La citta 25.indd - CAN Capodistria

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La citta 25.indd - CAN Capodistria
Anno 12
Numero 25
Dicembre 2007
Foglio della comunità italiana di Capodistria
Il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi,
incontra a Lubiana i rappresentanti della CNI.
Il logo del neocostituito Centro italiano
»Carlo Combi«. La sede è in Via Kette 1.
Sito www.carlocombi.net.
Il coordinatore culturale della CNI di Capodistria,
Mario Steffè, inaugura la mostra del fotografo
fiumano Rino Gropuzzo.
La città
SALVIAMO UN EDIFICIO DELLA CAPODISTRIA STORICA!
Dopo il recente discutibile riassetto della via Cankar (l'ex popolare via Eugenia), "decorata"
ora da imponenti palme messicane su marciapiedi di cemento stampato (improbabile imitazione
del lastricato in pietra), fino a ridosso del Brolo e del Duomo, l'amministrazione del Comune città
di Capodistria - con l' avallo del consiglio comunale e purtroppo anche con il silenzio delle istituzioni
e dei rappresentanti della nostra comunità nazionale - ha annunciato il prossimo abbattimento
dell'edificio che da decenni ospita gli uffici della polizia in piazza Ukmar, in riva al mare, dove - stando
a quanto annunciato dal sindaco Boris Popovič - dovrebbe sorgere una "grandiosa fontana".
A parte il pleonasmo architettonico e urbanistico
a forte rischio kitch di una fontana in riva al mare,
è veramente triste che tale decisione abbia ottenuto
il consenso dell'ente preposto alla tutela del
patrimonio culturale. L'edificio in questione non è
"nuovo", non è stato costruito nel dopoguerra; con un
secolo di presenza in questo punto della città è parte
integrante del centro storico, della sua fisionomia,
come lo erano d'altronde i vecchi edifici attigui
e i magazzini purtroppo abbattuti nell'immediato
dopoguerra. L' edificio di tre piani è una
costante in numerose
cartoline
d'epoca della
Capodistria del primo Novecento. Prima della
seconda guerra mondiale ospitò la guardia di finanza
del Regno d'Italia, dopo la guerra offrì alloggio ai
primi lavoratori di Radio Capodistria e ospitò pure
il primo atelier di due importanti artisti locali: Oreste
Dequel e Jože Pohlen. L'edificio fu restaurato nel
rispetto dell'architettura tradizionale anche se - per le
necessità della polizia che vi si insediò - negli anni
50 venne costruita un'ala anche architettonicamente
posticcia.
Recentemente il consiglio comunale ha decretato una
riduzione dell'area del centro storico sottoposto ai
criteri di tutela del patrimonio storico-culturale che,
oltre all'area delle ex saline (la Bonifica), esclude
inspiegabilmente da ogni tutela tutta la linea di
contatto del centro storico con il mare: il vecchio
porto, il mandracchio e il molo della Porporella,
attualmente già in fase di ristrutturazione.
L' amministrazione comunale ha deciso, purtroppo
senza possibilità di appello - nel suo collaudato stile
del fatto compiuto votato in consiglio comunale
senza dibattito grazie ad una preponderante maggioranza di abbattere un edificio che data agli albori del
ventesimo secolo e che, con i suoi vani di circa 2000
metri quadri, potrebbe rappresentare un'opportunità,
un'ulteriore arricchimento per l'economia e la cultura
cittadina.
Recentemente sia il partito Oljka (Ulivo), sia altri
soggetti cittadini hanno proposto un uso razionale,
alternativo e di pubblica utilità dell' edificio:
la creazione di un museo della pesca o dell'ecologia
marina. Svariate sono le possibilità che, rivalutando
l'edificio, arricchirebbero l'offerta di Capodistria: un
museo, un centro culturale, delle gallerie, uno spazio
espositivo, un albergo, un ristorante...
L'opzione
assolutamente meno
razionale - in
linea
con
le
tentazioni archittetonicamente
"rivoluzionarie" e
demolitrici
dell'immediato
dopoguerra - è quella proposta e approvata
dall'amministrazione del Comune città di Capodistria
. Demolire quell'edificio è un atto incomprensibile,
irrispettoso nei confronti della Capodistria storica e
illogico anche dal punto di vista strettamente
economico: che senso ha distruggere 2000 metri
quadrati di vani perfettamente funzionali il cui valore
di mercato supererebbe attualmente i 6 milioni
di euro? Tale atteggiamento ricorda il peggior
periodo del dopoguerra quando la nuova architettura
"industriale", "socialista" e "modernista" distrusse
una consistente fetta del perimetro urbano storico. Se
molto venne comunque salvato allora (ad esempio in
riva al mare i magazzini del sale - l'odierna Taverna)
lo si deve alla presa di coscienza ed all'impegno
di un gruppo di cittadini che dissero "no" ad una
radicale metamorfosi architettonica e urbanistica
della città rinascimentale, comunque brutalmente
deturpata da alcuni tristi interventi architettonici e
dalla costruzione del porto. Gli obbrobri di allora
non legittimano o giustificano in alcun modo una
mancanza di sensibilità analoga oggi.
Da capodistriani desideriamo lanciare anche dalle
pagine di questo giornale il cui nome testimonia e
spiega la nostra particolare sensibilità e la nostra
preoccupazione per le sorti di questa nostra città
e della sua identità un ultimo accorato appello al
buon senso e soprattutto alle istituzioni (compresi
naturalmente il sindaco, i vicesindaci, il consiglio
comunale e l'ente per la tutela del patrimonio storico
e culturale) che ancora possono fermare le ruspe
ed evitare la demolizione di un edificio che è parte
integrante del centro storico di Capodistria.
Franco Juri
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La città
LE DUE MINORANZE DOPO SCHENGEN
Convegno, Trieste, 1 dicembre 2007
Progetto europeo “SA.PE.VA. Studio, Analisi, Promozione E VAlorizzazione del Patrimonio Culturale,
Storico e Linguistico delle Comunità Nazionali Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera”
di Maurizio Tremul
Presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana
Con la piena integrazione europea degli Stati e con la caduta dei confini, secondo una
concezione strabicamente liberale, le Minoranze dovrebbero cessare di esistere, ovvero
non necessiterebbero più di particolari strumenti di tutela e godere del principio della
discriminazione positiva. La caduta del confine non sopprime, sic et simpliciter, le
Minoranze, che non esauriscono il loro ruolo. In realtà quale ruolo diverso dovrebbero
avere gli appartenenti alle Minoranze se non quello che hanno gli appartenenti alle
Maggioranze? Dopo Schengen, quindi, non si può presentare il quesito di quale senso
abbiano le minoranze analogamente a quanto avviene per le maggioranze, i popoli, le
nazioni, gli Stati. Le minoranze, anzi, possono contribuire ulteriormente a favorire la
sana contaminazione delle zone liminari, la collaborazione tra le aree di contatto, quali
luoghi di incontro, di dialogo, di intersezione e interazione, rendendoli più ricchi.
La domanda di come questi profondi mutamenti
influiranno anche sulla realtà e sullo status delle
nostre due Comunità Nazionali è certamente
legittima. Questi processi, infatti, incidono
in genere sulla vita delle genti di confine,
immaginiamoci lì dove correva la cortina
di ferro: anche se meno rigida di quella che
divideva i Paesi occidentali da quelli del blocco
sovietico, era pur sempre una salda barriera che
divideva due mondi contrapposti.
Rudi Pavšič (SKGZ) e Maurizio Tremul (UI).
Primorski dnevnik, 27 novembre
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Fra pochi giorni, quindi, cadrà il confine inteso
quale luogo in cui si deve esibire un documento
d’identità, dichiarare i propri effetti e il proprio
bagaglio. Quanti timori ha accompagnato quella
linea ogni volta che la si attraversava, vuoi per
l’intrinseca paura che l’ideologia realsocialista
jugoslava incuneava fin dentro le ossa,
imbrigliando libertà e chance, vuoi per il piccolo
contrabbando di caffè, detersivi e giornali, di
carne, uova e grappa. Tutto questo sarà, ora,
consegnato alla storia, farà parte dei nostri ricordi
e del nostro essere stati.
Davanti a noi si aprono notevoli possibilità di
lavoro, nuove mobilità, inedite scelte di vita.
D’ora in poi ci si potrà impiegare a Trieste
e abitare ad Ancarano, vivere a Dolina e far
frequentare ai propri figli le scuole a Isola.
Si aprono, pertanto, anche nuove sfide per le
Istituzioni e le imprese che dovranno misurarsi
con un mercato più grande e competitivo. Anche
le Istituzioni e le Scuole delle due Minoranze,
quali pilastri dello sviluppo identitario dei suoi
appartenenti, dovranno tenere conto di questa
La città
nuova situazione e apportare le necessarie
innovazioni nella propria azione e offerta.
Negli ultimi mesi l’Italia e il Friuli Venezia Giulia
stanno procedendo a grandi passi sulla strada
del riconoscimento e dell’attuazione dei diritti
in favore della Comunità Nazionale Slovena
(CNS). Finalmente, è un fatto di portata storica. I
nuovi strumenti legislativi e normativi superano
giustamente, anche se con notevole ritardo, le
gabbie imposte dal Memorandum di Londra
del 1954 e dagli Accordi di Osimo del 1975 in
tema di territorialità della tutela degli sloveni.
L’attualizzazione di quelle disposizioni e la loro
coerente applicazione avvengono, evidentemente
non a caso, proprio in concomitanza con il
compimento della piena integrazione della vicina
Repubblica nell’Unione Europea. Per la CNS
rappresentano un importante risultato che è al
contempo punto d’arrivo e base di partenza per
la sua ulteriore crescita. In questo processo potrà
sempre contare sul sostegno, sulla collaborazione
e sulla piena solidarietà della Comunità Nazionale
Italiana (CNI) e dell’Unione Italiana (UI) in
particolare.
La Slovenia dovrebbe necessariamente cogliere
questo spirito nuovo, questa grande apertura e
questo slancio progressivo, determinato anche
dagli effetti tonificanti che l’integrazione
europea porta con sé, per risolvere i molteplici e
gravi problemi che affliggono la CNI: attuazione
dei diritti, bilinguismo, preservazione del
territorio, tutela culturale della sua identità. Si
tratta di situazioni molto gravi, emerse in tutta
la loro drammaticità dai dati del censimento
del 2002 e che non hanno incontrato ancora la
dovuta maturità politica e culturale presso le
forze politiche e di Governo, nazionale e locale,
atta a varare, d’intesa con la stessa CNI, un
piano condiviso e efficace che contrasti, prima
che diventi irreversibile, un trend di progressiva
compressione dei diritti e di sistematica
violazione dei medesimi. Pena la sua completa
assimilazione e scomparsa.
In quest’ambito più generale, ma di indubbio
interesse anche per le nostre due Minoranze,
la specialità del Friuli Venezia Giulia,
rispecchiata nel suo nuovo Statuto all’esame
del Parlamento, va indubbiamente valorizzata
e non ridotta. La denominazione plurilingue
della Regione, espressione della sua variegata
e ricca realtà, a tutela delle sue Minoranze,
andrebbe salvaguardata, confermando il diritto
di cittadinanza alle espressioni linguistiche
storiche del territorio.
Anche la specialità del Capodistriano andrebbe
altrettanto capita e valorizzata, sia per quanto
concerne la sua estensione – che dovrebbe
comprendere i tre comuni costieri sloveni - sia
per quanto attiene i suoi contenuti. Non si può
continuare a ragionare, quando si parla della
sua ampiezza, sempre in termini squisitamente
monetari ed economicistici, neanche fosse un
problema di private equity, della serie mordi,
massimalizza i profitti e fuggi.
Nella nuova Provincia che vorremmo
comprendesse solamente le municipalità di
Capodistria, Isola e Pirano, la posizione della
MINORANZE, UN RAPPORTO CHE CRESCE
Il convegno SA.PE.VA
Le prospettive delle due Comunità Nazionali, quella slovena in Italia e quella italiana in Slovenia e
Croazia, dopo Schengen. Questo il tema del convegno di studi del progetto SA.PE.VA : Studio, Analisi,
Promozione E VAlorizzazione del patrimonio culturale, storico e linguistico delle Comunità Nazionali
Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera, finanziato dal programma europeo INTERREG. L'incontro
conclusivo, intitolato Le due minoranze dopo Schengen si è tenuto al Kulturni dom di Trieste. Nella
prima parte gli interventi del presidente della SKGZ Rudi Pavšič, del Presidente della Giunta Esecutiva
dell'Unione Italiana, Maurizio Tremul, di rappresentanti dei governi italiano e sloveno, del Friuli Venezia
Giulia, della Provincia e del comune di Trieste, della municipalità di Capodistria. Al convegno hanno
partecipato gli studenti delle scuole medie superiori delle due comunità.
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La città
CNI dovrà trovare adeguata collocazione
normativa. Questa non è tanto una questione di
numeri o di quantità, ma di qualità di diritti e
di rappresentanza. Diritti che potrebbero essere
dettagliati e articolati rispetto a quanto stabilito
dalla Costituzione e dalle leggi nazionali e che
rappresenterebbero, di conseguenza, la soglia
minima sotto la quale non si può scendere, ma
che potrebbero essere ulteriormente incrementati
a livello locale.
Insomma, la CNI andrà posta nella condizione
di esercitare adeguatamente i diritti che le
sono riconosciuti, diritti che vanno attuati e
implementati, innanzitutto superando i limiti
territoriali imposti dal Memorandum di Londra
e dagli Accordi di Osimo. Oggi, ad esempio, nel
Comune di Capodistria, il 15% degli italiani – a
Pirano l’8% - non ha quasi alcuna tutela perché
risiede al di fuori del territorio nazionalmente
misto, la cui estensione, pertanto, va posta tra
le priorità assolute! Vanno individuati, perciò,
meccanismi chiari, semplici ed efficaci che
permettano alla CNI di realizzare i propri diritti
e assicurino che questi saranno rispettati.
In questa situazione diventa imperdonabile si
contesti il nome proposto della futura Provincia
e si impedisca di mantenere la parola “Istria”
nella sua denominazione ufficiale. Gli slogan
“Tu je primorska, mi smo primorci, primorske
ne damo!” che con tanto tempismo compaiono
– guarda che coincidenza – risuonano nostalgici
come quelli che abbiamo conosciuto fin troppo
bene “Tujega nočemo, svojega ne damo”,
della serie gli imperdibili: “Tito je naš, mi smo
titovi”! Altrettanto intollerabile è l’acclarata
volontà di non introdurre la dicitura bilingue
per la nuova Provincia che includerà i territori
d’insediamento storico della CNI.
La nostra è un’area delicata che richiede rispetto
e attenzione, mentre è invece quotidianamente
aggredita da uno sviluppo industriale,
commerciale e urbano che ne viola l’identità,
cancella pezzi di storia per rendere sempre più
banalmente attraente la città con improbabili e
posticci ornamenti, dimenticando di valorizzare
i gioielli che essa possiede. Non serve nulla di
esotico per rendere interessanti questi territori.
Queste pietre, queste strade, queste case e
palazzi, trasudano storia, cultura, tradizioni
molto più pregiate e preziose, che chiedono
rispetto e attendono di essere opportunamente
preservate e valorizzate.
La caduta del confine, speriamo, stimolerà un
flusso di idee, di movimenti e di investimenti
in termini di potenzialità intellettive che
punteranno sulle risorse autentiche e storiche
del territorio.
Di indubbia utilità, soprattutto da questo
momento in poi e non solo per la CNI ma
anche per la crescita del Paese, sarebbe la
tanto invocata e non ancora costituita base
economica della Comunità che è stata negata
all’epoca dalla Jugoslavia, spogliandola di ogni
avere. Gli accordi segreti tra Italia e Jugoslavia
che prevedevano strumenti economici in favore
delle rispettive minoranze e contemplavano, per
la CNI, la costituzione della Cassa di Risparmio
dell’Istria e la soluzione della questione dei beni
La fiera Agromin
Dal vino all’olio d’oliva, dai tartufi al miele, dai formaggi ai prosciutti. Tutto un “profumo”, una festa
dai sapori nostrani di qualità. Sono stati oltre una trentina i produttori che hanno colto l’occasione
della fiera “Agromin” per presentare a Portorose la loro offerta. Anche tale appuntamento è stato
parte integrante del progetto europeo delle due minoranze, italiana in Slovenia e Croazia e slovena in
Italia, finanziato dal Programma d’iniziativa comunitaria Interreg III A Slovenia-Italia 2000 – 2006,
che si è concluso a novembre. Non è mancato il richiamo alla tradizione delle saline, con uno stand
contraddistinto da enormi zucche e che ha ricordato anche la produzione di cachi, soprattutto nella
valle di Strugnano. Un angolino è stato ritagliato anche per presentare “Min-tour”, altro progetto che
coinvolge le minoranze, promuovendo destinazioni turistiche dal Carso al mare. Di prossima uscita
una guida.
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La città
immobili da restituire alla stessa CNI è stata quanto più permeabile il confine in Istria.
disattesa e ancora oggi reclama rispetto.
In questi giorni, con una solenne cerimonia, ci
siamo accomiatati dalla famosa prepustnica.
La semplice cancellazione della frontiera, però, L’Accordo di Udine del 1955, con l’introduzione,
avrà effetti molto relativi e circoscritti, anche se appunto, del lasciapassare e le agevolazioni
evidenti nella quotidianità delle genti di confine, che ne conseguivano erano, all’epoca,
se non sarà accompagnata da una lungimirante straordinariamente innovativi e lungimiranti.
e attenta azione nel campo dell’educazione e Essi nascevano immediatamente dopo la nota
della formazione, principalmente delle giovani tripartita e il rischio di un’escalation della
generazioni. A loro va spiegata la storia di tensione in questa parte d’Europa. Furono uno
queste nostre martoriate e bellissime regioni strumento di grande apertura. Si trattava di un
nella sua effettiva dinamica di svolgimento e accordo che riuscì nel suo intento: quello di
non ideologizzata o ricostruita a posteriori. La alleviare alla popolazione locale le conseguenze
presenza delle Minoranze, la loro realtà, la loro nefaste del nuovo confine che aveva aperto una
creatività, va adeguatamente promossa: esse profonda ferita nel tessuto sociale e umano della
rendono più bella, ricca e migliore queste aree regione.
che presentano particolarità uniche.
La partecipazione della Slovenia all’area
di Schengen, pertanto, rappresenta una
straordinaria opportunità, non priva di rischi
e di gravi risvolti. La caduta del confine tra
Slovenia e Italia è una vera festa. Per la CNI
è anche l’inizio di un percorso in salita che
auspichiamo non diventi un calvario.
Gli Sloveni finalmente potranno realizzare
quell’unità della Nazione slovena che hanno
inseguito e costruito per tanti anni, coronando
uno storico e legittimo sogno. Lo possono fare,
oltretutto, non più nell’epoca degli Stati nazionali
contrapposti, ma nel contesto dell’integrazione
europea che questa aspirazione realizza con
gli strumenti della cooperazione. Noi non
possiamo che condividere con gli amici della
CNS questa gioia, con l’augurio più fervido di
nuovi successi.
Per quanto attiene la CNI l’unità con la Nazione
italiana, purtroppo, si realizzerà in minima parte.
Anzi, l’introduzione del regime di Schengen
in Istria creerà notevoli difficoltà per gli
appartenenti alla CNI e rischierà di approfondire
ulteriormente la frattura aperta 17 anni fa con il
disfacimento dell’ex Jugoslavia e la nascita dei
nuovi Stati democratici di Slovenia e Croazia.
Per questi motivi chiediamo siano individuati
quei meccanismi che consentano di rendere
La demolizione delle cabine al valico di ŠkofijeRabuiese (Il Piccolo, 6 dicembre)
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La città
E oggi, tra Croazia e Slovenia, su questa
medesima tematica, come finirà? Si continuerà
a discutere di questioni volutamente mantenute
aperte, ma tutto sommato ideologiche e
strumentali, oppure si inizierà a dare risposte
concrete alle esigenze del territorio? Si rimane
sbigottiti davanti a tanta ottusità, quella che non
riesce a immaginare e a creare un altrettanto
avanzato meccanismo e sistema, come quello
introdotto dall’Accordo di Udine, che faciliti
il piccolo traffico di frontiera, che incentivi
condizioni di vita più serena alle popolazioni
a ridosso dei confini. Affinché non diventi una
frontiera, una barriera invalicabile, allontanando
ancora di più la Croazia da quell’Europa a cui
indubbiamente appartiene.
Certamente la costituzione dell’Euroregione
Alto-Adriatica potrà rappresentare un’utile
anticamera, allieverà i disagi futuri e favorirà il
cammino europeo della Croazia. La decisione
di insediarne a Trieste la sua “capitale” è
una scelta naturale. Ci chiediamo, però, che
euroregione è quella che non sia inclusiva delle
aree transfrontaliere slovene ed esclude l’Istria
settentrionale? Non siamo interessati a puntare
l’indice contro nessuno. Non è il nostro intento,
ma vogliamo rivolgere un accorato appello alla
responsabilità delle forze politiche e di governo
(nazionale e locale) in Slovenia, in Italia e nel
Friuli Venezia Giulia affinché l’anomalia sia
quanto prima sanata.
Con la partecipazione anche della Croazia
all’Unione Europea, l’assunzione dell’euro,
l’entrata nell’area Schengen, la caduta dei
confini che oggi dividono l’Istria, si realizzerà
pienamente l’unitarietà della CNI in Croazia e
Slovenia che abbiamo perseguito in tutti questi
anni e continueremo a perseguire con coerenza e
costanza. L’obiettivo, infatti, è quello dell’Istria
senza confini parte integrante dell’Europa
unita.
Attraverso la CNI e l’UI in Slovenia, la CNI
che vive in Croazia trova la porta d’entrata
nell’UE. Questa situazione andrà utilmente
messa a frutto, nei prossimi anni, in favore della
crescita di tutta la collettività. In quest’ambito
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andranno massimamente colte le opportunità
offerte dai nuovi strumenti di cooperazione
che l’Unione Europea mette a disposizione in
favore dell’integrazione e della cooperazione
transfrontaliera (“Obiettivo 3, Cooperazione
territoriale
2007-2013,
Programma
transfrontaliero Italia-Slovenia”; “Programma
di cooperazione territoriale europea IPA
Adriatico 2007-2013”; “Programma di
cooperazione territoriale europea Med”, ecc.).
Da un punto di vista generale i rischi legati
a tutti questi processi integrativi sono dati
dall’appiattimento,
dalla
mercificazione,
dall’omologazione, dal nuovismo e dalla
globalizzazione che cancella le diversità e le
identità, viola le integrità delle minoranze. Il
rischio è anche la spettacolarizzazione della
vita che sull’altare dell’apparenza piega ogni
cosa e trasforma i dolori e le tragedie, le gioie
e gli amori in varietà, show e quindi in farsa. Il
rischio è che la mediocrità si sovrapponga alla
qualità, che l’arte si trasformi in kitsch.
Ma questo momento epocale crea anche tante
opportunità, tante chances di vita e di crescita.
Sta a noi saperle cogliere, mettere in movimento
e in comunicazione le idee e le visioni per
una vita migliore. Un po’ come favorire
l’impollinazione rispetto alla sterilizzazione, la
creatività, contrapposta al business e al successo
da perseguire ad ogni costo, anche a prezzo
dell’altrui infelicità. Insomma, l’arcobaleno
contrapposto al bagliore accecante della
stupidità.
Speriamo che il superamento dei confini saprà
dare il via ad un nuovo Umanesimo, che vedrà
le nostre due Minoranze ancora protagoniste,
capaci di articolare e realizzare assieme tanti e
nuovi, stimolanti progetti comuni per la crescita
nostra e del territorio, delle sue popolazioni,
dell’Italia, della Slovenia e della Croazia,
dell’Europa. Un rinascimento dell’intelligenza
e della sensibilità, dell’amore per la bellezza
che sola può salvare questo nostro piccolo
mondo antico.
La città
Una lettera di Kandler sulla toponomastica
Da qualche mese il Comune di Capodistria ha attivato una commissione per lo studio della toponomastica
cittadina. Commissione della quale mi onoro di far parte. L’obiettivo è quello di riscoprire e valorizzare
nomi antichi delle vie e delle piazze di Capodistria, ripristinandoli ove possibile o mettendo delle tabelle
per indicare che “una volta” quella data via si chiamava in tal modo. Ad esempio sotto l’attuale tabella “Via
Monte Triglav” se ne collocherebbe un’altra con la dicitura “già Calle degli Ebrei”. La toponomastica è lo
specchio di ogni epoca essendo espressione di regimi, politiche e mentalità. Che cambiano. Il “Brolo” del
primo Novecento diventa Piazza Vittorio Emanuele III sotto l’Italia, Piazza Gandusio dal ’45 al ’55 – dal
cognome di un partigiano caduto; poi per cinquant’anni Piazza della Rivoluzione (Trg Revolucije) e dal
ritorno alla democrazia, nuovamente Brolo. Ci sarebbe da scrivere molto sull’argomento che affronteremo
con dovizia di dettagli nel prossimo numero. Prepareremo una scheda su come sono cambiati i nomi delle vie
di Capodistria dal primo Novecento ad oggi. Fino alla fine dell’800 infatti le vie non avevano denominazioni,
se non quelle popolari o riferite ai rioni. Ufficialmente c’erano solo numeri di casa che andavano da 1 a
1200.
Tutta questa premessa per introdurre un interessante manoscritto firmato dallo storico triestino Pietro Kandler.
Una lettera del 1858 in cui l’Imperial regio conservatore sollecita il nostro comune a valorizzare la propria
storia, anche introducendo un’opportuna nomenclatura dello stradario.
a.c.
“Questi sono bei libri pel popolo, pei giovanetti che
formeranno la generazione che si avanza, e per li forestieri”
Pervenuta 22 Aprile 1858
L' I. R. conservatore
Al prestantissimo Sig. Podestà di Capodistria
Mi onoro di comunicare al prestantissimo Sig.
come sospetto, più antica; cinta le cui (frane ?) e
Podestà, alcune indicazioni sulli scompartimenti
le porte duravano a tempi della mia infanzia.
interni della città di Capodistria.
La quale, come io ho potuto rilevare da esami non Entro la prima cinta stava la città nobile, la città
perfetti, ebbe tre cinte =
dominante; fra la prima e la seconda stava la città
plebea. Fuor della seconda cinta erano collocati
- La prima, come ho motivo di ritenere quadrata ed cimiteri, borgate di marinai, di pescatori, di
a scompartimenti rettangolari, non ebbe maggiore campagnuoli ed ortaglie.
estensione, che dal termine di Caligaria a
Belvedere, dalla cappella crollata di S.Alessandro - La terza ed ultima cinta è del 1400, dico
in Brolo fino alla casa che è prossima a Palazzo
all’incirca, opera dei tempi veneti, ora in buona
Tacco verso Ponente.
parte cassata.
- La seconda cinta è ampliazione di questa
prima dal lato di levante e qualcosa dal lato di Entro la città nobile stava il castello, a presidio della
mezzogiorno, rifatta nel medio tempo fu cinta, città, collocato come pare tra il Duomo ed il mare.
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La città
ma pigliavano nome da qualche edifizio pubblico
distinto.
Il secondo recinto, la città plebea, ebbe anch’essa i
sei Vici, e forse fino dai tempi romani. E questi sei
Vici non credo si fossero amalgamati mai con sei
Vici della città interna.
Alcune città minori ebbero quattro Vici, io propendo
a sei, vedendo in Capodistria raddoppiato questo
numero. Milano ne ebbe sei.
La città nobile insieme alla plebea ebbero dodici
Vici o come in Capodistria si dissero dodici porte; ed
erano = S. Martino = Duomo = Zubenaga = Isolana
= Bussedraga = S. Pietro = S. Tomaso = Petrorio (poi
detta Ognissanti) = Pusterla = Nuova = Bracciolo =
Maggiore.
Pietro Kandler (Trieste 25/5/1804 - 18/1/1872).
Massimo storico triestino dell'Ottocento, studiò a
Trieste e si laureò in giurisprudenza all'università di
Padova. Fu dal 1842 procuratore civico (avvocato
del Comune). Pubblicò molteplici saggi e articoli
su svariati argomenti di storia politica, economica,
giuridica e letteratura triestina e istriana, alcuni
volumi e molti manoscritti, avendo a disposizione
il materiale degli archivi civici e basando quindi le
proprie considerazioni su fonti documentarie.
Asse principale della città nobile era senza’altro la
Caligaria, asse che forse protendevasi oltre il mare
verso i colli, non come strada ma come linea direttiva
delli scompartimenti agrarii. Ma di quest’asse non
occorre parlarne che per la parte entro la città.
Parte nobilissima della città quadrata era la piazza,
che ben può dirsi con voce usata ancor nel medio
evo Foro; il quale non per cangiamento di sorti o di
fortune cangiò destinazione e disposizione. Se ancora
oggi giorno le Casate dei nobili stiano, le più, entro la
città nobile, è cosa facile a verificarsi.
La prima città fu certamente scompartita a Vici i
quali nelle città romane di categoria inferiore erano
sei; in maggiori di quattordici come in Roma; e non
sarebbe difficile il riconoscerli, però a me mancano
materiali dei quali dirò più abbasso.
Questi Vici si dissero nel medio tempo Contrada,
Porta e Riones, per cui i capo-rioni che prendevano
posto in cura: certo non erano distinti per numeri,
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Ciò era prima della costruzione della terza cinta.
Cosa avvenisse dopo l’inclusione delle borgate,
se fossero fuse con la città, lo ignoro. Le forme
reggimentali darebbero norma, ma queste mancano
del tutto; potrebbesi trarre lume dagli Atti notarili
e specialmente dagli Atti Vicedominati, essendo
debito dei Notari di indicare la precisa posizione
delli oggetti menzionati negli atti, come anche
l’ubicazione precisa del luogo di celebrazione del
contratto; ma non ho fatto spoglio di tali atti, ed
ignoro se in Capodistria vi sieno materiali dai quali
poter trarre indicazioni per la destribuzione di tutta la
città. In mani private ve ne dovrebbero essere.
Uno dei modi di venire, non dico a certezza, ma ad
approssimazione delle antiche ripartizioni, sarebbe
quello di segnare su pianta di Capodistria il territorio
di ogni contrada delle odierne che mi si dicono
undici; a quali risultati porterebbe ciò, potrei dirlo
quando avessi sottocchio la ripartizione colorata.
Forse le borgate compariranno siccome aggiunte, e
forse le dodici contrade primitive – sei della nobile,
sei della plebea – compariranno se non integre, facili
ad integrarsi.
Non mi pare conveniente di cangiare faccia alla
Capodistria d’oggidì, la quale sortita come è, dalle
distribuzioni romane e dal Medio Evo, non può
ricusare le origini, ne’ può nella materialità di
costruzione foggiarsi alla moda delle città di moderna
creazione. La città materiale come è, è una parte della
sua storia, e nobilissima; non conviene dimenticarla
o cancellarla, senza assoluta inevitabile necessità.
Ora vengo ai nomi delle Porte o delle Contrade. I
nomi dati dagli antichi hanno tutti la ragione, siccome
La città
tutti sono in lingua; il tempo ha svisato quella, ha
contorto questa; è convenienza ricordarli alle origini Le ragioni del tempo, il conformarsi degli uomini alle
antiche ed a lingua perfetta; ciò che pubblicamente si cose venute dal di fuori e da lontano, il rinnegare le
scrive deve scriversi rettamente.
origini l’ignorare od il miscredere alla sapienza degli
antenati portò a fare che si predilessero le novità, e
- Duomo non è sempre la chiesa maggiore, spesso il si amò di ricordare nei nomi delle vie le glorie di
Palazzo, e ce ne mostra l’esempio di Pirano (per non altri, tenendo meschine le glorie municipali, credute
uscire da Provincia) la ricognizione di Porta Domo, da troppo poco; ed alla ragionevolezza delle proprie
farà vedere perché si disse Duomo.
consuetudini, l’improntitudine di capricci altrui.
Meglio valerebbe l’adottare i Numeri dell’Abbaco
- Zubenaga non è retta lezione, assolutamente no, ed imporli alle vie, che a tanto arriva la pratica di
che la Z fu frequente de Veneti non dei latini, ogni fanciullo.
quella voce Zubenaga nasconde altra, che antiche E ben poche città possono far perdonare tale incuranza,
carte manifesteranno, o condurranno a scoprire. e pienamente la sola Venezia, la quale assurta senza
Pola ha (Sfuagnaga ?).
distribuzione di città, se le piazze ed i Mercati si
eccettuino, vede attribuito alle calli ed ai larghi, nomi
- Busedraga non è retta lezione.
tali che in altra città moverebbero alle risa = delle
Bisse, del Carbone, del Vin, delle Scoazze = e per
- Petrorio è lezione falsata, Pretorio è retta.
poco delle cose più luride e disoneste. Ed è meraviglia
come quel Reggimento sì sapiente sì imitatore delle
- Bracciuolo non è lezione retta, di questa sarebbe antiche cose, non s’accorgesse di tanto difetto, ed
convenienza indagare le origini, per ridurla a retta. abbandonasse il bel diritto di imporre li nomi, alle
sconcezze ed alla ignoranza della plebaglia.
- Maggiore è tolto dal nome della Via.
La plebe in Istria tutta, ereditò la sapienza antica
in tale argomento, ed ama intitolare le vie o dai
La ripartizione delle città romane a vie, seguiva il templi, o dalle illustri famiglie; e quest’uso di lingua
tipo di ripartizione degli agri; due erano le grandi volgare può con lode accogliersi nella lingua scritta
vie, ambedue partenti dal Foro, in direzione fra loro e nobile.
da formar croce, e queste prendevano da condizioni Ed il materiale di una città essendo documento di
loro proprie, o per forma, o per la comunicazione Storia, bene sta che non solo delle viventi famiglie,
che aprivano con altre parti precipue di città, o col di ma delle antiche e perite si conservi memoria ad
fuori. E queste erano strade pubbliche in amplissimo incitamento dei viventi e dei posteri ad imitarli,
senso, di misura determinata; altre minori segnavano a grato animo dei viventi pei passati; a migliore
i sei Vici risultanti; e pur queste a misura; dei quali estimazione nel forestiero.
Vici, ognuno consideratasi come fosse isola. Queste
categorie di strade stavano a carico dell’intero
comune.
Le isole surripartivansi mediante strade minori, a
metà di larghezza delle altre e stavano a carico della
Contrada o della Porta, e prendevano nome da qualche
memorabilità locale. Venivano per ultimo li vicoli
più stretti delle vie di secondo ordine, i quali stavano
a carico dei consorzisti che potevano considerarsi
quali vie di consorzio e così anche si dicevano. Nel
medio tempo, questi vicoli prendevano nome dalla
famiglia che vi aveva palazzo o le case, e per queste
sole ammettevasi il nome non di individuo, ma della
Ipotesi di sviluppo della città nei secoli. Pianta
gente, volendosi
allegata alla tesi di laurea del prof. Antonio Ceppi,
disegnata dal maestro Mario Martissa (1928).
anche in questo escluso il privato per accostarsi a
Tratto dal periodico La Sveglia
qualcosa che ricordasse pubblica instituzione.
11
La città
Dacchè il parlare e le memorie del popolo si vogliono
manifestate e perpetuate colla scrittura, sembra al
Conservatore che questa non dovrebbe limitarsi ai
nomi delle vie e delle piazze ma applicarsi altresì
agli edifizi sia pubblici sia privati, che sono degni di
tenersi ricordanza ed alle località medesime. Le case
di illustri persone dovrebbero con leggenda indicarsi,
e Capodistria ha abbondanza di illustri nomi. Gli
edifizii pubblici dovrebbero indicarsi con memorie
storiche. Di loro costruzione; le piazze ed i larghi
medesimi, collocandone la memoria in sito che sia
conveniente non in marmo o pietra, o metallo, ma in
semplice scrittura.
A mò d’esempio
=
Casa dei Carli
Nacque il Conte G. R. …
Il dì …
-oCasa dei Santori…
-oSito di antico Cimitero
Al nome di S. …
-oChiesa di S. …
alzata nel…
ampliata nel…
-oPalazzo pubblico
alzato nel…
Il gruppo musicale Calegaria si è esibito a
Fiume e a Rovigno. Nella foto la calorosa
accoglienza degli amici "ruvignìsi"
12
Il tempo e l’amore alle patrie cose suggerirà a fare
queste leggende in pietra. Non è sconcio vederle
scritte a colore, più di quello sia sconcio vedere i nomi
delle vie e delle piazze che sono a cura del Comune
e destinati a perpetuità scritti su d’una bianchetta a
colore nero.
Ne’ sarebbe fuor di luogo scrivere in qualche luogo
frequentato – a mò d’esempio sotto la Loggia (se vi
ha facciata libera) o nel Collegio - in apposite tavole
i momenti principali, secondo note croniche, della
Storia di Capodistria, fossero anche pochi momenti,
e sulla piazza, p. e. a ridosso di una facciata del
campanile od altrove, alcune indicazioni, a mò
d’esempio = latitudine, longitudine = altezza del
suolo sul mare = distanza fino a certi luoghi (Trieste,
Pirano, Parenzo, Pola, Pisino, Fiume). Siccome entro
il Duomo, la lunghezza, la larghezza.
Questi sono bei libri e proficui pel popolo e pei
giovanetti che formeranno la generazione che si
avanza, e per li forestieri.
Di queste mie indicazioni, all’incirca, meglio ne
verrebbe concretandole. I porticati, gli ambulari del
Collegio offrirebbero pareti al riparo, da indicare di
più e nella lingua latina, mentre sulle strade e sue vie
starebbe scritto in italiano.
La seconda metà del secolo passato fu tempo di non
curanza delle patrie cose; la prima metà del presente
le ebbe in disistima e le rovesciò; sopraffatta da
troppo amore per cose nuove; la seconda le restituisca
in onore storico, ed in quella vitalità di cui dopo
tanto sovvolgere sono ancora capaci, affidandole a
memorie più certe che le tradizioni volgari.
La città
Da un documento comunale datato 22 maggio 1870,
conservato presso l’Archivio regionale di Capodistria
Numerazione civica
della fine del XIX secolo
Titolo originale:
Numerazione degli edifizi destinati all’abitazione in conformità al s.i. del Regolamento
per l’esecuzione dell’anagrafe della popolazione del 29 Marzo 1869 contenuto nella
Puntata XII degli Estratti del Bollettino delle leggi dell’Impero.
Bracciuolo
1. FORESTERIA (propr. del Comune)
2. ARMERIA (propr. del Comune)
3. Edificio sulla pescheria (del Comune)
4. Gorzalini Vincenzo e Michele fu Giorgio.
5. Antonia Verzi contessa (su calle Ebrei)
6. Marsich Andrea, Giov. e Maria fu Dom.
7.
-II8.
-II9. Maddalena Laura del fu Callisto
10. Totto eredi del conte Giovanni
11. Paccanoni eredi del defunto Biagio
Chiostro
dei
Serviti
12.
-II13. Camuzio Domenico
14. Rovatti Matteo
15. Marsich Caterina fu Giorgio
16. Gorup Elena (residente a Muggia)
17. Borisi Marcantonio conte
18. Bishal Michele
19. Dobrilla Michele
20. Luis Andrea / Matteo Radin fu Pietro
21. Marinaz Domenico
22.
-II23. Marsich Andrea fu Nicolò
24. Marsich Giuseppe fu Matteo
25. Urbanaz Giovanni fu Michele
26. Decarli Francesco fu Francesco
27. Delise Giovanni e Eugenio di Rosa
28. Marsich Giuseppe fu Matteo
29. Sandrin Giovanni
30. Marsich Giov. Maria
31.
-II32. Ossich Antonio fu Matteo
33. Marsich Giov. Maria fu Andrea
34. Sandrin Giovanni fu Francesco
35.
-II36. Marsich eredi fu Donato
37. Sandrin Giovanni fu Francesco
38. Corte Matteo fu Antonio
39. Rasman Matteo fu Pietro
40. Sandrin Giovanni fu Francesco
41. Pacchietto Maria nata Lugnani
42. Minca Giacomo fu Nicolò
43. Cernivani Giuseppe fu Mariano
13
La città
44. Pesaro Maria, moglie di Fran. nata Cernivani
45. Cociancich Giovanni fu Pietro
46. Cociancich Biagio fu Pietro
47.
-II48. Cernivani Vincenzo
49. Ban Giacomo
50. Cernivani Vincenzo
51. Tamplenizza Giovanni
52. Raunich-Deponte Angiola moglie di Michele
53. Fontanot Domenico fu Andrea
54. Vattovaz Giovanni fu Andrea
55. Martissa Giuseppe
56.
-II57. Marsich eredi Domenico
58. Carbonajo Valentino
59. Biscontini-Facchinetti Maria
60.
-II61.
-II62.
-II63.
-II64. Fontanot Domenico fu Andrea
65. Gavardo Antonio – (Sotto i Bertetich)
66. Biscontini Maria
67. Babuder Giacomo (per l’economia rurale)
68. Bracciadoro Margherita
69. Apollonio Antonio fu Pietro
70. Ceregon Giovanni fu Matteo
71. Lonzar Giovanni fu Giovanni
72. Ceregon Giovanni fu Matteo
73. Marussich Pietro (in Bossamarin)
74. Filuputti Gio. Batta.
75. Vattovaz Francesco fu Antonio
76. Vattovaz eredi fu Antonio
77. Lonzar Matteo
78. Lonzar Giovanni fu Pietro
79. Corte Giuseppe fu Vittore
80. Riccobon Giuseppe e Antonio fu Giuseppe
81. Corte Lugrezia nata Almerigotti
82. Camenarovich Matteo fu Vito
83. Steffè Nazario (casa Teatro Vecchio)
84. Marin eredi fu Francesco
85. Padovan Francesco fu Simone
86. Demori eredi Nazario
87.
-II88. Rovatti Matteo
89.
-II90. Destradi Antonio fu Biagio
91. Sandrin Giovanni fu Francesco
92. Grio Giovanna nata Derin
93. Derin Giuseppe fu Santo detto Fighelli
94. Camenarovich Matteo
14
95.
-II96. Lonzar Bartolomeo fu Biagio
97. Marsich Giorgio fu Matteo
98. Biscontini Maria
99. Totto Andrea fu Nicolò
100. Luis Nazario fu Pietro
101. Dezorzi Biagio fu Carlo
102. OSPITALE CIVICO
103. Biscontini
104. -II105. Almerigotti Giuseppe fu Fran. (Sul piaggio)
106. Manzoni dott. Giov. Andrea
107. Mongiat Leonardo, curato
108. Baseggio Nicolò eredi
109. Cernivani Nazario fu Pietro
110. Manzoni dott. Giò. Andrea
111. -II112. Cernivani Antonio fu Pietro
113. Manzoni dott. Giò. Andrea
114. Verginella Lucia fu Nicolò
115. Steffè Antonio fu Luigi
116. Vattovaz Francesco fu Antonio
117. Gavinel Antonio fu Nazario
118. Cernivani Nicolò fu Nazario
119. Jeklin Catterina
120. Marsich eredi del fu Nazario
121. Lugnani Antonio
122. Lugnani Benedetto e figli defunto Nazario
123. Sandrin Giovanni
124. Luis Pietro fu Biagio
125. Luis Michele fu Giacomo
126. Luis Giacomo eredi
127. Dandri Giuseppe
128. Grio Giovanni fu Domenico
129. Marsich eredi fu Nazario
130. Grio Francesco fu Domenico
131. Susmel Giuseppe
132. Micon Antonio
133. Favento eredi del fu Francesco
134. Rasman Nazario di Natale e la moglie Antonia
nata Coceverin
135. Marsich Andrea fu Domenico
136. Marsich eredi fu Domenico
137. -II138. Vicich Francesco
139. Parovel Andrea
140. -II-
La città
San Martino o del Porto
141. Utel Maria
142. Niclich Angelo, Gaetano e Maria fu Antonio
143. Venuti Leonardo e la sorella sposata Tessari
144. Totto Giovanni e Gregorio
145. Venuti Leonardo
146. Giovannini – Combi Teresa
147. Totto Bartolomeo, conte
148. Fon Emma
149. Zetto Domenico
150. Totto Giovanni, eredi
151. -II152. Clon Giuseppe
153. Majer Antonio
154. Totto Giovanni e Gregorio
155. Piscitello Salvatore
156. -II157. Totto Giovanni e Gregorio
158. Grio Antonio
159. Sandali Antonio
160. -II161. Sandrin Giovanni
162. Marsich eredi fu Nazario
163. Dezorzi Nazario fu Pietro
164. Biscontini Fachinetti Maria
165. Marsich Giov. Maria
166. Mattiassich Giovanni fu Antonio
167. Dezorzi Nicolò
168. Decarli Francesco
169. Derin Giovanni fu Vittore
170. Gavinel Domenico fu Nicolò
171. Bacci Policarpo
172. Dezorzi Francesco
173. Coceverin Domenico ed Apollonio Andrea
174. Dellavenezia Nicolò
175. Lonzar Nazario
176. Apollonio Laura
177. Delconte Domenico
178. Marin Francesco eredi
179. Marinaz Domenico
180. Genzo Giovanni
181. Lonzar Valentino
182. Cesare Domenico
183. Zucca Antonia moglie di Filippo, nata Giursi
184. Zucca Anna moglie di Francesco, nata Giursi
185. Divo eredi fu Matteo
186. -II187. Grio Antonio fu Giorgio
188. Voltolina Pietro fu Francesco
189. Divo Nazario fu Andrea
190. Divo Domenico e Dagostini Lucia nata
Vascotto
191. -II192. Divo Nicolò e Divo Maria sposata Fontanot
193. Divo don Giacomo
194. Lonzar Francesco fu Nazario
195. Totto Giovanni e Gregorio
196. Padovan Francesco
197. Parovel Nazario
198. Vatta Domenico fu Lorenzo
199. Biscontini Facchinetti Maria
200. Dellamartina Tomaso
201. Bassich Giuseppe e figli
202.
-II203. Romano vedova Vittoria
204. Almerigotti fratelli fu Innocente
205. Marsich Antonio e Musella Angiola
206. Brever Maria
207. Dellavalle Giuseppe fu Giovanni
208. Babich Giovanni (abita a Vanganel)
209. Martin fratelli
210.
-II211.
-II(Casa nello squero)
212. Apollonio Maria ved. fu Giovanni
213. Sandrin Giovanni fu Francesco
214. Borri Francesco
215. Buschek Giovanni eredi
Il molo della Porporella
15
La città
216. Guccione Francesco
217. Buschek Giovanni eredi
218. Sandrin Giovanni
219.
-II220.
-II221.
-II222.
-II223.
-II224.
-II225.
-II226.
-II227. Pogliato Giovanni
228. Seriani Giovanni fu Pietro
229. Pogliato Giovanni
230. Falutka ved. Teresa
231. Lonzar fratelli
232. Zobaz Vittorio
233. Pellegrini Agnese
234. Albanese Antonia nata Gavinel
235. Voltolina Maria nata Gavinel
236. Totto Giovanni e Gregorio
237. De Baseggio Giorgio
238. CASERMA S.GREGORIO (disabitata)
239. Busan Angelo
240. OSPITALE S.ANTONIO
Musella o Zubenaga
241. I.R. CASA DI PENA
242. Derin Stefano
243. Biscontini Facchinetti Maria
244. Zecchini Angela ed Anna
245. Nordio Domenico
246. Riccobon Pietro
247. Flego Giovanni fu Andrea
248. Totto Giovanni e Gregorio
249. Pieri Giovanni fu Andrea
250. Degiusto Francesco fu Leonardo
251. Seriani Giovanni
252. Perco Matteo ed Anna jugali
253. Marsich eredi fu Nazario
254. IL M.Rev. DECANATO
255. Baldini Caterina
256. de Manzoni dott. Giò. Andrea
257. Tacco Giuseppe eredi
258.
-II259. Lughi Pace
260. Carbonajo Giovanni eredi
261.
-II262.
-II263.
-II264.
-II- (In Pescheria l’ingresso)
265. Vittori sorelle eredi
266. Condarich Giorgio eredi
267. Brumati Luigi
268. (Bacconi?) Nicolò
269. Carbonajo Giovanni eredi
270. Borisi conte Giuseppe
271. Kaupman Antonio e Lucia jugali
272. Decarli Andrea fu Nicolò
273. Mongiat Leonardo
274. Mamolo eredi Giovanni
275. Totto Giovanni e Gregorio
16
276. Driolin Giò. Batta
277. Longo Pietro fu Matteo
278. Turchetti eredi
279. Longo Pietro - Mons. Stradi Elio Nazario
280. Cernivani Giovanni
281. ISTITUTO GRISONI
282. Candotti eredi
283. Madonizza Nicolò
284. Giovannini Alberto eredi
285. Biscontini eredi
286. IL COMUNE DI CAPODISTRIA
287. IL TEATRO SOCIALE
Palazzo Belgramoni-Tacco
288. CASA DEL TEATRO SOCIALE
289. Derin Rizzardo
290. Totto Giovanni e Gregorio
291. Gavardo de Giovanni
292. Gavardo de Antonio
293. Rota conte Girolamo
294. Bishop John
295. Piscitello e Poli (Casa dello squero)
La città
S. Sofia o Isolana
296. Madonizza Nicolò
297.
-II298.
-II299.
-II300.
-II301. Bratti Andrea
302. CAFFE DELLA LOGGIA (Comune)
303. Bratti Andrea
304. MONTE POLA GRISONI
305. ISTITUTO GRISONI
306. Zetto Domenico
307. Delbello dott. Pietro
308. Palina fratelli
309. SAGRESTIA abitata dal nunzio
310. Totto eredi fu conte Giovanni
311. ASILO DI CARITA’
312. Corazza Benedetto
313. de Manzini Giovanni (cantina)
314.
-II- (casa vecchia)
315. Gorzalini Michele
316. Dezorzi Bortolo eredi
317. Dezorzi – Ospitale
318. de Manzini Giovanni
Le mura di Porta Isolana
319.
-II320. Flumiani – Corazza eredi
321.
-II322. Zetto Gio. Maria
323. Budica Giovanni
324. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino
325. Busecchian Martino
326. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino
327. de Baseggio Nicolò eredi
328.
-II329.
-II330. Gallo dott. Augusto
331. Brutti conte Francesco (disabitata)
332. Leporini – Graziadio Antonia
333. Venier Barbara nata Rasman
334. Grisoni Marianna eredi (Casa nuova)
335. Gambini Nicolò (Vedi 375)
336. Grisoni Marianna olim Petronio
337.
-II338. Gambini Nicolò
339. Mattiassich Maria e Cattarina, sorelle
340. Steffè Antonio
341. Riccobon Giacomo figlio
342. Fafach Giuseppe
343. Riosa Matteo eredi
344. Pacchietto Pietro
345. Stradi Nicolò di Domenico
346. Stradi Antonio fu Nazario
347. Depangher Giovanni
348. Grisoni Marianna eredi
349.
-II350.
-II351. Vascon Alvise
352. Gambini Nicolò
353. Crevato Maria (abita a Piemonte)
354. Stradi vedova Veronica
355. Gambini Nicolò
356.
-II357. Zetto Alessandro
358. Rasman Giuseppe
359. Decarli Nicolò eredi
360. Manto Costantino eredi
361. Sandrin Giovanni
362.
-II363. Pesaro Giovanni
364. Gambini Nicolò
365. Padovan Nazario fu Antonio
366. Steffè Giacomo fu Matteo
17
La città
367. Decarli Nicolò eredi
368. SEMINARIO
369. Zetto Pietro
370. Cernivani Cattarina vedova Candido
371. Divo Nicolò fu Nicolò e Caterina nata Grio
372. Perini Michele
373. Sandrin Giovanni
374.
-II375. Gambini Nicolò (vedi 335)
S. Lorenzo – Bossedraga
376. Vascon Giacomo fu Giovanni
377. Vascon Gio. Batta
378. Vascon Pietro fu Luigi
379. Zetto Nazario, Domenico fu Antonio
380. Bencich Gio. Maria
381. Flego Andrea
382.
–II383.
–II384. Ghersinich Antonio
385. Marsich eredi Domenico
386.
–II387. Madonizza Nicolò
388. Bartolomei Maria nata Madonizza
389. Pribaz Matteo
390. Vascon Pietro fu Alvise / Capetta
391. Demori eredi Nazario
392. Madonizza Nicolò
393. Scherian Giovanni fu Giovanni
394. Madonizza Nicolò
395. Giraldi Maria
396. Marsich eredi Domenico
397. Marsich Gio. Maria
398. Madonizza Nicolò
399. Zetto Elena nata Madonizza
400.
-II401. Madonizza Nicolò
402.
-II403.
-II404. GRISONI ISTITUTO
405. Sandrin Antonio / Marsich (Mucio)
406. Madonizza Nicolò
407.
-II408.
-II409. Deponte Domenico
410. Deponte Francesco
411. Zetto Andrea
412. Burlin Francesco
413. Pelaschiar Francesco fu Francesco
414. Alessandri eredi
415. Stradi Pietro e Stradi Giovanni
416. Cral Antonio fu Andrea
417. Stuzin Giovanni / Varisco Maria (Ventin?)
418. Scharb Giacomo eredi
18
419. Totto Bortolo fu Michele
420. Belli dott. Cristoforo
421. ISTITUTO GRISONI
422. Madonizza Nicolò
423. Sestan Giacomo fu Giovanni
424. Dandri-Salvi Catterina
425.
-II426. Poli Luigi
427.
-II428. Deponte Domenico
429. Biscontini Facchinetti Maria
430. Budica Antonio
431. Deponte Vincenzo
432. Deponte Domenico
433. Deponte Vincenzo
434.
-II435. Deponte Nicolò
436. Dandri-Salvi vedova Antonia
437. Sandrin Giovanni
438.
-II439. Condurich Giorgio eredi
440. Dandri Giuseppe eredi
441. Dandri-Salvi vedova Antonia
442. Stradi Giacomo fu Nazario
443. Perkolt-Baseggio Elisabetta
444. Depangher Carlo fu Michele
445. Depangher Antonio fu Michele
446. Madonizza Nicolò
447. Berni Innocente fu Gio. Maria
448. Fontanot Giorgio
449. Perkolt-Baseggio Elisabetta
450. Foscarini Francesco
Bossedraga, il rione dei pescatori
La città
451. Rozzo sorelle
452. Foscarini Francesco
453. Pacchietto Nicolò
454. Vascon Antonio fu Alvise
455. Budica Giovanni
456. Vattovaz Vittoria vedova Cocever nata
Benedetti
457. Gallo Francesca nata Bernè
458. Minca Francesco
459. Steffè Antonio e Maria nata Vattovaz jugali
460. Majer Maria nata Apollonio
461. Orlini Pietro
462. Vascon Gio. Batta fu Antonio
463. Stradi Giacomo
464. Pelaschiar Giorgio fu Giorgio
465. Brati Andrea
466. Stradi Nicolò
467. Sandrin Giovanni
468. Vascon Pietro fu Alvise detto Niss
469. Delconte Antonio (Andrea Gallo)
470. Sardotsch cav. Paolo (Nicolò Gallo)
471.
-II472. Depangher vedova Chiara
473. Blasich fratelli fu Antonio
474.
-II475. Zucca Antonio
476. Grisoni Marianna eredi
477. Favento Marco fu Giuseppe
478. Tunter Stefano (da Visinada)
479. Depangher Paolo fu Giovanni
480. Depangher Michele fu Giovanni
481. Stradi Nazario fu Francesco
482. Vascon Gio. Batta fu Luigi
483. Condurich Giorgio eredi
484. Gravisi Gio. Andrea
485. Depangher Paolo
486. Norbedo Giulio
487. Gerin Giovanni fu Antonio
488. Madonizza Nicolò
489. Bernè Domenico fu Gio. Maria
490. Marsich eredi fu Nazario
491. Tacco Giuseppe eredi
492. Condurich Giorgio eredi
493. Sandrin Giovanni
494. Marsich Nicolosa vedova Nazario
495. Brati Andrea
496. Depangher figli di Andrea
497. Flego Andrea fu Biagio
498.
-II499. Riccobon Giuseppe fu Giuseppe
500.
-II501. Decarli Nicolò fu Domenico
502. Sardotsch cav. Paolo
503. Decarli Nicolò fu Domenico
504. Sandrin Giovanni fu Francesco
505. Perini Andrea fu Lorenzo
506. Depangher Nazario, Antonio fu Giovanni
507. Dandri Pietro fu Lorenzo (ex magazzino)
508. Agostincich Marco – Stefano
509. CONVENTO DI S. ANNA
510. Dandri Pietro fu Lorenzo
511. Genzo Nazario
512. Pribaz Matteo
513. Pacchietto Giuseppe, Nazario fu Giovanni
514. Stradi Francesco fu Nicolò
515. Gerin Giovanni fu Antonio
516. Fontanot Pietro fu Andrea
517. Verzier Andrea
518. Danzevich Antonio
519. Tacco Giuseppe eredi
520. Pribaz Matteo fu Michele
521. Stuzin Giovanni
522. Clemencich Lucia nata Fontanot
523. Majer Paolo fu Francesco
San Pietro
524. Perini Pietro fu Andrea
525. Pontotti Paolina (Casa dominicale)
526. Genzo Pietro fu Andrea
527. Stradi Rocco fu Giacomo
528. Gonich Nazario fu Alessandro
529. Gonich Nazario fu Sebastiano
530. Gonich Bortolo fu Sebastiano
531. Perkolt-Baseggio Elisabetta
532. Genzo Veronica
533. Vascon Luigi eredi
534. Vascon Antonio detto Cappetta
535. Mattiassich Maria e Catterina
536. Stradi Maria e Domenico
537. Gallo Pietro fu Nazario
538. Gallo Andrea fu Nazario
539. Demori Domenico fu Francesco
540. Vascon Antonio fu Alvise
541. Gallo Giacomo fu Antonio
542. Gallo Pietro fu Antonio
543. Leoni Giorgio
19
La città
544. Scher Vincenzo
545. Scher Tomaso eredi
546. Demori Domenico
547. Zanetti Francesco fu Carlo
548.
-II549. Sandrin Giovanni
550. Benedetti Gio. Batta fu Serafino
551. Roitz Giuseppe e Bolzatti Catterina
552. Padovan Agostino di Giovanni
553. Pontotti Paolina
554.
-II555. ISTITUTO GRISONI
556. Marsich eredi fu Nazario
557. Vidali Giovanna nata Vascon
558. Rozzo Pietro fu Giovanni
559. Vattovaz Antonio fu Nazario
560. Sandrin Giovanni fu Francesco
561.
-II562. Vascon Maria nata Pacchietto
563.
-II564. Piscitello Salvatore
565. Manto Costantino
566. Delpiero Sebastiano (detto Picchiotti?)
567. Stradi Giacoma vedova Francesco
568. Marinaz Enrichetta
569. Sluga Stefano e Maria
570. Genzo Pietro fu Antonio
571. Franza Giacomo fu Tommaso
572. Bernè Pietro fu Pietro
573. Belfronte Lorenzo
574. CONVENTO DEI CAPPUCCINI
575. Benedetti Bortolo e Francesco
576. Scher eredi e Torresini Maddalena
577. Pelaschiar Pietro
578. Minuti Antonio e Catterina jugali
579. Zalocosta Costantino
580. Scharb Angiola eredi
581. Zamarin Giuseppe fu Pietro
582. Cociancich Giuseppe
583. Padovan Giovanni
Sampieri. Disegno di Sergio Vergerio
584. Almerigotti Loredana (ora don Luigi Vascon)
585. Baldini Cattarina eredi
586. Utel Agostino
587. Demori eredi Nazario
588. Corrente Vincenzo fu Biagio
589. Tremul Andrea fu Matteo
590. Deponte Domenica
591. Pacchietto Nazario
592. Pacchietto Giuseppe fu Giuseppe
593. Babuder Giovanni fu Andrea
594. Giursi Giovanni fu Domenico
595. Stradi Pietro fu Vincenzo
596. Tremul Nazario fu Stefano
597. Munich Cecilia vedova
598.
-II599. Baldassi Francesca vedova
600. Delbello dott. Pietro
601. Schipizza Agostino fu Michele
602. Sandrin Giovanni fu Francesco
603. Marin Sebastiano fu Nicolò
604. Sandrin Nazario
605. Tremul vedova fu Pietro
606. Zucca Antonio fu Filippo
607. Tacco conte Giuseppe eredi
608. Derin Bartolomei Anna
609. Almerigogna Domenico
610. Derin Bartolomei Anna
S. Tommaso
611. Marinaz Domenico
612. Riccobon Nazario, Francesco, Antonio fu
Nicolò
613. Rozzo Maddalena e Riccobon Maria nata
Rozzo
614. Derin B. Anna, Bartolomei Nicolò
615. Sanzin Antonio
616. Grisoni Marianna eredi
20
617. Zucca Francesco fu Filippo
618. Minca Giovanni fu Giovanni
619. Minca Antonio fu Giovanni
620. Pozzacai Maria vedova Minca
621. Corte Antonio e Lucia
622. Sandrin Giovanni
623.
-II624. Bartoli Giovanni
La città
La chiesetta affrescata di S. Tommaso
625. Tremul Vincenzo e Giuseppe fu Vincenzo
626. Lonzar Francesco fu Giovanni
627. Maddalena Elena nata Bencich
628. Genzo Giovanni fu Pietro
629. Sandrin Giovanni fu Francesco
630.
-II631.
-II632. Jurco – Tamplenizza Lucia
633. Cociancich Giuseppe
634. Zudich Biagio
635. Cuvarà – Cochinò Elena
636. Rigo Paolo di Antonio
637.
-II638. Zago Rocco fu Matteo
639. Lonzar Gio. Batta fu Giovanni
640. Cuvarà – Cochinò Elena
641.
-II642. Zago Giacomo fu Rocco
643.
-II644.
-II645. Lonzar Giovanni e Gio. Batta fu Antonio
646. Burlin Nazario fu Giacomo
647. Tommasich Andrea
648. Riosa Bernardo
649. Gasparutti Catterina
650. Toss Giovanni
651. Flego Biagio eredi
652. Schipizza Giovanni e Pietro
653. Carbonajo Giuseppe
654. Carbonajo Tommaso fu Giovanni
655.
-II656. Decarli Domenico, Giovanni e Antonio fu
Nicolò
657. Clemencich – Fontanot Lucia
658. Carbonajo – Clemencich Lucia
659. Sandrin Giovanni
660. Marinaz Domenico
661. Giursi Giovanni fu Giovanni
662. Giursi Domenico fu Giovanni
663. Cocever Ambrogio eredi
664. Parovel Giovanni
665. de Favento Pietro eredi
666.
-II667. Zanella Eugenio
668. Favento Orsolina
669. Godigna cav. Giacomo
670. Apollonio Andrea
671. I.R. ERARIO = Caserma di S. Chiara
672. I.R. ERARIO = ad uso scuole popolari
673. Cociancich Matteo
674.
-II675. Parovel Pellegrino
676. Godigna cav. Giacomo
677. Bartolomei Nicolò e Derin Anna
678. Bernè Pietro (ora Pittoni Gio. Batta)
679. Sardotsch – Pizzarello Maria (ora Catenaro)
680. Babuder Giorgio
681. Danielut Maria
682. Rotta Girolamo (ora Giugovaz Giovanni da
Sterna)
683. Baseggio Nicolò (disabitata)
684. Sandrin Giovanni
685. Cernich Simone eredi
686. Norbedo Giulio
687. Decarli Francesco
688. Burlin Giuseppe di Giacomo
689. de Baseggio Nicolò
690. Bradas Luigi
691. Bonek Catterina
692. Zago Rocco fu Giovanni
693. Zago Rocco fu Giovanni
694. Dundovich
695. Corrente Antonio
696. Lonzar Nazario fu Francesco
21
La città
Ognissanti
697. Norbedo Francesco
698. Favento Giovanni fu Matteo
699. Favento Francesco fu Matteo
700. Favento Biagio fu Andrea
701.
-II702. Minuti Anna
703. Musella Antonio
704. Favento Biagio fu Andrea
705. Gavinel Nazario fu Bortolo
706. Favento Biagio fu Andrea
707.
-II708. Gavinel Nazario
709. Zago Antonio fu Matteo
710. Lonzar Antonio fu Benedetto
711. ASILO D’INFANZIA – Casa Cargnel
712. Lonzar Giovanni fu Giovanni
713. Lonzar Giovanni fu Benedetto
714. Parovel Giovanni fu Agostino e Zucca Elena
(Nene Polenta) moglie di Biagio
715. Riosa Antonio fu Matteo
716. Favento Gio. Maria
717. Coradin Alessandro di Nazario
718. Cerego Antonio di Giovanni
719. Sardotsch cav. Paolo
720. Deponte Francesco
721. Delconte Giovanni fu Giovanni
722. Rasman Pietro fu Nazario
723.
-II724. Sandrin Francesco fu Antonio e Lonzar
Nazario fu Biagio
725. Festi Giovanni
726. Bartoli Giovanni
727. Festi Giovanni
728. Marni Maddalena
729. Minca Simone fu Giovanni
730. Bartoli Antonio / Capit. di stazione
731. Brezigher Filippo
732. Zucca Lucia vedova Francesco
733. Albertini Catterina
734. Parovel Agostino fu Nicolò
735. Zucca Antonio fu Simone
736. Zucca Antonio e Giovanni fu Antonio
737. Steffè Giovanni fu Francesco
738. Carbonajo Giuseppe fu Matteo
739. Derin Stefano fu Nazario
740. Zucca Nazario di Antonio
741. ISTITUTO GRISONI
742. Sandrin Giovanni
22
743. Fafach Michele e Crainz Stefano
744. ISTITUTO GRISONI
745. Norbedo Francesco fu Andrea
746. Vegliach Andrea fu Matteo
747. Dellavalle Antonio fu Giovanni
748. Vattovaz Antonio fu Andrea
749. Godigna Giacomo
750. Bartolomei Francesco
751. Stradi Nicolò fu Francesco
752. Pozzacai Giacomo
753. Grio Santo fu Giorgio
754. Scher Lorenzo fu Tommaso
755. Carbonajo Giovanni fu Gio. Maria
756. Parovel Anna vedova di Vitale
757. Dezorzi Gina ed Orsola jugali
758. Schipizza eredi fu Pellegrino
759. Schipizza Francesco
760. Padovan Francesco fu Francesco
761. Crisman Chiara nata Zucca
762. Cociancich Biagio fu Francesco detto Doberdò
763. Marinaz Enrichetta
764. Gambini Nicolò
765. Alessio Antonio fu Antonio
766. Machnich – Cernivani Anna
767. Bencich Anna vedova e i di lei figli
768. Franza Andrea fu Giacomo
769. Favento Pietro fu Giovanni
770. Parovel Nazario
771. Parovel Maria vedova di Pietro
772. Lonzar Antonio
773. Gasparutti Cornelia
774. Scher Gio. Batta
775. Gasparutti Giuseppe
776. Gasparutti Antonio
777. Decarli Domenico, Giovanni ed Antonio fu
Nicolò
778. de Gravisi Sigismondo
La città
779. Gallo monsignor Michele
780. de Gravisi Antonio
781. de Gravisi Sigismondo
782.
-II783.
-II784. de Gravisi Antonio
785. Vogel Andrea
786. de Almerigotti Francesco
787. FONDACO COMUNALE
788. Vicich Francesco
789. Danzevich Antonio
Pusterla
790. MENSA VESCOVILE
791. Demori Nazario eredi
792.
-II793. Venuti Leonardo
794. de Gravisi Gio. Andrea
795. Visintini Francesco e Giacomo di Giovanni
796. Tamplenizza Agnese fu Giuseppe e figli
797. Rovatti Matteo
798. Scocciai Michele
799. Cocever Ambrogio e Dalmira
800. Cadamuro Bartolomeo
801. Pattaj Alberto
802. Ferrazzutti Lorenzo
803. Cercego Giovanni fu Antonio
804. Dorbez Antonia vedova di Francesco
805. Parovel Anna vedova di Vitale
806.
-II807.
-II-
Là de Rampin
808. Parovel Vincenzo fu Vitale
809. IL GINNASIO (Comune)
810. Pizzarello Domenica vedova
811. Almerigotti Giovanna ved. di Giacomo
812. Demori Domenico
813. Norbedo Giovanni fu Antonio
814. Marsich eredi fu Domenico
815. Deponte Giovanni fu Antonio
816. Venuti Leonardo
817. Parovel Pietro fu Vitale
818. Godigna Nicolò fu Michele
819. Biacovich Andrea
820. Dellamartina Anna
821. Riccobon Antonio fu Nicolò
822. Strudel Catterina nata Barbo
823. Cernivani Giovanni fu Giovanni
824. Pittoni Gio. Batta e Maria
825. Deponte Giuseppe eredi
826. Lonzar Biagio fu Nazario
827. Sestan Antonio di Giovanni
828. Sestan Pietro di Giovanni
829. Scher Giuseppe fu Almerigo
830. Zobaz Biagio eredi
831. Tommasich Andrea
832. /
833. Zago Giacomo
834.
-II835. Sandrin Giovanni fu Francesco
836.
-II- (una camera)
837. Ceppich Pietro fu Pietro
838. Deponte Francesco fu Francesco
839. Zucca Pietro fu Antonio
840. Cadamuro Bartolomeo
841. Tommasich Andrea
842. Oris Giuseppe
843. Urbanaz Andrea
844. Gerl Andrea
845. Pittoni Gio. Batta e Maria
846. Scock Giovanni fu Luca
847. Giovannini Bartolomeo eredi
848. Ceregon Matteo e Deponte Giovanni
849. Scock Catterina
23
La città
850. Dellavalle Antonia moglie di Giuseppe
851. Barega Giuseppe e Cristoforo (Scorzeria)
852. Corradin Antonio e Giuseppe fu Antonio
853. Almerigogna Antonio
854. Deponte Giovanna fu Giuseppe (ancella di
carità d’anni 17)
855. Deponte Nazario fu Nicolò
856. Deponte Matteo fu Nicolò
857. Deponte Giovanni fu Nicolò
858. Barega Giuseppe e Cristoforo (Fabbrica olio)
Ponte piccolo
859. Barega Giuseppe e Cristoforo
860.
-II861. Barega fratelli
862. Barega fratelli (Magazzino e granaio)
863. Tamplenizza Antonio fu Giuseppe
864. Zulian Giorgio di Ermagora
865. Lampich Giuseppe e Maria jugali
866. Barega Giuseppe e Cristoforo
867. Roitz Giuseppe fu Gaspare
868. Crisman Giacomo fu Giacomo
869. Demori Nazario eredi
870.
-II871. Damiani Nazario eredi
872. Sardotsch cav. Paolo
873. Madonizza Nicolò
874. Madonizza Nicolò (Magazzino)
875. Cadamuro Bartolomeo
876. Scherianz Stefano
877. Cadamuro Bartolomeo
878. Opara Matteo eredi
879. Bernetich Giacinta e Giusto fu Antonio
880. ISTITUTO GRISONI
881. Schiullaz Antonio
882. Pecchiar Giorgio
883. Sardotsch cav. Paolo (ec. rurale)
884. Padovan Domenico fu Agostino
885. Pecchiar eredi fu Nazario
886. Zulian Giorgio fu Ermagora
887. Niclich Marco
888. Crisman Giacomo e figli
889. Opara Giacomina vedova
890. Bencich Giovanna
891. Bernetich Basilio
892. Pecchiar Giovanni fu Giovanni
893. Norbedo Giulio
894. Grio Bortolo
895. Pecchiar Nazario
896. Zanella Maria moglie d’Eugenio
897. Bontempelli Orsola
898. Urbanaz Matteo
899. Corbato Giovanni
900. Grio Bortolo
24
901. Grio Domenico fu Bortolo
902. Franco Catterina
903. Gallo Pietro fratelli
904. Marsich Gio. Maria fu Andrea
905. Vattovaz Giovanni fu Giovanni (Fulminante)
906. Rasman Giacomo
907. Bruschin Matteo
908. Sussa fratelli
909.
-II910. Pecchiar Catterina nata Bolcich
911. Norbedo Andrea
912. Bruner Santa nata Parovel
913. Derin-Bartolomei Anna
914. Tamplenizza Michele fu Giovanni
915. Derin Bartolomei Anna
916. Tamplenizza Michele fu Giovanni (Pichena)
917. Derin – Bartolomei Anna
918. Polesini Francesco e Gio. Paolo
919. Maracich don Giovanni e Muslavich Elena
vedova
920. Crevato Antonia vedova
921.
-II922. Godigna cav. Giacomo
923. Zudich Domenico fu Domenico
924. de Gravisi Giuseppe e sorelle Lepido
925. Miniussi Antonio fu Rocco
926. Fedola Giovanni fu Domenico
927. Godigna cav. Giacomo
928. Dezorzi Matteo fu Carlo
La città
929. Dezorzi Domenico fu Carlo
930. Dezorzi Giuseppe fu Pietro
931. Zugna Giuseppe fu Andrea
932. Leporini Pietro
933. Parovel Giuseppe fu Nazario
934. Marinaz Domenico
935. Oblach Giacomo fu Giovanni
936. Luis Pietro fu Antonio
937. Rasman Pietro
938. Rasman Giuseppe
939. Godigna Michele fu Michele
940. Fontanot Giocanni fu Andrea
941. Rasman Pietro fu Francesco
942. Godigna Michele fu Michele
943. Fontanot Giovanni fu Andrea
944. Bolcich Antonio fu Valentino
945. de Baseggio Nicolò fu Nicolò
946. de Baseggio Nicolò e la sua sorella
947. Ceppich Matteo fu Antonio
948. Fontanot Biagio fu Andrea
949. Grio Bartolomeo fu Domenico
950. Micalich eredi fu Filippo
951.
-II952. Giasche Pietro
953. Scherianz Stefano
954. Ferrari Bartolomeo
955. Bratina Andrea
956. Manzoni dott. Gio. Andrea
957.
-II-
Porta maggiore
958. Derin – Bartolomei Anna
959.
-II960. Bartolomei Nicolò
961. Ferran Giovanni (da S. Pietro dell’Amata)
962. Calogiorgio Giorgio (uso stalla)
963. Bartolomei Nicolò
964. Ferrari Bartolomei
965. Gregorich Matteo fu Gio. Maria
966. Minca Francesco fu Nazario
Palazzo
Almerigogna
soto le scalete
967. Calogiorgio Giorgio (disabitata)
968. Babuder Matteo
969.
-II970. Babuder Giacomo
971. Deponte Francesco fu Nicolò
972. Sandrin Giovanni fu Francesco
973. Lonzar Nicolò fu Stefano
974. Lonzar Nazario fu Stefano
975. Lonzar Nazario fu Stefano
976. Parovel Antonio fu Gio. Batta (ec. rurale)
977. Godigna cav. Giacomo
978. Rasman Natale
979. Giorgulli Elisabetta vedova
980. Damiani Luigi fu Luigi
981. Rasman Natale
982. de Baseggio Giorgio fu Bortolo (stallaggio e fenile)
983. Parovel Antonio fu Giovanni
984. Budica Giacomo fu Giovanni
985. de Baseggio Nicolò fu Bortolo
986. de Baseggio Pietro fu Pietro
987. Cerebuk Michele fu Matteo
988. Riosa Giovanni fu Simon
989. Riosa Giovanni fu Domenico
990. Parovel Giovanni fu Antonio
991. Bartolomei Nicolò
992. Ceregon Antonio di Giacomo
993. Rigo Paolo di Antonio
994. Casson Antonio fu Matteo
995. Casson Angela vedova nata Cernivani
996. Minca Andrea fu Nazario
997. Marsich Antonio e Nazario fu Nazario
998. Coslan Giuseppe di Giovanni
999. Sandrin Giovanni di Francesco
25
La città
1000. Parovel Andrea fu Gio. Batta
1001. Ruzzier Antonio (asciugatoio di pelli)
1002. Cernelich Martino
1003. Giurse Nazario fu Rocco
1004. ISTITUTO GRISONI
1005. Rasman Domenica nata Decarli
1006. Stock Nicolò di Marco
1007. Stock Andrea di Marco
1008. Filippi Andrea fu Gaspare
1009. Cobol Biaggio e Giuseppe (al pianterreno
fabbrica olio)
1010. Ivancich Santo fu Giuseppe
1011. Filippi Giustina rimaritata Riosa e Giuseppe
Filippi
1012. Sandrin Giovanni fu Francesco
1013. Riccobon Nazario fu Giuseppe
1014. Riccobon Domenico fu Pietro
1015. Lonzar Giovanni fu Nazario
1016. Poschi Antonio fu Luca
1017. Corte Domenico fu Antonio
1018. Majer Antonio di Antonio
1019. Depangher Pietro di Pietro
1020. Ivancich Santo fu Giuseppe
1021. Filippi Giustina rimaritata Riosa
1022.
-II1023. Cobol Biagio e Giuseppe (Scorzaria)
1024. Stradi Giorgio fu Andrea
1025. Romano Pietro fu Francesco
1026. Derin Stefano
1027. Depangher don Giacomo
1028. Sandrin Giovanni fu Francesco
1029. Demartini – Gherl Catterina
1030. Grasso Girolamo
1031. Rigo Paolo di Antonio
1032.
-II1033. Lonzar Nicolò di Nicolò
1034. Cociancich Biagio fu Pietro
1035. Vattovaz Giovanni fu Andrea
1036. Pechiarich Michele fu Michele
1037. Biscontini Facchinetti Maria
1038. Cociancich Antonio detto (Nicli?)
1039. Pelaschiar Giovanni fu Giovanni
1040. Steffè Nazario fu Nazario
1041. Sandrin Giovanni fu Francesco
1042.
-II1043.
-II1044. Marsich Domenico eredi
1045. Corte Giovanni di Giovanni
1046. Tacco conte Giuseppe eredi
1047. Gianelli Bartolomeo fu Pietro
1048. Corte Giovanni di Giovanni
26
1049. Fonda Andrea
1050. Depangher Nazario fu Michele
1051. Derin Stefano
1052. Sandrin Giovanni fu Francesco
1053. Bensich Maria
1054. Schiavon Angelo fu Simone
1055. Romano Romano eredi
1056. Rigo Paolo di Antonio
1057. Almerigogna Antonio
1058. Gianelli Bartolomeo fu Pietro
1059. Camuccio Giovanni di Domenico
1060. Sandrin Giovanni di Francesco
1061. Depangher don Giacomo eredi
1062. Scher Nazario fu Giovanni
1063. Budica eredi della defunta Cristina
1064. Favento Antonio fu Matteo
1065. Dezorzi Francesco fu Antonio
1066.
-II1067. de Madonizza Giovanni
1068. Gianelli Giuseppe e figli
1069. Ruggieri vedova Rosa
1070. Marsich eredi Nazario
1071. Baseggio Pietro fu Pietro e Cobol Santa
1072. de Baseggio Giorgio fu Bartolomeo
1073. Damiani Luigi fu Luigi
1074.
-II1075. Opara Matteo eredi
1076. Calogiorgio Giorgio
1077. Sardotsch cav. Paolo
1078.
-II1079.
-II- (disabitata)
1080.
-II1081. de Baseggio Giorgio
1082. Vidacovich Giuseppe e de Baseggio Pietro
1083. Marsich don Angelo
1084. Tamplenizza Pietro
1085. Bullo Antonio
1086. Godigna cav. Giacomo
1087. Cobol Biagio e Giuseppe
1088. Pizzarello vedova Domenica
La Città è il foglio semestrale della CI di
Capodistria. Responsabile Alberto Cernaz.
Stampa Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura 1300 copie.
Si invia gratuitamente ai soci. Indirizzo:
Via Fronte di liberazione 10, 6000 Capodistria.
E-mail: [email protected]
Foto in copertina: la partenza dell'Euromarathon
Capodistria-Muggia (A. Cernaz).
Poster centrale: Pianta stradale d'epoca austriaca.
La città
Callegheria
1089. Cobol Biagio e Giuseppe (ec. rurale)
1090.
-II-II1091. Bratina Andrea (ora Gio. Pribaz detto Volpin)
1092. Niclich Francesco
1093. Babuder Giacomo
1094. Pagnutti Andrea eredi
1095. Sckerl Andrea eredi
1096. Marsich Gio. Maria fu Andrea
1097.
-II1098.
-II1099. Marsich don Angelo
1100. Godigna cav. Giacomo
1101. Tacco conte Giuseppe eredi
1102.
-II1103.
-II1104.
-II1105.
-II1106.
-II1107. Marinaz Domenico
1108.
-II1109. Parovel Pietro fu Andrea detto
Le colonne
dell’Atria
1110. Franceschi Giuseppe e Nicolò
1111.
-II1112. Franceschi dott. Luigi e Giorgio
1113. Gerebizza Maria vedova
1114. Manto Costantina
1115. Marin Catterina vedova
1116. Konigsmark Andrea eredi e Manto Catterina
1117. Marsich Nazario e Manto
1118. Bratti Andrea
1119. Brutti Ferdinando
1120. Biscontini Angelo
1121. -II1122. Pellegrini Giuseppe
1123. Padovan Pietro
1124. Corte Giovanna vedova nata Leporini
1125.
-II1126. Godigna cav. Giacomo
1127. Paccanoni Biagio eredi
1128. Totto conte Giovanni eredi
1129. Marin Francesco eredi
1130. Vigini Giovanni, Pietro e Antonio fu Bortolo
1131. Lipej Antonio
1132. de Gravisi Gio. Andrea
1133. Bullo Andrea, Domenico e sorelle
1134. Biacovich Andrea
1135. Gorzalini Vincenzo
1136. Gorzalini Vincenzo e Michele
1137. Seriani Giovanni e sorella
1138. Vianello Maria vedova
1139. Scarpelet Carlo, eredi
1140. Rozzo Pietro
1141.
-II1142.
-II1143.
-II1144. Demartini Angelo detto Pipì
1145. Giasche Gerolamo
1146. Pogliato Antonio, eredi
1147. Condurich Giorgio, eredi
1148. Miani Pietro eredi
1149.
-II1150. Zanella Giovanni
1151. SEMINARIO
1152. de Baseggio – Zugni, eredi
1153. Michelich – Zugni, eredi
27
La città
Giustinopoli dell'Asia minore
Capodistria divenne bizantina attorno alla metà del VI secolo. In onore dell'imperatore romano
d’Oriente Giustino, la città venne ribattezzata Giustinopoli. Tale nome restò in uso (accanto a
quello di Capris) almeno fino alla seconda metà del X secolo. Anche in seguito però Capodistria
veniva detta latinamente Justinopolis e i loro abitanti justinopolitani. Almeno altre due città vennero
intitolate all’imperatore Giustino; entrambe si trovano oggi in Turchia.
Anazarbo (Anazarbus), arabo Ain Zarbo, oggi Anavarza
Collocata su una fertile pianura dell'Anatolia
meridionale (Turchia), Anazarbo si trova a
ridosso d'una montagna rocciosa che nel passato
dovette fungere da acropoli. Fondata, sembra,
nel I secolo a.C., questa città dell'antica Cilicia
in ordine d'importanza fu seconda soltanto a
Tarso.
Il periodo di maggiore prosperità lo sperimentò
sotto l'impero romano. Visitata da Augusto nel 19
a.C., ottenne il suo favore ed il nome di Caesarea
o di Caesarea ad Anazarbus. Sotto Teodosio II
ebbe il titolo di Metropoli della Cilicia Seconda.
Più volte provata da violenti terremoti, fu sempre
ricostruita. In onore dell'imperatore Giustino
(518-527) che la volle riedificare, la città prese il
nome di Giustinopoli e, più tardi, in onore del suo
nipote e successore Giustiniano, che ne volle la
ricostruzione dopo un altro terremoto, il nome di
Giustinianopoli.
Divenuto possesso arabo nei secoli VII-VIII e
tornata successivamente in mano ai Bizantini, la Dioscoride: medico e naturalista greco (Anazarba,
città divenne nel 1100 capitale del regno armeno di
Cilicia, sec. I dC). Servì nell’esercito romano
Cilicia per poi ricadere sotto il dominio bizantino sotto Claudio e Nerone; è considerato il fondatore
dell’erboristeria farmaceutica per aver descritto
(1137). In questa città famosa per aver
nell’opera De materia medica le proprietò
dato i natali al medico Dioscoride ed allo storico medicinali di circa 600 specie vegetali allora note,
greco Appiano, il cristianesimo dovette trovare
oltre che di bevande, minerali e altre sostanze.
L’opera, che costituì la principale fonte per
una notevole espansione. Durante la persecuzione
gli
studi botanico-farmacologici fino in epoca
di Diocleziano, ad Anazarbo vennero martirizzati i
moderna, fu più volte riprodotta in lingua araba e
cristiani Taraco, Probo ed
latina.
Andronico.
In seguito il nome di Anazarbo compare in occasione della disputa Ariana. L’antico castello di Anavarza
conferisce al luogo un suo fascino particolare. Insieme ai resti dell'antica città di Anazarbo, con reperti
di epoca romana e bizantina, si possono ammirare il castello che fu sede del regno armeno di Cilicia, con
al suo interno un'interessante chiesetta funebre. Il contorno di fortificazioni, bastioni, acquedotti, chiese
rupestri, necropoli, compensa del cadente stato degli altri reperti Romani. Curiose assonanze: il nome
Anazarbo ricorda vagamente il nome del nostro patrono, mentre quello del fiume più vicino – Pyram,
oggi Ceyhan – l'antico nome di Pirano.
30
La città
Edessa, arabo Raha, curdo Riha,
oggi Sanli Urfa (o anche solo Urfa)
Antica città del settentrione anatolico-mesopotamico. Capoluogo dell’omonima provincia in Turchia
ha oggi una popolazione di circa 400.000 abitanti composta da curdi, turchi e arabi. Fino all'inizio del
secolo scorso la popolazione della città era in gran parte costituita da cristiani, soprattutto armeni
decimati dalle stragi del 1915 o emigrati.
Nel sec. VI, secondo il Messale Romano avvenne il 3
luglio, vi sarebbero stati traslati i resti mortali di San
Tommaso Apostolo.
L'antica città di Ūrhāy (talora identificata come Uruk
oppure come la biblica Ur dei Caldei), capitale della
regione dell’Osroene, fu una provincia dello Stato
dei Seleucidi, diventando poi un regno autonomo
che assunse il titolo di Stato-cuscinetto fra Roma e
il regno persiano dei Pati. Sotto il regno di Antioco
IV venne anche chiamata, da parte degli esuli che
vi si erano trasferiti da Antiochia come Antiochia
Calliroe.
Conquistata dagli Arabi all'epoca del secondo califfo
Omar ibn al-Khattab, Edessa perse la sua importanza
in età califfale. In epoca bizantina viene ricostruita
dall’imperatore Giustino e in suo onore denominata
Justinopolis.
Almeno dal sec. VI vi si conservava la sacra immagine
Un dipinto ispirato al Mandylion, il presunto
acheropita, cioè "non fatta da mano umana" chiamata
sudario di Gesù che era conservato ad Edessa.
Mandylion, su cui era impresso un volto attribuito a
Gesù: essa rimase ad Edessa fino al 943, quando i Bizantini del domestikos Giovanni Curcuas Gurgen la
riscattarono in cambio di 200 prigionieri musulmani e la portarono a Costantinopoli.
Sottoposta a varie incursioni da parte degli Hamdanidi e delle truppe imperiali bizantine, Edessa fu possesso di
Utayr, capo dei Banu Numayr, fino al 1026, anno dopo il quale passò ai Marwanidi di Diyarbakir. Acquistata
dal protospatario bizantino Giorgio Maniace per 20 mila darischi, Edessa fu governata dai suoi successori
e, dopo un alternarsi di personaggi minori, a ridosso della prima crociata, dal kuropalates armeno Teodoro
(Toros), figlio di Hetum. Questi volle adottare Baldovino delle Fiandre, fratello di Goffredo di Buglione,
giunto da poco coi suoi guerrieri dopo essersi distaccato dal corpo principale di spedizione crociato.
Non è dimostrato con certezza che il complotto che rovesciò l'anziano Teodoro non fosse stato ispirato
dall'ingrato Baldovino, ma il suo rapido subentrare alla guida di Edessa e del territorio che era sotto il suo
controllo autorizza i più forti sospetti degli storici.
Edessa fu trasformata in Contea e con Baldovino,
suo primo conte, costituì il primo Stato crociato
del territorio siro-palestinese. Cadde di nuovo sotto
controllo islamico nel 1146 e la sua caduta provocò
la Seconda crociata.
Da non confondere con Edessa nella macedonia
greca (detta anche Aegea e Vodena).
»Anazarba«
31
La città
Rodolfo Moraro:
un grande dell'arte lirica nato a Capodistria
di Fabio Vidali
Nascere in queste nostre terre, se da una parte è da considerarsi un privilegio per la bellezza dei siti
e la multiculturalità, troppo spesso è una palla al piede per l'affermazione e la fama. Siamo stati (e
siamo ancora) troppo alla »periferia« delle grandi correnti d'aria (e d'affari) e, quando va bene, si
viene »coagulati« e globalizzati in una di queste grandi correnti, divenendo d'essa ricercati e comodi
»affluenti« sempre un po' »spaesati«. Una volta »trapassati«, la memoria collettiva sommerge tutto
nel suo amalgama, e l'oblio diventa regola. Restano alcuni nomi simbolo di artisti ben radicati nel
loro »bacino di provenienza nazionale«, del quale assurgono al ruolo di campioni »rappresentativi«.
Spariscono tutti gli altri, specialmente se sono »di frontiera«. E qui gioca un ruolo perversamente
determinante la »filoxenia« di queste nostre terre che sembrano addirittura »vergognarsi« dei propri
artisti di talento. E lo stesso vale per ogni ramo della cultura e della creatività, anche di quella scientifica.
E' proprio per continuare a combattere questo »vizio« (tutto…«altoadriatico«) che vogliamo ora far
uscire dal dimenticatoio un illustre artista nostro, il tenore capodistriano Rodolfo Moraro.
Da pittore a cantariòl
occasioni (specialmente se era gradita una mancia).
Mercato assai più prospero quello di Trieste dove le
clape de cantariòi spesso erano richieste, sia nelle
riunioni che nelle tante »osterie musicali« e nei tanti
Circoli più o meno artistici. Intanto, fra i cantariòi
Moraro era diventato una stella di prima grandezza ed
i suoi colleghi apprezzavano della sua voce la bellezza
del timbro e la facilità dell'acuto, pur non avendo egli
ancora mai »studiato« il canto. Egli affrontava già
allora impegnative romanze operistiche che finirono
per schiudergli alcuni salotti d'intenditori.
Finalmente fu presentato ad un Maestro: l'ex tenore
(anch'egli di origine capodistriana) Luigi BolisFagnani. Fece la rituale audizione (la romanza dell' »Andrea Chenier« di Giordano) e fu accolto come
allievo effettivo. Il Maestro s'impegnò d'istruirlo
nel canto gratuitamente e di prepararlo al debutto
in teatro. Unica condizione tassativa: seguire
scrupolosamente i suoi insegnamenti e »non cantare
in pubblico«. Quasi quattro anni. Moraro accettò
felice tale proposta e l'impegno di pagare il Maestro
dopo il debutto. Naturalmente a rate. Qualcosa
di simile avvenne a Tito Schipa con l'inflessibile
Maestro Gerunda che minacciò di cacciarlo per una
Da giovanotto, a Capodistria, Moraro amava dedicarsi sua scappatella canora.
al disegno ed alla pittura, arte verso la quale si sentiva A Moraro che, saltuariamente e »alla macchia«
portato e che appagava il suo innato senso artistico. E indulse anch'egli a qualche scappatella del genere,
dipingendo cantava, quasi senza accorgersene. Ma fu andò meglio. Il Maestro Bolis-Fagnani non usava
notato. Non ancora da un impresario, ma alcuni suoi prendere il vaporetto per Capodistria. Ma sapeva
coetanei. Questi, a gruppetti, esercitavano il canto, insegnare canto, imposto, dizione ed arte drammatica
sia per inclinazione personale che in determinate come imponevano le regole dell'antica scuola
occasioni (dietro simbolico compenso) come serenate, italiana.
nozze, »remenade«, solennità festive o pubblicitarie Conclusi gli studi col Bolis-Fagnani, Moraro
(quando veniva inaugurata, ad esempio, una nuova cominciò ad esibirsi in numerose occasioni anche
»musicalmente« (lo fece poi col Maestro triestino
attività commerciale).
Ma Capodistria, allora, non offriva molte di queste Luigi Toffolo, che ritroveremo in seguito spesso
32
La città
suo direttore operistico). Restava da conquistare
il traguardo più ambito: il palcoscenico del Teatro
d'Opera.
Due vaporetti da Capodistria
Boheme«. Da queste parti il nostro tenore c'era
però stato già, con concerti ad Abbazia di uno dei
quali amava ricordare la profezia di gloria che gli
fece, dopo averlo ascoltato, il mitico basso Fiodor
Chaliapin, che siedeva fra il pubblico in compagnia
degli scrittori Ojetti e Salvaneschi: »Lei diventerà un
grande tenore«. Nelle fitte tournee che si susseguono,
sono al suo fianco Rosetta Pampanini e Mafalda
Favero nonchè la triestina Tatiana Menotti. Nel 1941
spopola al Teatro Verdi di Trieste col »Campiello«.
Nel teatro triestino egli sarà una colonna di casa fino al
1963 (dottore nel »Sasso Pagano« di Giulio Viozzi),
fatti salvi i lunghi anni che lo videro protagonista in
tutt'Italia, all'estero, e in altri continenti (Australia,
Nuova Zelanda, Africa).
Qui ci vorrebbero le pagine d'un elenco telefonico
solo per accennare a luoghi e titoli e riassumere
solo alcune delle recensioni critiche osannanti che
il capodistriano tenore Moraro mietè dappertutto.
Biblioteca musicale, costumi, foto e documenti di
ciò sono in gran parte custoditi a Trieste nel Museo
teatrale al quale l'artista si legò.
Malgrado tanti successi, Moraro rimase sempre
una persona semplice ed affabile, naturalmente
restìo a parlare di se stesso, se non insistentemente
sollecitato. Ritiratosi dalle scene nel 1964, continuò
a profondere, come insegnante di canto, i tesori
Moraro aveva ormai ventun'anni. S'era trasferito
a Trieste diciottenne. Lo interpellò allora un
impresario, certo Valentini, particolarmente versato
nell'improvvisare compagnie d'Opera e d'Operetta
e nell'allestire spettacoli »popolari«, generalmente
premiati dal successo e da buoni guadagni di
botteghino (quello che più gli interessava). Gli
propose di debuttare al Politeama Rossetti di Trieste
nel ruolo principale della »Lucia di Lammermoor« di
Donizzetti. Detto e fatto. Moraro amava raccontarmi
i retroscena di questa fortunatissima serie di
rappresentanzioni all'insegna dell'improvvisazione.
Due sole certezze: il giovane ma già affermato soprano
triestino Rina Pellegrini (nel ruolo del titolo) ed il
Maestro Arturo Lucon, di casa nei maggiori teatri.
Il resto della compgnia era stato raccolto in Galleria
a Milano, fra i tanti che vi stazionavano stabilmente
in attesa di un colpo di fortuna. Comunque cantanti
che, al giorno d'oggi, farebbero certo un figurone.
In scena, in occasione dell'unica prova d'insieme,
sommarie indicazioni: »questo è il Castello e qui
sono le Trombe«. Scena e costumi da trovarobato.
Al terzo atto, Edgardo dovette »pugnalarsi« con
un coltello da cucina, rimediato nell'abitazione del
custode, visto che non si trovava più il »pugnale«
di scena. Ma tutto filò in maniera assolutamente
perfetta. Per Moraro e la Pellegrini fu un autentico
trionfo con »bis« e ovazioni, quattordici »chiamate«
al termine. Pubblico strabocchevole: 3100 persone.
Allora il Politeama ne poteva contenere tal numero.
Non erano state ancora inventate quelle »norme
di sicurezza« che oggi hanno decimato il pubblico
ammesso. A rimpolpare questa folla, erano approdati
a Trieste due »vaporetti« di capodistriani melomani
a sostenere il loro concittadino. Moraro incassò 200
Lire a replica ma l'impresario gli disse: »Xe bei soldi,
anche se i giovani dovessi pagar lori per cantar«.
Ma non era il lato economico ad interessare al nostro
tenore. Era il »lancio«. Allora i responsabili artistici
Fyodor Chaliapin, cantante
dei grandi teatri usavano frequentare queste imprese
lirico e attore russo che
»disperate« più probanti di una breve audizione
Moraro incontrò ad Abbazia.
al pianoforte. E le offerte importanti per Moraro,
fioccarono subito. Correva l'ottobre del 1939.
delle sue esperienze, approfondendo anche i pricìpi
fisiologici della »fonazione«, dell'appoggio e della
Verso la gloria
respirazione, ai giovani cantanti, ai quali non mancava
mai l'esemplificazione pratica. Moraro continuò a
Gli esperti che lo sentirono al Politeama di Trieste cantare finchè ebbe vita, anche per piacere suo, e
dimostrarono subito d'avere buon naso. Già l'anno vivo resta il ricordo di quando, in casa, mi chiedeva
successivo, Moraro conquista Fiume con »la di accompagnarlo al pianoforte in qualche aria. La
33
La città
Voce era sempre pronta e limpida, anche in tarda
età, confermando la profezia che gli fece il grande
Beniamino Gigli, che spesso lo volle con se come
»doppio« in molte opere: »Lei canta come si cantava
una volta, e canterà bene fino a che camperà«.
Accanto ai giudizi di pezzi da novanta come Chaliapin
e Gigli, non ultimo viene certo quello di Aureliano
Pertile che, presente ad una sua interpretazione di
»Sonnambula«, si recò nel suo camerino, gli aggiustò
le pieghe del costume e gli disse: »Lei è un vero
tenore liricoleggero«.
I concerti "Martini & Rossi"
Moraro era un conversatore affascinante.
Specialmente quando raccontava aneddoti riferentisi
più ai casi singolari occorsigli che alle glorie della
sua carriera.
Particolare il ricordo d'una »Boheme« di quel periodo,
noto per le ristrettezze alimentari. Al termine d'una
recita, trovò nel manicotto di Mimì un bel grosso
salame: tutta la compagnia si rallegrò, dato che, a
quei tempi di »carte annonarie« rappresentava una
vera rarità.
Un impatto commovente fu quello con Lecce, la città
di Tito Schipa, gelosissima cultrice di tale suo divo.
L'opera era »Manon«. La critica così si espresse:
»abbiamo avuto la sensazione di vedere e sentire
sul palcoscenico proprio la figura e la voce di Tito
Schipa, i suoi gesti, le sue modulazioni, qualcosa
di sogno«. Schipa, allora era in America, ma i suoi
concittadini non l'avevano per questo dimenticato.
Ciò successe, in parte, a Moraro che, dopo anni di
tournee extracontinentali, quando ritornò in Italia
dovette quasi rifare la »gavetta«. Ma trionfò ancora
entrando nelle case di tutti con i famosi »Concerti
Martini e Rossi« dalla Radio di Torino e riprendendo
il suo posto sui più importanti palcoscenici.
califfo di Bagdad«, testimoniano dei suoi interessi
comprendenti i più diversi mondi espressivi, dalla
classicità alla contemporaneità.
E com'era questa voce? Pertile la definì giustamente
di »tenore liricoleggero«. Non a caso ho usato
l'aggettivo in una parola e non in due, con un trattino
che fa pensare al »leggero« come ad un immiserimento
di »lirico«. Perchè la voce di Moraro (lo garantisco,
avendola tanto udita dal vivo) comprendeva ben due
»registri«, quello »lirico« e quello »leggero«.
Fortuna rarissima che non toccò, per esempio al
grandissimo Schipa (che fu solo »leggero«) e che
solo in parte toccò al Gigli maturo, in cui prevalse
soprattutto il »lirico«. Lo stesso dicasi per lo splendido
Tagliavini, anche lui un »lirico« che »alleggeriva«
grazie a magistrali falsetti e falsettoni.
Questa rarissima qualità di Moraro, unita ad una
dizione perfetta, basterebbe da sola a farlo ricordare
come un »unicum« del belcanto. Malgrado la
smemoratezza dei posteri, anche conterranei. Fu un
vanto per l'Istria. Da sbandierare.
Lirico o Leggero?
Scala, Fenice, Covent Garden, Cairo, Australia, solo
tappe di una voce, di casa al Verdi di Trieste come al
Liceum di Barcellona, sempre con partners del taglio
di Mariano Stabile, Gino Bechi, Tancredi Pasero,
Margherita Carosio, Andrea Mongelli, Alda Noni,
Cloe Elmo, Giulietta Simionato, Gianna Pederzini,
Rina Malatrasi. Trionfi al Grand Opera e all'Opera
Comique. Ma quale era il suo repertorio? Solo i
grandi della tradizione operistica?
No certo. Britten col »Peter Grimes«, Debussy con
»L'enfant prodigue«, Pizzetti con »Assassinio nella
cattedrale«, Haydn con »Le stagioni«, Viozzi con
»Il sasso pagano«, ma anche l'Operetta con »Notte a
Venezia««, »Federica«, »Giuditta«, e rarità come »Il
34
Il compositore triestino Fabio Vidali durante la
presentazione del tenore di origini capodistriane
durante il suo intervento nella sezione di
italianistica della Biblioteca centrale di
Capodistria. La conferenza, durante la quale
sono state fatte ascoltare registrazioni della voce
di Moraro, è stata promossa da Isabella Flego
dell'Associazione »Poem« e da Amalia Petronio,
responsabile della suddetta sezione bibliotecaria
sita in una laterale della Calegaria, denominata
nello scorso secolo Calletta chiusa dei volti, per
i »volti« (passaggi da una casa all'altra) che la
contraddistinguono. Su Monaro ci sarebbero
da raccontare altri particolari, altri aneddoti. Il
presidente della CI, Lino Cernaz, ha rivolto al
maestro Vidali l'invito a tornare a Capodistria,
magari nella sede della Comunità, per svelarceli.
La città
Cussì zogavimo una volta...
di Vinicio Bussani
La gente della mia generazione, è l’ultima nata a Capodistria, nel periodo che intercorre tra l’inizio
e subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli avvenimenti politici che si susseguono a
conclusione delle ostilità, ci portano com’è noto a una scelta drammatica: l’abbandono della città
per una larga maggioranza dei suoi abitanti. In un momento così difficile per la storia cittadina,
quella parte di noi, non ancora adolescente, nata e cresciuta nel turbine di questi avvenimenti, non
poteva certamente capire il dramma vissuto dalle nostre famiglie. In quegli anni trascorsi prima
dell’esodo, il nostro unico desiderio era quello di poter giocare e divertirci, senza dover subire troppi
condizionamenti. Considero questo, un periodo indimenticabile, il più bello della mia infanzia.
All’epoca, si godeva di una vita
sana, sempre all’aria aperta. Il
cibo era semplice e genuino; si
socializzava molto e nell’animo
di ciascuno di noi regnava quella
gioia spontanea e ingenua che è
propria di tutti i bambini, mentre
la pratica del gioco, stimolava
oltremodo la nostra fantasia.
Dal nostro “punto di vista”, la
scuola non aveva quella priorità
assoluta che gli adulti normalmente
le assegnavano, anche se posso
dire senza presunzione, che
nello studio riuscivo comunque a
cavarmela dignitosamente.
Dei giochi, conservo nella memoria
i ricordi più belli. Trascorrevamo
le nostre ore spensierate in luoghi
che avevano come sfondo il mare
e la campagna: i prati, le rive e la
marina, erano i più frequentati.
Sostavamo lì per delle ore, ebbri
di sole e di vento, senza nemmeno
renderci conto del passare del
tempo. Le nostre mamme e
nonne, dovevano spesso sgolarsi
nel richiamarci a casa e qualcuno
fingeva di non sentire, o magari
rispondeva “lassime star ancora
un poco!”. Il ritardo di norma,
veniva punito e per quel giorno
era difficile uscire di nuovo.
quelli di gruppo, meglio ancora
se numeroso e composto da
maschi e femmine. I nostri raduni
avvenivano nel corso della bella
stagione. Ci trovavamo la sera,
dopo cena all’aperto “in piassal
de Sanpieri” e sotto la debole luce
di un lampione, che rischiarava a
malapena i nostri volti bruciati
dal sole, cominciava la “conta”.
Subito dopo, come presi da
incontenibile euforia, iniziavamo
le pazze corse, che davano l’avvio
ai giochi “de landa, sconderse, el
cincio” e via dicendo. Più tardi,
affannati e sudati, ci rilassavamo
sul prato, in riva al mare.
In quelle calde sere d’estate,
accompagnate da una leggera
brezza marina e dal fruscio
sommesso della risacca, si sentiva
il canto prolungato dei grilli e
non di rado, come per magia,
comparivano improvvise nel
buio, sottili tracce luminescenti,
quale
segno
inconfondibile
della presenza di lucciole in
volo. Lontano, sul mare, le
barche dei pescatori “paludanti”,
punteggiate dal brillante chiarore
delle lampare, si apprestavano
ad iniziare il consueto e faticoso
lavoro notturno.
Nella quiete serale, appena
Tra i giochi conosciuti, trasmessici rischiarata dalla luna, seduti
in buona parte dagli amici più in
semicerchio
sull’erba,
grandi, sceglievamo di preferenza ascoltavamo intenti l’amico
Antonio Perini (Saltin), che da
buon narratore, raccontava storie
un po’ lugubri di personaggi
immaginari, ma anche veri,
sempre avvolti da un alone di
mistero, quale era ad esempio la
“leggenda della Monaro”.
Mi ritorna in mente il racconto del
“vecio Pobega”, persona realmente
esistita,
dal
comportamento
ombroso e schivo, che viveva
da solo in una casa fatiscente
sul “rato de Sanpieri”; lì nei
pressi, giocavamo tutte le sere
ai “4 cantoni”. Quella abitazione
ridotta così male, metteva un
po’ di soggezione: si scorgeva
un tratto di muro sbrecciato
e pericolosamente instabile,
c’era un’unica finestrella con le
35
La città
persiane cadenti, mentre la porta
d’ingresso danneggiata dal tempo,
rimaneva sempre socchiusa e da
un piccolo varco apertosi nella
parte inferiore, i gatti entravano ed
uscivano a piacimento. Il vecchio,
durante il giorno non lo si vedeva
mai; compariva tardi la sera,
oppure non rincasava. Quando
in certe occasioni rientrava un
po’ alticcio, aveva difficoltà nel
salire i due gradini d’ingresso e
barcollando spingeva quell’uscio
malandato, tanto da provocare
un cigolio sinistro che incuteva
timore. Antonio, molto abile
nel calcare la mano, diceva che
quella abitazione era posseduta
dagli “spiriti” e a volte passando
di là, gli era capitato di “sentire”
delle voci con dei rumori insoliti,
mentre una “luce” si accendeva e
spegneva di frequente…
36
Le “fie” sedute accanto a noi, si
stringevano tra di loro per la paura
e più tardi chiedevano di essere
accompagnate a casa.
Spesso per giocare, sceglievamo
le calli, i cortili, gli androni etc.
Capitava che la gente lì intorno,
avendo necessità di riposare, mal
sopportasse il nostro chiassoso
vociare e mandandoci a quel paese,
ci obbligava a spostarci altrove,
magari buttandoci addosso “un
cadin de acqua” dalla finestra.
Il gioco del “pandolo” è stato
senz’altro il più celebrato a
Capodistria ed era praticato
soprattutto dai ragazzi più grandi,
che sapevano dare dimostrazione
di buone capacità e destrezza,
mentre noi cercavamo di imitarli.
Nel caso nostro, poteva accadere
con più probabilità che un lancio
maldestro, andasse a deviare
l’oggetto di legno nella direzione
sbagliata, provocando la rottura
di un vetro di qualche finestra!
Giocavamo molto ai “ciclisti”
e spesso tra vivaci dispute,
perché c’era il solito furbo, che
per arrivare primo al traguardo
commetteva sempre qualche
“illecito sportivo”: tagliava ad
esempio la strada, affrontava un
ostacolo in modo irregolare o
spostava in avanti con il piede
il proprio “tappo”, sperando che
nessuno se ne accorgesse.
Ricordo il gioco delle “vaghe”,
dove per vincere, contava
solamente una buona mira. La
posizione del “tiro”, era regolata
dalla misura di una spanna,
rispetto il bordo della buca, mentre
il dito mignolo della mano, faceva
da perno di appoggio durante il
lancio della pallina. Anche qui
sorgevano di tanto in tanto forti
discussioni, perché non veniva
rispettata la distanza prestabilita.
Tutti avevamo una calzetta o
un “balegheto” di stoffa per
contenere le “vaghe” e quelle di
vetro erano le più ambite in caso
di vittoria.
Un piacevole passatempo, forse
poco noto, veniva chiamato il
“tesoro”. Si scavava una piccola
buca, rivestita all’interno con
della carta stagnola, sopra cui
ponevamo dei pezzetti di vetro o
altri piccoli oggetti, nel tentativo
di ricavare una certa “figura”. La
composizione veniva poi chiusa e
isolata da un vetro trasparente che
serviva da visore. Si completava
l’opera, con una copertura
mimetica di protezione, ponendo
un riferimento all’esterno, per
indicarne l’ubicazione. L’intento,
era di far vedere il “tesoro” agli
amici fidati, che a loro volta,
costruivano per proprio conto la
loro personale composizione, in
La città
una gara di bravura e fantasia.
Un gioco molto diffuso, noto
per la sua forza dinamica,
sicuramente
più
adatto
a
ragazzi di solida costituzione,
era quello della “cavallina”,
dove occorrevano doti di buona
agilità e grande resistenza fisica.
L’intensità delle forze in gioco
era tale, per cui si verificavano
di frequente rovinose cadute in
massa, con conseguenze anche
serie per i malcapitati di turno.
Si prendeva la rincorsa saltando
sulla schiena dei compagni, che
nel frattempo s’erano messi in
posizione china, avvinghiati tra
di loro in numero di tre o quattro,
ai quali toccava star “soto” dopo
la conta obbligatoria, mentre un
ragazzo detto “el pal”, doveva
stare in piedi davanti a costoro,
pronto a sostenere e proteggere i
“saltatori” dai loro slanci irruenti.
Lo sforzo di sopportare tutto il
peso del gruppo, determinava le
sorti della contesa. Quindi, tutto
rincominciava nuovamente a parti
invertite.
I giochi con la fionda e con
l’arco (quello fatto di stecche
d’ombrello), penso siano stati in
assoluto, i più pericolosi per la
nostra incolumità: nel lanciare
sassi “co’ la flonda”, tra i vari
bersagli da colpire, prendevamo
anche di mira i “panegarioi”
(passeri), i gatti randagi, le
lampadine delle strade, i barattoli
di latta allineati sui muretti.
Mentre con l’arco, gli obiettivi
prescelti erano quasi sempre
bersagli fissi, sui quali c’era
più soddisfazione a piantare la
freccia. Gli incidenti certamente
non mancavano: quelli, ai quali
ho assistito personalmente, si
risolvevano con medicazioni di
tipo casalingo, a base “de asédo”
ed una fasciatura approssimativa,
oppure con un lavaggio “in acqua
salada in marina”. Nei casi più
gravi, si andava in farmacia “de
sior Ghino”.
L’estate notoriamente, era la
grande stagione delle vacanze
e dei bagni. Messi da parte libri
e quaderni, trascorrevamo le
nostre lunghe ore in riva al mare,
tra i tanti “cavarii, le subissade,
el tirarse drio fango e àlega”.
Quando subentrava un po’ di
stanchezza, uscivamo dall’acqua,
investiti a volte da un gagliardo
venticello di borino, che metteva
i brividi su quei nostri esili corpi
gocciolanti. Era bello allora
distendersi al sole a pancia in giù e
trovare conforto “sule piere calde
del mol”. Non appena le nostre
schiene cominciavano a scottare
troppo, riprendevamo a tuffarci e
giocare ancora felici nell’acqua.
Quelle raggianti mattine d’estate
si concludevano verso l’ora di
pranzo, allorché storditi dal sole
e impregnati dalla salsedine, ci
avviavamo verso casa con grande
appetito.
Tra i giochi non ancora citati,voglio
annoverarne uno, che mi procurava
grandi soddisfazioni: il “drago”.
Si costruiva l’intelaiatura formata
da sottili stecche ricavate dalle
canne; la figura a forma di rombo
ottenuta, veniva assemblata con
lo spago “de calegher” e quindi
rivestita di carta velina colorata,
fissata con semplice colla di
acqua e farina. La costruzione
si completava applicando dei
ciuffi di carta di vario colore
ai lati della “testa”, mentre la
forma della “coda”, era oggetto
di fantasia creativa di ciascuno
di noi. Quando cominciava ad
alzarsi un po’ di vento, iniziava
il “collaudo”, atteso sempre con
trepidante emozione. Restano
indimenticabili, le corse sul
prato, in quei pomeriggi assolati,
con il grosso gomitolo di filo in
mano, che si riduceva sempre
di più, mentre il “drago” saliva
alto, fino a “sfiorare le nuvole”.
A volte qualche inaspettato
incidente, dovuto alla forza
del vento, a un camino, o a un
cornicione, spegneva di colpo
il nostro entusiasmo: l’aquilone
Bambine istriane che giocano in una foto tratta da L’Istria di Emilio
Silvestri (Ed. Rumor – Vicenza – 1903)
37
La città
interrompeva bruscamente il suo
volo e veniva irrimediabilmente
danneggiato o disperso. A quel
punto, la tristezza era grande: gli
occhi si riempivano di lacrime che
andavano a rigare sconsolatamente
i nostri visi.
Desidero ora dare un po’ di
spazio anche ai giochi femminili,
che talvolta erano oggetto di
interesse e partecipazione pure
da parte nostra. Giocando con le
“fie” (quando lo acconsentivano),
cercavamo nuove opportunità
di
aggregazione.
Magari
inizialmente esisteva una certa
diffidenza e un po’ di permalosità
da parte loro nei nostri confronti,
perché gli scherzi, le prese in giro,
logicamente non erano sempre
graditi e venivano accettati solo
quando facevano parte del gioco.
Lo stare insieme e divertirci, era
il modo naturale per imparare
a conoscerci. Data l’età ancora
acerba, il nostro comportamento
quasi istintivo, era spesso
incoerente e spavaldo a differenza
di quello delle nostre coetanee,
che erano più sulla difensiva.
Ma, nonostante tutto, pur nella
nostra complessità caratteriale,
cominciavamo
ad
avvertire
nuove emozioni, che talvolta
davano adito alle prime ingenue
simpatie.
I giochi femminili, a differenza dei
38
nostri, erano improntati più su una
linea tranquilla e amicante. Ne ho
in mente alcuni: mosca cieca, “el
frate”, le belle statuine, “acqua
e fogo”, la corda, “fefa”, “cavei
cavai”, “el dotor”(molto richiesto
da noi maschietti) e inoltre “el
teatro”, dove si fingeva una recita
“a soggetto”, inventando sul
posto una piccola storia.
Mentre ci divertivamo, accadevano
talvolta episodi un po’ insoliti e
movimentati: ricordo una “barufa
tra do fie”, scoppiata per causa
di vecchi dissapori. Il pretesto
per arrivare allo scontro, traeva
origine da un banale motivo di
gioco. Il litigio a un certo punto
si trasformò in fatto violento, con
offese, sputi, morsi e “tirade de
cavei” reciproche. Più tardi la
contesa si allargò, coinvolgendo
direttamente le genitrici delle
ragazzine, che nel frattempo erano
state informate dell’accaduto e
che a modo loro, cercarono di
“rendere giustizia” alle rispettive
figlie. Per fortuna tutto si concluse
abbastanza pacificamente, grazie
all’intervento sensato di alcuni
presenti.
E desidero chiudere con il gioco
per eccellenza: la tombola.
Questo passatempo a Capodistria
considerato quasi un’istituzione,
aveva un carattere prettamente
popolare ed era praticato da
persone di tutte le età e ceto
sociale. Un esempio evidente era
la tombola in piazza, che nelle
occasioni di festa, trovava la sua
massima espressione con una
grande partecipazione di gente. Al
tradizionale rullo del tamburo, che
richiamava tutti all’attenzione, si
udiva la voce un po’ stentata “de
Fornaréto” (Antonio Gasperutti),
che annunciava i numeri in corso
di estrazione, tra un fitto brusio
di voci, “remenade” e pause di
assoluto silenzio.
A “Sanpieri”, nei pomeriggi
domenicali, le donne del luogo,
si riunivano a un’ora precisa:
ciascuna portandosi da casa “le
cartele coi numeri, i fasoi per
notar, el scagno per sentarse e
do fliche in tacuin”, sistemandosi
poi in circolo davanti la porta
d’ingresso della casa “de
siora Roma Fonda”, dove
iniziava l’allegra “kermesse” in
un’atmosfera fatta di cicalecci,
battute spiritose e “tacàde”.
In caso di cattivo tempo, tutto il
gruppo trovava rifugio nell’ampio
atrio di qualche casa vicina e il
gioco andava avanti fino all’ora
di cena.
Ricordo in modo particolare,
una vecchia e antica popolana,
chiamata da tutti “la vecia Gata”
(Nina Riosa ?), forse perché
nel corso della sua vita aveva
generato numerosi figli: la rivedo
ancora lì nel piazzale, con quella
faccia arguta, mentre la sua voce
esprimeva quell’antica parlata
veneta, della quale alcuni termini
spesso menzionati, erano già
allora andati in disuso.
Quando toccava a lei “cavar le
bale” (espressione in dialetto
riferita all’estrazione dei dischetti
numerati), riportava i numeri,
dando a ciascuno un appellativo
scherzoso, com’era d’abitudine a
quel tempo. Ma nel pronunciarli,
la signora si esprimeva spesso in
modo incomprensibile, a causa
della sua carente dentatura,
suscitando così senza volerlo,
malumori e irritazione da parte
delle comari, che non riuscivano
a capire quello che diceva.
Un giorno però si spazientì e
alzandosi in piedi le apostrofò
dicendo: “Andè in malora dute,
desso me ciapo e vago via!”.
E così fece.
La città
El gobo col saco, El baso del morto,
Su e zo per la Calegaria…e altre amenità nei
Numeri della tombola capodistriana
Lauro Decarli ha raccolto nel suo libro »Caterina del buso«, le varianti dei numeri 'chiamati' della tombola a
Capodistria. Decarli ha assunto come base il lavoro scritto da Francesco Babudri »I numeri della tombola«
con appropriate annotazioni sulle varianti registrate nella nostra città all'inizio dello scorso secolo. Pure
il poeta Tino Gavardo ci ha lasciato una lista di varianti registrate a Capodistria ed altri scarni commenti.
Scrive il Carlon: »Vedere che la serie dei 90 numeri hanno un corrispondente, non significa che si assisteva
ad un gioco con connotazioni esclusivamente gergali. L'uso della variante era frammisto alla 'chiamata'
di umeri regolari la cui percentuale dipendeva dalla 'professionalità' e afffiatamento dei giocatori. In una
tombola tipica come quelle che si svolgevano fuori l'uscio della casa della mitica Cicerinca (una Parovel che
abitava in Calle San Martino, oggi Calle degli agricoltori), credo di poter affermare che oltre un terzo dei
numeri veniva chiamato con il loro soprannome. Poi c'era il fenomeno della traduzione simultanea, operata
da chi chiamava (nel caso di presenza di estranei poco informati), dalla madre che istruiva i figli minori, da
terzi a semplice commento o in risposta a richiesta di chiarimenti. Ovviamente nelle tombole ufficiali tenute
in piazza i numeri venivano chiamati da Toni Forner (Antonio Gasperutti) dopo il consueto rullo di tamburo
senza alterazione o mascheramento. La tombola che si teneva nella piazza capodistriana è descritta per due
volte nel Marameo, rivista satirica triestina, nelle edizioni del 25 agosto 1939 e del 5 settembre 1941.
Ecco i numeri ed i loro “significati” con accompagnata per ciascuno una lettera indicante la causa individuata
che viene distinta in: (A) assonanza, gioco di parole; (R) rima aggiunta; (F) figura, interpretazione simbolica
della forma del numero; (P) personaggio noto o suo attributo; (C) cabala dei sogni; (D) data, calendario; (V)
varie.
In totale le voci sono 149. La parte del leone spetta alla Cabala con 39 assegnazioni, segue la Figura con 32,
l’Alterazione o gioco di parole con 22, la Rima con 16, le Date o calendario con 18, le Varie pure con 18 ed
infine i Personaggi con 6.
39
La città
1. El binbin (F); Pipin dela Cassa-malati (P).
2. Duelo (A); el barbagiàn (C).
3. tripe-merda-e-brò (A); tre, fin che coro no me
ciapé (R) ; tre, ti polenta e mi cafè (R).
4. La carega (F).
5. La teta (F); i déi de la man (F); cinque, el zogo
dele s’cinche (R).
6. Un omo (C); el parsuto (F); la Rudìa (D) (è la
Befana che viene il 6 gennaio); sei, polenta e
usei (R).
7. Babàu (P); sete-tachi e un brustolin (P)
(entrambi soprannomi).
8. Le bale col fagoto (R) (le bale sono i cilindretti
di legno con impresso il numero: “Levime la
bala bona!” – il sacchetto di stoffa che le contiene solitamente detto bàlego: “Daghe ‘na
scassàda al balego!”, qui per esigenze di rima
viene fagoto); el gobo del loto (A); oto, simioto (R).
9. No a ven (A) (in lingua significherebbe ‘non
viene’); el gobeto (F); nove, là che ‘l mus fa le
prove (R).
10. Sior priore (V); torso e buso (F); diese, a ti
gnente a mi sariese! (R).
11. I pài del telegrafo o i pài dela luce (F); le
braghesse dei S’ciavoni (F) (portavano
pantaloni molto stretti); un dise… seguito da
qualsiasi frase come fàte in là, quel che a
vol, ecc… per falso significato del numero che
in dialetto fa pure undise.
12. I (dodise) apostoli.
13. La morte (C); ponto de Giuda (P); Santantonio
de Padova o Santa Lucia (D) (per il calendario:
13 giugno e 13 dicembre).
14. El diavolo (C); le opere de misericordia (V); le
cròdeghe (A) (cotiche).
15. Quindi…xe cussì (A).
16. Se dise e no se schersa/no se parla (A).
17. Desgrassià (C).
18. La fame del disdòto (D) (ultimo anno della
Grande Guerra), sangue (C).
19. Sanasàrio (D) (la festa del patrono della città,
19 giugno).
20. La flica (V) (così veniva chiamata la moneta
austriaca da venti centesimi).
21. I ‘nberiaghi (C) (gli ubriachi).
22. I do zomei (F) (gemelli); le do anerete (F) (i due
anatroccoli); Se-tanta-sete hai…vin-ti-do (A).
23. Il culiseo (F); Silele canpanele per andar in
farmacia, tichete tachete scanpa via (V)
(motivo non chiaro).
24. L’afito de casa (D); Fora de casa! (D) (il 24
40
di agosto scadevano i contratti di affitto; si
vedevano circolare carretti con masserizie per
cui il cassetto di cucina ove si tenevano
gli oggetti vari alla rinfusa: cavatappi, forbici,
cazzuole, ecc. veniva detto el cassetin del 24 de
agosto).
25. Nadal (D); Nosse de arzento (D).
26. San Stefano (D) (26 dicembre).
27. Zorno de paga (D).
28. La titola (F) (dolce pasquale la cui forma a
treccia con uno o più uovi, poteva richiamarsi al
numero).
29. Sanpiero (D) (29 giugno).
30. El popolo (C); el gobo (C); Bepi Trenta (P)
(s.n.); el gobo col saco (F).
31. La rasòn o anche duti la vol ‘ver! (sempre
sottinteso ‘la ragione’, dal detto: Ti ga fato
trenta, fa trentùn! Intendendo: “Hai avuto
ragione finora, non passare dalla parte
del torto”, da un gioco delle carte, sul tipo del
‘settemezzo’, ove il punteggio massimo è 31(V).
32. El fredo in Toscana (D); Tre do…che fa sìe (A).
33. I ani de Cristo (D).
34. Tre careghe (F) (il quattro scritto a mano
somiglia ad una sedia).
35. Le tre gobe (F)
36. Trentasei, i tre usei (R); tre sìe fa disdòto, altre
do bale col fagoto (R).
37. Tre sete…che no fa vintiùn. (A); trentassete, la
polenta tajada a fete (R).
38. Chi che ciama xe un simioto (intervento esterno)
(R).
39. La forca (C).
40. Mi cago e ti guanta (R) (commento esteso
all’uscita di tutti i numeri in -anta).
41. Qua ràntega ùn (‘qui rantola uno’) (A); el gloria
del salmo (V) (allusione di riferimento
religioso).
42. I pedoci (C).
43. Tre careghe rebaltade (F) (cfr. 34); la finestra
(C).
44. Cacaracà (A); do careghe (F).
45. Meso cartelòn (V) (i giocatori hanno una o più
cartelle, ognuna di 15 numeri, chi leva le bale ha
el cartelon con tutti i 90 numeri); el morto
resussità (C).
46. La morte inberiaga (C) (‘ubriaca’, che non
appartiene alla cabala, ma va spesso connessa
per ironizzare sulla morte).
47. Morto che parla (C); secondo annotazioni di
Gavardo Dona morta che parla (C).
La città
48. Omo morto che parla (C).
49. Carega nova (A).
50. Mezo secolo de gloria (D); le nosse de oro (D).
51. La farsòra e el manego (F); quindise ala roversa
(F).
52. La màre (C).
53. Le pignate (C) ovvero la salata (C).
54. Merda (C).
55. Le tete (F); finfunfunsi (A) (dal tedesco); le
cacuce (F).
56. Le scarpete cole rosete (C); le ciave (C).
57. Consapignate (C ).
58. La morte del’oca (V) (nel popolare ‘gioco
dell’oca’ la morte figura alla casella 58).
59. Casa mia (C).
60. Se-sàlta, co’ se bala (A).
61. Se salta con un (A).
62. Se salta con do (e così via per tutta la decina)
(A).
63. Sposalissio co’ la dota a metà (C).
64. La corona dela regina (C).
65. Dona gràvia (incinta) (C).
66. I do parsuti (F); i parsuti soto i travi (F).
67. El parsuto inpicà sula forca (F).
68. Se no zogo no ciapo al loto (R).
69. Su e zo per Calegaria (V).
70. Porta Pia (D) (anno della presa di Roma); setanta forza hai, fora con mi tu vai (A).
71. Fenocio e lingua, el magnar de la Sénsa (V)
(pietanza tradizionale della festa
dell’Ascensione).
72. Nessuna voce per Capodistria (Babudri porta la
Madona per Trieste e la mazurca per Muggia).
73. I caponi (C).
74. El bacolo (scarafaggio) (C).
75. Baso de morto (C); nosse de diamanti (D).
76. Se-tanta-sei, fate a véder (A); le babe senti i
pùlisi (V).
77. Le ganbe dele donete (R).
78. El mejo numero del loto (R) (a Pirano i tòteni
del Papa).
79. La regata cole scove (R).
80. O-tanta-speransa (A); le àneme del purgatorio
(C).
81. El sior col baston (F).
82. Andar a caval (C).
83. El leto (C).
84. La cesa (C).
85. El dotor (C).
86. I vòvi (uova) col parsuto (F).
87. O-tanta-sete, deme de bever (A); le savate
sbregade (C).
88. I ociai del Papa (F).
89. La rivolussion in Francia (D); le montagne (C).
90. El nono (V); el vecio (V); el più vecio (V) (il
numero più alto della tombola).
IL QUIZ
Nello scorso numero vi avevamo chiesto di localizzare le tre formelle in pietra bianca. Il libro omaggio va questa
volta al signor Mario Perini di Trieste che così ci scrive: “Da capodistriano di S.Pieri, credo di aver individuato sulla
facciata dello stabile (di fronte al Montaron) di via Martin Krpan le tre formelle rappresentanti a mio avviso San
Luigi Gonzaga, la Vergine col Bambino e San Bastian”. Per la prossima volta vi invitiamo a scrivere sul tema del
confine. Ricordi, aneddoti, pensieri sul “bloco”. Che non c’è più.
41
La città
Da settembre a Capodanno.
Le attività alla CI di Capodistria
1 settembre - Mostra personale del fotografo fiumano
Rino Gropuzzo nell'ambito di »TriesteèFotografia
– Identità e differenze a geometria variabile”.
Allestimento espositivo realizzato in collaborazione
con l'Associazione culturale Juliet.
4 ottobre – Conferenza: “Antonio Gramsci –
Intellettuale del domani: nel 70mo anniversario della
morte”. Evento organizzato in collaborazione con le
Associazioni “Il pane e le rose”, “Circolo Istria” e la
rivista “Il calendario del Popolo”.
10 ottobre – Escursione organizzata dalla Comunità
con un itinerario in Ciceria e tappa finale a Laurana
in occasione della “Marunada”.
19 ottobre – Presentazione del libro del giornalista
Silvio Maranzana dal titolo “Trieste, salta il confine:
dal crollo del comunismo all’Europa allargata, fino
all’Islam”. Evento organizzato in collaborazione con
l’Associazione “Il pane e le rose”.
24 ottobre – Mostra degli artisti Rajko Apollonio e
Joso Knez. Evento organizzato in collaborazione
con l’Associazione “Capris”.
25 ottobre – Tavola rotonda dal titolo “Austria…
felix? – L’Istria sotto la dominazione asburgica”.
26 ottobre – Mostra fotografica “In – discrezioni:
Volti del Dramma Italiano” di Rino Gropuzzo e
rappresentazione teatrale del Dramma italiano di
Fiume che porta in scena al teatro di Capodistria
“Goldoni Terminus” di E. Erba, T. Štivičić e R.
Zink.
9 novembre – Torneo di tressette e serata sociale in
occasione della festa di S. Martino.
19 novembre – Presentazione del volume XXVII della
Collana degli Atti del Centro di Ricerche Storiche di
Rovigno “L’Istria nella prima età bizantina”, autore
Andrej Novak. La presentazione libraria è stata
realizzata in collaborazione con il CRS di Rovigno e
l’Archivio Regionale di Capodistria.
22 novembre – Mostra collettiva nell’ambito del
Progetto internazionale di arti visive “Laboratori
artistici
multi-disciplinari
–
INTERARS”.
Allestimento espositivo realizzato in collaborazione
con l’Unione Italiana e l’Associazione culturale
“Kons”.
29 novembre – Presentazione del volume
“Protestantesimo in Istria” di Antonio Miculian.
Presentazione libraria realizzata in collaborazione
con l’Associazione “Histria” e la facoltà di Studi
42
Umanistici dell’Università del Litorale.
10 dicembre – Spettacolo teatrale “Le tre verità
di Cesira” rappresentato dalla Compagnia Pupi
e fresedde – Teatro di Rifredi – Teatro stabile di
innovazione. Rappresentazione teatrale realizzata
in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura
a Lubiana e il Consolato Generale d’Italia a
Capodistria.
18 dicembre – Spettacolo scolastico di fine anno.
Manifestazione organizzata in collaborazione con la
Scuola elementare “Pier Paolo Vergerio il Vecchio”.
21 dicembre – Gran galà melodico italiano con il
pianista Milko Čočev e intrattenimento augurale in
prossimità delle Feste.
28 dicembre – Spettacolo all'Auditorio di Portorose:
»Fermi tutti…è Capodanno!”, rassegna comicomusicale organizzata in collaborazione con la CI di
Pirano e Tv Capodistria.
Commemorazione del Beato Monaldo, sopra
nella chiesa capodistriana di S.Anna, sotto in
quella triestina di S.Maria Maggiore dove ne sono
conservate le reliquie (foto: D. Gregorič)
La città
Bertocchi
Crevatini
LA CHIESETTA DI S.COLOMBANO
La Comunità degli Italiani di Bertocchi nella
sera del primo dicembre ha organizzato il quinto
Incontro delle tre regioni inaugurando così l’inizio
del mese più dolce dell’anno che trascina con se
l’inverno col suo pungente freddo ma anche le
festività che invece riscaldano il cuore e portano
tanta gioia. Anche quest’anno l’obiettivo principale
della manifestazione è stato quello di unire realtà
amatoriale dei paesi confinanti e promuovere ancora
una volta un messaggio importante cioè quello
della solidarietà e della convivenza tra genti di
culture e lingue diverse. Ospiti di quest’anno, oltre
all’ospitante coro “Ginestra-Brnistra”, le “Lattaie” di
Valmarin che hanno presentato in modo divertente la
realtà delle donne che vendevano il latte a Trieste, il
gruppo vocale “Evergreen” della CI di Momiano, il
Gruppo vocale femminile dell’Associazione culturale
ungherese “Baráti Kör” di Murska Sobota (foto), il
coro “Sveti Jernej” di Opicina e, a concludere, il
“Trio mandolino” di Pirano.
La CI di Bertocchi, anche in questa quinta edizione
ha colpito nel centro, con una sala gremita di gente
che per un’ora e mezza ha potuto apprezzare realtà
amatoriali diverse. Ciò sta a dimostrare che la musica,
il canto ossia l’arte in genere non ha confine e riesce
riunire popoli differenti. Di ciò ne è prova il modo in
cui si è concluso l’incontro ossia in una cena dove i
gruppi ospiti hanno continuato a cantare nelle loro
lingue ma anche in quelli degli altri dimostrando così
che le origini, la storia o la cultura non rappresentano
una frontiera tra gli uomini che hanno voglia di
divertirsi insieme.
Roberta Vincoletto
A Sud del monte di S.Michele, tra Chiampore
e S.Brigida, un gruppo di case porta il nome di
S.Colomban. Da qui si gode di una vista stupenda
sulla valle di S.Bartolomeo, vista che si spinge fino
a Salvore.
Anche a S.Colomban esisteva un romitorio dove
i pellegrini sostavano e si rifocillavano. Pellegrini
che giungevano dall’Europa centrale e danubiana
per imbarcarsi diretti in Terra Santa oppure ai
Santuari italiani. Qualche decennio fa nella casa
dove vivevano i coniugi Pierin e Maria, furono
rinvenuti frammenti di un affresco che raffigurava il
busto di un uomo con una bisaccia in spalla: forse
uno dei tanti pellegrini transitati per quel romitorio.
L’edificio infatti fino a pochi anni fa sembrava essere
stato parte di un convento in quanto le costruzioni a
forma rettangolare ricordavano un chiostro. Questo
edificio era probabilmente collegato alla vicina
chiesetta di S.Colombano l’unica in tutta l’Istria ad
essere dedicata a questo santo di origine irlandese del
VI sec.
Nel 1939 un forte temporale accompagnato da
raffiche di bora fece crollare il tetto della chiesetta.
In seguito l’incuria e le intemperie fecero sì che
crollassero le mura principali, rimase la facciata con
il portale in legno e l’abside. Questi ruderi furono
spazzati via dalle ruspe negli anni ’90.
Poco discosto dalla chiesetta passava una strada
romana. In alcuni punti vennero scoperte alcune
tombe sempre di epoca romana e un contadino
arando il suo podere rinvenne delle fondamenta di
costruzioni antiche.
Su di una facciata dell’edificio della chiesetta si
notava murata una lapide con la seguente iscrizione:
V. Incontro delle tre regioni
P- DOMITIUS. ASBESTUS.
ET. FESTA PERENTES
CERIALI-FILIO. ANNORUM
XX.D.S.D.
Come molte chiese anche questa è probabile che sia
sorta su suolo e con materiali di templi pagani.
Bertocchi. Gruppo folkloristico femminile della
Comunità ungherese del Prekmurje
Lavoro di ricerca del gruppo di ricerche
toponomastiche della CI di Crevatini.
Mentore: Maria Pia Casagrande
43
La città
“Letere dal Siam”
Considerassioni, dopo el ritorno dai “paesi baltici”
Bangkok, 24 Ottobre 2007
Caro Alberto,
ti te ricordi quante volte che vemo parlà del presente
sai intrigà e del tempo andà, ancora più intrigà
dela nostra Istria, tipica “tera de confin”. Magari al
“Circolo”, davanti a una cicara de café o una bicicleta.
Forse sai meno vemo parlà del suo futuro. Fassevo
questa considerazione sentà, vissin al finestrin, in un
aereo che me riportava zo, de ritorno de un viagio
nei paesi baltici. Ripensavo ai nostri discorsi perché
quando li fassevo con ti, me pareva che la “nostra”,
jera una tera de confin che più “confin” de cussì no
se podeva ‘ver. E invesse dopo esser stado per un
poco de tempo in quei tre paesi de lassù, vissin ala
Finlandia e ala Russia, me son reso conto che ghe xe
dele tere de confin, più confin dela nostra. De noi xe
miscianze linguistiche, etniche, storiche. Lassù oltre
a trovar dute queste, ghe xe anche quele religiose e,
in qualche caso, ste ultime le pol diventar motivo de
scontro ancora più facilmente dele altre.
Noi gavemo (o almeno mi ‘vevo) l’idea che quei
paesi i formava un duto unico, omogeneo. Li gavemo
sempre considerai cussì anche perché le ultime
vicende storiche li vedeva accumunai in un’unica
sorte. Po’ ghe xe la tera duta piata, in duti tre i paesi
e anche oltre, sensa monti e solo con qualche colina
de infime dimensioni, quasi un brufolo sula pele lissa
de una bela dona. E invesse anche el paesaggio se
mostra diverso, nonostante la pianura comune. Sai
Tallinn (Estonia)
Tipiche case mercantili di tipo anseatico, nella
piazza del centro storico. Bottega sotto, abitazione
sopra e la trave che esce dal colmo per sostenere la
carrucola che tirava su la merce fino nel solaio.
44
boscoso a nord, in Estonia, con grandi laghi, fin
squasi a diventar nudo e, per mi , anche un poco
triste nel sud (Lituania). Tanta costa de mar nei due
paesi più a Nord, tanto poca in Lituania. Paesi che no
‘veva mai avudo una storia indipendente e un altro,
la Lituania, che insieme ala Polonia, la jera diventada
Riga (Lettonia)
Il municipio. Ma attenzione, gli edifici della zona sono
stati tutti distrutti dai Tedeschi durante l’invasione
nazista e sono stati ricostruiti identici al passato, ma
solo nella facciata. L’interno è modernissimo
un stato importante, nell’Est Europeo, fin a rivar a
dimensioni notevoli. Pochi se ricorda che la rivava
dal Baltico al Mar Nero, compresa l’Ucraina. Che
i famosi Jagelloni, che ‘veva anche fondà la prima
università polacca (a Cracovia) i jera lituani. Girando
per la Lituania ti vedi una infinità de ciese e in tante
de quel se trova ricordi del passagio de papa Woitiła.
O perché al à dito una messa, o per aver pregà su
un dei so altari. Jera un papa viagiator, ma pochi sa
dela sua predilesion per la Lituania, non solo perché
la jera e la xe cattolicissima, ma soraduto perché so
mare jera lituana. Bon, dalla cattolicissima, forse un
poco troppo bigotta, Lituania, rivemo in Estonia,
dove circa el 40% dei citadini i se dichiara atei, i altri
xe protestanti o ortodossi e in duto lo stato se trova
solo 6000 batesai nele ciese catoliche. Passando per
la Lettonia, dove la situasion sta a metà fra Lituania e
Estonia, ma con prevalensa dele religioni protestante
e ortodossa, con una bona minoranza catolica. Za qua
vedemo una forbice de situasioni, qualche volta anche
preocupante. Agiungemo el fato, duto da considerar
La città
a parte, della presenza, fin a sessantasinque ani fa, de
una grossa presenza ebrea, ogi praticamente sparida,
o mejo, fata sparir.
Mi vevo seguì pochi ani fa, in Polonia, un corso su la
Shoah, l’Olocausto ebraico, e la storia dei ebrei me
‘veva sempre incuriosì. Ti devi pensar che Vilnius,
la capitale lituana de ‘desso, la veva bu 105 sinagohe
e ogi ghe xe restada in pié una sola e praticamente
voda. I la ciamava la “Piccola Gerusalemme” e
questo xe za eloquente. Adesso no ti trovi un ebreo!!
Più ciaro de cussì!
Comincemo subito da questo punto, anche in
considerasion dei miei studi passai. Scomisiemo
dal Nord (Estonia). Passeggio per la Cittadella de
Tallin, costruida su uno dei pochi “brufoli” che
vemo dito prima e trovo una lapide che ricorda il
“massacro” di cittadini estoni, causato dalla feroce
repressione sovietica. Un elenco de una ventina de
nomi. Savendo che anca in Estonia i Ebrei i ‘veva
fato una bruta fine, me son dimandà se anche a quel
massacro, el governo estone al ‘veva dedicà qualche
lapide. Gnente de gnente!
Passando per Riga, dove ‘vevo una guida a dir poco
favolosa per mole de conoscenze e che al jera anche
amichevole (un russo), me son permesso de dimandar
dove jera stadi deportai i Ebrei lettoni. La guida
(Dimitri) al m’à vardà come se varda una bestia rara
e dopo un poco (forse al pensava che schersavo o che
lo volevo provocar) al me rispondi: “non sono stati
deportati ….., sono stati massacrati sul posto”.
A Vilnius (Lituania) non go dimandà gnente, go
solo sentido dir de la guida (lituana puro sangue ed
anche un poco fanatica) che i Ebrei lituani ai jera
stai massacrai dai tedeschi. Za durante el mio corso
in Polonia ‘vevo imparà che i aguzzini più feroci
nei Lager nazisti, jera stai i Lituani e i Ucraini, ma
dopo go leto un bel libro scrito de un triestin, Livio
Sirovich, fio de un triestin (cognome italianiza in
Siro, po’ tornà Sirovich) e de una ebrea lituana che
el Siro-Sirovich veva conossù in Palestina e che la
‘veva portada a Trieste. El titolo (sensa voler far la
reclam del libro) xe “Cari, non scrivetemi tutto ……”
Ma quel che i suoi cari ghe ga scrito a quela siora,
jera za abastansa. Vojo solo citar un per de frasi:
Il massacro si protrae per buona parte della notte:
la mattina del 26 si contano circa 1500 morti.
Anche in centro molte vie e piazze diventano teatro
di esecuzioni sommarie e di torture che – come
registrano le successive testimonianze dei militari
tedeschi che vi assistettero – danno il voltastomaco
anche ai veterani della campagna di Polonia. ……….
è all'opera una squadra di lituani capeggiata da un
ragazzone sui venticinque anni. ……. «La gente
applaude, ride con entusiasmo, grida ripetutamente
"bravi!" all'indirizzo del giovanotto e dei suoi
aiutanti» con la fascia al braccio. Gli ebrei vengono
condotti nel piazzale a gruppi. Li fanno stendere a
terra uno accanto all'altro; quindi gli sfracellano il
cranio con tubi di ferro. E così avanti. «Prima di
venire uccisi» scrive nel suo rapporto un caporale
della 562a compagnia panificatori della Wehrmacht
«molti ebrei pregano e mormorano qualcosa tra sé.
……. «Dopo che tutti furono uccisi» hanno narrato
altri testimoni «il giovane mise da parte la sbarra,
prese una fisarmonica e, mentre la folla applaudiva
e si univa al canto, sistematosi sul mucchio di
cadaveri, suonò l'inno nazionale lituano.» Nei giorni
successivi, ai 1500 morti di Slobodka si aggiungono
altre 2300 vittime.
Zontemo ancora el fato che el vescovo ausiliare
cattolico Vincentas Brizgys, al ‘veva ordinà ai
sacerdoti dela sua diocesi, de no aiudar le famiglie
ebree perseguitade. Ma per la nostra guida lituana,
jera sta fato duto dai tedeschi.
Altri problemi per motivi etnici. In Estonia ghe
xe una forte presenza russa. In parte preesistente
all’URSS. A Tallin la percentuale dei Russi, la riva
al 40%, quasi identica a quela dei estoni stessi. I altri
xe de altre nazionalità. Sembra duto tranquilo, ma
Ivan, la guida me fa notar che la paxe aparente no xe
fruto de comprensione, ma solo del fato che un grupo
etnico “ignora” completamente l’altro. El m’à fato
anca notar che, praticamente, no esisti matrimoni
Riga (Lettonia)
Lo stile predominante a Riga è il liberty. Gran
parte gli edifici di questo quartiere sono stati
progettati dall’arch. M. Eisenstein che era il
padre del regista sovietico Sergei Eisenstein (il
realizzatore de “la Corazzata Potëmkin”)
45
La città
misti. Ogni grupo etnico fa vita a sé, salvo a scontrarse
quando el governo ga volù spostar in zona periferica
el monumento all’Armata Rossa. Ma po’ duto trona
come prima. Mi no te vedo e ti no ti me vedi.
E dopo vemo el fato linguistico. Ognun dei tre
paesi, ga la propria lingua. L’estone addirittura
appartien ala fameja ugro-finnica, imparentà con
el finlandese e con l’ungherese. Le altre do lingue,
completamenmte diverse l’una dall’altra, le fa però
parte de la stessa fameja linguistica, quela dele
lingue baltiche. E qua gavemo una curiosità. Oltre
al Prussian antico, oramai defonto, esisti ancora
do lingue baltiche uficiali: “letone e lituano” e una
ancora parlada ma in via de estinsion. Come de
noi l’istro-rumen. Se trata del curlandese che a suo
tempo la jera una lingua inportante, divisa adiritura
in do “sotolingue” e ‘desso, nel 2004, parlado, squasi
per scomesa, da soli 8 abitanti. Al xe parlà su una
penisola dela costa lituana, ma come lingua al xe più
vissin al lettone.
Po’ no dovemo dismentegar la nobiltà tedesca
dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici che ga costruì
castei in ogni posto e che parlava ovviamente el
tedesco. Ancora prima dela guera jera tanti todeschi
de quele parti (Memel), tanto che questa ultima città
(quela volta za soto la Lituania, come adesso) la jera
citada nell’inno tedesco come el limite orientale del
Grande Reich (von der Maas bis an die Memel =
Dalla Mosa fino al Memel).
Altra curiosità (ma ghe ne saria tante, solo che no
podemo farla tropo longa). Xe una difusa ostilità
contro l’ex Unione Sovietica, ma anche contro la
Russia de ogi, nonostante che gran parte del teritorio
oggi lituano, al sia diventà lituano solo grazie
Pärnu (Estonia)
Spiaggia estone. Come spiaggia decisamente poco
invitante (era agosto, verso mezzogiorno, e i lettini
erano tutti liberi”
46
all’Unione Sovietica.
Comincemo da Klaipeda (ex Memel, che vemo
zà cità). Xe l’unico porto lituan, ma al xe sta fondà
dai Cavalieri Teutonici, quindi tedeschi, intorno al
1250. Po’ col 1422 un tratato ga fissà i confini fra la
Prussia e la Lituania e Memel (Klaipeda, quela volta
se ciamava cussì) xe restada in Prussia fin al 1919,
cioè cinque secoli, salvo un periodo de cinque o sei
ani, che la xe diventada svedese. Dopo la prima guera
mondiale, el tratato de Versailles la ga costituida
come territorio autonomo, sotto occupasion francese
(te ricordi el TLT?)! Ma per poco. Nel 1923, le trupe
lituane la ga ocupada e i Francesi i s’à ritirà. Nel
1939, la xe stada incorporada nel Reich Nazista, fin
ala fin del 1944, quando xe rivada l’Armata Rossa
e la città incorporada nela Repubblica Socialista
Sovietica di Lituania, mentre squasi duti i abitanti de
lingua tedesca i ga esodà e i s’à rifugià in Germania.
Da allora ga sempre fato parte dela Lituania, prima
come parte dell’URSS e dopo come repubblica
indipendente.
Ma questo xe gnente! Vilnius ga una storia ancora
più simile alla nostra. Sorta in una zona, prima abitada
da tribù baltiche, la xe stata abitada da popolazioni
slave e dopo l’XI secolo da Ebrei (ti te ricordi che i la
ciamava la “piccola Gerusalemme”?), ogi duti sparidi
(slavi, ma specialmente i ebrei). Con l’unione fra
Lituania e Polonia, la xe diventada polacca. Centro
de grandi comerci, la cità ga atirado popolazioni de
duti i tipi e la sua missianza la xe cresuda a dismisura,
fin al 1655 quando i Russi la ga ciapada e brusada,
massacrando gran parte dela popolasion. Ma nel
1795, con la famosa spartision dela Polonia, la cità
xe stada anessa ala Russia zarista. Dopo la rivolusion
de otobre e dopo varie vicende (russi, polacchi,
ancora russi), la diventa nel 1919 capitale del novo
stato de la Lituania Centrale indipendente, ma za nel
1922 la ga proclamà l’unione con la Polonia. E la
xe restada soto la Polonia fin al 1939 quando, col
patto Molotov-Ribbentrop, la cità e el suo teritorio i
xe stadi ocupadi dall’Unione Sovietica, che ga dà la
cità e i dintorni a la Lituania. E da alora la xe restada
lituana fin adesso.
Ti ga perso el conto dei passaggi de un stato
all’altro? Un poco come qualche tera de nostra
conosensa.
Naturalmente no go dito che poca roba de quei paesi,
ma se qualchiudun ghe interessa, me pol contatar per
posta eletronica a [email protected].
Lucio Nalesini
La città
Repertorio italiano di corrispondenza
alle voci dialettali capodistriane
Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico
etimologico del dialetto di Capodistria di Giulio Manzini
D
da (prep.) – de
dabbene – de sèsto
daccanto – arènte, 'rente
daccapo – de novo, indrìo
daccordo – decòrdi
dado – tanpàgno
dai! – àla!
damerino – scartossèto
damigiana – demjàna, damejàna
danaro – soldo
danza – balo
da parte – desparte
dapprima – prima, de principio
darsena – mandràcio
dattero – dàtolo
davanzale – davansàl, pusiòl
davvero – per vero, per da bon
debole – debolo
decagrammo – deca, deche
decolorare – scolorir, smarir
decomposto – marso, andà de mal
decremento – calo
dedito – uso, (a)bituà
dedurre – cavar; capir
deflagrazione – tiro
defluire – scorer, corer
deformare – inberlàr, slanbràr
deformato – storto, stravirà, scavassà
defunto – defonto
degenerare – rovinarse, butarse mal
degente – malà
deglutire – ingiotìr
degustare – sercar, zercar
delatore – spion
delfino – dolfìn
deliberare – decìder
deliberatamente – apòsta
delicato – dilicato
deludere – cagar su l'amo
deluso – slavassà
demente – mato
demolire – desfàr, desmatàr, butar zo
denaro – soldo, flìca, sgheo, patus
denso – fisso, pengo
dentice (itt.) – dentàl
dentro – drento, int'
denudare – despojar
depennare – scanselar, stricar
deporre – pusar
depositare – meter, salvar
derelitto – bandonà
deriva (nautica) – colonba; tratanàda
derivare – provignir, nasser
descrivere – spiegar, contar
desiderare – voler, bramar
desistere – molar, lassar
destino – distin, sorte
destra – drita, dreta
destro – furbo, svelto
detenere – gaver, tignir
detergere – forbir, netar
detrarre – cavar
detto – dito, modo de dir
di (prep.) – de
dialogare – parlar, discorer
diarrea – mossa, cagarela
diavoleria – diavolèsso, strigaria
diavolo – giàolo
diceria – ciàcola
dietro – da drio
difficoltà – ràdego, ingàio
diffidente – sospetoso
digrossare – sgrezàr
dileggiare – coionar, cior pel cul
diluire – intenperàr, slongar
dimenare – remenar
dimenticare – desmentegar
dimesso – cucio
diminuire – calar, strenzer, scurtar
dimora – casa
dimorare – star
dinanzi – prima, (a)vanti
dintorno – a(torno)
dipanare – destrigar
dipingere – piturar
diradare – s'ciarir
dirigere – menar; pontar
dirimpetto – visavì
diroccato – in rovina, desmatà
dirupo – rivasso
disabitato – svodo
disaccordo – barufa
47
La città
disadorno – povaro
disagio – pena
discendere – vignir zo, calarse
discernere – veder
discesa – rato in zo; calada
disco – tondolo
discorrere – parlar, ciacolar, rajonar
discrezione – polegana
disdetta – scomio; pegola
disertare – scanpar
disgustoso – cativo, stomegoso
disonesto – inbroion, figura porca
disordine – bordel, casoto, gheto
remitur, batibojo, barafusa
dispensare – dar, spartir
disporre – meter, prontar
disposizione (buona) – anda
dissipare – frajar
dissodamento – scasso
dissodare – meter in lavor, romper
distante – lontan
distendere – destirar
disteso – destirà, trèsso
distintivo – (la) stema
distorcere – storzer
distratto – incantà
distribuire – spartir
disturbare – secar
disturbatore – secabìsi
disubbidire – no scoltar
ditale – sisiàl
dito – deo, den
divellere – cavar, dispiantar
diverbio – quistion
divertimento – bàgolo
divertirsi – bagolàr
divisa – montùra
divorare – slupàr
divulgare – far saver, bater tamburo
dizione – modo de parlar
docile – bon, quàcio
documento – carta
dogarella – palcheto, dogarela
doglia – doja
dolce (agg.) – dolsi, dolso
dolce (sost.) – pasta
dolere – dioler
domandare – dimandar
domani – doman, diman
dondolare – zinzolàr
donnaccia – babàssa
dopo – po, drio
dorato – indorà
dormiglione – dormioto, indorminson
dorso – gròpa
48
dotato – fornì
dote – dota
dotto – studià
dove – indove, andove
drizza (mar.) – ghindasso, mante
drogheria – drogaria
dunque – donca
durevole – che dura
E
è – xe
ebbro – inberiago, ciuco, duro
ebollizione – boio
ebreo – abreo
eccedere – andar oltra
eccessivamente – massa
eccetto – fora che
eccettuare – lassar fora
economo (agg.) – strento, sparagnin
edema – gnoco, susin
edera (veg.) – elera
edificare – far, far su
educazione – creansa
effimero – che no dura
egli (pron.) – lu, el, al, a
eguale – conpagno
elaborare – curar
elastico – astico
elemosinare – far lemosina
elenco – lista
elevare – alsar
elica – propela
eliminare – scartar
elogiare – lodar
eludere – schivar
embrice – copo
emergere – vegnir fora
emicrania – mal de testa
emolumento – paga
emorroidi – maroide
emulazione – rìfa
energia – forsa, polso
entrambi – duti do
entrare – andar (vignir) drento
entrata – entrada, portego
enumerare – contar
epigrafe – scrita
epilessia – mal de San Valentin
epoca – tenpo
epurare – netar, purgar
equipaggiare – fornir, matar, armar
equipaggio – armo
equità – justissia
La città
equivalente – valer conpagno
equivoco – sbalio, falopa
erba medica (veg.) – erbaspagna
ereditare – reditar
eretto – drito
erigere – far, tirar su
erodere – rosegar, smagnar
erpice – arpese, ruspa, graspa
erpicare – grapar, ruspegar, arpegar
errabondo - sìngheno
errore – falopa, capela
erta – rato
esaltato – mato
esaminare – studiar; tamisar
esatto – justo
esaudire – scoltar
esaurire – finir, terminar
esca – (la) lesca
escludere – lassar fora
escoriazione – sgràfo, russada
esente – franco
esibire – mostrar
esibizionista – blaga
esigere – pretender; scòder
esile – sutìl, (metaf.) schìla
esofago – gargàto
esortare – far corajo
esperienza – pratica
esperto – navigà
espiare – pagar
espletare – far
esplicitamente – ciaro, fora dei denti
esplorare – sercar, sbisigàr
esplosione – tiro
esporre – espòner, meter fora
esposizione (a sole o vento) – batùda
espressamente – apòsta
essa – ela
essere umano – cristian, cris'ciàn
essiccare – sugar
esso – lu
est – levante
estate – istà, istade
estendere – slargar
esteriore – de fassàda, de fora
estero – foresto
estirpare ed estrarre – cavar
estremità – cavo, zima, ponta, testa, cào
evaporare – sbanpìr
evitare – scapolàr
F
fabbricato – casa, (spreg. casòn)
fabbro – favro, fàvero
faccenda – fassenda, afar, mistièr
faccendiere – fassendon, futissòn, buleghìn
faccia – viso, muso
faccia de… – vis de…
facciata – fassada
facezia – butada
facinoroso – barufante
faggio (bot.) – faghèr
fagiolo (veg.) – fasol, fasiol
fagiolino – fasoleto, tegolina
faina – fuina
falce – (fienaia) sega, siega; (da mietitore) sièsola
falcetto – false, sfalsa
falciare – tajar, sfalsar, (fieno) siegar, (grano) siesolar
falco (ucc.) – falconeto, pojana
falegname – marangòn
falsificazione – inbròio
famiglia – fameja
fanale – feral, fanò, (mar. bonbèta)
fanciullo – putel
fandonia – busìa, bala, fiaba, flòcia
fanghiglia – plòcio, lèca, paciùgo
fango - (mar.) vèlma
fannullone – tirafiaca
farfalla – pinpinela
farmaco – medesìna
faro – feral
fascia – fassa, (di nubi) tressa, (di campo) filagna
fasciame (mar.) – (i)madièri
fasciare – infassàr
fattoria – cortìvo
fattucchiera – striga, butacarte
favilla – falisca
favore – piassèr
favorire – jutàr
febbraio – febràro
febbre – frève
fecondare – (del gallo) galàr, (altri anim.) inpinìr
federa - intimèla
fegato – figà
felicemente – ben, pulito
femmina- femena
fenditura – tajo, s'ciopadura, sfessa
fenomeno – felomeno
feritoia (stradale) – gàtolo
fermaglio – fiuba, fuiba
fermarsi – fermarse, incantarse
fermentare (del mosto) – boìr
fermo – fermo, duro
feroce – cativo
ferro da maglia – gùcia
ferrovia – feràta
fessura – sfessa, comisura, (mar.) chimento
festa – festa, sagra; licòfo
49
La città
festoso – lègro
fetore – spussa, tufo
fetta – feta, slepa
fiacca – fiaca, meca, pachèa
fiacco – fiacoso, straco, debolo
fiamma – fiama, banpa (vampa)
fiammata - banpàda
fiammifero – fulminante, forminante
fianco – banda
ficcanaso – furegon, sbisighìn
ficcare – ficàr, cassàr
fico (veg.) – figo (frutto), fighera, figàra (albero)
fidanzarsi – inprometerse
fidanzato – moroso
fienile – fenil
fieno – fen, fien
figlio – fio
figlioccio – fiòsso
filastrocca – tiritera, lòica
filetto (gioco) – trìa
filo – fil, àze
filone – (geol.) vena, (di pane) strussa
fine (agg.) – fin, sutìl
fine (sost.) – fin, finàl
finestra – balcòn
fioccina – fòssena
fiocco – fioco, (mar.) floco
fionda – flonda
fisarmonica – rimònica
fischiare – fis'ciar, subiàr
fischietto – fis'ceto, subioto
fitta – sponta, (delle vertebre) scrico
fitto (agg.) – fisso
fiumana – fiumera
fiutare – nasar, usmàr
flemma – camòma
floscio – fiapo
fluire – corer – filàr
focaccia – fogassa, pinsa, cùguluf
focaccetta (con uovo sodo) – tìtola
focolare – fogoler
fodera – fodra
foderare – fodràr
fodero – fodro, baschèra
folata – refolo, refolada
folgore – lanpo, saieta
folle – mato
folto – fisso
fondere – squaiar
fondiglio – fondo, morcia, fondacio
fondo – fondo, (del mare) el fondi, (salifero) cavedin
forare – sbusàr
forbici – fòrfe
forcata – forcassàda
forcella – forcola
forchetta – piròn
50
forcone – forcàs, forcàl
fofora – paiòla
forma di formaggio – formajèla
formaggio – formàjo
formica – formìgola
fornace – fornàsa
fornaio – fornèr, pistòr, pek
foro – buso, bus
forse – forsi
forte – forte, saldo, stagno
fortunale – neverìn, fortunal
foruncolo – brusco, bugnòn, (se piccolo) brufolo
forzare – sforsàr
foschia – calìgo
fosforescenza marina – ardòr
fossa – fosso
fossetta – gramola
fra (prep.) – infra
fracco – càrego
fradicio – marso, supo, bonbo
fragolino (pesce) – ribòn
fraintendere – stracapìr
frammento – toco, scàia, s'ciànta
franco – libero; sinzier, s'cieto
francobollo – marca
frangia – franza
frantoio – torcio
frasca – frasco
fratello – fradel, fardel
frecciata – tacàda
freno – fren, slàif
fretta – furia, (in f.) de scanpòn
fringuello (ucc.) – montàn
frittata – fritàja
frittella – fritola
fronzolo – pìnpolo
frosone (ucc.) – frisòn
frotta – ciàpo, brigada
frumento – formento
frusta – scùria
frustata – scuriàda
ficile – s'ciopo
fuggire – scanpàr
fuliggine – calìsene
fulmine – fulmene, saieta
fumaiolo – camin
fune – cavo, zima, (spec. mar.) mante,
scota, caregabasso, borina, ghindasso,
alsàna, gegoma, rocheta
funicella – merlìn, sagola
fuoco – fogo, fogaròn, fogarel
furente – fora dei gangheri
furfante – canaja, baraba, inbroion
furto – rubarìa
fusto – mànego, ganba; (in cantina) ordegno
La città
Freschi d stampa
- Francesco Trevisani. Un pittore da
Capodistria a Roma
La casa ed. Edizioni della
Laguna di Mariano del Friuli
e Lidia Puliti Pagura ci
regalano la prima monografia
su Francesco Trevisani,
pittore nato a Capodistria
nel 1656 e morto a Roma nel
1746. Allievo a Venezia di
Antonio Zanchi, giunse presto
a Roma, dove svolse la sua
carriera per intero, nel 1678.
Suo mentore fu il cardinale
veneziano Pietro Ottoboni,
Trevisani
nipote di Alessandro VIII,
uno dei più importanti mecenati del momento. Fu affiliato
all’Accademia dell’Arcadia. Le sue opere si trovano in
importanti musei e collezioni, compresa quella reale
inglese. Fino al 1955 era intitolata a lui l’attuale via dei
Glagoliti (vicino alla posta vecchia).
- L'Istria nella prima età bizantina di
Andrej Novak
Per la Collana degli Atti del centro di ricerche storiche di
Rovigno è uscita la traduzione italiana di “L’Istria nella
prima età bizantina” di Andrej Novak. Il volume è stato
presentato all’Archivio regionale con l’apporto della
nostra Comunità. Di seguito riportiamo alcuni passi della
prefazione al libro firmata da Donata Degrassi.
(…) Se l’epoca bizantina in terra istriana si presenta
ancora “misteriosa”, ciò dipende dal fatto che assai rade
sono le testimonianze che ci parlano di quel periodo.
Pochissime sono le fonti scritte: passi ardui e di difficile
interpretazione, su cui si sono affaticati generazioni di
storici alla ricerca del senso autentico di certi passaggi
ambigui o decisamente oscuri. Più numerose sono le fonti
monumentali e archeologiche, che tuttavia poco ci dicono
se non adeguatamente illuminate da un corpo di scritture
dell’epoca. Ci vuole dunque coraggio e competenza,
perché è necessario avere un bagaglio di conoscenze
vaste e interdisciplinari per affrontare questo nodo storico
(…). Ed è necessaria anche una pazienza proverbiale per
mettere insieme i fili discontinui e spezzati di personaggi
che si ritrovano sporadicamente menzionati qui e là,
magari con epiteti diversi, e ricomporre la loro storia
e il loro significato che ha avuto rispetto alla vicende
complessive.
Di tutto ciò l’autore si dimostra ben provvisto, grazie
ad una solida formazione, classica e bizantinistica,
di cui questo libro, tratto dalla tesi di master dal titolo
“Dall’Istria tardoantica a quella bizantina”, costituisce un
frutto esemplare.
- Monografia Pio Riego Gambini e
Associazione Pro hereditate
Quest’anno ricorre il 90.mo
anniversario della battaglia
di Caporetto, simbolo di quel
Fronte isontino che durante
la Prima guerra mondiale
vide cadere sui campi di
battaglia un milione di
persone. Il libro su Pio Riego
Gambini, di Anita Derin per
la Fameia capodistriana, in
200 esemplari numerati, ci
racconta del clima dell’epoca
Gambini
nell’ottica del nazionalismo
italiano di allora, ovvero nell’ottica di quegli istriani
che disertarono l’esercito austriaco per andare a
combattere in quello italiano. Il clima di allora è
ripercorso attraverso documenti e foto d’epoca. Sul
tema della Prima guerra mondiale segnaliamo anche
un sito internet trilingue (italiano, sloveno, inglese) nato
nell’ambito della collaborazione fra storici e semplici
appassionati di storia di Slovenia e Italia. L’indirizzo è
www.prohereditate.com
- Protestantesimo in Istria di
Antonio Miculian
“Protestantizam u Istri (XVI-XVII stoljeće)” – in italiano
“Protestantesimo in Istria (XVI – XVII secolo” – edito lo
scorso anno dalla “Žakan Juri” di Pola 2006. Le 564 pagine
del volume di Antonio Miculian sono il risultato di anni
di ricerca, compiuti presso l’Archivio di Stato di Venezia
(Fondo Sant’Ufficio), l’Archivio arcivescovile di Udine
e l’Archivio Segreto Vaticano di Roma. Grazie anche a
una nuova impostazione, lo storico istriano è riuscito a
penetrare nel cuore della storia socio-religiosa istriana del
XVI-XVII secolo, illustrando quello che fu il credo dei
vari strati della popolazione, dall’élite alle masse urbane e
rurali, italiane, croate e slovene, sempre attente agli eventi
che coinvolgevano le personalità di maggiore spicco o che
si ponevano quali contestatrici delle istituzioni ufficiali,
civili ed ecclesiastiche, senza pertanto rinunciare alle
proprie convinzioni. Ampio spazio al ruolo del vescovo
capodistriano Vergerio, amico di Primož Trubar.
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La città
Un artista nostrano da ricordare: Oreste Dequel
Nato a Capodistria il 17 agosto del 1923 è stato un grande scultore-pittore. Nella città natia sono
rimaste poche sue opere. Una soltanto è esposta in bella vista a fianco del Municipio, quella di Pier
Paolo Vergerio.
Negli anni 50 del precedente
secolo, due sono stati gli artisti
capodistriani che hanno lasciato
una impronta indelebile nella
storia della civiltà figurativa della
nostra regione: Oreste Dequel
e Jože Pohlen. Ambedue di
straordinaria levatura, ambedue
allievi, nell’immediato dopoguerra
dell’Accademia di belle arti di
Lubiana e considerati i migliori
allievi del professor Frančišek
Smerdu. Nativo di Postumia,
Smerdu, formatosi nella scuola di
Ivan Meštrović, ha saputo fondere
nei suoi allievi gli insegnamenti
di Donatello, di Michelangelo e
di Rodin. Aderente alla figuralità
classica, Smerdu non ha mai
accettato di conformarsi alla
dottrina del realismo socialista.
La stima di Smerdu per i due
allievi istriani si è manifestata già
durante il primo anno di studio e in
particolare al momento dell’inizio
dei lavori per la statua del poeta
sloveno France Prešeren, posta sul
piazzale del teatro di Kranj. Infatti
Smerdu aveva scelto proprio
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Dequel e Pohlen quali aiutanti per
l’impegnativo lavoro, soggetto
dalla fase iniziale sino alla fine,
a diversi cambiamenti. Questa
prima esperienza pratica è stata
di grande utilità per i due artisti
in formazione. Finita l’opera
monumentale con il professor
Smerdu, i due si sono messi
nuovamente al lavoro, in attesa
del capolavoro, naturalmente
questa volta per proprio conto.
Mentre Dequel aveva conservato
la predilezione per la scultura,
Pohlen si era orientato verso la
pittura. Ancor prima di terminare
gli studi Dequel si era ulteriormente
evoluto, raggiungendo la fama di
ottimo ritrattista. Un suo ritratto di
Tito rimane ancora oggi uno dei
migliori esempi di ritrattistica in
generale. Infatti le ordinazioni del
ritratto e del busto di Tito si erano
susseguite a ritmo ininterrotto.
Terminati gli studi i due si
erano stabiliti a Capodistria,
dove dividevano lo studio e una
cameretta nella stessa casa di
residenza di altri artisti dipendenti
di Radio Capodistria. L’occasione
di risiedere nello stesso edificio
mi aveva dato la possibilità di
seguire da vicino il suo lavoro e
di parlare spesso dei suoi progetti.
Le conversazioni si concludevano
sempre con una battuta che lo
distingueva nei suoi contatti con
gli amici.
A Capodistria aveva iniziato a
sfornare busti e ritratti richiesti
da alcuni enti culturali. Ricordo
che nel ridotto del teatro, su una
mensola, erano sistemati i busti
di Cankar, Prešeren e Verdi; nella
biblioteca cittadina ancora i busti di
Cankar, Dante e Verdi. Parecchie
furono poi le ordinazioni private,
fra queste ricordo il busto della
professoressa del Ginnasio italiano
di Capodistria, Lidia Steffè, poi
dell’alpinista Sandi Blazina e del
professor Babuder.
La grande occasione per la
definitiva affermazione era giunta
quando aveva vinto il concorso
per il busto di Pier Paolo Vergerio,
nunzio e vescovo del XVI secolo.
Alcuni anni più tardi Fulvio
Tomizza rievocò la vita del grande
riformatore capodistriano nel
libro “Il male viene dal Nord”. Il
busto ancor oggi ubicato nel parco
accanto all’edificio del Comune
è l’unica opera di rilievo rimasta
a Capodistria. Avrebbe dovuto
essercene un’altra, la statua ai
marinai caduti, ultimata dopo mesi
di intenso lavoro, ma non è mai stata
posta nell’ubicazione inizialmente
prevista. Una commissione di
burocrati l’aveva bollata a causa
della nudità dei due copi. Auguste
Rodin, mitico scultore francese,
così si era pronunciato a proposito:
“Secondo me non esiste una regola
che potrebbe negare allo scultore
di creare opere in un modo
peculiare”. Va ricordato che fra i
migliori nudi di Rodin fanno spicco
“L’uomo in marcia” e “S.Giovanni
Battista”. La suddetta scultura di
Oreste Dequel, caduta ben presto
nel dimenticatoio, fu salvata dal
completo danneggiamento grazie
all’intervento di alcuni cittadini
di Isola che la posero davanti al
cimitero cittadino. A Capodistria
esiste però la miniatura della
stessa opera, donata da Oreste a
un suo amico.
Dopo il rifiuto della sua opera,
Dequel ha dovuto rassegnarsi a
La città
lasciare il suolo natio e rifugiarsi
a Trieste, per ragioni ancor oggi
oscure. Nel vicino centro della
cultura Mitteleuropea, incontrando
spesso Mascherini, Rosignano,
Soriani e Fulvio Tomizza, era
venuto a conoscenza delle nuove
tendenze stilistiche. A Trieste
la sua permanenza non è stata di
lunga durata. Dopo aver eseguito
“Le bagnanti” ed aver partecipato
alla Biennale di Venezia con
“Le nuotatrici”, concluse la
sua permanenza nel capoluogo
giuliano nel 1959 con la prima
mostra personale alla Galleria
Comunale, trasferendosi poco
dopo a Roma.
La fase iniziale del soggiorno nella
capitale è stata piuttosto disagevole.
Lincontro con Mafai gli ha portato
un po’ di sollievo. Mafai lo aveva
introdotto nell’ambiente romano
composto da artisti orientati quasi
esclusivamente all’avanguardia
che però non avevano persuaso
Oreste. Già nel 1962 le sue opere
più ecenti furono esposte nella
Galleria Antea. Nel frattempo
erano iniziati i suoi viaggi in
Europa, negli Stati Uniti ed in
Australia. Spesso si tratteneva
sulla Costa Azzurra, doveva aveva
acquistato una torre centenaria
adibita a studio.
Nel 1971 alcune sue opere,
scaturite dalle sue laboriose mani
proprio nella torre, sono state
esposte nella vicina città di St.
Paul de Vence. Negli Stati Uniti la
prima mostra personale ebbe luogo
nel 1969 a Chicago., dove Dequel
si era ripresentato nella Galleria
Oechsclaeger, ancora nel 1973 e
nel ’76. La più importante mostra
personale dell’artista capodistriano
negli USA fu inaugurata nel 1980
a Danville, in Virginia. Fra le 40
opere esposte nel palazzo, dove
fu firmata la pace alla fine della
guerra fratricida fra Nord e Sud,
c’erano per la primo volta due
gatti, uno di anice e l’altro di tufo.
La passione per i mici durava da
parecchio tempo e Oreste non se
ne faceva un vanto e nemmeno
una vergogna. Estroverso com’era
si presentava spesso: “Oreste
Dequel, di professione gattaio”.
Le altre opere esposte a Danville
rappresentavano il meglio della
sua crescita artistica dell’ultimo
decennio.
Le ultime mostre, prima della
sua prematura morte, furono
organizzate a Trieste nelle gallerie
Cartesius,
Rettori-Tribbio
e
Torbandena. L’ultima all’estero,
nella Galleria Artpress di Nizza.
Molte le mostre collettive, molti i
premi. Interessante, fra i primi, il
premio nazionale per il monumento
ai caduti di Mantova, non eseguito!
Si era ripetuta insomma la storia
di Capodistria.
Dequel, sportivo in gioventù,
aveva ricevuto un primo premio
per una statua posta nella sede
del CONI a Roma. Altri premi
ancora a Potenza, Assisi, Lecce ed
infine il primo premio nazionale
– Monumento di scultura in pietra
– per la Biblioteca Centrale di
Roma.
Oreste Dequel si spegne il 27
marzo 1985.
Ferdi Vidmar
In memoriam
Primo Bertok (1933 - 2007)
La consorte Maria assieme ai figli Susanna e Mauro, ringrazia di
cuore la Comunità per essere stata loro così vicina nei momenti
più dolorosi, in particolar modo i coniugi Lino e Zdenka Cernaz, i
coniugi Gianni e Milia Pellizer, nonché la sig.a Ondina Gregorich.
53
La città
Omaggio a Pavarotti
Nell'ambito della Settimana della
cultura italiana l'Università del
Litorale ha organizzato martedì
23 ottobre una serata dedicata
allo scomparso tenore Luciano
Pavarotti. Uno spettacolo d'arte
varia amalgamato tra suoni
recitazioni e disegni ideato da
Nives Zudič Antonič. La giovane
attrice Miriam Monica di Pirano
ha condotto la serata illustrando
la vita e l'opera di Pavarotti
accettando di buon grado anche
alcuni duetti canori assieme al
bravo giovane tenore Neven
Stipanov, anche lui di Pirano. Alla
lavagna luminosa c'era invece la
pittrice Fulvia Zudič che creava
all'istante suggestive immagini
liberando la creatività a seconda
delle canzoni in repertorio.
L'accompagnamento musicale è
stato affidato al maestro Bojan
Glavina al pianoforte e Marsell
Marinšek alla fisarmonica.
In programma famose arie
quali »La donna è mobile« del
»Rigoletto« di Giuseppe Verdi,
al »Libiamo« della »Traviata«, a
»Nessun dorma« della »Turandot«
di Puccini, ma anche canzoni di
musica leggera come »Funiculì
funiculà«, »La vie en rose«, »Nel
blu dipinto di blu«. Allo spettacolo
era presente anche la nuova
direttrice del Centro di cultura
italiana di Lubiana, dottoressa
Roberta Ferrazza, ed il rettore
uscente dottoressa Lucija Čok.
Semedella cambia volto
È in corso a Semedella la demolizione della ex autorimessa
"Slavnik". Le strutture verranno rase al suolo per dar posto
alla strada veloce che collegherà la città con la vicina Isola
attraverso un tunnel sotto il monte San Marco. Con l'intervento
il comune intende anche valorizzare la Secentesca chiesetta
della Madonna delle Grazie, per oltre mezzo secolo rimasta
seminascosta proprio per la presenza dell'autorimessa.
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Quando le chiavi
erano piccoli
capolavori
»Aprite quella porta« è il
titolo di una suggestiva
mostra allestita recentemente
dal Museo regionale di
Capodistria nella quale sono
stati esposte chiavi e serrature
antiche conservate dallo stesso
museo. Gli oggetti abbracciano
un ampio arco di secoli che
va dal Basso Medioevo
alla fine dell’Ottocento, un
periodo quindi – leggiamo
nella presentazione - “che
per crescenti esigenze di
sicurezza e protezione nonché
di precisione del lavoro, vide
scindersi l’arte del chiavaiolo
da quella del fabbro ferraio
alla quale fu legata all’epoca
delle corporazioni artigianali.
I manufatti testimoniano della
straordinaria maestria dei
fabbri che superando l’ambito
della mera utilità funzionale
di oggetti e meccanismi fece
propri i temi dell’espressione
figurativa quale principio della
creazione artistica”.
L’arte dei chiavaioli raggiunge
il suo apice tra il Seicento
e i Settecento, sia nel senso
creativo che per la sofisticatezza
dei meccanismi delle serrature.
Battenti e maniglie sono spesso
decorati con motivi plastici che
si richiamano a fatti della vita
quotidiana ed alla mitologia.
Gli oggetti presentati in questa
mostra curata da Zvona Ciglič si
trovavano finora nei magazzini
del Museo. Prossimamente si
intende allestirne un’esibizione
permanente. Le foto a colori
sono tratte dal depliant della
mostra.
La città
A) Chiave in ferro battuto del XV sec. Impugnatura
lavorata reticolo con anello appendichiave saldato.
Lunghezza 12,2 cm.
B) Chiave in ferro battuto degli inizi del XVI sec.
Con impugnatura formata da viticci.
Lunghezza 14,5 cm.
A) Chiave di ferro battuto del XVI sec. Era munita di
una piastrina, oggi persa, con l’iscrizione: “Chiave
della antica porta maggiore da Muda conservata per
tradizione dalla fam. Bernetich. 18 cm.
B) Chiave in ferro battuto saldato con rame. In uso
dal XVI al XVIII sec. Impugnatura a forma di cuore,
lama collegata con tripla S. 14,3 cm.
Chiavetta d’argento del tabernacolo della chiesa di
Santa Chiara, fine XV sec. Impugnatura trilobata,
lobi decorati con bottoncini. Fusto cavo e lama a
doppia tacca. 6,5 cm.
A) Serratura a scrocco per porta in ferro battuto
dell XVII sec. Lung. 39 cm – larg. 16,5.
B) Serratura a scrocco e doppia mandata del
XVIII sec. Lung. 30 cm – larg. 12,3 cm.
Bocchetta per serratura in ferro battuto del
XVI sec. A forma di casa in stile rinascimentale
la cui porticina con rosetta chiude l’entrata della
serratura. Alt. 14 cm – larg. 10 cm.
Lucchetto in ferro battuto di forma trilobata.
Fine XVII sec. Alt. 15,5 – larg. 11,5 cm.
55
Bambini in festa a Crevatini per i 25 anni della
sezione periferica dell’asilo italiano »Delfino blu«.
Soci della CI di Capodistria alla »Marunada« di
Laurana.
La nave scuola »Amerigo Vespucci« ancorata, il
primo settembre scorso, sotto Porta Isolana.
Dean Pellizer, primo classificato all’ex Tempore
delle scuole della CNI, sezione medie-superiori.
Nella famiglia Orlando la passione per il mare si tramanda
di generazione in generazione. Ed è così che nonno Olindo
e papà Giuliano hanno contagiato Martina fin da piccola
con l’amore per la vita nel mare. Oggi Martina è entusiasta
di lavorare alla Stazione di biologia marina di Pirano.
Dopo la laurea in Scienze Naturali ed il master in Scienze
Ambientali, recentemente ha concluso il dottorato di
ricerca con una tesi sull’ecologia dei blennidi (o bavose).
Ma le soddisfazioni più grandi a Martina le danno Artur,
Romina e Diego, che in fatto di pesci la sanno già lunga!
In casa Orlando, comunque, quest’anno si è festeggiato
alla grande anche il “fratellino” di Martina, Marco, che si
è laureato alla Facoltà di Economia e Commercio.
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