Religione Scuola Città
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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma R I V I S TA PE R L A S C U O L A D E L L A D I O C E S I D I RO M A Editoriale: Vivere la riforma L’educazione formale, informale, non formale nel processo formativo dell’alunno La centralità della persona nella scuola L’IRC nella Scuola Cattolica L’IRC dentro la scuola della riforma L’adeguamento dell’Oratorio di don Bosco alle leggi dello Stato Sabaudo The Truman Show di Peter Weir Le opere e i giorni Incontri romani Notizie legali e sindacali 3/2004 Religione Scuola Città Religione Scuola Città RIVISTA PER LA SCUOLA DELLA DIOCESI DI ROMA Anno X (2004) n. 3/4 Sommario EDITORIALE Manlio Asta Editoriale: Vivere la riforma 3 Direttore responsabile Angelo Zema Direttore Gregoria Cannarozzo L’educazione formale, informale, non formale nel processo formativo dell’alunno Manlio Asta Consiglio di redazione Carmine Brienza Giuseppe Iovino Filippo Morlacchi Alessandro Tarzia Grazia Palma Testa Pasquale Troìa Registrazione Tribunale di Roma Autorizzazione n. 77 del 18.02.1995 Progetto grafico, impaginazione e foto di copertina Studio PardiniApostoliMaggi www.pardiniapostolimaggi.it Stampa Tipolitografia Trullo S.r.l. Via Idrovore della Magliana, 173 00148 Roma www.tipolitografiatrullo.it Contributo per le spese di stampa e 15,00 in c.c.p. n. 30214001 intestato a: Amministrazione Ufficio Catechistico Vicariato di Roma indicare la causale del versamento Direzione, redazione e amministrazione Piazza S. Giovanni in Laterano, 6/a 00184 ROMA Sira Serenella Macchietti La centralità della persona nella scuola. Il contributo della religione cattolica 4 9 Carmine Brienza L’IRC nella scuola cattolica 14 Filippo Morlacchi L’IRC dentro la Scuola della Riforma 16 TUTTA UN’ALTRA STORIA Federico Corrubolo L’adeguamento dell’Oratorio di don Bosco alle leggi dello Stato Sabaudo (1848-1863) 20 RIPRESE & DETTAGLI Andrea Monda The Truman Show di Peter Weir 23 LE OPERE E I GIORNI Pasquale Troìa Globalizzazione, comunicazione e Tradizione - Per un codice deontologico degli insegnanti - Explora, Il museo dei bambini di Roma - Rapporto Jòvens 2000 y Religion - Grammatiche della creazione 26 INCONTRI ROMANI Roberto Rossi Iniziazione alla meditazione profonda 32 NOTIZIE LEGALI E SINDACALI Angelo Zappelli L’organico di diritto dell’IRC - Contratti individuali annuali 2004/05 - In rualo dopo il Concorso i primi docenti di Religione 34 MATERIALI E DOCUMENTI CEI - Servizio Nazionale “Raccomandazioni” per il contributo specifico per l’IRC dell’IRC alla elaborazione dei piani di studio personalizzati nella scuola primaria 36 Editoriale I Il presente numero di RSC, dedicato alle tematiche della riforma della scuola, offre - insieme ad altri contributi - una sintesi dell’intervento della prof. Cannarozzo al Convegno dei Docenti Cattolici della Diocesi di Roma svoltosi presso il santuario del Divino Amore l’11 settembre scorso, dedicato all’educazione formale, non formale e informale. Le tre categorie sono presenti nel PECUP, nel momento in cui si afferma che la scuola, per raggiungere le sue finalità educative, deve saper valorizzare anche le conoscenze e abilità che lo studente acquisisce negli altri ambienti in cui cresce. Emerge quindi la chiara affermazione che la scuola sa di non essere l’unico luogo educativo e istruttivo e si impegna a comportarsi di conseguenza. Mi sembra interessante far notare che le tre categorie corrispondono senza alcuna forzatura - alle tre parole della nostra testata: “R” come “religione”, vita vissuta in un preciso orizzonte di senso, e quindi educazione intenzionale non scolastica nei percorsi ecclesiastici di formazione; “S” come “scuola”: il sistema formale per definizione, che pare davvero avviato a recuperare la sua originaria funzione educativa; “C” come “città”, l’ambiente che educa anche quando non ne è pienamente consapevole. Voglio dire che la prospettiva dell’alleanza educativa, per leggere il fatto nell’ottica scolastica, e della pastorale integrata, per leggerlo in ottica ecclesiale, è sempre stato lo scenario in cui abbiamo cercato di elaborare la nostra proposta. Questa sottolineatura di continuità può motivarci ad accogliere alcune indicazioni che il Cardinale Vicario ci ha offerto nel programma pastorale diocesano: • promuovere e sostenere la consapevolezza dell’insostituibile ruolo educativo della famiglia; • realizzare una sempre maggiore integrazione dell’azione educativa della scuola nella pastorale degli adolescenti, valorizzando la categoria pedagogica del “progetto di vita”; • sviluppare iniziative concrete di aiuto verso i genitori che si trovano in difficoltà educative nei confronti dei figli. Infine, una parola sulla personalizzazione, di cui si occupa espressamente l’articolo della prof. Macchietti, per ricordare che - tra le varie prospettive che questa scelta educativa coltiva - una sopra tutte le altre deve stare a cuore a noi cattolici, impegnati a preoccuparci degli ultimi e dei poveri: quella per cui attraverso l’elaborazione di itinerari personalizzati possiamo combattere e ridurre i troppi insuccessi scolastici, non attraverso la gherminella della promozione assicurata, ma grazie al raggiungimento di un effettivo successo formativo. Manlio Asta Vivere la riforma 3 L’educazione formale, informale, non formale nel processo formativo dell’alunno di Gregoria Cannarozzo 1. Circolarità del sistema formale, informaIn terzo luogo, perché nella società contemporale, non formale nel processo di istruzione e nea la famiglia non solo è entrata in crisi più delle formazione - Parlare di integrazione fra il sistealtre istituzioni formative, ma è anche cambiata ma formale (la scuola), il sistema informale (la senz’altro più della scuola. Basta pensare alla presfamiglia, il volontariato, le associazioni, il lavoro sione sempre crescente del lavoro (orari, ansia di e tutto ciò che interviene nella educazione non perderlo, competitività esasperante), che sottrae formalizzata della persona) e il sistema non fortempi e persone (lavoro femminile) alle risorse male (internet, i media, l’opinione comune…) familiari, e alla difficoltà che incontrano i genitonei processi di istruziori a mantenere il prone e formazione signifiprio ruolo etico-educaca ragionare sulle tivo e culturale-educatiL’articolo riproduce in forma sintetica la migliori pratiche per vo. Dato che i figli relazione che la prof. Cannarozzo, memrealizzare percorsi di imparano comportabro del gruppo di ricerca sulla Riforma e apprendimento/insementi e valori e svilupdocente all’Università di Bergamo, ha gnamento unitari e pano affettività sia tenuto al Convegno dei Docenti Cattolici condivisi da tutti i sogattraverso l’amore e la di Roma presso il Santuario del Divino getti con compiti educura che ricevono dai cativi. Almeno per tre genitori, sia dall’esemAmore (11 settembre 2004). Vi si mette motivi. pio e dalla pratica delle in luce come la Riforma, ispirandosi larIn primo luogo, perché regole con cui si congamente alla tradizione personalista, non esiste più la situafrontano, il venir meno metta al centro del suo progetto l’interazione di un tempo, o anche il semplice zione fra i diversi sistemi di educazione, quella in cui la scuola affievolirsi della presenza la quale risulta impossibile conseistruiva e la famiglia senza educativa della educava. famiglia producono l’eguire l’obiettivo complessivo: educare non In secondo luogo, persaurirsi di una ricchezza solo a sapere, ma ad essere, e proseguire ché le conoscenze di cui tutta da recuperare. tale formazione per l’arco di tutta la vita. noi e i nostri ragazzi Diventare co-protagodisponiamo e con cui ci nisti e assumere la confrontiamo ogni giorno, nella maggior parte dei responsabilità dei processi educativi e formativi casi non sono conoscenze che contribuiscono a per ripristinare il valore dell’educare, istruire e creare un progetto di vita, snodo fondamentale per formare è una vera e propria sfida, che, per essere l’educazione, l’istruzione e la formazione della peraccolta, può avvalersi del nuovo assetto istituziosona, ma sono conoscenze che si sviluppano a livelnale e ordinamentale delineatosi nel nostro sistelo frammentario ed epidermico, consumate in fretma scolastico a partire dall’ultimo scorcio del ta, mediatiche. Fenomeno, questo, che non può secolo scorso: decentramento amministrativo essere affrontato unicamente dalla scuola e, tanto (Legge 59/97), autonomia delle istituzioni scolameno, da una scuola che si limiti a “trasmettere” stiche (Dpr. 275/99), istituzione del servizio pubconoscenze, non di rado basandosi su metodologie blico integrato di scuole statali e non statali e strutture educative abbastanza fragili. (Legge 62/2000), novellato Titolo V della Costi4 Giorgio De Chirico (1888-1978), Archeologi (1968), olio su tela, 84,5x64,5. Roma, Fondazione Giorgio e Isa De Chirico. La scuola non è archeologia del sapere. Né i nostri studenti archivi di passato o musei di statue nozionistiche. Il passato del sapere è il futuro che era cominciato da alcuni secoli e decenni. E non sarà l'assecondarci o il reciproco consolarsi che inventerà il futuro, ma nuove avventure, a volte solitarie, a volte condivise. Ad un certo costo. Nonostante tutto. Come ogni novum che genera cultura nella vita delle persone. L'unica consolazione possibile oggi nella scuola - è quella di inventare il passato del domani: oggi per noi futuro di speranza. (P. Troìa) tuzione (Legge 3 del 18/10/2001, nuovo rapporto centro-periferia). Tale assetto si caratterizza, innanzi tutto, per il suo generale improntarsi al principio costituzionale di sussidiarietà1 che esige la cooperazione di scuole, famiglie, enti locali-territoriali e stato2 al fine di costruire il processo educativo e formativo di ciascuno studente. Secondo la sussidiarietà verticale è l’ente amministrativo più vicino al cittadino a rispondere per primo ai suoi bisogni. Secondo la sussidiarietà orizzontale ciò che può essere fatto, via via, dalle ‘formazioni sociali’ (famiglia, associazioni, volontariato ecc.) non è opportuno sia avocato dalle altre istituzioni amministrative, enti territorialilocali, ecc. In particolare, la famiglia è la prima ‘formazione sociale’ con cui la scuola deve inter- loquire per realizzare la autonomia funzionale (Dpr. 275/99 cit., art. 1) di cui è dotata3. Il principio di sussidiarietà non è nuovo nella nostra tradizione culturale. È stato, infatti, tema costante nelle encicliche papali da Leone XIII, a Pio XI, a Giovanni XXIII, a Giovanni Paolo II. Nella Quadragesimo anno di Pio XI leggiamo che «è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’ industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori si può fare». Tuttavia, nel passaggio da un sistema burocratico e statalista (tutto si decide al centro) a un sistema poliarchico (condivisione delle scelte), per evitare i rischi della frammentazione (ognuno regione fa 1 Art. 118, legge 3 del 18 ottobre 2001; cfr. Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle attività educative nelle Scuole dell’Infanzia, http://www.istruzione.it/news/2002/allegati/sperimentazione/raccomandazioni_infanzia.pdf; cfr anche in: http://www.cisem.it. 2 G. BERTAGNA, Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella scuola secondaria di I grado, Inserto, Scuola e Didattica, n. 10, La Scuola, Brescia 2003, pp. 2ss.; anche in http://www.istruzione.it/normativa/2003/allegati/indicazioni_media_05_03.pdf. 3 Significa che le istituzioni scolastiche sono corpi sociali dotati di autonomia finanziaria, didattica e amministrativa proprio per realizzare meglio quel servizio alla persona che è la scuola. 5 come vuole) e della polarizzazione (scuole di serie A e di serie B sul territorio locale e nazionale), non basta la sussidiarietà per assicurare a ogni cittadino della Repubblica, in orizzontale e in verticale, giustizia in educazione, ma occorre anche garantire equità. E per concretizzare sussidiarietà ed equità è necessaria la solidarietà fra tutti i soggetti. Ma per avere sussidiarietà, equità e solidarietà è indispensabile l’assunzione personale e sociale del principio di responsabilità. 2. «L’educazione ci attende ogni giorno» (don Giussani) - Quelle fino qui analizzate sono questioni che hanno il loro precedente storico in due documenti significativi del passato: il rapporto Faure del 1972 e il rapporto Unesco del 1996. Il primo già affermava testualmente che: “la nostra epoca è segnata da una domanda di educazione di un’ampiezza e di un vigore senza precedenti. Tutto fa presagire che questa corrente andrà crescendo. A noi sembra irreversibile”. Inoltre, sottolineava la necessità di riaffermare la valenza educativa della scuola insieme all’urgenza di rimotivarla a educare nella società complessa e ribadiva che uno dei pilastri dell’educazione è educare ad essere, cioè a passare da un’idea di educazione come semplice trasmissione di conoscenze e abilità a una idea di educazione che metta al centro la persona nella sua interezza. Quindi, era già posto, nel 1972, il problema di passare dal sapere, saper fare e saper essere (tutto l’apprendimento è incardinato sull’aspetto cognitivo) al sapere, fare ed essere (la qualità dell’essere prende il posto della conoscenza come valore a sé stante). Ed era altrettanto posto il principio per cui ciascuna persona deve avere la possibilità di apprendere per tutto l’arco della vita. Così, in fatto di educazione, era già messa in conto l’integrazione fra sistema formale, informale, non formale. Successivamente, nel 1996, J. Delors (Nell’educazione un tesoro. Rapporto Unesco sull’educazione per il XXI secolo, Armando, Roma 1996) sosteneva che: «di fronte alle molteplici sfide del futuro l’educazione appare come una carta vincente indispensabile per permettere all’umanità di progredire verso ideali di pace, di libertà, di giustizia sociale… occorre allora assumere un atteggiamento non pregiudizialmente negativo di fronte alle molte e complesse proposte di riforma 6 e di trasformazione che stanno radicalmente modificando la struttura base di ciò che chiamiamo scuola». Rileggendo le parole dei due documenti non si può certo ascrivere al caso il fatto che le date del 1972 e del 1996 richiamino due radicali trasformazioni nell’ambito della produzione della conoscenza. La prima è collegata alla introduzione del computer e l’altra alla introduzione di internet: due strumenti che hanno modificato e modificano completamente la qualità, ed anche la quantità, dell’impegno richiesto a chi lavora nella scuola e negli altri sistemi di educazione e di formazione dei ragazzi. Consapevoli del rischio che, a fronte di una rete di conoscenze che tende ad investirci, non esista una rete organizzativa (scuola, famiglia ed extrascuola) in grado di cooperare per la realizzazione dei processi formativi e, non di meno, per cogliere le criticità di una comunicazione, informazione, relazione sempre più spesso, e troppo, virtuali. Occorre poi tener conto di altre problematiche non sono scisse da quelle fin qui discusse. Ad esempio: 1. entro il 2010, come ci dice l’Europa, dovremo ridurre dal 29 % al 10 % la percentuale dei nostri diciottenni che, oggi, escono dal sistema di istruzione e di formazione senza neanche una qualifica; 2. la necessità di reimpostare la questione della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e della valutazione e autovalutazione del sistema scuola; 3. il problema della inter-dipendenza dei fenomeni, per esempio le conoscenze, l’ambiente e l’integrazione delle diversità culturali; 4. la necessità, e urgenza, di imparare a cambiare. 3. Riforma e circolarità fra sistema formale, informale, non formale - La personalizzazione del processo di apprendimento/insegnamento, la rendicontazione del lavoro svolto e la flessibilità organizzativa sono alcune delle più significative strategie che la riforma (Legge 53/2003, D.lvo 59/2004 e documenti allegati, A, B, C, D) individua per integrare il sistema formale, informale, non formale. Innanzi tutto, la personalizzazione: «personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare le capacità e le competenze personali di ciascu- Il tempo e i tempi della scuola non sono soltanto quelli scanditi da una campanella o dall'impazienza degli studenti. Sono anche quelli che intorno alla scuola (il territorio, la città, la nazione, l'Europa, il mondo) ritmano con le azioni dei loro genitori e misurano il tempo della cultura o sono da essi misurati (più raramente). L'orologio della scuola segna le ore della giornata ma anche le giornate della storia scolastica di ogni studente, come di ogni protagonista della scuola. Qui l'orologio è in alto alle spalle dei bambini: (forse per non distrarli). Ma l'orologio della storia (se la storia si fa misurare da un orologio degli uomini soltanto) andrebbe posto come un grande abside di fronte agli studenti, perché tutti viaggiamo verso quel tempo che l'orologio ancora non misura ma che saranno questi studenti a misurare, configurare, ricreare, modificare, costruire, programmare, trasfigurare, vivere e personalizzare. È ancora a tutto questo che tende la scuola di oggi? Chi è la scuola di oggi! Il Piano dell'offerta formativa sembra codificare un processo, tentando di personalizzare, di offrire e di formare. Che tutto non sia un obbligo burocratico, ma un percorso formativo comune e condiviso. Perché è sempre la coeducazione che educa come è sempre lo studio professionale del docente che professionalizza il suo insegnare e pone qualche garanzia alla sua efficacia ed efficienza di professionista della formazione integrale dello studente, cittadino della sua storia nazionale, europea e mondiale. È solo per caso che l'orologio capita all'intersecarsi di due assi a croce. Ma su questo si potrebbe molto analogare. (P. Troìa) 7 no; dare a ciascuno il proprio che è unico e irripetibile; valorizzare le identità personali, non svilirle, ma considerarle la condizione per un dialogo fecondo con altre identità che possono, così, perfezionarsi a vicenda»4. Secondo questa lettura, il processo educativo e formativo non può certo essere pensato come un processo di adattamento della persona a qualcosa che viene data uguale a tutti. Non c’è peggiore ingiustizia del pensare di fare giustizia dando l’uguale a situazioni differenti, leggiamo in don Milani. Ecco che, allora, le conoscenze e le abilità elencate nelle Indicazioni nazionali, livelli essenziali di prestazione (LEP) del servizio che lo Stato stabilisce (a garanzia dell’equità), art. 117, co. 2, punto m, nuovo Titolo V, e che ogni istituzione scolastica della Repubblica deve assicurare ai suoi cittadini, sono il mezzo per progettare professionalmente percorsi formativi in grado di rispondere alle capacità uniche e irripetibili di ciascuno studente, avvalorandole al massimo. Il Profilo educativo, culturale e professionale in uscita dal I e dal II ciclo (quest’ultimo in bozza), primo documento, prescrittivo, della Riforma, preceduto dalla legge 53, ma introdotto dal D.lvo 59/2004 (all. D), mette bene in evidenza che, invece, il fine dell’educazione è la persona dello studente e la maturazione globale migliore possibile delle sue capacità, nei contesti, nei processi e nelle relazione date. Egli è riconosciuto competente «quando, facendo ricorso a tutte le capacità di cui dispone, utilizza le conoscenze e le abilità apprese per….conferire senso alla vita… e … possiede gli strumenti di giudizio sufficienti per valutare se stesso, le proprie azioni, i fatti e i comportamenti individuali, umani e sociali degli altri, alla luce di parametri derivati dai grandi valori spirituali che ispirano la Convivenza civile»5. La educazione alla Convivenza civile, nelle sue sei dimensioni, e il Profilo danno, quindi, la motivazione per creare inter-connessioni, inter-relazioni e inter-azioni fra sistema formale, informale e non formale (sussidiarietà). La educazione alla Convivenza civile non è una ‘materia’ in più e neanche può essere delegata a un docente che la insegni per conto suo, ma è in ogni disciplina ed è compito di tutti 4 5 6 8 (scuola, famiglia, extrascuola) farsene carico. Il Piano dell’offerta formativa (POF) di ciascuna istituzione scolastica diventa, allora, centro di convergenza e terreno del confronto tra formale, informale e non formale. Profilo e Indicazioni nazionali, anch’esse prescrittive, danno la direzione per realizzare, attraverso ‘il che cosa’ (conoscenze e abilità), il ‘chi’ è lecito attendersi, da parte di genitori e insegnanti, che sia lo studente, a 14 e a 18 anni, dopo l’esercizio del diritto dovere sociale e civile a 12 anni di istruzione di formazione. Attraverso le Unità di apprendimento, progettate, in itinere, dalle équipe pedagogiche coordinate dal tutor e inserite nel Piano di studio personalizzato di ciascun gruppo classe, il Profilo e ‘gli obiettivi generali dei processi formativi e gli obiettivi specifici di apprendimento’ (art. 8 del Dpr. 275/99) si trasformeranno in ‘obiettivi formativi’ (art. 13, Dpr. cit.) e, quindi, in competenze riconosciute come tali da ciascuno studente e dai suoi genitori. Sempre rammentando, da un lato, che gli obiettivi specifici disciplinari richiamano continuamente quelli di educazione alla Convivenza civile (solidarietà e reciprocità umana e sociale fra i tre sistemi), e viceversa, e, dall’altro, che non bisogna mai lasciare spazio, nella progettazione, a separazioni organizzative e didattiche né a successioni temporali fra organizzazione e didattica. Per esempio, garantendo nella Offerta Formativa dell’orario la sua articolazione in obbligatorio (27 ore), che assicura i livelli essenziali di prestazione del servizio (nuovo Titolo V della Costituzione) e in opzionale-facoltativo (fino a più 3 e fino a più 6, a seconda del grado di scuola) , che garantisce la libertà di scelta educativa dei genitori (Legge 59/97, art. 21 e artt. 2, 29 e 30 della Costituzione): flessibilità. Il percorso di apprendimento/insegnamento sarà documentato (accountability) nel Portfolio di ogni allievo grazie all’intreccio narrativo delle due sezioni dell’orientamento e della valutazione ed anche grazie alla cooperazione dei genitori. Raccomandazioni, cit. Cfr. D.lvo. 59/2004, all. D (Profilo educativo, culturale e professionale): http://www.istruzione.it/prehome/comunicati/2004/allegati/all_d.pdf. All’orario obbligatorio e opzionale facoltativo si aggiunge il tempo eventualmente dedicato alla mensa. La centralità della persona nella scuola. Il contributo della religione cattolica di Sira Serenella Macchietti 1. Ripensare la scuola - Nell’ultimo trentennio prio sé, in quella della conquista della civiltà e del Novecento si sono affermati vari slogans, che della cultura e della loro produzione, in quella hanno accentuato e sottolineato alcuni caratteri etico morale, che ha come criterio ultimo e come della scuola enfatizzandoli, spesso a scapito di fondamento il valore e la dignità di ogni soggetto altri. Si è parlato di “scuola dell’istruzione”, di umano, in quella della socializzazione e in quella “scuola dell’apprendimento”, di “scuola della della crescita della coscienza religiosa. ragione” e più raramente di “scuola di cultura” e di “scuola di piena educazione” e quindi di scuo2. La scuola per la persona - Nella prospettiva la “per la persona”. della pedagogia personalista «la persona, non il L’affermazione e la diffusione di questi slogans programma; la persona, non l’orario scolastico; la non ha favorito la comprensione del “sistema persona, non le tecniche, costituisce l’insostituibiscuola” e quindi la conle ricchezza che la scuoquista di chiarezza di la si dà da amministraidee intorno alla natura, re».1 La prof. Sira Serenella Macchietti, docente Infatti, soltanto il all’identità e alla specirispetto del valore della ficità di questa istituziodi Pedagogia presso l’Università di Siena e persona può consentire ne, che è chiamata a l’Università Lateranense, presenta un conil costante accrescimenconfigurarsi come una tributo in cui la recuperata centralità della to dell’organismo sociacomunità, in cui l’aziopersona, tante volte affermata nell’attuale le, la continuità e il ne educativa è legata progetto di riforma scolastica, viene riconricambio, la trasmissioall’interazione di un dotta alla sua genuina matrice filosoficone, il potenziamento insieme di elementi (la delle conoscenze, l’afproposta della cultura, pedagogica, ossia il pensiero personalistico fermazione e la diffusiol’intenzionalità, la condi matrice cristiana. Diventa chiaro, in tal ne della cultura e delle tinuità, la professionamodo, che il contributo che l’IRC può offrivirtù che nobilitano l’ulità, la corresponsabire alla scuola è tutt’altro che episodico o manità. lità, la relazionalità, marginale: l’IdR è da sempre cosciente di In questa prospettiva l’inter-relazionalità, la un ruolo educativo forte, che va ben oltre lo occorre ribadire il doveprogettualità, la verifistretto ambito disciplinare. re della scuola di concabilità, la valutazione e sentire ad ognuno di la “validazione”). raggiungere il massimo Per comprendere il possibile di cultura e di educazione, di costruire la significato della scuola tuttavia giova avere chiapropria personalità e di tener presente il fermenrezza di idee sull’educazione, vista sia come proto culturale dei nostri giorni e i contributi offerti cesso che come esito, non dimenticando che è il dalle scienze umane e in particolare da quelle delsuo soggetto che ne determina le finalità. l’educazione. Il processo educativo consente all’essere umano di E poiché la scuola è oggi chiamata a rispondere farsi personalità e si muove almeno su queste alle sfide della multiculturalità il ritorno alla perdirezioni: in quella della maturazione della prosona e alla cultura educativa è una condizione pria identità, del senso del proprio io e del pro1 Cfr. S.S. MACCHIETTI, Pedagogia e teoria della scuola, in Scuola Italiana Moderna, n. 8, 15 gennaio 1984, pag. 13. Cfr. anche di A. AGAZZI, Teoria e pedagogia della scuola nel mondo moderno, La Scuola, Brescia 1958, pagg. 11-47. 9 indispensabile per passare dalla cultura dell’indifferenza alla convivialità delle differenze, cioè per educare al rispetto di sé e degli altri, della propria e dell’altrui cultura, alla comprensione, all’accoglienza, alla condivisione, alla solidarietà etica, intellettuale ed operativa, al senso della comunità, al gusto dell’impegno, alla responsabilità. Alla scuola si chiede pertanto di riconoscere potenzialità e risorse e di valorizzarle, di aiutare l’alunno a prendere coscienza di sé, delle proprie esigenze e dei propri bisogni ed a soddisfarli, di incoraggiarlo a vivere da protagonista il processo educativo. Da ciò emerge la centralità dell’alunno nella scuola che è chiamata a porsi al servizio della sua educazione e quindi a conoscerlo ed a conoscere la situazione in cui si educa, gli elementi che influenzano il processo educativo ed a testimoniare nei confronti di ciascuno capacità di accoglienza, di accettazione empatica, di premura personalizzata, perché ciascuno possa coltivare quella disponibilità ad apprendere che è propria di ogni uomo, con la certezza che tutti hanno il diritto di esercitare le funzioni che interagiscono nella personalità individuale e quindi di conquistare e di arricchire il patrimonio culturale che l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli. 3. Riscoprire la persona - Le considerazioni fatte sulla scuola rimandano al problema dell’educazione della persona e ribadiscono la necessità di riscoprirne il valore e di guardarla anche secondo l’ordine del cuore. L’azione educativa che si pone in questa prospettiva reclama scienza, saggezza e concretezza e non trascura nessun elemento di umanità. È attenta al corpo, alla mente e non ha paura di parlare dell’anima e all’anima, di andare oltre l’animo, oltre le emozioni, i sentimenti e oltre la stessa ragione. Soltanto a questa condizione l’educazione può essere unitaria e “piena”, integrale, anche se è chiamata a differenziarsi nei vari momenti dell’esistenza perché è coessenziale all’essere umano, di cui non può non interpretare il bisogno di cultura, di significato e di senso, la disponibilità naturale che apre all’universo delle conoscenze, della morale e della fede. 2 3 4 Proprio perché l’uomo ha bisogno di sapere chi è, dove va, a che cosa è destinato, qual è il significato della sua esistenza, l’educazione non può misconoscere il suo potere creativo in virtù del quale l’essere umano aspira a conquistare ed a definire una sua concezione della vita. Pertanto non può non essere valorizzata la nativa disponibilità dell’essere umano all’esperienza religiosa, che consente di conquistare un sentimento religioso maturo, di natura euristica, in virtù della quale si riesce a sentirsi saldi su se stessi nell’impresa che ci impegna a dare alla nostra esistenza «un significato positivo, dotato di forza espansiva, e quindi portatore di una pace dinamica, nella quale l’umanità può crescere»2. Alla ricerca di questo significato si collega la domanda di educazione morale, che rimanda alla domanda di etica. Essa, nella prospettiva della piena educazione della persona, chiede di essere intesa come educazione dell’uomo buono capace di conoscere, di apprezzare, di vivere e di condividere, di conquistare le virtù, andando oltre il relativismo e il rischio di un fondamentalismo giuridico, che induce a sacralizzare il diritto, che può prendere il posto dell’etica e della coscienza. 4. Personalizzare l’azione educativa - Nella prospettiva della pedagogia della persona non si legittima una scuola che prenda di mira solo ed esclusivamente gli aspetti puramente formali relativi alle diverse discipline e le potenzialità cognitive dell’essere umano, senza preoccuparsi di sollecitare il gusto della scoperta, l’amore per la riflessione, per i segreti colloqui con se stessi, la ricerca dei significati e il bisogno di andare oltre. Emerge pertanto l’importanza del docente-educatore, il quale è «colui che accompagna, incoraggia, consiglia, e non solo il colto intellettuale o il professionista competente che dispensa conoscenza»3. A questo educatore si chiede di saper personalizzare l’azione educativa e di predisporre appositi itinerari di apprendimento «con specifico riguardo alla storia personale e alla valorizzazione dei talenti unici e irripetibili di ciascuno». Può essere opportuno, a questo proposito, ricordare la lezione di Victor García Hoz, autore di un imponente trattato sull’educazione personalizzata4, Cfr. M. MENCARELLI, Creatività, La Scuola, Brescia 1976, pag. 114. G. CHIOSSO, Teorie dell’educazione e della formazione, Mondadori Università, Milano 2004, pag. 142. Cfr. V. GARCÍA HOZ, Educazione personalizzata: individualizzazione e socializzazione nell’insegnamento, Le Monnier, Firenze 1981; ID. et ALII, Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palombo, Palermo 1997 (20023). 10 il quale «parte dal principio che all’intrinseca unità della vita umana (l’uomo sperimenta se stesso come un tutto integrale di intelligenza, volontà, apertura all’altro) debba corrispondere, anche sul piano dell’intervento educativo, un’unità di intenti, per cui gli obiettivi particolari di ogni atto educativo convergono verso il medesimo fine. Allo sviluppo dell’intelligenza (cui sono destinati gli obiettivi di apprendimento) si devono perciò affiancare altri obiettivi, come quelli di sviluppo (o attitudinali) e di valore (o etici)»5. L’organizzazione di questi obiettivi e il fatto che possono essere conseguiti, realizzando esperienze interdipendenti (cognitive, emotive, estetiche, religiose), possono consentire di superare il rischio della frammentarietà e di conquistare conoscenze che conferiscono significato alle nozioni apprese e che permettono al soggetto di costruire un sapere proprio. L’educazione personalizzata nella programmazione dell’apprendimento chiede di conciliare «le esigenze di conoscenza comune e di riconoscere il giusto spazio alle aspettative personali. Ciò è possibile, nella pratica scolastica, se ci si avvale di due tipologie di obiettivi: obiettivi comuni e obiettivi individuali». «Dall’intersecarsi degli “obiettivi comuni” e degli “obiettivi individuali” scaturiscono gli itinerari di apprendimento “personalizzati”, cioè coerenti con le capacità, le vocazioni e le aspettative degli allievi»6. 5. La “Riforma Moratti” per favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana - I traguardi formativi proposti dalla Legge 53/20037 mirano alla promozione integrale della persona umana, alla quale si riconosce il diritto di apprendere durante tutto l’arco della vita, per assicurare «a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro»8. Le precisazioni relative alle finalità dei cicli e in particolare la proposta dei Profili degli studenti e la richiesta della personalizzazione dei piani educativi e di studio, del docente-coordinatore-tutor e dell’elaborazione del portfolio si collocano in un rapporto di coerenza con l’affermazione della centralità della persona nella scuola. In particolare, in rapporto a quanto si afferma nella citata Legge 53/2003, si chiede di promuovere «il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea»9. In questa prospettiva la proposta del “Profilo” può essere considerata «un modo concreto per dare attuazione alla centralità dell’alunno nella scuola riformata e per esplicitare l’antropologia che sottostà al progetto educativo»10 di questa istituzione. Inoltre può essere vista come una testimonianza della premura per lo studente, infatti questa proposta sembra dimostrare che le finalità della scuola assumono significato quando, egli, vivendo e realizzando il suo processo formativo, può raggiungere gli obiettivi che convergono in questi traguardi. Alla centralità della persona si collega l’attenzione per le scelte educative delle famiglie e per le comunità, quindi per i mondi vitali, per la cultura che essi possiedono e producono e per i valori che determinano la loro identità. Nella valorizzazione della persona e nel rispetto del suo diritto alla piena educazione trovano la loro legittimazione l’educazione morale e religiosa. Il richiamo all’impegno personale, alla differenza tra il bene e il male, alla capacità di sapersi orientare sembra testimoniare una rinnovata attenzione per il senso dell’educare e per la natura culturale ed educativa dell’istituzione scolastica, alla quale si chiede di riconoscere potenzialità e risorse e di valorizzarle, di aiutare l’alunno a prendere coscienza di sé ed a costruire il suo progetto di vita. Cfr. G. CHIOSSO, Teorie dell’educazione e della formazione, cit., pag. 143. Ib., pagg. 144-145. 7 Si può leggere il testo completo in: http://www.istruzione.it/normativa/2004/legge53.shtml. 8 Cfr. Legge Delega del Ministro Moratti, Art. 2, comma 1.a. 9 Art. 2, comma 1.b. 10 Cfr. S.S. MACCHIETTI, “Favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana”…: sottolineature e domande, in «Il Nodo - Scuole in rete», n. 24, 2 gennaio 2004, pag. 37. 5 6 11 6. L’IRC per la crescita qualitativa della scuola L’IRC, proposto in seguito al cosiddetto “Secondo Concordato”, inizialmente si è configurato come un insegnamento “alternativo” per la sua anima personalista e per la visione dell’uomo, dell’educazione e della scuola che testimoniava, per le finalità che intendeva conseguire, per l’impegno rivolto a coltivare tutta l’umanità di ogni persona. Offriva infatti una “parola” da vivere e da proporre, una cultura da far crescere, un orizzonte aperto cui tendere. La Chiesa non si limitava a presentare “programmi”: la proposta dell’IRC infatti si collocava in un progetto globale, unitario, differenziato, articolato, elaborato nel corso di un biennio, secondo un’unica sintassi, posto su un’unica base, rivolto al conseguimento di un’unica precisa finalità, in cui erano chiamati a convergere ed a confluire tutti gli obiettivi, i traguardi a breve, medio e lungo termine. Si trattava di una proposta che trovava la sua ragione di essere nella volontà di soddisfare i bisogni psicologici di ogni persona (pensiamo ai bisogni di natura affettiva, intellettuale…) e di offrire a ciascuno la possibilità di conseguire il massimo possibile di educazione e di cultura e la conquista di elementi capaci di consentire ad ognuno di orientarsi nella ricerca di significato e di senso, attraverso il confronto con il messaggio evangelico e quindi con i valori che esso esprime. Pertanto, se riflettiamo sulla storia della scuola, che ha fatto seguito a questa proposta, possiamo agevolmente rilevare che essa ha forse contribuito a richiamare l’attenzione sulla persona, sul suo diritto all’educazione integrale e sulla “progettualità” oltre ad accrescere di cultura l’offerta formativa scolastica. 7. L’IRC oggi - Oggi l’IRC si inserisce con la sua specificità in un progetto di scuola che afferma la centralità della persona, che sollecita la promozione della disponibilità e della volontà di instaurare rapporti di collaborazione con gli altri, che mira alla formazione della coscienza personale, e che pertanto sembra aperto all’antropologia cristiana, e legittima la sua presenza. A questo insegnamento pertanto si può chiedere di sostenere e favorire la declinazione didattica dei principi e dei motivi forti della Riforma scolastica. 12 In un certo senso si può affermare che l’IRC può contribuire a facilitare una lettura chiara e corretta dei motivi antropologici che sorreggono la Riforma e in particolare di favorire la comprensione del significato della parola persona. In effetti possiamo costatare che questo termine appartiene ormai al linguaggio corrente ed è impiegato in contesti e con significati diversi, soprattutto in campo etico. Inserendosi in questo pluralismo, l’IRC propone un concetto di persona che scaturisce dalla tradizione religiosa ebraico-cristiana, tradizione nella quale sono depositate le radici stesse della concezione di persona nella cultura occidentale. Secondo questa concezione la persona è fatta a “immagine e somiglianza di Dio” (cfr Gen 1,26s); dall’incontro con il Creatore scaturisce la sua “assoluta” dignità, alla quale si collega il suo diritto all’educazione integrale, che, per realizzarsi, postula modalità educative differenziate adeguate ai singoli soggetti. Questa visione della persona può offrire agli studenti la possibilità di collocare le loro conoscenze e la cultura che conquistano con l’apprendimento dei saperi, in un orizzonte di senso, consentendo così ai beni culturali di diventare beni educativi, il cui possesso rende capaci di realizzare la propria vocazione umana. L’IRC infatti per la forza del messaggio che propone può sollecitare gli studenti alla riflessione e quindi ad impegnarsi per scoprire e conoscere e riconoscere le loro interiori risorse e le loro possibilità di rispondere agli appelli della vita. Inoltre può offrire un contributo significativo per rivalutare la valenza culturale ed educativa delle varie discipline e coltivare la disponibilità degli studenti ad aprirsi alla ricerca del significato e del valore dell’esistenza e quindi anche ai valori della fede. Se pensiamo al fatto che l’interpretazione dei “Profili” dello studente richiede confronto, condivisione, corresponsabilità e che questi documenti possono orientare nella scelta degli obiettivi formativi e nell’elaborazione dei “Piani personalizzati delle attività educative” e dei “Piani di studio personalizzati” possiamo anche pensare che l’Insegnamento della Religione Cattolica potrà offrire un contributo significativo alla riflessione sull’unitarietà e l’organicità del sapere e sulla globalità integrale dei Paul Klee (1879-1940), Maske Furcht, (1932), olio su tela, 100,4x57,1. New York, The Museum of Modern Art, Nelson A. Rockefeller Founds. Quest'opera di Paul Klee potrebbe oggi essere la metafora della scuola? Una testa immensa che coincide con il corpo, ma una fragilità di camminare al passo dei tempi (nonostante ben quattro gambe che la sostengono). Un patrimonio di esperienze di base alla quale la Riforma vorrebbe e tenta di dare corpo. Questa testacorpo sembra costituire il paradigma di uno stato d'animo (la paura) Ed il titolo dell'opera (Maske Furcht, Maschera della paura) smaschera la paura di tanti e conferma lo scetticismo di molti. Che fare? (P. Troìa) traguardi educativi. A questo proposito, giova anche tener presente che tutti gli aspetti dei “Profili” possono trovare una maggiore saldezza e motivazione, specialmente quando si parla di “identità”, “responsabilità”, “progetto di vita”, se sono inquadrati nella proposta di una visione dell’esistenza umana che faccia perno sui valori del Vangelo e sul riferimento alla tradizione cristiana. All’insegnante di Religione Cattolica si chiede pertanto di testimoniare il potenziale culturale ed educativo della sua disciplina anche agli effetti della promozione della relazionalità dialogica tra le persone e della conquista della capacità di responsabilità e di cultura degli studenti. Un corretto insegnamento della religione cattolica può inoltre educare alla documentazione oggettiva delle affermazioni di valore che si fanno, al confronto critico con altre visioni di realtà e proporre un messaggio di speranza. Queste considerazioni inducono a ricordare che il contributo dell’IRC è legato all’insegnante, al quale si domanda: • di conoscere gli alunni, la scuola, la sua disciplina (giova ricordare che questa conoscenza esige la piena consapevolezza delle ragioni della proposta dell’insegnamento della sua materia, dei contenuti e dei metodi di ricerca utilizzati per costruirli, tenendo presente che nell’IRC si incontrano molteplici scienze di natura diversa e vari lessici specifici); • di sapersi mettere in relazione, di saper comunicare, progettare, definire piani di studio personalizzati, valutare, verificare, organizzare; • di impegnarsi a crescere professionalmente (conquistando competenze professionali) e arricchire le conoscenze relative ai contenuti del proprio insegnamento (competenze disciplinari); • di sapersi costruire e ri-costruire come persona, di saper quindi crescere in umanità…; • di saper potenziare la sua spiritualità, la quale sorregge il suo essere uomo e professionista, non dimenticando mai che il fine dell’educazione cristiana è l’educazione dell’uomo, che ha come modello Cristo, anche se nella scuola dello Stato non si chiede di educare alla fede, ma alla conquista della consapevolezza del significato e del senso della cultura cattolica. 13 L’IRC nella scuola cattolica di Carmine Brienza Il Sussidio pastorale del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica: una presentazione e qualche riflessione Il primo luglio di questo anno, il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica consegna alle scuole cattoliche e alle comunità cristiane un Sussidio pastorale dal titolo: “IRC e Scuola Cattolica”. Preceduto da un intenso lavoro di preparazione (convegni,seminari di studio e gruppi di riflessione), il testo soddisfa un’attesa che non poteva più essere prolungata. In ballo, dietro l’oggetto formale dell’Insegnamento della religione cattolica, vi è la stessa identità della scuola cattolica come soggetto ecclesiale, sociale e culturale. Infatti, il dibattito in corso da anni e anni sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola statale sembrava aver coinvolto la scuola cattolica solo marginalmente. All’indomani della legge sulla parità, la scuola cattolica è potentemente richiamata a riflettere, insieme alla scuola statale, sulla sua rinnovata identità di scuola “pubblica”, ridisegnando all’interno del suo progetto educativo una presenza dell’insegnamento della religione cattolica che lo qualifichi in senso squisitamente culturale, come fiore all’occhiello della sua proposta educativa e scolastica. Il Sussidio, infatti, assume come orizzonti di riferimento, alcuni punti ormai ‘acquisiti’ dal lungo dibattito sull’IRC: • La presenza dell’Insegnamento della religione cattolica come necessario ad una scuola che voglia dirsi tale, all’insegna del servizio educativo e culturale che essa svolge. Una scuola che non affronti il problema religioso è una scuola incompleta. Si afferma il valore della cultura religiosa in sé. • Dunque l’IRC è parte integrante del curriculum scolastico e non corpo estraneo e marginale al processo scolastico stesso. 14 • La sua caratteristica di insegnamento culturale, nel quadro delle finalità proprie della scuola, è offerto a tutti, a prescindere dalla propria appartenenza religiosa. • L’IRC è distinto e complementare rispetto alla catechesi • La presenza della religione cattolica nella scuola è giustificata dal fatto che la religione cattolica è parte essenziale della cultura del popolo italiano 1. IRC e Scuola Cattolica Nella scuola cattolica, tuttavia, il discorso riguardante l’IRC va affrontato in una prospettiva più chiaramente e decisamente contestualizzata. Una scuola cattolica definisce la sua identità culturale in base al suo Progetto educativo orientato in senso cristiano. Tutta la vita della scuola e la sua attività didattica ed educativa riceve da questo progetto così caratterizzato un’impronta particolare. L’aggettivo “cattolica”, infatti, lungi dal deprimere l’essere scuola, dà ad essa il suo colore educativo e la sua “forma” culturale, pedagogica e finanche organizzativa (c’è modo e modo di rendere “sana” un’azienda, alla ricerca di un ambiente di lavoro che faccia sentire le persone valorizzate e serene!). All’interno di questo progetto educativo, che pone al centro la persona nella ricchezza di tutte le sue dimensioni, inclusa e includente la dimensione religiosa nel suo aspetto culturale e nel suo ineliminabile appello alla formazione delle coscienze e al problema del senso, si pone l’IRC come suo cuore e suo motore culturale e pedagogico. L’IRC si pone, dunque, nella scuola cattolica come parte integrante e ineliminabile del suo Progetto educativo. Il Sussidio, pertanto, giustamente afferma che «è ragionevole chiedere che tutti coloro che frequentano la scuola cattolica e ne accettano il progetto educativo si avvalgano di questo insegnamento per la sua valenza culturale». Credo che l’uso dell’aggettivo ragionevole abbia la sua forza nel fatto che trattandosi di un sussidio pastorale è chiaro l’invito a “ragionare” sul problema, per intraprendere insieme un cammino come Chiesa. L’indicazione resta comunque chiara e rafforzata dal “tutti”: l’orizzonte comune da condividere nella teoria e nella prassi è quello di un IRC talmente connesso con il Progetto educativo della scuola cattolica fino al punto che non si possa rifiutare l’uno senza che cada l’altro. Non è “ragionevole” scegliere una scuola cattolica e chiedere di essere esonerato dall’insegnamento della religione cattolica. 2. IRC e Impegno educativo della scuola cattolica Occorre, però, fare un passo avanti, perché il Sussidio dice una parola chiara, forte e significativa sul rapporto tra IRC e impegno all’educazione cristiana che la scuola cattolica si pone. L’insegnamento della religione cattolica si offre, nella scuola cattolica come «un aspetto e un mezzo specifico che si colloca all’interno di una proposta educativa più ampia». La proposta formativa della scuola cattolica si colloca, infatti, ad un triplice livello: a) Tutta l’attività didattica, cioè la vita scolastica nel suo complesso è considerata sotto l’aspetto educativo, fondata su una concezione della vita, dell’educazione e dell’uomo profondamente cristiana b) L’insegnamento della religione cristiana, offerta culturalmente significativa, pienamente inserita negli obiettivi didattici della scuola c) specifiche offerte formative che possono consistere in «momenti celebrativi e formativi spirituali» che la scuola offre come opzione alla libertà degli alunni e che ubbidiscono ad una logica pastorale ed ecclesiale. 3. L’IRC nella scuola paritaria cattolica Dal momento che le scuole cattoliche paritarie fanno parte del “sistema nazionale di istruzione” è “ragionevole” che il profilo dell’IRC presenti in esse almeno la stessa fisionomia di fondo delle scuole statali. Dunque • Insegnanti qualificati in possesso dei titoli di qualificazione professionale previsti dalla normativa concordataria • Formazione in servizio e aggiornamento • Orario: qui, in coerenza con quanto detto prima, si avanza la proposta di portare a due ore settimanali l’IRC nelle scuole secondarie di primo e secondo grado • Valutazione: tenere ferma l’importanza delle valutazione specifica di questo insegnamento. Invito a studiare nuove forme di valutazione nell’ambito di ogni grado scolastico. • Programmi e testi: le indicazioni della CEI sono precise, insieme alla raccomandazione dell’uso di un libro di testo idoneo. Testi pensati appositamente per la scuola cattolica? Il Sussidio avanza questa ipotesi, nella consapevolezza della sua difficoltà. • Idoneità per insegnare religione cattolica. Essa è rilasciata dall’Ordinario diocesano dopo aver verificato il possesso dei titoli richiesti e la abilità didattica e pedagogica. Il Sussidio invita a studiare e a mettere in atto le modalità opportune perché si pervenga al rispetto della normativa canonica anche per la scuola cattolica. Il Sussidio si offre come strumento prezioso per la scuola cattolica e avvia un processo di riflessione che si spera possa dare frutti concreti per una qualificazione sempre più alta dell’Insegnamento della Religione cattolica. Si tratta di superare le pigrizie e le abitudini del passato e incamminarsi verso una prassi condivisa che rispetti il carisma educativo di ogni scuola cattolica, ma che pervenga a motivi di consonanza forte a livello ecclesiale e culturale. 15 L’IRC nella Scuola della Riforma di Filippo Morlacchi Il 24, 25 e 26 ottobre 2004 si è tenuto presso il santuario romano del Divino Amore il corso organizzato dalla CEI e dal MIUR su «L’insegnamento della religione dentro la Scuola della Riforma». Vi hanno preso parte un centinaio di IdR provenienti da tutto il territorio nazionale: sono i “formatori dei formatori”, coloro che dovranno poi impegnarsi a promuovere l’applicazione della riforma nelle diocesi di appartenenza. La tre-giorni, valida anche come corso di aggiornamento per i docenti, è stata davvero ben organizzata: tutti i partecipanti hanno espresso un sincero apprezzamento sia nei confronti dei relatori che in merito ai lavori svolti in gruppo. Gli organizzatori del corso, in particolare don Giosuè Tosoni e Suor Feliciana Moro, sono stati ringraziati con calore da tutti i partecipanti per aver progettato e condotto felicemente a termine una iniziativa così preziosa. La prima giornata si è aperta con un gradito fuori-programma. Era previsto un breve saluto alle autorità; tra queste, il MIUR era rappresentato dal dott. Giuseppe Cosentino, direttore generale del personale scolastico. Il suo intervento, che doveva essere un rapido augurio per i corsisti, si è trasformato in una comunicazione di ricco contenuto, relativa alle difficoltà rilevate da chi opera “in alto” per la riforma della scuola. In tutti i paesi dell’Unione Europea la riforma dei sistemi scolastici versa in gravi difficoltà: perché? Non bastano - ha rilevato il dott. Cosentino - schemi di ingegneria gestionale, pur necessari. Il processo di riforma si può attuare solo se la riforma stessa viene tarata sulle reali esigenze della base. È necessario perciò un costante processo di monitoraggio e una più efficace interazione con coloro che per primi dovrebbero trasformare gli astratti princìpi pedagogici in un nuovo modello educativo reale, e cioè i docenti. In Italia le nuove norme sono state accolte spesso con un ossequio puramente formale, e talvolta addirittura con una furbesca manipolazione o un esplicito rifiuto. Così non si va da nessuna parte. Si rende oggi necessario agire con più efficacia presso i dirigenti scolastici e soprattutto presso gli insegnanti, affinché cresca in essi la consapevolezza di dover essere veri e pro1 Ph. MEIRIEU, Frankenstein pédagogue, ESF, Paris 1996. 16 pri formatori degli alunni, ben al di là delle singole competenze disciplinari. Questa nuova mentalità è il presupposto imprescindibile senza il quale la riforma della scuola resterà inevitabilmente inefficace. Non serve a nulla sostituire schemi didattici obsoleti con altri più nuovi, né elaborare nuove procedure operative (applicare la “lettera” della riforma) se tutto questo non viene vissuto con rinnovata passione educativa (“lo spirito della riforma”). La relazione del prof. Giorgio Chiosso (Università di Torino) su Le valenze educative della riforma ha ricostruito l’impianto teorico che soggiace all’attuale riforma scolastica. Una lezione magistrale di alto profilo che ha riscosso gli applausi convinti dell’uditorio. Due orientamenti - ha rilevato il pedagogista - sembrano caratterizzare il dibattito politico sulla scuola. Da un lato vi sono coloro che ragionano in termini puramente aziendali, convinti che in «un bagno di mercato e di managerialità» si possa trovare la soluzione delle attuali difficoltà. Attivare la concorrenza scolastica, ottimizzare le prestazioni d’insegnamento, migliorare il funzionamento del sistema, razionalizzare le spese: questa è la via suggerita. Dall’altro lato, la cultura nichilistica oggi sempre più diffusa suggerisce di ridurre la portata della riforma a semplice innovazione pragmatico-tecnologica: tutta l’attenzione è sulle prassi metodologiche, «a danno di un approccio culturale capace di cogliere il senso delle cose e di attribuirvi significati personali». Contro queste due tendenze, che interpretano entrambe la riforma in chiave puramente funzionalistica, occorre riproporre con energia un modello di scuola umanizzante, che miri non tanto ad “assemblare” gli alunni consegnando loro nuove conoscenze, quanto piuttosto a svilupparne una più matura e consapevole umanità. Con l’immagine suggerita da Philippe Merieu1, non si tratta di produrre nuovi Frankestein, mettendo insieme un po’ di pezzi con nuove e più efficaci tecniche didattiche, ma di far ripercorrere ad ogni alunno il cammino umanizzante di Pinocchio, da burattino di legno a ragazzo e poi uomo. I due passaggi culturali per realizzare questo progetto sono da identificare nel principio dell’autonomia scolastica e nel principio di personalizzazione. Autonomia significa flessibilità, ma non in senso adattivo: la scuola non si deve adattare alla domanda degli utenti, né più né meno come un buon medico non deve fare tutto quanto gli chiede un paziente. Sono i metodi operativi che si devono diversificare, mantenendo chiara però l’identità scolastica, grazie alla formulazione di un Piano dell’Offerta Formativa ben costruito, che manifesti un coerente progetto educativo. Non si tratta di “ampliare la gamma dei prodotti offerti” come se si dovesse attirare la clientela in un supermercato, bensì di articolare il POF sulle reali necessità di ciascuno. In tal modo la flessibilità si sposa con la personalizzazione: il nuovo punto di vista è quello che punta a migliorare non l’insegnamento (“quello che il docente fa”) ma l’apprendimento (“quello che l’alunno impara”). I contributi di H. Gardner, R. Feurstein, V. García Hoz ci hanno ormai abituato a riconoscere come legittimi diversi modelli di razionalità. Anzi, la stessa idea di tolleranza della diversità - che appena pochi anni orsono sembrava già una conquista - cede oggi il passo all’apprezzamento della diversità come risorsa positiva. Il doppio sistema di istruzione e formazione proposto dalla legge 53/2003 intende valorizzare itinerari formativi fortemente personalizzati, tramite la valorizzazione delle capacità peculiari di ciascuno studente. In conclusione, la riuscita della riforma dipende dall’impegno di tutti gli operatori scolastici nell’evitare di arenarsi su questioncelle secondarie «nel segno di una scuola al servizio dell’efficienza produttiva», e raccogliere la sfida di «affidarsi ad un’idea forte di educazione, ricca di proposte importanti, proprio come chiede la maggior parte delle famiglie e desiderano molte comunità civili». La prof.ssa Giuliana Sandrone Boscarino (Università di Bergamo) ha riferito su La riforma scolastica: punto della situazione. Si è trattato di una relazione squisitamente tecnica sugli aspetti legislativi ed operativi della riforma, attraverso una disamina degli artt. 3 e 4 della legge 53/2003. L’art. 3 si occupa della valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo; il decreto legislativo corrispondente è in via di approvazione. La valutazione esterna è effettuata dall’I.N.VAL.S.I., e non ha lo scopo di esprimere giudizi valutativi sui singoli, né allievi né operatori: mira piuttosto a valutare da un lato i livelli di padronanza da parte degli allievi delle conoscenze ed abilità indicate negli OSA (Obiettivi Specifici di Apprendimento), dall’altro gli elementi strutturali della scuola. La valutazione interna, invece, comporta da un lato la verifica degli apprendimenti e del comportamento degli allievi, documentata nel Portfolio delle competenze personali acquisite, e dall’altro l’autovalutazione d’Istituto. L’elemento di spicco è lo spostamento dei criteri valutativi sulla persona dell’alunno: l’importante non sono le singole conoscenze disciplinari, ma le competenze personali acquisite e raccolte nel Portfolio. L’art. 4, il cui decreto legislativo è già approvato, si occupa dell’alternanza scuola-lavoro. La legge prevede un duplice binario per la scuola secondaria di secondo grado, e cioè il sistema di istruzione (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e licei), e il sistema di istruzione e formazione professionale (IFP). I due insiemi sono di pari dignità (non ci devono essere dunque scuole di prima e di seconda classe, ma scuole che formano a diverse competenze!) e dovranno essere sempre più complementari e interconnessi tra loro, consentendo non solo il passaggio dai licei agli IFP (le vecchie “passerelle” per evitare il fallimento scolastico agli alunni meno brillanti), ma anche il movimento inverso. Questo rende necessaria nei licei la scansione di 2+2+1 anni, per consentire il passaggio da e agli IFP. Non più dunque una quadripartizione gerarchica degli studi (prima licei, poi istruzione tecnica, poi istruzione professionale e infine formazione professionale), ma un unico sistema educativo di istruzione e formazione. L’idea chiave che dovrebbe rendere possibile tale interconnessione è l’istituzione del campus scolastico: una stessa sede potrebbe ospitare corsi liceali quinquennali e corsi di IFP a durata variabile da 3 a 9 anni, integrando così il sapere (theorìa), il fare (tèchne) e l’agire consapevole (pràxis). Scuola e lavoro non sarebbero più ambiti separati, ma proficuamente interagenti. Si vuole così tutelare la diversità dei percorsi formativi nel riconoscimento del loro comune carattere educativo e della loro complementarità in ordine allo sviluppo sociale. In sintesi, il progetto di riforma si potrebbe formulare come il passaggio dalla pedagogia di Comenius (“tutto a tutti nello stesso modo”) a quella di Rousseau (“ciascuno personalmente in un processo di libertà”). Lo snodo obbligato perché tutto ciò diventi realtà è 17 la formazione adeguata degli insegnanti, di cui tratta l’art. 5 della legge. Ma il decreto legislativo corrispondente è ancora in discussione, e la strada da percorrere si rivela lunga e impegnativa. I due interventi di p. Matteo Giuliani avevano la funzione di preparare e indirizzare i lavori di gruppo. Progettare l’IRC nella Scuola della Riforma era il titolo degli interventi, che hanno fornito una lettura dettagliata degli elementi prescrittivi della riforma (quello che si deve fare) e offerto alcuni suggerimenti di percorso (quello che si potrebbe fare). A questo proposito è stata lanciata l’idea di articolare il progetto formativo di ciascun anno scolastico secondo un «motivo conduttore annuale», ricavabile dal confronto tra il Profilo Educativo Culturale e Professionale (P.E.Cu.P.) e i bisogni educativi più rilevanti degli alunni. Tale motivo conduttore potrebbe contribuire a rafforzare l’identità scolastica e a tener desta l’attenzione educativa globale, al di là delle singole aree disciplinari. Si tratta di una semplice proposta (né la terminologia né il concetto sono presenti, allo stato attuale, nel lessico della riforma), che dimostra però quanta libertà di azione e quanta creatività siano consentite - o, meglio ancora, siano richieste - per l’attuazione della riforma. Il relatore ha poi presentato le caratteristiche degli Obiettivi Specifici di Apprendimento disciplinari: essi «disegnano la mappa concettuale del docente» e «indicano il livello essenziale di prestazione del servizio per l’unità del sistema formativo». Gli OSA dell’ IRC sono stati poi presentati nella loro dimensione teologica (l’agire di Dio in Cristo e la risposta dell’uomo), antropologica (l’apertura trascendentale dell’uomo al mistero) e culturale (espressioni contestualizzate della religione: arte, letteratura...). È stato messo in luce anche il concetto di «unità di apprendimento», che si distingue dalla tradizionale «unità didattica» come il processo di apprendimento si differenzia da quello di insegnamento. L’unità di apprendimento è un insieme coerente di conoscenze e abilità che va formulato a partire dagli OSA, e che deve essere continuamente ridefinito in funzione del feedback ricevuto dagli alunni stessi nel corso dell’attività didattica. Può essere semplice (monodisciplinare e unitaria), sequenziale (monodisciplinare per tappe successive secondo una scansione progressiva), articolata (coinvolgente diversi ambiti disciplinari), complessa (pluridisciplinare per tappe successi2 ve). La elaborazione di unità di apprendimento articolate dovrebbe aiutare a migliorare la collaborazione interdisciplinare senza però annacquare le competenze specifiche di ciascun insegnante. L’IdR potrebbe aiutare a formulare unità di apprendimento sensibili non solo ai diversi contenuti disciplinari, ma anche al compito educativo globale. Un passo ulteriore è stato fatto nel dare le indicazioni per i laboratori di gruppo, suddivisi per fasce d’età (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado). Nella prima sessione si chiedeva di arrivare alla formulazione di un motivo educativo conduttore a partire dal P.E.Cu.P.; nella seconda si trattava di individuare un «obiettivo formativo in forma contratta» che guidasse la elaborazione di una unità di apprendimento di IRC. La discussione nei diversi gruppi è stata sempre vivace; sono emerse domande, perplessità e suggestive intuizioni, in un clima di ricerca comune esemplarmente costruttivo. Le difficoltà incontrate nei gruppi della secondaria di secondo grado, dovute al fatto che ancora non sono disponibili gli OSA per questa fascia d’età, sono state stimolo per lavorare con lena ancor maggiore. Nell’ultima giornata è stata ascoltata l’attesa relazione del prof. Sergio Cicatelli su L’insegnante di religione cattolica dopo il concorso: rapporto con la scuola e con la Chiesa. Il relatore, dirigente scolastico in un liceo romano, era già conosciuto dalla quasi totalità dei presenti, grazie anche al sussidio da lui compilato per la preparazione al concorso2. Il suo contributo si prefiggeva di rispondere alla domanda: cosa cambia, dopo il concorso, per lo Stato, per la Chiesa, per l’insegnante, per l’insegnamento? La risposta, che scherzosamente ricalca i diffusi questionari per i sondaggi di opinione, è la seguente: rispettivamente molto, poco, abbastanza, nulla. Partendo dall’ultimo punto, per l’IRC non cambia nulla nel senso che esso «continua ad essere facoltativo e a conservare le sue note peculiarità valutative e didattiche». “Facoltativo” però non va confuso con “opzionale”: non si tratta di un insegnamento che possa essere scelto invece di altri (opzionalità), bensì di un insegnamento costitutivo «che, solo per il fatto di riferirsi a contenuti che toccano la libertà di coscienza di una persona, si presenta all’utenza in forma facoltativa». L’ingesso in ruolo degli IdR significa solo la ratifica del valore curricolare attribuito all’IRC nel Concordato del 1983. Qualcosa di più cambia forse per gli S. CICATELLI, Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione. Guida al concorso per insegnanti di religione cattolica, La Scuola, Brescia 2004. 18 insegnanti, che ottengono una maggiore stabilità e un rapporto di lavoro a tempo pieno. In realtà, molti IdR già esercitavano la professione in una sostanziale stabilità e a tempo pieno: per loro cambia davvero poco. Semmai, si deve rilevare il fatto paradossale che gli IdR vengano stabilizzati proprio mentre il resto del mondo lavorativo e scolastico si muove verso una maggior flessibilità e mobilità! La stabilizzazione non significa, in ogni caso, emancipazione dal vincolo ecclesiastico: l’idoneità e la nomina d’intesa rimangono i due fondamentali requisiti concordatari per l’IdR. Ecco allora la terza questione: cosa cambia per la Chiesa? Le novità sono qui più rilevanti. Qualcuno potrebbe pensare che le perplessità manifestate in passato circa l’assunzione in ruolo degli IdR fossero dettate dal timore di «perdere gran parte della propria libertà nella gestione di questi insegnanti». La legge (70% in ruolo e 30% no) ha proposto una mediazione accettabile. Alla Chiesa ora spetta il compito - delicato e impegnativo - di individuare l’assegnazione della sede definitiva degli insegnanti, poi non più spostabili facilmente. In tal senso, se la potestà ecclesiastica di rilasciare l’idoneità e procedere alle nomine d’intesa resta assolutamente intatta, il potere sulle persone, che la precarietà del sistema conferiva alla Chiesa, risulta almeno in parte ridimensionato. Le prerogative che rimangono esclusivo appannaggio della Chiesa sono relative a tre ambiti: la formazione (e si aprirebbe qui il delicato capitolo del riconoscimento dei titoli di studio statali da parte dell’autorità ecclesiastica), il rilascio dei certificati di idoneità (e stavolta la questione delicata riguarda la revoca dell’idoneità, che potrebbe essere sfruttata strumentalmente per passare ad altra collocazione professionale) e la nomina d’intesa (e a questo riguardo i cambiamenti potranno essere rilevanti: se finora il potere dell’ordinario diocesano nei confronti dei singoli dirigenti scolastici era pressoché assoluto, quando l’intesa dovrà essere raggiunta tra l’ordinario e l’ufficio scolastico regionale potrebbe essere necessario - ad esempio per motivi relativi all’orario di insegnamento - addivenire ad una vera e propria contrattazione). Infine, per lo Stato cambia davvero molto: l’immissione in ruolo significa infatti una ben precisa assunzione di responsabilità. L’ora di religione perciò non potrà più esser considerata uno spazio benevolmente concesso alla Chiesa da parte di uno Stato che, così facendo, dichiara tutta la propria estraneità e il proprio disinteresse alla faccenda; ora lo Stato si fa carico, a nuovo titolo, dell’IRC, perché riconosce la cultura religiosa come un valore, e per questo assume i docenti nel suo organico. A questo punto si auspica che venga presto istituita anche una classe di concorso per la disciplina della religione cattolica. Si può già pensare così agli scenari del prossimo concorso (per il 30% degli esclusi e per chi non ha potuto parteciparvi), con tutte le sue possibili incertezze. Se infatti avrà luogo tra un numero sufficiente di anni, potrebbero esserci in commissione di esame anche alcuni IdR: «e allora - ma la legge non lo consente - perché non verificare anche la conoscenza dei contenuti disciplinari?». Ossia, come potrebbe lo Stato dire di “non aver competenza in materia di religione cattolica”? In sintesi, il concorso non ha messo in dubbio la facoltatività dell’IRC, garantita dal concordato, ma ha solo riconosciuto il «pieno diritto di cittadinanza della cultura religiosa (e dell’insegnante che l’assicura) all’interno della scuola»: questo è il vero, fondamentale cambiamento. Fr. Enzo Biemmi (direttore dell’ISSR di Verona), invitato come osservatore esterno, è stato incaricato di tracciare un bilancio consuntivo dei lavori svolti. Lo ha fatto presentando Alcune osservazioni sul Corso nella prospettiva della formazione dei formatori. I suoi rilievi: in merito al programma, ha elogiato la presenza di contributi di alto respiro educativo, e non solo relativi alla competenza didattica. «Siamo chiamati a lavorare per qualcosa di alto, di importante. Ci è nuovamente concesso di servire un sogno. Se c’è un sogno, possiamo faticare ad attuarlo». In merito al contenuto, ha lodato invece l’approccio laico (in senso positivo) dei diversi contributi: ci si è indirizzati agli IdR semplicemente in quanto insegnanti, per la loro professionalità e per il contributo che possono dare all’intero processo formativo, di cui - ora a maggior titolo - costituiscono parte integrante. Infine, riguardo al vissuto del corso, è stato rilevato il forte spessore emotivo che ha accompagnato i lavori, soprattutto davanti alla prospettiva stimolante ma inquietante del cambiamento. Certamente tutti si sono messi in gioco, e questo è stato garanzia di successo dell’iniziativa. In conclusione: la riforma, volenti o nolenti, si sta facendo. Gli IdR, vuoi grazie al concorso in cui ne hanno dovuto studiare le leggi, vuoi grazie a simili corsi di formazione, sono certamente tra i docenti più preparati ad assumere un ruolo da protagonisti in questo delicato cambiamento. È un’occasione da non perdere. 19 T U T T A U N ’ A LT R A S T O R I A Ostacoli ed opportunità: Don Bosco alle prese con la Riforma scolastica sabauda (1848-1863) di Federico Corrubolo In ambito scolastico non è la prima volta che primi a tradurlo in pratica nella scuola troviamo cambiano le “regole del gioco”. Prima della RiforS.Giovanni Bosco. Sarà quindi opportuno riperma Moratti c’è stata la riforma Berlinguer, prima correre le sue scelte quando, nel giro di pochi ancora la riforma della scuola media (1962), e anni, fra il 1848 ed il 1859 cambiarono le “regocosì via a ritroso fino agli anni del Risorgimento: le del gioco” nel Regno di Sardegna. in mezzo due guerre mondiali e vent’anni di ditCon la Legge Boncompagni del 1848 veniva tatura. Nonostante un percorso così accidentato affermata per la prima volta l’autonomia e la la scuola è rimasta un libertà dello Stato terreno molto fecondo sabaudo nei confronti per l’azione della Chiedella Chiesa in materia Questo contributo inaugura la collaborasa in Italia negli ultimi di insegnamento1. Inolzione di don Federico Corrubolo, già insedue secoli. Di fronte a tre in pari tempo si gnante di IRC e parroco a Roma. L’articoquesti scatti riformatori dichiarava che lo Stato lo vuol mostrare in sintesi l’intelligente nella scuola italiana i non riconosceva la valiadeguamento di Don Bosco alle leggi dello cattolici hanno assunto dità dell’insegnamento Stato Sabaudo in materia di ordinamendiversi atteggiamenti. impartito nei seminari e to scolastico. La riforma Moratti non è né Dalla protesta al disimnei collegi ecclesiastici. la prima né l’ultima… pegno, dall’attesa alla Pertanto gli insegnanti polemica. Spesso la dei seminari e dei collenota dominante è stata la paura ed il sospetto per gi dovevano sottoporsi ad un esame di abilitazioil futuro. Tuttavia alla fine ha prevalso uno spirine come tutti gli altri docenti del Regno. Si tratto di leale collaborazione con lo Stato. Gli spiriti ta di una disposizione che anticipa la famose leggi più illuminati hanno capito presto che le nuove Siccardi di due anni dopo: la Chiesa e le sue isti“regole del gioco” andavano di volta in volta stutuzioni devono uniformarsi al diritto comune, diate, comprese ed attuate, sfruttando le potenoppure sparire. Veniva in questo modo revocata zialità che esse offrivano per la scuola d’ispiraziouna posizione di privilegio che era stata considene cristiana. Questo perfino nei tempi più duri rata del tutto naturale almeno fino alla Rivoludel fascismo e della guerra, quando continuare la zione francese. Le scuole secondarie superiori dello Stato missione educativa significava entrare in un convenivano ripartite in un liceo classico considerato fronto sempre meno indiretto e sempre più peripropedeutico all’università, che poteva essere frecoloso con la natura totalitaria dello Stato. quentato presso scuole comunali, enti morali, o Questo spirito positivo (nonostante tutto) nei addirittura presso singoli professori che davano rapporti tra Stato e Chiesa ritrova le sue radici nel lezioni private; e nel ramo delle cosiddette scuole “cattolicesimo liberale” risorgimentale. Fra i 1 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), LAS, Roma 1980, pp. 231ss 20 T U T T A U N ’ A LT R A “speciali o tecniche” di abilitazione professionale che però non erano seguite perchè non davano alcun titolo di studio legalmente riconosciuto. In altre parole esisteva una scuola dei “colletti bianchi” che preparava il jet-set ben distinta da una “scuola per i poveri”. Al momento dell’entrata in vigore di questa legge, i giovani dell’Oratorio di don Bosco vanno a lezioni private da diversi professori, alcuni laici altri sacerdoti. Questi docenti non sono per il momento interessati dalla legge Boncompagni, che prescrive l’esame di Stato solo per gli insegnanti nei Seminari e nei collegi ecclesiastici. Ma la situazione peggiora rapidamente negli anni successivi. Nel 1850 Con le già citate leggi Siccardi, fra l’altro viene abolita la manomorta ecclesiastica (i beni immobili della Chiesa esenti da tasse), il che toglieva all’Oratorio un notevole serbatoio di finanziamenti. Nel 1855 la “legge sui conventi” aboliva fra mille polemiche tutti gli ordini religiosi che non fossero dediti all’assistenza dei malati e all’insegnamento. Il cerchio si stringeva. Se don Bosco voleva metter su un nuovo Istituto avrebbe dovuto per forza dargli questa connotazione. Non basta ancora. Nell’anno seguente, un decreto del ministro Lanza stabilisce l’esame di Stato anche per i professori che davano lezioni private, che come s’è detto erano stati in un primo momento esclusi dalla legge Boncompagni. Di fronte a queste nuove regole del gioco, decise unilateralmente dallo Stato, Don Bosco come già Rosmini e come molti altri si mossero nella convinzione radicata che non bisognava né rinunciare ai diritti civili né muoversi fuori dell’ordine legale: alla politica del “fatto compiuto” essi decisero di rispondere accettando i diritti civili e politici e agendo su tale base.2 Perciò fece iscrivere tutti i sacerdoti che insegnavano all’Oratorio alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, elemento importante per ottenere l’approvazione governativa. 2 3 S T O R I A Che questa fosse la buona strada lo affermò lo stesso presidente del Consiglio Urbano Rattazzi, in un colloquio del 1857 che vale la pena di rileggere: «Ma il Governo - chiede d. Bosco - due anni or sono, soppresse parecchie comunità religiose, e permetterà egli che se ne fondi un’altra non dissimile da quelle?...». «La legge di soppressione - riprese Rattazzi - io la conosco e ne conosco anche lo scopo. Essa non Le reca verun incaglio, purché la Signoria Vostra instituisca una Società secondo le esigenze dei tempi e conforme alla vigente legislazione. «E come sarebbe?». «Sarebbe una Società ... in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte e via dicendo. In una parola, la nuova Società in faccia al Governo non sarebbe altro che un’associazione di liberi cittadini, i quali si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di beneficenza. Nessun Governo costituzionale e regolare impedirà l’impianto e lo sviluppo di una tale società, come non impedisce, anzi promuove le società di commercio, d’industria, di cambio, di mutuo soccorso, e simili. Qualsiasi associazione di liberi cittadini è permessa, purché lo scopo e gli atti suoi non siano contrari alle leggi e alle istituzioni dello Stato»3. I salesiani nacquero secondo queste indicazioni il 13 dicembre 1859. Don Bosco non fa politica ma “sta al gioco”, accettando le nuove regole imposte dal governo e perciò stesso trasformandosi in imprenditore. «Nell’ambito dell’economia liberale modellata sul progetto politico cavouriano don Bosco dunque si ancorò a un sistema di proventi economici che non derivavano da beni di natura ecclesiastica. In tal modo finì per avere una sua propria autonomia anche nei confronti dell’autorità ecclesiastica diocesana. Questa d’altronde, nelle mani di vicari generali moderati. durante il lungo esilio di mons. Fransoni, era tra la simpatia e la tolleranza verso le iniziative che don Bosco portava avanti in prima persona. …Lo Stato liberale, ispirandosi in parte all’antica tradizione giurisdizionalista sabauda ed europea, rivendicava a sé il diritto di dare o no esistenza legale alle corporazioni religiose; la rilevanza politica e utilitaria di esse infatti era proclamata di competenza dello Stato. D’altra parte lo Stato riconosceva la priorità e inviolabilità della proprietà privata, connessa quasi per natura ai diritti dell’uomo e del cittadino. Non abdicare ai diritti civili personali significava, sotto la prospettiva economica e sociale, accettare, o per lo meno non discutere, i presupposti essenziali del liberismo economico. Don Bosco stette al gioco dell’economia capitalistica in cui si trovò, muovendosi sempre STELLA 1980, p. 233; cfr. anche F. FONZI, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Roma 1977, p. 43ss. Memorie biografiche di don Giovanni Bosco, raccolte da G.B. LEMOYNE, S. Benigno Canavese 1905, vol. V, p. 698, citato da R. AUBERT, La Chiesa e l’Italia fino al 1870 in: E. GUERRIERO (ed.), La Chiesa in Italia, Cinisello Balsamo 1996, p. 41. 21 T U T T A U N ’ A LT R A sulla base dei suoi diritti civili. Divenne proprietario di una quantità sempre maggiore di beni mobili e immobili. Come i Fratelli delle scuole cristiane e come altri, salvaguardò la proprietà e la continuità legale muovendosi sul filo delle società tontinarie, consolidando prima nella sua persona la proprietà di tutto, poi redistribuendola a gruppi fidati»4. Nello stesso anno 1859 viene varata la Legge Casati che riforma nuovamente l’ordinamento scolastico del Regno5 In linea di principio la legge garantiva, ampi poteri all’amministrazione periferica, controbilanciandoli però con un ampio controllo governativo, applicabile fino a rendere i poteri locali semplici esecutori. Fu la linea di fatto seguita quando la legge si estese al resto d’Italia, appena unificata nel ’61. A lungo andare la legge sanzionò una divisione tra ceti dirigenziali e ceti popolari, riservando ai primi destinati a mansioni di governo lo studio delle lettere classiche, della filosofia e della retorica, lasciando ai secondi l’istruzione minima, espressamente definita “inferiore”. La destra storica oscilla tra promozione di iniziative per l’istruzione del popolo e timori di una eccessiva istruzione del medesimo, che rimetta in discussione la leadership del ceto dirigente. La legge risente di questa indecisione, riserva l’accesso all’Università solo per chi proviene dal classico, ma permette a tutti i privati di aprire scuole, anche per venire in aiuto al governo (art. 246). Le scuole dell’Oratorio di Valdocco richiesero la regolarizzazione al provveditore Selmi il 4 dicembre 1862: ma tre giorni dopo, a seguito dei fatti avvenuti in Aspromonte, il 7 dicembre 1862 cade il governo di Urbano Rattazzi, che come s’è visto non era affatto sfavorevole all’attività di don Bosco. Farini e Minghetti, suoi successori sono più ostili di Rattazzi a d. Bosco, per via delle sue attenzioni al proletariato, che come s’è detto inquietavano la destra storica. Nonostante questo il provveditore Selmi emana un’approvazione provvisoria in data 21 dicembre 1862. Nel frattempo i professori dovevano regolarizzare la loro 4 5 6 STELLA 1980, p. 397 STELLA 1980, p. 236ss Lettera del 13 luglio 1863: STELLA 1980, p. 238. 22 S T O R I A posizione, sottoponendosi agli esami di Stato. Improvvisamente, nel maggio-giugno 1863 ha luogo un’ispezione governativa all’Oratorio. L’episodio è increscioso: sempre per il sospetto nei confronti del proletariato gli ispettori cercano di carpire qualche espressione ostile al governo per negare l’approvazione definitiva all’Oratorio. Si ventila l’ipotesi di chiudere provvisoriamente le scuole col pretesto della regolarizzazione dei docenti. Don Bosco si difende con coraggio e scrive a Selmi prospettandogli il danno dell’interruzione della didattica: “Riguardo alle scuole, se mi lascerà continuare così, finché i maestri reggenti abbiano ultimati i loro esami, sarà un bene che si fa ai poveri giovani: altrimenti devo cercarmene dei titolati e perciò rifiutare ricovero ad un determinato numero di poveri giovani. Ma spero molto nella continuazione dei suoi favori. Del resto pensi che siamo ambedue persone pubbliche. Ella per autorità, io per carità. Ella di nulla abbisogna da me, io molto da lei. Ma ambedue possiamo meritarci la benedizione di Dio, la gratitudine degli uomini, beneficando e togliendo dalle piazze poveri giovanetti.”6 Impressiona constatare che don Bosco non considera neppure l’ipotesi di continuare a tenere aperto l’Oratorio con docenti fuori legge. Non è solo una mossa strategica per evitare passi falsi, ma anche una nuova manifestazione di quello spirito di obbedienza alle leggi dello Stato che abbiamo già visto negli anni precedenti. Uno spirito positivo, nonostante tutto: e l’approvazione definitiva arrivò dopo diversi mesi: il 2 novembre 1863. L’Oratorio di Valdocco fu riconosciuto conforme alle disposizioni della Legge Casati ed ottenne l’approvazione definitiva da parte del Minstro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna. La vicenda di don Bosco ci parla quindi delle difficoltà ma anche della fecondità di un atteggiamento positivo verso le “nuove regole del gioco”, anche quando sembrano - e talvolta sono - sfavorevoli. Il generale Mac Arthur - che non c’entra niente con questa storia - direbbe che tutto sta ad esercitarsi a scorgere opportunità laddove gli altri vedono solo ostacoli… R I P R E S E & D E T T A G L I The Truman Show di Peter Weir di Andrea Monda Quando apparve nel 1998 questo bel film di Peter storia). Questa crisi di Truman, evidenziata sin dalla Weir (forse il suo migliore) fu considerato come un prima inquadratura (lui che si guarda, smarrito e alieduro atto d’accusa contro la televisione e la terribile nato, allo specchio) è alquanto inspiegabile e all’inizio potenza di mistificazione e alienazione insita nel mezzo lo spettatore non riesce bene a comprenderla. Trutelevisivo. In realtà il film parla di molto d’altro e, man, infatti, ha “tutto” ciò di cui un uomo avrebbe innanzitutto, della sete d’infinito e d’amore che è racbisogno: una moglie piacente e affezionata, l’amico chiusa nel cuore d’ogni uomo, della sua dignità come del cuore sempre a sua disposizione, i vicini carini e creatura dotata di libero cordiali, un posto di lavoarbitrio. La trama è nota: ro sicuro, una saluta di Truman Burbank è l’inferro. Sea-Heaven poi è un Andrea Monda, docente di IRC a consapevole “star” di un posto davvero meraviglioprogramma televisivo so dove vivere: la piccola e Roma nella secondaria di secondo visto da milioni di spettaridente città è tranquilla, grado e giornalista, ci accompagnerà tori che coincide con la pulita, salubre, senza con commenti di film più o meno sua vita: egli è infatti smog, criminalità o corruripreso, a sua insaputa, da zione, sempre “uguale a se recenti, che si prestano ad un uso telecamere nascoste, in stessa” circondata com’è didattico. Il titolo recensito stavolta ogni luogo e in ogni da una bella foresta e da presenta - in modo perfino sorprendenminuto della sua vita, da un mare tranquillo e te - valenze squisitamente religiose circa 30 anni, cioè sin distensivo dove il sole tradalla nascita. Una serie di monta ogni sera in scenari all’analisi dello spettatore attento. “segni” che troverà nel suo che, per luci e colori, sono cammino lo indurranno a degni delle migliori cartosospettare la verità nascosta, fino al momento in cui, line illustrate. È il mondo “come dovrebbe essere” spinto anche dall’amore per una donna, Truman riusecondo la definizione che il suo ideatore dà quando scirà a ribellarsi e ad “evadere” dalla prigione dorata viene intervistato in televisione (la TV è sempre autodel set televisivo. Il successo dello show è così spiegarefenziale, parla solo di sé). Ma l’ambiguità di Seato, a metà del film, dal regista e ideatore del programHaven è subito evidente, al punto che lo stesso ideama stesso: “la gente è portata ad accettare la realtà del tore dello show, nel corso della medesima intervista, mondo così come essa si presenta”. Truman riesce a poche battute dopo, lo definisce “una cella”. S’intuicogliere l’invisibile attraverso il visibile e a trovare quel sce ben presto che la crisi di Truman è profonda, radipunto frizione, quello scarto (che per lui sarà anche cata nel suo animo e riguarda in particolare la sua stovia d’uscita) che distingue la realtà dalla Verità e che le ria e il suo senso. Truman è in crisi sia rispetto al propone come due entità non sovrapponibili. La dimenprio passato che al proprio futuro. Da dove viene? E sione in cui ci muoviamo è quella del Mistero. dove va? Che senso ha la sua vita? La prima domanda è rappresentata dal rapporto col I nomi padre o, meglio, con “i” suoi molti padri. Partiamo dai nomi: il protagonista (interpretato dalIl padre naturale non c’è: Truman è infatti figlio l’attore comico Jim Carrey, qui in un’insolita e convin(abbandonato), frutto di un rapporto non desiderato. cente versione drammatica) si chiama Truman, cioè C’è invece il padre “finto” cioè un attore che, come la True-Man = Vero-Uomo: egli è l’unico uomo “vero” di madre, la moglie, gli amici e i concittadini, recita la tutta la storia, tutti gli altri sono invece finti, così come parte assegnatagli dal vero “padre” di tutto il mondo tutto il “mondo” che lo circonda. Il tema della Verità è finto di SeaHeaven: Kristoph, l’ideatore-regista-proquindi, senz’altro, il tema centrale del film di Weir. duttore del Truman Show. Kristoph (il nome non è Un altro nome significativo è Sea-Heaven, “Paradiso casuale) è il Demiurgo, il “Creatore” di Truman come del Mare”, il “paradisiaco” nome della cittadella dove egli stesso si definisce nella scena conclusiva e decisiva Truman vive, lavora, si sposa… ed entra in crisi (perdel film. Vale la pena ripercorrere, quasi fotogramma ché senza “crisi”, senza conflitto, non c’è film, non c’è per fotogramma, la sequenza finale. 23 R I P R E S E Mondi fin(i)ti e teofanie. Truman ha preso la decisione fondamentale della sua vita e con strenua determinazione, oltre le sue stesse forze, ha navigato con una barca a vela verso l’orizzonte, lasciandosi alle spalle il passato e la prigione dorata del paese natio. È una scena epica in cui vediamo Truman che, nella tempesta provocata ad arte da Kristoph per cercare di non perdere la sua “star”, come un antico titano, grida contro gli dei e contro il fato rivendicando la sua piena e totale libertà (quello del libero arbitrio è un altro dei grandi temi affrontati dal film). Così il buon Truman (fino a quel momento il classico “uomo comune”) si è scoperto un po’ Ulisse e un po’ Prometeo, ha osato sfidare gli dei ed è arrivato finalmente alle “colonne d’Ercole”, dove il mare (Sea) si tocca con il cielo (Heaven), e proprio lì scopre, per la prima volta, che quell’orizzonte era solo uno sfondo dipinto di cartone. La mano che lentamente arriva a toccare la “morta” superficie della parete dipinta ricorda, paradossalmente, la mano dell’Adamo michelangiolesco toccata dalla mano vivificante di Dio. La musica, che fino a quel momento aveva seguito la sua avventura con tonalità epiche e romantiche, improvvisamente cade e lo spettatore assiste al grido muto di dolore con cui Truman si scaglia THE TRUMAN SHOW locandina del film contro l’orizzonte finito e finto. Verità, Libertà e sete di Infinito: questi i principali temi del film che però, proprio sul finale, si colora di una sfumatura decisamente religiosa. Mentre Truman in lacrime scarica la sua rabbia dando pugni allo splendido fondale di cartapesta ricreato dalle maestranze dello show televisivo, ecco che, per la prima volta, il suo “demiurgo” Kristoph afferma di “voler parlare con lui”. E così, finalmente, il “dio” di Sea-Haven” appare all’unica creatura di quel mondo che, a parte Truman, è privo di vita e di storia. La sequenza ha tutti i crismi di una teofania: questa “divinità” non si vede ma si sente, dalle nuvole si ode infatti una voce che sembra provenire direttamente dal sole (e infatti il sole – e la luna – sono le sedi degli studi da dove il regista e i suoi collaboratori dirigono lo spettacolo) e che chiama per nome l’unico uomo che si trova in ascolto. “Truman!”. Il giovane alza lo sguardo al cielo, quasi stordito da quell’evento, e rivolge le due Domande fondamentali: - “Chi sei tu?” (al che Kristoph si autoproclama “creatore”, ma solo di uno show televisivo, che però “dà speranza a milioni di telespettatori”) e la seconda domanda è: - “Chi sono io?” (al che il regista risponde, sinceramente e semplicemente, “la star”). Viene in mente Sant’Agostino con il suo “Noverim Te, noverim me, Domine”. Che io conosca te, che io conosca me, Signore. 24 & D E T T A G L I Sono le domande che ogni uomo porta dentro, che lo accompagnano per tutta la vita. Ma Truman è ormai “scottato”, è l’uomo del mito della caverna di Platone, che ha ormai capito la differenza tra l’originale e il falso: a Kristoph che mostra di conoscerlo intimamente, in tutte le “pieghe” della sua esistenza da lui seguita sin dall’inizio, Truman risponde indicando la sua testa, il suo mondo interiore: “non hai una telecamera nella mia testa!” (la “morale” è quella della libertà dell’uomo, basata sulla sua ragione; la stessa morale di un libro/film come Fahrenheit 451 anch’esso ambientato in un futuro prossimo e iper-tecnologico). Quindi Truman si gira, volta le spalle al suo “padrepadrone” e apre la porticina (una “porta stretta” e buia) che conduce al di fuori degli studi televisivi. A Kristoph non gli è rimasta nessun altra arma se non la paura per “tentare” Truman, per cercare di convincerlo a restare nel confortevole mondo dello show. Ecco allora che gli prospetta il mondo che troverà al di fuori di quella porta buia: un mondo violento, ipocrita, sporco moralmente e fisicamente… l’opposto del tranquillo e “disinfettato” SeaHeaven dove lui, Truman, “non ha nulla da temere”. È interessante osservare che Kristoph di fatto non mente: SeaHeaven è un mondo “perfetto” e “ideale” rispetto a quello reale, così fragile, faticoso e corrotto. Ma è appunto “perfectus”, nel R I P R E S E senso di “finito”, in altre parole, morto. È un mondo finto e per questo è meno allettante agli occhi del “neonato” Tru(e)man, Vero-Uomo che non può far altro che sbeffeggiare il suo Finto e Diabolico patrigno per entrare, coraggiosamente per la porta stretta. Come scrive in una poesia giovanile G. K. Chesterton, compito dell’uomo è «andare nel buio con cuore gioioso». Una vita prevedibile e scontata, per quanto comoda, non può certo soddisfare e appagare il cor inquietum dell’uomo. Il passo di Truman verso il buio che lo risucchia (lo spettatore lo vede sparire e non lo rivedrà più: muore il personaggio dello spettacolo per far nascere la persona della vita) è il salto della fede, è il cammino di Abramo, dell’Homo Religiosus che spera contro ogni speranza e non ha certezze (materiali) su dove quella strada lo condurrà. La novità è l’amore Ma perché Truman ha intrapreso il cammino della fede? L’interrogativo si associa alle altre due domande sopra enunciate: Dove va Truman? Che senso ha la sua vita? Cosa spinge, in altre parole, Truman a varcare la soglia buia che separa la mortuaria SeaHeaven dalla vita, quella vera? Che la vita su SeaHeaven non sia “vera”, non sia comunque “fatta per lui”, Truman se n’accorge presto. Egli ha una sete di infinito che di fatto è inestinguibile, nonostante tutti i tentativi del regista di spegnerla: illuminante la scena in cui il giovane Truman è frenato dal padre lungo il “confine” del set televisivo con l’affermazione “ci sono dei limiti che non possiamo oltrepassare!”, o quella in cui a scuola Truman dichiara di voler fare l’esploratore come Magellano e la maestra, mostrandogli la cartina dei due emisferi terrestri, gli ribatte: “Ma per fare cosa? Ormai hanno già scoperto tutto!”. Che ci sia comunque qualcos’Altro, e qualcosa Oltre, Truman lo avverte, lo sente profondamente e tutti quei disguidi tecnici che inevitabilmente affliggono il set televisivo (la tecnica è sempre un’alleata insidiosa, ambigua e infine inefficiente, specie se si prefigge di “ingabbiare” la vita), non sono altro che “segni”, fattori che accrescono in Truman l’“agostiniana” inquietudine. Ma tutto questo non sarebbe stato sufficiente per far “evadere” Truman dalla sua prigione (uno dei segreti del film è nel suo ritmo e nella sua atmosfera tipici di un film del genere “carcerario” per cui lo spettatore è “inchiodato” dalla suspense: ce la farà il prigioniero a scappare?): ci vuole sempre qualcosa che irrompa nella vita degli uomini per cambiarla alla radice, ci vuole una “novità” che spinga gli uomini a muoversi. Questa novità è, ovviamente, l’amore. & D E T T A G L I Chi rappresenta il tema dell’amore nel film è chiaramente il personaggio di Silvia. All’inizio la conosciamo come Lauren, una mera comparsa all’interno del cast dello show che però ad un tratto s’innamora di Truman: un piccolo particolare, certamente non prevedibile, del resto la vita non è mai controllabile del tutto. Siccome poi l’Amore è sempre accompagnato dalla Verità come dalla Libertà (su questa costellazione si gioca tutto il plot del film) Silvia/Lauren non può far altro che “parlare” con Truman, anche se purtroppo per pochi attimi (verrà infatti subito allontanata bruscamente dal set e licenziata dallo show). Innanzitutto Silvia rivela a Truman il suo vero nome (il nome dice la verità della persona); poi incomincia a spiegargli tutta la verità, quella verità che tutti gli altri gli hanno tenuto nascosto, il fatto cioè che lui non è altro che una bestia in cattività, lui, l’unico Vero Uomo, è diventato un “mostro” da esibire ad un intero mondo di voyeur. Ma Silvia non fa in tempo, la “rivelazione” rimane interrotta e per lo più fraintesa; lei viene ovviamente subito allontanata da Truman e da SeaHeaven ma il più è fatto: i due si sono “incontrati” (anche se solo per un attimo) e l’amore è nato. Tanto basta perché il “seme” sia nato dentro il cuore di Truman ed egli non avrà pace finché non ritroverà la sua Silvia (in questo senso forse la sequenza più toccante del film – anche questa dichiaratamente “religiosa” - è quella in cui si vede Truman cercare di ricostruire, con un collage di fotografie di visi femminili, il volto della sua amata che, vista solo per pochi minuti, rischia col tempo di svanire nella memoria). Ed è proprio l’immagine di Silvia che, per quanto imperfetta e fragile, guida come un faro nella nebbia, la vita di Truman verso il lieto epilogo. Non a caso nel momento in cui Truman compie il passo verso il buio (con la fede di chi sa che oltre il buio c’è la vera luce), il regista ci mostra Silvia che assiste trepidante, insieme ad altri milioni di spettatori, al momento decisivo della vita del suo amato. In quel momento, al contrario di tutti gli altri occhi incollati alla televisione, Silvia alza lo sguardo al cielo e rivolge a Dio una supplica d’aiuto (“Ti prego Signore!”) per Truman: è l’unico momento esplicitamente religioso di questo film che, però, come ho cercato di dimostrare, è un piccolo “compendio” di religiosità e spiritualità, un’ottima occasione per far riflettere gli studenti adolescenti (che peraltro in gran parte già conoscono la pellicola) su temi come il senso della vita, la domanda di senso, la sete d’infinito, di verità, di amore e libertà che sono profondamente radicate nel cuore dell’uomo (e ne costituiscono la sua dignità). 25 Le opere e i giorni di Pasquale Troìa C. Giuliodori, G. Lorizio, V. Sozzi (edd.), Globalizzazione, comunicazione e Tradizione (con prefazione del card. Camillo Ruini), RdT Library (collana di studi e ricerche in ambito teologico connessa alla rivista Rassegna di Teologia), edizioni San Paolo, Torino 2004, pp. 384, e 20,00, ISBN 88-215-5170-9. La scuola è luogo di relazioni comunicative. Da imparare a saper gestire. Fino ad imparare a vivere comunicativamente la realtà sempre più culturalmente, etnicamente e religiosamente globalizzata presente nella scuola, microrealtà di quell’altra macroglobalizzante che le fa da contesto, condizione, risorsa. Anche perché non c’è niente che avviene ‘fuori della scuola’ che non venga riportato ‘nella scuola’. Pur nelle modalità tutte sue delle relazioni scolastiche e dei suoi protagonisti. Alcuni (non sempre gli studenti soltanto) imperiosamente propositori di innovazioni ed altri che si attardano a far rivalutare tradizioni. I primi più globalizzati e i secondi più radicati al locale. Il glo[balizzato][lo]cale è una soluzione neutra o dinamicamente armonica. E i saperi scolastici in quale misura possono da una parte promuovere dinamiche interattive tra studenti e docenti e dall’altra valorizzare le esperienze multiple e differenziate che hanno come chiave di condizione la globalizzazione stessa? E l’IRC nella sua specificità “cattolica” ha una tradizione mutuata da termini come universale, cattolico, … fino alla comunione dei santi per ritrovarsi in gioco e poter non demonizzare ma farsi interpellare ed interpellare come cittadini, credenti e professionisti del sapere scolastico? Queste brevi considerazioni (quasi premesse) permettono di valorizzare questa pubblicazione nell’ambito del ‘villaggio globale’ della scuola. Lo evidenzia il suo indice (vedi box 1) e alcune ‘parole chiavi’ (sempre utili a scuola) (vedi box 2) rintracciabili nei vari contributi e già nei loro emblematici e paradigmatici titoli degli specialisti (sociologi, filosofi, filmologi, storici dell’arte, teologi dogmatici, economisti, teologi di dogmatica, di pastorale e di fondamentale, di antropologia teologica). Si può leggere questa antologia di autori pensandosi come quel pedagogista (meglio ancora quel docente competente) che manca tra tanti autorevoli autori. Indice 1. Orientare o subire il cambiamento? (Z. Baumann) 2. Una lettura socio-economica della globalizzazione (S. Zamagni) 3. Tradizione e comunicazione nell’era della globalità (F. Casetti e C. Giaccardi) 4. Il cittadino globale tra comunicazione universale e cittadinanza particolare (G. Colzani) 5. L’individuo comunitario (R. Cipriani) 6. Globalizzazione e libertà (D. Pizzuti) 7. Globalizzazione, comunicazione, etica (A. Fabris) 8. Sensus fidei cristiano in tempi di globalizzazione (A. Staglianò) 9. Risorsa profetica della devozione popolare: tratto simbolico della cultura cristiana (G. Pasquale) 10. L’arte cristiana in un’era di globalizzazione (T. Verdon) 11. “Carità intellettuale” e globalizzazione (A. Mastantuono) 12. La tradizione cristiana nel contesto del “villaggio globale” (G. Lorizio) 26 L E O P E R E E I G I O R N I ☛ “carità intellettuale”: “è un sintagma di A. Rosmini e sta a designare il servizio alla verità, in particolare attraverso la cultura, che la comunità cristiana deve attuare” (in A. Mastantuono, p. 273) ☛ glocalizzazione: il glocale è all’intersezione tra globale e locale. Ma… è troppo sintetico e presenta una definizione dalla formula alchemica schiacciata su di un piano ‘bidimensionale’ …” (Nello Barile in G. Lorizio, 325) ☛ L’ONP [= organizzazione non profit] è riconoscibile “per il fatto di essere: formalmente costituita, privata (cioè istituzionalmente separata dal settore pubblico), indipendente, senza scopo di luco, con presenza di una certa quantità di lavoro volontario, aconfessionale e non schierata politicamente, gestita secondo procedure democratiche, produttrice di utilità sociale” (NETS, New employment opportunities in the third sector, in A. Mastantuono, p. 287). ☛ “All’interno del “raffreddamento del pianeta degli uomini”, Z. Baumann individua tre tipi di insicurezza: • la uncertainty: difficoltà di capire il mondo, che produce e diffonde disorientamento; • la unsecurity: erosione delle protezioni sociali e del welfare • e la unsafety: come insicurezza di fronte alle crescenti minacce alla incolumità, alla vita, alla libertà da parte della violenza” (in A. Mastantuono, p. 277). ☛ Il terzo settore come “privato sociale” (P. Donati) e come “economia civile” (in A. Mastantuono pp. 289-293). ☛ Differenza (e complementarietà) tra “non profit” (di derivazione anglosassone) e “terzo settore” (di derivazione francese) (in A. Mastantuono, p. 279) ☛ Differenza tra non profit italiano e non profit anglosassone: mentre quest’ultimo conosce come sua forma organizzati a centrale la fondzione, il primo ruota attorno alla figura dell’associazione. L’associazione, in quanto centrata sul patto associativo, è sempre espressione di un libero convergere di volontà di tanti soggetti su un progetto comune. […] Non necessariamente, invece, è così nella fondazione di stampo anglosassone: qui il fondatore destina il proprio patrimonio per il raggiungimento di ben definiti scopi, che entrano a far parte integrante dello statuto della fondazione e che pertanto vincolano l’azione degli amministratori della stessa (cfr. ospedali, scuole, enti di ricerca negli USA)… “ (in A. Mastantuono, pp. 278-279) ☛ La cybercultura è “l’avvento di un remapping sensocognitivo reso possibile dalla trasformazione antropologica inaugurata dalle tecnologie informatiche. […] (R. Marchesini, in G. Lorizio, p. 361) ☛ In una inchiesta del 2003 (a cura di Garelli, Guizzardi, Pace) su un campione di oltre 2000 soggetti sul “singolare pluralismo [morale e religioso] degli italiani” sono derivate sei caratterizzazione di coloro che si autodefiniscono cattolici: i rigoristi (21,3 %), gli incerti timorosi (12,6%), i tradizionalisti celebrativi (18,1%), i radicali aperti (il 17,9%), i praticanti impegnati (22,3%), i negativisti (7,8%). (in R. Cipriani pp. 137-144) ☛ “Il riferimento alle tradizioni locali ed alla ricchezza culturale presenti nelle comunità cristiane è il prius simbolico che permetterà l’avventura dialettica, non demonizzabile, della globalizzazione” (in G. Pasquale p. 237). ☛ “All’etimologia di tradizione (da tradere) che significa trasmettere, far passare, sono legati alcuni aspetti distintivi della tradizione che nell’era della contemporaneità mediatizzata, pur senza scomparire, subisce una serie di trasformazioni: • la continuità nel tempo e del tempo si delocalizza • la trasmissione personale si depersonalizza • il valore di quanto viene trasmesso si deritualizza. Queste trasformazioni mettono oggi la tradizione di fronte a diverse strade ….” (in F. Casetti e C. Giaccardi, pp. 83-87). ☛ Interessanti le analogie tra tradizione e traduzioni (in F. Casetti e C. Giaccardi, pp. 87-91) Come si può constatare, il contributo di A. Mastantuono, “Carità intellettuale” e globalizzazione. Il terzo settore interpella la comunità ecclesiale (pp. 273-310) è particolarmente funzionale e immediatamente valorizzabile in una programmazione dell’IRC (e non solo). 27 L E O P E R E AA.VV., Per un codice deontologico degli insegnanti. I documenti e le proposte del gruppo di lavoro, Annali dell’Istruzione, 2/3 Roma 2002, Le Monnier, Firenze 2003, pp. 148. (Annali dell’Istruzione è una rivista bimestrale a cura del MIUR). Ora che lo stato giuridico è quasi una realtà. Dopo questa tragicomica gestione del concorso. Ecco che ancor più all’IDR sarà richiesta un’etica professionale con un doppio codice, quello proprio e comune a tutti i docenti e quello di lealtà e di fedeltà alla dottrina della Chiesa secondo quell’idoneità concordata e intesa su di lui e per lui. Senza dimenticare quel codice civile comune ad ogni cittadino che lo pone come riferimento E I G I O R N I autorevole delle educazioni (non di tutte competente) alla “convivenza civile”. Questa pubblicazione raccoglie “i documenti e le proposte del gruppo di lavoro (costituito con decreto ministeriale del 2/11/2001, vedi p. 107) [di cui presidente onorario è il cardinal E. Tonini] per la definizione dei criteri per un codice deontologico dle personale della scuola” [cfr. nel box l’indice] Gli Autori sono alcuni componenti di tale gruppo di lavoro. I loro contributi sono essenziali e chiari. Merita una lettura. Anche perché su tali forme di professionalità si ‘giocherà’ la differenza di qualità e di competenza sia della funzione docente (il che cosa di dovere ci viene chiesto di fare) che sulla professione docente (il modo e lo stile di qualità dell’insegnare). Ci auguriamo che si apra un dibattito e si produca una letteratura che registri e codifichi comportamenti, stili, regole da professare più che da praticare. Così da orientarci verso la costituzione di un ordine professionale degli IDR. I contributi dei gruppi di lavoro ☛ La professionalità docente nel panorama internazionale ☛ Le fonti giuridiche del codice deontologico ☛ Criteri di definizione del codice deontologico ☛ Sintesi dei contributi Interventi: Codice deontologico: un’occasione di confronto sulla professione docente (E. Brogi) Linee guida per il codice deontologico dei docenti (C. Cerofolini) Oltre il codice deontologico (R. Drago) Osservazioni e proposte per la definizione dei criteri del codice deontologico (C. Lo Giudice Sergi) ☛ Verso una scuola della libertà e della responsabilità (G. Mereghetti) ☛ Osservazioni sui contributi della commissione (G. Piazzi) ☛ La responsabilità e la scuola (M. Rossi Doria) ☛ Riflessioni conclusive sul codice deontologico (M. Salvi) ☛ Una rivoluzione culturale per la nuova figura di docente (G. Savagnone) ☛ Professionalità docente (C. Xodo) ☛ Il codice di comportamento degli insegnanti (P. Zerman) ☛ ☛ ☛ ☛ Documenti: UNESCO – OIT: raccomandazione sullo status degli insegnanti Documento del consiglio nazionale della pubblica istruzione sul codice deontologico del personale della scuola (11 settembre 2002) ☛ Codici deontologici di alcuni paesi OCSE: Canada, Francia, Spagna, Svizzera, Usa. ☛ ☛ 28 L E O P E R E Explora Il museo dei bambini di Roma via Flaminia 82, nel centro di Roma, a pochi passi da Piazza del Popolo e Piazzale Flaminio. www.mdbr.it; tel 06 3613776 fax 06 36086803 e-mail: [email protected]. È aperto al pubblico dal 12 maggio 2001 Explora, il primo museo privato non profit dedicato ai bambini (0-12), alle scuole, e alle famiglie. Recuperando gli spazi del complesso ex ATAC (in via Flaminia) che sono stati oggetto di un progetto di recupero ed adattamento alla funzione di un museo dei bambini. La prenotazione si effettua contattando telefoni- E I G I O R N I camente l’Ufficio Scuole per concordare: data e turno della visita, percorso tematico (scuola dell’infanzia) o laboratorio (scuola elementare e media). L’ingresso è gratuito per 2 insegnanti a classe, per gli alunni disabili e i loro insegnanti di sostegno. Per gli altri alunni il costo è di 6,00 Euro. Explora è strutturato come una piccola città a misura di bambino con i suoi spazi, le sue funzioni e i suoi mestieri; una città che mette in contatto i bambini con fatti e realtà quotidiane, dove tutto può essere osservato, toccato, sperimentato. Explora rappresenta un’importante occasione di conoscenza, gioco, interazione e socializzazione in un ambiente allegro e ricco di stimoli, progettato secondo i più attuali principi della psicologia che attribuiscono all’apprendimento “sul campo” un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo cognitivo. Strutturato come una piccola città per Nota storica e geografica Il primo Children’s Museum è sorto a Brooklyn del 1899 e quello di Indianapolis è attualmente considerato il più grande al mondo, per i suoi 15.000 mq di percorso museale. Negli ultimi 5 anni ne sono stati aperti altri 60. L’apertura di oltre 100 nuovi children’s museums è prevista negli anni a venire. In U.S.A. i più importanti per grandezza e per popolarità sono i Children’s Museum di Boston, Houston, Manhattan, Philadelphia, Seattle e quello di Indianapolis. Sono raggruppati dall’associazione A.Y.M. - Association of Youth Museums. In Europa, la prima struttura, interamente dedicata ai bambini, la Cité des Enfants è nata a Parigi nel 1988, all’interno della Villette, la Cité des Sciences et des Industries. Il più importante e il più grande è Eureka! (4.500 mq). Sorto nel 1992 ad Halifax nello Yorkshire, a tre ore da Londra. Accoglie più di 300.000 visitatori all’anno ed ha vinto diversi premi in Inghilterra dei settori per il Design, l’Architettura e il Turismo. Hands On Europe (www.hands-on-europe.net/) è l’associazione che raggruppa la rete dei Children’s Museums europei. In Italia i musei dei bambini sono relativamente recenti e si trovano anche a Napoli - L’Officina dei Piccoli fa parte della Città della Scienza (www.cittadellascienza.it) e a Genova, dove la Città dei Bambini (www.cittadeibambini.net) si trova nel complesso dell’Acquario. In fase di progettazione sono quelli di Milano (www.muba.it), Palermo, Venezia, Reggio Emilia, Bologna, Siena (www.comune.siena.it), Taranto, Catania. 29 L E O P E R E giocare e dove tutto può essere osservato, toccato, sperimentato, Explora mette in contatto con i fatti e realtà quotidiane: l’ambiente, la comunicazione, l’economia, le nuove tecnologie, occasioni che permettono ai bambini di scoprire se stessi e i misteri delle cose. La nuova città è articolata in quattro sezioni che si differenziano per colore: • IO (colore blu) per conoscere se stessi e gli altri, il corpo umano e lo spazio “piccoli esploratori” dedicato ai più piccini sino ai tre anni. Entrando nella pancia della mamma, nella bocca gigante, nello studio medico o dal dietologo i bambini scoprono i segreti del corpo umano; • l’AMBIENTE (colore verde) e le risorse della terra attraverso una casa speciale dove gli spazi sono trasparenti; una casa ecologica perché alimentata dall’impianto fotovoltaico e rispettosa dell’ambiente perchè ricicla i rifiuti che produce, i giochi all’aperto; • la SOCIETÀ (colore giallo) e le attività quotidiane come il supermercato e le trasformazioni alimentari, il garage, i vigili del fuoco, i giochi d’acqua e lo spazio dedicato all’arte; • la COMUNICAZIONE (colore rosso) con le sue strutture e tecnologie come lo studio tv, la banca e l’introduzione dell’Euro, il sotto suolo e il telefono. Alla scoperta della tecnologia e dei mass media: si sperimenta come e perché si comunica, come si “fa” la televisione, qual è il valore di una banconota, come viaggiano le lettere attraverso la posta pneumatica e l’ufficio postale. Rapporto Jóvenes 2000 y Religión, edito dalla Fondazione Santa María (fondata nel 1977 dalla Compagnia di Maria -marianista) ed elaborato dai sociologi Juan González-Anleo, Pedro González Blasco, Javier Elzo e Francisco Carmona. La ricerca, realizzata lo scorso febbraio, ha interessato un campione di giovani tra i 13 e i 24 anni (300mila in tutto). Di questi solo il 33% si è dichiarato cattolico praticante (sia pure non assiduo) e fra di loro il gruppo più religioso (il 62%) è quello tra i 13 e i 14 anni. I giovani spagnoli non vanno quasi più a messa 30 E I G I O R N I la domenica; preferiscono discutere le grandi questioni vitali, come il senso dell’esistere, il male, il dolore, il fallimento, la violenza nel mondo, soprattutto con gli amici, a volte con i genitori, rarissimamente con un sacerdote; in una classifica sulle 13 professioni di maggiore utilità sociale, collocano i sacerdoti e religiosi al dodicesimo posto (al tredicesimo ci sono i militari di carriera). Credono ancora in Dio, ma il 75% di loro ritiene di poterlo tranquillamente fare “anche senza la Chiesa”. “La secolarizzazione - scrive González-Anleo, direttore dello studio e autore del capitolo “La religiosità nei giovani: credenze, riti e comunità” - ha avuto un effetto devastante sui vecchi riti cristiani, sui sacramenti, la preghiera e le altre pratiche religiose”. E la mente dei giovani si è “lasciata conquistare” dalle “diverse forme della religione civile, dai fondamentalismi, dai movimenti di protesta contro la globalizzazione, dalle nuove sette e movimenti religiosi, dal culto del corpo, dal consumismo, dall’ecologia, ecc.” con i loro “nuovi riti, cerimonie e liturgie”. “L’immagine della Chiesa cattolica come istituzione che difende le tradizioni e i valori - prosegue il sociologo - dedita ad aiutare i poveri e i bisognosi, buona educatrice di bambini e adolescenti, e sollecita della vita morale dell’uomo con le sue regole di condotta” è ancora valida solo per la metà dei giovani intervistati; ma appena un quinto ritiene che la Chiesa con le sue parole riesca a “svegliare le coscienze dei politici” e poco più di un terzo che “in essa si possa scoprire il senso della vita”. Diverso l’atteggiamento verso il papa: l’impatto mass mediatico dei viaggi di Giovanni Paolo II è fortissimo: “fanno un gran bene ai giovani”, “i giovani hanno bisogno di udire queste cose”, “mi è servito molto per approfondire la mia vita cristiana”, dichiara il 67% degli intervistati. Bassissima (6%) risulta poi la percentuale dei giovani che dice di aver “talvolta” sfiorato l’idea di farsi prete, religioso o religiosa. In linea comunque con il calo delle vocazioni che si registra in tutto il mondo occidentale. In Spagna, rivela l’indagine, i sacerdoti diocesani sono diminuiti sensibilmente nel giro di vent’anni: dai 22.729 del 1978 sono scesi a 18.719 nel ’98, e così i religiosi: da 11.133 a 9.145. Circa i motivi di questo calo vocazionale, il 42% degli interrogati confessa di essersi accorto che si trattava di L E O P E R E un’infatuazione passeggera; il 32% riconosce la “difficoltà di impegnarsi per tutta la vita”; e solo il 14% tira in causa il celibato obbligatorio. Però, alla domanda “quali modifiche ritieni che aumenterebbero le vocazioni sacerdotali”, il 62% dei giovani risponde: “la possibilità di sposarsi”. I praticanti? “Ragazzine, ricche, di destra” Chiude l’indagine una riflessione storica di Francisco Carmona che analizza il rapporto tra giovani e Chiesa a partire dagli anni ’60. Se allora il 95% dei giovani si dichiarava cattolico praticante e il 58% andava a messa tutte le domeniche, oggi è solo un giovane su tre ad identificarsi come cattolico praticante e solo uno su dieci ad andare alla messa domenicale. E si tratta, specifica Carmona, per la maggior parte di “ragazzine, figlie di famiglie ricche e di destra”. A chi ricerca le cause di questo allontanamento bisogna ricordare, sottolinea il sociologo, che nel frattempo la Chiesa si è scontrata con la modernità che “implica la razionalizzazione del credere, il rispetto dell’autonomia e la conseguente accettazione della laicità e del pluralismo sociale”. E mentre la società spagnola “si è incorporata al mondo moderno nel campo sociale e politico” il mondo cattolico “si è spaccato” fra coloro che hanno inteso rinnovare il progetto pastorale della Chiesa evangelizzatrice e stimolare il cambiamento di tutti i suoi membri, incoraggiati dallo stesso Paolo VI e l’ostruzionismo interno alla Chiesa stessa. “Non si deve dimenticare prosegue Carmona - che un importante settore della Chiesa spagnola ostacolò la diffusione del Concilio in Spagna”. E sulle responsabilità della Chiesa, passate ed attuali, proprio a partire dall’inchiesta del sociologo, si sofferma anche lo scrittore e giornalista spagnolo Norberto Alcover, gesuita, sulle pagine del settimanale di informazione religiosa “Vida Nueva” (n. 2.416). “Per decenni - scrive il gesuita - la Chiesa spagnola ha trasmesso valori civici in funzione del nazionalcattolicesimo”. Nello studio di Carmona, sostiene Alcover, “appare chiaro che il cattolicesimo istituzionale ha smesso di trasmettere senso alla vita in generale. Allora si apre un’epoca dominata dal disinteresse intorno alle grandi questioni, dall’egoismo e dall’individualismo sociale e da un certo disprezzo dell’impegno sociopolitico. Tutto ciò a grave detrimento delle virtù civico-politiche che esige la sopravvivenza di una democrazia e del suo cor- E I G I O R N I rispondente stato strutturale. Il processo di perdita dei valori produce l’affondamento dei concreti valori sociali e politici, senza che la Chiesa cattolica sia capace di ricreare il suo ruolo pedagogico, proprio ora, quando le acque sono così turbolente”. “La nostra Chiesa - conclude il gesuita - deve dimostrare adesso che non possiede solo parole per la dittatura, ma anche parole per la democrazia, dopo una riconversione profonda allo spirito e alla lettera evangelici”. (Adista, n. 35 del 15 maggio 2004) Gorge Steiner, Grammatiche della creazione (il titolo originale è Grammars of Creation), Garzanti, Milano 2003, pp. 308, e 19,70, ISBN 88-11-59714-5. Cinque sono i capitoli. Senza titoli. D’altra parte impossibile a definirli perché le pagine sono dense di personaggi citati, di loro storie e teorie, di esperienze. “Una capolavoro che spazia nella letteratura di ogni tempo” (C. Magris, Corriere della sera). È un flusso continuo: “una serrata indagine sul mistero della creatività, un eloquente e drammatica diagnosi del nostre presente” legittimato da una considerazione preliminare, onesta e scientifica: “Siamo stati a lungo ospiti della creazione, e io credo che lo siamo ancora. Al nostro ospite dobbiamo la cortesia del domandare” (ultime parole di 308 fitte pagine!). Di cui le prime sono “Non abbiamo più inizi”. È tipicamente anglosassone la letteratura delle grammatiche (come per altre finalità quella ‘singolare’ e famosa Grammatica dell’assenso (Grammar of assent, 1870) del cardinal J.H. Newman, un personaggio che oggi saprebbe ancora farsi ascoltare). La lettura aprirà la mente a universi disciplinari e culturali, i fondamenti della nostra cultura come grammatiche poste a confronto con le più recenti ipotesi scientifiche, matematiche, artistiche e musicali, in un Occidente, nella terra del tramonto, dove “non abbiamo più inizi”. Particolarmente interessante per la interdisciplinarità delle grammatiche che coinvolge. 31 I N C O N T R I R O M A N I Iniziazione alla meditazione profonda di Roberto Rossi Mi attendeva nell’atrio della scuola e a distanza di diciotto anni è stato inizialmente difficile riconosce la mia ex alunna Sabina Micaglio. Dopo gli inevitabili ricordi reciproci e le conseguenti nostalgiche rievocazioni, Sabina mi racconta della sua giovane esistenza, soprattutto di quegli anni vissuti appena concluso il liceo, qui, al Villaggio Olimpico, in via Venezuela, nelle vicinanze dell’Auditorium. “Mi sono sempre interessata di tematiche spirituali, - mi comincia a raccontare - prima frequentando i corsi di psicosintesi di Roberto Assaggioli, poi, a partire dal 1989, quando avevo vent’anni, iniziando un percorso psicanalitico di stampo freudiano, un ciclo di studi che è durato dieci anni”. Ci soffermiamo a discutere un poco su questo aspetto, scambiando valutazioni e giudizi e Sabina mi elenca alcune sue letture, testi che l’hanno formata ed indirizzata: Erich Neumann, Esther Harding, Marie Louise von Franz, James Hillman, tutti studiosi della scuola junghiana. “E poi, -le chiedo- cosa è successo? Perché sei qui, oltre all’ovvio piacere di rivederci dopo tanto tempo?”. Sabina sorride ed inizia il suo racconto: “Seguendo un po’ distrattamente il mio ragazzo, - mi dice - nel 1993 ho incontrato padre Mariano Ballester, un sacerdote gesuita, inventore del metodo di meditazione MPA. E’ stata questa la svolta della mia vita”. Mi faccio spiegare un po’ la figura del sacerdote di cui ho solo notizie vaghe ed indirette. “Mariano Ballester è autore di numerosi libri, tutti sulla meditazione profonda: ‘Iniziazione alla meditazione profonda’, che puoi leggere come testo propedeutico; poi ci sono ‘Meditare un sogno’, ‘Il Cristo, il contadino e il bue’, ‘Figli del vento’, ‘Verso l’altra sponda’ ed altri ancora. 32 Con lui ho ritrovato il senso del Cristianesimo e la possibilità di farlo entrare direttamente nella mia vita”. Sabina ha frequentato tutti i livelli di corso di padre Ballester, scegliendo, contemporaneamente, a partire dal 1994, di entrare all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’, iniziando una carriera professionale che sembrava lontana dalla sua prima scelta. In realtà, le due direzioni della vita di Sabina cominciarono ad incrociarsi, armonicamente, perché i corsi di meditazione ricevevano un continuo riscontro, evidente proprio nella sua attività professionale di attrice teatrale. “Paure, timori, emozioni… sono riuscita, applicando le indicazioni di padre Ballester, a controllarle, a viverle senza traumi, a stare sul palcoscenico serenamente, completamente rilassata. Ho sperimentato e veriicato, nell’affrontare il pubblico, ma anche i colleghi di lavoro, quanta serenità la meditazione sapeva darmi”. Ma non è finita qui. Sabina riprende il suo racconto: “dal 2002 padre Ballester mi ha chiamata a frequentare un corso di pedagogia sul metodo MPA, permettendomi di entrare ufficialmente a far parte del gruppo di guide abilitate ad insegnare la meditazione, cosa che ora faccio professionalmente a partire dal 2003, tenendo un corso per adulti al Centro Armonia di Roma”. Sospetto presenze new age in tutto questo e faccio presente a Sabina il mio timore. “E’ uno dei nostri ‘avversari’ –mi risponde prontamente- perché è un movimento che vive solo di deleghe, che facilita la deresponsabilizzazione, il distrarsi nell’eclatante o nel suggestivo. Qui, invece, con padre Ballester, siamo di fronte ad una spiritualità profonda, quella cattolica, la meditazione della tradizione mistica che si apre ad altri modi di I N C O N T R I esprimersi, in un dialogo silenzioso ecumenico, senza irenismi o eclettismi”. Sabina mi mostra un progetto da proporre in sede per l’’Offerta Formativa’, onde aiutare i giovani soprattutto nell’acquisizione del primo stadio della meditazione, quello che permette ‘le tre consapevolezze’: “si tratta di favorire il rilassamento e la concentrazione attraverso • la consapevolezza fisica, con esercizi di allentamento della tensione prettamente muscolare e nervosa; • la consapevolezza emozionale, attraverso esercizi basati sul respiro e la visualizzazione (una modalità che favorisce soprattutto la creatività). Questi esercizi possono permettere di osservare i nostri sentimenti senza rimanerne schiacciati; • la consapevolezza mentale, con esercizi che allenano la presenza mentale o l’attenzione concentrata e che favoriscono la memoria e l’apprendimento”. Leggo il progetto in dettaglio, rendendomi conto che, pur essendo indirizzato nello specifico ai giovani, agli studenti, per favorirne una consapevole maturazione emozionale ed affettiva, il corso risulta interessante ed opportuno anche per gli adulti. “Meditare - mi chiarisce Sabina - significa essere presenti a se stessi, qui ed ora, facendo attenzione al corpo, allamente, alle emozioni, alla natuira che è intorno a noi e soprattutto all’Altro. Meditare è esercizio dell’attenzione, è non perdere la ‘differenza’, l’alterità, è non far scivolare nel vuoto ciò che ci è donato attorno”. A sostegno di quanto mi sta dicendo, Sabina mi indica una citazione di James Hillman, da Politica della bellezza, che chiude il suo progetto: “…queste attività che si svolgono in silenzio, sfidando l’anestesia collettiva, attivano la persona R O M A N I immaginante al cuore di ogni vita sociale e politica…perché consentono al resto del programma curriculare di radicarsi in un agente veramente umano”. Sabina mi fa chiaramente capire di non considerare assolutamente “la meditazione come una pratica esoterica che miri ad allontanare il meditante dalla vita di ogni giorno, bensì un impareggiabile sistema di esercitazione mentale e di autoesplorazione che conferisce ai giovani, ma anche agli adulti, come è successo a me, -precisamaggiore efficienza nelle proprie attività, per dire soltanto dei risultati più pratici ed immediati”. Le chiedo cosa possa offrire questa meditazione, ad esempio, a chi dovrà affrontare l’esame di Stato. Sabina mi risponde indicando nello stesso tempo quanto elencato nel suo progetto: “sicuramente saranno migliorati l’apprendimento, la memoria, ma anche la consapevolezza di sé, l’equilibrio emotivo e la capacità d’attenzione. In più, è stimolata la creatività ed attivata la sensibilità verso gli altri. Quello che però permette un ‘salto di qualità’ è soprattutto la percezione dell’armonia e della pace interiori. Per i ragazzi può bastare un ciclo di otto lezioni di un’ora e mezza ciascuna, una volta la settimana ”. Quasi certamente, mi assicura una collega responsabile del POF che ha assistito al nostro scambio di informazioni, il progetto di Sabina verrà attivato il prossimo anno, proprio per la forte valenza e positiva incidenza educativa e formativa sui ragazzi. Per chi è interessato ecco quanto è utile per ulteriori informazioni: Sabina Micaglio [email protected] Telef. 06 3292815 o 339 7962277 33 Notizie legali e sindacali di Angelo Zappelli L’ORGANICO DI DIRITTO DELL’IRC Ad un anno dalla legge sull’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica delle scuole statali, finalmente si conosce il numero dei posti messi a concorso - 15.507 - il famoso 70% dei posti esistenti voluto dalla legge 186/03. L’ufficializzazione del primo dato sull’organico di diritto dell’Irc spetta alla nota ministeriale n. 65 del 22 luglio 2004, la quale pubblica la rilevazione nazionale condotta dal Miur negli ultimi mesi dell’a.s. 2003/04. Il numero complessivo delle immissioni in ruolo lo aveva già reso noto il ministro Moratti nel discorso tenuto alla Cei il 26 maggio scorso, in occasione della sottoscrizione dei nuovi O.S.A. della scuola secondaria di primo grado. Anzi il ministro aveva perfino dichiarato, con stupore dei presenti, che di questi (15.383 nelle sue parole) solo un contingente di 9.229 (circa due terzi) verrà immesso in ruolo nel primo anno di vigenza del concorso, che ha valore triennale. Il resto, ovvero circa 3.000 all’anno, entrerà in ciascuno dei due anni successivi. Se pensiamo però che il concorso sarà concluso per fine agosto 2004 solo in alcune regioni, le più piccole, il rischio è che ad entrare in ruolo nell’a.s. 2004/05 sarà effettivamente un contingente di non più di 3-4.000 docenti d’Irc, ben al di sotto dei ‘lanci’ ministeriali. La nota, che si colloca quindi in una posizione di ritardo sulle dichiarazioni del ministro precedenti di due mesi, compie tuttavia un passo in avanti rispetto alla procedura concorsuale. Ad essa è infatti allegata una tabella sulla ripartizione regionale del dato nazionale, sia sui posti esistenti che sui posti messi a concorso. Al Lazio, ad esempio, essendo stati rilevati 2.106 posti disponibili nell’insieme di tutti gli ordini e gradi scolastici, è consentita l’immissione in ruolo di 1.474 docenti di religione, il 70%. Del resto, la tabella è necessaria per la conclusione del concorso. Come farebbero altrimenti i dirigenti regionali a dichiarare i vincitori traendoli dalla graduatoria definitiva del concorso? A questo punto, infatti, il ruolo degli organi centrali è quasi esaurito, manca solo il decreto interministeriale definitivo, ed inizia quello degli uffici regionali. Sono questi ultimi, infatti, a dover effettuare le ripartizioni del dato complessivo regionale nei due ruoli (scuola primaria e secondaria) e allo stesso tempo nell’articolazione territoriale, cioè nelle diocesi presenti in ciascuna regione. La nota fa sapere ai dirigenti regionali che potranno anche, ma solo in via residuale (cioè solo se necessario), costituire posti a carattere misto tra due ordini scolasti34 ci, pur restando all’interno del ruolo prescelto. Si potranno formare in via eccezionale, insomma, posti con classi sia nella scuola dell’infanzia che nella scuola primaria, così come con classi sia nella scuola secondaria di primo che di secondo grado. Una sottolineatura va fatta ad un passaggio delicato e nuovo della nota, quello in cui si affida ai dirigenti regionali il compito di individuare gli istituti scolastici sedi di organico di diritto e di quantificare la disponibilità di tali istituti. Il che vuol dire che l’ufficio regionale, ad esempio, potrà assegnare ad un istituto due cattedre di Irc in organico di diritto, da coprire quindi con due vincitori del concorso riservato, ed invece una sola cattedra in un altro istituto, affiancandola ad un’altra cattedra non in organico di diritto su cui incaricare un docente non di ruolo. Ovviamente, il dirigente regionale sceglierà secondo la consistenza delle ore disponibili in ciascun istituto ma anche secondo quanto proposto dell’ordinario diocesano in sede di intesa sulle assunzioni in ruolo. La novità è costituita dalla presenza di un organico di diritto, il 70% dell’intero fabbisogno per ciascun ruolo e per ciascuna diocesi, cui sarebbe assegnato il personale vincitore del concorso attuale. Il restante 30% (organico di fatto) andrebbe quindi al personale non di ruolo. Un particolare interessante è quello della data in cui vengono resi pubblici i dati sull’Irc, urgenti per consentire la stipula dei contratti a tempo indeterminato nelle regioni (come le Marche, il Molise, la Basilicata, la Toscana, il Friuli, ecc.) che hanno già terminato i lavori concorsuali con le graduatorie complete. La data segue di almeno due mesi la fine della rilevazione nazionale ma si colloca ancora in mancanza del decreto interministeriale già annunciato alla firma del ministro due mesi prima. Un ritardo ed un anticipo che si possono capire solo con un’altra notizia proveniente dal mondo della scuola. Lo stesso giorno, infatti, viene anche emesso il decreto sull’organico delle assunzioni dei cosiddetti ‘precari’, con tutte le relative ripartizioni per classe di concorso e per provincia. Sembra quasi un annuncio ’politico’, insomma, fondato su un parallelismo incongruo quanto deleterio tra precari temporanei delle altre discipline e precari stabili dell’Irc, tra sostituti di un titolare assente (o inesistente) e titolari del posto stesso (non in organico). Nonostante l’evidente tentativo ministeriale di non creare polemiche con i precari, il commento della Cgil trabocca di falsità e tendenziosità come al solito. La N O T I Z I E L E G A L I nota del Miur dimostrerebbe una “efficienza degna di miglior causa” - afferma sul proprio sito - come se la causa dei lavoratori non riguardasse i docenti dell’Irc o non interessasse più quella organizzazione sindacale. La Cgil si sente colpita “amaramente” per l’entità delle immissioni in ruolo dei docenti di religione (15.000 nel triennio), che “stride” pesantemente con la “miseria” delle immissioni dei precari (15.000 subito). Lo stato di diritto risulterebbe mortificato dal “privilegio” concesso alle “gerarchie vaticane” (?). Malgrado ciò il senso della nota appare in sintesi oltremodo positivo, quello di permettere alle direzioni regionali di ripartire ulteriormente il numero dei posti in organico di diritto stabiliti dal Miur secondo i due ruoli e secondo le articolazioni territoriali delle diocesi esistenti in ogni regione, in modo da porre rapido termine alle procedure concorsuali in adempimento alla legge ed alle giuste attese dei lavoratori docenti dell’Irc nelle scuole statali. CONTRATTI INDIVIDUALI ANNUALI 2004/05 Anche quest’anno, l’ultimo per quella buona fetta di docenti che l’anno prossimo sarà immessa in ruolo grazie alla legge 186/03, tutti i docenti di religione devono stipulare il contratto individuale di lavoro a tempo determinato con il dirigente scolastico dell’istituto (o degli istituti) in cui prestano il loro servizio. La circolare che disciplina tale stipulazione è stata emanata dal Miur il 4 agosto 2004 con il n. 67. La circolare tratta in specifico dei docenti di religione al punte 3 della lettera A, per affermare che: “Restano confermate le istruzioni contenute nella lettera circolare n. D13/1944 del 10 agosto 1999, precisando che per tale personale non è prevista la trasmissione telematica al Ministero dell’Economia e delle Finanze per la corresponsione della retribuzione spettante”. Per i docenti di religione, quindi, come già negli anni scorsi dal 1999 in poi, non ci sono novità per questo tipo di operazione. Riassumiamo le principali tappe: a) il modulo da utilizzare per i contratti individuali è quello denominato A - 5 tra gli allegati alla circolare, lo stesso dell’anno scorso già pubblicato in RSC n. 4/2003; per gli incarichi non rinnovati o per quelli ridotti d’orario è prevista in aggiunta la dichiarazione del dirigente di cui al modulo D; b) le somme dello stipendio, comprensivo dell’indennità di contingenza, sono le medesime dell’anno scorso (anch’esse già pubblicate in RSC n. 4/2003), tratte dal CCNL 24.7.2003, non essendo intervenuto alcun nuovo CCNL per il biennio in corso; c) le copie da firmare (solo dopo aver controllato con attenzione la correttezza delle cifre e delle date) sono sei, di cui una resta in mano al docente, da conservare con E S I N D A C A L I cura nel proprio archivio personale dedicato alla pensione; d) il certificato medico d’idoneità fisica all’impiego va prodotto solo all’atto della stipula del primo contratto di lavoro, infatti “la validità di tale certificazione viene meno solo per effetto di attribuzione di contratto a tempo indeterminato” (nota prot. N. 3361 del 25.9.2003), quindi negli anni successivi basta dichiarare d’averlo già prodotto precedentemente. IN RUOLO DOPO IL CONCORSO I PRIMI DOCENTI DI RELIGIONE Il 3 dicembre 2004 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto interministeriale (Istruzione, Funzione Pubblica, Economia) che autorizza l’assunzione del primo scaglione di IdR vincitori del concorso riservato a cattedre. Dopo poco più di un anno dall’approvazione della specifica legge (n. 186 del 18 luglio 2003), e dopo l’effettuazione del concorso riservato ivi previsto, svoltosi dalla primavera all’autunno del 2004, si giunge quindi all’avvio delle procedura delle immissioni in ruolo. I 15.366 IdR, corrispondenti al 70% dei posti esistenti sul territorio nazionale, entreranno in ruolo distinti in tre scaglioni nel triennio di vigenza ufficiale della graduatoria concorsuale: l’a.s. 2004/05, l’a.s. 2005/06 e l’a.s. 2006/07. Gli scaglioni consistono, rispetto al gruppo dei 15.366, nel 60% circa nel primo anno (9.229), il 20% nel secondo anno e il restante 20% nel terzo. Ecco perché il decreto autorizza l’assunzione a tempo indeterminato di 9.229 IdR. In realtà, tuttavia, quest’anno verranno immessi in ruolo neppure 2.000 IdR, cioè il 60% dei vincitori del concorso delle poche e piccole regioni che hanno pubblicato le graduatorie definitive entro il 31/08/2004 (Molise, Basilicata, Marche, Umbria, ecc.). I restanti posti rimarranno sospesi nell’a.s. in corso per aggiungersi a quelli del secondo scaglione, previsto per l’a.s. 2005/06. Il caso del Lazio rientra in quest’ultima fattispecie. Essendo state appena pubblicate le graduatorie del concorso riservato (il 24 e il 25 novembre, rispettivamente per la primaria e la secondaria), i primi due scaglioni di IdR da immettere in ruolo si cumuleranno nell’a.s. 2005/06. I 1.474 posti a disposizione della Regione Lazio, quindi, verranno ricoperti da 1.169 IdR (cioè il 60% + 20%) dal primo settembre 2005 e da altri 305 (20%) a partire dal primo settembre 2006, prelevandoli dalle graduatorie che diverranno definitive entro breve tempo. L’articolazione di tali posti nei due ruoli della primaria (infanzia + elementare) e della secondaria (media + superiore) nonché nelle singole graduatorie diocesane è compito di uno specifico provvedimento da parte del Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, che attendiamo prossimamente. 35 M A T E R I A L I E D O C U M E N T I “Raccomandazioni” per il contributo specifico dell’IRC alla elaborazione dei piani di studio personalizzati nella scuola primaria A cura della CEI - Servizio Nazionale per l’IRC INTRODUZIONE L’insegnamento della religione cattolica (Irc) ha una specifica identità disciplinare, definita dagli Accordi concordatari del 1984: è un insegnamento con contenuti conformi alla dottrina della Chiesa cattolica; è inserito nel quadro della istituzione scolastica, pur nella facoltatività di avvalersene da parte dei destinatari; è dotato di programmi, insegnanti, libri di testo. In questi anni esso ha contribuito ad una più precisa conoscenza della fede cattolica e, al contempo, ha mostrato ampie risorse di apertura e di dialogo, grazie ad una modalità di trattazione dei contenuti attenta all’interdisciplinarietà, al confronto con la/e cultura/e e con le altre confessioni religiose. In questo modo è venuto incontro alle esigenze sollecitate dai mutamenti della società sempre più multietnica e multireligiosa. Ricostruire sinteticamente il cammino fatto ci permette di ricordare che il tempo trascorso tra la pubblicazione delle Specifiche e autonome attività di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche elementari (1987), e gli Obiettivi specifici di apprendimento della religione cattolica (2003), è un tempo relativamente breve anche se qualitativamente considerevole, se si pensa alla ricchezza di provocazioni e di innovazioni che la Scuola primaria ha vissuto e sta vivendo. Proprio all’interno di una scuola che è andata gradualmente cambiando, sollecitata dalle trasformazioni dei nuovi modelli culturali, è stato espresso un costante impegno per rendere l’Irc più efficace e adeguato. Si ricordano ad esempio: la “Rilettura” dei programmi di insegnamento di religione cattolica per la scuola elementare (1996) e, con l’avvio del processo di riforma scolastica, la messa in atto di una Sperimentazione nazionale biennale sui programmi di religione cattolica, nella prospettiva dell’autonomia scolastica e di nuovi programmi (1998-2000), i cui esiti sono stati organizzati e sistematizzati in una serie di Quaderni 1, allo scopo di offrire materiali di studio e di approfondimento. Frutto di queste ed altre simili iniziative è stato di poter dialogare, con sempre maggiore consapevolezza, con la recente Legge 53/2003 e di condividere innanzitutto le finalità ivi espresse nell’art. 1: • favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, completandone la formazione sul piano religioso e valoriale; • rispettare i ritmi dell’età evolutiva, proponendo percorsi didattici articolati secondo il principio della progressività ciclica; • rispettare l’identità di ciascun alunno, prendendo atto delle differenze anche di carattere religioso, per una proposta didattica aperta all’incontro e al dialogo; Nel rispetto della qualifica scolastica dell’Irc la Conferenza Episcopale Italiana, d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, ha promosso negli anni scolastici 1998-99 e 1999-2000 una «Sperimentazione nazionale biennale» affinché tale insegnamento si inserisse da subito nei processi di riforma nella scuola italiana. Il progetto di sperimentazione e i risultati sono stati pubblicati nei Quaderni della Segreteria Generale della CEI (Cf. 1 [1997] n. 23; 2 [1998] n. 23; 3 [1999] n. 24; 4 [2000] n. 20; 5 [2001], n. 16; 6 [2002] n. 16). 1 36 M A T E R I A L I • favorire la cooperazione tra scuola e famiglia, considerando la conoscenza del patrimonio storico, culturale ed umano offerto dall’Irc un arricchimento per la formazione dei figli; • inserire l’Irc nella didattica di ciascuna scuola, nel rispetto dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Attualmente, dopo la sottoscrizione tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Conferenza Episcopale Italiana, avvenuta il 23 ottobre 2003, gli Obiettivi specifici di apprendimento per l’insegnamento della religione cattolica fanno parte delle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati a completamento degli ambiti del sapere primario2. Di seguito vengono sviluppati i seguenti punti: - la riforma scolastica in atto e l’inserimento dell’Irc attraverso la presentazione degli Osa (I); - gli aspetti metodologici-didattici, suddivisi in due momenti: la finalità educativa degli Osa e la loro traduzione in aula (II). I. L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA DENTRO UNA SCUOLA CHE SI RINNOVA 1. Il progetto della riforma Secondo quanto stabilito dagli Accordi concordatari, l’Irc si pone in stretta connessione con la realtà della scuola che oggi individua, nell’autonomia e nella riforma in atto, i due poli attorno ai quali questo insegnamento si articola. La normativa essenziale che in tal senso occorre tenere presente riguarda: - la legislazione relativa all’autonomia: Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21; Regolamento: autonomia delle istituzioni scolastiche, DPR 8 marzo 1999, n. 275; Legge 18 ottobre 2001, n. 3, la riforma del titolo V; - la legislazione relativa alla riforma scolastica: Legge Delega (28 marzo 2003, n. 53), E D O C U M E N T I che ha dato il via all’articolazione dettagliata della riforma scolastica in corso; Decreto Legislativo (19 febbraio 2004, n. 59), che ha portato a definizione le norme generali relative al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della Legge 28 marzo 2003, n. 53. In particolare in queste Raccomandazioni si fa riferimento all’Allegato B, riguardante le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nelle Scuola Primaria e all’Allegato D, riguardante il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni). Il dato fondamentale che si ricava da una prima lettura dei vari Documenti della riforma è una conferma di rilevante importanza, e cioè che l’Irc trova nel progetto educativo e didattico della scuola la sua naturale collocazione. Il quadro, all’interno del quale tale insegnamento trova il suo posto, è dato soprattutto dal Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione3 (Profilo) e dagli Obiettivi generali del processo formativo (Ogpf)4. Il Profilo definisce le competenze che un ragazzo di 14 anni dovrebbe aver maturato durante la Scuola primaria e secondaria di primo grado. Si tratta di ciò che dovrebbe “sapere” e “saper fare”, valorizzando la sue “capacità” per essere la persona e il cittadino di domani. Le “competenze” indicate sono sette ed è bene averle sempre presenti perché al loro raggiungimento contribuiscono tutte le discipline, compreso appunto l’Irc: • «Esprimere un personale modo di essere e proporlo agli altri; • interagire con l’ambiente naturale e sociale che lo circonda, e influenzarlo positivamente; • risolvere i problemi che di volta in volta incontra; • riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita, anche chiedendo aiuto, quando occorre; • comprendere, per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali; Cf. Comunicato stampa CEI-MIUR del 23 ottobre 2003, in occasione della sottoscrizione degli “Obiettivi specifici di apprendimento” per l’insegnamento della religione cattolica nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria; DPR n. 122 del 30 marzo 2004, in GU n. 109, del 11 maggio 2004. 2 Cf. Allegato D: Profilo educativo, culturale e professionale. 3 Cf. Allegato B : Obiettivi generali del processo formativo. 2 37 M A T E R I A L I • maturare il senso del bello; • conferire senso alla vita». Si tratta di traguardi da maturare negli ambiti dell’Identità (costituita dalle dimensioni della “conoscenza di sé”, della “relazione con gli altri”, dell’“orientamento”); degli Strumenti culturali da acquisire (tra cui la riflessione sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana e l’insegnamento della religione cattolica); della convivenza civile (tra cui i “dirittidoveri del cittadino” e la ricerca per sé e per gli altri di “un benessere fisico strettamente connesso a quello psicologico, morale e sociale”). Gli Obiettivi generali del processo formativo, con evidente riferimento al Profilo dello studente e alle Indicazioni Nazionali, definiscono i principi ispiratori, i processi da attivare e le consapevolezze da acquisire per l’apporto che tutte le discipline sono chiamate ad esprimere, per la Scuola primaria così indicati: • «Valorizzare l’esperienza del fanciullo; • riconoscere la corporeità come valore; • esplicitare le idee e i valori presenti nell’esperienza; • facilitare il passaggio dal mondo delle categorie empiriche al mondo delle categorie formali; • favorire la dinamica dalle idee alla vita in un continuo confronto interpersonale; • riconoscere la diversità delle persone e delle culture come ricchezza; • praticare l’impegno personale e la solidarietà sociale». Il percorso indicato nei Documenti lascia emergere un quadro di riferimento nel quale la dimensione etico-religiosa è esplicitamente presente nella formazione della personalità dell’alunno. In quest’ottica si rileva come l’Irc vada sempre più declinato con attenzione: - all’interesperienzialità o al confronto con l’esperienza personale dell’alunno per non isolare i contenuti appresi in una dimensione astrattamente cognitiva; - all’interdisciplinarietà o al necessario raccordo con tutte le altre discipline e ambiti disciplinari presenti nel piano di studi dell’alunno; 38 E D O C U M E N T I - alla relazionalità o al rapporto personale nella relazione educativa, che si nutre del costante dialogo tra alunno ed insegnante; - alla convivenza civile o al contesto delle diverse “educazioni” che devono sostenere trasversalmente l’impegno didattico di ogni disciplina. Dentro il percorso indicato, la scuola, opportunamente definita «ambiente educativo di apprendimento», avvalendosi delle possibilità offerte dall’autonomia, rafforza il rapporto di continuità educativa con l’azione della famiglia e delle altre istituzioni educative presenti sul territorio come pure il rapporto con altre culture, confessioni e religioni. L’Irc da parte sua è sollecitato ad articolare i contenuti, redatti in conformità alla dottrina della Chiesa, in stretta relazione con la sviluppo psicologico, culturale e spirituale dell’alunno “in situazione”, accogliendo e valorizzando tutti gli alunni, ivi compreso chi è portatore di “diverse abilità”. 2. Obiettivi specifici di apprendimento Vengono riportati di seguito gli Obiettivi specifici di apprendimento (Osa) propri della Religione cattolica, enucleati in “conoscenze” e “abilità”. Sono stati elaborati tenendo presenti i Documenti di cui sopra e confrontandosi costantemente con gli Osa delle altre discipline, in particolare con gli Osa di italiano, storia, arte e per l’educazione alla convivenza civile. Esprimono tre peculiarità: - riflettono “l’ordine epistemologico” e quindi disegnano la mappa culturale che gli insegnanti di religione devono possedere e padroneggiare; - obbediscono all’“unità del sapere” e all’unitarietà dell’insegnamento e quindi nel rispetto della disciplinarietà sono aperti all’intere transdisciplinarietà; - definiscono il “livello essenziale di prestazione” del servizio che ciascuna istituzione scolastica è tenuta a fornire e garantiscono l’unità del sistema formativo nel rispetto della flessibilità richiesta dall’autonomia e dall’apertura al territorio; soprattutto consentono ai fanciulli e ai ragazzi di maturare, nei modi adatti alla loro età, in tutte le dimensioni tracciate nel Profilo. M A T E R I A L I E D O C U M E N T I CLASSE 1° Abilità Conoscenze - Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini. - Gesù di Nazaret, l’Emmanuele “Dio con noi”. - La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a tutti i popoli. - Scoprire nell’ambiente i segni che richiamano ai cristiani e ai tanti credenti la presenza di Dio Creatore e Padre. - Cogliere i segni cristiani del Natale e della Pasqua. - Descrivere l’ambiente di vita di Gesù nei suoi aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi. - Riconoscere la Chiesa come famiglia di Dio che fa memoria di Gesù e del suo messaggio. CLASSE 2° e 3° Conoscenze - L’origine del mondo e dell’uomo nel cristianesimo e nelle grandi religioni.. - Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio. - La preghiera, espressione di religiosità. - La festa della Pasqua. - La Chiesa, il suo credo e la sua missione. Abilità - Comprendere, attraverso i racconti biblici delle origini, che il mondo è opera di Dio, affidato alla responsabilità dell’uomo. - Ricostruire le principali tappe della storia della salvezza, anche attraverso figure significative. - Cogliere, attraverso opportune pagine evangeliche, come Gesù viene incontro alle attese, di perdono, di giustizia e di vita eterna. - Identificare tra le espressioni delle religioni la “preghiera” e, nel “Padre Nostro”, la specificità della preghiera cristiana. - Rilevare la continuità e la novità della Pasqua cristiana rispetto alla Pasqua ebraica. - Cogliere, attraverso alcune pagine degli “Atti degli Apostoli”, la vita della Chiesa delle origini. - Riconoscere nella fede e nei sacramenti di iniziazione (battesimo-confermazione-eucaristia) gli elementi che costituiscono la comunità cristiana. CLASSE 4° e 5° Conoscenze - Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e sviluppo. - La Bibbia e i testi sacri delle grandi religioni. - Gesù, il Signore, che rivela il Regno di Dio con parole e azioni. - I segni e i simboli del cristianesimo, anche nell’arte. - La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti, persone e strutture. Abilità - Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai diversi popoli. - Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande di senso dell’uomo e confrontarla con quella delle principali religioni. - Cogliere nella vita e negli insegnamenti di Gesù proposte di scelte responsabili per un personale progetto di vita. - Riconoscere nei santi e nei martiri, di ieri e di oggi, progetti riusciti di vita cristiana. - Evidenziare l’apporto che, con la diffusione del Vangelo, la Chiesa ha dato alla società e alla vita di ogni persona. - Identificare nell’azione della Chiesa l’opera dello Spirito di Dio, che la costruisce una e inviata a tutta l’umanità. - Individuare significative espressioni d’arte cristiana, per rilevare come la fede è stata interpretata dagli artisti nel corso dei secoli. - Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c’è una varietà di doni, che si manifesta in diverse vocazioni e ministeri. - Riconoscere, in alcuni testi biblici la figura di Maria, presente nella vita del Figlio Gesù e in quella della Chiesa. 39 M A T E R I A L I 2.1. Criteri di lettura degli Obiettivi specifici di religione cattolica Per una corretta lettura degli Osa di Religione cattolica occorre tenere presenti i criteri che ne hanno regolato la formulazione: alcuni di carattere generale ed altri più specificamente attenti all’aspetto disciplinare. Li elenchiamo per una presentazione solo orientativa. CRITERI GENERALI 1. Uno stile sintetico, che obbedisce al principio dell’ologramma, cioè all’unità del sapere, per cui i singoli Osa si rimandano gli uni agli altri; non sono mai chiusi in se stessi, ma sono sempre un complesso, continuo rimando al tutto, come del resto anche prospettato dall’armonia del “credo” cristiano, che ha trovato nei documenti del Concilio Vaticano II una felice sintesi. 2. Una struttura che specifica gli Osa in “conoscenze” (colonna di sinistra) e in “abilità” (colonna di destra). Si tratta di una impianto che, nella mens della riforma, non richiede una precisa corrispondenza tra le due colonne, in quanto la proposta non si pone sul versante dell’operatività didattica, che invece è riservata ai soggetti delle singole Istituzioni scolastiche. La colonna delle abilità non è subalterna a quella delle conoscenze, sollecita piuttosto una feconda integrazione fra “sapere” e “saper fare”, in vista dell’“essere” della persona dell’allievo, capace di maturare ed esprimere le competenze elencate nel Profilo. 3. La gradualità didattica, a partire dal sostegno iniziale alle categorie esperienziali per approdare solo nel 2° biennio ai quadri disciplinari e alla conoscenza organizzata. Secondo quanto richiesto dalle Indicazioni, i fanciulli e i ragazzi passano gradatamente dall’“esserci” al “prendere coscienza” dell’esperienza, dalla “coscientizzazione” alla “riflessione” sul vissuto, nel caso specifico valorizzando gli strumenti culturali propri della Religione cattolica. Oltre che rispettare la crescita dell’alunno e i processi dell’apprendere dal monoennio al 40 E D O C U M E N T I secondo biennio, tale gradualità assicura anche l’organicità e l’integrazione dei contenuti essenziali della Religione cattolica nel più vasto orizzonte del sapere e del saper fare che l’alunno va assimilando e trasformando in competenze (progressività ciclica). CRITERI RELATIVI ALL’IRC 4. L’apertura, il confronto e l’interazione fra discipline ed i relativi Osa, che hanno comportato un’attenzione particolare alla scansione disciplinare in modo da articolare i contenuti propri della Religione cattolica in sintonia con quelli delle altre discipline, in particolare, come già osservato, con l’italiano, la storia e l’arte. 5. La fedeltà ai nuclei fondanti del dato cristiano (l’incontro tra Dio e l’uomo; Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore; la Chiesa; l’agire cristiano nell’orizzonte della speranza), espressi nella specifica professione di fede cattolica in tutta la sua valenza culturale e con evidente attenzione alla scuola. Ciascun nucleo fondante, a cui rimandano gli Osa, è comprensivo di altri elementi e aspetti collegati al sapere religioso, come: il bisogno di Dio insito nel cuore umano e che si esprime nei segni-simboli delle religioni; la rivelazione di Dio all’uomo nel suo rapporto con le figure dell’Antico e del Nuovo Testamento (persone ed eventi); la comunità cristiana come mistero espresso nelle immagini di famiglia e di popolo di Dio, nelle sue varie espressioni: della celebrazione e delle feste liturgiche (Pasquadomenica, Natale, ecc.), dell’annuncio e della preghiera, della testimonianza della carità e del dialogo. 6. La valorizzazione della Bibbia e dei suoi effetti nella cultura, per cui la Bibbia va considerata non solo in se stessa ma anche negli effetti prodotti nel tempo, nei segni e nei documenti che da essa scaturiscono: gli stili di vita evangelici, i testimoni di ieri e di oggi, alcune espressioni del pensiero cristiano, le espressioni artistiche, la vita e gli eventi forti della comunità cristiana, testi del magistero della Chiesa. M A T E R I A L I 7. Il dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane e quello con le altre religioni, che comporta la consapevolezza di una confessionalità aperta ai segni religiosi dell’ambiente e a quelli di altri popoli, nonché al confronto (il tutto proporzionato all’età, alla classe, al contesto di vita degli alunni, ecc). È implicita qui l’attenzione anche alla multiculturalità da cui, come si è già accennato, non si può prescindere nella società in cambiamento com’è quella attuale. Un filo rosso percorre i criteri indicati. Esso si può esprimere nella dinamica di un processo che va dall’umano all’umano religioso, dal religioso al cristiano, dal cristiano al cristiano-cattolico, con l’accoglienza e l’apertura verso chi professa un credo diverso e/o segue altro sistema di pensiero. Sono indicativi del processo che dovrà portare gli alunni a sviluppare la loro personalità nella dimensione religiosa, anche in vista della convivenza civile. 2.2. I contenuti espressi nelle conoscenze e nelle abilità La lettura attenta degli Osa di Religione cattolica permette di individuare i contenuti religiosi espressi nelle “conoscenze” e nelle “abilità”, che gli alunni dovranno acquisire nell’arco della Scuola primaria. Entrambi esprimono attenzione al criterio della “conformità alla dottrina della Chiesa”5, “nel quadro delle finalità della scuola”6. Se “conformità alla dottrina della Chiesa” sta ad indicare coerenza nella trattazione dei nuclei fondanti del mistero cristiano, l’“attenzione alla scuola”, nel grado scolastico che ci riguarda, sta a indicare che il dato cristiano va trattato tenendo in considerazione queste tre scelte: 1. essenzializzazione e organicità. Esprimono la scelta di promuovere un insegnamento che si sviluppa attorno ai nessi fondamentali del cristianesimo: Dio, Cristo, Chiesa, morale e l’armonia 5 6 E D O C U M E N T I intrinseca ai contenuti, per una conoscenza non a sé stante (“conoscenze”) ma integrata con un accostamento più diretto e partecipato (“abilità”); 2. fenomenicità del dato cristiano. Ci sono aspetti tangibili del cristianesimo che riguardano l’esperienza cristiana, i fatti di vita, le persone, i segni-simboli delle tracce cristiane nella storia, i documenti. Nella trattazione dei contenuti si dovranno tener presenti le componenti dell’esperienza religiosa: antropologica, teologica, storica, etica, linguistica, artistica; 3. concentrazione su alcuni nuclei tematici essenziali. Essi rispettano la tripartizione del “credo” secondo la visione cristocentrica della più genuina tradizione cristiana. Con ciò si vuol mediare l’idea che i diversi contenuti hanno pienezza e compimento in Gesù Cristo. In Lui oltretutto si trova il punto di convergenza per cogliere e valorizzare quanto di comune c’è nelle altre confessioni religiose e così far emergere lo specifico, ossia il cristianesimo nella confessione cattolica. Possiamo quindi dire che gli Osa esprimono gli elementi essenziali del cristianesimo, elementi che, nel rispetto della scuola, si articolano su tre versanti: - il versante della dimensione storico-rivelata espressa nel dato cristiano-cattolico; - il versante delle fonti, con un’attenzione particolare alla Bibbia e al suo linguaggio (strettamente collegato al precedente); - il versante del “rispetto” e del “dialogo“ con altre confessioni religiose. Quest’ultimo versante, del rispetto e del dialogo, merita una particolare sottolineatura, in vista dell’apprendimento ecumenico ed interreligioso che la scuola dovrà assicurare nel contesto sempre più diversificato e culturalmente vario, anche per i continui flussi migratori a cui l’Italia e l’Europa sono soggetti. Tenendo conto dell’età e con attenzione alla gradualità educativa, fin dalla prima classe della scuola primaria gli Osa intendono favorire negli alunni la Cf. Prot. addizionale, 5; Intesa, 1.1; 4.1; Nota CEI 91, 13. Cf. Accordi, 9,2; Intesa, 1.1; 4.1; Nota CEI 91, 13. 41 M A T E R I A L I scoperta delle religioni che attribuiscono a Dio l’origine del mondo (Cf. 1ª classe). In seguito gli alunni saranno impegnati a mettere insieme alcune interpretazioni sull’origine del mondo e sulle forme di preghiera a Dio, Padre comune (Cf. 1° biennio), per poi arrivare a confrontare il cristianesimo con le espressioni religiose di altri popoli e la Bibbia con i testi sacri delle principali religioni (Cf. 2° biennio). II. ORIENTAMENTI METODOLOGICO-DIDATTICI 1. Nuclei tematici e orientamenti metodologici Una volta elencati i criteri di lettura degli Osa, si offrono ora indicazioni per la loro messa in opera didattica. Appurato che bisogna partire dall’esperienza dell’alunno, si tratta di prospettare l’effettiva valorizzazione didattica degli Osa nell’arco degli anni del percorso scolastico considerato e nei singoli anni, quali orientamenti metodologici-didattici avviare per il lavoro in aula. Per una efficace risposta operativa a questi interrogativi si può partire dall’individuare i quattro nuclei contenutistici attorno ai quali articolare una serie di tematiche sottese agli Osa, tenendo sempre presente la peculiarità dell’apprendere dell’alunno e le indicazioni generali richiamate sopra (oltre al Profilo e gli Ogpf anche il Piano dell’Offerta Formativa, [Pof]). Dio e l’uomo. Il passaggio graduale, dalle categorie esperienziali più vicine all’apprendere del bambino della 1ª classe alla capacità dell’alunno del 2° biennio di passare dall’esperienza alle prime conoscenze riflesse, richiede che vengano affrontati alcuni aspetti contenutistici di cui gli Osa sono portatori: - Dio è il creatore. C’è uno stretto rapporto tra Dio e il mondo e tra Dio e l’uomo, e questo può essere visto nei primi Osa della 1ª classe e del 1° biennio; - il disegno di Dio è tracciato nel tempo. Alle origini c’è la creazione, al termine la parusia con la vita eterna, al centro l’evento di 42 E D O C U M E N T I salvezza portato da Gesù Cristo: la Pasqua. È la dinamica storico-salvifica del cristianesimo, dimensione costante negli Osa delle diverse classi. La valenza etico-antropologica di questo nucleo si esprime in un atteggiamento di sorpresa e di accoglienza del creato e, in esso, soprattutto della persona umana, in vista quindi del rispetto e del dialogo con ogni persona, anche con chi professa altre confessioni e religioni o con chi è senza un particolare credo da professare pur non essendo privo di altro riferimento di significato. Sono le prospettive aperte riflettendo sui grandi temi posti dall’uomo sulla terra, sempre ricorrenti e oggi resi ancora più acuti. Gli Osa aprono a questa riflessione, dando un loro contributo specifico per favorire lo sviluppo della vita in tutte le sue manifestazioni e la maturazione di ogni persona. La Bibbia è fonte privilegiata per accostare questo nucleo. Essa richiede un approccio graduale secondo le possibilità psicologiche e culturali dell’alunno. Gesù di Nazareth è il nucleo fondante e centro della religione cristiana. A Lui si rivolge la rivelazione e da Lui parte la comprensione della stessa rivelazione su Dio, sulla sua persona in quanto Figlio di Dio, sulla sua missione che culmina nella Pasqua. L’accorgimento metodologico per una più efficace presentazione della persona di Gesù richiede che il punto di partenza sia prevalentemente induttivo. Si parte dall’umanità di Gesù per giungere al suo mistero espresso con un crescendo che rispetta la verità teologica ed anche la gradualità educativa: Gesù è «l’Emmanuele, il Dio con noi» (Cf. 1ª classe); è «il Messia, compimento delle promesse di Dio» (Cf. 1° biennio); «Il Signore che rivela il Regno di Dio» (Cf. 2° biennio). Concretamente, gli alunni vengono aiutati a scoprire chi è Gesù di Nazareth attraverso ciò che ha fatto e ha detto. Sono i contenuti proposti dagli Osa che presentano delle dimensioni costanti: - la collocazione di Gesù nella storia e nella cultura della sua gente, del suo popolo; - la contestualizzazione della sua missione: M A T E R I A L I Gesù compie le promesse di Dio; con il suo insegnamento «viene incontro alle attese di perdono e di pace, di giustizia e di vita eterna»; i fatti della Pasqua esprimono il dono salvifico di Dio all’umanità e sono il punto di partenza del cristianesimo; - la rivelazione dell’identità umana e divina di Gesù. Il processo metodologico richiede che questo nucleo si realizzi attingendo alle fonti evangeliche (dalla nascita di Gesù alla sua Pasqua). La via stessa del Vangelo indica anche una dinamica che passa dall’agire di Gesù alla domanda sulla sua identità per arrivare a dire chi è veramente Gesù. Non vanno poi dimenticate le attese che l’alunno porta con sé: della scoperta di una propria identità, confrontandosi con il mondo circostante ad iniziare dalla famiglia, e della ricerca di riferimenti e stili di vita che gli possono risultare significativi. La Chiesa e i cristiani. La vita della comunità cristiana e la sua presenza nel mondo e nella storia si coglie, come indicano gli Osa, attraverso i segni: - i segni della presenza e dell’azione dei cristiani nell’oggi e nella storia con la loro rilevanza personale e sociale. Si tratta di «figure significative», quali «progetti riusciti di vita»: «Maria», «i santi e i martiri» di ieri e di oggi; - il linguaggio delle fonti: la Bibbia con particolare attenzione ai Vangeli, agli Atti degli apostoli, ma anche ad altri testi della tradizione cristiana; segni e simboli nelle espressioni celebrative, in particolare nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, nella preghiera, nelle feste, nell’arte, ecc.; - i segni dell’accoglienza e del servizio di carità. Una volta individuati i gesti concreti dell’agire e della testimonianza sarà più facile per gli alunni cogliere il mistero della Chiesa, che gli Osa identificano progressivamente come «comunità dei cristiani» (Cf. 1ª classe), «comunità che celebra il mistero di Cristo» (Cf. 1° biennio), «popolo di Dio nel mondo con le sue persone, istituzioni e strutture» (Cf. 2° biennio). L’alunno anche a questo nucleo si avvicina portando una serie di attese, legate all’esi- E D O C U M E N T I genza di essere accolto e di vivere felici relazioni interpersonali per appartenenze allargate e sempre più coinvolgenti. I valori morali. Alla luce dell’umanesimo cristiano, le questioni morali trovano una risposta nel progetto di Dio che, fin dalle origini, ha impresso alla vita umana un naturale orientamento, sulla base di valori etici affidati ad ogni persona e presenti in tutti i popoli, seppure non sempre ugualmente compresi e condivisi. Tra i vari valori morali gli Osa mettono in evidenza il rispetto del creato, la giustizia, la pace; il valore della vita umana come dono e impegno; le scelte nel rispetto del bene comune per una “convivenza civile” che nello specifico dell’età racchiudono i valori del vivere insieme. Regole e comandamenti, letti alla luce del comandamento dell’amore, aprono la via alle beatitudini evangeliche, vera libertà umana. L’alunno è alla ricerca di esprimersi con una sua responsabilità, con scelte che rendono più personale e qualificata la sua crescita, dove il rispetto delle cose e la ricerca del bene degli altri vengono intesi come espressioni importanti della sua vita. 2. Gli Obiettivi formativi e le Unità di apprendimento La messa a punto dei Piani di studio personalizzati richiede da parte degli Insegnanti di religione cattolica (Idr) l’attenzione all’orizzonte educativo della scuola, formalmente sancito dal Pof. Per evitare frammentazioni eccessive e l’impostazione di un’attività didattica troppo occasionale, è senz’altro utile lasciarsi guidare da una categoria educativa, o un motivo conduttore, per ogni anno di studio con la quale “incontrare” gli Osa, mettendola in sequenza con gli anni che precedono o succedono. Da qui la necessità di elaborare pertinenti Obiettivi formativi (Of). 2.1. Dagli Obiettivi specifici agli Obiettivi formativi Parlare di Obiettivi formativi significa 43 M A T E R I A L I entrare in maniera decisiva nel lavoro didattico degli insegnanti, con l’attenzione dovuta al contesto culturale e scolastico e alla necessaria mediazione delle Ua. Gli Of sono traguardi da raggiungere che coniugano a livello didattico sia gli Ogpf che gli Osa. Non si può infatti mettere a frutto didatticamente gli Osa senza tener presenti l’orizzonte educativo di cui sopra, in particolare appunto gli Ogpf. Gli Of richiedono quindi alcune attenzioni: - si realizzano attraverso la predisposizione di compiti di apprendimento accessibili agli alunni; sono quindi legati alla logica psicologica e didattica; - sono formulati come traguardi chiari, importanti e significativi da raggiungere, come risposte di qualità ai bisogni dei destinatari; - sono da considerare nella prospettiva del processo di apprendimento che richiede tempi e modi rispettosi delle caratteristiche personali; - sono formulati in base al principio dell’ologramma e rimandano ad altre discipline; - sono punti di riferimento e guida per la progettazione delle Ua. Per la loro formulazione si mette in atto un percorso che può partire dal basso o dall’alto, ma che in ogni caso deve tener conto sia degli alunni e delle loro esperienze che degli Osa e della loro formulazione: - nel caso che la partenza sia dal basso, cioè dalle esperienze degli alunni e dalle loro esigenze ed interrogativi, gli Osa andranno intesi come elementi regolatori che intervengono sull’esperienza personale. È la partenza più adatta ai primi tre anni della Scuola primaria, data la necessità di adeguarsi all’universo semantico dell’alunno per cominciare a costruirvi intorno un processo di crescita e strutturazione affettiva e cognitiva; - nel caso che la partenza sia dall’alto, cioè a partire dall’articolazione delle “conoscenze” e delle “abilità” proprie degli Osa, si tratterà poi di favorire l’adattamento all’esperienza personale degli alunni, per una trasformazione significativa tipica del processo educativo. È la partenza più 44 E D O C U M E N T I adatta al 2° biennio, dove l’emergere di conoscenze più strutturate anche disciplinarmente richiede all’alunno di rivedere il proprio campo semantico ed esperienziale per inserirsi progressivamente nella cultura “adulta”. Anche in questo caso comunque gli Of non derivano dagli Ogpf e dagli Osa per semplice deduzione. Gli Of sono sempre frutto di riflessione e di negoziazione da parte dell’insegnante che considera alcuni aspetti o prospettive, vale a dire le variabili in gioco nell’attività didattica: capacità ed esigenze degli alunni, esigenza della disciplina, la trasferibilità didattica in contesto. In particolare l’insegnante, nel caso specifico l’IdR, dovrà conoscere le “capacità” dell’alunno in relazione alle “conoscenze” e “abilità” specifiche dell’Irc, quindi dovrà procedere all’identificazione di Ua che daranno il via a un percorso organico e mirato. 2.2. Dagli Obiettivi formativi alle Unità di apprendimento Il processo didattico dell’Irc, come quello delle altre discipline, sarà ordinato al raggiungimento degli Of, facendo leva sul passaggio dalle capacità potenziali dell’alunno, all’acquisizione delle specifiche competenze, incrociando natura (“capacità”), cultura (“conoscenze” e “abilità”), vita (“competenze”). Infatti, è attraverso le Ua che, sulla base delle capacità possedute dagli alunni, si acquisiscono conoscenze e abilità, riconoscibili nelle competenze. Le Ua disciplinari, intese come segmenti di attività didattiche, richiedono la formulazione di uno o più Of integrati, la precisazione delle attività didattiche da attivare e la decisione sulle modalità di verifica. Nel processo didattico per la formulazione di Ua è importante infatti tener presenti tre fasi: ideativo/progettuale, mediativo/didattica, verifica degli esiti che dovrà risultare nel Portfolio delle competenze personali. Le Ua possono riguardare il gruppo classe o altri tipi di raggruppamenti. A volte M A T E R I A L I Maestro di Tahul, Maiestas Domini, lux mundi, particolare dell'affresco absidale di san Clemente di Tahul (Catalogna, Spagna), XI secolo. Non è forse Lui, Gesù di Nazareth, il Cristo, la pietra angolare di quella costruzione del sapere religioso e culturlae che l'idr deve (per la sua funzione docente) saper insegnare (professionalità docente)? È Lui, la persona di Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe, Figlio di Dio, nato, morto in croce e Risorto. Gli OSA dell'IRC lo riconoscono come il principio ologrammatico dell'IRC, l'alfa e l'omega della storia e del sapere. (P. Troìa) assumono la forma del laboratorio. Sempre richiedono dagli educatori/trici e dalle famiglie una particolare attenzione alla declinazione del Profilo esplicitato nel Pof di ciascuna istituzione scolastica, in riferimento a quanto dettato dai Documenti nazionali. 3. Criteri metodologici per le attività didattiche Sull’orizzonte del “sapere religioso”, così come delineato nei punti precedenti, per una sintesi operativa che possa orientare E D O C U M E N T I gli Idr nella progettazione delle Ua, i criteri da privilegiare sono i seguenti: - la valorizzazione dell’esperienza personale, sociale, culturale e religiosa dell’alunno; - l’uso graduale dei documenti della Religione cattolica, in particolare la Bibbia, i testi del Magistero e della tradizione cristiana, opportunamente scelti per giungere alla padronanza di abilità metodologiche e di indagine indispensabili alla comprensione del messaggio cristiano; - l’attenzione ai segni-simboli della Religione cattolica letti come espressioni della tradizione ebraico-cristiana, riscontrabili nella memoria storico-artistica e culturale italiana ed europea; - l’incontro con testimoni della storia che hanno saputo e sanno coniugare i valori cristiani con la vita, offrendo esempi concreti di giustizia, rispetto, accoglienza, integrazione sociale, impegno coerente e responsabile, cooperazione e solidarietà; - la conoscenza e il dialogo con altre tradizioni religiose presenti nella società multietnica e multireligiosa. Si delinea in questo modo una costante correlazione, ossia un processo circolare di apprendimento che va dall’apertura al senso della vita, intercettando quindi «la vita e le sue domande», all’interpretazione religiosa (cristiana) attraverso l’incontro e il dialogo con altre confessioni religiose e/o sistemi di significato. Questo permette un approccio al cristianesimo che supera l’astrazione dal vissuto e permette di rilevare la dimensione religiosa (cristiana) dell’esperienza in modo da cogliere la portata umanizzante della “cultura” cristiana. In questo “processo circolare” il confronto con il territorio diventa indispensabile. Le “competenze” acquisite nell’Irc contribuiscono alla compilazione del Portfolio personale dell’allievo. Per questo potranno e dovranno essere messe a disposizione: prove scolastiche significative, osservazioni docente-famiglia-allievo, indicazioni di sintesi utili all’esercizio delle funzioni proprie di questo strumento: la valutazione e l’orientamento. 45 M A T E R I A L I FINO ALL’ AULA Queste “Raccomandazioni” intendono accompagnare gli IdR in aula, dove la loro formazione viene effettivamente messa alla prova. Partendo dall’esperienza di insegnamento acquisita negli anni, dal desiderio di entrare nella riforma scolastica in atto portando un proprio autorevole contributo, si può guardare in avanti con una ragionevole speranza di arrivare “fino all’aula” e tradurre nel migliore dei modi le Indicazioni nazionali riguardanti anche l’Irc e qui riproposte. La sottoscrizione degli Osa appena presentati rappresenta l’atto ufficiale di questo disponibilità. Si tratterà di ripartire da dove eravamo arrivati. La Sperimentazione aveva messo in movimento persone ed energie, per un risultato che richiede senz’altro di venire ripensato ma che ha maturato alcune prospettive significative, di grande rilievo, dovute in particolare: - ad un Irc aperto alla scuola che si andava riformando; - ad una didattica ben concentrata sia per la coerenza dei contenuti che per modalità pedagogiche attenta ai singoli destinatari; - all’incontro e al dialogo con la/e cultura/e e con le altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane e con altre religioni; - ad una elaborazione dei testi scolastici più mirata; - all’incontro tra gli Idr delle diverse regioni d’Italia. Facendo quindi tesoro delle scelte didattiche emerse, in particolare del principio della correlazione, dei criteri dell’essenzialità e della progressione ciclica (anche se quest’ultimo per un’applicazione meno rigida), si tratta ora di continuare ad operare per promuovere un Irc sempre più dentro la scuola, capace di interagire con le altre discipline ed “educazioni” per un insegnamento che effettivamente contribuisca a raggiungimento di quelle attese espresse dalle “competenze” elencate dal Profilo e sintetizzate dal raggiungimento di una felice “convivenza civile”. E D O C U M E N T I Con l’attenzione di cui sopra, si possono valorizzare i risultati della Sperimentazione pubblicati nel Documento conclusivo della sperimentazione nazionale sull’IRC, n. 5 (2002). Le matrici progettuali stesse possono aiutare a traghettare il rinnovamento dell’Irc che in questi anni ha imparato a misurarsi, oltre che sul “credo” cristiano, anche sulla dimensione religiosa della cultura e della storia, con attenzione al dialogo con altre confessioni religiose e altri sistemi di significato. Sono uno strumento che, opportunamente adattato, può risultare utile agli Idr ed essere aiutati a saper scegliere, a provare e a lavorare tenendo conto sia della trattazione dei contenuti, con attenzione a nuclei tematici essenziali e significativi da sviluppare in forma progressiva e ciclica, sia del pluralismo culturale e religioso presente nel contesto attuale socio-culturale e quindi scolastico, nazionale, europeo ed anche locale. In questa fase bisognerà procedere su due piste di lavoro: - informare bene sulla riforma in atto e sulla ricaduta che essa ha sull’Irc; - predisporre dei percorsi didattici significativi. La responsabilità dell’attività di aggiornamento è diversamente distribuita, anche se alle Regioni, continuando una scelta che si va consolidando, spetterà la parte più rilevante ed operativa, con il contributo del Servizio nazionale per l’Irc e di alcune Università a ciò deputate. La forma dei “laboratori didattici” è sempre la più efficace, da attivarsi in varie forme di collaborazione, con l’intento di progettare e di sviluppare sul campo l’Irc all’interno del Pof, nel quadro del Decreto Legislativo del 19 febbraio 2004, n 59, avendo ben presente che la finalità dell’insegnamento sta nel contribuire in maniera decisiva perché gli alunni abbiano «a costruirsi una vita ben riuscita, dentro una prospettiva ricca di senso»7. Fonte: sito web della CEI all’indirizzo: www.chiesacattolica.it/cci_new/UfficiCEI/AllegatiArt/30/RACC_Prim.doc 7 Comunicato stampa CEI-MIUR del 23 ottobre 2003, in occasione della sottoscrizione degli “Obiettivi specifici” per l’insegnamento della religione cattolica nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria. 46 In quarta di copertina: Natività, affreschi della Badia di San Nicola, Castro dei Volsci (Frosinone), XII secolo. Essenzialità e semplicità caratterizzano la narrazione pittorica di questo affresco. Sono le qualità di molta narrazione iconografica popolare che ha vivificato l'immaginario religioso delle donne e degli uomini delle comunità cristiane dei paesi. L'anonimo pittore del XII secolo conosce gli elementi caratteristici della teologia delle icone della natività. Ma qui tutto è semplificato. Lo spazio iconografico di Maria è pari a quello di Giuseppe con il bambino. In un nimbo - quasi un letto - la sua figura si adagia e si espande in tutta la sua lunghezza, nell'atteggiamento della giovane madre da poco partoriente. La sua figura è primaria nella figurazione emozionale della gente. Il suo sguardo è angolato verso tutta la scena, ma mirabilmente orientato verso le figure in alto sulla destra. Il bambino è lì, quasi 'imbalsamato' in quel modo antico di 'impupazzare' i neonati: nascita e morte sono in quella stessa mangiatoia e in quello stesso sepolcro. Un fascio di raggi di luce investono dall'alto il suo capo e ne focalizzano la centralità Questo fascio di raggi di luce è l'unico elemento rettilineo di tutto l'affresco e proprio per questo focalizza l'attenzione e orienta verso il personaggio principale. Giuseppe è lì, con quel 'modulo iconografico' che lo caratterizza nell'arte occidentale: la mano sotto la guancia, come a prendere fiato, lo sguardo verso il bambino, come un artigiano anziano e padre che contempla suo figlio dopo una giornata di lavoro. Una linea curva in alto fa da grotta, ma anche da distinzione tra il mistero che ora si è 'mondanizzato' e 'incarnato' e gli angeli e i santi che nel riquadro in alto a destra contemplano e orientano il loro sguardo verso il bambino. Ma la dimensione terrestre di questo mistero è quella linea di color-terra che sostiene l'evento e che sulla destra sale in alto a configurare di contorni della grotta. Le aureole di tutti i personaggi inscrivono questi volti adoranti con quegli occhi puntiformi e fissi nel Mistero di quel bambino. Anche gli occhi teneri e 'adoranti' del bue e dell'asinello, i più vicini a quelli del bambino. La scelta di questo affresco è un invito a riscoprire intorno a noi la memoria cristiana che si è configurata in documenti iconografici che hanno costituito un teatro ludico della rappresentazione biblica e della fede dei cristiani. Che oggi continua anche nella rappresentazione che ogni bambino farà del suo 'Natale di Gesù' e in quei presepi che lo impegnano tanto fino all'Epifania. La semplicità di questa narrazione avvicina il bambino al Mistero e glielo 'umanizza' come un evento familiare. Perché questo bambino è il figlio di tutti coloro che riconoscono Dio come Padre. Quel fratello che ogni anno liturgicamente rinasce neonato per donarsi come il nostro piccolo grande fratello. (P. Troìa) 47