La violenza negli stadi e la sottocultura ultras
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UNIVERSITÁ PONTIFICIA SALESIANA Facoltà di Scienze dell’Educazione La violenza negli stadi e la sottocultura ultras Lavoro per il seminario di Sociologia della devianza Gruppo composto da: Elisabetta Maiorano, Federica Pero, Martina Scuderi, Sara Renzopaoli Professore: Vettorato Giuliano Roma, 2008-2009 INDICE Introduzione pag. 3 1. Capitolo primo pag. 4 1.1. Derivazione del termine ultras 1.2. Caratteristiche della sottocultura ultras 1.3. Caratteristiche della sottocultura hooligan 1.4. Quadro storico generale ultras e hooligan 1.4.1 Gli ultras 1.4.2 Gli hooligan 2. Capitolo secondo . pag. 11 2.1. Analisi del fenomeno 2.2 Tifo, forze dell’ordine e politica 3. Capitolo terzo pag. 16 Proposte di intervento in chiave preventiva Appendice pag. 20 Conclusione pag. 30 Bibliografia pag. 31 2 INTRODUZIONE Il lavoro realizzato nasce dal bisogno di analizzare un fenomeno oggi più che mai discusso. Abbiamo deciso di interessarci a questo tema perché da semplici chiacchierate tra amici, che frequentano assiduamente lo stadio, sono emersi aspetti interessanti che ci sembrava opportuno approfondire. Il presente studio ha l’obiettivo di analizzare la struttura del tifo organizzato, i meccanismi che regolano i rapporti tra gli appartenenti ai gruppi del tifo ultras e la mentalità con la quale essi agiscono; vale a dire quei valori di riferimento che li spingono a compiere azioni teppiste e ad avere comportamenti estremamente aggressivi nei confronti dei tifosi avversari. Per realizzare in nostro lavoro, abbiamo raccolto una serie di libri che trattavano l’argomento in questione, reperiti nella biblioteca. Dunque la prima fase del lavoro è stata quella di leggere tali libri e verificare che le informazione contenute fossero sufficienti per conseguire una ricerca completa. I libri della biblioteca, però, non erano esaustivi per i nostri obiettivi, così ci siamo orientate anche altrove (biblioteche comunali, librerie, collezioni private). Dunque ci siamo divise la lettura dei volumi, e ognuna ha relazionato i propri. I libri contenevano tutti informazioni interessanti e trattavano molteplici aspetti; per questo motivo il lavoro è stato impostato in modo tale che una o più volte a settimana ci incontrassimo e collaborassimo insieme nella stesura di ogni parte della ricerca. Il lavoro si divide in tre capitoli: nel primo abbiamo posto lo sguardo sull’aspetto storico – caratteristico trattando in particolar modo la derivazione del termine, le caratteristiche ultras e hooligan, quadro storico dagli anni ’50 ai giorni nostri; nel secondo capitolo la nostra attenzione si è spostata sulle cause che spingono i giovani adolescenti a prendere parte ai gruppi ultras, raccogliendo inoltre voci e testimonianze dirette con lo scopo di verificare la correlazione che intercorre tra il tifo calcistico e l’appartenenza politica; infine nella terza ed ultima parte ci occuperemo di proposte in chiave preventiva per ridurre la violenza negli stadi tenendo conto delle cause sociologiche e intervenendo direttamente su di esse. 3 1. CAPITOLO PRIMO 1.1 Il termine ultras, significato, origini e accezione odierna ULTRAS: la parola ultras deriva da ultras–royaliste, indicante i più fanatici attori del terrore bianco, durante la rivoluzione francese. L’ultras, oggi, è un individuo con desiderio di autonomia e rifiuto di ogni forma di controllo, dalle società sportive alle forze di polizia. Il movimento ultrà nasce e si sviluppa negli ultimi trenta anni, periodo segnato da grandi rivolgimenti sociali, culturali ed economici, dalla trasformazione tecnologica e dalla restrizione del mercato del lavoro. 1.2 Caratteristiche della sottocultura ultras codici di comportamento e mentalità Il termine “sottocultura”1 è definibile come un processo di socializzazione che coinvolge elementi della stessa generazione che condividono un insieme di atteggiamenti e comportamenti legati soprattutto alla gestione del tempo libero. Tutti questi atteggiamenti, attraverso l’assunzione di canoni comuni, sviluppano o accentuano il senso di appartenenza a un gruppo. Dunque, la sottocultura ultras, è organizzata al suo interno da gruppi. Il gruppo è qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri; quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza: il gruppo ha cioè caratteristiche diverse da quelle che troviamo nei singoli individui che lo compongono quando vengono presi individualmente, pertanto non è possibile comprenderne la natura analizzando il comportamento dei singoli membri. Quando il gruppo appare eccessivamente unito, la forte coesione rende il senso di appartenenza particolarmente forte, al punto che ogni individuo è pronto a “sacrificarsi”- in termini di libertà di espressione- agli obiettivi del gruppo stesso. 1 Giovanni FRANCESIO, Tifare contro. Una storia degli ultras italiani, [s.l.], Sperling & Kupfer, 2008, PP. 65. 4 Una delle posizioni chiavi all’interno di un gruppo, infatti, è quella del leader, ossia colui che esercita il comando del gruppo. È importante notare come il resto del gruppo segua le direttive del proprio leader. Gli ultras manifestano immediatamente una serie di caratteristiche che li rende un fenomeno originale nel calcio italiano: dal senso di identificazione con il proprio “territorio”, ovvero quel settore di curva delimitato da uno o più striscioni con il nome e il simbolo del gruppo, a un look paramilitare ripreso da quello in voga nelle organizzazioni politiche estremiste: eskimo, anfibi, tute mimetiche e giacconi militari ricoperti di “ toppe” della propria squadra, a cui si aggiunge la sciarpa con i colori sociali della squadra. Ma gli ultras si distinguono soprattutto per l’adozione di elementi del tutto innovativi nel modo di sostenere la squadra e, più in generale, di assistere alla partita: la sciarpata (le sciarpe vengono alzate e distese dai tifosi dando l’effetto ottico delle onde del mare), l’accompagnamento corale delle azioni di gioco, i fumogeni, gli striscioni. Subentra così per la prima volta il concetto di “coreografia della curva”, una pratica del tutto originale che si evolverà di pari passo con il grado di organizzazione dei gruppi ultras. La coreografia diviene il marchio dello stile italiano. È interessante notare come “cori e canti sono legati alla partita, ma hanno anche come tema ricorrente sfida a combattere e minacce verso i tifosi rivali; centrale è il fatto che i testi sono punteggiati da parole quali odiare, morire, combattere, prendere a calci, arrendersi, che evocano immagini di battaglia e conquista”.2 Inoltre, a differenza degli hooligan, la violenza è per gli ultras – influenzati dalla visione della politica come mezzo – solo una tra le opzioni che ha il gruppo. Gli ultras italiani affidano il proprio senso di identità soprattutto ad attività preparatorie per l’evento calcistico, che rappresenta il luogo simbolico dove mostrare il risultato del lavoro di organizzazione del tifo, dei sacrifici e della partecipazione, sia pratica sia emotiva, di tutta una settimana. 2 Norbert ELIAS - Eric DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 318. 5 1.3 Caratteristiche della sottocultura hooligan Gli inglesi oltre ad aver esportato il gioco del calcio, hanno esportato anche il male intorno ad esso: il football hooliganisme. Il tifoso hooligan va allo stadio principalmente per creare disordini e provocare liti, la partita è solo un pretesto. Le violenze sono per la maggior parte contro giocatori arbitri o forze dell’ordine. Il football hooliganisme nell’accezione odierna costituisce un esempio da imitare per i giovani tifosi di tutta Europa. Diverso è sempre rimasto inoltre il modo di tifare, più tribale e fisico quello inglese, più scenografico quello italiano. Diverso in parte è anche il modo di esercitare la violenza. Sono rarissimi, infatti, i casi in cui tifoserie italiane al seguito della loro squadra in Europa abbiano commesso violenze indiscriminate o vandalismi; questo perché la violenza degli ultras italiani, raramente è fine a se stessa, pura espressione di brutalità, ma è sempre diretta contro un presunto nemico, sia esso la tifoseria avversaria o la polizia. Diverso, infine, il rapporto con la nazionale. In Italia il rapporto tra gruppi ultras e nazionale si può dire che non sia mai esistito. In Inghilterra è esattamente l’opposto: i tifosi più violenti dei club sono gli stessi protagonisti delle minacciose spedizioni al seguito nazionale. Il football è un contesto per manifestare il bisogno di visibilità da parte degli hooligan, a volte anche con stili sociali eccessivi e pericolosi. Per gli appartenenti alle classi popolari alcuni comportamenti collettivi trasgressivi e violenti trovano un terreno privilegiato nello stadio. Questo è solo il luogo della celebrazione della lotta, fuori dallo stadio, prima e dopo, si svolge la preparazione e l’epilogo in un confronto con la società urbana. 6 1.4 Quadro storico generale ultras e hooligan 1.4.1 Gli ultras È dall’inizio degli anni ’50 che i tifosi di tutte le squadre hanno cominciato ad organizzarsi in club, a seguire sempre più numerosi la propria trasferta, a promuovere ogni sorta di iniziative. Negli anni ’60 si formano le prime vere strutture associative di tifosi, denominate “centri di coordinamento”. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 nascono in Italia i primi nuclei di ultras, gruppi di sostenitori fra i 15 e i 20 anni, che si distaccano nettamente dal modello “classico”, adulto, dello spettatore calcistico. La diffusione del movimento ultras è maggiore nell’Italia settentrionale. Se si escludono Napoli, Bari, Cagliari e Catanzaro, negli anni ’70 non esistono altre città del sud in cui gli ultras costituiscano un’entità davvero apprezzabile. Parecchi giovani, infine, risultano già aggregati in gruppi e movimenti politici. E sono proprio alcune caratteristiche dei gruppi politici estremisti, quali il senso di coesione e di cameratismo, la sfida all’autorità costituita, il senso di conflittualità, a dare sostanza ai gruppi ultras che in breve tempo riescono a radunare decine e decine di giovani. Le curve, infatti, vengono a poco a poco abbandonate dai club dei tifosi cosiddetti “ normali” che si trasferiscono altrove, per lasciare spazio agli striscioni ultras. In ogni caso, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 si assiste a un deciso incremento degli incidenti tra ultras contrapposti lontano dagli stadi. In questo decennio assistiamo a un progressivo e costante ingrandimento dei gruppi ultras. Negli anni ’80 le squadre godono poi di un seguito assai più ampio e costante rispetto al passato. La trasferta diviene un momento fondamentale nella vita di un ultras: andare in trasferta significa selezionare il gruppo e scoprire quanto ognuno si sente attaccato ai suoi compagni. 7 Il collegamento fra ultras e politica sembra invece, nei primi anni ’80, affievolirsi. In questo periodo si segnala un aumento nell’uso delle sostanze stupefacenti dentro gli stadi. Mentre i tossicomani abituali, frequenti negli anni ’70, spariscono dalle curve a causa delle perquisizioni sempre più severe, i fumatori di canne si moltiplicano in numero impressionante. A metà degli anni ’80 il movimento italiano ultras può dirsi dunque sulla cresta dell’onda. I gruppi contano su moltissimi aderenti, hanno rapporti più o meno stabili con le società sportive, ognuno di essi è strutturato secondo scale gerarchiche e organizzative, e dalle curve scompaiono i club dei semplici spettatori. Se consideriamo quanto avviene a partire dalle stagioni 1983-84/1984-85 si ha l’impressione che l’universo ultras entri in una fase di ulteriore trasformazione. In un quadro generale che vede crescere costantemente il tasso di violenza negli scontri e il numero dei disordini provocati dai tifosi ultras si assiste un po’ dovunque al proliferare di nuovi gruppi. L’influenza del modello hooligan sul movimento ultras italiano, presente sin dalle origini, diviene in questo periodo molto più evidente. Gli anni Novanta segnano il boom del “business in curva” e nel contempo sono caratterizzati dalla comparsa di molti nuovi gruppi che non si riconoscono in quelli vecchi, e che invece assorbono solo gli aspetti più superficiali del tifo ultras, come le coreografie con l’immagine aggressiva. Gli anni Novanta quindi portano cambiamenti strutturali all’interno delle curve con l’abbattimento delle gerarchie costituite, l’istituzione di nuovi gruppi e soprattutto con il ritorno alla politicizzazione ultras. Molte di queste aggregazioni, che sono composte da adolescenti o poco più, contribuiscono ad abbassare notevolmente l’età media in curva. Tali gruppi, oltre a rifiutare molti giovani assolutamente estranei da una minima cultura calcistica, mettono a repentaglio la vita stessa del movimento ultras, già profondamente colpito da un lento cambio generazionale. Tra il 1994 e il 1995 il mondo calcistico italiano è segnato da due grandi episodi di violenza: il primo, quello di Brescia, ha colpito soprattutto per la premeditata azione di guerriglia urbana, e per l’intreccio pericoloso fra gli ultras e il gruppo più attivo fra 8 neonazisti romani, il movimento politico che più tardi verrà sciolto dal Ministro degli Interni; il secondo, quello di Genova, verificatosi poco prima l’incontro fra Genoa e Milan (che portò alla morte per accoltellamento del giovane tifoso genoano Vincenzo Spagnolo) colpì per il profilo sociale degli aggressori, tutti appartenenti alla piccola borghesia milanese e facenti parte di un nuovo gruppo ultras. Questo è un momento importante per il movimento ultras; a partire da questo episodio, infatti, viene organizzato a Genova il primo raduno di tutti i rappresentanti dei principali gruppi ultras italiani. Un raduno che vuole essere un momento di riflessione data l’enorme pressione dei media dopo il caso Spagnolo. Da esso nasce il documento “basta lame, basta infami”, tentativo importante di auto-regolamentazione interna, che condanna l’utilizzo di armi da taglio durante gli incontri e auspica un ritorno alle vecchie norme e ai codici di comportamento dei gruppi storici; uno slogan che condanna il dilagare della violenza di curva, dove gli ultras sono chiamati a riflettere e ad interrogarsi su come si sia potuto arrivare a tanto. Ma dopo un campionato di “tregua”, gli incidenti sono riapparsi negli stadi causando ulteriori morti. Nel 2002 vari gruppi ultras si sono dati un coordinamento nazionale, il Movimento Ultras, che ha promosso raduni, dibattiti e manifestazioni di piazza per lottare proprio contro gli interventi sempre più aggressivi da parte delle autorità, ma anche contro il “calcio moderno” e la pay tv. In questo decennio, è da segnalare il riaffacciarsi e il risveglio della dimensione politica all’interno dello stadio, con particolare riferimento a gruppi legati all’estrema destra: più precisamente al “Fronte della Gioventù”. In questo contesto, nascono ulteriori gruppi con l’intento di diffondere i valori dell’estrema destra all’interno dello stadio, vedendo in esso un bacino d’utenza importante per il reclutamento dei giovani più aggressivi e facilmente condizionabili. Le ultime generazioni di tifosi, non solo rompono nettamente con il passato e con gli schemi comportamentali dei loro anziani predecessori, ma indirizzano il loro vero interesse verso la sfera politica, interpretando le partite alla luce di nuovi simbolismi, cori e slogan trovando nello stadio le loro gratificazioni in termini di status e identità. In sintesi, costoro ricercano nello stadio l’antica dualità perduta tra opposte ideologie, 9 ridando così nuovo vigore a quegli originari valori di riferimento che hanno caratterizzato la loro militanza politica. 1.4.2 Gli hooligan I primi anni ’60 vedono il sorgere di nuovi stili giovanili, nuove sottoculture che si affacciano prepotentemente sulla ribalta degli atteggiamenti e dei comportamenti dei giovani; e in questo periodo l’attenzione dei mass media verso il teppismo calcistico tende in ogni caso a ridursi, anche se non mancano gli episodi di violenza. Con gli anni ’70 il modello ultras inizia a manifestarsi in termini attuali e i disvalori della sottocultura hooligan iniziano a trovare un riscontro anche nel modo di tifare delle altre nazioni europee; e benché questo stile sia caduto in disuso, il retaggio dei comportamenti e degli atteggiamenti legati a questo tipo di sottocultura, è bene rappresentato nelle attuali tifoserie. Un primo tentativo di frenare questa ondata di violenza che in pochi anni spiazzò tutti, fu la recensione delle curve e la separazione dei gruppi di tifosi in trasferta. In questo clima di crescente violenza, gli inglesi diverranno consapevoli che l’hooliganisme non è un problema circoscritto nel solo gioco del pallone ma è il prodotto di un ben più grave dilagante disagio giovanile. Negli anni ’70, i primi schieramenti di polizia compariranno sugli spalti, così come le prime telecamere a circuito chiuso. Nella seconda metà di questo decennio gli hooligan erano costituiti da fasce sempre più considerevoli di disoccupati, al contrario della prima metà del decennio, in cui erano per lo più costituiti da lavoratori non specializzati e sottoproletariato urbano. Tali giovani disoccupati sfogavano la loro rabbia contro tutto ciò che rappresentava la legge e le istituzioni. Gli anni ’80 non smorzano l’ondata di violenza negli stadi, e come decenni precedenti annoveravano i loro caduti sul campo, anche questo decennio conterà le sue vittime tra i tifosi. Gli hooligan in questo periodo non sono gerarchicamente 10 organizzati al loro interno, ma agiscono in massa senza fare riferimento a un vero e proprio capo riconosciuto. È in questi anni che il vandalismo calcistico inglese cambia divenendo un fenomeno più inquietante e poco controllabile, con al suo interno precise strategie politiche. Questo viene percepito da tutto il continente europeo. 2 CAPITOLO SECONDO 2.1 Analisi del fenomeno Non si possono definire delle cause dirette che determinano questo fenomeno, ma si possono analizzare dei fattori che potrebbero spiegarlo: ¾ La maggior parte dei giovani adolescenti di oggi,sono ragazzi disinteressati ai problemi e agli aspetti della società, ma che poi verso essa si rivelano violenti e irrequieti (come per esempio nelle manifestazioni calcistiche). È risaputo quanto i giovani siano impegnati nella ricerca di soluzioni al problema dell’identità intellettuale e collettiva. Il prendere parte a gruppi ultrà rappresenta uno dei disperati tentativi di partecipare ai fatti collettivi di una società che scoraggia, devia, esclude, illude ed allontana dalla reale comprensione del senso generale e specifico dell’agire sociale. Nel gruppo si vince la timidezza, e aumenta l’arroganza.3 ¾ Secondo le ricerche condotte da Elias4, bisogna spostare l’attenzione sulla provenienza sociale dei soggetti ritenuti violenti e sul grado di integrazione della classe sociale di riferimento. Tali studi, almeno per il caso inglese, hanno dimostrato come la maggior parte delle persone coinvolte in tali episodi venga dagli strati sociali più bassi, caratterizzati da estrema povertà, lavoro precario, bassi livelli di istruzione, scarsa mobilità geografica, forte separazione tra i sessi, scarsa abilità nell’esercitare il controllo delle emozioni. In questa complicata circostanza, non è difficile 3 LABORATORIO PER LE POLITICHE SOCIALI, Giovani e violenza, Roma, Tipografica Editrice Romana, 1988, cap. 3. 4 Norbert ELIAS - Eric DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 318,. 11 immaginare come “le partite della squadra di calcio locale diventano i grandi, eccitanti avvenimenti di una vita altrimenti abbastanza grigia. Lì si può far vedere al mondo che si è parte di qualcosa. Ci si può vendicare di una società che non sembra rendersi conto o interessarsi. Già andando alla partita, nel proprio paese o all’estero, non si è più soli, non si è più soltanto in compagnia di un piccolo gruppo di amici che si vedono tutti i giorni. Ora ci sono centinaia, migliaia di persone uguali a sé. Ciò dà forza. Nella vita normale non si ha forza e si riceve scarsa attenzione. Come parte di una folla, invece, si è potenti. Alla stazione ferroviaria, andando alla partita, e ancor di più allo stadio, si può attirare l’attenzione. Si può sfidare un’altra persona e fare cose che nessuno dei due probabilmente farebbe mai da solo. Così senza sapere cosa si sta facendo ma godendo dell’eccitamento, si volgono le spalle all’establishment”.5 “L’interpretazione della violenza calcistica proposta da Elias e Dunning, e riscontrata nel contesto, non sembra del tutto applicabile ai casi di degenerazione del tifo italiano. Nei nostri stadi, infatti, i giovani che popolano le curve e che si rendono artefici di atti violenti, hanno un’origine sociale più interclassista; e il sottoproletariato urbano in Italia, oltre a non aver mai raggiunto le vaste dimensioni del suo corrispettivo inglese, non è mai riuscito ad esprimere una propria sottocultura”.6 ¾ Alcuni studiosi fanno notare “che la teoria di Elias non riesce a spiegare alcuni aspetti tipicamente moderni del comportamento degli spettatori sportivi, e in particolare la loro propensione a ritualizzare (e a conquistare stabilmente) gli spazi aperti pubblici. In altri termini non riconosce alcun ruolo autonomo agli spettatori delle manifestazioni sportive”. Notiamo invece “che proprio questo ruolo – e in particolare l’ascesa di un vero e proprio soggetto collettivo – è un aspetto relativamente nuovo dello sport contemporaneo”.7 Sulla base di queste considerazioni, studiosi come Dal Lago e Moscati rilevano che l’indagine del fenomeno sportivo non può essere condotta in modo isolato e non può 5 Norbert ELIAS - Eric DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989, pag. 68. Valerio MARCHI, Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa, Roma, Koinè, 1994. 7 Alessandro DAL LAGO – Roberto MOSCATI, Regalateci un sogno. Miti e realtà del tifo calcistico in Italia, Milano, Bompiani, 1992, pag. 16-17. 6 12 trascurare l’aspetto sociale, culturale ed economico di riferimento, in quanto “ogni società proietta, trasfigura o traveste in certi giochi e sport alcune caratteristiche profonde, [giochi che], rilevano più di ogni altra attività umana le metafore nascoste di una società”.8 2.3 Tifo, forze dell’ordine e politica ¾ Dall’ analisi cronologica dei provvedimenti attuati per arginare la violenza negli stadi in Italia e dalle dimensioni che questo problema ancora oggi continua ad assumere, risulta chiara la difficoltà (talvolta incapacità) delle istituzioni nell’elaborare efficaci strategie di prevenzioni ed equilibrate misure repressive. Lo dimostra, purtroppo, il ripetersi costante degli avvenimenti in cui la violenza è protagonista. Inoltre, per molti anni, i governi hanno interpretato il fenomeno solo come un problema di ordine pubblico contrastandolo unicamente con strumenti repressivi, con una conseguente blindatura degli stadi e con un numero sempre maggiore di forze dell’ordine impiegate nel presidiare i luoghi interessati e coinvolti, loro malgrado, con l’evento sportivo. Negli anni Novanta, quindi, la materia della sicurezza sia all’interno sia all’esterno degli stadi, sia prima sia durante sia dopo gli incontri di calcio, è stata oggetto di importanti interventi normativi diretti non solo a reprimere il fenomeno della violenza negli stadi ma soprattutto a prevenirla. Tra gli interventi più importanti ci sono state queste leggi: o la legge N. 401 del 13 DICEMBRE 1989, che vieta a coloro che hanno commesso atti violenti, durante manifestazioni sportive, di recarsi allo stadio; o il decreto–legge N. 336 del 20 AGOSTO 2001, che introduce il reato di lancio del materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive. 8 Ibidem, pp. 20-21. 13 o Decreto N. 28 del 6 Giugno 2005 (in vigore dal 2007) che prevede i biglietti di accesso allo stadio nominativi ( che vengono comunicati alla questura) e abbinati a un posto a sedere (quindi non cedibile a terzi), la videosorveglianza durante gli incontri sportivi,le norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi, il divieto di ingresso di qualsiasi materiale quale tamburi, bandiere, megafoni e grosse restrizioni per l’ingresso di striscioni. o Introduzione dell’Osservatorio Nazionale sulle manifestazioni sportive (Decreto N 28), che è un organo della polizia, in grado di poter decidere restrizioni e divieti sulle partite a rischio. Attualmente con le occasioni di scontro tra tifoserie opposte praticamente azzerate, i nemici dichiarati e più diretti dei tifosi organizzati sono proprio gli appartenenti alle forze di polizia, soprattutto a causa dell’inasprimento di queste misure repressive. Con l’inevitabile constatazione che la violenza negli stadi è ancora oggi – come già accadeva negli anni ’80 e ’90 - il principale problema di ordine pubblico italiano, è anche uno dei più consistenti costi del bilancio statale. Si può inoltre affermare che ad essere penalizzato è anche il tifo organizzato nelle sue espressioni più sane e civili, impossibilitato soprattutto a rivestire quel ruolo fondamentale di strumento per la socializzazione giovanile, insito nella sua natura. Analogamente, sarebbe d’altronde impossibile, pensare a degli stadi totalmente privi delle forze dell’ordine: di fronte a grandi folle o pubblici immensi – indipendentemente dal motivo che li ha spinti a radunarsi – gli incidenti e il panico sono in agguato, ed è dovere dello stato garantire la sicurezza dei cittadini e adoperarsi per evitare il peggio. Tuttavia negli interventi che si sviluppano negli immediati paraggi o dentro gli stadi non si nota per esempio alcuna riluttanza sia nell’uso di lacrimogeni che in quello del manganello. Eppure, in una curva affollata di pubblico si manifestano tutte le condizioni logistiche e ambientali considerate negative dagli stessi agenti. Nel caso dei lacrimogeni risultano innegabili sia l’assenza, o lo scarsità, di vie di fuga, sia il 14 coinvolgimento di “innocenti” ; la carica, invece, può suscitare, se appunto effettuata in una struttura chiusa, a gradinata e colma di folla, quella forma di panico di massa che ha già portato nel calcio a dei drammi. Va quindi sottolineata “un’evidente contraddizione di fondo tra quanto gli autori enunciano sui diritti del cittadino e quanto avviene invece negli stadi. Se infatti esiste nella funzione di polizia, anche in uno Stato democratico, una tensione oggettiva tra il potere e il diritto, tra l’intervento rapido ed efficace, che travolge resistenze e ostacoli, e il dovere di rispettare pienamente i vincoli giuridici, soprattutto i diritti di tutti i cittadini, nell’ambito del tifo calcistico questa tensione oggettiva non trova spesso mediazione. Allo stadio, meta di decine di spettatori, il diritto alla sicurezza personale non sembra coincidere quasi mai con le esigenze dell’ordine pubblico, concetto peraltro vago e soggetto al mutar dei tempi. Dunque la decisione di quale sia la priorità, tra ordine pubblico e sicurezza del cittadino, è infatti nelle mani dell’istituzione stessa. Il poliziotto sarà dunque dotato di un alto potere decisionale dal momento che nella propria attività quotidiana deve applicare norme astratte a tipologie concrete di individui e situazioni”9. Oltre alla questione di quale debba essere la priorità tra ordine pubblico e sicurezza del cittadino, subentra la questione della stigmatizzazione da parte del resto della società. Questo causa da un lato l’attribuzione di responsabilità relative a soggetti ben definiti (se in un gruppo di venti tifosi, uno di essi commette un atto violento, le agenzie di informazione parleranno di un intero gruppo di teppisti ultras); dall’altro fornisce la possibilità di utilizzare il proprio ruolo, come mezzo di difesa, di attacco o di adattamento ai problemi che l’etichettamento ha loro creato. Espressioni di tensioni e partecipazione all’evento, un tempo accettate come normali o comunque tollerate, ora sono state caricate di significati trasgressivi nuovi perché interpretati da appartenenti ad un'altra cultura. Ad accentuare questo processo hanno contribuito poi i mass-media che hanno finito per equiparare ogni aspetto simbolico 9 V. MARCHI, Il derby del babmino morto, pag. 75-76, op. cit. 15 di aggressività alle manifestazioni di reale violenza teppistica suggestionando così l’opinione pubblica. Questo processo tende a provocare il fenomeno dell’ “etichettamento” e cioè della generalizzazione. 3. CAPITOLO TERZO Proposte di intervento in chiave preventiva La violenza esplode negli stadi, ma nasce al di fuori; in termini di rimedi, bisogna ricercare qualunque intervento efficace per rimuovere le cause dei malesseri sociali. Dovendo individuare delle proposte di intervento riguardanti il fattore sociologico, ci troviamo in difficoltà nell’elaborare soluzioni concrete. Quest’ambito, infatti, è talmente ampio che richiede, per un cambiamento, l’intervento integrato di più enti. Per quanto riguarda le ricerche condotte da Elias10, egli considera la posizione economica delle persone che partecipano alle manifestazioni sportive. Oggi la situazione è cambiata e non si può riconoscere la provenienza sociale come causa diretta dei fenomeni di violenza (la curva nasce infatti come settore popolare, ma si evolve divenendo settore del tifo più acceso). Dopo aver considerato questi fattori, abbiamo tracciato alcuni suggerimenti concreti di intervento, sia a livello globale che locale. Livello globale: o La lotta alla violenza dovrebbe partire dagli attori principali dello sport: i calciatori. Questi rappresentano per i più giovani figure carismatiche da consacrare e spesso, l’esempio che danno, non è da seguire: storie di doping e scontri in campo caratterizzano ormai da molto tempo il nostro calcio. È da notare come i calciatori non vengano, inoltre, sanzionati allo stesso modo dei tifosi. Questa mancata parità di trattamento potrebbe rappresentare un motivo in più per creare frustrazione tra i tifosi più accesi. 10 Norbert ELIAS - Eric DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989. 16 o Gli organi di informazione dovrebbero dare il giusto risalto, senza esagerare, agli atti di violenza e, al contrario, valorizzare opere benefiche e di solidarietà iniziate dai gruppi ultras, ( vedi iniziative di solidarietà a favore dei terremotati d’Abruzzo). o Altra soluzione potrebbe essere quella della privatizzazione degli stadi. Questo vuol dire che la società avrebbe in suo possesso l’intero stadio e risponderebbe di atti non conformi allo sport; di conseguenza le società calcistiche sarebbero investite di una maggiore responsabilità e di un maggiore interesse alla prevenzione. Bisogna inoltre tenere presente che gli stessi tifosi, in tal caso, sarebbero più restii a commettere danni che andrebbero a carico economico della stessa società. o Iniziative da parte delle società sportive di sconti e promozioni per i bambini e le famiglie contribuirebbero notevolmente a creare all’interno delle strutture sportive un clima meno teso e violento. o La prevenzione che ha attuato il governo è riassumibile con la tessera del tifoso, attraverso la quale si andrà ad eliminare il biglietto cartaceo a favore dell’archiviazione dei movimenti del singolo tifoso. Rilasciata dalla questura solo a coloro che non hanno mai avuto sanzioni amministrative di tipo DASPO (diffide), anche se scontate o per fatti non sussistenti reato. Questo tipo di intervento preventivo, attuato per ora solamente dal Milan F.C., comporta agevolazioni sull’acquisto dei biglietti e iniziative in rapporto con la squadra, ma aumenta l’attrito già esistente tra tifosi/forze dell’ordine, ( visto che la tessera viene rilasciata dalla questura), e inoltre è anticostituzionale, poiché vieta l’ingresso a persone che in alcuni casi non hanno commesso alcun reato. A livello locale: o Una prevenzione attuabile a livello locale potrebbe essere quella della sensibilizzazione allo sport nelle scuole. È importante diffondere una giusta cultura dello spirito sportivo di sana competizione e agonismo alla pari di altre materie scolastiche. 17 o Una prevenzione dovrebbe essere anche attuata nelle manifestazioni sportive dilettantistiche dove si verificano gli stessi episodi. Risolvere il problema a livello locale sarà utile per poter risolvere quello a livello globale. Dunque, lo sport dovrebbe essere rappresentanza di valori e modelli individualistici ed egualitari insieme, dev’essere passione e agonismo, ma non deve sfociare in fanatismo, guerriglia ed esagerata conflittualità. Tuttavia ancora oggi è proprio nel processo di spostamento dell’oppressione della vita agli spalti che i giovani tifosi impongono il loro comportamento, dando origine al fenomeno della violenza sportiva in un estremo tentativo di consolidamento dell’identità individuale e sociale degli stessi: in quest’ambito si introduce la violenza nello sport. Essa rappresenta uno dei disperati tentativi di partecipare ai fatti collettivi di una società che scoraggia, devia, esclude, illude ed allontana dalla reale comprensione nel senso generale e specifico dell’agire sociale. Tanto le autorità pubbliche quanto le organizzazioni sportive indipendenti hanno responsabilità distinte, ma complementari nella lotta contro la violenza e l’intemperanza dei tifosi ed è fondamentale il momento della prevenzione nel campo sociale ed educativo. Si tratta, è evidente, di una vasta e globale politica di prevenzione primaria che richiede il generale coinvolgimento di tutti gli educatori: la famiglia, la scuola, le istituzioni. Solo così il giovane potrà crescere in un forte “humus sociale” ed educativo destinato a realizzare un più ordinato modello di vita, a discapito di delusione, sfiducia, sospetto e rancore Il ruolo dell’istituzione, dunque, diventa quello di attenuare il senso di disagio derivante dalla mancanza di prospettive, dal venire meno di stabili esempi comportamentali e di valori. Allo Stato, alle forze dell’ordine, agli enti locali si chiede un valido contributo sul piano legislativo e della prevenzione. Questo è un punto importante. I provvedimenti e le leggi prese ultimamente non hanno tenuto conto delle vere esigenze, ma hanno contribuito a creare tensione all’interno degli 18 stadi. Per fare una legge, lo stato dovrebbe essere informato di come veramente funzionano le cose all’interno dello stadio (come dice Massimo P. nell’intervista). Inoltre, compito dei comuni deve essere quello di educare anche attraverso la pratica dello sport allargata a tutte le fasce di età e a tutti gli strati sociali. In conclusione, lo sport dovrebbe essere inteso come elemento determinante per il benessere fisico e psichico dell’uomo, che va garantito all’individuo nel contesto di una società serena, tranquilla e sana. Esso deve divenire mezzo di difesa da devianza, solitudine e autoemarginazione. Lo sport, in una parola, dovrebbe riuscire a diventare termine opposto alla violenza stessa, dovrebbe essere messo in grado di creare uomini e cittadini migliori. 19 APPENDICE 20 Voci e testimonianze dal mondo ultras: la parola ai protagonisti che hanno vissuto e vivono il fenomeno dall’interno. Da quanto emerge dalle interviste analizzate notiamo che si inizia a frequentare lo stadio in età post-adolescenziale; l’elemento che spinge a prender parte ai gruppi organizzati, è un forte sentimento di passione per la propria squadra (nei due casi citati la Roma), nonché spirito di aggregazione e di divertimento. Dallo scrittore Valerio Marchi e dal Sottoufficiale dei Carabinieri, Massimo P., emerge come la struttura dei gruppi sia semplice e informale; i “capi” parlano al megafono e gli atri li seguono. Vige dunque un criterio di anzianità, se così si può dire. I rapporti con gli altri gruppi dipendono da fattori di varia natura; con quelle tifoserie che non hanno avuto atteggiamenti vili e infami, come fare nomi di tifosi alla polizia, i rapporti restano sereni, però, ad esempio, l’arrivo di un nuovo gruppo crea spesso discussioni per questioni di “territorio”, dato che ogni gruppo occupa già un settore all’interno della curva. Si percepisce dunque come la curva sia disunita. Per ciò che riguarda la politica i gruppi sono implicitamente schierati, ma a livello esplicito, l’appartenenza politica non è un fattore fondamentale. Spesso all’interno delle tifoserie vi sono esponenti di movimenti politici, nonostante non abbiano una notevole influenza sul resto del gruppo. Ricordiamo come, soltanto dal 2000, la curva sia politicizzata e siano apparsi simboli politici al suo interno. L’avere idee politiche convergenti, sicuramente consente di mantenere buoni rapporti e frequentarsi anche fuori dallo stadio. I rapporti con le forze dell’ordine sono pessimi, di reciproca intolleranza. Sui provvedimenti in tema di violenza negli stadi emessi dal ministro Pisanu, entrambi gli intervistati sembrano essere alquanto scettici, li reputano ridicoli e puramente strumentali. 21 INTERVISTA : Massimo P. Sesso: maschile Età: 38 Professione: sottufficiale in servizio nell’arma dei carabinieri Da quanti anni segui la Roma? Sono entrato per la prima volta allo stadio a 4 anni ed è dal 1987 che sono abbonato in curva sud. Che cosa rappresenta per te la Roma? Un sentimento, un qualcosa che ti senti dentro che ti fa gioire, soffrire, emozionare, piangere. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a entrare nel tuo gruppo? Quando andavo allo stadio da bambino rimanevo fissato a guardare la curva sud, mi sono detto che quando sarei cresciuto ne avrei fatto parte e così nel 1987 ho fatto l’abbonamento in sud da solo. Sono cresciuto negli Stati Uniti e quindi non avevo molti amici a Roma e comunque non un gruppo con cui andare allo stadio, così mi sono presentato in curva da solo e poi ho conosciuto Sergio un tipo stravagante ma molto simpatico, lui era uno dei leader del Commando Ultrà Curva Sud, siamo diventati amici e così sono entrato nel gruppo, che in quel periodo, era il gruppo leader della curva. Appartieni ancora ad un gruppo? No, dopo che il CUCS si è sciolto (meglio dire così, visto che è stato sciolto con un’azione premeditata e con la violenza) non mi sono unito ad altri gruppi, ora seguo la partita con un gruppetto di amici, siamo una decina. Per quali motivi nasce il tuo gruppo? Il 9 Gennaio 1977 seguendo l’esempio dei primi gruppi ultrà che si davano da fare (gli ultrà Granata), tutti questi gruppi (Guerriglieri della Curva Sud, Pantere, Boys e Fossa dei Lupi), decisero di unirsi formando così il CUCS. Il Commando di allora (che in trasferta portava di solito lo striscione più piccolo Ultrà Roma) era un gruppo 22 ultras nel vero senso del termine. Dal 1977 al 1987 il CUCS ha fatto scuola in Italia e nel mondo: tifo continuo e compatto in casa e in trasferta, tutti schierati se c’erano problemi, nessun rapporto con la società A. S. Roma. Che tipo di struttura ha il tuo gruppo? Semplice, c’erano dei responsabili suddivisi per territorio, mentre allo stadio c’erano coloro che con il megafono chiamavano i cori, una decina di persone ( tra cui molte ragazze) che suonavano i tamburi e una folla di ragazzi e ragazze che urlavano il loro amore per sostenere la squadra. Esiste una gerarchia all’interno del tuo gruppo? Come in tutte le strutture gli “anziani” del gruppo ne tenevano le redini, personalmente li rispettavo, ricordo con affetto tutte le “cazziate” che prendevo quando mi distraevo e magari non cantavo, visto che il mio posto era proprio di fronte ad Ale, colui che aveva il megafono. Come sono i rapporti con gli altri gruppi? Io come detto mi sono unito al gruppo quando ormai era in declino (1987 – 1988), il gruppo era costituito principalmente da ragazzi di giovani età e ragazze, quindi agli occhi degli altri gruppi stavamo perdendo considerazione, anche perché sotto l’aspetto del “combattere” il gruppo aveva perso molto. Cosa accade all’eventuale arrivo di un altro gruppo? A volte vi erano divergenze con gli altri gruppi, noi eravamo posizionati in basso ed al centro della curva e se gli altri scendevano per discutere (in modo particolare i Boys) spesso si veniva alle mani. Il tuo gruppo è politicamente schierato? (se sì: come ti poni in questo contesto) No, il CUCS non era schierato, ma del resto sino al 2000 non si faceva molta politica in curva anzi posso affermare che non si faceva affatto. All’interno del tuo gruppo ci sono esponenti di movimenti politici? 23 Si, almeno uno sicuro, visto che si è presentato più volte alle elezioni, ma non ha mai fatto politica in curva, se non chiedere i voti agli amici e come detto il CUCS non ne faceva. È sempre stato così, oppure hai notato cambiamenti politici? Anche se non faccio più parte di un gruppo sono rimasto in curva e sicuramente ho notato i cambiamenti in questione, in modo particolare dopo il 2000, ovvero dopo che il CUCS è stato sciolto, la curva si è politicizzata e sono apparsi i simboli politici al suo interno. Ad oggi sono almeno tre i gruppi politicamente schierati. I rapporti tra i membri appartenenti allo stesso gruppo, sono di matrice politica? Sicuramente per quei gruppi politicamente schierati, avere in comune le ideologie politiche consente loro di frequentarsi anche fuori dallo stadio nelle varie manifestazioni e quindi di poter creare un’amicizia che li porta poi a ritrovarsi nello stesso gruppo. Esistono ancora oggi gemellaggi tra gruppi di tifoserie diverse? Si, molte tifoserie sono gemellate, ma la Roma non ha gemellaggi, non più. Di quale natura sono? Magari ci si gemellava con quelle tifoserie che erano “nemiche” della Lazio o che comunque si aveva una certa affinità, ma come detto, ad oggi la Roma non ha più gemellaggi. Chi stabilisce questo tipo di alleanza? I leader del gruppo senza dubbio, loro rimangono in contatto con i leader delle altre tifoserie e comunque tra loro si conoscono. Quale tipo di tifoseria rispettate anche se nemica? Credo di poter dire quelle tifoserie che non hanno avuto atteggiamenti “infami” come fare nomi di tifosi alla polizia o responsabili di attacchi vili. In base alle considerazioni fatte, percepisci la “curva” unita o disunita? Al momento posso affermare che la curva è unita. Un singolo tifoso, o un nuovo gruppo, può esibire simboli diversi dai vostri? 24 Dipende dal simbolo e comunque se non conforme al pensiero comune è meglio che non lo faccia. Quali sono i rapporti con la stampa? Tranne i rapporti che hanno i leader della curva con le radio locali che trattano l’argomento Roma, tutti gli altri rapporti con i vari mass–media sono pessimi, i giornalisti non sono ben visti, soprattutto quelli che sbattono i nomi dei tifosi in prima pagina. Quali sono i rapporti con la società di appartenenza? Da quest’anno sono migliorati, ma l’anno scorso erano pessimi, dipende molto dai risultati della squadra, l’eventuale campagna acquisti ed il costo dei biglietti. Quali sono i rapporti con le altre autorità sportive? Pessimi, in modo particolare con la Federazione Italiana Gioco Calcio e la lega calcio, basta vedere chi ne è a capo (Carraro e Galliani). Secondo un tuo parere, esistono scontri tra tifoserie programmati in precedenza? La storia dice di si. Sono avvenuti in passato e magari avverranno nuovamente, comunque chi cerca lo scontro sa bene come trovarlo. Come sono i rapporti con le forze dell’ordine? Alquanto pessimi, ormai è odio totale. A questo proposito è emblematico cosa è avvenuto domenica a Verona (30 Aprile 2006), si è applaudito allo striscione in onore dei caduti a Nassiriya, si è cantato l’inno al momento del minuto di silenzio ma, come terminato, dalla curva si è levato un coro contro i carabinieri. Come giudichi i nuovi provvedimenti in tema di violenza negli stadi emessi dal Ministro Pisanu? Personalmente li trovo ridicoli, hanno solo allontanato tanta gente dagli stadi, basta pensare che se si va in trasferta e non si ha il biglietto si viene rispediti immediatamente a casa. Ok vado a Torino, non trovo il biglietto, allora… posso da cittadino italiano, essere libero di farmi una passeggiata, mangiare qualcosa e poi tornare a Roma, e invece no. Vengo immediatamente rimesso sul primo treno disponibile e rispedito a casa come chissà cosa. Non solo, per alcune trasferte si è 25 costretti con documento in mano, a dichiarare le proprie generalità davanti ad una telecamera della polizia (Messina e Firenze). Oppure con il biglietto nominativo se mi ammalo e voglio dare il mio abbonamento ad un mio amico o ad un familiare non posso se non faccio una delega 48 ore prima e la invio per fax alla società Roma, quindi è vietato ammalarsi il girono prima della partita, per non pensare poi che se qualcuno alla luce di una bella giornata di sole decidesse all’ultimo di andare allo stadio e magari portare con sé la famiglia non può perché ora è impossibile acquistare allo stadio, il biglietto della partita. Mi piacerebbe che le leggi le facessero coloro che conoscono il mondo ultra e sanno cosa significhi andare allo stadio. Una cosa è certa, in curva ci sono delinquenti, ma una curva a Roma, contiene dodicimila persone, sfido chiunque in qualsiasi contesto che vede riunite dodicimila persone a trovare dodicimila anime candide. In curva ci si trova di tutto, dal delinquente al figlio di papà, dal ladro al poliziotto, dallo studente all’operaio e così via. 26 INTERVISTA : Valerio Marchi Sesso: maschile Età: 50 Professione: libraio Da quanti anni segui la Roma? Non mi ricordo, avrò avuto sei o sette anni. Allo stadio però ho iniziato intorno ai 14 – 15 anni. Che cosa rappresenta per te la Roma? La mia tribù. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a entrare nel tuo gruppo? Fun fun fun. Appartieni ancora ad un gruppo? Brigata Borghetti area Fedayn. Per quali motivi nasce il tuo gruppo? Fun fun fun. Che tipo di struttura ha il tuo gruppo? Informale, siamo una trentina e non facciamo proselitismo. Esiste una gerarchia all’interno del tuo gruppo? Si, di anzianità. I fondatori (alcuni di noi) e gli altri (“pischellame” vario). Come sono i rapporti con gli altri gruppi? Dipende da quali. Buoni con i Fedayn e l’ex area CUCS, fegati, mob life, XXI Aprile. Inesistenti con gli altri. Cosa accade all’eventuale arrivo di un altro gruppo? E ‘ndo se mette? Se trova posto senza rompere i coglioni agli altri, buon per lui. Il tuo gruppo è politicamente schierato? (se sì: come ti poni in questo contesto) Beh, alla fine siamo tutti di sinistra, ma allo stadio buttiamo più sul cazzeggio alcolico, che sull’impegno politico. 27 All’interno del tuo gruppo ci sono esponenti di movimenti politici? Si, per quel che conta. Ma che vuol dire “esponenti”? gente che conta? Boh?! È sempre stato così, oppure hai notato cambiamenti politici? Sempre così. I rapporti tra i membri appartenenti allo stesso gruppo, sono di matrice politica? Di matrice alcolica, direi (vedi anche il nome del gruppo). Esistono ancora oggi gemellaggi tra gruppi di tifoserie diverse? Amicizie più che gemellaggi. Di quale natura sono? Magnà e beve. Chi stabilisce questo tipo di alleanza? Maddai, e che siamo il pentagono!? Quale tipo di tifoseria rispettate anche se nemica? Tra i nemici gli atalantini. In base alle considerazioni fatte, percepisci la “curva” unita o disunita? Disunita. Un singolo tifoso, o un nuovo gruppo, può esibire simboli diversi dai vostri? Vedi risposta alla domanda precedente. Quali sono i rapporti con la stampa? Nulli. Quali sono i rapporti con la società di appartenenza? Inesistenti. Quali sono i rapporti con le altre autorità sportive? Del tipo? Secondo un tuo parere, esistono scontri tra tifoserie programmati in precedenza? Capita. A volte ci si danno delle punte. Come sono i rapporti con le forze dell’ordine? Di reciproca intolleranza. 28 Come giudichi i nuovi provvedimenti in tema di violenza negli stadi emessi dal Ministro Pisanu? Puramente strumentali, funzionali agli interessi del sistema calcio. 29 CONCLUSIONE Durante la realizzazione del nostro lavoro, ci siamo trovate abbastanza in difficoltà nel trovare delle proposte d’intervento concrete e attuabili, soprattutto dovendo individuare delle soluzioni riguardanti il fattore sociologico. Quest’ambito, infatti, è talmente ampio che richiede, per un cambiamento, l’intervento integrato di più entità. Siamo riuscite dopo numerosi incontri e riflessioni sull’argomento a trarre alcuni spunti che potrebbero portare a dei piccoli miglioramenti. Formulare, inoltre, osservazioni oggettive in merito all’argomento trattato, è risultato a volte problematico, poiché si è voluto trovare un punto di vista che non fosse di parte, né nei confronti del tifoso ultras, né nei confronti della società e delle forze dell’ordine. Fortunatamente nella ricerca del materiale abbiamo reperito testi che riportano voci dirette di ambedue le parti. Ci teniamo a sottolineare che il nostro obiettivo non era quello di fare un processo alle intenzioni, bensì cercare di proporre delle soluzioni che risolvano il problema alla radice. Trattando le motivazioni che portano a prender parte a questi gruppi ultras, ci siamo rese conto di come le verità siano da ricercare più in generale nella società. Criticare, etichettare, stigmatizzare non aiuta a capire e a fornire un valido contributo per la risoluzione del problema. Rileggendo l’intero lavoro e ripercorrendo tutte le tappe, crediamo di esserci molti impegnate nello svolgere bene il compito assegnatoci, sperando di aver dato un contributo, seppur minimo, alla ricerca. 30 BIBLIOGRAFIA: D. COLOMBO - D. DE LUCA, Fanatics. Voci, documenti e materiali dal movimento ultrà, Roma, Castelvecchi, 1996; G. TRIANI, Tifo e supertifo. La passione la malattia la violenza, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994; G. FRANCESIO, Tifare contro. Una storia degli ultras italiani, Sperling e Kupfer 2008; R. DE BIASI, You’ ll never walk alone. Mito e realtà del tifo inglese. Perugia, Shake edizioni, 2008; V. MARCHI Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio, Roma, Derive Approdi, 2005; N. ELIAS – E. DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, il Mulino, 2001; L. BERZANO, Giovani e violenza:comportamenti metropolitana,Torino,Ananke, 1998; collettivi in area L. ROSSI, Adolescenti criminali, dalla valutazione alla cura; Carocci, 2004; A. BALLONI, Sportivi tifosi violenti; Clueb, 1993; LABORATORIO PER LE POLITICHE SOCIALI, Giovani e violenza, Roma, Tipografia Editrice Romana, 1988; A. DAL LAGO, R. MOSCATI, Regalateci un sogno. Miti e realtà del tifo calcistico in Italia, Milano, Bompiani, 1992; A. ROVERSI( a cura di), Calcio e violenza in Europa, Bologna, il Mulino, 1990. 31
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