La citta 25.indd - CAN Capodistria
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Anno 12 Numero 25 Dicembre 2007 Foglio della comunità italiana di Capodistria Il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, incontra a Lubiana i rappresentanti della CNI. Il logo del neocostituito Centro italiano »Carlo Combi«. La sede è in Via Kette 1. Sito www.carlocombi.net. Il coordinatore culturale della CNI di Capodistria, Mario Steffè, inaugura la mostra del fotografo fiumano Rino Gropuzzo. La città SALVIAMO UN EDIFICIO DELLA CAPODISTRIA STORICA! Dopo il recente discutibile riassetto della via Cankar (l'ex popolare via Eugenia), "decorata" ora da imponenti palme messicane su marciapiedi di cemento stampato (improbabile imitazione del lastricato in pietra), fino a ridosso del Brolo e del Duomo, l'amministrazione del Comune città di Capodistria - con l' avallo del consiglio comunale e purtroppo anche con il silenzio delle istituzioni e dei rappresentanti della nostra comunità nazionale - ha annunciato il prossimo abbattimento dell'edificio che da decenni ospita gli uffici della polizia in piazza Ukmar, in riva al mare, dove - stando a quanto annunciato dal sindaco Boris Popovič - dovrebbe sorgere una "grandiosa fontana". A parte il pleonasmo architettonico e urbanistico a forte rischio kitch di una fontana in riva al mare, è veramente triste che tale decisione abbia ottenuto il consenso dell'ente preposto alla tutela del patrimonio culturale. L'edificio in questione non è "nuovo", non è stato costruito nel dopoguerra; con un secolo di presenza in questo punto della città è parte integrante del centro storico, della sua fisionomia, come lo erano d'altronde i vecchi edifici attigui e i magazzini purtroppo abbattuti nell'immediato dopoguerra. L' edificio di tre piani è una costante in numerose cartoline d'epoca della Capodistria del primo Novecento. Prima della seconda guerra mondiale ospitò la guardia di finanza del Regno d'Italia, dopo la guerra offrì alloggio ai primi lavoratori di Radio Capodistria e ospitò pure il primo atelier di due importanti artisti locali: Oreste Dequel e Jože Pohlen. L'edificio fu restaurato nel rispetto dell'architettura tradizionale anche se - per le necessità della polizia che vi si insediò - negli anni 50 venne costruita un'ala anche architettonicamente posticcia. Recentemente il consiglio comunale ha decretato una riduzione dell'area del centro storico sottoposto ai criteri di tutela del patrimonio storico-culturale che, oltre all'area delle ex saline (la Bonifica), esclude inspiegabilmente da ogni tutela tutta la linea di contatto del centro storico con il mare: il vecchio porto, il mandracchio e il molo della Porporella, attualmente già in fase di ristrutturazione. L' amministrazione comunale ha deciso, purtroppo senza possibilità di appello - nel suo collaudato stile del fatto compiuto votato in consiglio comunale senza dibattito grazie ad una preponderante maggioranza di abbattere un edificio che data agli albori del ventesimo secolo e che, con i suoi vani di circa 2000 metri quadri, potrebbe rappresentare un'opportunità, un'ulteriore arricchimento per l'economia e la cultura cittadina. Recentemente sia il partito Oljka (Ulivo), sia altri soggetti cittadini hanno proposto un uso razionale, alternativo e di pubblica utilità dell' edificio: la creazione di un museo della pesca o dell'ecologia marina. Svariate sono le possibilità che, rivalutando l'edificio, arricchirebbero l'offerta di Capodistria: un museo, un centro culturale, delle gallerie, uno spazio espositivo, un albergo, un ristorante... L'opzione assolutamente meno razionale - in linea con le tentazioni archittetonicamente "rivoluzionarie" e demolitrici dell'immediato dopoguerra - è quella proposta e approvata dall'amministrazione del Comune città di Capodistria . Demolire quell'edificio è un atto incomprensibile, irrispettoso nei confronti della Capodistria storica e illogico anche dal punto di vista strettamente economico: che senso ha distruggere 2000 metri quadrati di vani perfettamente funzionali il cui valore di mercato supererebbe attualmente i 6 milioni di euro? Tale atteggiamento ricorda il peggior periodo del dopoguerra quando la nuova architettura "industriale", "socialista" e "modernista" distrusse una consistente fetta del perimetro urbano storico. Se molto venne comunque salvato allora (ad esempio in riva al mare i magazzini del sale - l'odierna Taverna) lo si deve alla presa di coscienza ed all'impegno di un gruppo di cittadini che dissero "no" ad una radicale metamorfosi architettonica e urbanistica della città rinascimentale, comunque brutalmente deturpata da alcuni tristi interventi architettonici e dalla costruzione del porto. Gli obbrobri di allora non legittimano o giustificano in alcun modo una mancanza di sensibilità analoga oggi. Da capodistriani desideriamo lanciare anche dalle pagine di questo giornale il cui nome testimonia e spiega la nostra particolare sensibilità e la nostra preoccupazione per le sorti di questa nostra città e della sua identità un ultimo accorato appello al buon senso e soprattutto alle istituzioni (compresi naturalmente il sindaco, i vicesindaci, il consiglio comunale e l'ente per la tutela del patrimonio storico e culturale) che ancora possono fermare le ruspe ed evitare la demolizione di un edificio che è parte integrante del centro storico di Capodistria. Franco Juri 3 La città LE DUE MINORANZE DOPO SCHENGEN Convegno, Trieste, 1 dicembre 2007 Progetto europeo “SA.PE.VA. Studio, Analisi, Promozione E VAlorizzazione del Patrimonio Culturale, Storico e Linguistico delle Comunità Nazionali Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera” di Maurizio Tremul Presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana Con la piena integrazione europea degli Stati e con la caduta dei confini, secondo una concezione strabicamente liberale, le Minoranze dovrebbero cessare di esistere, ovvero non necessiterebbero più di particolari strumenti di tutela e godere del principio della discriminazione positiva. La caduta del confine non sopprime, sic et simpliciter, le Minoranze, che non esauriscono il loro ruolo. In realtà quale ruolo diverso dovrebbero avere gli appartenenti alle Minoranze se non quello che hanno gli appartenenti alle Maggioranze? Dopo Schengen, quindi, non si può presentare il quesito di quale senso abbiano le minoranze analogamente a quanto avviene per le maggioranze, i popoli, le nazioni, gli Stati. Le minoranze, anzi, possono contribuire ulteriormente a favorire la sana contaminazione delle zone liminari, la collaborazione tra le aree di contatto, quali luoghi di incontro, di dialogo, di intersezione e interazione, rendendoli più ricchi. La domanda di come questi profondi mutamenti influiranno anche sulla realtà e sullo status delle nostre due Comunità Nazionali è certamente legittima. Questi processi, infatti, incidono in genere sulla vita delle genti di confine, immaginiamoci lì dove correva la cortina di ferro: anche se meno rigida di quella che divideva i Paesi occidentali da quelli del blocco sovietico, era pur sempre una salda barriera che divideva due mondi contrapposti. Rudi Pavšič (SKGZ) e Maurizio Tremul (UI). Primorski dnevnik, 27 novembre 4 Fra pochi giorni, quindi, cadrà il confine inteso quale luogo in cui si deve esibire un documento d’identità, dichiarare i propri effetti e il proprio bagaglio. Quanti timori ha accompagnato quella linea ogni volta che la si attraversava, vuoi per l’intrinseca paura che l’ideologia realsocialista jugoslava incuneava fin dentro le ossa, imbrigliando libertà e chance, vuoi per il piccolo contrabbando di caffè, detersivi e giornali, di carne, uova e grappa. Tutto questo sarà, ora, consegnato alla storia, farà parte dei nostri ricordi e del nostro essere stati. Davanti a noi si aprono notevoli possibilità di lavoro, nuove mobilità, inedite scelte di vita. D’ora in poi ci si potrà impiegare a Trieste e abitare ad Ancarano, vivere a Dolina e far frequentare ai propri figli le scuole a Isola. Si aprono, pertanto, anche nuove sfide per le Istituzioni e le imprese che dovranno misurarsi con un mercato più grande e competitivo. Anche le Istituzioni e le Scuole delle due Minoranze, quali pilastri dello sviluppo identitario dei suoi appartenenti, dovranno tenere conto di questa La città nuova situazione e apportare le necessarie innovazioni nella propria azione e offerta. Negli ultimi mesi l’Italia e il Friuli Venezia Giulia stanno procedendo a grandi passi sulla strada del riconoscimento e dell’attuazione dei diritti in favore della Comunità Nazionale Slovena (CNS). Finalmente, è un fatto di portata storica. I nuovi strumenti legislativi e normativi superano giustamente, anche se con notevole ritardo, le gabbie imposte dal Memorandum di Londra del 1954 e dagli Accordi di Osimo del 1975 in tema di territorialità della tutela degli sloveni. L’attualizzazione di quelle disposizioni e la loro coerente applicazione avvengono, evidentemente non a caso, proprio in concomitanza con il compimento della piena integrazione della vicina Repubblica nell’Unione Europea. Per la CNS rappresentano un importante risultato che è al contempo punto d’arrivo e base di partenza per la sua ulteriore crescita. In questo processo potrà sempre contare sul sostegno, sulla collaborazione e sulla piena solidarietà della Comunità Nazionale Italiana (CNI) e dell’Unione Italiana (UI) in particolare. La Slovenia dovrebbe necessariamente cogliere questo spirito nuovo, questa grande apertura e questo slancio progressivo, determinato anche dagli effetti tonificanti che l’integrazione europea porta con sé, per risolvere i molteplici e gravi problemi che affliggono la CNI: attuazione dei diritti, bilinguismo, preservazione del territorio, tutela culturale della sua identità. Si tratta di situazioni molto gravi, emerse in tutta la loro drammaticità dai dati del censimento del 2002 e che non hanno incontrato ancora la dovuta maturità politica e culturale presso le forze politiche e di Governo, nazionale e locale, atta a varare, d’intesa con la stessa CNI, un piano condiviso e efficace che contrasti, prima che diventi irreversibile, un trend di progressiva compressione dei diritti e di sistematica violazione dei medesimi. Pena la sua completa assimilazione e scomparsa. In quest’ambito più generale, ma di indubbio interesse anche per le nostre due Minoranze, la specialità del Friuli Venezia Giulia, rispecchiata nel suo nuovo Statuto all’esame del Parlamento, va indubbiamente valorizzata e non ridotta. La denominazione plurilingue della Regione, espressione della sua variegata e ricca realtà, a tutela delle sue Minoranze, andrebbe salvaguardata, confermando il diritto di cittadinanza alle espressioni linguistiche storiche del territorio. Anche la specialità del Capodistriano andrebbe altrettanto capita e valorizzata, sia per quanto concerne la sua estensione – che dovrebbe comprendere i tre comuni costieri sloveni - sia per quanto attiene i suoi contenuti. Non si può continuare a ragionare, quando si parla della sua ampiezza, sempre in termini squisitamente monetari ed economicistici, neanche fosse un problema di private equity, della serie mordi, massimalizza i profitti e fuggi. Nella nuova Provincia che vorremmo comprendesse solamente le municipalità di Capodistria, Isola e Pirano, la posizione della MINORANZE, UN RAPPORTO CHE CRESCE Il convegno SA.PE.VA Le prospettive delle due Comunità Nazionali, quella slovena in Italia e quella italiana in Slovenia e Croazia, dopo Schengen. Questo il tema del convegno di studi del progetto SA.PE.VA : Studio, Analisi, Promozione E VAlorizzazione del patrimonio culturale, storico e linguistico delle Comunità Nazionali Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera, finanziato dal programma europeo INTERREG. L'incontro conclusivo, intitolato Le due minoranze dopo Schengen si è tenuto al Kulturni dom di Trieste. Nella prima parte gli interventi del presidente della SKGZ Rudi Pavšič, del Presidente della Giunta Esecutiva dell'Unione Italiana, Maurizio Tremul, di rappresentanti dei governi italiano e sloveno, del Friuli Venezia Giulia, della Provincia e del comune di Trieste, della municipalità di Capodistria. Al convegno hanno partecipato gli studenti delle scuole medie superiori delle due comunità. 5 La città CNI dovrà trovare adeguata collocazione normativa. Questa non è tanto una questione di numeri o di quantità, ma di qualità di diritti e di rappresentanza. Diritti che potrebbero essere dettagliati e articolati rispetto a quanto stabilito dalla Costituzione e dalle leggi nazionali e che rappresenterebbero, di conseguenza, la soglia minima sotto la quale non si può scendere, ma che potrebbero essere ulteriormente incrementati a livello locale. Insomma, la CNI andrà posta nella condizione di esercitare adeguatamente i diritti che le sono riconosciuti, diritti che vanno attuati e implementati, innanzitutto superando i limiti territoriali imposti dal Memorandum di Londra e dagli Accordi di Osimo. Oggi, ad esempio, nel Comune di Capodistria, il 15% degli italiani – a Pirano l’8% - non ha quasi alcuna tutela perché risiede al di fuori del territorio nazionalmente misto, la cui estensione, pertanto, va posta tra le priorità assolute! Vanno individuati, perciò, meccanismi chiari, semplici ed efficaci che permettano alla CNI di realizzare i propri diritti e assicurino che questi saranno rispettati. In questa situazione diventa imperdonabile si contesti il nome proposto della futura Provincia e si impedisca di mantenere la parola “Istria” nella sua denominazione ufficiale. Gli slogan “Tu je primorska, mi smo primorci, primorske ne damo!” che con tanto tempismo compaiono – guarda che coincidenza – risuonano nostalgici come quelli che abbiamo conosciuto fin troppo bene “Tujega nočemo, svojega ne damo”, della serie gli imperdibili: “Tito je naš, mi smo titovi”! Altrettanto intollerabile è l’acclarata volontà di non introdurre la dicitura bilingue per la nuova Provincia che includerà i territori d’insediamento storico della CNI. La nostra è un’area delicata che richiede rispetto e attenzione, mentre è invece quotidianamente aggredita da uno sviluppo industriale, commerciale e urbano che ne viola l’identità, cancella pezzi di storia per rendere sempre più banalmente attraente la città con improbabili e posticci ornamenti, dimenticando di valorizzare i gioielli che essa possiede. Non serve nulla di esotico per rendere interessanti questi territori. Queste pietre, queste strade, queste case e palazzi, trasudano storia, cultura, tradizioni molto più pregiate e preziose, che chiedono rispetto e attendono di essere opportunamente preservate e valorizzate. La caduta del confine, speriamo, stimolerà un flusso di idee, di movimenti e di investimenti in termini di potenzialità intellettive che punteranno sulle risorse autentiche e storiche del territorio. Di indubbia utilità, soprattutto da questo momento in poi e non solo per la CNI ma anche per la crescita del Paese, sarebbe la tanto invocata e non ancora costituita base economica della Comunità che è stata negata all’epoca dalla Jugoslavia, spogliandola di ogni avere. Gli accordi segreti tra Italia e Jugoslavia che prevedevano strumenti economici in favore delle rispettive minoranze e contemplavano, per la CNI, la costituzione della Cassa di Risparmio dell’Istria e la soluzione della questione dei beni La fiera Agromin Dal vino all’olio d’oliva, dai tartufi al miele, dai formaggi ai prosciutti. Tutto un “profumo”, una festa dai sapori nostrani di qualità. Sono stati oltre una trentina i produttori che hanno colto l’occasione della fiera “Agromin” per presentare a Portorose la loro offerta. Anche tale appuntamento è stato parte integrante del progetto europeo delle due minoranze, italiana in Slovenia e Croazia e slovena in Italia, finanziato dal Programma d’iniziativa comunitaria Interreg III A Slovenia-Italia 2000 – 2006, che si è concluso a novembre. Non è mancato il richiamo alla tradizione delle saline, con uno stand contraddistinto da enormi zucche e che ha ricordato anche la produzione di cachi, soprattutto nella valle di Strugnano. Un angolino è stato ritagliato anche per presentare “Min-tour”, altro progetto che coinvolge le minoranze, promuovendo destinazioni turistiche dal Carso al mare. Di prossima uscita una guida. 6 La città immobili da restituire alla stessa CNI è stata quanto più permeabile il confine in Istria. disattesa e ancora oggi reclama rispetto. In questi giorni, con una solenne cerimonia, ci siamo accomiatati dalla famosa prepustnica. La semplice cancellazione della frontiera, però, L’Accordo di Udine del 1955, con l’introduzione, avrà effetti molto relativi e circoscritti, anche se appunto, del lasciapassare e le agevolazioni evidenti nella quotidianità delle genti di confine, che ne conseguivano erano, all’epoca, se non sarà accompagnata da una lungimirante straordinariamente innovativi e lungimiranti. e attenta azione nel campo dell’educazione e Essi nascevano immediatamente dopo la nota della formazione, principalmente delle giovani tripartita e il rischio di un’escalation della generazioni. A loro va spiegata la storia di tensione in questa parte d’Europa. Furono uno queste nostre martoriate e bellissime regioni strumento di grande apertura. Si trattava di un nella sua effettiva dinamica di svolgimento e accordo che riuscì nel suo intento: quello di non ideologizzata o ricostruita a posteriori. La alleviare alla popolazione locale le conseguenze presenza delle Minoranze, la loro realtà, la loro nefaste del nuovo confine che aveva aperto una creatività, va adeguatamente promossa: esse profonda ferita nel tessuto sociale e umano della rendono più bella, ricca e migliore queste aree regione. che presentano particolarità uniche. La partecipazione della Slovenia all’area di Schengen, pertanto, rappresenta una straordinaria opportunità, non priva di rischi e di gravi risvolti. La caduta del confine tra Slovenia e Italia è una vera festa. Per la CNI è anche l’inizio di un percorso in salita che auspichiamo non diventi un calvario. Gli Sloveni finalmente potranno realizzare quell’unità della Nazione slovena che hanno inseguito e costruito per tanti anni, coronando uno storico e legittimo sogno. Lo possono fare, oltretutto, non più nell’epoca degli Stati nazionali contrapposti, ma nel contesto dell’integrazione europea che questa aspirazione realizza con gli strumenti della cooperazione. Noi non possiamo che condividere con gli amici della CNS questa gioia, con l’augurio più fervido di nuovi successi. Per quanto attiene la CNI l’unità con la Nazione italiana, purtroppo, si realizzerà in minima parte. Anzi, l’introduzione del regime di Schengen in Istria creerà notevoli difficoltà per gli appartenenti alla CNI e rischierà di approfondire ulteriormente la frattura aperta 17 anni fa con il disfacimento dell’ex Jugoslavia e la nascita dei nuovi Stati democratici di Slovenia e Croazia. Per questi motivi chiediamo siano individuati quei meccanismi che consentano di rendere La demolizione delle cabine al valico di ŠkofijeRabuiese (Il Piccolo, 6 dicembre) 7 La città E oggi, tra Croazia e Slovenia, su questa medesima tematica, come finirà? Si continuerà a discutere di questioni volutamente mantenute aperte, ma tutto sommato ideologiche e strumentali, oppure si inizierà a dare risposte concrete alle esigenze del territorio? Si rimane sbigottiti davanti a tanta ottusità, quella che non riesce a immaginare e a creare un altrettanto avanzato meccanismo e sistema, come quello introdotto dall’Accordo di Udine, che faciliti il piccolo traffico di frontiera, che incentivi condizioni di vita più serena alle popolazioni a ridosso dei confini. Affinché non diventi una frontiera, una barriera invalicabile, allontanando ancora di più la Croazia da quell’Europa a cui indubbiamente appartiene. Certamente la costituzione dell’Euroregione Alto-Adriatica potrà rappresentare un’utile anticamera, allieverà i disagi futuri e favorirà il cammino europeo della Croazia. La decisione di insediarne a Trieste la sua “capitale” è una scelta naturale. Ci chiediamo, però, che euroregione è quella che non sia inclusiva delle aree transfrontaliere slovene ed esclude l’Istria settentrionale? Non siamo interessati a puntare l’indice contro nessuno. Non è il nostro intento, ma vogliamo rivolgere un accorato appello alla responsabilità delle forze politiche e di governo (nazionale e locale) in Slovenia, in Italia e nel Friuli Venezia Giulia affinché l’anomalia sia quanto prima sanata. Con la partecipazione anche della Croazia all’Unione Europea, l’assunzione dell’euro, l’entrata nell’area Schengen, la caduta dei confini che oggi dividono l’Istria, si realizzerà pienamente l’unitarietà della CNI in Croazia e Slovenia che abbiamo perseguito in tutti questi anni e continueremo a perseguire con coerenza e costanza. L’obiettivo, infatti, è quello dell’Istria senza confini parte integrante dell’Europa unita. Attraverso la CNI e l’UI in Slovenia, la CNI che vive in Croazia trova la porta d’entrata nell’UE. Questa situazione andrà utilmente messa a frutto, nei prossimi anni, in favore della crescita di tutta la collettività. In quest’ambito 8 andranno massimamente colte le opportunità offerte dai nuovi strumenti di cooperazione che l’Unione Europea mette a disposizione in favore dell’integrazione e della cooperazione transfrontaliera (“Obiettivo 3, Cooperazione territoriale 2007-2013, Programma transfrontaliero Italia-Slovenia”; “Programma di cooperazione territoriale europea IPA Adriatico 2007-2013”; “Programma di cooperazione territoriale europea Med”, ecc.). Da un punto di vista generale i rischi legati a tutti questi processi integrativi sono dati dall’appiattimento, dalla mercificazione, dall’omologazione, dal nuovismo e dalla globalizzazione che cancella le diversità e le identità, viola le integrità delle minoranze. Il rischio è anche la spettacolarizzazione della vita che sull’altare dell’apparenza piega ogni cosa e trasforma i dolori e le tragedie, le gioie e gli amori in varietà, show e quindi in farsa. Il rischio è che la mediocrità si sovrapponga alla qualità, che l’arte si trasformi in kitsch. Ma questo momento epocale crea anche tante opportunità, tante chances di vita e di crescita. Sta a noi saperle cogliere, mettere in movimento e in comunicazione le idee e le visioni per una vita migliore. Un po’ come favorire l’impollinazione rispetto alla sterilizzazione, la creatività, contrapposta al business e al successo da perseguire ad ogni costo, anche a prezzo dell’altrui infelicità. Insomma, l’arcobaleno contrapposto al bagliore accecante della stupidità. Speriamo che il superamento dei confini saprà dare il via ad un nuovo Umanesimo, che vedrà le nostre due Minoranze ancora protagoniste, capaci di articolare e realizzare assieme tanti e nuovi, stimolanti progetti comuni per la crescita nostra e del territorio, delle sue popolazioni, dell’Italia, della Slovenia e della Croazia, dell’Europa. Un rinascimento dell’intelligenza e della sensibilità, dell’amore per la bellezza che sola può salvare questo nostro piccolo mondo antico. La città Una lettera di Kandler sulla toponomastica Da qualche mese il Comune di Capodistria ha attivato una commissione per lo studio della toponomastica cittadina. Commissione della quale mi onoro di far parte. L’obiettivo è quello di riscoprire e valorizzare nomi antichi delle vie e delle piazze di Capodistria, ripristinandoli ove possibile o mettendo delle tabelle per indicare che “una volta” quella data via si chiamava in tal modo. Ad esempio sotto l’attuale tabella “Via Monte Triglav” se ne collocherebbe un’altra con la dicitura “già Calle degli Ebrei”. La toponomastica è lo specchio di ogni epoca essendo espressione di regimi, politiche e mentalità. Che cambiano. Il “Brolo” del primo Novecento diventa Piazza Vittorio Emanuele III sotto l’Italia, Piazza Gandusio dal ’45 al ’55 – dal cognome di un partigiano caduto; poi per cinquant’anni Piazza della Rivoluzione (Trg Revolucije) e dal ritorno alla democrazia, nuovamente Brolo. Ci sarebbe da scrivere molto sull’argomento che affronteremo con dovizia di dettagli nel prossimo numero. Prepareremo una scheda su come sono cambiati i nomi delle vie di Capodistria dal primo Novecento ad oggi. Fino alla fine dell’800 infatti le vie non avevano denominazioni, se non quelle popolari o riferite ai rioni. Ufficialmente c’erano solo numeri di casa che andavano da 1 a 1200. Tutta questa premessa per introdurre un interessante manoscritto firmato dallo storico triestino Pietro Kandler. Una lettera del 1858 in cui l’Imperial regio conservatore sollecita il nostro comune a valorizzare la propria storia, anche introducendo un’opportuna nomenclatura dello stradario. a.c. “Questi sono bei libri pel popolo, pei giovanetti che formeranno la generazione che si avanza, e per li forestieri” Pervenuta 22 Aprile 1858 L' I. R. conservatore Al prestantissimo Sig. Podestà di Capodistria Mi onoro di comunicare al prestantissimo Sig. come sospetto, più antica; cinta le cui (frane ?) e Podestà, alcune indicazioni sulli scompartimenti le porte duravano a tempi della mia infanzia. interni della città di Capodistria. La quale, come io ho potuto rilevare da esami non Entro la prima cinta stava la città nobile, la città perfetti, ebbe tre cinte = dominante; fra la prima e la seconda stava la città plebea. Fuor della seconda cinta erano collocati - La prima, come ho motivo di ritenere quadrata ed cimiteri, borgate di marinai, di pescatori, di a scompartimenti rettangolari, non ebbe maggiore campagnuoli ed ortaglie. estensione, che dal termine di Caligaria a Belvedere, dalla cappella crollata di S.Alessandro - La terza ed ultima cinta è del 1400, dico in Brolo fino alla casa che è prossima a Palazzo all’incirca, opera dei tempi veneti, ora in buona Tacco verso Ponente. parte cassata. - La seconda cinta è ampliazione di questa prima dal lato di levante e qualcosa dal lato di Entro la città nobile stava il castello, a presidio della mezzogiorno, rifatta nel medio tempo fu cinta, città, collocato come pare tra il Duomo ed il mare. 9 La città ma pigliavano nome da qualche edifizio pubblico distinto. Il secondo recinto, la città plebea, ebbe anch’essa i sei Vici, e forse fino dai tempi romani. E questi sei Vici non credo si fossero amalgamati mai con sei Vici della città interna. Alcune città minori ebbero quattro Vici, io propendo a sei, vedendo in Capodistria raddoppiato questo numero. Milano ne ebbe sei. La città nobile insieme alla plebea ebbero dodici Vici o come in Capodistria si dissero dodici porte; ed erano = S. Martino = Duomo = Zubenaga = Isolana = Bussedraga = S. Pietro = S. Tomaso = Petrorio (poi detta Ognissanti) = Pusterla = Nuova = Bracciolo = Maggiore. Pietro Kandler (Trieste 25/5/1804 - 18/1/1872). Massimo storico triestino dell'Ottocento, studiò a Trieste e si laureò in giurisprudenza all'università di Padova. Fu dal 1842 procuratore civico (avvocato del Comune). Pubblicò molteplici saggi e articoli su svariati argomenti di storia politica, economica, giuridica e letteratura triestina e istriana, alcuni volumi e molti manoscritti, avendo a disposizione il materiale degli archivi civici e basando quindi le proprie considerazioni su fonti documentarie. Asse principale della città nobile era senza’altro la Caligaria, asse che forse protendevasi oltre il mare verso i colli, non come strada ma come linea direttiva delli scompartimenti agrarii. Ma di quest’asse non occorre parlarne che per la parte entro la città. Parte nobilissima della città quadrata era la piazza, che ben può dirsi con voce usata ancor nel medio evo Foro; il quale non per cangiamento di sorti o di fortune cangiò destinazione e disposizione. Se ancora oggi giorno le Casate dei nobili stiano, le più, entro la città nobile, è cosa facile a verificarsi. La prima città fu certamente scompartita a Vici i quali nelle città romane di categoria inferiore erano sei; in maggiori di quattordici come in Roma; e non sarebbe difficile il riconoscerli, però a me mancano materiali dei quali dirò più abbasso. Questi Vici si dissero nel medio tempo Contrada, Porta e Riones, per cui i capo-rioni che prendevano posto in cura: certo non erano distinti per numeri, 10 Ciò era prima della costruzione della terza cinta. Cosa avvenisse dopo l’inclusione delle borgate, se fossero fuse con la città, lo ignoro. Le forme reggimentali darebbero norma, ma queste mancano del tutto; potrebbesi trarre lume dagli Atti notarili e specialmente dagli Atti Vicedominati, essendo debito dei Notari di indicare la precisa posizione delli oggetti menzionati negli atti, come anche l’ubicazione precisa del luogo di celebrazione del contratto; ma non ho fatto spoglio di tali atti, ed ignoro se in Capodistria vi sieno materiali dai quali poter trarre indicazioni per la destribuzione di tutta la città. In mani private ve ne dovrebbero essere. Uno dei modi di venire, non dico a certezza, ma ad approssimazione delle antiche ripartizioni, sarebbe quello di segnare su pianta di Capodistria il territorio di ogni contrada delle odierne che mi si dicono undici; a quali risultati porterebbe ciò, potrei dirlo quando avessi sottocchio la ripartizione colorata. Forse le borgate compariranno siccome aggiunte, e forse le dodici contrade primitive – sei della nobile, sei della plebea – compariranno se non integre, facili ad integrarsi. Non mi pare conveniente di cangiare faccia alla Capodistria d’oggidì, la quale sortita come è, dalle distribuzioni romane e dal Medio Evo, non può ricusare le origini, ne’ può nella materialità di costruzione foggiarsi alla moda delle città di moderna creazione. La città materiale come è, è una parte della sua storia, e nobilissima; non conviene dimenticarla o cancellarla, senza assoluta inevitabile necessità. Ora vengo ai nomi delle Porte o delle Contrade. I nomi dati dagli antichi hanno tutti la ragione, siccome La città tutti sono in lingua; il tempo ha svisato quella, ha contorto questa; è convenienza ricordarli alle origini Le ragioni del tempo, il conformarsi degli uomini alle antiche ed a lingua perfetta; ciò che pubblicamente si cose venute dal di fuori e da lontano, il rinnegare le scrive deve scriversi rettamente. origini l’ignorare od il miscredere alla sapienza degli antenati portò a fare che si predilessero le novità, e - Duomo non è sempre la chiesa maggiore, spesso il si amò di ricordare nei nomi delle vie le glorie di Palazzo, e ce ne mostra l’esempio di Pirano (per non altri, tenendo meschine le glorie municipali, credute uscire da Provincia) la ricognizione di Porta Domo, da troppo poco; ed alla ragionevolezza delle proprie farà vedere perché si disse Duomo. consuetudini, l’improntitudine di capricci altrui. Meglio valerebbe l’adottare i Numeri dell’Abbaco - Zubenaga non è retta lezione, assolutamente no, ed imporli alle vie, che a tanto arriva la pratica di che la Z fu frequente de Veneti non dei latini, ogni fanciullo. quella voce Zubenaga nasconde altra, che antiche E ben poche città possono far perdonare tale incuranza, carte manifesteranno, o condurranno a scoprire. e pienamente la sola Venezia, la quale assurta senza Pola ha (Sfuagnaga ?). distribuzione di città, se le piazze ed i Mercati si eccettuino, vede attribuito alle calli ed ai larghi, nomi - Busedraga non è retta lezione. tali che in altra città moverebbero alle risa = delle Bisse, del Carbone, del Vin, delle Scoazze = e per - Petrorio è lezione falsata, Pretorio è retta. poco delle cose più luride e disoneste. Ed è meraviglia come quel Reggimento sì sapiente sì imitatore delle - Bracciuolo non è lezione retta, di questa sarebbe antiche cose, non s’accorgesse di tanto difetto, ed convenienza indagare le origini, per ridurla a retta. abbandonasse il bel diritto di imporre li nomi, alle sconcezze ed alla ignoranza della plebaglia. - Maggiore è tolto dal nome della Via. La plebe in Istria tutta, ereditò la sapienza antica in tale argomento, ed ama intitolare le vie o dai La ripartizione delle città romane a vie, seguiva il templi, o dalle illustri famiglie; e quest’uso di lingua tipo di ripartizione degli agri; due erano le grandi volgare può con lode accogliersi nella lingua scritta vie, ambedue partenti dal Foro, in direzione fra loro e nobile. da formar croce, e queste prendevano da condizioni Ed il materiale di una città essendo documento di loro proprie, o per forma, o per la comunicazione Storia, bene sta che non solo delle viventi famiglie, che aprivano con altre parti precipue di città, o col di ma delle antiche e perite si conservi memoria ad fuori. E queste erano strade pubbliche in amplissimo incitamento dei viventi e dei posteri ad imitarli, senso, di misura determinata; altre minori segnavano a grato animo dei viventi pei passati; a migliore i sei Vici risultanti; e pur queste a misura; dei quali estimazione nel forestiero. Vici, ognuno consideratasi come fosse isola. Queste categorie di strade stavano a carico dell’intero comune. Le isole surripartivansi mediante strade minori, a metà di larghezza delle altre e stavano a carico della Contrada o della Porta, e prendevano nome da qualche memorabilità locale. Venivano per ultimo li vicoli più stretti delle vie di secondo ordine, i quali stavano a carico dei consorzisti che potevano considerarsi quali vie di consorzio e così anche si dicevano. Nel medio tempo, questi vicoli prendevano nome dalla famiglia che vi aveva palazzo o le case, e per queste sole ammettevasi il nome non di individuo, ma della Ipotesi di sviluppo della città nei secoli. Pianta gente, volendosi allegata alla tesi di laurea del prof. Antonio Ceppi, disegnata dal maestro Mario Martissa (1928). anche in questo escluso il privato per accostarsi a Tratto dal periodico La Sveglia qualcosa che ricordasse pubblica instituzione. 11 La città Dacchè il parlare e le memorie del popolo si vogliono manifestate e perpetuate colla scrittura, sembra al Conservatore che questa non dovrebbe limitarsi ai nomi delle vie e delle piazze ma applicarsi altresì agli edifizi sia pubblici sia privati, che sono degni di tenersi ricordanza ed alle località medesime. Le case di illustri persone dovrebbero con leggenda indicarsi, e Capodistria ha abbondanza di illustri nomi. Gli edifizii pubblici dovrebbero indicarsi con memorie storiche. Di loro costruzione; le piazze ed i larghi medesimi, collocandone la memoria in sito che sia conveniente non in marmo o pietra, o metallo, ma in semplice scrittura. A mò d’esempio = Casa dei Carli Nacque il Conte G. R. … Il dì … -oCasa dei Santori… -oSito di antico Cimitero Al nome di S. … -oChiesa di S. … alzata nel… ampliata nel… -oPalazzo pubblico alzato nel… Il gruppo musicale Calegaria si è esibito a Fiume e a Rovigno. Nella foto la calorosa accoglienza degli amici "ruvignìsi" 12 Il tempo e l’amore alle patrie cose suggerirà a fare queste leggende in pietra. Non è sconcio vederle scritte a colore, più di quello sia sconcio vedere i nomi delle vie e delle piazze che sono a cura del Comune e destinati a perpetuità scritti su d’una bianchetta a colore nero. Ne’ sarebbe fuor di luogo scrivere in qualche luogo frequentato – a mò d’esempio sotto la Loggia (se vi ha facciata libera) o nel Collegio - in apposite tavole i momenti principali, secondo note croniche, della Storia di Capodistria, fossero anche pochi momenti, e sulla piazza, p. e. a ridosso di una facciata del campanile od altrove, alcune indicazioni, a mò d’esempio = latitudine, longitudine = altezza del suolo sul mare = distanza fino a certi luoghi (Trieste, Pirano, Parenzo, Pola, Pisino, Fiume). Siccome entro il Duomo, la lunghezza, la larghezza. Questi sono bei libri e proficui pel popolo e pei giovanetti che formeranno la generazione che si avanza, e per li forestieri. Di queste mie indicazioni, all’incirca, meglio ne verrebbe concretandole. I porticati, gli ambulari del Collegio offrirebbero pareti al riparo, da indicare di più e nella lingua latina, mentre sulle strade e sue vie starebbe scritto in italiano. La seconda metà del secolo passato fu tempo di non curanza delle patrie cose; la prima metà del presente le ebbe in disistima e le rovesciò; sopraffatta da troppo amore per cose nuove; la seconda le restituisca in onore storico, ed in quella vitalità di cui dopo tanto sovvolgere sono ancora capaci, affidandole a memorie più certe che le tradizioni volgari. La città Da un documento comunale datato 22 maggio 1870, conservato presso l’Archivio regionale di Capodistria Numerazione civica della fine del XIX secolo Titolo originale: Numerazione degli edifizi destinati all’abitazione in conformità al s.i. del Regolamento per l’esecuzione dell’anagrafe della popolazione del 29 Marzo 1869 contenuto nella Puntata XII degli Estratti del Bollettino delle leggi dell’Impero. Bracciuolo 1. FORESTERIA (propr. del Comune) 2. ARMERIA (propr. del Comune) 3. Edificio sulla pescheria (del Comune) 4. Gorzalini Vincenzo e Michele fu Giorgio. 5. Antonia Verzi contessa (su calle Ebrei) 6. Marsich Andrea, Giov. e Maria fu Dom. 7. -II8. -II9. Maddalena Laura del fu Callisto 10. Totto eredi del conte Giovanni 11. Paccanoni eredi del defunto Biagio Chiostro dei Serviti 12. -II13. Camuzio Domenico 14. Rovatti Matteo 15. Marsich Caterina fu Giorgio 16. Gorup Elena (residente a Muggia) 17. Borisi Marcantonio conte 18. Bishal Michele 19. Dobrilla Michele 20. Luis Andrea / Matteo Radin fu Pietro 21. Marinaz Domenico 22. -II23. Marsich Andrea fu Nicolò 24. Marsich Giuseppe fu Matteo 25. Urbanaz Giovanni fu Michele 26. Decarli Francesco fu Francesco 27. Delise Giovanni e Eugenio di Rosa 28. Marsich Giuseppe fu Matteo 29. Sandrin Giovanni 30. Marsich Giov. Maria 31. -II32. Ossich Antonio fu Matteo 33. Marsich Giov. Maria fu Andrea 34. Sandrin Giovanni fu Francesco 35. -II36. Marsich eredi fu Donato 37. Sandrin Giovanni fu Francesco 38. Corte Matteo fu Antonio 39. Rasman Matteo fu Pietro 40. Sandrin Giovanni fu Francesco 41. Pacchietto Maria nata Lugnani 42. Minca Giacomo fu Nicolò 43. Cernivani Giuseppe fu Mariano 13 La città 44. Pesaro Maria, moglie di Fran. nata Cernivani 45. Cociancich Giovanni fu Pietro 46. Cociancich Biagio fu Pietro 47. -II48. Cernivani Vincenzo 49. Ban Giacomo 50. Cernivani Vincenzo 51. Tamplenizza Giovanni 52. Raunich-Deponte Angiola moglie di Michele 53. Fontanot Domenico fu Andrea 54. Vattovaz Giovanni fu Andrea 55. Martissa Giuseppe 56. -II57. Marsich eredi Domenico 58. Carbonajo Valentino 59. Biscontini-Facchinetti Maria 60. -II61. -II62. -II63. -II64. Fontanot Domenico fu Andrea 65. Gavardo Antonio – (Sotto i Bertetich) 66. Biscontini Maria 67. Babuder Giacomo (per l’economia rurale) 68. Bracciadoro Margherita 69. Apollonio Antonio fu Pietro 70. Ceregon Giovanni fu Matteo 71. Lonzar Giovanni fu Giovanni 72. Ceregon Giovanni fu Matteo 73. Marussich Pietro (in Bossamarin) 74. Filuputti Gio. Batta. 75. Vattovaz Francesco fu Antonio 76. Vattovaz eredi fu Antonio 77. Lonzar Matteo 78. Lonzar Giovanni fu Pietro 79. Corte Giuseppe fu Vittore 80. Riccobon Giuseppe e Antonio fu Giuseppe 81. Corte Lugrezia nata Almerigotti 82. Camenarovich Matteo fu Vito 83. Steffè Nazario (casa Teatro Vecchio) 84. Marin eredi fu Francesco 85. Padovan Francesco fu Simone 86. Demori eredi Nazario 87. -II88. Rovatti Matteo 89. -II90. Destradi Antonio fu Biagio 91. Sandrin Giovanni fu Francesco 92. Grio Giovanna nata Derin 93. Derin Giuseppe fu Santo detto Fighelli 94. Camenarovich Matteo 14 95. -II96. Lonzar Bartolomeo fu Biagio 97. Marsich Giorgio fu Matteo 98. Biscontini Maria 99. Totto Andrea fu Nicolò 100. Luis Nazario fu Pietro 101. Dezorzi Biagio fu Carlo 102. OSPITALE CIVICO 103. Biscontini 104. -II105. Almerigotti Giuseppe fu Fran. (Sul piaggio) 106. Manzoni dott. Giov. Andrea 107. Mongiat Leonardo, curato 108. Baseggio Nicolò eredi 109. Cernivani Nazario fu Pietro 110. Manzoni dott. Giò. Andrea 111. -II112. Cernivani Antonio fu Pietro 113. Manzoni dott. Giò. Andrea 114. Verginella Lucia fu Nicolò 115. Steffè Antonio fu Luigi 116. Vattovaz Francesco fu Antonio 117. Gavinel Antonio fu Nazario 118. Cernivani Nicolò fu Nazario 119. Jeklin Catterina 120. Marsich eredi del fu Nazario 121. Lugnani Antonio 122. Lugnani Benedetto e figli defunto Nazario 123. Sandrin Giovanni 124. Luis Pietro fu Biagio 125. Luis Michele fu Giacomo 126. Luis Giacomo eredi 127. Dandri Giuseppe 128. Grio Giovanni fu Domenico 129. Marsich eredi fu Nazario 130. Grio Francesco fu Domenico 131. Susmel Giuseppe 132. Micon Antonio 133. Favento eredi del fu Francesco 134. Rasman Nazario di Natale e la moglie Antonia nata Coceverin 135. Marsich Andrea fu Domenico 136. Marsich eredi fu Domenico 137. -II138. Vicich Francesco 139. Parovel Andrea 140. -II- La città San Martino o del Porto 141. Utel Maria 142. Niclich Angelo, Gaetano e Maria fu Antonio 143. Venuti Leonardo e la sorella sposata Tessari 144. Totto Giovanni e Gregorio 145. Venuti Leonardo 146. Giovannini – Combi Teresa 147. Totto Bartolomeo, conte 148. Fon Emma 149. Zetto Domenico 150. Totto Giovanni, eredi 151. -II152. Clon Giuseppe 153. Majer Antonio 154. Totto Giovanni e Gregorio 155. Piscitello Salvatore 156. -II157. Totto Giovanni e Gregorio 158. Grio Antonio 159. Sandali Antonio 160. -II161. Sandrin Giovanni 162. Marsich eredi fu Nazario 163. Dezorzi Nazario fu Pietro 164. Biscontini Fachinetti Maria 165. Marsich Giov. Maria 166. Mattiassich Giovanni fu Antonio 167. Dezorzi Nicolò 168. Decarli Francesco 169. Derin Giovanni fu Vittore 170. Gavinel Domenico fu Nicolò 171. Bacci Policarpo 172. Dezorzi Francesco 173. Coceverin Domenico ed Apollonio Andrea 174. Dellavenezia Nicolò 175. Lonzar Nazario 176. Apollonio Laura 177. Delconte Domenico 178. Marin Francesco eredi 179. Marinaz Domenico 180. Genzo Giovanni 181. Lonzar Valentino 182. Cesare Domenico 183. Zucca Antonia moglie di Filippo, nata Giursi 184. Zucca Anna moglie di Francesco, nata Giursi 185. Divo eredi fu Matteo 186. -II187. Grio Antonio fu Giorgio 188. Voltolina Pietro fu Francesco 189. Divo Nazario fu Andrea 190. Divo Domenico e Dagostini Lucia nata Vascotto 191. -II192. Divo Nicolò e Divo Maria sposata Fontanot 193. Divo don Giacomo 194. Lonzar Francesco fu Nazario 195. Totto Giovanni e Gregorio 196. Padovan Francesco 197. Parovel Nazario 198. Vatta Domenico fu Lorenzo 199. Biscontini Facchinetti Maria 200. Dellamartina Tomaso 201. Bassich Giuseppe e figli 202. -II203. Romano vedova Vittoria 204. Almerigotti fratelli fu Innocente 205. Marsich Antonio e Musella Angiola 206. Brever Maria 207. Dellavalle Giuseppe fu Giovanni 208. Babich Giovanni (abita a Vanganel) 209. Martin fratelli 210. -II211. -II(Casa nello squero) 212. Apollonio Maria ved. fu Giovanni 213. Sandrin Giovanni fu Francesco 214. Borri Francesco 215. Buschek Giovanni eredi Il molo della Porporella 15 La città 216. Guccione Francesco 217. Buschek Giovanni eredi 218. Sandrin Giovanni 219. -II220. -II221. -II222. -II223. -II224. -II225. -II226. -II227. Pogliato Giovanni 228. Seriani Giovanni fu Pietro 229. Pogliato Giovanni 230. Falutka ved. Teresa 231. Lonzar fratelli 232. Zobaz Vittorio 233. Pellegrini Agnese 234. Albanese Antonia nata Gavinel 235. Voltolina Maria nata Gavinel 236. Totto Giovanni e Gregorio 237. De Baseggio Giorgio 238. CASERMA S.GREGORIO (disabitata) 239. Busan Angelo 240. OSPITALE S.ANTONIO Musella o Zubenaga 241. I.R. CASA DI PENA 242. Derin Stefano 243. Biscontini Facchinetti Maria 244. Zecchini Angela ed Anna 245. Nordio Domenico 246. Riccobon Pietro 247. Flego Giovanni fu Andrea 248. Totto Giovanni e Gregorio 249. Pieri Giovanni fu Andrea 250. Degiusto Francesco fu Leonardo 251. Seriani Giovanni 252. Perco Matteo ed Anna jugali 253. Marsich eredi fu Nazario 254. IL M.Rev. DECANATO 255. Baldini Caterina 256. de Manzoni dott. Giò. Andrea 257. Tacco Giuseppe eredi 258. -II259. Lughi Pace 260. Carbonajo Giovanni eredi 261. -II262. -II263. -II264. -II- (In Pescheria l’ingresso) 265. Vittori sorelle eredi 266. Condarich Giorgio eredi 267. Brumati Luigi 268. (Bacconi?) Nicolò 269. Carbonajo Giovanni eredi 270. Borisi conte Giuseppe 271. Kaupman Antonio e Lucia jugali 272. Decarli Andrea fu Nicolò 273. Mongiat Leonardo 274. Mamolo eredi Giovanni 275. Totto Giovanni e Gregorio 16 276. Driolin Giò. Batta 277. Longo Pietro fu Matteo 278. Turchetti eredi 279. Longo Pietro - Mons. Stradi Elio Nazario 280. Cernivani Giovanni 281. ISTITUTO GRISONI 282. Candotti eredi 283. Madonizza Nicolò 284. Giovannini Alberto eredi 285. Biscontini eredi 286. IL COMUNE DI CAPODISTRIA 287. IL TEATRO SOCIALE Palazzo Belgramoni-Tacco 288. CASA DEL TEATRO SOCIALE 289. Derin Rizzardo 290. Totto Giovanni e Gregorio 291. Gavardo de Giovanni 292. Gavardo de Antonio 293. Rota conte Girolamo 294. Bishop John 295. Piscitello e Poli (Casa dello squero) La città S. Sofia o Isolana 296. Madonizza Nicolò 297. -II298. -II299. -II300. -II301. Bratti Andrea 302. CAFFE DELLA LOGGIA (Comune) 303. Bratti Andrea 304. MONTE POLA GRISONI 305. ISTITUTO GRISONI 306. Zetto Domenico 307. Delbello dott. Pietro 308. Palina fratelli 309. SAGRESTIA abitata dal nunzio 310. Totto eredi fu conte Giovanni 311. ASILO DI CARITA’ 312. Corazza Benedetto 313. de Manzini Giovanni (cantina) 314. -II- (casa vecchia) 315. Gorzalini Michele 316. Dezorzi Bortolo eredi 317. Dezorzi – Ospitale 318. de Manzini Giovanni Le mura di Porta Isolana 319. -II320. Flumiani – Corazza eredi 321. -II322. Zetto Gio. Maria 323. Budica Giovanni 324. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino 325. Busecchian Martino 326. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino 327. de Baseggio Nicolò eredi 328. -II329. -II330. Gallo dott. Augusto 331. Brutti conte Francesco (disabitata) 332. Leporini – Graziadio Antonia 333. Venier Barbara nata Rasman 334. Grisoni Marianna eredi (Casa nuova) 335. Gambini Nicolò (Vedi 375) 336. Grisoni Marianna olim Petronio 337. -II338. Gambini Nicolò 339. Mattiassich Maria e Cattarina, sorelle 340. Steffè Antonio 341. Riccobon Giacomo figlio 342. Fafach Giuseppe 343. Riosa Matteo eredi 344. Pacchietto Pietro 345. Stradi Nicolò di Domenico 346. Stradi Antonio fu Nazario 347. Depangher Giovanni 348. Grisoni Marianna eredi 349. -II350. -II351. Vascon Alvise 352. Gambini Nicolò 353. Crevato Maria (abita a Piemonte) 354. Stradi vedova Veronica 355. Gambini Nicolò 356. -II357. Zetto Alessandro 358. Rasman Giuseppe 359. Decarli Nicolò eredi 360. Manto Costantino eredi 361. Sandrin Giovanni 362. -II363. Pesaro Giovanni 364. Gambini Nicolò 365. Padovan Nazario fu Antonio 366. Steffè Giacomo fu Matteo 17 La città 367. Decarli Nicolò eredi 368. SEMINARIO 369. Zetto Pietro 370. Cernivani Cattarina vedova Candido 371. Divo Nicolò fu Nicolò e Caterina nata Grio 372. Perini Michele 373. Sandrin Giovanni 374. -II375. Gambini Nicolò (vedi 335) S. Lorenzo – Bossedraga 376. Vascon Giacomo fu Giovanni 377. Vascon Gio. Batta 378. Vascon Pietro fu Luigi 379. Zetto Nazario, Domenico fu Antonio 380. Bencich Gio. Maria 381. Flego Andrea 382. –II383. –II384. Ghersinich Antonio 385. Marsich eredi Domenico 386. –II387. Madonizza Nicolò 388. Bartolomei Maria nata Madonizza 389. Pribaz Matteo 390. Vascon Pietro fu Alvise / Capetta 391. Demori eredi Nazario 392. Madonizza Nicolò 393. Scherian Giovanni fu Giovanni 394. Madonizza Nicolò 395. Giraldi Maria 396. Marsich eredi Domenico 397. Marsich Gio. Maria 398. Madonizza Nicolò 399. Zetto Elena nata Madonizza 400. -II401. Madonizza Nicolò 402. -II403. -II404. GRISONI ISTITUTO 405. Sandrin Antonio / Marsich (Mucio) 406. Madonizza Nicolò 407. -II408. -II409. Deponte Domenico 410. Deponte Francesco 411. Zetto Andrea 412. Burlin Francesco 413. Pelaschiar Francesco fu Francesco 414. Alessandri eredi 415. Stradi Pietro e Stradi Giovanni 416. Cral Antonio fu Andrea 417. Stuzin Giovanni / Varisco Maria (Ventin?) 418. Scharb Giacomo eredi 18 419. Totto Bortolo fu Michele 420. Belli dott. Cristoforo 421. ISTITUTO GRISONI 422. Madonizza Nicolò 423. Sestan Giacomo fu Giovanni 424. Dandri-Salvi Catterina 425. -II426. Poli Luigi 427. -II428. Deponte Domenico 429. Biscontini Facchinetti Maria 430. Budica Antonio 431. Deponte Vincenzo 432. Deponte Domenico 433. Deponte Vincenzo 434. -II435. Deponte Nicolò 436. Dandri-Salvi vedova Antonia 437. Sandrin Giovanni 438. -II439. Condurich Giorgio eredi 440. Dandri Giuseppe eredi 441. Dandri-Salvi vedova Antonia 442. Stradi Giacomo fu Nazario 443. Perkolt-Baseggio Elisabetta 444. Depangher Carlo fu Michele 445. Depangher Antonio fu Michele 446. Madonizza Nicolò 447. Berni Innocente fu Gio. Maria 448. Fontanot Giorgio 449. Perkolt-Baseggio Elisabetta 450. Foscarini Francesco Bossedraga, il rione dei pescatori La città 451. Rozzo sorelle 452. Foscarini Francesco 453. Pacchietto Nicolò 454. Vascon Antonio fu Alvise 455. Budica Giovanni 456. Vattovaz Vittoria vedova Cocever nata Benedetti 457. Gallo Francesca nata Bernè 458. Minca Francesco 459. Steffè Antonio e Maria nata Vattovaz jugali 460. Majer Maria nata Apollonio 461. Orlini Pietro 462. Vascon Gio. Batta fu Antonio 463. Stradi Giacomo 464. Pelaschiar Giorgio fu Giorgio 465. Brati Andrea 466. Stradi Nicolò 467. Sandrin Giovanni 468. Vascon Pietro fu Alvise detto Niss 469. Delconte Antonio (Andrea Gallo) 470. Sardotsch cav. Paolo (Nicolò Gallo) 471. -II472. Depangher vedova Chiara 473. Blasich fratelli fu Antonio 474. -II475. Zucca Antonio 476. Grisoni Marianna eredi 477. Favento Marco fu Giuseppe 478. Tunter Stefano (da Visinada) 479. Depangher Paolo fu Giovanni 480. Depangher Michele fu Giovanni 481. Stradi Nazario fu Francesco 482. Vascon Gio. Batta fu Luigi 483. Condurich Giorgio eredi 484. Gravisi Gio. Andrea 485. Depangher Paolo 486. Norbedo Giulio 487. Gerin Giovanni fu Antonio 488. Madonizza Nicolò 489. Bernè Domenico fu Gio. Maria 490. Marsich eredi fu Nazario 491. Tacco Giuseppe eredi 492. Condurich Giorgio eredi 493. Sandrin Giovanni 494. Marsich Nicolosa vedova Nazario 495. Brati Andrea 496. Depangher figli di Andrea 497. Flego Andrea fu Biagio 498. -II499. Riccobon Giuseppe fu Giuseppe 500. -II501. Decarli Nicolò fu Domenico 502. Sardotsch cav. Paolo 503. Decarli Nicolò fu Domenico 504. Sandrin Giovanni fu Francesco 505. Perini Andrea fu Lorenzo 506. Depangher Nazario, Antonio fu Giovanni 507. Dandri Pietro fu Lorenzo (ex magazzino) 508. Agostincich Marco – Stefano 509. CONVENTO DI S. ANNA 510. Dandri Pietro fu Lorenzo 511. Genzo Nazario 512. Pribaz Matteo 513. Pacchietto Giuseppe, Nazario fu Giovanni 514. Stradi Francesco fu Nicolò 515. Gerin Giovanni fu Antonio 516. Fontanot Pietro fu Andrea 517. Verzier Andrea 518. Danzevich Antonio 519. Tacco Giuseppe eredi 520. Pribaz Matteo fu Michele 521. Stuzin Giovanni 522. Clemencich Lucia nata Fontanot 523. Majer Paolo fu Francesco San Pietro 524. Perini Pietro fu Andrea 525. Pontotti Paolina (Casa dominicale) 526. Genzo Pietro fu Andrea 527. Stradi Rocco fu Giacomo 528. Gonich Nazario fu Alessandro 529. Gonich Nazario fu Sebastiano 530. Gonich Bortolo fu Sebastiano 531. Perkolt-Baseggio Elisabetta 532. Genzo Veronica 533. Vascon Luigi eredi 534. Vascon Antonio detto Cappetta 535. Mattiassich Maria e Catterina 536. Stradi Maria e Domenico 537. Gallo Pietro fu Nazario 538. Gallo Andrea fu Nazario 539. Demori Domenico fu Francesco 540. Vascon Antonio fu Alvise 541. Gallo Giacomo fu Antonio 542. Gallo Pietro fu Antonio 543. Leoni Giorgio 19 La città 544. Scher Vincenzo 545. Scher Tomaso eredi 546. Demori Domenico 547. Zanetti Francesco fu Carlo 548. -II549. Sandrin Giovanni 550. Benedetti Gio. Batta fu Serafino 551. Roitz Giuseppe e Bolzatti Catterina 552. Padovan Agostino di Giovanni 553. Pontotti Paolina 554. -II555. ISTITUTO GRISONI 556. Marsich eredi fu Nazario 557. Vidali Giovanna nata Vascon 558. Rozzo Pietro fu Giovanni 559. Vattovaz Antonio fu Nazario 560. Sandrin Giovanni fu Francesco 561. -II562. Vascon Maria nata Pacchietto 563. -II564. Piscitello Salvatore 565. Manto Costantino 566. Delpiero Sebastiano (detto Picchiotti?) 567. Stradi Giacoma vedova Francesco 568. Marinaz Enrichetta 569. Sluga Stefano e Maria 570. Genzo Pietro fu Antonio 571. Franza Giacomo fu Tommaso 572. Bernè Pietro fu Pietro 573. Belfronte Lorenzo 574. CONVENTO DEI CAPPUCCINI 575. Benedetti Bortolo e Francesco 576. Scher eredi e Torresini Maddalena 577. Pelaschiar Pietro 578. Minuti Antonio e Catterina jugali 579. Zalocosta Costantino 580. Scharb Angiola eredi 581. Zamarin Giuseppe fu Pietro 582. Cociancich Giuseppe 583. Padovan Giovanni Sampieri. Disegno di Sergio Vergerio 584. Almerigotti Loredana (ora don Luigi Vascon) 585. Baldini Cattarina eredi 586. Utel Agostino 587. Demori eredi Nazario 588. Corrente Vincenzo fu Biagio 589. Tremul Andrea fu Matteo 590. Deponte Domenica 591. Pacchietto Nazario 592. Pacchietto Giuseppe fu Giuseppe 593. Babuder Giovanni fu Andrea 594. Giursi Giovanni fu Domenico 595. Stradi Pietro fu Vincenzo 596. Tremul Nazario fu Stefano 597. Munich Cecilia vedova 598. -II599. Baldassi Francesca vedova 600. Delbello dott. Pietro 601. Schipizza Agostino fu Michele 602. Sandrin Giovanni fu Francesco 603. Marin Sebastiano fu Nicolò 604. Sandrin Nazario 605. Tremul vedova fu Pietro 606. Zucca Antonio fu Filippo 607. Tacco conte Giuseppe eredi 608. Derin Bartolomei Anna 609. Almerigogna Domenico 610. Derin Bartolomei Anna S. Tommaso 611. Marinaz Domenico 612. Riccobon Nazario, Francesco, Antonio fu Nicolò 613. Rozzo Maddalena e Riccobon Maria nata Rozzo 614. Derin B. Anna, Bartolomei Nicolò 615. Sanzin Antonio 616. Grisoni Marianna eredi 20 617. Zucca Francesco fu Filippo 618. Minca Giovanni fu Giovanni 619. Minca Antonio fu Giovanni 620. Pozzacai Maria vedova Minca 621. Corte Antonio e Lucia 622. Sandrin Giovanni 623. -II624. Bartoli Giovanni La città La chiesetta affrescata di S. Tommaso 625. Tremul Vincenzo e Giuseppe fu Vincenzo 626. Lonzar Francesco fu Giovanni 627. Maddalena Elena nata Bencich 628. Genzo Giovanni fu Pietro 629. Sandrin Giovanni fu Francesco 630. -II631. -II632. Jurco – Tamplenizza Lucia 633. Cociancich Giuseppe 634. Zudich Biagio 635. Cuvarà – Cochinò Elena 636. Rigo Paolo di Antonio 637. -II638. Zago Rocco fu Matteo 639. Lonzar Gio. Batta fu Giovanni 640. Cuvarà – Cochinò Elena 641. -II642. Zago Giacomo fu Rocco 643. -II644. -II645. Lonzar Giovanni e Gio. Batta fu Antonio 646. Burlin Nazario fu Giacomo 647. Tommasich Andrea 648. Riosa Bernardo 649. Gasparutti Catterina 650. Toss Giovanni 651. Flego Biagio eredi 652. Schipizza Giovanni e Pietro 653. Carbonajo Giuseppe 654. Carbonajo Tommaso fu Giovanni 655. -II656. Decarli Domenico, Giovanni e Antonio fu Nicolò 657. Clemencich – Fontanot Lucia 658. Carbonajo – Clemencich Lucia 659. Sandrin Giovanni 660. Marinaz Domenico 661. Giursi Giovanni fu Giovanni 662. Giursi Domenico fu Giovanni 663. Cocever Ambrogio eredi 664. Parovel Giovanni 665. de Favento Pietro eredi 666. -II667. Zanella Eugenio 668. Favento Orsolina 669. Godigna cav. Giacomo 670. Apollonio Andrea 671. I.R. ERARIO = Caserma di S. Chiara 672. I.R. ERARIO = ad uso scuole popolari 673. Cociancich Matteo 674. -II675. Parovel Pellegrino 676. Godigna cav. Giacomo 677. Bartolomei Nicolò e Derin Anna 678. Bernè Pietro (ora Pittoni Gio. Batta) 679. Sardotsch – Pizzarello Maria (ora Catenaro) 680. Babuder Giorgio 681. Danielut Maria 682. Rotta Girolamo (ora Giugovaz Giovanni da Sterna) 683. Baseggio Nicolò (disabitata) 684. Sandrin Giovanni 685. Cernich Simone eredi 686. Norbedo Giulio 687. Decarli Francesco 688. Burlin Giuseppe di Giacomo 689. de Baseggio Nicolò 690. Bradas Luigi 691. Bonek Catterina 692. Zago Rocco fu Giovanni 693. Zago Rocco fu Giovanni 694. Dundovich 695. Corrente Antonio 696. Lonzar Nazario fu Francesco 21 La città Ognissanti 697. Norbedo Francesco 698. Favento Giovanni fu Matteo 699. Favento Francesco fu Matteo 700. Favento Biagio fu Andrea 701. -II702. Minuti Anna 703. Musella Antonio 704. Favento Biagio fu Andrea 705. Gavinel Nazario fu Bortolo 706. Favento Biagio fu Andrea 707. -II708. Gavinel Nazario 709. Zago Antonio fu Matteo 710. Lonzar Antonio fu Benedetto 711. ASILO D’INFANZIA – Casa Cargnel 712. Lonzar Giovanni fu Giovanni 713. Lonzar Giovanni fu Benedetto 714. Parovel Giovanni fu Agostino e Zucca Elena (Nene Polenta) moglie di Biagio 715. Riosa Antonio fu Matteo 716. Favento Gio. Maria 717. Coradin Alessandro di Nazario 718. Cerego Antonio di Giovanni 719. Sardotsch cav. Paolo 720. Deponte Francesco 721. Delconte Giovanni fu Giovanni 722. Rasman Pietro fu Nazario 723. -II724. Sandrin Francesco fu Antonio e Lonzar Nazario fu Biagio 725. Festi Giovanni 726. Bartoli Giovanni 727. Festi Giovanni 728. Marni Maddalena 729. Minca Simone fu Giovanni 730. Bartoli Antonio / Capit. di stazione 731. Brezigher Filippo 732. Zucca Lucia vedova Francesco 733. Albertini Catterina 734. Parovel Agostino fu Nicolò 735. Zucca Antonio fu Simone 736. Zucca Antonio e Giovanni fu Antonio 737. Steffè Giovanni fu Francesco 738. Carbonajo Giuseppe fu Matteo 739. Derin Stefano fu Nazario 740. Zucca Nazario di Antonio 741. ISTITUTO GRISONI 742. Sandrin Giovanni 22 743. Fafach Michele e Crainz Stefano 744. ISTITUTO GRISONI 745. Norbedo Francesco fu Andrea 746. Vegliach Andrea fu Matteo 747. Dellavalle Antonio fu Giovanni 748. Vattovaz Antonio fu Andrea 749. Godigna Giacomo 750. Bartolomei Francesco 751. Stradi Nicolò fu Francesco 752. Pozzacai Giacomo 753. Grio Santo fu Giorgio 754. Scher Lorenzo fu Tommaso 755. Carbonajo Giovanni fu Gio. Maria 756. Parovel Anna vedova di Vitale 757. Dezorzi Gina ed Orsola jugali 758. Schipizza eredi fu Pellegrino 759. Schipizza Francesco 760. Padovan Francesco fu Francesco 761. Crisman Chiara nata Zucca 762. Cociancich Biagio fu Francesco detto Doberdò 763. Marinaz Enrichetta 764. Gambini Nicolò 765. Alessio Antonio fu Antonio 766. Machnich – Cernivani Anna 767. Bencich Anna vedova e i di lei figli 768. Franza Andrea fu Giacomo 769. Favento Pietro fu Giovanni 770. Parovel Nazario 771. Parovel Maria vedova di Pietro 772. Lonzar Antonio 773. Gasparutti Cornelia 774. Scher Gio. Batta 775. Gasparutti Giuseppe 776. Gasparutti Antonio 777. Decarli Domenico, Giovanni ed Antonio fu Nicolò 778. de Gravisi Sigismondo La città 779. Gallo monsignor Michele 780. de Gravisi Antonio 781. de Gravisi Sigismondo 782. -II783. -II784. de Gravisi Antonio 785. Vogel Andrea 786. de Almerigotti Francesco 787. FONDACO COMUNALE 788. Vicich Francesco 789. Danzevich Antonio Pusterla 790. MENSA VESCOVILE 791. Demori Nazario eredi 792. -II793. Venuti Leonardo 794. de Gravisi Gio. Andrea 795. Visintini Francesco e Giacomo di Giovanni 796. Tamplenizza Agnese fu Giuseppe e figli 797. Rovatti Matteo 798. Scocciai Michele 799. Cocever Ambrogio e Dalmira 800. Cadamuro Bartolomeo 801. Pattaj Alberto 802. Ferrazzutti Lorenzo 803. Cercego Giovanni fu Antonio 804. Dorbez Antonia vedova di Francesco 805. Parovel Anna vedova di Vitale 806. -II807. -II- Là de Rampin 808. Parovel Vincenzo fu Vitale 809. IL GINNASIO (Comune) 810. Pizzarello Domenica vedova 811. Almerigotti Giovanna ved. di Giacomo 812. Demori Domenico 813. Norbedo Giovanni fu Antonio 814. Marsich eredi fu Domenico 815. Deponte Giovanni fu Antonio 816. Venuti Leonardo 817. Parovel Pietro fu Vitale 818. Godigna Nicolò fu Michele 819. Biacovich Andrea 820. Dellamartina Anna 821. Riccobon Antonio fu Nicolò 822. Strudel Catterina nata Barbo 823. Cernivani Giovanni fu Giovanni 824. Pittoni Gio. Batta e Maria 825. Deponte Giuseppe eredi 826. Lonzar Biagio fu Nazario 827. Sestan Antonio di Giovanni 828. Sestan Pietro di Giovanni 829. Scher Giuseppe fu Almerigo 830. Zobaz Biagio eredi 831. Tommasich Andrea 832. / 833. Zago Giacomo 834. -II835. Sandrin Giovanni fu Francesco 836. -II- (una camera) 837. Ceppich Pietro fu Pietro 838. Deponte Francesco fu Francesco 839. Zucca Pietro fu Antonio 840. Cadamuro Bartolomeo 841. Tommasich Andrea 842. Oris Giuseppe 843. Urbanaz Andrea 844. Gerl Andrea 845. Pittoni Gio. Batta e Maria 846. Scock Giovanni fu Luca 847. Giovannini Bartolomeo eredi 848. Ceregon Matteo e Deponte Giovanni 849. Scock Catterina 23 La città 850. Dellavalle Antonia moglie di Giuseppe 851. Barega Giuseppe e Cristoforo (Scorzeria) 852. Corradin Antonio e Giuseppe fu Antonio 853. Almerigogna Antonio 854. Deponte Giovanna fu Giuseppe (ancella di carità d’anni 17) 855. Deponte Nazario fu Nicolò 856. Deponte Matteo fu Nicolò 857. Deponte Giovanni fu Nicolò 858. Barega Giuseppe e Cristoforo (Fabbrica olio) Ponte piccolo 859. Barega Giuseppe e Cristoforo 860. -II861. Barega fratelli 862. Barega fratelli (Magazzino e granaio) 863. Tamplenizza Antonio fu Giuseppe 864. Zulian Giorgio di Ermagora 865. Lampich Giuseppe e Maria jugali 866. Barega Giuseppe e Cristoforo 867. Roitz Giuseppe fu Gaspare 868. Crisman Giacomo fu Giacomo 869. Demori Nazario eredi 870. -II871. Damiani Nazario eredi 872. Sardotsch cav. Paolo 873. Madonizza Nicolò 874. Madonizza Nicolò (Magazzino) 875. Cadamuro Bartolomeo 876. Scherianz Stefano 877. Cadamuro Bartolomeo 878. Opara Matteo eredi 879. Bernetich Giacinta e Giusto fu Antonio 880. ISTITUTO GRISONI 881. Schiullaz Antonio 882. Pecchiar Giorgio 883. Sardotsch cav. Paolo (ec. rurale) 884. Padovan Domenico fu Agostino 885. Pecchiar eredi fu Nazario 886. Zulian Giorgio fu Ermagora 887. Niclich Marco 888. Crisman Giacomo e figli 889. Opara Giacomina vedova 890. Bencich Giovanna 891. Bernetich Basilio 892. Pecchiar Giovanni fu Giovanni 893. Norbedo Giulio 894. Grio Bortolo 895. Pecchiar Nazario 896. Zanella Maria moglie d’Eugenio 897. Bontempelli Orsola 898. Urbanaz Matteo 899. Corbato Giovanni 900. Grio Bortolo 24 901. Grio Domenico fu Bortolo 902. Franco Catterina 903. Gallo Pietro fratelli 904. Marsich Gio. Maria fu Andrea 905. Vattovaz Giovanni fu Giovanni (Fulminante) 906. Rasman Giacomo 907. Bruschin Matteo 908. Sussa fratelli 909. -II910. Pecchiar Catterina nata Bolcich 911. Norbedo Andrea 912. Bruner Santa nata Parovel 913. Derin-Bartolomei Anna 914. Tamplenizza Michele fu Giovanni 915. Derin Bartolomei Anna 916. Tamplenizza Michele fu Giovanni (Pichena) 917. Derin – Bartolomei Anna 918. Polesini Francesco e Gio. Paolo 919. Maracich don Giovanni e Muslavich Elena vedova 920. Crevato Antonia vedova 921. -II922. Godigna cav. Giacomo 923. Zudich Domenico fu Domenico 924. de Gravisi Giuseppe e sorelle Lepido 925. Miniussi Antonio fu Rocco 926. Fedola Giovanni fu Domenico 927. Godigna cav. Giacomo 928. Dezorzi Matteo fu Carlo La città 929. Dezorzi Domenico fu Carlo 930. Dezorzi Giuseppe fu Pietro 931. Zugna Giuseppe fu Andrea 932. Leporini Pietro 933. Parovel Giuseppe fu Nazario 934. Marinaz Domenico 935. Oblach Giacomo fu Giovanni 936. Luis Pietro fu Antonio 937. Rasman Pietro 938. Rasman Giuseppe 939. Godigna Michele fu Michele 940. Fontanot Giocanni fu Andrea 941. Rasman Pietro fu Francesco 942. Godigna Michele fu Michele 943. Fontanot Giovanni fu Andrea 944. Bolcich Antonio fu Valentino 945. de Baseggio Nicolò fu Nicolò 946. de Baseggio Nicolò e la sua sorella 947. Ceppich Matteo fu Antonio 948. Fontanot Biagio fu Andrea 949. Grio Bartolomeo fu Domenico 950. Micalich eredi fu Filippo 951. -II952. Giasche Pietro 953. Scherianz Stefano 954. Ferrari Bartolomeo 955. Bratina Andrea 956. Manzoni dott. Gio. Andrea 957. -II- Porta maggiore 958. Derin – Bartolomei Anna 959. -II960. Bartolomei Nicolò 961. Ferran Giovanni (da S. Pietro dell’Amata) 962. Calogiorgio Giorgio (uso stalla) 963. Bartolomei Nicolò 964. Ferrari Bartolomei 965. Gregorich Matteo fu Gio. Maria 966. Minca Francesco fu Nazario Palazzo Almerigogna soto le scalete 967. Calogiorgio Giorgio (disabitata) 968. Babuder Matteo 969. -II970. Babuder Giacomo 971. Deponte Francesco fu Nicolò 972. Sandrin Giovanni fu Francesco 973. Lonzar Nicolò fu Stefano 974. Lonzar Nazario fu Stefano 975. Lonzar Nazario fu Stefano 976. Parovel Antonio fu Gio. Batta (ec. rurale) 977. Godigna cav. Giacomo 978. Rasman Natale 979. Giorgulli Elisabetta vedova 980. Damiani Luigi fu Luigi 981. Rasman Natale 982. de Baseggio Giorgio fu Bortolo (stallaggio e fenile) 983. Parovel Antonio fu Giovanni 984. Budica Giacomo fu Giovanni 985. de Baseggio Nicolò fu Bortolo 986. de Baseggio Pietro fu Pietro 987. Cerebuk Michele fu Matteo 988. Riosa Giovanni fu Simon 989. Riosa Giovanni fu Domenico 990. Parovel Giovanni fu Antonio 991. Bartolomei Nicolò 992. Ceregon Antonio di Giacomo 993. Rigo Paolo di Antonio 994. Casson Antonio fu Matteo 995. Casson Angela vedova nata Cernivani 996. Minca Andrea fu Nazario 997. Marsich Antonio e Nazario fu Nazario 998. Coslan Giuseppe di Giovanni 999. Sandrin Giovanni di Francesco 25 La città 1000. Parovel Andrea fu Gio. Batta 1001. Ruzzier Antonio (asciugatoio di pelli) 1002. Cernelich Martino 1003. Giurse Nazario fu Rocco 1004. ISTITUTO GRISONI 1005. Rasman Domenica nata Decarli 1006. Stock Nicolò di Marco 1007. Stock Andrea di Marco 1008. Filippi Andrea fu Gaspare 1009. Cobol Biaggio e Giuseppe (al pianterreno fabbrica olio) 1010. Ivancich Santo fu Giuseppe 1011. Filippi Giustina rimaritata Riosa e Giuseppe Filippi 1012. Sandrin Giovanni fu Francesco 1013. Riccobon Nazario fu Giuseppe 1014. Riccobon Domenico fu Pietro 1015. Lonzar Giovanni fu Nazario 1016. Poschi Antonio fu Luca 1017. Corte Domenico fu Antonio 1018. Majer Antonio di Antonio 1019. Depangher Pietro di Pietro 1020. Ivancich Santo fu Giuseppe 1021. Filippi Giustina rimaritata Riosa 1022. -II1023. Cobol Biagio e Giuseppe (Scorzaria) 1024. Stradi Giorgio fu Andrea 1025. Romano Pietro fu Francesco 1026. Derin Stefano 1027. Depangher don Giacomo 1028. Sandrin Giovanni fu Francesco 1029. Demartini – Gherl Catterina 1030. Grasso Girolamo 1031. Rigo Paolo di Antonio 1032. -II1033. Lonzar Nicolò di Nicolò 1034. Cociancich Biagio fu Pietro 1035. Vattovaz Giovanni fu Andrea 1036. Pechiarich Michele fu Michele 1037. Biscontini Facchinetti Maria 1038. Cociancich Antonio detto (Nicli?) 1039. Pelaschiar Giovanni fu Giovanni 1040. Steffè Nazario fu Nazario 1041. Sandrin Giovanni fu Francesco 1042. -II1043. -II1044. Marsich Domenico eredi 1045. Corte Giovanni di Giovanni 1046. Tacco conte Giuseppe eredi 1047. Gianelli Bartolomeo fu Pietro 1048. Corte Giovanni di Giovanni 26 1049. Fonda Andrea 1050. Depangher Nazario fu Michele 1051. Derin Stefano 1052. Sandrin Giovanni fu Francesco 1053. Bensich Maria 1054. Schiavon Angelo fu Simone 1055. Romano Romano eredi 1056. Rigo Paolo di Antonio 1057. Almerigogna Antonio 1058. Gianelli Bartolomeo fu Pietro 1059. Camuccio Giovanni di Domenico 1060. Sandrin Giovanni di Francesco 1061. Depangher don Giacomo eredi 1062. Scher Nazario fu Giovanni 1063. Budica eredi della defunta Cristina 1064. Favento Antonio fu Matteo 1065. Dezorzi Francesco fu Antonio 1066. -II1067. de Madonizza Giovanni 1068. Gianelli Giuseppe e figli 1069. Ruggieri vedova Rosa 1070. Marsich eredi Nazario 1071. Baseggio Pietro fu Pietro e Cobol Santa 1072. de Baseggio Giorgio fu Bartolomeo 1073. Damiani Luigi fu Luigi 1074. -II1075. Opara Matteo eredi 1076. Calogiorgio Giorgio 1077. Sardotsch cav. Paolo 1078. -II1079. -II- (disabitata) 1080. -II1081. de Baseggio Giorgio 1082. Vidacovich Giuseppe e de Baseggio Pietro 1083. Marsich don Angelo 1084. Tamplenizza Pietro 1085. Bullo Antonio 1086. Godigna cav. Giacomo 1087. Cobol Biagio e Giuseppe 1088. Pizzarello vedova Domenica La Città è il foglio semestrale della CI di Capodistria. Responsabile Alberto Cernaz. Stampa Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura 1300 copie. Si invia gratuitamente ai soci. Indirizzo: Via Fronte di liberazione 10, 6000 Capodistria. E-mail: [email protected] Foto in copertina: la partenza dell'Euromarathon Capodistria-Muggia (A. Cernaz). Poster centrale: Pianta stradale d'epoca austriaca. La città Callegheria 1089. Cobol Biagio e Giuseppe (ec. rurale) 1090. -II-II1091. Bratina Andrea (ora Gio. Pribaz detto Volpin) 1092. Niclich Francesco 1093. Babuder Giacomo 1094. Pagnutti Andrea eredi 1095. Sckerl Andrea eredi 1096. Marsich Gio. Maria fu Andrea 1097. -II1098. -II1099. Marsich don Angelo 1100. Godigna cav. Giacomo 1101. Tacco conte Giuseppe eredi 1102. -II1103. -II1104. -II1105. -II1106. -II1107. Marinaz Domenico 1108. -II1109. Parovel Pietro fu Andrea detto Le colonne dell’Atria 1110. Franceschi Giuseppe e Nicolò 1111. -II1112. Franceschi dott. Luigi e Giorgio 1113. Gerebizza Maria vedova 1114. Manto Costantina 1115. Marin Catterina vedova 1116. Konigsmark Andrea eredi e Manto Catterina 1117. Marsich Nazario e Manto 1118. Bratti Andrea 1119. Brutti Ferdinando 1120. Biscontini Angelo 1121. -II1122. Pellegrini Giuseppe 1123. Padovan Pietro 1124. Corte Giovanna vedova nata Leporini 1125. -II1126. Godigna cav. Giacomo 1127. Paccanoni Biagio eredi 1128. Totto conte Giovanni eredi 1129. Marin Francesco eredi 1130. Vigini Giovanni, Pietro e Antonio fu Bortolo 1131. Lipej Antonio 1132. de Gravisi Gio. Andrea 1133. Bullo Andrea, Domenico e sorelle 1134. Biacovich Andrea 1135. Gorzalini Vincenzo 1136. Gorzalini Vincenzo e Michele 1137. Seriani Giovanni e sorella 1138. Vianello Maria vedova 1139. Scarpelet Carlo, eredi 1140. Rozzo Pietro 1141. -II1142. -II1143. -II1144. Demartini Angelo detto Pipì 1145. Giasche Gerolamo 1146. Pogliato Antonio, eredi 1147. Condurich Giorgio, eredi 1148. Miani Pietro eredi 1149. -II1150. Zanella Giovanni 1151. SEMINARIO 1152. de Baseggio – Zugni, eredi 1153. Michelich – Zugni, eredi 27 La città Giustinopoli dell'Asia minore Capodistria divenne bizantina attorno alla metà del VI secolo. In onore dell'imperatore romano d’Oriente Giustino, la città venne ribattezzata Giustinopoli. Tale nome restò in uso (accanto a quello di Capris) almeno fino alla seconda metà del X secolo. Anche in seguito però Capodistria veniva detta latinamente Justinopolis e i loro abitanti justinopolitani. Almeno altre due città vennero intitolate all’imperatore Giustino; entrambe si trovano oggi in Turchia. Anazarbo (Anazarbus), arabo Ain Zarbo, oggi Anavarza Collocata su una fertile pianura dell'Anatolia meridionale (Turchia), Anazarbo si trova a ridosso d'una montagna rocciosa che nel passato dovette fungere da acropoli. Fondata, sembra, nel I secolo a.C., questa città dell'antica Cilicia in ordine d'importanza fu seconda soltanto a Tarso. Il periodo di maggiore prosperità lo sperimentò sotto l'impero romano. Visitata da Augusto nel 19 a.C., ottenne il suo favore ed il nome di Caesarea o di Caesarea ad Anazarbus. Sotto Teodosio II ebbe il titolo di Metropoli della Cilicia Seconda. Più volte provata da violenti terremoti, fu sempre ricostruita. In onore dell'imperatore Giustino (518-527) che la volle riedificare, la città prese il nome di Giustinopoli e, più tardi, in onore del suo nipote e successore Giustiniano, che ne volle la ricostruzione dopo un altro terremoto, il nome di Giustinianopoli. Divenuto possesso arabo nei secoli VII-VIII e tornata successivamente in mano ai Bizantini, la Dioscoride: medico e naturalista greco (Anazarba, città divenne nel 1100 capitale del regno armeno di Cilicia, sec. I dC). Servì nell’esercito romano Cilicia per poi ricadere sotto il dominio bizantino sotto Claudio e Nerone; è considerato il fondatore dell’erboristeria farmaceutica per aver descritto (1137). In questa città famosa per aver nell’opera De materia medica le proprietò dato i natali al medico Dioscoride ed allo storico medicinali di circa 600 specie vegetali allora note, greco Appiano, il cristianesimo dovette trovare oltre che di bevande, minerali e altre sostanze. L’opera, che costituì la principale fonte per una notevole espansione. Durante la persecuzione gli studi botanico-farmacologici fino in epoca di Diocleziano, ad Anazarbo vennero martirizzati i moderna, fu più volte riprodotta in lingua araba e cristiani Taraco, Probo ed latina. Andronico. In seguito il nome di Anazarbo compare in occasione della disputa Ariana. L’antico castello di Anavarza conferisce al luogo un suo fascino particolare. Insieme ai resti dell'antica città di Anazarbo, con reperti di epoca romana e bizantina, si possono ammirare il castello che fu sede del regno armeno di Cilicia, con al suo interno un'interessante chiesetta funebre. Il contorno di fortificazioni, bastioni, acquedotti, chiese rupestri, necropoli, compensa del cadente stato degli altri reperti Romani. Curiose assonanze: il nome Anazarbo ricorda vagamente il nome del nostro patrono, mentre quello del fiume più vicino – Pyram, oggi Ceyhan – l'antico nome di Pirano. 30 La città Edessa, arabo Raha, curdo Riha, oggi Sanli Urfa (o anche solo Urfa) Antica città del settentrione anatolico-mesopotamico. Capoluogo dell’omonima provincia in Turchia ha oggi una popolazione di circa 400.000 abitanti composta da curdi, turchi e arabi. Fino all'inizio del secolo scorso la popolazione della città era in gran parte costituita da cristiani, soprattutto armeni decimati dalle stragi del 1915 o emigrati. Nel sec. VI, secondo il Messale Romano avvenne il 3 luglio, vi sarebbero stati traslati i resti mortali di San Tommaso Apostolo. L'antica città di Ūrhāy (talora identificata come Uruk oppure come la biblica Ur dei Caldei), capitale della regione dell’Osroene, fu una provincia dello Stato dei Seleucidi, diventando poi un regno autonomo che assunse il titolo di Stato-cuscinetto fra Roma e il regno persiano dei Pati. Sotto il regno di Antioco IV venne anche chiamata, da parte degli esuli che vi si erano trasferiti da Antiochia come Antiochia Calliroe. Conquistata dagli Arabi all'epoca del secondo califfo Omar ibn al-Khattab, Edessa perse la sua importanza in età califfale. In epoca bizantina viene ricostruita dall’imperatore Giustino e in suo onore denominata Justinopolis. Almeno dal sec. VI vi si conservava la sacra immagine Un dipinto ispirato al Mandylion, il presunto acheropita, cioè "non fatta da mano umana" chiamata sudario di Gesù che era conservato ad Edessa. Mandylion, su cui era impresso un volto attribuito a Gesù: essa rimase ad Edessa fino al 943, quando i Bizantini del domestikos Giovanni Curcuas Gurgen la riscattarono in cambio di 200 prigionieri musulmani e la portarono a Costantinopoli. Sottoposta a varie incursioni da parte degli Hamdanidi e delle truppe imperiali bizantine, Edessa fu possesso di Utayr, capo dei Banu Numayr, fino al 1026, anno dopo il quale passò ai Marwanidi di Diyarbakir. Acquistata dal protospatario bizantino Giorgio Maniace per 20 mila darischi, Edessa fu governata dai suoi successori e, dopo un alternarsi di personaggi minori, a ridosso della prima crociata, dal kuropalates armeno Teodoro (Toros), figlio di Hetum. Questi volle adottare Baldovino delle Fiandre, fratello di Goffredo di Buglione, giunto da poco coi suoi guerrieri dopo essersi distaccato dal corpo principale di spedizione crociato. Non è dimostrato con certezza che il complotto che rovesciò l'anziano Teodoro non fosse stato ispirato dall'ingrato Baldovino, ma il suo rapido subentrare alla guida di Edessa e del territorio che era sotto il suo controllo autorizza i più forti sospetti degli storici. Edessa fu trasformata in Contea e con Baldovino, suo primo conte, costituì il primo Stato crociato del territorio siro-palestinese. Cadde di nuovo sotto controllo islamico nel 1146 e la sua caduta provocò la Seconda crociata. Da non confondere con Edessa nella macedonia greca (detta anche Aegea e Vodena). »Anazarba« 31 La città Rodolfo Moraro: un grande dell'arte lirica nato a Capodistria di Fabio Vidali Nascere in queste nostre terre, se da una parte è da considerarsi un privilegio per la bellezza dei siti e la multiculturalità, troppo spesso è una palla al piede per l'affermazione e la fama. Siamo stati (e siamo ancora) troppo alla »periferia« delle grandi correnti d'aria (e d'affari) e, quando va bene, si viene »coagulati« e globalizzati in una di queste grandi correnti, divenendo d'essa ricercati e comodi »affluenti« sempre un po' »spaesati«. Una volta »trapassati«, la memoria collettiva sommerge tutto nel suo amalgama, e l'oblio diventa regola. Restano alcuni nomi simbolo di artisti ben radicati nel loro »bacino di provenienza nazionale«, del quale assurgono al ruolo di campioni »rappresentativi«. Spariscono tutti gli altri, specialmente se sono »di frontiera«. E qui gioca un ruolo perversamente determinante la »filoxenia« di queste nostre terre che sembrano addirittura »vergognarsi« dei propri artisti di talento. E lo stesso vale per ogni ramo della cultura e della creatività, anche di quella scientifica. E' proprio per continuare a combattere questo »vizio« (tutto…«altoadriatico«) che vogliamo ora far uscire dal dimenticatoio un illustre artista nostro, il tenore capodistriano Rodolfo Moraro. Da pittore a cantariòl occasioni (specialmente se era gradita una mancia). Mercato assai più prospero quello di Trieste dove le clape de cantariòi spesso erano richieste, sia nelle riunioni che nelle tante »osterie musicali« e nei tanti Circoli più o meno artistici. Intanto, fra i cantariòi Moraro era diventato una stella di prima grandezza ed i suoi colleghi apprezzavano della sua voce la bellezza del timbro e la facilità dell'acuto, pur non avendo egli ancora mai »studiato« il canto. Egli affrontava già allora impegnative romanze operistiche che finirono per schiudergli alcuni salotti d'intenditori. Finalmente fu presentato ad un Maestro: l'ex tenore (anch'egli di origine capodistriana) Luigi BolisFagnani. Fece la rituale audizione (la romanza dell' »Andrea Chenier« di Giordano) e fu accolto come allievo effettivo. Il Maestro s'impegnò d'istruirlo nel canto gratuitamente e di prepararlo al debutto in teatro. Unica condizione tassativa: seguire scrupolosamente i suoi insegnamenti e »non cantare in pubblico«. Quasi quattro anni. Moraro accettò felice tale proposta e l'impegno di pagare il Maestro dopo il debutto. Naturalmente a rate. Qualcosa di simile avvenne a Tito Schipa con l'inflessibile Maestro Gerunda che minacciò di cacciarlo per una Da giovanotto, a Capodistria, Moraro amava dedicarsi sua scappatella canora. al disegno ed alla pittura, arte verso la quale si sentiva A Moraro che, saltuariamente e »alla macchia« portato e che appagava il suo innato senso artistico. E indulse anch'egli a qualche scappatella del genere, dipingendo cantava, quasi senza accorgersene. Ma fu andò meglio. Il Maestro Bolis-Fagnani non usava notato. Non ancora da un impresario, ma alcuni suoi prendere il vaporetto per Capodistria. Ma sapeva coetanei. Questi, a gruppetti, esercitavano il canto, insegnare canto, imposto, dizione ed arte drammatica sia per inclinazione personale che in determinate come imponevano le regole dell'antica scuola occasioni (dietro simbolico compenso) come serenate, italiana. nozze, »remenade«, solennità festive o pubblicitarie Conclusi gli studi col Bolis-Fagnani, Moraro (quando veniva inaugurata, ad esempio, una nuova cominciò ad esibirsi in numerose occasioni anche »musicalmente« (lo fece poi col Maestro triestino attività commerciale). Ma Capodistria, allora, non offriva molte di queste Luigi Toffolo, che ritroveremo in seguito spesso 32 La città suo direttore operistico). Restava da conquistare il traguardo più ambito: il palcoscenico del Teatro d'Opera. Due vaporetti da Capodistria Boheme«. Da queste parti il nostro tenore c'era però stato già, con concerti ad Abbazia di uno dei quali amava ricordare la profezia di gloria che gli fece, dopo averlo ascoltato, il mitico basso Fiodor Chaliapin, che siedeva fra il pubblico in compagnia degli scrittori Ojetti e Salvaneschi: »Lei diventerà un grande tenore«. Nelle fitte tournee che si susseguono, sono al suo fianco Rosetta Pampanini e Mafalda Favero nonchè la triestina Tatiana Menotti. Nel 1941 spopola al Teatro Verdi di Trieste col »Campiello«. Nel teatro triestino egli sarà una colonna di casa fino al 1963 (dottore nel »Sasso Pagano« di Giulio Viozzi), fatti salvi i lunghi anni che lo videro protagonista in tutt'Italia, all'estero, e in altri continenti (Australia, Nuova Zelanda, Africa). Qui ci vorrebbero le pagine d'un elenco telefonico solo per accennare a luoghi e titoli e riassumere solo alcune delle recensioni critiche osannanti che il capodistriano tenore Moraro mietè dappertutto. Biblioteca musicale, costumi, foto e documenti di ciò sono in gran parte custoditi a Trieste nel Museo teatrale al quale l'artista si legò. Malgrado tanti successi, Moraro rimase sempre una persona semplice ed affabile, naturalmente restìo a parlare di se stesso, se non insistentemente sollecitato. Ritiratosi dalle scene nel 1964, continuò a profondere, come insegnante di canto, i tesori Moraro aveva ormai ventun'anni. S'era trasferito a Trieste diciottenne. Lo interpellò allora un impresario, certo Valentini, particolarmente versato nell'improvvisare compagnie d'Opera e d'Operetta e nell'allestire spettacoli »popolari«, generalmente premiati dal successo e da buoni guadagni di botteghino (quello che più gli interessava). Gli propose di debuttare al Politeama Rossetti di Trieste nel ruolo principale della »Lucia di Lammermoor« di Donizzetti. Detto e fatto. Moraro amava raccontarmi i retroscena di questa fortunatissima serie di rappresentanzioni all'insegna dell'improvvisazione. Due sole certezze: il giovane ma già affermato soprano triestino Rina Pellegrini (nel ruolo del titolo) ed il Maestro Arturo Lucon, di casa nei maggiori teatri. Il resto della compgnia era stato raccolto in Galleria a Milano, fra i tanti che vi stazionavano stabilmente in attesa di un colpo di fortuna. Comunque cantanti che, al giorno d'oggi, farebbero certo un figurone. In scena, in occasione dell'unica prova d'insieme, sommarie indicazioni: »questo è il Castello e qui sono le Trombe«. Scena e costumi da trovarobato. Al terzo atto, Edgardo dovette »pugnalarsi« con un coltello da cucina, rimediato nell'abitazione del custode, visto che non si trovava più il »pugnale« di scena. Ma tutto filò in maniera assolutamente perfetta. Per Moraro e la Pellegrini fu un autentico trionfo con »bis« e ovazioni, quattordici »chiamate« al termine. Pubblico strabocchevole: 3100 persone. Allora il Politeama ne poteva contenere tal numero. Non erano state ancora inventate quelle »norme di sicurezza« che oggi hanno decimato il pubblico ammesso. A rimpolpare questa folla, erano approdati a Trieste due »vaporetti« di capodistriani melomani a sostenere il loro concittadino. Moraro incassò 200 Lire a replica ma l'impresario gli disse: »Xe bei soldi, anche se i giovani dovessi pagar lori per cantar«. Ma non era il lato economico ad interessare al nostro tenore. Era il »lancio«. Allora i responsabili artistici Fyodor Chaliapin, cantante dei grandi teatri usavano frequentare queste imprese lirico e attore russo che »disperate« più probanti di una breve audizione Moraro incontrò ad Abbazia. al pianoforte. E le offerte importanti per Moraro, fioccarono subito. Correva l'ottobre del 1939. delle sue esperienze, approfondendo anche i pricìpi fisiologici della »fonazione«, dell'appoggio e della Verso la gloria respirazione, ai giovani cantanti, ai quali non mancava mai l'esemplificazione pratica. Moraro continuò a Gli esperti che lo sentirono al Politeama di Trieste cantare finchè ebbe vita, anche per piacere suo, e dimostrarono subito d'avere buon naso. Già l'anno vivo resta il ricordo di quando, in casa, mi chiedeva successivo, Moraro conquista Fiume con »la di accompagnarlo al pianoforte in qualche aria. La 33 La città Voce era sempre pronta e limpida, anche in tarda età, confermando la profezia che gli fece il grande Beniamino Gigli, che spesso lo volle con se come »doppio« in molte opere: »Lei canta come si cantava una volta, e canterà bene fino a che camperà«. Accanto ai giudizi di pezzi da novanta come Chaliapin e Gigli, non ultimo viene certo quello di Aureliano Pertile che, presente ad una sua interpretazione di »Sonnambula«, si recò nel suo camerino, gli aggiustò le pieghe del costume e gli disse: »Lei è un vero tenore liricoleggero«. I concerti "Martini & Rossi" Moraro era un conversatore affascinante. Specialmente quando raccontava aneddoti riferentisi più ai casi singolari occorsigli che alle glorie della sua carriera. Particolare il ricordo d'una »Boheme« di quel periodo, noto per le ristrettezze alimentari. Al termine d'una recita, trovò nel manicotto di Mimì un bel grosso salame: tutta la compagnia si rallegrò, dato che, a quei tempi di »carte annonarie« rappresentava una vera rarità. Un impatto commovente fu quello con Lecce, la città di Tito Schipa, gelosissima cultrice di tale suo divo. L'opera era »Manon«. La critica così si espresse: »abbiamo avuto la sensazione di vedere e sentire sul palcoscenico proprio la figura e la voce di Tito Schipa, i suoi gesti, le sue modulazioni, qualcosa di sogno«. Schipa, allora era in America, ma i suoi concittadini non l'avevano per questo dimenticato. Ciò successe, in parte, a Moraro che, dopo anni di tournee extracontinentali, quando ritornò in Italia dovette quasi rifare la »gavetta«. Ma trionfò ancora entrando nelle case di tutti con i famosi »Concerti Martini e Rossi« dalla Radio di Torino e riprendendo il suo posto sui più importanti palcoscenici. califfo di Bagdad«, testimoniano dei suoi interessi comprendenti i più diversi mondi espressivi, dalla classicità alla contemporaneità. E com'era questa voce? Pertile la definì giustamente di »tenore liricoleggero«. Non a caso ho usato l'aggettivo in una parola e non in due, con un trattino che fa pensare al »leggero« come ad un immiserimento di »lirico«. Perchè la voce di Moraro (lo garantisco, avendola tanto udita dal vivo) comprendeva ben due »registri«, quello »lirico« e quello »leggero«. Fortuna rarissima che non toccò, per esempio al grandissimo Schipa (che fu solo »leggero«) e che solo in parte toccò al Gigli maturo, in cui prevalse soprattutto il »lirico«. Lo stesso dicasi per lo splendido Tagliavini, anche lui un »lirico« che »alleggeriva« grazie a magistrali falsetti e falsettoni. Questa rarissima qualità di Moraro, unita ad una dizione perfetta, basterebbe da sola a farlo ricordare come un »unicum« del belcanto. Malgrado la smemoratezza dei posteri, anche conterranei. Fu un vanto per l'Istria. Da sbandierare. Lirico o Leggero? Scala, Fenice, Covent Garden, Cairo, Australia, solo tappe di una voce, di casa al Verdi di Trieste come al Liceum di Barcellona, sempre con partners del taglio di Mariano Stabile, Gino Bechi, Tancredi Pasero, Margherita Carosio, Andrea Mongelli, Alda Noni, Cloe Elmo, Giulietta Simionato, Gianna Pederzini, Rina Malatrasi. Trionfi al Grand Opera e all'Opera Comique. Ma quale era il suo repertorio? Solo i grandi della tradizione operistica? No certo. Britten col »Peter Grimes«, Debussy con »L'enfant prodigue«, Pizzetti con »Assassinio nella cattedrale«, Haydn con »Le stagioni«, Viozzi con »Il sasso pagano«, ma anche l'Operetta con »Notte a Venezia««, »Federica«, »Giuditta«, e rarità come »Il 34 Il compositore triestino Fabio Vidali durante la presentazione del tenore di origini capodistriane durante il suo intervento nella sezione di italianistica della Biblioteca centrale di Capodistria. La conferenza, durante la quale sono state fatte ascoltare registrazioni della voce di Moraro, è stata promossa da Isabella Flego dell'Associazione »Poem« e da Amalia Petronio, responsabile della suddetta sezione bibliotecaria sita in una laterale della Calegaria, denominata nello scorso secolo Calletta chiusa dei volti, per i »volti« (passaggi da una casa all'altra) che la contraddistinguono. Su Monaro ci sarebbero da raccontare altri particolari, altri aneddoti. Il presidente della CI, Lino Cernaz, ha rivolto al maestro Vidali l'invito a tornare a Capodistria, magari nella sede della Comunità, per svelarceli. La città Cussì zogavimo una volta... di Vinicio Bussani La gente della mia generazione, è l’ultima nata a Capodistria, nel periodo che intercorre tra l’inizio e subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli avvenimenti politici che si susseguono a conclusione delle ostilità, ci portano com’è noto a una scelta drammatica: l’abbandono della città per una larga maggioranza dei suoi abitanti. In un momento così difficile per la storia cittadina, quella parte di noi, non ancora adolescente, nata e cresciuta nel turbine di questi avvenimenti, non poteva certamente capire il dramma vissuto dalle nostre famiglie. In quegli anni trascorsi prima dell’esodo, il nostro unico desiderio era quello di poter giocare e divertirci, senza dover subire troppi condizionamenti. Considero questo, un periodo indimenticabile, il più bello della mia infanzia. All’epoca, si godeva di una vita sana, sempre all’aria aperta. Il cibo era semplice e genuino; si socializzava molto e nell’animo di ciascuno di noi regnava quella gioia spontanea e ingenua che è propria di tutti i bambini, mentre la pratica del gioco, stimolava oltremodo la nostra fantasia. Dal nostro “punto di vista”, la scuola non aveva quella priorità assoluta che gli adulti normalmente le assegnavano, anche se posso dire senza presunzione, che nello studio riuscivo comunque a cavarmela dignitosamente. Dei giochi, conservo nella memoria i ricordi più belli. Trascorrevamo le nostre ore spensierate in luoghi che avevano come sfondo il mare e la campagna: i prati, le rive e la marina, erano i più frequentati. Sostavamo lì per delle ore, ebbri di sole e di vento, senza nemmeno renderci conto del passare del tempo. Le nostre mamme e nonne, dovevano spesso sgolarsi nel richiamarci a casa e qualcuno fingeva di non sentire, o magari rispondeva “lassime star ancora un poco!”. Il ritardo di norma, veniva punito e per quel giorno era difficile uscire di nuovo. quelli di gruppo, meglio ancora se numeroso e composto da maschi e femmine. I nostri raduni avvenivano nel corso della bella stagione. Ci trovavamo la sera, dopo cena all’aperto “in piassal de Sanpieri” e sotto la debole luce di un lampione, che rischiarava a malapena i nostri volti bruciati dal sole, cominciava la “conta”. Subito dopo, come presi da incontenibile euforia, iniziavamo le pazze corse, che davano l’avvio ai giochi “de landa, sconderse, el cincio” e via dicendo. Più tardi, affannati e sudati, ci rilassavamo sul prato, in riva al mare. In quelle calde sere d’estate, accompagnate da una leggera brezza marina e dal fruscio sommesso della risacca, si sentiva il canto prolungato dei grilli e non di rado, come per magia, comparivano improvvise nel buio, sottili tracce luminescenti, quale segno inconfondibile della presenza di lucciole in volo. Lontano, sul mare, le barche dei pescatori “paludanti”, punteggiate dal brillante chiarore delle lampare, si apprestavano ad iniziare il consueto e faticoso lavoro notturno. Nella quiete serale, appena Tra i giochi conosciuti, trasmessici rischiarata dalla luna, seduti in buona parte dagli amici più in semicerchio sull’erba, grandi, sceglievamo di preferenza ascoltavamo intenti l’amico Antonio Perini (Saltin), che da buon narratore, raccontava storie un po’ lugubri di personaggi immaginari, ma anche veri, sempre avvolti da un alone di mistero, quale era ad esempio la “leggenda della Monaro”. Mi ritorna in mente il racconto del “vecio Pobega”, persona realmente esistita, dal comportamento ombroso e schivo, che viveva da solo in una casa fatiscente sul “rato de Sanpieri”; lì nei pressi, giocavamo tutte le sere ai “4 cantoni”. Quella abitazione ridotta così male, metteva un po’ di soggezione: si scorgeva un tratto di muro sbrecciato e pericolosamente instabile, c’era un’unica finestrella con le 35 La città persiane cadenti, mentre la porta d’ingresso danneggiata dal tempo, rimaneva sempre socchiusa e da un piccolo varco apertosi nella parte inferiore, i gatti entravano ed uscivano a piacimento. Il vecchio, durante il giorno non lo si vedeva mai; compariva tardi la sera, oppure non rincasava. Quando in certe occasioni rientrava un po’ alticcio, aveva difficoltà nel salire i due gradini d’ingresso e barcollando spingeva quell’uscio malandato, tanto da provocare un cigolio sinistro che incuteva timore. Antonio, molto abile nel calcare la mano, diceva che quella abitazione era posseduta dagli “spiriti” e a volte passando di là, gli era capitato di “sentire” delle voci con dei rumori insoliti, mentre una “luce” si accendeva e spegneva di frequente… 36 Le “fie” sedute accanto a noi, si stringevano tra di loro per la paura e più tardi chiedevano di essere accompagnate a casa. Spesso per giocare, sceglievamo le calli, i cortili, gli androni etc. Capitava che la gente lì intorno, avendo necessità di riposare, mal sopportasse il nostro chiassoso vociare e mandandoci a quel paese, ci obbligava a spostarci altrove, magari buttandoci addosso “un cadin de acqua” dalla finestra. Il gioco del “pandolo” è stato senz’altro il più celebrato a Capodistria ed era praticato soprattutto dai ragazzi più grandi, che sapevano dare dimostrazione di buone capacità e destrezza, mentre noi cercavamo di imitarli. Nel caso nostro, poteva accadere con più probabilità che un lancio maldestro, andasse a deviare l’oggetto di legno nella direzione sbagliata, provocando la rottura di un vetro di qualche finestra! Giocavamo molto ai “ciclisti” e spesso tra vivaci dispute, perché c’era il solito furbo, che per arrivare primo al traguardo commetteva sempre qualche “illecito sportivo”: tagliava ad esempio la strada, affrontava un ostacolo in modo irregolare o spostava in avanti con il piede il proprio “tappo”, sperando che nessuno se ne accorgesse. Ricordo il gioco delle “vaghe”, dove per vincere, contava solamente una buona mira. La posizione del “tiro”, era regolata dalla misura di una spanna, rispetto il bordo della buca, mentre il dito mignolo della mano, faceva da perno di appoggio durante il lancio della pallina. Anche qui sorgevano di tanto in tanto forti discussioni, perché non veniva rispettata la distanza prestabilita. Tutti avevamo una calzetta o un “balegheto” di stoffa per contenere le “vaghe” e quelle di vetro erano le più ambite in caso di vittoria. Un piacevole passatempo, forse poco noto, veniva chiamato il “tesoro”. Si scavava una piccola buca, rivestita all’interno con della carta stagnola, sopra cui ponevamo dei pezzetti di vetro o altri piccoli oggetti, nel tentativo di ricavare una certa “figura”. La composizione veniva poi chiusa e isolata da un vetro trasparente che serviva da visore. Si completava l’opera, con una copertura mimetica di protezione, ponendo un riferimento all’esterno, per indicarne l’ubicazione. L’intento, era di far vedere il “tesoro” agli amici fidati, che a loro volta, costruivano per proprio conto la loro personale composizione, in La città una gara di bravura e fantasia. Un gioco molto diffuso, noto per la sua forza dinamica, sicuramente più adatto a ragazzi di solida costituzione, era quello della “cavallina”, dove occorrevano doti di buona agilità e grande resistenza fisica. L’intensità delle forze in gioco era tale, per cui si verificavano di frequente rovinose cadute in massa, con conseguenze anche serie per i malcapitati di turno. Si prendeva la rincorsa saltando sulla schiena dei compagni, che nel frattempo s’erano messi in posizione china, avvinghiati tra di loro in numero di tre o quattro, ai quali toccava star “soto” dopo la conta obbligatoria, mentre un ragazzo detto “el pal”, doveva stare in piedi davanti a costoro, pronto a sostenere e proteggere i “saltatori” dai loro slanci irruenti. Lo sforzo di sopportare tutto il peso del gruppo, determinava le sorti della contesa. Quindi, tutto rincominciava nuovamente a parti invertite. I giochi con la fionda e con l’arco (quello fatto di stecche d’ombrello), penso siano stati in assoluto, i più pericolosi per la nostra incolumità: nel lanciare sassi “co’ la flonda”, tra i vari bersagli da colpire, prendevamo anche di mira i “panegarioi” (passeri), i gatti randagi, le lampadine delle strade, i barattoli di latta allineati sui muretti. Mentre con l’arco, gli obiettivi prescelti erano quasi sempre bersagli fissi, sui quali c’era più soddisfazione a piantare la freccia. Gli incidenti certamente non mancavano: quelli, ai quali ho assistito personalmente, si risolvevano con medicazioni di tipo casalingo, a base “de asédo” ed una fasciatura approssimativa, oppure con un lavaggio “in acqua salada in marina”. Nei casi più gravi, si andava in farmacia “de sior Ghino”. L’estate notoriamente, era la grande stagione delle vacanze e dei bagni. Messi da parte libri e quaderni, trascorrevamo le nostre lunghe ore in riva al mare, tra i tanti “cavarii, le subissade, el tirarse drio fango e àlega”. Quando subentrava un po’ di stanchezza, uscivamo dall’acqua, investiti a volte da un gagliardo venticello di borino, che metteva i brividi su quei nostri esili corpi gocciolanti. Era bello allora distendersi al sole a pancia in giù e trovare conforto “sule piere calde del mol”. Non appena le nostre schiene cominciavano a scottare troppo, riprendevamo a tuffarci e giocare ancora felici nell’acqua. Quelle raggianti mattine d’estate si concludevano verso l’ora di pranzo, allorché storditi dal sole e impregnati dalla salsedine, ci avviavamo verso casa con grande appetito. Tra i giochi non ancora citati,voglio annoverarne uno, che mi procurava grandi soddisfazioni: il “drago”. Si costruiva l’intelaiatura formata da sottili stecche ricavate dalle canne; la figura a forma di rombo ottenuta, veniva assemblata con lo spago “de calegher” e quindi rivestita di carta velina colorata, fissata con semplice colla di acqua e farina. La costruzione si completava applicando dei ciuffi di carta di vario colore ai lati della “testa”, mentre la forma della “coda”, era oggetto di fantasia creativa di ciascuno di noi. Quando cominciava ad alzarsi un po’ di vento, iniziava il “collaudo”, atteso sempre con trepidante emozione. Restano indimenticabili, le corse sul prato, in quei pomeriggi assolati, con il grosso gomitolo di filo in mano, che si riduceva sempre di più, mentre il “drago” saliva alto, fino a “sfiorare le nuvole”. A volte qualche inaspettato incidente, dovuto alla forza del vento, a un camino, o a un cornicione, spegneva di colpo il nostro entusiasmo: l’aquilone Bambine istriane che giocano in una foto tratta da L’Istria di Emilio Silvestri (Ed. Rumor – Vicenza – 1903) 37 La città interrompeva bruscamente il suo volo e veniva irrimediabilmente danneggiato o disperso. A quel punto, la tristezza era grande: gli occhi si riempivano di lacrime che andavano a rigare sconsolatamente i nostri visi. Desidero ora dare un po’ di spazio anche ai giochi femminili, che talvolta erano oggetto di interesse e partecipazione pure da parte nostra. Giocando con le “fie” (quando lo acconsentivano), cercavamo nuove opportunità di aggregazione. Magari inizialmente esisteva una certa diffidenza e un po’ di permalosità da parte loro nei nostri confronti, perché gli scherzi, le prese in giro, logicamente non erano sempre graditi e venivano accettati solo quando facevano parte del gioco. Lo stare insieme e divertirci, era il modo naturale per imparare a conoscerci. Data l’età ancora acerba, il nostro comportamento quasi istintivo, era spesso incoerente e spavaldo a differenza di quello delle nostre coetanee, che erano più sulla difensiva. Ma, nonostante tutto, pur nella nostra complessità caratteriale, cominciavamo ad avvertire nuove emozioni, che talvolta davano adito alle prime ingenue simpatie. I giochi femminili, a differenza dei 38 nostri, erano improntati più su una linea tranquilla e amicante. Ne ho in mente alcuni: mosca cieca, “el frate”, le belle statuine, “acqua e fogo”, la corda, “fefa”, “cavei cavai”, “el dotor”(molto richiesto da noi maschietti) e inoltre “el teatro”, dove si fingeva una recita “a soggetto”, inventando sul posto una piccola storia. Mentre ci divertivamo, accadevano talvolta episodi un po’ insoliti e movimentati: ricordo una “barufa tra do fie”, scoppiata per causa di vecchi dissapori. Il pretesto per arrivare allo scontro, traeva origine da un banale motivo di gioco. Il litigio a un certo punto si trasformò in fatto violento, con offese, sputi, morsi e “tirade de cavei” reciproche. Più tardi la contesa si allargò, coinvolgendo direttamente le genitrici delle ragazzine, che nel frattempo erano state informate dell’accaduto e che a modo loro, cercarono di “rendere giustizia” alle rispettive figlie. Per fortuna tutto si concluse abbastanza pacificamente, grazie all’intervento sensato di alcuni presenti. E desidero chiudere con il gioco per eccellenza: la tombola. Questo passatempo a Capodistria considerato quasi un’istituzione, aveva un carattere prettamente popolare ed era praticato da persone di tutte le età e ceto sociale. Un esempio evidente era la tombola in piazza, che nelle occasioni di festa, trovava la sua massima espressione con una grande partecipazione di gente. Al tradizionale rullo del tamburo, che richiamava tutti all’attenzione, si udiva la voce un po’ stentata “de Fornaréto” (Antonio Gasperutti), che annunciava i numeri in corso di estrazione, tra un fitto brusio di voci, “remenade” e pause di assoluto silenzio. A “Sanpieri”, nei pomeriggi domenicali, le donne del luogo, si riunivano a un’ora precisa: ciascuna portandosi da casa “le cartele coi numeri, i fasoi per notar, el scagno per sentarse e do fliche in tacuin”, sistemandosi poi in circolo davanti la porta d’ingresso della casa “de siora Roma Fonda”, dove iniziava l’allegra “kermesse” in un’atmosfera fatta di cicalecci, battute spiritose e “tacàde”. In caso di cattivo tempo, tutto il gruppo trovava rifugio nell’ampio atrio di qualche casa vicina e il gioco andava avanti fino all’ora di cena. Ricordo in modo particolare, una vecchia e antica popolana, chiamata da tutti “la vecia Gata” (Nina Riosa ?), forse perché nel corso della sua vita aveva generato numerosi figli: la rivedo ancora lì nel piazzale, con quella faccia arguta, mentre la sua voce esprimeva quell’antica parlata veneta, della quale alcuni termini spesso menzionati, erano già allora andati in disuso. Quando toccava a lei “cavar le bale” (espressione in dialetto riferita all’estrazione dei dischetti numerati), riportava i numeri, dando a ciascuno un appellativo scherzoso, com’era d’abitudine a quel tempo. Ma nel pronunciarli, la signora si esprimeva spesso in modo incomprensibile, a causa della sua carente dentatura, suscitando così senza volerlo, malumori e irritazione da parte delle comari, che non riuscivano a capire quello che diceva. Un giorno però si spazientì e alzandosi in piedi le apostrofò dicendo: “Andè in malora dute, desso me ciapo e vago via!”. E così fece. La città El gobo col saco, El baso del morto, Su e zo per la Calegaria…e altre amenità nei Numeri della tombola capodistriana Lauro Decarli ha raccolto nel suo libro »Caterina del buso«, le varianti dei numeri 'chiamati' della tombola a Capodistria. Decarli ha assunto come base il lavoro scritto da Francesco Babudri »I numeri della tombola« con appropriate annotazioni sulle varianti registrate nella nostra città all'inizio dello scorso secolo. Pure il poeta Tino Gavardo ci ha lasciato una lista di varianti registrate a Capodistria ed altri scarni commenti. Scrive il Carlon: »Vedere che la serie dei 90 numeri hanno un corrispondente, non significa che si assisteva ad un gioco con connotazioni esclusivamente gergali. L'uso della variante era frammisto alla 'chiamata' di umeri regolari la cui percentuale dipendeva dalla 'professionalità' e afffiatamento dei giocatori. In una tombola tipica come quelle che si svolgevano fuori l'uscio della casa della mitica Cicerinca (una Parovel che abitava in Calle San Martino, oggi Calle degli agricoltori), credo di poter affermare che oltre un terzo dei numeri veniva chiamato con il loro soprannome. Poi c'era il fenomeno della traduzione simultanea, operata da chi chiamava (nel caso di presenza di estranei poco informati), dalla madre che istruiva i figli minori, da terzi a semplice commento o in risposta a richiesta di chiarimenti. Ovviamente nelle tombole ufficiali tenute in piazza i numeri venivano chiamati da Toni Forner (Antonio Gasperutti) dopo il consueto rullo di tamburo senza alterazione o mascheramento. La tombola che si teneva nella piazza capodistriana è descritta per due volte nel Marameo, rivista satirica triestina, nelle edizioni del 25 agosto 1939 e del 5 settembre 1941. Ecco i numeri ed i loro “significati” con accompagnata per ciascuno una lettera indicante la causa individuata che viene distinta in: (A) assonanza, gioco di parole; (R) rima aggiunta; (F) figura, interpretazione simbolica della forma del numero; (P) personaggio noto o suo attributo; (C) cabala dei sogni; (D) data, calendario; (V) varie. In totale le voci sono 149. La parte del leone spetta alla Cabala con 39 assegnazioni, segue la Figura con 32, l’Alterazione o gioco di parole con 22, la Rima con 16, le Date o calendario con 18, le Varie pure con 18 ed infine i Personaggi con 6. 39 La città 1. El binbin (F); Pipin dela Cassa-malati (P). 2. Duelo (A); el barbagiàn (C). 3. tripe-merda-e-brò (A); tre, fin che coro no me ciapé (R) ; tre, ti polenta e mi cafè (R). 4. La carega (F). 5. La teta (F); i déi de la man (F); cinque, el zogo dele s’cinche (R). 6. Un omo (C); el parsuto (F); la Rudìa (D) (è la Befana che viene il 6 gennaio); sei, polenta e usei (R). 7. Babàu (P); sete-tachi e un brustolin (P) (entrambi soprannomi). 8. Le bale col fagoto (R) (le bale sono i cilindretti di legno con impresso il numero: “Levime la bala bona!” – il sacchetto di stoffa che le contiene solitamente detto bàlego: “Daghe ‘na scassàda al balego!”, qui per esigenze di rima viene fagoto); el gobo del loto (A); oto, simioto (R). 9. No a ven (A) (in lingua significherebbe ‘non viene’); el gobeto (F); nove, là che ‘l mus fa le prove (R). 10. Sior priore (V); torso e buso (F); diese, a ti gnente a mi sariese! (R). 11. I pài del telegrafo o i pài dela luce (F); le braghesse dei S’ciavoni (F) (portavano pantaloni molto stretti); un dise… seguito da qualsiasi frase come fàte in là, quel che a vol, ecc… per falso significato del numero che in dialetto fa pure undise. 12. I (dodise) apostoli. 13. La morte (C); ponto de Giuda (P); Santantonio de Padova o Santa Lucia (D) (per il calendario: 13 giugno e 13 dicembre). 14. El diavolo (C); le opere de misericordia (V); le cròdeghe (A) (cotiche). 15. Quindi…xe cussì (A). 16. Se dise e no se schersa/no se parla (A). 17. Desgrassià (C). 18. La fame del disdòto (D) (ultimo anno della Grande Guerra), sangue (C). 19. Sanasàrio (D) (la festa del patrono della città, 19 giugno). 20. La flica (V) (così veniva chiamata la moneta austriaca da venti centesimi). 21. I ‘nberiaghi (C) (gli ubriachi). 22. I do zomei (F) (gemelli); le do anerete (F) (i due anatroccoli); Se-tanta-sete hai…vin-ti-do (A). 23. Il culiseo (F); Silele canpanele per andar in farmacia, tichete tachete scanpa via (V) (motivo non chiaro). 24. L’afito de casa (D); Fora de casa! (D) (il 24 40 di agosto scadevano i contratti di affitto; si vedevano circolare carretti con masserizie per cui il cassetto di cucina ove si tenevano gli oggetti vari alla rinfusa: cavatappi, forbici, cazzuole, ecc. veniva detto el cassetin del 24 de agosto). 25. Nadal (D); Nosse de arzento (D). 26. San Stefano (D) (26 dicembre). 27. Zorno de paga (D). 28. La titola (F) (dolce pasquale la cui forma a treccia con uno o più uovi, poteva richiamarsi al numero). 29. Sanpiero (D) (29 giugno). 30. El popolo (C); el gobo (C); Bepi Trenta (P) (s.n.); el gobo col saco (F). 31. La rasòn o anche duti la vol ‘ver! (sempre sottinteso ‘la ragione’, dal detto: Ti ga fato trenta, fa trentùn! Intendendo: “Hai avuto ragione finora, non passare dalla parte del torto”, da un gioco delle carte, sul tipo del ‘settemezzo’, ove il punteggio massimo è 31(V). 32. El fredo in Toscana (D); Tre do…che fa sìe (A). 33. I ani de Cristo (D). 34. Tre careghe (F) (il quattro scritto a mano somiglia ad una sedia). 35. Le tre gobe (F) 36. Trentasei, i tre usei (R); tre sìe fa disdòto, altre do bale col fagoto (R). 37. Tre sete…che no fa vintiùn. (A); trentassete, la polenta tajada a fete (R). 38. Chi che ciama xe un simioto (intervento esterno) (R). 39. La forca (C). 40. Mi cago e ti guanta (R) (commento esteso all’uscita di tutti i numeri in -anta). 41. Qua ràntega ùn (‘qui rantola uno’) (A); el gloria del salmo (V) (allusione di riferimento religioso). 42. I pedoci (C). 43. Tre careghe rebaltade (F) (cfr. 34); la finestra (C). 44. Cacaracà (A); do careghe (F). 45. Meso cartelòn (V) (i giocatori hanno una o più cartelle, ognuna di 15 numeri, chi leva le bale ha el cartelon con tutti i 90 numeri); el morto resussità (C). 46. La morte inberiaga (C) (‘ubriaca’, che non appartiene alla cabala, ma va spesso connessa per ironizzare sulla morte). 47. Morto che parla (C); secondo annotazioni di Gavardo Dona morta che parla (C). La città 48. Omo morto che parla (C). 49. Carega nova (A). 50. Mezo secolo de gloria (D); le nosse de oro (D). 51. La farsòra e el manego (F); quindise ala roversa (F). 52. La màre (C). 53. Le pignate (C) ovvero la salata (C). 54. Merda (C). 55. Le tete (F); finfunfunsi (A) (dal tedesco); le cacuce (F). 56. Le scarpete cole rosete (C); le ciave (C). 57. Consapignate (C ). 58. La morte del’oca (V) (nel popolare ‘gioco dell’oca’ la morte figura alla casella 58). 59. Casa mia (C). 60. Se-sàlta, co’ se bala (A). 61. Se salta con un (A). 62. Se salta con do (e così via per tutta la decina) (A). 63. Sposalissio co’ la dota a metà (C). 64. La corona dela regina (C). 65. Dona gràvia (incinta) (C). 66. I do parsuti (F); i parsuti soto i travi (F). 67. El parsuto inpicà sula forca (F). 68. Se no zogo no ciapo al loto (R). 69. Su e zo per Calegaria (V). 70. Porta Pia (D) (anno della presa di Roma); setanta forza hai, fora con mi tu vai (A). 71. Fenocio e lingua, el magnar de la Sénsa (V) (pietanza tradizionale della festa dell’Ascensione). 72. Nessuna voce per Capodistria (Babudri porta la Madona per Trieste e la mazurca per Muggia). 73. I caponi (C). 74. El bacolo (scarafaggio) (C). 75. Baso de morto (C); nosse de diamanti (D). 76. Se-tanta-sei, fate a véder (A); le babe senti i pùlisi (V). 77. Le ganbe dele donete (R). 78. El mejo numero del loto (R) (a Pirano i tòteni del Papa). 79. La regata cole scove (R). 80. O-tanta-speransa (A); le àneme del purgatorio (C). 81. El sior col baston (F). 82. Andar a caval (C). 83. El leto (C). 84. La cesa (C). 85. El dotor (C). 86. I vòvi (uova) col parsuto (F). 87. O-tanta-sete, deme de bever (A); le savate sbregade (C). 88. I ociai del Papa (F). 89. La rivolussion in Francia (D); le montagne (C). 90. El nono (V); el vecio (V); el più vecio (V) (il numero più alto della tombola). IL QUIZ Nello scorso numero vi avevamo chiesto di localizzare le tre formelle in pietra bianca. Il libro omaggio va questa volta al signor Mario Perini di Trieste che così ci scrive: “Da capodistriano di S.Pieri, credo di aver individuato sulla facciata dello stabile (di fronte al Montaron) di via Martin Krpan le tre formelle rappresentanti a mio avviso San Luigi Gonzaga, la Vergine col Bambino e San Bastian”. Per la prossima volta vi invitiamo a scrivere sul tema del confine. Ricordi, aneddoti, pensieri sul “bloco”. Che non c’è più. 41 La città Da settembre a Capodanno. Le attività alla CI di Capodistria 1 settembre - Mostra personale del fotografo fiumano Rino Gropuzzo nell'ambito di »TriesteèFotografia – Identità e differenze a geometria variabile”. Allestimento espositivo realizzato in collaborazione con l'Associazione culturale Juliet. 4 ottobre – Conferenza: “Antonio Gramsci – Intellettuale del domani: nel 70mo anniversario della morte”. Evento organizzato in collaborazione con le Associazioni “Il pane e le rose”, “Circolo Istria” e la rivista “Il calendario del Popolo”. 10 ottobre – Escursione organizzata dalla Comunità con un itinerario in Ciceria e tappa finale a Laurana in occasione della “Marunada”. 19 ottobre – Presentazione del libro del giornalista Silvio Maranzana dal titolo “Trieste, salta il confine: dal crollo del comunismo all’Europa allargata, fino all’Islam”. Evento organizzato in collaborazione con l’Associazione “Il pane e le rose”. 24 ottobre – Mostra degli artisti Rajko Apollonio e Joso Knez. Evento organizzato in collaborazione con l’Associazione “Capris”. 25 ottobre – Tavola rotonda dal titolo “Austria… felix? – L’Istria sotto la dominazione asburgica”. 26 ottobre – Mostra fotografica “In – discrezioni: Volti del Dramma Italiano” di Rino Gropuzzo e rappresentazione teatrale del Dramma italiano di Fiume che porta in scena al teatro di Capodistria “Goldoni Terminus” di E. Erba, T. Štivičić e R. Zink. 9 novembre – Torneo di tressette e serata sociale in occasione della festa di S. Martino. 19 novembre – Presentazione del volume XXVII della Collana degli Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno “L’Istria nella prima età bizantina”, autore Andrej Novak. La presentazione libraria è stata realizzata in collaborazione con il CRS di Rovigno e l’Archivio Regionale di Capodistria. 22 novembre – Mostra collettiva nell’ambito del Progetto internazionale di arti visive “Laboratori artistici multi-disciplinari – INTERARS”. Allestimento espositivo realizzato in collaborazione con l’Unione Italiana e l’Associazione culturale “Kons”. 29 novembre – Presentazione del volume “Protestantesimo in Istria” di Antonio Miculian. Presentazione libraria realizzata in collaborazione con l’Associazione “Histria” e la facoltà di Studi 42 Umanistici dell’Università del Litorale. 10 dicembre – Spettacolo teatrale “Le tre verità di Cesira” rappresentato dalla Compagnia Pupi e fresedde – Teatro di Rifredi – Teatro stabile di innovazione. Rappresentazione teatrale realizzata in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura a Lubiana e il Consolato Generale d’Italia a Capodistria. 18 dicembre – Spettacolo scolastico di fine anno. Manifestazione organizzata in collaborazione con la Scuola elementare “Pier Paolo Vergerio il Vecchio”. 21 dicembre – Gran galà melodico italiano con il pianista Milko Čočev e intrattenimento augurale in prossimità delle Feste. 28 dicembre – Spettacolo all'Auditorio di Portorose: »Fermi tutti…è Capodanno!”, rassegna comicomusicale organizzata in collaborazione con la CI di Pirano e Tv Capodistria. Commemorazione del Beato Monaldo, sopra nella chiesa capodistriana di S.Anna, sotto in quella triestina di S.Maria Maggiore dove ne sono conservate le reliquie (foto: D. Gregorič) La città Bertocchi Crevatini LA CHIESETTA DI S.COLOMBANO La Comunità degli Italiani di Bertocchi nella sera del primo dicembre ha organizzato il quinto Incontro delle tre regioni inaugurando così l’inizio del mese più dolce dell’anno che trascina con se l’inverno col suo pungente freddo ma anche le festività che invece riscaldano il cuore e portano tanta gioia. Anche quest’anno l’obiettivo principale della manifestazione è stato quello di unire realtà amatoriale dei paesi confinanti e promuovere ancora una volta un messaggio importante cioè quello della solidarietà e della convivenza tra genti di culture e lingue diverse. Ospiti di quest’anno, oltre all’ospitante coro “Ginestra-Brnistra”, le “Lattaie” di Valmarin che hanno presentato in modo divertente la realtà delle donne che vendevano il latte a Trieste, il gruppo vocale “Evergreen” della CI di Momiano, il Gruppo vocale femminile dell’Associazione culturale ungherese “Baráti Kör” di Murska Sobota (foto), il coro “Sveti Jernej” di Opicina e, a concludere, il “Trio mandolino” di Pirano. La CI di Bertocchi, anche in questa quinta edizione ha colpito nel centro, con una sala gremita di gente che per un’ora e mezza ha potuto apprezzare realtà amatoriali diverse. Ciò sta a dimostrare che la musica, il canto ossia l’arte in genere non ha confine e riesce riunire popoli differenti. Di ciò ne è prova il modo in cui si è concluso l’incontro ossia in una cena dove i gruppi ospiti hanno continuato a cantare nelle loro lingue ma anche in quelli degli altri dimostrando così che le origini, la storia o la cultura non rappresentano una frontiera tra gli uomini che hanno voglia di divertirsi insieme. Roberta Vincoletto A Sud del monte di S.Michele, tra Chiampore e S.Brigida, un gruppo di case porta il nome di S.Colomban. Da qui si gode di una vista stupenda sulla valle di S.Bartolomeo, vista che si spinge fino a Salvore. Anche a S.Colomban esisteva un romitorio dove i pellegrini sostavano e si rifocillavano. Pellegrini che giungevano dall’Europa centrale e danubiana per imbarcarsi diretti in Terra Santa oppure ai Santuari italiani. Qualche decennio fa nella casa dove vivevano i coniugi Pierin e Maria, furono rinvenuti frammenti di un affresco che raffigurava il busto di un uomo con una bisaccia in spalla: forse uno dei tanti pellegrini transitati per quel romitorio. L’edificio infatti fino a pochi anni fa sembrava essere stato parte di un convento in quanto le costruzioni a forma rettangolare ricordavano un chiostro. Questo edificio era probabilmente collegato alla vicina chiesetta di S.Colombano l’unica in tutta l’Istria ad essere dedicata a questo santo di origine irlandese del VI sec. Nel 1939 un forte temporale accompagnato da raffiche di bora fece crollare il tetto della chiesetta. In seguito l’incuria e le intemperie fecero sì che crollassero le mura principali, rimase la facciata con il portale in legno e l’abside. Questi ruderi furono spazzati via dalle ruspe negli anni ’90. Poco discosto dalla chiesetta passava una strada romana. In alcuni punti vennero scoperte alcune tombe sempre di epoca romana e un contadino arando il suo podere rinvenne delle fondamenta di costruzioni antiche. Su di una facciata dell’edificio della chiesetta si notava murata una lapide con la seguente iscrizione: V. Incontro delle tre regioni P- DOMITIUS. ASBESTUS. ET. FESTA PERENTES CERIALI-FILIO. ANNORUM XX.D.S.D. Come molte chiese anche questa è probabile che sia sorta su suolo e con materiali di templi pagani. Bertocchi. Gruppo folkloristico femminile della Comunità ungherese del Prekmurje Lavoro di ricerca del gruppo di ricerche toponomastiche della CI di Crevatini. Mentore: Maria Pia Casagrande 43 La città “Letere dal Siam” Considerassioni, dopo el ritorno dai “paesi baltici” Bangkok, 24 Ottobre 2007 Caro Alberto, ti te ricordi quante volte che vemo parlà del presente sai intrigà e del tempo andà, ancora più intrigà dela nostra Istria, tipica “tera de confin”. Magari al “Circolo”, davanti a una cicara de café o una bicicleta. Forse sai meno vemo parlà del suo futuro. Fassevo questa considerazione sentà, vissin al finestrin, in un aereo che me riportava zo, de ritorno de un viagio nei paesi baltici. Ripensavo ai nostri discorsi perché quando li fassevo con ti, me pareva che la “nostra”, jera una tera de confin che più “confin” de cussì no se podeva ‘ver. E invesse dopo esser stado per un poco de tempo in quei tre paesi de lassù, vissin ala Finlandia e ala Russia, me son reso conto che ghe xe dele tere de confin, più confin dela nostra. De noi xe miscianze linguistiche, etniche, storiche. Lassù oltre a trovar dute queste, ghe xe anche quele religiose e, in qualche caso, ste ultime le pol diventar motivo de scontro ancora più facilmente dele altre. Noi gavemo (o almeno mi ‘vevo) l’idea che quei paesi i formava un duto unico, omogeneo. Li gavemo sempre considerai cussì anche perché le ultime vicende storiche li vedeva accumunai in un’unica sorte. Po’ ghe xe la tera duta piata, in duti tre i paesi e anche oltre, sensa monti e solo con qualche colina de infime dimensioni, quasi un brufolo sula pele lissa de una bela dona. E invesse anche el paesaggio se mostra diverso, nonostante la pianura comune. Sai Tallinn (Estonia) Tipiche case mercantili di tipo anseatico, nella piazza del centro storico. Bottega sotto, abitazione sopra e la trave che esce dal colmo per sostenere la carrucola che tirava su la merce fino nel solaio. 44 boscoso a nord, in Estonia, con grandi laghi, fin squasi a diventar nudo e, per mi , anche un poco triste nel sud (Lituania). Tanta costa de mar nei due paesi più a Nord, tanto poca in Lituania. Paesi che no ‘veva mai avudo una storia indipendente e un altro, la Lituania, che insieme ala Polonia, la jera diventada Riga (Lettonia) Il municipio. Ma attenzione, gli edifici della zona sono stati tutti distrutti dai Tedeschi durante l’invasione nazista e sono stati ricostruiti identici al passato, ma solo nella facciata. L’interno è modernissimo un stato importante, nell’Est Europeo, fin a rivar a dimensioni notevoli. Pochi se ricorda che la rivava dal Baltico al Mar Nero, compresa l’Ucraina. Che i famosi Jagelloni, che ‘veva anche fondà la prima università polacca (a Cracovia) i jera lituani. Girando per la Lituania ti vedi una infinità de ciese e in tante de quel se trova ricordi del passagio de papa Woitiła. O perché al à dito una messa, o per aver pregà su un dei so altari. Jera un papa viagiator, ma pochi sa dela sua predilesion per la Lituania, non solo perché la jera e la xe cattolicissima, ma soraduto perché so mare jera lituana. Bon, dalla cattolicissima, forse un poco troppo bigotta, Lituania, rivemo in Estonia, dove circa el 40% dei citadini i se dichiara atei, i altri xe protestanti o ortodossi e in duto lo stato se trova solo 6000 batesai nele ciese catoliche. Passando per la Lettonia, dove la situasion sta a metà fra Lituania e Estonia, ma con prevalensa dele religioni protestante e ortodossa, con una bona minoranza catolica. Za qua vedemo una forbice de situasioni, qualche volta anche preocupante. Agiungemo el fato, duto da considerar La città a parte, della presenza, fin a sessantasinque ani fa, de una grossa presenza ebrea, ogi praticamente sparida, o mejo, fata sparir. Mi vevo seguì pochi ani fa, in Polonia, un corso su la Shoah, l’Olocausto ebraico, e la storia dei ebrei me ‘veva sempre incuriosì. Ti devi pensar che Vilnius, la capitale lituana de ‘desso, la veva bu 105 sinagohe e ogi ghe xe restada in pié una sola e praticamente voda. I la ciamava la “Piccola Gerusalemme” e questo xe za eloquente. Adesso no ti trovi un ebreo!! Più ciaro de cussì! Comincemo subito da questo punto, anche in considerasion dei miei studi passai. Scomisiemo dal Nord (Estonia). Passeggio per la Cittadella de Tallin, costruida su uno dei pochi “brufoli” che vemo dito prima e trovo una lapide che ricorda il “massacro” di cittadini estoni, causato dalla feroce repressione sovietica. Un elenco de una ventina de nomi. Savendo che anca in Estonia i Ebrei i ‘veva fato una bruta fine, me son dimandà se anche a quel massacro, el governo estone al ‘veva dedicà qualche lapide. Gnente de gnente! Passando per Riga, dove ‘vevo una guida a dir poco favolosa per mole de conoscenze e che al jera anche amichevole (un russo), me son permesso de dimandar dove jera stadi deportai i Ebrei lettoni. La guida (Dimitri) al m’à vardà come se varda una bestia rara e dopo un poco (forse al pensava che schersavo o che lo volevo provocar) al me rispondi: “non sono stati deportati ….., sono stati massacrati sul posto”. A Vilnius (Lituania) non go dimandà gnente, go solo sentido dir de la guida (lituana puro sangue ed anche un poco fanatica) che i Ebrei lituani ai jera stai massacrai dai tedeschi. Za durante el mio corso in Polonia ‘vevo imparà che i aguzzini più feroci nei Lager nazisti, jera stai i Lituani e i Ucraini, ma dopo go leto un bel libro scrito de un triestin, Livio Sirovich, fio de un triestin (cognome italianiza in Siro, po’ tornà Sirovich) e de una ebrea lituana che el Siro-Sirovich veva conossù in Palestina e che la ‘veva portada a Trieste. El titolo (sensa voler far la reclam del libro) xe “Cari, non scrivetemi tutto ……” Ma quel che i suoi cari ghe ga scrito a quela siora, jera za abastansa. Vojo solo citar un per de frasi: Il massacro si protrae per buona parte della notte: la mattina del 26 si contano circa 1500 morti. Anche in centro molte vie e piazze diventano teatro di esecuzioni sommarie e di torture che – come registrano le successive testimonianze dei militari tedeschi che vi assistettero – danno il voltastomaco anche ai veterani della campagna di Polonia. ………. è all'opera una squadra di lituani capeggiata da un ragazzone sui venticinque anni. ……. «La gente applaude, ride con entusiasmo, grida ripetutamente "bravi!" all'indirizzo del giovanotto e dei suoi aiutanti» con la fascia al braccio. Gli ebrei vengono condotti nel piazzale a gruppi. Li fanno stendere a terra uno accanto all'altro; quindi gli sfracellano il cranio con tubi di ferro. E così avanti. «Prima di venire uccisi» scrive nel suo rapporto un caporale della 562a compagnia panificatori della Wehrmacht «molti ebrei pregano e mormorano qualcosa tra sé. ……. «Dopo che tutti furono uccisi» hanno narrato altri testimoni «il giovane mise da parte la sbarra, prese una fisarmonica e, mentre la folla applaudiva e si univa al canto, sistematosi sul mucchio di cadaveri, suonò l'inno nazionale lituano.» Nei giorni successivi, ai 1500 morti di Slobodka si aggiungono altre 2300 vittime. Zontemo ancora el fato che el vescovo ausiliare cattolico Vincentas Brizgys, al ‘veva ordinà ai sacerdoti dela sua diocesi, de no aiudar le famiglie ebree perseguitade. Ma per la nostra guida lituana, jera sta fato duto dai tedeschi. Altri problemi per motivi etnici. In Estonia ghe xe una forte presenza russa. In parte preesistente all’URSS. A Tallin la percentuale dei Russi, la riva al 40%, quasi identica a quela dei estoni stessi. I altri xe de altre nazionalità. Sembra duto tranquilo, ma Ivan, la guida me fa notar che la paxe aparente no xe fruto de comprensione, ma solo del fato che un grupo etnico “ignora” completamente l’altro. El m’à fato anca notar che, praticamente, no esisti matrimoni Riga (Lettonia) Lo stile predominante a Riga è il liberty. Gran parte gli edifici di questo quartiere sono stati progettati dall’arch. M. Eisenstein che era il padre del regista sovietico Sergei Eisenstein (il realizzatore de “la Corazzata Potëmkin”) 45 La città misti. Ogni grupo etnico fa vita a sé, salvo a scontrarse quando el governo ga volù spostar in zona periferica el monumento all’Armata Rossa. Ma po’ duto trona come prima. Mi no te vedo e ti no ti me vedi. E dopo vemo el fato linguistico. Ognun dei tre paesi, ga la propria lingua. L’estone addirittura appartien ala fameja ugro-finnica, imparentà con el finlandese e con l’ungherese. Le altre do lingue, completamenmte diverse l’una dall’altra, le fa però parte de la stessa fameja linguistica, quela dele lingue baltiche. E qua gavemo una curiosità. Oltre al Prussian antico, oramai defonto, esisti ancora do lingue baltiche uficiali: “letone e lituano” e una ancora parlada ma in via de estinsion. Come de noi l’istro-rumen. Se trata del curlandese che a suo tempo la jera una lingua inportante, divisa adiritura in do “sotolingue” e ‘desso, nel 2004, parlado, squasi per scomesa, da soli 8 abitanti. Al xe parlà su una penisola dela costa lituana, ma come lingua al xe più vissin al lettone. Po’ no dovemo dismentegar la nobiltà tedesca dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici che ga costruì castei in ogni posto e che parlava ovviamente el tedesco. Ancora prima dela guera jera tanti todeschi de quele parti (Memel), tanto che questa ultima città (quela volta za soto la Lituania, come adesso) la jera citada nell’inno tedesco come el limite orientale del Grande Reich (von der Maas bis an die Memel = Dalla Mosa fino al Memel). Altra curiosità (ma ghe ne saria tante, solo che no podemo farla tropo longa). Xe una difusa ostilità contro l’ex Unione Sovietica, ma anche contro la Russia de ogi, nonostante che gran parte del teritorio oggi lituano, al sia diventà lituano solo grazie Pärnu (Estonia) Spiaggia estone. Come spiaggia decisamente poco invitante (era agosto, verso mezzogiorno, e i lettini erano tutti liberi” 46 all’Unione Sovietica. Comincemo da Klaipeda (ex Memel, che vemo zà cità). Xe l’unico porto lituan, ma al xe sta fondà dai Cavalieri Teutonici, quindi tedeschi, intorno al 1250. Po’ col 1422 un tratato ga fissà i confini fra la Prussia e la Lituania e Memel (Klaipeda, quela volta se ciamava cussì) xe restada in Prussia fin al 1919, cioè cinque secoli, salvo un periodo de cinque o sei ani, che la xe diventada svedese. Dopo la prima guera mondiale, el tratato de Versailles la ga costituida come territorio autonomo, sotto occupasion francese (te ricordi el TLT?)! Ma per poco. Nel 1923, le trupe lituane la ga ocupada e i Francesi i s’à ritirà. Nel 1939, la xe stada incorporada nel Reich Nazista, fin ala fin del 1944, quando xe rivada l’Armata Rossa e la città incorporada nela Repubblica Socialista Sovietica di Lituania, mentre squasi duti i abitanti de lingua tedesca i ga esodà e i s’à rifugià in Germania. Da allora ga sempre fato parte dela Lituania, prima come parte dell’URSS e dopo come repubblica indipendente. Ma questo xe gnente! Vilnius ga una storia ancora più simile alla nostra. Sorta in una zona, prima abitada da tribù baltiche, la xe stata abitada da popolazioni slave e dopo l’XI secolo da Ebrei (ti te ricordi che i la ciamava la “piccola Gerusalemme”?), ogi duti sparidi (slavi, ma specialmente i ebrei). Con l’unione fra Lituania e Polonia, la xe diventada polacca. Centro de grandi comerci, la cità ga atirado popolazioni de duti i tipi e la sua missianza la xe cresuda a dismisura, fin al 1655 quando i Russi la ga ciapada e brusada, massacrando gran parte dela popolasion. Ma nel 1795, con la famosa spartision dela Polonia, la cità xe stada anessa ala Russia zarista. Dopo la rivolusion de otobre e dopo varie vicende (russi, polacchi, ancora russi), la diventa nel 1919 capitale del novo stato de la Lituania Centrale indipendente, ma za nel 1922 la ga proclamà l’unione con la Polonia. E la xe restada soto la Polonia fin al 1939 quando, col patto Molotov-Ribbentrop, la cità e el suo teritorio i xe stadi ocupadi dall’Unione Sovietica, che ga dà la cità e i dintorni a la Lituania. E da alora la xe restada lituana fin adesso. Ti ga perso el conto dei passaggi de un stato all’altro? Un poco come qualche tera de nostra conosensa. Naturalmente no go dito che poca roba de quei paesi, ma se qualchiudun ghe interessa, me pol contatar per posta eletronica a [email protected]. Lucio Nalesini La città Repertorio italiano di corrispondenza alle voci dialettali capodistriane Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico etimologico del dialetto di Capodistria di Giulio Manzini D da (prep.) – de dabbene – de sèsto daccanto – arènte, 'rente daccapo – de novo, indrìo daccordo – decòrdi dado – tanpàgno dai! – àla! damerino – scartossèto damigiana – demjàna, damejàna danaro – soldo danza – balo da parte – desparte dapprima – prima, de principio darsena – mandràcio dattero – dàtolo davanzale – davansàl, pusiòl davvero – per vero, per da bon debole – debolo decagrammo – deca, deche decolorare – scolorir, smarir decomposto – marso, andà de mal decremento – calo dedito – uso, (a)bituà dedurre – cavar; capir deflagrazione – tiro defluire – scorer, corer deformare – inberlàr, slanbràr deformato – storto, stravirà, scavassà defunto – defonto degenerare – rovinarse, butarse mal degente – malà deglutire – ingiotìr degustare – sercar, zercar delatore – spion delfino – dolfìn deliberare – decìder deliberatamente – apòsta delicato – dilicato deludere – cagar su l'amo deluso – slavassà demente – mato demolire – desfàr, desmatàr, butar zo denaro – soldo, flìca, sgheo, patus denso – fisso, pengo dentice (itt.) – dentàl dentro – drento, int' denudare – despojar depennare – scanselar, stricar deporre – pusar depositare – meter, salvar derelitto – bandonà deriva (nautica) – colonba; tratanàda derivare – provignir, nasser descrivere – spiegar, contar desiderare – voler, bramar desistere – molar, lassar destino – distin, sorte destra – drita, dreta destro – furbo, svelto detenere – gaver, tignir detergere – forbir, netar detrarre – cavar detto – dito, modo de dir di (prep.) – de dialogare – parlar, discorer diarrea – mossa, cagarela diavoleria – diavolèsso, strigaria diavolo – giàolo diceria – ciàcola dietro – da drio difficoltà – ràdego, ingàio diffidente – sospetoso digrossare – sgrezàr dileggiare – coionar, cior pel cul diluire – intenperàr, slongar dimenare – remenar dimenticare – desmentegar dimesso – cucio diminuire – calar, strenzer, scurtar dimora – casa dimorare – star dinanzi – prima, (a)vanti dintorno – a(torno) dipanare – destrigar dipingere – piturar diradare – s'ciarir dirigere – menar; pontar dirimpetto – visavì diroccato – in rovina, desmatà dirupo – rivasso disabitato – svodo disaccordo – barufa 47 La città disadorno – povaro disagio – pena discendere – vignir zo, calarse discernere – veder discesa – rato in zo; calada disco – tondolo discorrere – parlar, ciacolar, rajonar discrezione – polegana disdetta – scomio; pegola disertare – scanpar disgustoso – cativo, stomegoso disonesto – inbroion, figura porca disordine – bordel, casoto, gheto remitur, batibojo, barafusa dispensare – dar, spartir disporre – meter, prontar disposizione (buona) – anda dissipare – frajar dissodamento – scasso dissodare – meter in lavor, romper distante – lontan distendere – destirar disteso – destirà, trèsso distintivo – (la) stema distorcere – storzer distratto – incantà distribuire – spartir disturbare – secar disturbatore – secabìsi disubbidire – no scoltar ditale – sisiàl dito – deo, den divellere – cavar, dispiantar diverbio – quistion divertimento – bàgolo divertirsi – bagolàr divisa – montùra divorare – slupàr divulgare – far saver, bater tamburo dizione – modo de parlar docile – bon, quàcio documento – carta dogarella – palcheto, dogarela doglia – doja dolce (agg.) – dolsi, dolso dolce (sost.) – pasta dolere – dioler domandare – dimandar domani – doman, diman dondolare – zinzolàr donnaccia – babàssa dopo – po, drio dorato – indorà dormiglione – dormioto, indorminson dorso – gròpa 48 dotato – fornì dote – dota dotto – studià dove – indove, andove drizza (mar.) – ghindasso, mante drogheria – drogaria dunque – donca durevole – che dura E è – xe ebbro – inberiago, ciuco, duro ebollizione – boio ebreo – abreo eccedere – andar oltra eccessivamente – massa eccetto – fora che eccettuare – lassar fora economo (agg.) – strento, sparagnin edema – gnoco, susin edera (veg.) – elera edificare – far, far su educazione – creansa effimero – che no dura egli (pron.) – lu, el, al, a eguale – conpagno elaborare – curar elastico – astico elemosinare – far lemosina elenco – lista elevare – alsar elica – propela eliminare – scartar elogiare – lodar eludere – schivar embrice – copo emergere – vegnir fora emicrania – mal de testa emolumento – paga emorroidi – maroide emulazione – rìfa energia – forsa, polso entrambi – duti do entrare – andar (vignir) drento entrata – entrada, portego enumerare – contar epigrafe – scrita epilessia – mal de San Valentin epoca – tenpo epurare – netar, purgar equipaggiare – fornir, matar, armar equipaggio – armo equità – justissia La città equivalente – valer conpagno equivoco – sbalio, falopa erba medica (veg.) – erbaspagna ereditare – reditar eretto – drito erigere – far, tirar su erodere – rosegar, smagnar erpice – arpese, ruspa, graspa erpicare – grapar, ruspegar, arpegar errabondo - sìngheno errore – falopa, capela erta – rato esaltato – mato esaminare – studiar; tamisar esatto – justo esaudire – scoltar esaurire – finir, terminar esca – (la) lesca escludere – lassar fora escoriazione – sgràfo, russada esente – franco esibire – mostrar esibizionista – blaga esigere – pretender; scòder esile – sutìl, (metaf.) schìla esofago – gargàto esortare – far corajo esperienza – pratica esperto – navigà espiare – pagar espletare – far esplicitamente – ciaro, fora dei denti esplorare – sercar, sbisigàr esplosione – tiro esporre – espòner, meter fora esposizione (a sole o vento) – batùda espressamente – apòsta essa – ela essere umano – cristian, cris'ciàn essiccare – sugar esso – lu est – levante estate – istà, istade estendere – slargar esteriore – de fassàda, de fora estero – foresto estirpare ed estrarre – cavar estremità – cavo, zima, ponta, testa, cào evaporare – sbanpìr evitare – scapolàr F fabbricato – casa, (spreg. casòn) fabbro – favro, fàvero faccenda – fassenda, afar, mistièr faccendiere – fassendon, futissòn, buleghìn faccia – viso, muso faccia de… – vis de… facciata – fassada facezia – butada facinoroso – barufante faggio (bot.) – faghèr fagiolo (veg.) – fasol, fasiol fagiolino – fasoleto, tegolina faina – fuina falce – (fienaia) sega, siega; (da mietitore) sièsola falcetto – false, sfalsa falciare – tajar, sfalsar, (fieno) siegar, (grano) siesolar falco (ucc.) – falconeto, pojana falegname – marangòn falsificazione – inbròio famiglia – fameja fanale – feral, fanò, (mar. bonbèta) fanciullo – putel fandonia – busìa, bala, fiaba, flòcia fanghiglia – plòcio, lèca, paciùgo fango - (mar.) vèlma fannullone – tirafiaca farfalla – pinpinela farmaco – medesìna faro – feral fascia – fassa, (di nubi) tressa, (di campo) filagna fasciame (mar.) – (i)madièri fasciare – infassàr fattoria – cortìvo fattucchiera – striga, butacarte favilla – falisca favore – piassèr favorire – jutàr febbraio – febràro febbre – frève fecondare – (del gallo) galàr, (altri anim.) inpinìr federa - intimèla fegato – figà felicemente – ben, pulito femmina- femena fenditura – tajo, s'ciopadura, sfessa fenomeno – felomeno feritoia (stradale) – gàtolo fermaglio – fiuba, fuiba fermarsi – fermarse, incantarse fermentare (del mosto) – boìr fermo – fermo, duro feroce – cativo ferro da maglia – gùcia ferrovia – feràta fessura – sfessa, comisura, (mar.) chimento festa – festa, sagra; licòfo 49 La città festoso – lègro fetore – spussa, tufo fetta – feta, slepa fiacca – fiaca, meca, pachèa fiacco – fiacoso, straco, debolo fiamma – fiama, banpa (vampa) fiammata - banpàda fiammifero – fulminante, forminante fianco – banda ficcanaso – furegon, sbisighìn ficcare – ficàr, cassàr fico (veg.) – figo (frutto), fighera, figàra (albero) fidanzarsi – inprometerse fidanzato – moroso fienile – fenil fieno – fen, fien figlio – fio figlioccio – fiòsso filastrocca – tiritera, lòica filetto (gioco) – trìa filo – fil, àze filone – (geol.) vena, (di pane) strussa fine (agg.) – fin, sutìl fine (sost.) – fin, finàl finestra – balcòn fioccina – fòssena fiocco – fioco, (mar.) floco fionda – flonda fisarmonica – rimònica fischiare – fis'ciar, subiàr fischietto – fis'ceto, subioto fitta – sponta, (delle vertebre) scrico fitto (agg.) – fisso fiumana – fiumera fiutare – nasar, usmàr flemma – camòma floscio – fiapo fluire – corer – filàr focaccia – fogassa, pinsa, cùguluf focaccetta (con uovo sodo) – tìtola focolare – fogoler fodera – fodra foderare – fodràr fodero – fodro, baschèra folata – refolo, refolada folgore – lanpo, saieta folle – mato folto – fisso fondere – squaiar fondiglio – fondo, morcia, fondacio fondo – fondo, (del mare) el fondi, (salifero) cavedin forare – sbusàr forbici – fòrfe forcata – forcassàda forcella – forcola forchetta – piròn 50 forcone – forcàs, forcàl fofora – paiòla forma di formaggio – formajèla formaggio – formàjo formica – formìgola fornace – fornàsa fornaio – fornèr, pistòr, pek foro – buso, bus forse – forsi forte – forte, saldo, stagno fortunale – neverìn, fortunal foruncolo – brusco, bugnòn, (se piccolo) brufolo forzare – sforsàr foschia – calìgo fosforescenza marina – ardòr fossa – fosso fossetta – gramola fra (prep.) – infra fracco – càrego fradicio – marso, supo, bonbo fragolino (pesce) – ribòn fraintendere – stracapìr frammento – toco, scàia, s'ciànta franco – libero; sinzier, s'cieto francobollo – marca frangia – franza frantoio – torcio frasca – frasco fratello – fradel, fardel frecciata – tacàda freno – fren, slàif fretta – furia, (in f.) de scanpòn fringuello (ucc.) – montàn frittata – fritàja frittella – fritola fronzolo – pìnpolo frosone (ucc.) – frisòn frotta – ciàpo, brigada frumento – formento frusta – scùria frustata – scuriàda ficile – s'ciopo fuggire – scanpàr fuliggine – calìsene fulmine – fulmene, saieta fumaiolo – camin fune – cavo, zima, (spec. mar.) mante, scota, caregabasso, borina, ghindasso, alsàna, gegoma, rocheta funicella – merlìn, sagola fuoco – fogo, fogaròn, fogarel furente – fora dei gangheri furfante – canaja, baraba, inbroion furto – rubarìa fusto – mànego, ganba; (in cantina) ordegno La città Freschi d stampa - Francesco Trevisani. Un pittore da Capodistria a Roma La casa ed. Edizioni della Laguna di Mariano del Friuli e Lidia Puliti Pagura ci regalano la prima monografia su Francesco Trevisani, pittore nato a Capodistria nel 1656 e morto a Roma nel 1746. Allievo a Venezia di Antonio Zanchi, giunse presto a Roma, dove svolse la sua carriera per intero, nel 1678. Suo mentore fu il cardinale veneziano Pietro Ottoboni, Trevisani nipote di Alessandro VIII, uno dei più importanti mecenati del momento. Fu affiliato all’Accademia dell’Arcadia. Le sue opere si trovano in importanti musei e collezioni, compresa quella reale inglese. Fino al 1955 era intitolata a lui l’attuale via dei Glagoliti (vicino alla posta vecchia). - L'Istria nella prima età bizantina di Andrej Novak Per la Collana degli Atti del centro di ricerche storiche di Rovigno è uscita la traduzione italiana di “L’Istria nella prima età bizantina” di Andrej Novak. Il volume è stato presentato all’Archivio regionale con l’apporto della nostra Comunità. Di seguito riportiamo alcuni passi della prefazione al libro firmata da Donata Degrassi. (…) Se l’epoca bizantina in terra istriana si presenta ancora “misteriosa”, ciò dipende dal fatto che assai rade sono le testimonianze che ci parlano di quel periodo. Pochissime sono le fonti scritte: passi ardui e di difficile interpretazione, su cui si sono affaticati generazioni di storici alla ricerca del senso autentico di certi passaggi ambigui o decisamente oscuri. Più numerose sono le fonti monumentali e archeologiche, che tuttavia poco ci dicono se non adeguatamente illuminate da un corpo di scritture dell’epoca. Ci vuole dunque coraggio e competenza, perché è necessario avere un bagaglio di conoscenze vaste e interdisciplinari per affrontare questo nodo storico (…). Ed è necessaria anche una pazienza proverbiale per mettere insieme i fili discontinui e spezzati di personaggi che si ritrovano sporadicamente menzionati qui e là, magari con epiteti diversi, e ricomporre la loro storia e il loro significato che ha avuto rispetto alla vicende complessive. Di tutto ciò l’autore si dimostra ben provvisto, grazie ad una solida formazione, classica e bizantinistica, di cui questo libro, tratto dalla tesi di master dal titolo “Dall’Istria tardoantica a quella bizantina”, costituisce un frutto esemplare. - Monografia Pio Riego Gambini e Associazione Pro hereditate Quest’anno ricorre il 90.mo anniversario della battaglia di Caporetto, simbolo di quel Fronte isontino che durante la Prima guerra mondiale vide cadere sui campi di battaglia un milione di persone. Il libro su Pio Riego Gambini, di Anita Derin per la Fameia capodistriana, in 200 esemplari numerati, ci racconta del clima dell’epoca Gambini nell’ottica del nazionalismo italiano di allora, ovvero nell’ottica di quegli istriani che disertarono l’esercito austriaco per andare a combattere in quello italiano. Il clima di allora è ripercorso attraverso documenti e foto d’epoca. Sul tema della Prima guerra mondiale segnaliamo anche un sito internet trilingue (italiano, sloveno, inglese) nato nell’ambito della collaborazione fra storici e semplici appassionati di storia di Slovenia e Italia. L’indirizzo è www.prohereditate.com - Protestantesimo in Istria di Antonio Miculian “Protestantizam u Istri (XVI-XVII stoljeće)” – in italiano “Protestantesimo in Istria (XVI – XVII secolo” – edito lo scorso anno dalla “Žakan Juri” di Pola 2006. Le 564 pagine del volume di Antonio Miculian sono il risultato di anni di ricerca, compiuti presso l’Archivio di Stato di Venezia (Fondo Sant’Ufficio), l’Archivio arcivescovile di Udine e l’Archivio Segreto Vaticano di Roma. Grazie anche a una nuova impostazione, lo storico istriano è riuscito a penetrare nel cuore della storia socio-religiosa istriana del XVI-XVII secolo, illustrando quello che fu il credo dei vari strati della popolazione, dall’élite alle masse urbane e rurali, italiane, croate e slovene, sempre attente agli eventi che coinvolgevano le personalità di maggiore spicco o che si ponevano quali contestatrici delle istituzioni ufficiali, civili ed ecclesiastiche, senza pertanto rinunciare alle proprie convinzioni. Ampio spazio al ruolo del vescovo capodistriano Vergerio, amico di Primož Trubar. 51 La città Un artista nostrano da ricordare: Oreste Dequel Nato a Capodistria il 17 agosto del 1923 è stato un grande scultore-pittore. Nella città natia sono rimaste poche sue opere. Una soltanto è esposta in bella vista a fianco del Municipio, quella di Pier Paolo Vergerio. Negli anni 50 del precedente secolo, due sono stati gli artisti capodistriani che hanno lasciato una impronta indelebile nella storia della civiltà figurativa della nostra regione: Oreste Dequel e Jože Pohlen. Ambedue di straordinaria levatura, ambedue allievi, nell’immediato dopoguerra dell’Accademia di belle arti di Lubiana e considerati i migliori allievi del professor Frančišek Smerdu. Nativo di Postumia, Smerdu, formatosi nella scuola di Ivan Meštrović, ha saputo fondere nei suoi allievi gli insegnamenti di Donatello, di Michelangelo e di Rodin. Aderente alla figuralità classica, Smerdu non ha mai accettato di conformarsi alla dottrina del realismo socialista. La stima di Smerdu per i due allievi istriani si è manifestata già durante il primo anno di studio e in particolare al momento dell’inizio dei lavori per la statua del poeta sloveno France Prešeren, posta sul piazzale del teatro di Kranj. Infatti Smerdu aveva scelto proprio 52 Dequel e Pohlen quali aiutanti per l’impegnativo lavoro, soggetto dalla fase iniziale sino alla fine, a diversi cambiamenti. Questa prima esperienza pratica è stata di grande utilità per i due artisti in formazione. Finita l’opera monumentale con il professor Smerdu, i due si sono messi nuovamente al lavoro, in attesa del capolavoro, naturalmente questa volta per proprio conto. Mentre Dequel aveva conservato la predilezione per la scultura, Pohlen si era orientato verso la pittura. Ancor prima di terminare gli studi Dequel si era ulteriormente evoluto, raggiungendo la fama di ottimo ritrattista. Un suo ritratto di Tito rimane ancora oggi uno dei migliori esempi di ritrattistica in generale. Infatti le ordinazioni del ritratto e del busto di Tito si erano susseguite a ritmo ininterrotto. Terminati gli studi i due si erano stabiliti a Capodistria, dove dividevano lo studio e una cameretta nella stessa casa di residenza di altri artisti dipendenti di Radio Capodistria. L’occasione di risiedere nello stesso edificio mi aveva dato la possibilità di seguire da vicino il suo lavoro e di parlare spesso dei suoi progetti. Le conversazioni si concludevano sempre con una battuta che lo distingueva nei suoi contatti con gli amici. A Capodistria aveva iniziato a sfornare busti e ritratti richiesti da alcuni enti culturali. Ricordo che nel ridotto del teatro, su una mensola, erano sistemati i busti di Cankar, Prešeren e Verdi; nella biblioteca cittadina ancora i busti di Cankar, Dante e Verdi. Parecchie furono poi le ordinazioni private, fra queste ricordo il busto della professoressa del Ginnasio italiano di Capodistria, Lidia Steffè, poi dell’alpinista Sandi Blazina e del professor Babuder. La grande occasione per la definitiva affermazione era giunta quando aveva vinto il concorso per il busto di Pier Paolo Vergerio, nunzio e vescovo del XVI secolo. Alcuni anni più tardi Fulvio Tomizza rievocò la vita del grande riformatore capodistriano nel libro “Il male viene dal Nord”. Il busto ancor oggi ubicato nel parco accanto all’edificio del Comune è l’unica opera di rilievo rimasta a Capodistria. Avrebbe dovuto essercene un’altra, la statua ai marinai caduti, ultimata dopo mesi di intenso lavoro, ma non è mai stata posta nell’ubicazione inizialmente prevista. Una commissione di burocrati l’aveva bollata a causa della nudità dei due copi. Auguste Rodin, mitico scultore francese, così si era pronunciato a proposito: “Secondo me non esiste una regola che potrebbe negare allo scultore di creare opere in un modo peculiare”. Va ricordato che fra i migliori nudi di Rodin fanno spicco “L’uomo in marcia” e “S.Giovanni Battista”. La suddetta scultura di Oreste Dequel, caduta ben presto nel dimenticatoio, fu salvata dal completo danneggiamento grazie all’intervento di alcuni cittadini di Isola che la posero davanti al cimitero cittadino. A Capodistria esiste però la miniatura della stessa opera, donata da Oreste a un suo amico. Dopo il rifiuto della sua opera, Dequel ha dovuto rassegnarsi a La città lasciare il suolo natio e rifugiarsi a Trieste, per ragioni ancor oggi oscure. Nel vicino centro della cultura Mitteleuropea, incontrando spesso Mascherini, Rosignano, Soriani e Fulvio Tomizza, era venuto a conoscenza delle nuove tendenze stilistiche. A Trieste la sua permanenza non è stata di lunga durata. Dopo aver eseguito “Le bagnanti” ed aver partecipato alla Biennale di Venezia con “Le nuotatrici”, concluse la sua permanenza nel capoluogo giuliano nel 1959 con la prima mostra personale alla Galleria Comunale, trasferendosi poco dopo a Roma. La fase iniziale del soggiorno nella capitale è stata piuttosto disagevole. Lincontro con Mafai gli ha portato un po’ di sollievo. Mafai lo aveva introdotto nell’ambiente romano composto da artisti orientati quasi esclusivamente all’avanguardia che però non avevano persuaso Oreste. Già nel 1962 le sue opere più ecenti furono esposte nella Galleria Antea. Nel frattempo erano iniziati i suoi viaggi in Europa, negli Stati Uniti ed in Australia. Spesso si tratteneva sulla Costa Azzurra, doveva aveva acquistato una torre centenaria adibita a studio. Nel 1971 alcune sue opere, scaturite dalle sue laboriose mani proprio nella torre, sono state esposte nella vicina città di St. Paul de Vence. Negli Stati Uniti la prima mostra personale ebbe luogo nel 1969 a Chicago., dove Dequel si era ripresentato nella Galleria Oechsclaeger, ancora nel 1973 e nel ’76. La più importante mostra personale dell’artista capodistriano negli USA fu inaugurata nel 1980 a Danville, in Virginia. Fra le 40 opere esposte nel palazzo, dove fu firmata la pace alla fine della guerra fratricida fra Nord e Sud, c’erano per la primo volta due gatti, uno di anice e l’altro di tufo. La passione per i mici durava da parecchio tempo e Oreste non se ne faceva un vanto e nemmeno una vergogna. Estroverso com’era si presentava spesso: “Oreste Dequel, di professione gattaio”. Le altre opere esposte a Danville rappresentavano il meglio della sua crescita artistica dell’ultimo decennio. Le ultime mostre, prima della sua prematura morte, furono organizzate a Trieste nelle gallerie Cartesius, Rettori-Tribbio e Torbandena. L’ultima all’estero, nella Galleria Artpress di Nizza. Molte le mostre collettive, molti i premi. Interessante, fra i primi, il premio nazionale per il monumento ai caduti di Mantova, non eseguito! Si era ripetuta insomma la storia di Capodistria. Dequel, sportivo in gioventù, aveva ricevuto un primo premio per una statua posta nella sede del CONI a Roma. Altri premi ancora a Potenza, Assisi, Lecce ed infine il primo premio nazionale – Monumento di scultura in pietra – per la Biblioteca Centrale di Roma. Oreste Dequel si spegne il 27 marzo 1985. Ferdi Vidmar In memoriam Primo Bertok (1933 - 2007) La consorte Maria assieme ai figli Susanna e Mauro, ringrazia di cuore la Comunità per essere stata loro così vicina nei momenti più dolorosi, in particolar modo i coniugi Lino e Zdenka Cernaz, i coniugi Gianni e Milia Pellizer, nonché la sig.a Ondina Gregorich. 53 La città Omaggio a Pavarotti Nell'ambito della Settimana della cultura italiana l'Università del Litorale ha organizzato martedì 23 ottobre una serata dedicata allo scomparso tenore Luciano Pavarotti. Uno spettacolo d'arte varia amalgamato tra suoni recitazioni e disegni ideato da Nives Zudič Antonič. La giovane attrice Miriam Monica di Pirano ha condotto la serata illustrando la vita e l'opera di Pavarotti accettando di buon grado anche alcuni duetti canori assieme al bravo giovane tenore Neven Stipanov, anche lui di Pirano. Alla lavagna luminosa c'era invece la pittrice Fulvia Zudič che creava all'istante suggestive immagini liberando la creatività a seconda delle canzoni in repertorio. L'accompagnamento musicale è stato affidato al maestro Bojan Glavina al pianoforte e Marsell Marinšek alla fisarmonica. In programma famose arie quali »La donna è mobile« del »Rigoletto« di Giuseppe Verdi, al »Libiamo« della »Traviata«, a »Nessun dorma« della »Turandot« di Puccini, ma anche canzoni di musica leggera come »Funiculì funiculà«, »La vie en rose«, »Nel blu dipinto di blu«. Allo spettacolo era presente anche la nuova direttrice del Centro di cultura italiana di Lubiana, dottoressa Roberta Ferrazza, ed il rettore uscente dottoressa Lucija Čok. Semedella cambia volto È in corso a Semedella la demolizione della ex autorimessa "Slavnik". Le strutture verranno rase al suolo per dar posto alla strada veloce che collegherà la città con la vicina Isola attraverso un tunnel sotto il monte San Marco. Con l'intervento il comune intende anche valorizzare la Secentesca chiesetta della Madonna delle Grazie, per oltre mezzo secolo rimasta seminascosta proprio per la presenza dell'autorimessa. 54 Quando le chiavi erano piccoli capolavori »Aprite quella porta« è il titolo di una suggestiva mostra allestita recentemente dal Museo regionale di Capodistria nella quale sono stati esposte chiavi e serrature antiche conservate dallo stesso museo. Gli oggetti abbracciano un ampio arco di secoli che va dal Basso Medioevo alla fine dell’Ottocento, un periodo quindi – leggiamo nella presentazione - “che per crescenti esigenze di sicurezza e protezione nonché di precisione del lavoro, vide scindersi l’arte del chiavaiolo da quella del fabbro ferraio alla quale fu legata all’epoca delle corporazioni artigianali. I manufatti testimoniano della straordinaria maestria dei fabbri che superando l’ambito della mera utilità funzionale di oggetti e meccanismi fece propri i temi dell’espressione figurativa quale principio della creazione artistica”. L’arte dei chiavaioli raggiunge il suo apice tra il Seicento e i Settecento, sia nel senso creativo che per la sofisticatezza dei meccanismi delle serrature. Battenti e maniglie sono spesso decorati con motivi plastici che si richiamano a fatti della vita quotidiana ed alla mitologia. Gli oggetti presentati in questa mostra curata da Zvona Ciglič si trovavano finora nei magazzini del Museo. Prossimamente si intende allestirne un’esibizione permanente. Le foto a colori sono tratte dal depliant della mostra. La città A) Chiave in ferro battuto del XV sec. Impugnatura lavorata reticolo con anello appendichiave saldato. Lunghezza 12,2 cm. B) Chiave in ferro battuto degli inizi del XVI sec. Con impugnatura formata da viticci. Lunghezza 14,5 cm. A) Chiave di ferro battuto del XVI sec. Era munita di una piastrina, oggi persa, con l’iscrizione: “Chiave della antica porta maggiore da Muda conservata per tradizione dalla fam. Bernetich. 18 cm. B) Chiave in ferro battuto saldato con rame. In uso dal XVI al XVIII sec. Impugnatura a forma di cuore, lama collegata con tripla S. 14,3 cm. Chiavetta d’argento del tabernacolo della chiesa di Santa Chiara, fine XV sec. Impugnatura trilobata, lobi decorati con bottoncini. Fusto cavo e lama a doppia tacca. 6,5 cm. A) Serratura a scrocco per porta in ferro battuto dell XVII sec. Lung. 39 cm – larg. 16,5. B) Serratura a scrocco e doppia mandata del XVIII sec. Lung. 30 cm – larg. 12,3 cm. Bocchetta per serratura in ferro battuto del XVI sec. A forma di casa in stile rinascimentale la cui porticina con rosetta chiude l’entrata della serratura. Alt. 14 cm – larg. 10 cm. Lucchetto in ferro battuto di forma trilobata. Fine XVII sec. Alt. 15,5 – larg. 11,5 cm. 55 Bambini in festa a Crevatini per i 25 anni della sezione periferica dell’asilo italiano »Delfino blu«. Soci della CI di Capodistria alla »Marunada« di Laurana. La nave scuola »Amerigo Vespucci« ancorata, il primo settembre scorso, sotto Porta Isolana. Dean Pellizer, primo classificato all’ex Tempore delle scuole della CNI, sezione medie-superiori. Nella famiglia Orlando la passione per il mare si tramanda di generazione in generazione. Ed è così che nonno Olindo e papà Giuliano hanno contagiato Martina fin da piccola con l’amore per la vita nel mare. Oggi Martina è entusiasta di lavorare alla Stazione di biologia marina di Pirano. Dopo la laurea in Scienze Naturali ed il master in Scienze Ambientali, recentemente ha concluso il dottorato di ricerca con una tesi sull’ecologia dei blennidi (o bavose). Ma le soddisfazioni più grandi a Martina le danno Artur, Romina e Diego, che in fatto di pesci la sanno già lunga! In casa Orlando, comunque, quest’anno si è festeggiato alla grande anche il “fratellino” di Martina, Marco, che si è laureato alla Facoltà di Economia e Commercio. e e l a t a N Buon 8 0 0 2 e c i Fel