia (lo spettatore lo vede sparire e non lo
rivedrà più: muore il personaggio dello spettacolo per
far nascere la persona della vita) è il salto della fede, è
il cammino di Abramo, dell’Homo Religiosus che
spera contro ogni speranza e non ha certezze (materiali) su dove quella strada lo condurrà.
La novità è l’amore
Ma perché Truman ha intrapreso il cammino della
fede? L’interrogativo si associa alle altre due domande
sopra enunciate: Dove va Truman? Che senso ha la
sua vita?
Cosa spinge, in altre parole, Truman a varcare la soglia
buia che separa la mortuaria SeaHeaven dalla vita,
quella vera? Che la vita su SeaHeaven non sia “vera”,
non sia comunque “fatta per lui”, Truman se n’accorge presto. Egli ha una sete di infinito che di fatto è
inestinguibile, nonostante tutti i tentativi del regista
di spegnerla: illuminante la scena in cui il giovane
Truman è frenato dal padre lungo il “confine” del set
televisivo con l’affermazione “ci sono dei limiti che
non possiamo oltrepassare!”, o quella in cui a scuola
Truman dichiara di voler fare l’esploratore come
Magellano e la maestra, mostrandogli la cartina dei
due emisferi terrestri, gli ribatte: “Ma per fare cosa?
Ormai hanno già scoperto tutto!”.
Che ci sia comunque qualcos’Altro, e qualcosa Oltre,
Truman lo avverte, lo sente profondamente e tutti quei
disguidi tecnici che inevitabilmente affliggono il set televisivo (la tecnica è sempre un’alleata insidiosa, ambigua
e infine inefficiente, specie se si prefigge di “ingabbiare”
la vita), non sono altro che “segni”, fattori che accrescono in Truman l’“agostiniana” inquietudine.
Ma tutto questo non sarebbe stato sufficiente per far
“evadere” Truman dalla sua prigione (uno dei segreti
del film è nel suo ritmo e nella sua atmosfera tipici di
un film del genere “carcerario” per cui lo spettatore è
“inchiodato” dalla suspense: ce la farà il prigioniero a
scappare?): ci vuole sempre qualcosa che irrompa nella
vita degli uomini per cambiarla alla radice, ci vuole
una “novità” che spinga gli uomini a muoversi. Questa novità è, ovviamente, l’amore.
&
D E T T A G L I
Chi rappresenta il tema dell’amore nel film è chiaramente il personaggio di Silvia. All’inizio la conosciamo come Lauren, una mera comparsa all’interno del
cast dello show che però ad un tratto s’innamora di
Truman: un piccolo particolare, certamente non prevedibile, del resto la vita non è mai controllabile del
tutto. Siccome poi l’Amore è sempre accompagnato
dalla Verità come dalla Libertà (su questa costellazione si gioca tutto il plot del film) Silvia/Lauren non
può far altro che “parlare” con Truman, anche se purtroppo per pochi attimi (verrà infatti subito allontanata bruscamente dal set e licenziata dallo show).
Innanzitutto Silvia rivela a Truman il suo vero nome
(il nome dice la verità della persona); poi incomincia
a spiegargli tutta la verità, quella verità che tutti gli
altri gli hanno tenuto nascosto, il fatto cioè che lui
non è altro che una bestia in cattività, lui, l’unico
Vero Uomo, è diventato un “mostro” da esibire ad un
intero mondo di voyeur. Ma Silvia non fa in tempo,
la “rivelazione” rimane interrotta e per lo più fraintesa; lei viene ovviamente subito allontanata da Truman e da SeaHeaven ma il più è fatto: i due si sono
“incontrati” (anche se solo per un attimo) e l’amore
è nato. Tanto basta perché il “seme” sia nato dentro
il cuore di Truman ed egli non avrà pace finché non
ritroverà la sua Silvia (in questo senso forse la
sequenza più toccante del film – anche questa dichiaratamente “religiosa” - è quella in cui si vede Truman
cercare di ricostruire, con un collage di fotografie di
visi femminili, il volto della sua amata che, vista solo
per pochi minuti, rischia col tempo di svanire nella
memoria). Ed è proprio l’immagine di Silvia che, per
quanto imperfetta e fragile, guida come un faro nella
nebbia, la vita di Truman verso il lieto epilogo. Non
a caso nel momento in cui Truman compie il passo
verso il buio (con la fede di chi sa che oltre il buio c’è
la vera luce), il regista ci mostra Silvia che assiste trepidante, insieme ad altri milioni di spettatori, al
momento decisivo della vita del suo amato. In quel
momento, al contrario di tutti gli altri occhi incollati alla televisione, Silvia alza lo sguardo al cielo e
rivolge a Dio una supplica d’aiuto (“Ti prego Signore!”) per Truman: è l’unico momento esplicitamente
religioso di questo film che, però, come ho cercato di
dimostrare, è un piccolo “compendio” di religiosità e
spiritualità, un’ottima occasione per far riflettere gli
studenti adolescenti (che peraltro in gran parte già
conoscono la pellicola) su temi come il senso della
vita, la domanda di senso, la sete d’infinito, di verità,
di amore e libertà che sono profondamente radicate
nel cuore dell’uomo (e ne costituiscono la sua
dignità).
25
Le opere e i giorni
di Pasquale Troìa
C. Giuliodori, G. Lorizio,
V. Sozzi (edd.), Globalizzazione, comunicazione e Tradizione (con prefazione del
card. Camillo Ruini), RdT
Library (collana di studi e
ricerche in ambito teologico connessa alla rivista Rassegna di Teologia), edizioni
San Paolo, Torino 2004,
pp. 384, e 20,00, ISBN
88-215-5170-9.
La scuola è luogo di relazioni comunicative. Da
imparare a saper gestire. Fino ad imparare a vivere comunicativamente la realtà sempre più culturalmente, etnicamente e religiosamente globalizzata presente nella scuola, microrealtà di quell’altra macroglobalizzante che le fa da contesto, condizione, risorsa. Anche perché non c’è niente che
avviene ‘fuori della scuola’ che non venga riportato ‘nella scuola’. Pur nelle modalità tutte sue delle
relazioni scolastiche e dei suoi protagonisti. Alcuni (non sempre gli studenti soltanto) imperiosamente propositori di innovazioni ed altri che si
attardano a far rivalutare tradizioni. I primi più
globalizzati e i secondi più radicati al locale. Il
glo[balizzato][lo]cale è una soluzione neutra o
dinamicamente armonica. E i saperi scolastici in
quale misura possono da una parte promuovere
dinamiche interattive tra studenti e docenti e dall’altra valorizzare le esperienze multiple e differenziate che hanno come chiave di condizione la
globalizzazione stessa? E l’IRC nella sua specificità “cattolica” ha una tradizione mutuata da termini come universale, cattolico, … fino alla
comunione dei santi per ritrovarsi in gioco e
poter non demonizzare ma farsi interpellare ed
interpellare come cittadini, credenti e professionisti del sapere scolastico?
Queste brevi considerazioni (quasi premesse) permettono di valorizzare questa pubblicazione nell’ambito del ‘villaggio globale’ della scuola. Lo
evidenzia il suo indice (vedi box 1) e alcune ‘parole chiavi’ (sempre utili a scuola) (vedi box 2) rintracciabili nei vari contributi e già nei loro emblematici e paradigmatici titoli degli specialisti
(sociologi, filosofi, filmologi, storici dell’arte, teologi dogmatici, economisti, teologi di dogmatica,
di pastorale e di fondamentale, di antropologia
teologica). Si può leggere questa antologia di
autori pensandosi come quel pedagogista (meglio
ancora quel docente competente) che manca tra
tanti autorevoli autori.
Indice
1. Orientare o subire il cambiamento? (Z. Baumann)
2. Una lettura socio-economica della globalizzazione (S. Zamagni)
3. Tradizione e comunicazione nell’era della globalità (F. Casetti e C. Giaccardi)
4. Il cittadino globale tra comunicazione universale e cittadinanza particolare (G. Colzani)
5. L’individuo comunitario (R. Cipriani)
6. Globalizzazione e libertà (D. Pizzuti)
7. Globalizzazione, comunicazione, etica (A. Fabris)
8. Sensus fidei cristiano in tempi di globalizzazione (A. Staglianò)
9. Risorsa profetica della devozione popolare: tratto simbolico della cultura cristiana (G. Pasquale)
10. L’arte cristiana in un’era di globalizzazione (T. Verdon)
11. “Carità intellettuale” e globalizzazione (A. Mastantuono)
12. La tradizione cristiana nel contesto del “villaggio globale” (G. Lorizio)
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☛
“carità intellettuale”: “è un sintagma di A. Rosmini e sta a designare il servizio alla verità, in particolare
attraverso la cultura, che la comunità cristiana deve attuare” (in A. Mastantuono, p. 273)
☛ glocalizzazione: il glocale è all’intersezione tra globale e locale. Ma… è troppo sintetico e presenta una
definizione dalla formula alchemica schiacciata su di un piano ‘bidimensionale’ …” (Nello Barile in G.
Lorizio, 325)
☛ L’ONP [= organizzazione non profit] è riconoscibile “per il fatto di essere: formalmente costituita, privata (cioè istituzionalmente separata dal settore pubblico), indipendente, senza scopo di luco, con presenza di una certa quantità di lavoro volontario, aconfessionale e non schierata politicamente, gestita
secondo procedure democratiche, produttrice di utilità sociale” (NETS, New employment opportunities in the third sector, in A. Mastantuono, p. 287).
☛ “All’interno del “raffreddamento del pianeta degli uomini”, Z. Baumann individua tre tipi di insicurezza:
• la uncertainty: difficoltà di capire il mondo, che produce e diffonde disorientamento;
• la unsecurity: erosione delle protezioni sociali e del welfare
• e la unsafety: come insicurezza di fronte alle crescenti minacce alla incolumità, alla vita, alla libertà da
parte della violenza” (in A. Mastantuono, p. 277).
☛ Il terzo settore come “privato sociale” (P. Donati) e come “economia civile” (in A. Mastantuono pp.
289-293).
☛ Differenza (e complementarietà) tra “non profit” (di derivazione anglosassone) e “terzo settore” (di derivazione francese) (in A. Mastantuono, p. 279)
☛ Differenza tra non profit italiano e non profit anglosassone: mentre quest’ultimo conosce come sua forma
organizzati a centrale la fondzione, il primo ruota attorno alla figura dell’associazione. L’associazione, in
quanto centrata sul patto associativo, è sempre espressione di un libero convergere di volontà di tanti
soggetti su un progetto comune. […] Non necessariamente, invece, è così nella fondazione di stampo
anglosassone: qui il fondatore destina il proprio patrimonio per il raggiungimento di ben definiti scopi,
che entrano a far parte integrante dello statuto della fondazione e che pertanto vincolano l’azione degli
amministratori della stessa (cfr. ospedali, scuole, enti di ricerca negli USA)… “ (in A. Mastantuono, pp.
278-279)
☛ La cybercultura è “l’avvento di un remapping sensocognitivo reso possibile dalla trasformazione antropologica inaugurata dalle tecnologie informatiche. […] (R. Marchesini, in G. Lorizio, p. 361)
☛ In una inchiesta del 2003 (a cura di Garelli, Guizzardi, Pace) su un campione di oltre 2000 soggetti sul
“singolare pluralismo [morale e religioso] degli italiani” sono derivate sei caratterizzazione di coloro
che si autodefiniscono cattolici: i rigoristi (21,3 %), gli incerti timorosi (12,6%), i tradizionalisti celebrativi (18,1%), i radicali aperti (il 17,9%), i praticanti impegnati (22,3%), i negativisti (7,8%). (in R.
Cipriani pp. 137-144)
☛ “Il riferimento alle tradizioni locali ed alla ricchezza culturale presenti nelle comunità cristiane è il prius
simbolico che permetterà l’avventura dialettica, non demonizzabile, della globalizzazione” (in G.
Pasquale p. 237).
☛ “All’etimologia di tradizione (da tradere) che significa trasmettere, far passare, sono legati alcuni aspetti
distintivi della tradizione che nell’era della contemporaneità mediatizzata, pur senza scomparire, subisce una serie di trasformazioni:
• la continuità nel tempo e del tempo si delocalizza
• la trasmissione personale si depersonalizza
• il valore di quanto viene trasmesso si deritualizza.
Queste trasformazioni mettono oggi la tradizione di fronte a diverse strade ….” (in F. Casetti e C. Giaccardi, pp. 83-87).
☛ Interessanti le analogie tra tradizione e traduzioni (in F. Casetti e C. Giaccardi, pp. 87-91)
Come si può constatare, il contributo di A. Mastantuono, “Carità intellettuale” e globalizzazione. Il terzo settore interpella la comunità ecclesiale (pp. 273-310) è particolarmente funzionale e immediatamente valorizzabile in una programmazione dell’IRC (e non solo).
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AA.VV., Per un codice
deontologico degli insegnanti. I documenti e le
proposte del gruppo di lavoro, Annali dell’Istruzione,
2/3 Roma 2002, Le Monnier, Firenze 2003, pp.
148. (Annali dell’Istruzione è una rivista bimestrale
a cura del MIUR).
Ora che lo stato giuridico è quasi una realtà.
Dopo questa tragicomica gestione del concorso.
Ecco che ancor più all’IDR sarà richiesta un’etica
professionale con un doppio codice, quello proprio e comune a tutti i docenti e quello di lealtà
e di fedeltà alla dottrina della Chiesa secondo
quell’idoneità concordata e intesa su di lui e per
lui. Senza dimenticare quel codice civile comune
ad ogni cittadino che lo pone come riferimento
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autorevole delle educazioni (non di tutte competente) alla “convivenza civile”.
Questa pubblicazione raccoglie “i documenti e le
proposte del gruppo di lavoro (costituito con decreto ministeriale del 2/11/2001, vedi p. 107) [di cui
presidente onorario è il cardinal E. Tonini] per la
definizione dei criteri per un codice deontologico
dle personale della scuola” [cfr. nel box l’indice]
Gli Autori sono alcuni componenti di tale gruppo di lavoro. I loro contributi sono essenziali e
chiari. Merita una lettura. Anche perché su tali
forme di professionalità si ‘giocherà’ la differenza
di qualità e di competenza sia della funzione
docente (il che cosa di dovere ci viene chiesto di
fare) che sulla professione docente (il modo e lo
stile di qualità dell’insegnare).
Ci auguriamo che si apra un dibattito e si produca una letteratura che registri e codifichi comportamenti, stili, regole da professare più che da praticare. Così da orientarci verso la costituzione di
un ordine professionale degli IDR.
I contributi dei gruppi di lavoro
☛ La professionalità docente nel panorama internazionale
☛ Le fonti giuridiche del codice deontologico
☛ Criteri di definizione del codice deontologico
☛ Sintesi dei contributi
Interventi:
Codice deontologico: un’occasione di confronto sulla professione docente (E. Brogi)
Linee guida per il codice deontologico dei docenti (C. Cerofolini)
Oltre il codice deontologico (R. Drago)
Osservazioni e proposte per la definizione dei criteri del codice deontologico (C. Lo Giudice
Sergi)
☛ Verso una scuola della libertà e della responsabilità (G. Mereghetti)
☛ Osservazioni sui contributi della commissione (G. Piazzi)
☛ La responsabilità e la scuola (M. Rossi Doria)
☛ Riflessioni conclusive sul codice deontologico (M. Salvi)
☛ Una rivoluzione culturale per la nuova figura di docente (G. Savagnone)
☛ Professionalità docente (C. Xodo)
☛ Il codice di comportamento degli insegnanti (P. Zerman)
☛
☛
☛
☛
Documenti:
UNESCO – OIT: raccomandazione sullo status degli insegnanti
Documento del consiglio nazionale della pubblica istruzione sul codice deontologico del personale della scuola (11 settembre 2002)
☛ Codici deontologici di alcuni paesi OCSE: Canada, Francia, Spagna, Svizzera, Usa.
☛
☛
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Explora
Il museo dei
bambini di Roma
via Flaminia 82,
nel centro di
Roma, a pochi
passi da Piazza del
Popolo e Piazzale
Flaminio.
www.mdbr.it; tel 06 3613776 fax 06 36086803
e-mail: [email protected].
È aperto al pubblico dal 12 maggio 2001 Explora, il primo museo privato non profit dedicato ai
bambini (0-12), alle scuole, e alle famiglie. Recuperando gli spazi del complesso ex ATAC (in via
Flaminia) che sono stati oggetto di un progetto di
recupero ed adattamento alla funzione di un
museo dei bambini.
La prenotazione si effettua contattando telefoni-
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camente l’Ufficio Scuole per concordare: data e
turno della visita, percorso tematico (scuola dell’infanzia) o laboratorio (scuola elementare e
media). L’ingresso è gratuito per 2 insegnanti a
classe, per gli alunni disabili e i loro insegnanti di
sostegno. Per gli altri alunni il costo è di 6,00
Euro.
Explora è strutturato come una piccola città a
misura di bambino con i suoi spazi, le sue funzioni e i suoi mestieri; una città che mette in contatto i bambini con fatti e realtà quotidiane, dove
tutto può essere osservato, toccato, sperimentato.
Explora rappresenta un’importante occasione di
conoscenza, gioco, interazione e socializzazione
in un ambiente allegro e ricco di stimoli, progettato secondo i più attuali principi della psicologia
che attribuiscono all’apprendimento “sul campo”
un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo
cognitivo. Strutturato come una piccola città per
Nota storica e geografica
Il primo Children’s Museum è sorto a Brooklyn del 1899 e quello di Indianapolis è attualmente
considerato il più grande al mondo, per i suoi 15.000 mq di percorso museale. Negli ultimi 5
anni ne sono stati aperti altri 60. L’apertura di oltre 100 nuovi children’s museums è prevista
negli anni a venire.
In U.S.A. i più importanti per grandezza e per popolarità sono i Children’s Museum di Boston,
Houston, Manhattan, Philadelphia, Seattle e quello di Indianapolis. Sono raggruppati dall’associazione A.Y.M. - Association of Youth Museums.
In Europa, la prima struttura, interamente dedicata ai bambini, la Cité des Enfants è nata a Parigi nel 1988, all’interno della Villette, la Cité des Sciences et des Industries. Il più importante e
il più grande è Eureka! (4.500 mq). Sorto nel 1992 ad Halifax nello Yorkshire, a tre ore da Londra. Accoglie più di 300.000 visitatori all’anno ed ha vinto diversi premi in Inghilterra dei settori per il Design, l’Architettura e il Turismo.
Hands On Europe (www.hands-on-europe.net/) è l’associazione che raggruppa la rete dei Children’s Museums europei.
In Italia i musei dei bambini sono relativamente recenti e si trovano anche a Napoli - L’Officina
dei Piccoli fa parte della Città della Scienza (www.cittadellascienza.it) e a Genova, dove la Città
dei Bambini (www.cittadeibambini.net) si trova nel complesso dell’Acquario. In fase di progettazione sono quelli di Milano (www.muba.it), Palermo, Venezia, Reggio Emilia, Bologna, Siena
(www.comune.siena.it), Taranto, Catania.
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giocare e dove tutto può essere osservato, toccato,
sperimentato, Explora mette in contatto con i
fatti e realtà quotidiane: l’ambiente, la comunicazione, l’economia, le nuove tecnologie, occasioni
che permettono ai bambini di scoprire se stessi e
i misteri delle cose. La nuova città è articolata in
quattro sezioni che si differenziano per colore:
• IO (colore blu) per conoscere se stessi e gli altri,
il corpo umano e lo spazio “piccoli esploratori”
dedicato ai più piccini sino ai tre anni. Entrando nella pancia della mamma, nella bocca
gigante, nello studio medico o dal dietologo i
bambini scoprono i segreti del corpo umano;
• l’AMBIENTE (colore verde) e le risorse della
terra attraverso una casa speciale dove gli spazi
sono trasparenti; una casa ecologica perché alimentata dall’impianto fotovoltaico e rispettosa
dell’ambiente perchè ricicla i rifiuti che produce, i giochi all’aperto;
• la SOCIETÀ (colore giallo) e le attività quotidiane come il supermercato e le trasformazioni
alimentari, il garage, i vigili del fuoco, i giochi
d’acqua e lo spazio dedicato all’arte;
• la COMUNICAZIONE (colore rosso) con le
sue strutture e tecnologie come lo studio tv, la
banca e l’introduzione dell’Euro, il sotto suolo e
il telefono. Alla scoperta della tecnologia e dei
mass media: si sperimenta come e perché si
comunica, come si “fa” la televisione, qual è il
valore di una banconota, come viaggiano le lettere attraverso la posta pneumatica e l’ufficio
postale.
Rapporto Jóvenes 2000 y Religión,
edito dalla Fondazione Santa María (fondata nel
1977 dalla Compagnia di Maria -marianista) ed
elaborato dai sociologi Juan González-Anleo,
Pedro González Blasco, Javier Elzo e Francisco
Carmona.
La ricerca, realizzata lo scorso febbraio, ha interessato un campione di giovani tra i 13 e i 24
anni (300mila in tutto). Di questi solo il 33% si
è dichiarato cattolico praticante (sia pure non
assiduo) e fra di loro il gruppo più religioso (il
62%) è quello tra i 13 e i 14 anni.
I giovani spagnoli non vanno quasi più a messa
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la domenica; preferiscono discutere le grandi
questioni vitali, come il senso dell’esistere, il
male, il dolore, il fallimento, la violenza nel
mondo, soprattutto con gli amici, a volte con i
genitori, rarissimamente con un sacerdote; in
una classifica sulle 13 professioni di maggiore
utilità sociale, collocano i sacerdoti e religiosi al
dodicesimo posto (al tredicesimo ci sono i militari di carriera). Credono ancora in Dio, ma il
75% di loro ritiene di poterlo tranquillamente
fare “anche senza la Chiesa”.
“La secolarizzazione - scrive González-Anleo,
direttore dello studio e autore del capitolo “La
religiosità nei giovani: credenze, riti e comunità”
- ha avuto un effetto devastante sui vecchi riti
cristiani, sui sacramenti, la preghiera e le altre
pratiche religiose”. E la mente dei giovani si è
“lasciata conquistare” dalle “diverse forme della
religione civile, dai fondamentalismi, dai movimenti di protesta contro la globalizzazione, dalle
nuove sette e movimenti religiosi, dal culto del
corpo, dal consumismo, dall’ecologia, ecc.” con i
loro “nuovi riti, cerimonie e liturgie”.
“L’immagine della Chiesa cattolica come istituzione che difende le tradizioni e i valori - prosegue il sociologo - dedita ad aiutare i poveri e i
bisognosi, buona educatrice di bambini e adolescenti, e sollecita della vita morale dell’uomo con
le sue regole di condotta” è ancora valida solo per
la metà dei giovani intervistati; ma appena un
quinto ritiene che la Chiesa con le sue parole riesca a “svegliare le coscienze dei politici” e poco
più di un terzo che “in essa si possa scoprire il
senso della vita”.
Diverso l’atteggiamento verso il papa: l’impatto
mass mediatico dei viaggi di Giovanni Paolo II è
fortissimo: “fanno un gran bene ai giovani”, “i
giovani hanno bisogno di udire queste cose”, “mi
è servito molto per approfondire la mia vita cristiana”, dichiara il 67% degli intervistati.
Bassissima (6%) risulta poi la percentuale dei
giovani che dice di aver “talvolta” sfiorato l’idea
di farsi prete, religioso o religiosa. In linea
comunque con il calo delle vocazioni che si registra in tutto il mondo occidentale. In Spagna,
rivela l’indagine, i sacerdoti diocesani sono diminuiti sensibilmente nel giro di vent’anni: dai
22.729 del 1978 sono scesi a 18.719 nel ’98, e
così i religiosi: da 11.133 a 9.145. Circa i motivi di questo calo vocazionale, il 42% degli interrogati confessa di essersi accorto che si trattava di
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un’infatuazione passeggera; il 32% riconosce la
“difficoltà di impegnarsi per tutta la vita”; e solo
il 14% tira in causa il celibato obbligatorio. Però,
alla domanda “quali modifiche ritieni che
aumenterebbero le vocazioni sacerdotali”, il 62%
dei giovani risponde: “la possibilità di sposarsi”.
I praticanti? “Ragazzine, ricche, di destra”
Chiude l’indagine una riflessione storica di Francisco Carmona che analizza il rapporto tra giovani e Chiesa a partire dagli anni ’60. Se allora il
95% dei giovani si dichiarava cattolico praticante e il 58% andava a messa tutte le domeniche,
oggi è solo un giovane su tre ad identificarsi
come cattolico praticante e solo uno su dieci ad
andare alla messa domenicale. E si tratta, specifica Carmona, per la maggior parte di “ragazzine,
figlie di famiglie ricche e di destra”. A chi ricerca
le cause di questo allontanamento bisogna ricordare, sottolinea il sociologo, che nel frattempo la
Chiesa si è scontrata con la modernità che
“implica la razionalizzazione del credere, il
rispetto dell’autonomia e la conseguente accettazione della laicità e del pluralismo sociale”. E
mentre la società spagnola “si è incorporata al
mondo moderno nel campo sociale e politico” il
mondo cattolico “si è spaccato” fra coloro che
hanno inteso rinnovare il progetto pastorale
della Chiesa evangelizzatrice e stimolare il cambiamento di tutti i suoi membri, incoraggiati
dallo stesso Paolo VI e l’ostruzionismo interno
alla Chiesa stessa. “Non si deve dimenticare prosegue Carmona - che un importante settore
della Chiesa spagnola ostacolò la diffusione del
Concilio in Spagna”.
E sulle responsabilità della Chiesa, passate ed
attuali, proprio a partire dall’inchiesta del sociologo, si sofferma anche lo scrittore e giornalista
spagnolo Norberto Alcover, gesuita, sulle pagine
del settimanale di informazione religiosa “Vida
Nueva” (n. 2.416). “Per decenni - scrive il gesuita - la Chiesa spagnola ha trasmesso valori civici
in funzione del nazionalcattolicesimo”. Nello
studio di Carmona, sostiene Alcover, “appare
chiaro che il cattolicesimo istituzionale ha smesso di trasmettere senso alla vita in generale. Allora si apre un’epoca dominata dal disinteresse
intorno alle grandi questioni, dall’egoismo e dall’individualismo sociale e da un certo disprezzo
dell’impegno sociopolitico. Tutto ciò a grave
detrimento delle virtù civico-politiche che esige
la sopravvivenza di una democrazia e del suo cor-
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rispondente stato strutturale. Il processo di perdita dei valori produce l’affondamento dei concreti valori sociali e politici, senza che la Chiesa
cattolica sia capace di ricreare il suo ruolo pedagogico, proprio ora, quando le acque sono così
turbolente”. “La nostra Chiesa - conclude il
gesuita - deve dimostrare adesso che non possiede solo parole per la dittatura, ma anche parole
per la democrazia, dopo una riconversione
profonda allo spirito e alla lettera evangelici”.
(Adista, n. 35 del 15 maggio 2004)
Gorge Steiner, Grammatiche della creazione (il titolo
originale è Grammars of
Creation), Garzanti, Milano
2003, pp. 308, e 19,70,
ISBN 88-11-59714-5.
Cinque sono i capitoli.
Senza titoli. D’altra parte
impossibile a definirli perché le pagine sono dense di
personaggi citati, di loro storie e teorie, di esperienze. “Una capolavoro che spazia nella letteratura di ogni tempo” (C. Magris, Corriere della
sera). È un flusso continuo: “una serrata indagine sul mistero della creatività, un eloquente e
drammatica diagnosi del nostre presente” legittimato da una considerazione preliminare, onesta
e scientifica: “Siamo stati a lungo ospiti della
creazione, e io credo che lo siamo ancora. Al
nostro ospite dobbiamo la cortesia del domandare” (ultime parole di 308 fitte pagine!). Di cui le
prime sono “Non abbiamo più inizi”.
È tipicamente anglosassone la letteratura delle
grammatiche (come per altre finalità quella
‘singolare’ e famosa Grammatica dell’assenso
(Grammar of assent, 1870) del cardinal J.H.
Newman, un personaggio che oggi saprebbe
ancora farsi ascoltare). La lettura aprirà la
mente a universi disciplinari e culturali, i fondamenti della nostra cultura come grammatiche poste a confronto con le più recenti ipotesi
scientifiche, matematiche, artistiche e musicali,
in un Occidente, nella terra del tramonto, dove
“non abbiamo più inizi”. Particolarmente interessante per la interdisciplinarità delle grammatiche che coinvolge.
31
I N C O N T R I
R O M A N I
Iniziazione alla meditazione
profonda
di Roberto Rossi
Mi attendeva nell’atrio della scuola e a distanza di
diciotto anni è stato inizialmente difficile riconosce la mia ex alunna Sabina Micaglio. Dopo gli
inevitabili ricordi reciproci e le conseguenti
nostalgiche rievocazioni, Sabina mi racconta della
sua giovane esistenza, soprattutto di quegli anni
vissuti appena concluso il liceo, qui, al Villaggio
Olimpico, in via Venezuela, nelle vicinanze dell’Auditorium.
“Mi sono sempre interessata di tematiche spirituali, - mi comincia a raccontare - prima frequentando i corsi di psicosintesi di Roberto
Assaggioli, poi, a partire dal 1989, quando avevo
vent’anni, iniziando un percorso psicanalitico di
stampo freudiano, un ciclo di studi che è durato
dieci anni”. Ci soffermiamo a discutere un poco
su questo aspetto, scambiando valutazioni e giudizi e Sabina mi elenca alcune sue letture, testi
che l’hanno formata ed indirizzata: Erich Neumann, Esther Harding, Marie Louise von Franz,
James Hillman, tutti studiosi della scuola junghiana. “E poi, -le chiedo- cosa è successo? Perché
sei qui, oltre all’ovvio piacere di rivederci dopo
tanto tempo?”.
Sabina sorride ed inizia il suo racconto: “Seguendo un po’ distrattamente il mio ragazzo, - mi dice
- nel 1993 ho incontrato padre Mariano Ballester, un sacerdote gesuita, inventore del metodo
di meditazione MPA. E’ stata questa la svolta
della mia vita”.
Mi faccio spiegare un po’ la figura del sacerdote
di cui ho solo notizie vaghe ed indirette.
“Mariano Ballester è autore di numerosi libri,
tutti sulla meditazione profonda: ‘Iniziazione
alla meditazione profonda’, che puoi leggere
come testo propedeutico; poi ci sono ‘Meditare
un sogno’, ‘Il Cristo, il contadino e il bue’, ‘Figli
del vento’, ‘Verso l’altra sponda’ ed altri ancora.
32
Con lui ho ritrovato il senso del Cristianesimo e
la possibilità di farlo entrare direttamente nella
mia vita”.
Sabina ha frequentato tutti i livelli di corso di
padre Ballester, scegliendo, contemporaneamente, a partire dal 1994, di entrare all’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’,
iniziando una carriera professionale che sembrava
lontana dalla sua prima scelta. In realtà, le due
direzioni della vita di Sabina cominciarono ad
incrociarsi, armonicamente, perché i corsi di
meditazione ricevevano un continuo riscontro,
evidente proprio nella sua attività professionale di
attrice teatrale.
“Paure, timori, emozioni… sono riuscita, applicando le indicazioni di padre Ballester, a controllarle, a viverle senza traumi, a stare sul palcoscenico serenamente, completamente rilassata. Ho
sperimentato e veriicato, nell’affrontare il pubblico, ma anche i colleghi di lavoro, quanta serenità
la meditazione sapeva darmi”.
Ma non è finita qui. Sabina riprende il suo racconto: “dal 2002 padre Ballester mi ha chiamata
a frequentare un corso di pedagogia sul metodo
MPA, permettendomi di entrare ufficialmente a
far parte del gruppo di guide abilitate ad insegnare la meditazione, cosa che ora faccio professionalmente a partire dal 2003, tenendo un corso
per adulti al Centro Armonia di Roma”.
Sospetto presenze new age in tutto questo e faccio presente a Sabina il mio timore. “E’ uno dei
nostri ‘avversari’ –mi risponde prontamente- perché è un movimento che vive solo di deleghe, che
facilita la deresponsabilizzazione, il distrarsi nell’eclatante o nel suggestivo. Qui, invece, con
padre Ballester, siamo di fronte ad una spiritualità
profonda, quella cattolica, la meditazione della
tradizione mistica che si apre ad altri modi di
I N C O N T R I
esprimersi, in un dialogo silenzioso ecumenico,
senza irenismi o eclettismi”.
Sabina mi mostra un progetto da proporre in
sede per l’’Offerta Formativa’, onde aiutare i giovani soprattutto nell’acquisizione del primo stadio della meditazione, quello che permette ‘le tre
consapevolezze’: “si tratta di favorire il rilassamento e la concentrazione attraverso
• la consapevolezza fisica, con esercizi di
allentamento della tensione prettamente
muscolare e nervosa;
• la consapevolezza emozionale, attraverso
esercizi basati sul respiro e la visualizzazione
(una modalità che favorisce soprattutto la
creatività). Questi esercizi possono permettere di osservare i nostri sentimenti senza
rimanerne schiacciati;
• la consapevolezza mentale, con esercizi che
allenano la presenza mentale o l’attenzione
concentrata e che favoriscono la memoria e
l’apprendimento”.
Leggo il progetto in dettaglio, rendendomi conto
che, pur essendo indirizzato nello specifico ai giovani, agli studenti, per favorirne una consapevole
maturazione emozionale ed affettiva, il corso risulta interessante ed opportuno anche per gli adulti.
“Meditare - mi chiarisce Sabina - significa essere
presenti a se stessi, qui ed ora, facendo attenzione
al corpo, allamente, alle emozioni, alla natuira
che è intorno a noi e soprattutto all’Altro. Meditare è esercizio dell’attenzione, è non perdere la
‘differenza’, l’alterità, è non far scivolare nel vuoto
ciò che ci è donato attorno”.
A sostegno di quanto mi sta dicendo, Sabina mi
indica una citazione di James Hillman, da Politica della bellezza, che chiude il suo progetto:
“…queste attività che si svolgono in silenzio, sfidando l’anestesia collettiva, attivano la persona
R O M A N I
immaginante al cuore di ogni vita sociale e politica…perché consentono al resto del programma
curriculare di radicarsi in un agente veramente
umano”.
Sabina mi fa chiaramente capire di non considerare assolutamente “la meditazione come una
pratica esoterica che miri ad allontanare il meditante dalla vita di ogni giorno, bensì un impareggiabile sistema di esercitazione mentale e di
autoesplorazione che conferisce ai giovani, ma
anche agli adulti, come è successo a me, -precisamaggiore efficienza nelle proprie attività, per dire
soltanto dei risultati più pratici ed immediati”. Le
chiedo cosa possa offrire questa meditazione, ad
esempio, a chi dovrà affrontare l’esame di Stato.
Sabina mi risponde indicando nello stesso tempo
quanto elencato nel suo progetto: “sicuramente
saranno migliorati l’apprendimento, la memoria,
ma anche la consapevolezza di sé, l’equilibrio
emotivo e la capacità d’attenzione. In più, è stimolata la creatività ed attivata la sensibilità verso
gli altri. Quello che però permette un ‘salto di
qualità’ è soprattutto la percezione dell’armonia e
della pace interiori. Per i ragazzi può bastare un
ciclo di otto lezioni di un’ora e mezza ciascuna,
una volta la settimana ”.
Quasi certamente, mi assicura una collega
responsabile del POF che ha assistito al nostro
scambio di informazioni, il progetto di Sabina
verrà attivato il prossimo anno, proprio per la
forte valenza e positiva incidenza educativa e formativa sui ragazzi.
Per chi è interessato ecco quanto è utile per ulteriori informazioni:
Sabina Micaglio
[email protected]
Telef. 06 3292815 o 339 7962277
33
Notizie legali e sindacali
di Angelo Zappelli
L’ORGANICO DI DIRITTO DELL’IRC
Ad un anno dalla legge sull’immissione in ruolo dei
docenti di religione cattolica delle scuole statali, finalmente si conosce il numero dei posti messi a concorso
- 15.507 - il famoso 70% dei posti esistenti voluto
dalla legge 186/03. L’ufficializzazione del primo dato
sull’organico di diritto dell’Irc spetta alla nota ministeriale n. 65 del 22 luglio 2004, la quale pubblica la rilevazione nazionale condotta dal Miur negli ultimi mesi
dell’a.s. 2003/04.
Il numero complessivo delle immissioni in ruolo lo
aveva già reso noto il ministro Moratti nel discorso
tenuto alla Cei il 26 maggio scorso, in occasione della
sottoscrizione dei nuovi O.S.A. della scuola secondaria
di primo grado. Anzi il ministro aveva perfino dichiarato, con stupore dei presenti, che di questi (15.383 nelle
sue parole) solo un contingente di 9.229 (circa due terzi)
verrà immesso in ruolo nel primo anno di vigenza del
concorso, che ha valore triennale. Il resto, ovvero circa
3.000 all’anno, entrerà in ciascuno dei due anni successivi. Se pensiamo però che il concorso sarà concluso per
fine agosto 2004 solo in alcune regioni, le più piccole, il
rischio è che ad entrare in ruolo nell’a.s. 2004/05 sarà
effettivamente un contingente di non più di 3-4.000
docenti d’Irc, ben al di sotto dei ‘lanci’ ministeriali.
La nota, che si colloca quindi in una posizione di ritardo sulle dichiarazioni del ministro precedenti di due
mesi, compie tuttavia un passo in avanti rispetto alla
procedura concorsuale. Ad essa è infatti allegata una
tabella sulla ripartizione regionale del dato nazionale,
sia sui posti esistenti che sui posti messi a concorso. Al
Lazio, ad esempio, essendo stati rilevati 2.106 posti
disponibili nell’insieme di tutti gli ordini e gradi scolastici, è consentita l’immissione in ruolo di 1.474 docenti di religione, il 70%. Del resto, la tabella è necessaria
per la conclusione del concorso. Come farebbero altrimenti i dirigenti regionali a dichiarare i vincitori traendoli dalla graduatoria definitiva del concorso? A questo
punto, infatti, il ruolo degli organi centrali è quasi esaurito, manca solo il decreto interministeriale definitivo,
ed inizia quello degli uffici regionali. Sono questi ultimi, infatti, a dover effettuare le ripartizioni del dato
complessivo regionale nei due ruoli (scuola primaria e
secondaria) e allo stesso tempo nell’articolazione territoriale, cioè nelle diocesi presenti in ciascuna regione.
La nota fa sapere ai dirigenti regionali che potranno
anche, ma solo in via residuale (cioè solo se necessario),
costituire posti a carattere misto tra due ordini scolasti34
ci, pur restando all’interno del ruolo prescelto. Si
potranno formare in via eccezionale, insomma, posti
con classi sia nella scuola dell’infanzia che nella scuola
primaria, così come con classi sia nella scuola secondaria di primo che di secondo grado.
Una sottolineatura va fatta ad un passaggio delicato e
nuovo della nota, quello in cui si affida ai dirigenti
regionali il compito di individuare gli istituti scolastici
sedi di organico di diritto e di quantificare la disponibilità di tali istituti. Il che vuol dire che l’ufficio regionale, ad esempio, potrà assegnare ad un istituto due cattedre di Irc in organico di diritto, da coprire quindi con
due vincitori del concorso riservato, ed invece una sola
cattedra in un altro istituto, affiancandola ad un’altra
cattedra non in organico di diritto su cui incaricare un
docente non di ruolo. Ovviamente, il dirigente regionale sceglierà secondo la consistenza delle ore disponibili in ciascun istituto ma anche secondo quanto proposto dell’ordinario diocesano in sede di intesa sulle
assunzioni in ruolo. La novità è costituita dalla presenza di un organico di diritto, il 70% dell’intero fabbisogno per ciascun ruolo e per ciascuna diocesi, cui sarebbe assegnato il personale vincitore del concorso attuale.
Il restante 30% (organico di fatto) andrebbe quindi al
personale non di ruolo.
Un particolare interessante è quello della data in cui
vengono resi pubblici i dati sull’Irc, urgenti per consentire la stipula dei contratti a tempo indeterminato nelle
regioni (come le Marche, il Molise, la Basilicata, la
Toscana, il Friuli, ecc.) che hanno già terminato i lavori concorsuali con le graduatorie complete. La data
segue di almeno due mesi la fine della rilevazione nazionale ma si colloca ancora in mancanza del decreto interministeriale già annunciato alla firma del ministro due
mesi prima. Un ritardo ed un anticipo che si possono
capire solo con un’altra notizia proveniente dal mondo
della scuola. Lo stesso giorno, infatti, viene anche emesso il decreto sull’organico delle assunzioni dei cosiddetti ‘precari’, con tutte le relative ripartizioni per classe di
concorso e per provincia. Sembra quasi un annuncio
’politico’, insomma, fondato su un parallelismo incongruo quanto deleterio tra precari temporanei delle altre
discipline e precari stabili dell’Irc, tra sostituti di un
titolare assente (o inesistente) e titolari del posto stesso
(non in organico).
Nonostante l’evidente tentativo ministeriale di non
creare polemiche con i precari, il commento della Cgil
trabocca di falsità e tendenziosità come al solito. La
N O T I Z I E
L E G A L I
nota del Miur dimostrerebbe una “efficienza degna di
miglior causa” - afferma sul proprio sito - come se la
causa dei lavoratori non riguardasse i docenti dell’Irc o
non interessasse più quella organizzazione sindacale. La
Cgil si sente colpita “amaramente” per l’entità delle
immissioni in ruolo dei docenti di religione (15.000 nel
triennio), che “stride” pesantemente con la “miseria”
delle immissioni dei precari (15.000 subito). Lo stato di
diritto risulterebbe mortificato dal “privilegio” concesso
alle “gerarchie vaticane” (?).
Malgrado ciò il senso della nota appare in sintesi oltremodo positivo, quello di permettere alle direzioni
regionali di ripartire ulteriormente il numero dei posti
in organico di diritto stabiliti dal Miur secondo i due
ruoli e secondo le articolazioni territoriali delle diocesi
esistenti in ogni regione, in modo da porre rapido termine alle procedure concorsuali in adempimento alla
legge ed alle giuste attese dei lavoratori docenti dell’Irc
nelle scuole statali.
CONTRATTI INDIVIDUALI ANNUALI 2004/05
Anche quest’anno, l’ultimo per quella buona fetta di
docenti che l’anno prossimo sarà immessa in ruolo grazie alla legge 186/03, tutti i docenti di religione devono
stipulare il contratto individuale di lavoro a tempo
determinato con il dirigente scolastico dell’istituto (o
degli istituti) in cui prestano il loro servizio. La circolare che disciplina tale stipulazione è stata emanata dal
Miur il 4 agosto 2004 con il n. 67.
La circolare tratta in specifico dei docenti di religione al
punte 3 della lettera A, per affermare che: “Restano
confermate le istruzioni contenute nella lettera circolare n. D13/1944 del 10 agosto 1999, precisando che per
tale personale non è prevista la trasmissione telematica
al Ministero dell’Economia e delle Finanze per la corresponsione della retribuzione spettante”.
Per i docenti di religione, quindi, come già negli anni
scorsi dal 1999 in poi, non ci sono novità per questo
tipo di operazione. Riassumiamo le principali tappe:
a) il modulo da utilizzare per i contratti individuali è
quello denominato A - 5 tra gli allegati alla circolare, lo
stesso dell’anno scorso già pubblicato in RSC n.
4/2003; per gli incarichi non rinnovati o per quelli
ridotti d’orario è prevista in aggiunta la dichiarazione
del dirigente di cui al modulo D;
b) le somme dello stipendio, comprensivo dell’indennità di contingenza, sono le medesime dell’anno scorso
(anch’esse già pubblicate in RSC n. 4/2003), tratte dal
CCNL 24.7.2003, non essendo intervenuto alcun
nuovo CCNL per il biennio in corso;
c) le copie da firmare (solo dopo aver controllato con
attenzione la correttezza delle cifre e delle date) sono sei,
di cui una resta in mano al docente, da conservare con
E
S I N D A C A L I
cura nel proprio archivio personale dedicato alla pensione;
d) il certificato medico d’idoneità fisica all’impiego va
prodotto solo all’atto della stipula del primo contratto
di lavoro, infatti “la validità di tale certificazione viene
meno solo per effetto di attribuzione di contratto a
tempo indeterminato” (nota prot. N. 3361 del
25.9.2003), quindi negli anni successivi basta dichiarare d’averlo già prodotto precedentemente.
IN RUOLO DOPO IL CONCORSO I PRIMI
DOCENTI DI RELIGIONE
Il 3 dicembre 2004 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto interministeriale (Istruzione, Funzione
Pubblica, Economia) che autorizza l’assunzione del
primo scaglione di IdR vincitori del concorso riservato a
cattedre. Dopo poco più di un anno dall’approvazione
della specifica legge (n. 186 del 18 luglio 2003), e dopo
l’effettuazione del concorso riservato ivi previsto, svoltosi dalla primavera all’autunno del 2004, si giunge quindi all’avvio delle procedura delle immissioni in ruolo.
I 15.366 IdR, corrispondenti al 70% dei posti esistenti
sul territorio nazionale, entreranno in ruolo distinti in
tre scaglioni nel triennio di vigenza ufficiale della graduatoria concorsuale: l’a.s. 2004/05, l’a.s. 2005/06 e
l’a.s. 2006/07. Gli scaglioni consistono, rispetto al
gruppo dei 15.366, nel 60% circa nel primo anno
(9.229), il 20% nel secondo anno e il restante 20% nel
terzo. Ecco perché il decreto autorizza l’assunzione a
tempo indeterminato di 9.229 IdR. In realtà, tuttavia,
quest’anno verranno immessi in ruolo neppure 2.000
IdR, cioè il 60% dei vincitori del concorso delle poche
e piccole regioni che hanno pubblicato le graduatorie
definitive entro il 31/08/2004 (Molise, Basilicata, Marche, Umbria, ecc.). I restanti posti rimarranno sospesi
nell’a.s. in corso per aggiungersi a quelli del secondo
scaglione, previsto per l’a.s. 2005/06.
Il caso del Lazio rientra in quest’ultima fattispecie.
Essendo state appena pubblicate le graduatorie del
concorso riservato (il 24 e il 25 novembre, rispettivamente per la primaria e la secondaria), i primi due scaglioni di IdR da immettere in ruolo si cumuleranno
nell’a.s. 2005/06.
I 1.474 posti a disposizione della Regione Lazio, quindi,
verranno ricoperti da 1.169 IdR (cioè il 60% + 20%) dal
primo settembre 2005 e da altri 305 (20%) a partire dal
primo settembre 2006, prelevandoli dalle graduatorie
che diverranno definitive entro breve tempo.
L’articolazione di tali posti nei due ruoli della primaria
(infanzia + elementare) e della secondaria (media +
superiore) nonché nelle singole graduatorie diocesane è
compito di uno specifico provvedimento da parte del
Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio,
che attendiamo prossimamente.
35
M A T E R I A L I
E
D O C U M E N T I
“Raccomandazioni” per il contributo
specifico dell’IRC alla elaborazione
dei piani di studio personalizzati
nella scuola primaria
A cura della CEI - Servizio Nazionale per l’IRC
INTRODUZIONE
L’insegnamento della religione cattolica
(Irc) ha una specifica identità disciplinare,
definita dagli Accordi concordatari del 1984: è
un insegnamento con contenuti conformi alla
dottrina della Chiesa cattolica; è inserito nel
quadro della istituzione scolastica, pur nella
facoltatività di avvalersene da parte dei destinatari; è dotato di programmi, insegnanti, libri
di testo.
In questi anni esso ha contribuito ad una
più precisa conoscenza della fede cattolica
e, al contempo, ha mostrato ampie risorse di
apertura e di dialogo, grazie ad una modalità
di trattazione dei contenuti attenta all’interdisciplinarietà, al confronto con la/e cultura/e e
con le altre confessioni religiose. In questo
modo è venuto incontro alle esigenze sollecitate dai mutamenti della società sempre più
multietnica e multireligiosa.
Ricostruire sinteticamente il cammino fatto
ci permette di ricordare che il tempo trascorso
tra la pubblicazione delle Specifiche e autonome attività di insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche elementari
(1987), e gli Obiettivi specifici di apprendimento della religione cattolica (2003), è un
tempo relativamente breve anche se qualitativamente considerevole, se si pensa alla ricchezza di provocazioni e di innovazioni che la
Scuola primaria ha vissuto e sta vivendo.
Proprio all’interno di una scuola che è
andata gradualmente cambiando, sollecitata
dalle trasformazioni dei nuovi modelli culturali, è stato espresso un costante impegno per
rendere l’Irc più efficace e adeguato. Si ricordano ad esempio: la “Rilettura” dei programmi
di insegnamento di religione cattolica per la
scuola elementare (1996) e, con l’avvio del
processo di riforma scolastica, la messa in
atto di una Sperimentazione nazionale biennale sui programmi di religione cattolica, nella
prospettiva dell’autonomia scolastica e di
nuovi programmi (1998-2000), i cui esiti sono
stati organizzati e sistematizzati in una serie di
Quaderni 1, allo scopo di offrire materiali di
studio e di approfondimento.
Frutto di queste ed altre simili iniziative è
stato di poter dialogare, con sempre maggiore consapevolezza, con la recente Legge
53/2003 e di condividere innanzitutto le finalità
ivi espresse nell’art. 1:
• favorire la crescita e la valorizzazione della
persona umana, completandone la formazione sul piano religioso e valoriale;
• rispettare i ritmi dell’età evolutiva, proponendo percorsi didattici articolati secondo il
principio della progressività ciclica;
• rispettare l’identità di ciascun alunno, prendendo atto delle differenze anche di carattere religioso, per una proposta didattica
aperta all’incontro e al dialogo;
Nel rispetto della qualifica scolastica dell’Irc la Conferenza Episcopale Italiana, d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, ha promosso negli anni scolastici 1998-99 e 1999-2000 una «Sperimentazione nazionale biennale» affinché tale insegnamento si inserisse da subito nei processi di riforma nella scuola italiana. Il progetto di sperimentazione e i risultati sono stati pubblicati nei Quaderni della Segreteria Generale della CEI (Cf. 1 [1997] n. 23; 2 [1998] n. 23; 3 [1999] n. 24; 4 [2000] n. 20; 5
[2001], n. 16; 6 [2002] n. 16).
1
36
M A T E R I A L I
• favorire la cooperazione tra scuola e famiglia, considerando la conoscenza del patrimonio storico, culturale ed umano offerto
dall’Irc un arricchimento per la formazione
dei figli;
• inserire l’Irc nella didattica di ciascuna
scuola, nel rispetto dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche.
Attualmente, dopo la sottoscrizione tra
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca e la Conferenza Episcopale Italiana,
avvenuta il 23 ottobre 2003, gli Obiettivi specifici di apprendimento per l’insegnamento della
religione cattolica fanno parte delle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati a completamento degli ambiti del sapere primario2.
Di seguito vengono sviluppati i seguenti
punti:
- la riforma scolastica in atto e l’inserimento
dell’Irc attraverso la presentazione degli
Osa (I);
- gli aspetti metodologici-didattici, suddivisi
in due momenti: la finalità educativa degli
Osa e la loro traduzione in aula (II).
I. L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
CATTOLICA DENTRO UNA SCUOLA CHE
SI RINNOVA
1. Il progetto della riforma
Secondo quanto stabilito dagli Accordi
concordatari, l’Irc si pone in stretta connessione con la realtà della scuola che oggi individua, nell’autonomia e nella riforma in atto, i
due poli attorno ai quali questo insegnamento
si articola. La normativa essenziale che in tal
senso occorre tenere presente riguarda:
- la legislazione relativa all’autonomia: Legge
15 marzo 1997, n. 59, art. 21; Regolamento:
autonomia delle istituzioni scolastiche, DPR
8 marzo 1999, n. 275; Legge 18 ottobre
2001, n. 3, la riforma del titolo V;
- la legislazione relativa alla riforma scolastica: Legge Delega (28 marzo 2003, n. 53),
E
D O C U M E N T I
che ha dato il via all’articolazione dettagliata
della riforma scolastica in corso; Decreto
Legislativo (19 febbraio 2004, n. 59), che ha
portato a definizione le norme generali relative al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della Legge 28 marzo 2003, n. 53.
In particolare in queste Raccomandazioni si
fa riferimento all’Allegato B, riguardante le
Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio
Personalizzati nelle Scuola Primaria e all’Allegato D, riguardante il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine
del primo ciclo di istruzione (6-14 anni).
Il dato fondamentale che si ricava da una
prima lettura dei vari Documenti della riforma
è una conferma di rilevante importanza, e cioè
che l’Irc trova nel progetto educativo e
didattico della scuola la sua naturale collocazione. Il quadro, all’interno del quale tale
insegnamento trova il suo posto, è dato
soprattutto dal Profilo educativo, culturale e
professionale dello studente alla fine del primo
ciclo di istruzione3 (Profilo) e dagli Obiettivi
generali del processo formativo (Ogpf)4.
Il Profilo definisce le competenze che un
ragazzo di 14 anni dovrebbe aver maturato
durante la Scuola primaria e secondaria di
primo grado. Si tratta di ciò che dovrebbe
“sapere” e “saper fare”, valorizzando la sue
“capacità” per essere la persona e il cittadino
di domani. Le “competenze” indicate sono
sette ed è bene averle sempre presenti perché
al loro raggiungimento contribuiscono tutte le
discipline, compreso appunto l’Irc:
• «Esprimere un personale modo di essere e
proporlo agli altri;
• interagire con l’ambiente naturale e sociale
che lo circonda, e influenzarlo positivamente;
• risolvere i problemi che di volta in volta
incontra;
• riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita, anche chiedendo aiuto,
quando occorre;
• comprendere, per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali;
Cf. Comunicato stampa CEI-MIUR del 23 ottobre 2003, in occasione della sottoscrizione degli “Obiettivi specifici di apprendimento” per l’insegnamento della religione cattolica nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria; DPR n. 122 del 30
marzo 2004, in GU n. 109, del 11 maggio 2004.
2
Cf. Allegato D: Profilo educativo, culturale e professionale.
3
Cf. Allegato B : Obiettivi generali del processo formativo.
2
37
M A T E R I A L I
• maturare il senso del bello;
• conferire senso alla vita».
Si tratta di traguardi da maturare negli
ambiti dell’Identità (costituita dalle dimensioni
della “conoscenza di sé”, della “relazione con
gli altri”, dell’“orientamento”); degli Strumenti
culturali da acquisire (tra cui la riflessione
sulla dimensione religiosa dell’esperienza
umana e l’insegnamento della religione cattolica); della convivenza civile (tra cui i “dirittidoveri del cittadino” e la ricerca per sé e per
gli altri di “un benessere fisico strettamente
connesso a quello psicologico, morale e
sociale”).
Gli Obiettivi generali del processo formativo,
con evidente riferimento al Profilo dello studente e alle Indicazioni Nazionali, definiscono i
principi ispiratori, i processi da attivare e le
consapevolezze da acquisire per l’apporto
che tutte le discipline sono chiamate ad esprimere, per la Scuola primaria così indicati:
• «Valorizzare l’esperienza del fanciullo;
• riconoscere la corporeità come valore;
• esplicitare le idee e i valori presenti nell’esperienza;
• facilitare il passaggio dal mondo delle categorie empiriche al mondo delle categorie
formali;
• favorire la dinamica dalle idee alla vita in un
continuo confronto interpersonale;
• riconoscere la diversità delle persone e
delle culture come ricchezza;
• praticare l’impegno personale e la solidarietà sociale».
Il percorso indicato nei Documenti
lascia emergere un quadro di riferimento
nel quale la dimensione etico-religiosa è
esplicitamente presente nella formazione
della personalità dell’alunno.
In quest’ottica si rileva come l’Irc vada sempre più declinato con attenzione:
- all’interesperienzialità o al confronto con
l’esperienza personale dell’alunno per non
isolare i contenuti appresi in una dimensione
astrattamente cognitiva;
- all’interdisciplinarietà o al necessario raccordo con tutte le altre discipline e ambiti
disciplinari presenti nel piano di studi dell’alunno;
38
E
D O C U M E N T I
- alla relazionalità o al rapporto personale
nella relazione educativa, che si nutre del
costante dialogo tra alunno ed insegnante;
- alla convivenza civile o al contesto delle
diverse “educazioni” che devono sostenere
trasversalmente l’impegno didattico di ogni
disciplina.
Dentro il percorso indicato, la scuola,
opportunamente definita «ambiente educativo
di apprendimento», avvalendosi delle possibilità offerte dall’autonomia, rafforza il rapporto
di continuità educativa con l’azione della famiglia e delle altre istituzioni educative presenti
sul territorio come pure il rapporto con altre
culture, confessioni e religioni. L’Irc da parte
sua è sollecitato ad articolare i contenuti,
redatti in conformità alla dottrina della Chiesa,
in stretta relazione con la sviluppo psicologico, culturale e spirituale dell’alunno “in situazione”, accogliendo e valorizzando tutti gli
alunni, ivi compreso chi è portatore di “diverse abilità”.
2. Obiettivi specifici di apprendimento
Vengono riportati di seguito gli Obiettivi specifici di apprendimento (Osa) propri della Religione cattolica, enucleati in “conoscenze” e
“abilità”. Sono stati elaborati tenendo presenti
i Documenti di cui sopra e confrontandosi
costantemente con gli Osa delle altre discipline, in particolare con gli Osa di italiano, storia,
arte e per l’educazione alla convivenza civile.
Esprimono tre peculiarità:
- riflettono “l’ordine epistemologico” e quindi
disegnano la mappa culturale che gli insegnanti di religione devono possedere e
padroneggiare;
- obbediscono all’“unità del sapere” e all’unitarietà dell’insegnamento e quindi nel rispetto della disciplinarietà sono aperti all’intere transdisciplinarietà;
- definiscono il “livello essenziale di prestazione” del servizio che ciascuna istituzione
scolastica è tenuta a fornire e garantiscono
l’unità del sistema formativo nel rispetto della
flessibilità richiesta dall’autonomia e dall’apertura al territorio; soprattutto consentono ai
fanciulli e ai ragazzi di maturare, nei modi
adatti alla loro età, in tutte le dimensioni tracciate nel Profilo.
M A T E R I A L I
E
D O C U M E N T I
CLASSE 1°
Abilità
Conoscenze
- Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini.
- Gesù di Nazaret, l’Emmanuele “Dio con
noi”.
- La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a
tutti i popoli.
- Scoprire nell’ambiente i segni che richiamano
ai cristiani e ai tanti credenti la presenza di
Dio Creatore e Padre.
- Cogliere i segni cristiani del Natale e della
Pasqua.
- Descrivere l’ambiente di vita di Gesù nei suoi
aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
- Riconoscere la Chiesa come famiglia di Dio
che fa memoria di Gesù e del suo messaggio.
CLASSE 2° e 3°
Conoscenze
- L’origine del mondo e dell’uomo nel cristianesimo e nelle grandi religioni..
- Gesù, il Messia, compimento delle promesse
di Dio.
- La preghiera, espressione di religiosità.
- La festa della Pasqua.
- La Chiesa, il suo credo e la sua missione.
Abilità
- Comprendere, attraverso i racconti biblici
delle origini, che il mondo è opera di Dio,
affidato alla responsabilità dell’uomo.
- Ricostruire le principali tappe della storia della
salvezza, anche attraverso figure significative.
- Cogliere, attraverso opportune pagine evangeliche, come Gesù viene incontro alle attese,
di perdono, di giustizia e di vita eterna.
- Identificare tra le espressioni delle religioni la
“preghiera” e, nel “Padre Nostro”, la specificità della preghiera cristiana.
- Rilevare la continuità e la novità della Pasqua
cristiana rispetto alla Pasqua ebraica.
- Cogliere, attraverso alcune pagine degli “Atti
degli Apostoli”, la vita della Chiesa delle origini.
- Riconoscere nella fede e nei sacramenti di
iniziazione (battesimo-confermazione-eucaristia) gli elementi che costituiscono la comunità cristiana.
CLASSE 4° e 5°
Conoscenze
- Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e
sviluppo.
- La Bibbia e i testi sacri delle grandi religioni.
- Gesù, il Signore, che rivela il Regno di Dio
con parole e azioni.
- I segni e i simboli del cristianesimo, anche
nell’arte.
- La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti, persone e strutture.
Abilità
- Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai diversi popoli.
- Evidenziare la risposta della Bibbia alle
domande di senso dell’uomo e confrontarla
con quella delle principali religioni.
- Cogliere nella vita e negli insegnamenti di
Gesù proposte di scelte responsabili per un
personale progetto di vita.
- Riconoscere nei santi e nei martiri, di ieri e di
oggi, progetti riusciti di vita cristiana.
- Evidenziare l’apporto che, con la diffusione
del Vangelo, la Chiesa ha dato alla società e
alla vita di ogni persona.
- Identificare nell’azione della Chiesa l’opera
dello Spirito di Dio, che la costruisce una e
inviata a tutta l’umanità.
- Individuare significative espressioni d’arte
cristiana, per rilevare come la fede è stata
interpretata dagli artisti nel corso dei secoli.
- Rendersi conto che nella comunità ecclesiale
c’è una varietà di doni, che si manifesta in
diverse vocazioni e ministeri.
- Riconoscere, in alcuni testi biblici la figura di
Maria, presente nella vita del Figlio Gesù e in
quella della Chiesa.
39
M A T E R I A L I
2.1. Criteri di lettura degli Obiettivi
specifici di religione cattolica
Per una corretta lettura degli Osa di
Religione cattolica occorre tenere presenti i
criteri che ne hanno regolato la formulazione: alcuni di carattere generale ed altri più
specificamente attenti all’aspetto disciplinare. Li elenchiamo per una presentazione
solo orientativa.
CRITERI GENERALI
1. Uno stile sintetico, che obbedisce al
principio dell’ologramma, cioè all’unità del
sapere, per cui i singoli Osa si rimandano
gli uni agli altri; non sono mai chiusi in se
stessi, ma sono sempre un complesso,
continuo rimando al tutto, come del resto
anche prospettato dall’armonia del “credo”
cristiano, che ha trovato nei documenti del
Concilio Vaticano II una felice sintesi.
2. Una struttura che specifica gli Osa in
“conoscenze” (colonna di sinistra) e in “abilità” (colonna di destra). Si tratta di una
impianto che, nella mens della riforma, non
richiede una precisa corrispondenza tra le
due colonne, in quanto la proposta non si
pone sul versante dell’operatività didattica,
che invece è riservata ai soggetti delle singole Istituzioni scolastiche. La colonna
delle abilità non è subalterna a quella delle
conoscenze, sollecita piuttosto una feconda integrazione fra “sapere” e “saper fare”,
in vista dell’“essere” della persona dell’allievo, capace di maturare ed esprimere le
competenze elencate nel Profilo.
3. La gradualità didattica, a partire dal
sostegno iniziale alle categorie esperienziali per approdare solo nel 2° biennio ai
quadri disciplinari e alla conoscenza organizzata. Secondo quanto richiesto dalle
Indicazioni, i fanciulli e i ragazzi passano
gradatamente dall’“esserci” al “prendere
coscienza” dell’esperienza, dalla “coscientizzazione” alla “riflessione” sul vissuto, nel
caso specifico valorizzando gli strumenti
culturali propri della Religione cattolica.
Oltre che rispettare la crescita dell’alunno e
i processi dell’apprendere dal monoennio al
40
E
D O C U M E N T I
secondo biennio, tale gradualità assicura
anche l’organicità e l’integrazione dei contenuti essenziali della Religione cattolica
nel più vasto orizzonte del sapere e del
saper fare che l’alunno va assimilando e
trasformando in competenze (progressività
ciclica).
CRITERI RELATIVI ALL’IRC
4. L’apertura, il confronto e l’interazione
fra discipline ed i relativi Osa, che hanno
comportato un’attenzione particolare alla
scansione disciplinare in modo da articolare i contenuti propri della Religione cattolica in sintonia con quelli delle altre discipline, in particolare, come già osservato, con
l’italiano, la storia e l’arte.
5. La fedeltà ai nuclei fondanti del dato
cristiano (l’incontro tra Dio e l’uomo; Gesù
Cristo, Figlio di Dio e Salvatore; la Chiesa;
l’agire cristiano nell’orizzonte della speranza), espressi nella specifica professione di
fede cattolica in tutta la sua valenza culturale e con evidente attenzione alla scuola.
Ciascun nucleo fondante, a cui rimandano
gli Osa, è comprensivo di altri elementi e
aspetti collegati al sapere religioso, come: il
bisogno di Dio insito nel cuore umano e che
si esprime nei segni-simboli delle religioni;
la rivelazione di Dio all’uomo nel suo rapporto con le figure dell’Antico e del Nuovo
Testamento (persone ed eventi); la comunità cristiana come mistero espresso nelle
immagini di famiglia e di popolo di Dio,
nelle sue varie espressioni: della celebrazione e delle feste liturgiche (Pasquadomenica, Natale, ecc.), dell’annuncio e
della preghiera, della testimonianza della
carità e del dialogo.
6. La valorizzazione della Bibbia e dei
suoi effetti nella cultura, per cui la Bibbia
va considerata non solo in se stessa ma
anche negli effetti prodotti nel tempo, nei
segni e nei documenti che da essa scaturiscono: gli stili di vita evangelici, i testimoni
di ieri e di oggi, alcune espressioni del pensiero cristiano, le espressioni artistiche, la
vita e gli eventi forti della comunità cristiana, testi del magistero della Chiesa.
M A T E R I A L I
7. Il dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane e quello con le
altre religioni, che comporta la consapevolezza di una confessionalità aperta ai
segni religiosi dell’ambiente e a quelli di
altri popoli, nonché al confronto (il tutto proporzionato all’età, alla classe, al contesto di
vita degli alunni, ecc). È implicita qui l’attenzione anche alla multiculturalità da cui,
come si è già accennato, non si può prescindere nella società in cambiamento
com’è quella attuale.
Un filo rosso percorre i criteri indicati. Esso si può esprimere nella dinamica
di un processo che va dall’umano all’umano religioso, dal religioso al cristiano, dal cristiano al cristiano-cattolico,
con l’accoglienza e l’apertura verso chi
professa un credo diverso e/o segue
altro sistema di pensiero. Sono indicativi del processo che dovrà portare gli
alunni a sviluppare la loro personalità
nella dimensione religiosa, anche in
vista della convivenza civile.
2.2. I contenuti espressi nelle conoscenze e nelle abilità
La lettura attenta degli Osa di Religione
cattolica permette di individuare i contenuti
religiosi espressi nelle “conoscenze” e nelle
“abilità”, che gli alunni dovranno acquisire
nell’arco della Scuola primaria. Entrambi
esprimono attenzione al criterio della
“conformità alla dottrina della Chiesa”5, “nel
quadro delle finalità della scuola”6.
Se “conformità alla dottrina della Chiesa” sta ad indicare coerenza nella trattazione dei nuclei fondanti del mistero cristiano,
l’“attenzione alla scuola”, nel grado scolastico che ci riguarda, sta a indicare che il
dato cristiano va trattato tenendo in considerazione queste tre scelte:
1. essenzializzazione e organicità. Esprimono la scelta di promuovere un insegnamento che si sviluppa attorno ai
nessi fondamentali del cristianesimo:
Dio, Cristo, Chiesa, morale e l’armonia
5
6
E
D O C U M E N T I
intrinseca ai contenuti, per una conoscenza non a sé stante (“conoscenze”)
ma integrata con un accostamento più
diretto e partecipato (“abilità”);
2. fenomenicità del dato cristiano. Ci sono
aspetti tangibili del cristianesimo che
riguardano l’esperienza cristiana, i fatti di
vita, le persone, i segni-simboli delle
tracce cristiane nella storia, i documenti.
Nella trattazione dei contenuti si dovranno tener presenti le componenti dell’esperienza religiosa: antropologica, teologica, storica, etica, linguistica, artistica;
3. concentrazione su alcuni nuclei tematici
essenziali. Essi rispettano la tripartizione
del “credo” secondo la visione cristocentrica della più genuina tradizione cristiana. Con ciò si vuol mediare l’idea che i
diversi contenuti hanno pienezza e compimento in Gesù Cristo. In Lui oltretutto
si trova il punto di convergenza per
cogliere e valorizzare quanto di comune
c’è nelle altre confessioni religiose e così
far emergere lo specifico, ossia il cristianesimo nella confessione cattolica.
Possiamo quindi dire che gli Osa esprimono gli elementi essenziali del cristianesimo, elementi che, nel rispetto della
scuola, si articolano su tre versanti:
- il versante della dimensione storico-rivelata espressa nel dato cristiano-cattolico;
- il versante delle fonti, con un’attenzione
particolare alla Bibbia e al suo linguaggio
(strettamente collegato al precedente);
- il versante del “rispetto” e del “dialogo“
con altre confessioni religiose.
Quest’ultimo versante, del rispetto e del
dialogo, merita una particolare sottolineatura, in vista dell’apprendimento ecumenico ed interreligioso che la scuola dovrà
assicurare nel contesto sempre più diversificato e culturalmente vario, anche per i
continui flussi migratori a cui l’Italia e l’Europa sono soggetti. Tenendo conto dell’età
e con attenzione alla gradualità educativa,
fin dalla prima classe della scuola primaria
gli Osa intendono favorire negli alunni la
Cf. Prot. addizionale, 5; Intesa, 1.1; 4.1; Nota CEI 91, 13.
Cf. Accordi, 9,2; Intesa, 1.1; 4.1; Nota CEI 91, 13.
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M A T E R I A L I
scoperta delle religioni che attribuiscono a
Dio l’origine del mondo (Cf. 1ª classe). In
seguito gli alunni saranno impegnati a mettere insieme alcune interpretazioni sull’origine del mondo e sulle forme di preghiera a
Dio, Padre comune (Cf. 1° biennio), per poi
arrivare a confrontare il cristianesimo con
le espressioni religiose di altri popoli e la
Bibbia con i testi sacri delle principali religioni (Cf. 2° biennio).
II. ORIENTAMENTI
METODOLOGICO-DIDATTICI
1. Nuclei tematici e orientamenti
metodologici
Una volta elencati i criteri di lettura degli
Osa, si offrono ora indicazioni per la loro
messa in opera didattica. Appurato che
bisogna partire dall’esperienza dell’alunno,
si tratta di prospettare l’effettiva valorizzazione didattica degli Osa nell’arco degli
anni del percorso scolastico considerato e
nei singoli anni, quali orientamenti metodologici-didattici avviare per il lavoro in aula.
Per una efficace risposta operativa a
questi interrogativi si può partire dall’individuare i quattro nuclei contenutistici attorno ai quali articolare una serie di tematiche
sottese agli Osa, tenendo sempre presente
la peculiarità dell’apprendere dell’alunno e
le indicazioni generali richiamate sopra
(oltre al Profilo e gli Ogpf anche il Piano dell’Offerta Formativa, [Pof]).
Dio e l’uomo. Il passaggio graduale,
dalle categorie esperienziali più vicine
all’apprendere del bambino della 1ª classe
alla capacità dell’alunno del 2° biennio di
passare dall’esperienza alle prime conoscenze riflesse, richiede che vengano
affrontati alcuni aspetti contenutistici di cui
gli Osa sono portatori:
- Dio è il creatore. C’è uno stretto rapporto
tra Dio e il mondo e tra Dio e l’uomo, e
questo può essere visto nei primi Osa
della 1ª classe e del 1° biennio;
- il disegno di Dio è tracciato nel tempo. Alle
origini c’è la creazione, al termine la parusia con la vita eterna, al centro l’evento di
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E
D O C U M E N T I
salvezza portato da Gesù Cristo: la
Pasqua. È la dinamica storico-salvifica
del cristianesimo, dimensione costante
negli Osa delle diverse classi.
La valenza etico-antropologica di questo
nucleo si esprime in un atteggiamento di
sorpresa e di accoglienza del creato e, in
esso, soprattutto della persona umana, in
vista quindi del rispetto e del dialogo con
ogni persona, anche con chi professa altre
confessioni e religioni o con chi è senza un
particolare credo da professare pur non
essendo privo di altro riferimento di significato. Sono le prospettive aperte riflettendo
sui grandi temi posti dall’uomo sulla terra,
sempre ricorrenti e oggi resi ancora più
acuti. Gli Osa aprono a questa riflessione,
dando un loro contributo specifico per favorire lo sviluppo della vita in tutte le sue manifestazioni e la maturazione di ogni persona.
La Bibbia è fonte privilegiata per accostare questo nucleo. Essa richiede un
approccio graduale secondo le possibilità
psicologiche e culturali dell’alunno.
Gesù di Nazareth è il nucleo fondante
e centro della religione cristiana. A Lui si
rivolge la rivelazione e da Lui parte la comprensione della stessa rivelazione su Dio,
sulla sua persona in quanto Figlio di Dio,
sulla sua missione che culmina nella
Pasqua.
L’accorgimento metodologico per una
più efficace presentazione della persona di
Gesù richiede che il punto di partenza sia
prevalentemente induttivo. Si parte dall’umanità di Gesù per giungere al suo mistero
espresso con un crescendo che rispetta la
verità teologica ed anche la gradualità educativa: Gesù è «l’Emmanuele, il Dio con
noi» (Cf. 1ª classe); è «il Messia, compimento delle promesse di Dio» (Cf. 1° biennio); «Il Signore che rivela il Regno di Dio»
(Cf. 2° biennio).
Concretamente, gli alunni vengono aiutati a scoprire chi è Gesù di Nazareth attraverso ciò che ha fatto e ha detto. Sono i
contenuti proposti dagli Osa che presentano delle dimensioni costanti:
- la collocazione di Gesù nella storia e nella
cultura della sua gente, del suo popolo;
- la contestualizzazione della sua missione:
M A T E R I A L I
Gesù compie le promesse di Dio; con il suo
insegnamento «viene incontro alle attese
di perdono e di pace, di giustizia e di vita
eterna»; i fatti della Pasqua esprimono il
dono salvifico di Dio all’umanità e sono il
punto di partenza del cristianesimo;
- la rivelazione dell’identità umana e divina
di Gesù.
Il processo metodologico richiede che
questo nucleo si realizzi attingendo alle
fonti evangeliche (dalla nascita di Gesù alla
sua Pasqua). La via stessa del Vangelo
indica anche una dinamica che passa dall’agire di Gesù alla domanda sulla sua identità per arrivare a dire chi è veramente
Gesù. Non vanno poi dimenticate le attese
che l’alunno porta con sé: della scoperta di
una propria identità, confrontandosi con il
mondo circostante ad iniziare dalla famiglia, e della ricerca di riferimenti e stili di
vita che gli possono risultare significativi.
La Chiesa e i cristiani. La vita della
comunità cristiana e la sua presenza nel
mondo e nella storia si coglie, come indicano gli Osa, attraverso i segni:
- i segni della presenza e dell’azione dei
cristiani nell’oggi e nella storia con la loro
rilevanza personale e sociale. Si tratta di
«figure significative», quali «progetti riusciti di vita»: «Maria», «i santi e i martiri»
di ieri e di oggi;
- il linguaggio delle fonti: la Bibbia con particolare attenzione ai Vangeli, agli Atti
degli apostoli, ma anche ad altri testi della
tradizione cristiana; segni e simboli nelle
espressioni celebrative, in particolare nei
sacramenti dell’iniziazione cristiana, nella
preghiera, nelle feste, nell’arte, ecc.;
- i segni dell’accoglienza e del servizio di
carità.
Una volta individuati i gesti concreti dell’agire e della testimonianza sarà più facile
per gli alunni cogliere il mistero della Chiesa, che gli Osa identificano progressivamente come «comunità dei cristiani» (Cf. 1ª
classe), «comunità che celebra il mistero di
Cristo» (Cf. 1° biennio), «popolo di Dio nel
mondo con le sue persone, istituzioni e
strutture» (Cf. 2° biennio).
L’alunno anche a questo nucleo si avvicina
portando una serie di attese, legate all’esi-
E
D O C U M E N T I
genza di essere accolto e di vivere felici
relazioni interpersonali per appartenenze
allargate e sempre più coinvolgenti.
I valori morali. Alla luce dell’umanesimo cristiano, le questioni morali trovano
una risposta nel progetto di Dio che, fin
dalle origini, ha impresso alla vita umana
un naturale orientamento, sulla base di
valori etici affidati ad ogni persona e presenti in tutti i popoli, seppure non sempre
ugualmente compresi e condivisi.
Tra i vari valori morali gli Osa mettono in
evidenza il rispetto del creato, la giustizia,
la pace; il valore della vita umana come
dono e impegno; le scelte nel rispetto del
bene comune per una “convivenza civile”
che nello specifico dell’età racchiudono i
valori del vivere insieme.
Regole e comandamenti, letti alla luce
del comandamento dell’amore, aprono la
via alle beatitudini evangeliche, vera libertà
umana.
L’alunno è alla ricerca di esprimersi con
una sua responsabilità, con scelte che rendono più personale e qualificata la sua crescita, dove il rispetto delle cose e la ricerca
del bene degli altri vengono intesi come
espressioni importanti della sua vita.
2. Gli Obiettivi formativi e le Unità di
apprendimento
La messa a punto dei Piani di studio
personalizzati richiede da parte degli Insegnanti di religione cattolica (Idr) l’attenzione
all’orizzonte educativo della scuola, formalmente sancito dal Pof. Per evitare frammentazioni eccessive e l’impostazione di
un’attività didattica troppo occasionale, è
senz’altro utile lasciarsi guidare da una
categoria educativa, o un motivo conduttore, per ogni anno di studio con la quale
“incontrare” gli Osa, mettendola in sequenza con gli anni che precedono o succedono. Da qui la necessità di elaborare pertinenti Obiettivi formativi (Of).
2.1. Dagli Obiettivi specifici agli
Obiettivi formativi
Parlare di Obiettivi formativi significa
43
M A T E R I A L I
entrare in maniera decisiva nel lavoro
didattico degli insegnanti, con l’attenzione
dovuta al contesto culturale e scolastico e
alla necessaria mediazione delle Ua.
Gli Of sono traguardi da raggiungere
che coniugano a livello didattico sia gli
Ogpf che gli Osa. Non si può infatti mettere
a frutto didatticamente gli Osa senza tener
presenti l’orizzonte educativo di cui sopra,
in particolare appunto gli Ogpf. Gli Of
richiedono quindi alcune attenzioni:
- si realizzano attraverso la predisposizione di compiti di apprendimento accessibili agli alunni; sono quindi legati alla
logica psicologica e didattica;
- sono formulati come traguardi chiari,
importanti e significativi da raggiungere, come risposte di qualità ai bisogni dei
destinatari;
- sono da considerare nella prospettiva
del processo di apprendimento che
richiede tempi e modi rispettosi delle
caratteristiche personali;
- sono formulati in base al principio dell’ologramma e rimandano ad altre discipline;
- sono punti di riferimento e guida per la
progettazione delle Ua.
Per la loro formulazione si mette in atto
un percorso che può partire dal basso o
dall’alto, ma che in ogni caso deve tener
conto sia degli alunni e delle loro esperienze che degli Osa e della loro formulazione:
- nel caso che la partenza sia dal basso,
cioè dalle esperienze degli alunni e dalle
loro esigenze ed interrogativi, gli Osa
andranno intesi come elementi regolatori
che intervengono sull’esperienza personale. È la partenza più adatta ai primi tre
anni della Scuola primaria, data la necessità di adeguarsi all’universo semantico
dell’alunno per cominciare a costruirvi
intorno un processo di crescita e strutturazione affettiva e cognitiva;
- nel caso che la partenza sia dall’alto,
cioè a partire dall’articolazione delle
“conoscenze” e delle “abilità” proprie degli
Osa, si tratterà poi di favorire l’adattamento all’esperienza personale degli alunni,
per una trasformazione significativa tipica
del processo educativo. È la partenza più
44
E
D O C U M E N T I
adatta al 2° biennio, dove l’emergere di
conoscenze più strutturate anche disciplinarmente richiede all’alunno di rivedere il
proprio campo semantico ed esperienziale per inserirsi progressivamente nella
cultura “adulta”. Anche in questo caso
comunque gli Of non derivano dagli Ogpf
e dagli Osa per semplice deduzione.
Gli Of sono sempre frutto di riflessione e di negoziazione da parte dell’insegnante che considera alcuni aspetti o
prospettive, vale a dire le variabili in
gioco nell’attività didattica: capacità ed
esigenze degli alunni, esigenza della
disciplina, la trasferibilità didattica in
contesto. In particolare l’insegnante, nel
caso specifico l’IdR, dovrà conoscere le
“capacità” dell’alunno in relazione alle
“conoscenze” e “abilità” specifiche dell’Irc, quindi dovrà procedere all’identificazione di Ua che daranno il via a un
percorso organico e mirato.
2.2. Dagli Obiettivi formativi alle
Unità di apprendimento
Il processo didattico dell’Irc, come quello delle altre discipline, sarà ordinato al raggiungimento degli Of, facendo leva sul passaggio dalle capacità potenziali dell’alunno,
all’acquisizione delle specifiche competenze, incrociando natura (“capacità”), cultura
(“conoscenze” e “abilità”), vita (“competenze”). Infatti, è attraverso le Ua che, sulla
base delle capacità possedute dagli alunni,
si acquisiscono conoscenze e abilità, riconoscibili nelle competenze.
Le Ua disciplinari, intese come segmenti
di attività didattiche, richiedono la formulazione di uno o più Of integrati, la precisazione delle attività didattiche da attivare e la
decisione sulle modalità di verifica. Nel
processo didattico per la formulazione di
Ua è importante infatti tener presenti tre
fasi: ideativo/progettuale, mediativo/didattica, verifica degli esiti che dovrà risultare nel
Portfolio delle competenze personali.
Le Ua possono riguardare il gruppo classe o altri tipi di raggruppamenti. A volte
M A T E R I A L I
Maestro di Tahul, Maiestas Domini, lux mundi,
particolare dell'affresco absidale di san Clemente di Tahul (Catalogna, Spagna), XI secolo.
Non è forse Lui, Gesù di Nazareth, il Cristo, la
pietra angolare di quella costruzione del sapere
religioso e culturlae che l'idr deve (per la sua funzione docente) saper insegnare (professionalità
docente)? È Lui, la persona di Gesù di Nazareth,
figlio di Maria e di Giuseppe, Figlio di Dio,
nato, morto in croce e Risorto. Gli OSA dell'IRC
lo riconoscono come il principio ologrammatico
dell'IRC, l'alfa e l'omega della storia e del sapere.
(P. Troìa)
assumono la forma del laboratorio. Sempre
richiedono dagli educatori/trici e dalle famiglie una particolare attenzione alla declinazione del Profilo esplicitato nel Pof di ciascuna istituzione scolastica, in riferimento a
quanto dettato dai Documenti nazionali.
3. Criteri metodologici per le attività
didattiche
Sull’orizzonte del “sapere religioso”, così
come delineato nei punti precedenti, per
una sintesi operativa che possa orientare
E
D O C U M E N T I
gli Idr nella progettazione delle Ua, i criteri
da privilegiare sono i seguenti:
- la valorizzazione dell’esperienza personale, sociale, culturale e religiosa dell’alunno;
- l’uso graduale dei documenti della Religione cattolica, in particolare la Bibbia, i
testi del Magistero e della tradizione cristiana, opportunamente scelti per giungere alla padronanza di abilità metodologiche e di indagine indispensabili alla comprensione del messaggio cristiano;
- l’attenzione ai segni-simboli della Religione cattolica letti come espressioni della
tradizione ebraico-cristiana, riscontrabili
nella memoria storico-artistica e culturale
italiana ed europea;
- l’incontro con testimoni della storia che
hanno saputo e sanno coniugare i valori
cristiani con la vita, offrendo esempi concreti di giustizia, rispetto, accoglienza,
integrazione sociale, impegno coerente e
responsabile, cooperazione e solidarietà;
- la conoscenza e il dialogo con altre tradizioni religiose presenti nella società multietnica e multireligiosa.
Si delinea in questo modo una costante correlazione, ossia un processo
circolare di apprendimento che va dall’apertura al senso della vita, intercettando
quindi «la vita e le sue domande», all’interpretazione religiosa (cristiana) attraverso l’incontro e il dialogo con altre confessioni religiose e/o sistemi di significato.
Questo permette un approccio al cristianesimo che supera l’astrazione dal vissuto e permette di rilevare la dimensione
religiosa (cristiana) dell’esperienza in
modo da cogliere la portata umanizzante
della “cultura” cristiana. In questo “processo circolare” il confronto con il territorio diventa indispensabile.
Le “competenze” acquisite nell’Irc contribuiscono alla compilazione del Portfolio
personale dell’allievo. Per questo potranno
e dovranno essere messe a disposizione:
prove scolastiche significative, osservazioni docente-famiglia-allievo, indicazioni di
sintesi utili all’esercizio delle funzioni proprie di questo strumento: la valutazione e
l’orientamento.
45
M A T E R I A L I
FINO ALL’ AULA
Queste “Raccomandazioni” intendono
accompagnare gli IdR in aula, dove la
loro formazione viene effettivamente
messa alla prova. Partendo dall’esperienza
di insegnamento acquisita negli anni, dal
desiderio di entrare nella riforma scolastica
in atto portando un proprio autorevole contributo, si può guardare in avanti con una
ragionevole speranza di arrivare “fino
all’aula” e tradurre nel migliore dei modi le
Indicazioni nazionali riguardanti anche l’Irc
e qui riproposte. La sottoscrizione degli
Osa appena presentati rappresenta l’atto
ufficiale di questo disponibilità.
Si tratterà di ripartire da dove eravamo
arrivati. La Sperimentazione aveva messo
in movimento persone ed energie, per un
risultato che richiede senz’altro di venire
ripensato ma che ha maturato alcune prospettive significative, di grande rilievo, dovute in particolare:
- ad un Irc aperto alla scuola che si andava
riformando;
- ad una didattica ben concentrata sia per la
coerenza dei contenuti che per modalità
pedagogiche attenta ai singoli destinatari;
- all’incontro e al dialogo con la/e cultura/e
e con le altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane e con altre religioni;
- ad una elaborazione dei testi scolastici
più mirata;
- all’incontro tra gli Idr delle diverse regioni
d’Italia.
Facendo quindi tesoro delle scelte
didattiche emerse, in particolare del principio della correlazione, dei criteri dell’essenzialità e della progressione ciclica (anche
se quest’ultimo per un’applicazione meno
rigida), si tratta ora di continuare ad operare per promuovere un Irc sempre più dentro la scuola, capace di interagire con le
altre discipline ed “educazioni” per un insegnamento che effettivamente contribuisca
a raggiungimento di quelle attese espresse
dalle “competenze” elencate dal Profilo e
sintetizzate dal raggiungimento di una felice “convivenza civile”.
E
D O C U M E N T I
Con l’attenzione di cui sopra, si possono valorizzare i risultati della Sperimentazione pubblicati nel Documento conclusivo
della sperimentazione nazionale sull’IRC,
n. 5 (2002). Le matrici progettuali stesse
possono aiutare a traghettare il rinnovamento dell’Irc che in questi anni ha imparato a misurarsi, oltre che sul “credo” cristiano, anche sulla dimensione religiosa della
cultura e della storia, con attenzione al dialogo con altre confessioni religiose e altri
sistemi di significato. Sono uno strumento
che, opportunamente adattato, può risultare utile agli Idr ed essere aiutati a saper
scegliere, a provare e a lavorare tenendo
conto sia della trattazione dei contenuti,
con attenzione a nuclei tematici essenziali
e significativi da sviluppare in forma progressiva e ciclica, sia del pluralismo culturale e religioso presente nel contesto attuale socio-culturale e quindi scolastico, nazionale, europeo ed anche locale.
In questa fase bisognerà procedere su
due piste di lavoro:
- informare bene sulla riforma in atto e
sulla ricaduta che essa ha sull’Irc;
- predisporre dei percorsi didattici
significativi.
La responsabilità dell’attività di aggiornamento è diversamente distribuita, anche
se alle Regioni, continuando una scelta che
si va consolidando, spetterà la parte più
rilevante ed operativa, con il contributo del
Servizio nazionale per l’Irc e di alcune Università a ciò deputate.
La forma dei “laboratori didattici” è sempre la
più efficace, da attivarsi in varie forme di collaborazione, con l’intento di progettare e di
sviluppare sul campo l’Irc all’interno del Pof,
nel quadro del Decreto Legislativo del 19
febbraio 2004, n 59, avendo ben presente
che la finalità dell’insegnamento sta nel contribuire in maniera decisiva perché gli alunni
abbiano «a costruirsi una vita ben riuscita,
dentro una prospettiva ricca di senso»7.
Fonte: sito web della CEI all’indirizzo: www.chiesacattolica.it/cci_new/UfficiCEI/AllegatiArt/30/RACC_Prim.doc
7
Comunicato stampa CEI-MIUR del 23 ottobre 2003, in occasione della sottoscrizione degli “Obiettivi specifici” per l’insegnamento della religione cattolica nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria.
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In quarta di copertina: Natività, affreschi della Badia di San Nicola, Castro
dei Volsci (Frosinone), XII secolo.
Essenzialità e semplicità caratterizzano la narrazione pittorica di questo affresco. Sono le qualità di molta narrazione iconografica popolare che ha vivificato l'immaginario religioso delle donne e degli uomini delle comunità cristiane dei paesi.
L'anonimo pittore del XII secolo conosce gli elementi caratteristici della teologia delle icone della natività. Ma qui tutto è semplificato. Lo spazio iconografico di Maria è pari a quello di Giuseppe con il bambino. In un nimbo - quasi
un letto - la sua figura si adagia e si espande in tutta la sua lunghezza, nell'atteggiamento della giovane madre da poco partoriente. La sua figura è primaria nella figurazione emozionale della gente. Il suo sguardo è angolato verso
tutta la scena, ma mirabilmente orientato verso le figure in alto sulla destra.
Il bambino è lì, quasi 'imbalsamato' in quel modo antico di 'impupazzare' i
neonati: nascita e morte sono in quella stessa mangiatoia e in quello stesso
sepolcro. Un fascio di raggi di luce investono dall'alto il suo capo e ne focalizzano la centralità Questo fascio di raggi di luce è l'unico elemento rettilineo di
tutto l'affresco e proprio per questo focalizza l'attenzione e orienta verso il personaggio principale.
Giuseppe è lì, con quel 'modulo iconografico' che lo caratterizza nell'arte occidentale: la mano sotto la guancia, come a prendere fiato, lo sguardo verso il
bambino, come un artigiano anziano e padre che contempla suo figlio dopo
una giornata di lavoro.
Una linea curva in alto fa da grotta, ma anche da distinzione tra il mistero
che ora si è 'mondanizzato' e 'incarnato' e gli angeli e i santi che nel riquadro
in alto a destra contemplano e orientano il loro sguardo verso il bambino.
Ma la dimensione terrestre di questo mistero è quella linea di color-terra che sostiene l'evento e che sulla destra sale in alto a configurare di contorni della grotta.
Le aureole di tutti i personaggi inscrivono questi volti adoranti con quegli
occhi puntiformi e fissi nel Mistero di quel bambino. Anche gli occhi teneri e
'adoranti' del bue e dell'asinello, i più vicini a quelli del bambino.
La scelta di questo affresco è un invito a riscoprire intorno a noi la memoria
cristiana che si è configurata in documenti iconografici che hanno costituito
un teatro ludico della rappresentazione biblica e della fede dei cristiani. Che
oggi continua anche nella rappresentazione che ogni bambino farà del suo
'Natale di Gesù' e in quei presepi che lo impegnano tanto fino all'Epifania. La
semplicità di questa narrazione avvicina il bambino al Mistero e glielo 'umanizza' come un evento familiare. Perché questo bambino è il figlio di tutti
coloro che riconoscono Dio come Padre. Quel fratello che ogni anno liturgicamente rinasce neonato per donarsi come il nostro piccolo grande fratello.
(P. Troìa)
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