L`animale come elemento mobile e modificabile del
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L`animale come elemento mobile e modificabile del
Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA Agribusiness Paesaggio & Ambiente -- 3 (1999) n. 3 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio The domestic and wild animal as mobile and modifiable element of landscape. The domestic and wild animals are the fundamental constituents of landscape. These animals show similar movements of migration and expansion; these movements tend to optimise the fitness, in terms of production and ecological conditions. The failing of the traditional animal breeding are bringing to a reduction of genetic diversity of domestic animals and to a dramatic decreasing of open-habitats and of wild species associated. The open habitats should be considered priority objectives of conservation, for their ecological, sociological and cultural values. It is need, for the conservation of open landscape, to support, trough socio-economic measures, the traditional rural activity. The local breeds should be used as active instruments to conserve and to manage the open habitats and the wild species associated. Gli animali domestici e selvatici rappresentano una componente fondamentale del paesaggio con il quale si sono evoluti attraverso rapporti di continua interazione. L’animale domestico direttamente attraverso il pascolamenSTEFANO FILACORDA to, o indirettamente Università di Udine attraverso le attività agricole connesse al suo allevamento, ha generato diversi tipi di ambienti; contemporaneamente nelle aree maggiormente antropizzate numerose specie selvatiche si sono generalmente adattate a questi habitat generati dall’uomo. La recente e in alcuni casi repentina, modificazione dei paesaggi, in particolare di quelli agrari e suburba- ni, indotta dallo sviluppo economico e sociale e congiunta a nuove leggi in materia di protezione dell’ambiente e di agricoltura ecocompatibile, ha comportato modifiche evidenti, anche contrastanti, nelle presenze animali selvatiche e domestiche e nel tipo di relazioni che esse hanno con gli ambienti naturali e seminaturali. Le aree di pianura hanno subito un’evidente diminuzione della componente forestale e dei prati-pascoli. L’abbandono dell’allevamento brado e semibrado, a partire dagli anni ’60, in particolare nelle aree montane, ha causato un veloce impoverimento in termini numerici e genetici delle razze domestiche. Alla diminuzione del numero di animali domestici presenti in natura ed alla modificazione dei sistemi di produzione sono associati i crolli di numerose popolazioni di specie selvatiche, caratteristiche degli ambienti aperti, tra cui la coturnice (Alectoris graeca), la starna (Perdix perdix), il re di quaglie (Crex crex). Contempora- * Lavoro realizzato nell’ambito del Progetto LIFE-Natura (Cn. N° LIFE97/NAT/IT/4097 - 1998/2000) “Azioni urgenti di conservazione di grandi carnivori nell’arco alpino”, WWF - Italia, DISPA - Università di Udine, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, INFS. 172 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio neamente, in ambito montano e collinare, l’abbandono e la trasformazione delle parti aperte in aree boscate e di ecotono, hanno favorito l’incremento e l’espansione di alcune specie di ungulati forestali, alle quali è seguito il ritorno dei grandi carnivori. Come conseguenza a queste modificazioni la presenza faunistica in Italia è drasticamente mutata negli ultimi 30 anni, divenendo estremamente povera e semplificata in gran parte degli ambiti di pianura ed estremamente dinamica e mutevole in alcuni ambiti collinari e montani. La modificazione così repentina dell’ambiente, delle specie di fauna selvatica, l’incremento dei grandi predatori, e il consolidamento delle politiche ed iniziative di protezione e conservazione della natura hanno dato origine a preoccupanti scontri di tipo culturale, sociale ed economico, tra gli abitanti delle aree marginali, dove sono ancora presenti realtà produttive di natura agricola, i cacciatori, l’opinione pubblica, in particolare quella urbana, e le organizzazioni, gli enti pubblici e privati che si occupano della gestione e conservazione della natura. Al contrario, nelle aree di pianura, le misure agroambientali (Regolamento CEE n. 2078/92) e di riforestazione (Regolamento CEE n. 2080/92) hanno solo in parte ridotto il crescente degrado derivante dall’industrializzazione della agricoltura. Quella odierna rappresenta una situazione in veloce evoluzione, che deve essere descritta accuratamente per prevedere i futuri andamenti. 1. Il cambiamento del paesaggio e delle presenze animali Dalla fine degli anni ’60 il paesaggio ha subito rapidi e notevoli modificazioni. L’ambiente agrario è andato incontro a due distinti fenomeni: da un lato, nelle aree di pianura, l’intensivizzazione e l’industrializzazione delle produzioni, con la crescente presenza di colture cerealicole, hanno portato ad una drastica riduzione della presenza arborea, arbustiva e delle coltivazioni foraggiere; dall’altro lato, negli ambiti collinari e montani, il lento abbandono delle attività umane, in particolare quelle zootecniche, ha portato ad una rapida diminuzione delle componenti “aperte” a prato-pascolo, con fenomeni di incespugliamento ed un progressivo rapido aumento delle zone boscate e di ecotono. La stessa componente urbana ha subito una forte modificazione: la presenza umana in termini residenziali si è estesa e diluita rispetto ai centri urbani di pianura e contemporaneamente le città più prossime agli ambienti naturali hanno visto una riduzione della fascia agricola e rurale che le circondava, mentre la montagna ha subito un veloce spopolamento. Il risultato di questo cambiamento in FriuliVenezia Giulia è eclatante: in pianura e nelle aree collinari limitrofe la dimensione media degli ambiti ad elevato pregio naturale, proposti come siti di interesse comunitario (aree S.I.C.) in base alla direttiva 92/43/CEE (meglio nota come Direttiva “Habitat”), è di circa 80 ha, con alcuni siti di dimensione non superiore ai 10 ettari (Asquini, Filacorda e Martinelli, 1997). Queste aree sono costituite per lo più da boschi planiziali, prati aridi a festucheto-brometalia e paludi calcaree. Tutti questi ambiti sono circondati da aree ad agricoltura intensiva e risultano estremamente isolati e vulnerabili, con livelli di conservazione non sempre ottimali. A questi siti si contrappongono gli ambiti del Carso, della Laguna e dell’area Alpina e Prealpina, dove si sono mantenuti un grande numero di ambienti di elevato pregio, con buone estensioni (superficie media per i siti alpini 1033 ha), anche se per la gran parte caratterizzati da presenze faunistiche scarse e, nel caso degli ambienti alpini con alcuni rari esempi di attività zootecniche. Complessivamente in F.-V.G. le aree di pianura e collina con elevati livelli di naturalità (aree proposte come S.I.C.) sono complessivamente minori (14.445 ha) rispetto a quelle lagunari (20.232 ha) e montane (90.808 ha) (Asquini, Filacorda e Martinelli, 1997). Associato ai mutamenti strutturali in campo agricolo, anche l’allevamento in regione ha subito notevoli cambiamenti: dalla metà degli anni ’60 vi è stato un crollo del numero di capi e della varietà di razze allevate, in particolare per i ruminanti. Numerose razze, quelle considerate meno produttive, tra cui la pecora Friulana e la vacca Istriana, si sono estinte, altre, quali la pe- 173 Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA 6000 numero pecore 5000 4000 3000 2000 1000 0 1950 1961 1979 1982 1997 anni Fig. 1. Evoluzione della razza ovina Istriana in territorio italiano cora e capra Istriana, la vacca Pezzata rossa di ceppo friulano, sono giunte rapidamente a livelli numerici critici (Fig. 1, Leonarduzzi et al., 1997) e/o a elevati livelli di meticciamento, come nel caso della vacca Resiana (varietà della Pezzata rossa norica o Mölltal) e del suino nero di Fagagna. A fronte di un calo drammatico di alcune tipologie zootecniche (e quindi l’assenza dell’uomo che li governa e difende dai predatori) e degli ambienti montani aperti, la presenza di animali fino a qualche anno fa considerati estinti e ritenuti dannosi all’attività zootecnica, quali la lince (Lynx lynx) e l’orso bruno (Ursus arctos) nel Friuli-Venezia Giulia sono in deciso aumento dalla fine degli anni ’80; dal 1994 sono anche state segnalate le prime presenze di lupo (Canis lupus) nell’ambito regionale. I soggetti appartenenti a queste tre specie provengono da nuclei presenti nella vicina Slovenia ed in Croazia che si stanno espandendo verso nord-ovest. L’orso e la lince presenti nelle Alpi Carniche, provengono anche dalla vicina Austria (Molinari, 1991), dove nel 1977-79 è stata reintrodotta la lince e si è stabilizzata una popolazione di circa 20-25 esemplari di orso bruno spontaneamente provenienti dalla Slovenia o reintrodotti (Patrimonio, 1998). 2. L’interazione tra attività umane e specie selvatiche: l’animale come elemento modificabile La lenta evoluzione dell’uso del territorio agricolo, che dura da millenni, ha indotto la natura a costituire delle associazioni animali e vegetali tipicamente adattate agli ambienti seminaturali; queste sono, tra quelle presenti nei diversi ambienti continentali, le più numerose, in termini di specie, e le maggiormente diversificate e stabili. Tra i diversi ambienti seminaturali mantenuti dall’attività agricola e zootecnica sono da citare tra i più importanti: i prati-pascoli, e in particolare la landa carsica, ambiente considerato di interesse comunitario, caratteristico del Carso triestino e goriziano. La presenza di questi habitat aperti, ricchissimi di specie vegetali ed animali, permette il mantenimento di un maggiore livello di biodiversità del paesaggio (Kirby et al., 1995) e la conservazione di specie di vegetali ed animali presenti esclusivamente in questi ambienti. In assenza dei grandi erbivori selvatici, l’utilizzazione degli animali domestici risulta determinante nel mantenimento in lungo periodo dei prati-pascoli, stati vegetazionali stabili aventi caratteristi- 174 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio che ecologiche estremamente diverse rispetto al dominio ad arbusti. Questi stati (prato-pascolo e arbusteto) sono in successione discontinua, con andamento scalare: il passaggio tra uno e l’altro è raggiunto grazie alla presenza di stati di transizione, altamente instabili (Friedel, 1991). Queste associazioni, raggiunto il loro livello stabile (climax), necessitano di diverse intensità di intervento per raggiungere nuove configurazioni (Archer, 1988) o per ritornare a quelle precedenti. Il passaggio da prato-pascolo ad arbusteto può avvenire velocemente a causa del sovrapascolamento o, all’opposto, per l’abbandono delle attività di pascolamento. Al contrario, il passaggio inverso, con il ritorno al dominio erbaceo, per una sorta di effetto “scalino”, è dal punto di vista energetico e di tempo, più costoso e lungo. In alcuni casi la riduzione dell’intensità del pascolamento o addirittura la rimozione totale degli animali o, all’opposto, il loro reinserimento non comportano alcun fenomeno di regressione (Laycock, 1991). Ad ogni livello stabile di vegetazione corrispondono specie caratteristiche di fauna selvatica e domestica. Nel caso della regione Friuli-Venezia Giulia, numerose sono le specie che sono associate ai pratipascoli e che hanno subito dei crolli evidenti, come conseguenza della diminuzione significativa dell’allevamento brado e semibrado e delle tradizionali attività agricole: la coturnice, la starna, il re di quaglie, la quaglia (Coturnix coturnix), la lepre (Lepus europaeus) e alcune specie di allodole, pispole e cutrettole. Tra queste, il re di quaglie e la starna (sottospecie italica), sono inserite nella lista ORNIS dell’Unione Europea che individua una ventina di specie di uccelli considerate a maggior rischio di estinzione in ambito europeo e reputate prioritarie nelle azioni di salvaguardia (programma LIFE Natura). Queste specie così ben adattate alle attività umane sono anche tra quelle più intensamente prelevate dal punto di vista venatorio. La contemporanea diminuzione di habitat idonei, associata ad elevati piani di prelievo che non hanno considerato l’evoluzione delle popolazioni in relazione alle modificazioni ambientali ed agli eventi meteorologici, hanno accelerato i fenomeni di diminuzione numerica, conducendo 120 censimenti al tempo t+1 100 80 60 40 20 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 censimenti al tempo t Fig. 2. Andamento dei censimenti di Pernice bianca nell’alta Valle del But (grafico “spazio di fasi”) 175 100 110 120 Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA numerose specie vicino all’estinzione, come nel caso di due tetraonidi, la pernice bianca (Lagopus mutus helveticus) ed il gallo forcello (Tetrao tetrix tetrix) (Filacorda, 1998). Per valutare l’evoluzione nel tempo di una popolazione, questa può essere rappresentata su un grafico detto “spazio di fasi”, in cui l’osservazione al tempo t viene riferita a quella al tempo t+1 (Fig. 2). Come si può osservare nella Figura n. 2 (in questo grafico l’evoluzione temporale si misura spostandosi dall’angolo a destra in alto sulla diagonale verso l’origine degli assi) la popolazione di pernice bianca, dopo alcuni anni di fluttuazioni intorno ad un attrattore di popolazione, ha iniziato un calo drammatico, che la sta conducendo ad una probabile estinzione locale, causata dalla riduzione dell’habitat idoneo e da variazioni climatiche (aumento dei temporali estivi e diminuzione della copertura nevosa) combinate ad eccessivi prelievi venatori (Filacorda, 1998). Gli unici ambienti in cui ancora sopravvivono, nell’ambito del Friuli-Venezia Giulia, significative popolazioni di avifauna caratteristiche dei paesaggi aperti, sono quelle in cui, in assenza di pascolamento, è più lento il passaggio al dominio ad arbusteto, grazie a condizioni pedo-climatiche particolari (coturnice nelle Prealpi Giulie; starna nei Magredi) o grazie allo sfalcio dei prati (re di quaglie nelle Valli del Natisone e Alta valle del Tagliamento). Nelle aree di pianura a questa diminuzione delle popolazioni naturali si è sovrapposta la sempre più massiccia utilizzazione a fini venatori di animali di allevamento (starne e quaglie, oltre a naturalmente fagiani e lepri), scarsamente adattati all’ambiente e geneticamente diversi dalle popolazioni naturali. L’utilizzazione di questi animali è aumentata nel corso degli ultimi anni, comportando un ulteriore incremento dei prelievi anche sulle popolazioni naturali residue, un aumento dei predatori e, in alcuni rari casi, fenomeni di inquinamento genetico e problemi sanitari, e accellerando la diminuzione di queste specie. A fronte del calo degli animali associati agli ambienti aperti, si è evidenziato, fin dall’inizio degli anni ’70, un aumento significativo di alcune specie di ungulati: cervo (Cervus elaphus), capriolo (Capreolus capreolus) e cinghiale (Sus scrofa), come illustrato in Fig. 3, nella quale sono rappresentati gli abbattimenti crescenti a carico di queste tre 2000 300 1800 1600 1400 200 1200 1000 150 800 100 caprioli cinghiali-cervi 250 600 400 50 200 0 0 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 anno Fig. 3. Abbattimenti di ungulati nella Provincia di Udine 176 1995 cinghiali cervi caprioli L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio specie nella Provincia di Udine a partire dal 1979. A questi grossi mammiferi si è associata l’espansione dalla vicina Slovenia dei grandi carnivori: dapprima l’orso e successivamente la lince e lo sciacallo dorato (Canis aureus) dagli anni ’80 e ultimamente il lupo. Queste sono tutte specie caratteristiche degli ambienti forestali e di ecotono e, nel caso dello sciacallo, anche di arbusteto e prateria, che hanno potuto beneficiare dell’abbandono da parte dell’uomo di ampie porzioni delle aree marginali e dell’incremento delle aree forestali. Tuttora la lince e l’orso possono essere considerati stabili nell’ambito delle Alpi e Prealpi Carniche e Giulie, lo sciacallo è costantemente presente nel Carso Goriziano e Triestino, mentre nelle Valli del Natisone, con segnalazioni sempre più frequenti, è comparso il lupo. Nell’arco di 30 anni, la fauna delle aree collinari e montane è completamente mutata, passando da una situazione di predominio delle specie caratteristiche delle aree aperte a quello delle specie delle aree boscate. 3. L’animale come elemento mobile L’evolversi delle stagioni, nel breve periodo, e il cambiamento degli habitat con il conseguente mutare delle disponibilità alimentari e delle condizioni ecologiche nel medio-lungo periodo, hanno costretto l’uomo con gli animali domestici e gli animali selvatici a sviluppare tecniche e movimenti di diversa ampiezza, al fine di trovare le condizioni migliori per la sopravvivenza durante le stagioni secche o rigide (Susmel, 1995). Per migliaia di anni questi movimenti hanno assunto, nel caso degli animali domestici, la forma della transumanza e della monticazione. Non sempre, comunque, il solo movimento permette di raggiungere condizioni alimentari e climatiche sufficienti a mantenere gli animali produttivi: in alcune situazioni esso deve essere integrato con la raccolta e la conservazione dei foraggi; in questo senso la fienagione ha rappresentato non solo un sistema di conservazione delle fonti alimentari, ma anche un importante strumento di modificazione e mantenimento degli habitat e della fauna associata. Il movimento migratorio, paragonabile alla tran- sumanza degli animali domestici, rappresenta una prerogativa di numerose specie di animali selvatici; tra tutte gli uccelli che durante il periodo autunno-invernale dagli ambiti del Nord Europa si spostano verso Sud. Questo movimento migratorio interessa in diversa misura il F-V.G. e l’Italia in quanto numerose specie svernano in ambito regionale, altre attraversano la regione sostandovi, ed altre ancora, residenti e nidificanti in zona, migrano durante l’inverno verso i quartieri di svernamento. In alcuni luoghi la combinazione e la sovrapposizione in senso spazio-temporale di queste specie genera una ricchezza e diversità biologica unica nel suo genere, in particolare nelle zone umide e lagunari, dove durante il periodo invernale si concentrano uccelli svernanti e di passo. In questo senso l’importanza di questi ambiti è ben testimoniata dalla presenza nel F-V.G. di numerose specie di avifauna considerate degne di tutela dalla Comunità Europea (oltre 100 specie comprese negli allegati della Direttiva Uccelli/79/409/ CEE sono contemporaneamente presenti in alcuni ambiti lagunari durante l’inverno) ed alcune comprese nella lista ORNIS (Asquini, Filacorda e Martinelli, 1997). La ricchezza in termini di specie ed habitat ha indotto la Regione F-V.G ad inserire quattro ambiti lagunari nella lista dei Siti di Interesse Comunitario, di cui due anche nella lista delle riserve naturali regionali (L.R 42/96) e nelle aree di valore internazionale per la convenzione di “Ramsar” e per la Direttiva Uccelli (79/ 409/CEE). Il movimento di migrazione non è caratteristico solo degli uccelli, ma anche dei mammiferi: gli ungulati nelle zone nordamericane, durante i periodi invernali, effettuano grosse migrazioni che sono seguite, in alcune situazioni, dai movimenti dei grandi predatori, tra i quali i lupi. Movimenti simili sono evidenziabili anche nel F-V.G, dove vengono amplificati dalle attività di caccia esercitate nella vicina Slovenia. La combinazione di esigenze alimentari e disturbi antropici (battute di caccia) genera ampi movimenti stagionali, in particolare nel caso del cinghiale, ed in parte del cervo, a cui si succedono, generalmente, spostamenti di alcuni predatori quali lince e sciacallo. Accanto a questi fenomeni si realizzano delle vere e proprie migrazioni stagionali anche per i grandi carnivori, che possono riguardare la ricerca 177 Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA 1600 1400 metri s.l.m 1200 1000 800 600 400 200 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 mesi Fig. 4. Evoluzione dell’altitudine media dei siti di predazioni di Orso bruno su allevamenti di pecore nel F-V.G di siti di alimentazione invernale per il lupo o di siti di letargo ed alimentazione per l’orso; l’analisi altimetrica delle predazioni su animali domestici in F-V.G da parte dell’orso bruno può fornire informazioni importanti su questi movimenti: l’altitudine media delle aree dove sono avvenute le predazione è pari a 800 m s.l.m., con minimi di 200-300 metri in primavera ed autunno e massimi di 1200-1500 in estate. Questi dati riflettono i movimenti stagionali dell’orso che, con l’avvicinarsi dell’estate, seguendo la ripresa vegetativa (Fig. 4), sale in quota fino ai margini naturali della foresta, dove interagisce con i greggi vaganti e si alimenta di frutti di ericacee, mentre in primavera ed autunno, dopo e prima il letargo, frequenta aree di fondovalle, dove attacca allevamenti amatoriali di piccole dimensioni (Filacorda et al., 1998). Ai movimenti migratori, tipicamente stagionali, si associano i movimenti di espansione, generalmente unidirezionali ed esercitati da animali che appartengono a classi adatte alla colonizzazione (es: subadulti). Questi movimenti sono generati da evoluzioni interne alle popolazioni presenti in ambiti favorevoli, che contemporaneamente permettono e costringono gli animali ad emigrare; la presenza di habitat adatti consente il movimento e la successiva colonizzazione. In questo momen- to il Friuli-Venezia Giulia, e l’Italia in generale, sono oggetto di espansione di numerose specie di animali, in particolare delle specie cosiddette forestali, come prima descritto. L’evoluzione e l’espansione degli ungulati è verificabile attraverso l’analisi statistica delle serie storiche dei dati degli abbattimenti rilevati in provincia di Udine (Filacorda, 1998). Da questi dati è possibile rilevare come il capriolo si sia espanso in modo intenso dalla vicina Slovenia in territorio italiano a partire dal 1980 e 1985, rispettivamente attraverso due aree principali: il Carso e le Valli del NatisoneValli del Torre. Il movimento di espansione di questa specie sta procedendo verso Nord-Ovest e verso Sud, colonizzando anche ambiti di pianura, dove sono ancora presenti aree boscate e frutteti. Fenomeni analoghi di espansione si sono potuti osservare per il cervo, dall’Austria, lungo la Val Degano, la Val Canale e la Valle del But. L’espansione dei grandi predatori sembra seguire parte delle vie seguite dagli ungulati; questa espansione oltre a dipendere da condizioni alimentari ed ecologiche favorevoli, appare essere influenzata da fenomeni di competizione interspecifica (in parte della Foresta di Kocevje, Slovenia, sembra che il lupo abbia, nel suo movimento di espansione verso nord, allontanato la lince; Štrumbelj, 1994 comunicazione personale) e dalla presenza 178 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio di barriere, che ne rallentano il movimento (evidente risulta l’effetto della nuova autostrada Fernetti-Ljubljana sui movimenti dell’orso, con numerosi animali travolti lungo il tratto autostradale in siti ben precisi). A queste condizioni generali si associano condizioni particolari, quali ad esempio nel caso dell’Italia Nord-orientale, la guerra combattuta nell’ex-Yugoslavia: il lupo appare essersi espanso o/e migrato in coincidenza di questo evento bellico. 4. La gestione della componente animale e l’importanza dei siti di conservazione e diffusione La presenza animale selvatica e domestica oltre a subire dei fenomeni macroscopici di natura sociale ed economica che hanno determinato un netto cambiamento nell’utilizzazione delle risorse agricole e naturali, sono stati influenzati da alcuni avvenimenti e scelte politiche che hanno accelerato i fenomeni in atto. La ricchezza di specie animali selvatiche presenti nella parte orientale dell’Italia è ancor oggi influenzata positivamente dalle importanti presenze faunistiche delle ex-repubbliche Yugoslave, ed in maniera diretta per il Friuli-Venezia Giulia, dall’area forestale di Kocevje e del monte Nevoso. Quest’area è stata fin dal 1944 protetta (prima del primo conflitto costituiva una riserva di caccia dei Reali d’Austria) e considerata come area di riproduzione e gestione mirata per l’orso (Core Area) (Simonic, 1994). In seguito alla seconda guerra mondiale l’area è divenuta in parte militare ed in parte interdetta al pubblico ed alle attività economiche, in quanto teatro di alcune delle più gravi epurazioni a carico della popolazioni di ceppo germanico e di religione cattolica presenti in zona. Grazie a queste condizioni di “particolare protezione” e allo spopolamento da parte dell’uomo, l’area è divenuta una tra le zone ecologiche più importanti dell’Europa centrale. A questa particolare realtà si aggiunge l’oculata gestione della riserva di caccia locale che nel 1973 reintrodusse alcune linci di origine carpatica (Lapini et al., 1995), che sono state fino al 1997 oggetto di caccia nella vicina Slovenia (dalla reintroduzione, circa 300 capi sono stati comples- sivamente abbattuti legalmente in Slovenia e Croazia) ed hanno ricolonizzato parte delle Alpi austriache ed italiane. La ricchezza della parte orientale delle Alpi si è mantenuta anche grazie alla presenza di alcune tradizionali aree di protezione, tra cui la Foresta di Tarvisio, ambito gestito dal Corpo Forestale dello Stato per conto del Fondo Edifici di Culto del Ministero degli Interni, e caratterizzato dalla presenza della più importante popolazione di galli cedroni (Tetrao urogallus) in ambito alpino e di numerose altre specie di interesse comunitario. Quest’area, se pure compresa nella lista di reperimento dei parchi nazionali prevista dalla legge nazionale sulle aree protette (L.N. 394/92), non presenta alcun regime di protezione ufficiale (a parte due piccole riserve naturali) e la sua conservazione è legata ai diritti ed alla proprietà, un tempo ecclesiastica e successivamente statale, ed alla particolare gestione forestale. Grazie a queste realtà protette giuridicamente o gestite in modo oculato, distribuite sul territorio, numerose specie si sono conservate durante questo secolo ed ora si possono espandere. Il destino del patrimonio naturale è più volte risultato dipendere da particolari situazioni militari e politiche: esempio eclatante è la fascia boscata, lunga 600 km e larga da 6 a 20 km, a sud di Mosca, la Linea Zaokskaya Abatis, creata a protezione delle incursioni dei nomadi diversi secoli fa, grazie alla quale si è mantenuto, fino ai giorni nostri, un esempio di foresta decidua ad evoluzione naturale (Angelstam, 1997). Ultimamente quest’area è stata in parte protetta, mentre per quanto riguarda all’ambito di Kocevje, in Slovenia, deve essere ancora presa la decisione se destinarlo a parco o svilupparlo da punto di vista zootecnico. Il secolo corrente oltre ad aver segnato l’estinzione per numerose specie selvatiche in ambito italiano, è coinciso anche con il significativo impoverimento in termini numerici e genetici delle razze domestiche. Dalla legge n. 126 (1963 R.B.) che obbligava l’uso di riproduttori di razze bovine iscritti a libri genealogici, è risultata la riduzione numerica e di conseguenza l’impoverimento genetico complessivo delle razze minori. Oltre ad una riduzione numerica drammatica, gli animali, in parte insanguati con le razze più produttive, 179 Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA hanno perso gran parte delle loro caratteristiche genetiche. In realtà questo fenomeno di riduzione delle popolazioni minori era parte di un fenomeno già in essere, per il quale le realtà meno produttive e marginali segnavano il passo a favore di realtà industriali nelle quali la capacità dell’animale ad adattarsi all’ambiente di allevamento veniva sostituita da investimenti nelle strutture e nella produzione di alimenti, costruendo così un micro-ambiente adattato all’animale più produttivo. La situazione odierna delle razze autoctone è estremamente grave: per i bovini almeno 12 sono le razze sotto i 2000 capi presenti in Italia, di cui alcune sotto i 50 capi (Garfagnina, Pustertaler, Pontremolese, Calvana) (CNR, 1983), per le razze ovine sono almeno 34 le razze e popolazioni ovine comprese nel registro anagrafico per le razze a diffusione limitata (AIA, 1987), di cui la gran parte sotto i 2000 capi (CNR, 1983) e molte sotto i 300 capi (Marrane, Istriana, Garfagnina bianca, Garessina, Ciuta, Brianzola, ecc.). Numerose risultano essere le razze estinte dal 1970. La sopravvivenza di alcune di queste razze tipiche è legata ad alcune realtà particolari, generalmente coincidenti con ambiti di elevato pregio naturale e di particolari realtà geografiche e sociali, dove l’utilizzazione di razze più produttive è risultata economicamente ed ecologicamente fallimentare od osteggiata dalla popolazione. Tra queste realtà vanno citate come esempio: l’asino dell’Asinara (allevato presso il Carcere Penale), il cavallo Tolfetano (monti della Tolfa), il cavallino della Giara (altipiano della Giara) (CNR, 1997), la vacca Calvana (monte Calvano), la pecora Istriana (Carso), ecc. Fortunatamente una presa di coscienza tecnica e culturale ha spinto la Commissione Europea ed altri enti nazionali e locali a promuovere iniziative per la conservazione delle razze locali minacciate di estinzione, che hanno trovato in parte espressione nel regolamento CEE n. 2078/92 e relative applicazioni. Nella regione Friuli-Venezia Giulia l’applicazione del regolamento ha permesso di promuovere iniziative (Leonarduzzi et al, 1997) a favore di tre razze: la Pezzata Rossa di ceppo Friulano, la pecora e capra Istriana. Di queste ultime rimangono rispettivamente 180 e 5 individui ai quali sono associati alcuni progetti di recupero zootecnico ed ambien- tale dell’area Carsica (Leonarduzzi, 1997), che hanno tra gli obiettivi il mantenimento della landa, quale habitat di pregio, ed il ripristino di ambienti adatti a specie di fauna tipica del Carso (coturnice e starna). Le aree dei parchi naturali ben si predispongono a sostenere iniziative che valorizzano le razze autoctone e conservino gli ambiente aperti; in questo senso si sta muovendo il Parco Naturale delle Prealpi Giulie ed il Comune di Resia attraverso il progetto di valorizzazione zootecnica ed ambientale di malga Coot. In questa malga si sta sviluppando un progetto a fini multipli, nel quale il recupero e la conservazione delle razze tipiche delle valle, la vacca Resiana e la pecora Plezzana, permette oltre alla produzione di prodotti tipici il mantenimento dell’area del pascolo e della fauna ad esso associata (es: re di quaglie, specie di anfibi e la coturnice) (Leonarduzzi e Filacorda, 1996). 5. La nuova frontiera e lo scontro culturale L’evoluzione ed il cambiamento delle presenze faunistiche nel territorio dell’Italia Nord-Orientale così come in quella Occidentale, è contraddistinto, come prima descritto, dal ritorno dei grandi predatori e dall’aumento significativo delle presenze di ungulati. In particolare, l’aumento dei grandi carnivori sta portando ad uno scontro manifesto tra allevatori e cacciatori da una parte e organizzazioni ed enti per la protezione dell’ambiente e opinione pubblica che risiede nei centri urbani e nelle aree di pianura dall’altra. Se da un lato le paure degli allevatori sono comprensibili, seppur non giustificabili, d’altro canto esistono alcune frange di naturalisti, biologi e popolazione urbana che esprimono una sorta di preferenza nei confronti dell’animale selvatico rispetto a quello domestico ed alla cultura rurale. Testimonianza di questo fatto sono le prese di posizione di alcuni noti biologi (Boitani, 1997) sulla stampa nazionale. Negli ultimi anni la tensione tra gli organismi e ministeri per la protezione dell’ambiente e le popolazioni locali ha raggiunto livelli mai toccati in Slovenia e Francia (AA.VV. 1997). In Slovenia nel 1998 sono stati denunciati oltre 130 attacchi ad animali domestici da parte 180 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio dell’orso e numerose sono state le petizioni da parte della popolazione locale, agli enti preposti al controllo di questi animali, con la richiesta del loro abbattimento. Simile situazione in Francia e Piemonte dove il lupo si sta espandendo velocemente e numerose sono le denuncie di attacchi ai greggi. Questi fenomeni sono la conseguenza, in Slovenia, della forte espansione della popolazione di orsi presente nella zona di conservazione e gestione mirata (Core Area), e in Francia, dell’espansione del lupo appenninico, che si è spostato lungo la dorsale appenninica ed ha costituito un nucleo di oltre 20 animali sul massiccio del Mercantour, nelle Alpi Marittime, zona con forte presenza pastorale. Per riconfermare la frequente coincidenza geografica tra aree di allevamento delle razze domestiche in via di estinzione e ambiti naturali di pregio, in Slovenia le aree che si stanno dimostrando maggiormente critiche (maggior numero di attacchi al bestiame) per l’espansione dell’orso coincidono con le aree di allevamento di due razze ovine oggetto di azioni di tutela e valorizzazione: la Bovska (detta anche Plezzana) e la Jezerosko-solavska (Mason, 1996). Nel caso della regione Friuli-Venezia Giulia a partire dal 1991 sono stati segnalati 31 casi di predazione su animali domestici attribuibili a specie selvatiche. La grande maggioranza di queste aggressioni (24) sono state attribuite con sicurezza ad orso bruno, le rimanenti sono state attribuite alla lince e una all’aquila reale (Aquila chrysaëtos), due sono di origine incerta. Sono sempre stati attaccati ovini (89 animali predati, 77 dal 1991), a parte una aggressione a tacchini ed una visita ad arnie. Il numero di predazioni da orso, nel F-V.G., sta aumentando in modo evidente dal 1995, a partire dal quale sono stati predati complessivamente 48 ovini; solo nel 1998 sono stati verificati nove casi. La situazione non appare comunque critica in quanto gli attacchi sono mirati (il 70% delle predazioni sono caratterizzate da 1 a 3 ovini uccisi) e localizzati su realtà produttive ridotte, in particolare su allevamenti amatoriali di fondovalle e greggi vaganti di piccole dimensioni; inoltre il sistema di indennizzo della Regione F-V.G. funziona in maniera efficace, limitando i danni economici (Filacorda et al., 1998). 6. Il ruolo dei programmi comunitari L’equilibrata presenza ed il sostegno alle attività rurali sostenibili, alla conservazione di habitat naturali e seminaturali aperti e della piccola e grande fauna in pericolo e vulnerabile, trova principale sostegno economico e politico in due regolamenti della politica agricola e forestale dell’Unione Europea (regolamento CEE 2078/92 e 2080/ 92) e nel programma di conservazione della natura LIFE, al quale fa parte il sottoprogramma “Natura”, che è dedicato alla conservazione e tutela delle risorse naturali. Nell’ambito di questo programma il Dipartimento di Scienze della Produzione Animale (DISPA) Università di Udine, dal gennaio 1998 partecipa, in qualità di cofinanziatore, al progetto “Azioni urgenti di conservazione di grandi carnivori nell’arco alpino” per la conservazione di lince, lupo ed orso; questo progetto proposto dal WWF Italia ha tra gli altri cofinanziatori l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) ed il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Il contributo del DISPA a questo progetto è quello di valutare e censire la presenza zootecnica sull’intero arco alpino al fine di creare una mappa di vulnerabilità, che tenga conto delle specie selvatiche e domestiche presenti, delle strategie di attacco e delle forme di conduzione zootecnica prevalenti. Le informazioni ottenute serviranno a quantificare il reale rischio che deriva dalla presenza di questi predatori e le strategie da utilizzare per prevenire e limitare gli inconvenienti oggetto di osservazione. Il DISPA ha inoltre il compito di organizzare incontri tecnici con allevatori, personale dell’associazione regionale degli allevatori associazioni di categoria, guardie forestali, guardie caccia e veterinari delle ASL, al fine di illustrare gli obiettivi del progetto, suggerire misure di mitigazione e fornire strumenti per la verifica dei danni e per l’istituzione di una rete di monitoraggio. Con questa finalità il DISPA sta organizzando, in collaborazione con la Direzione Regionale delle Foreste del Friuli-Venezia Giulia - Corpo Forestale Regionale, una serie di incontri tecnico-scientifici per il personale forestale, che precede la fase operativa e di monitoraggio. Nel progetto è prevista anche la sperimenta- 181 Animali e paesaggio STEFANO FILACORDA zione di misure di mitigazioni quali la fornitura di recinzioni elettriche fisse e mobili (ciascuna di m 400 con centralina) e di cani da guardia (pastori maremmano-abruzzesi) (Filacorda et al., 1998). I risultati ottenuti con questo primo programma potranno servire alla Regione F-V.G. per integrare la normativa di indennizzo dei danni, con provvedimenti utili a diffondere misure di prevenzione e alla valorizzazione della presenza di queste specie selvatiche nel territorio regionale. Come già osservato ed in parte realizzato in Francia, nell’ambito di un progetto per la reintroduzione e la conservazione dell’orso bruno sui Pirenei, il successo dei progetti di conservazione della natura si realizza attraverso la cooperazione di più enti con competenze e finalità diverse. Nel caso del progetto francese collaborano il Ministero dell’Ambiente, l’Ufficio Nazionale della Caccia, l’Associazione dei Cacciatori, l’Ufficio Nazionale delle Foreste, l’Associazione Arctos, l’Alto Patronato dei Pirenei Centrali (unione dei Comuni dell’area del progetto). L’efficacia dei progetti si misura e si realizza attraverso l’applicazione di misure “socio-economiche di accompagnamento” che tendono a conservare e sostenere le attività zootecniche e le varie attività rurali nell’area in oggetto, in modo da garantire un reale appoggio delle comunità locali ai progetti di conservazione delle natura, che non appaiono così avulsi dalle realtà socio-economiche locali, ma che abbiano anzi quale obiettivo il loro mantenimento e valorizzazione. All’interno di queste misure, che sono opportunamente considerate dalla Commissione Europea quale indici di qualità dei progetti (Patrimonio, 1998), vi sono: la conservazione delle razze in vie di estinzione, il restauro dei locali di caseificazione, i miglioramenti infrastrutturali (es: supporti elettrici e di acqua alle attività produttive), il mantenimento e miglioramento di aree a prato-pascolo, l’assistenza tecnica, ecc. 7. Conclusioni Lo scenario che si prospetta per gli ambiti meno antropizzati delle Alpi è relativamente chiaro: un aumento dello scontro tra grande fauna ed attività umane, in particolare in coincidenza delle real- tà zootecniche ed agricole più piccole e vulnerabili, nelle aree più occidentali ed orientali delle Alpi. In questa situazione risulta determinante mantenere e promuovere delle iniziative zootecniche estensive e tutelare la fauna tipicamente associata a questi ambienti, al fine di mantenere una memoria storica delle specie selvatiche e domestiche, considerate minori, e cercare di conservare nell’ambito alpino e prealpino un elevato livello di biodiversità complessivo, generato dalla combinazione degli ambienti forestali e degli ambienti aperti. Questo obiettivo dovrebbe essere perseguito attraverso l’utilizzazione e la conservazione di razze domestiche locali o/e ecotipicamente adatte, così come effettuato in Inghilterra (Hearn, 1995), e considerare l’effettiva possibilità di utilizzare gli animali domestici, in ambiti prescelti, quale strumento di restauro e gestione dell’ambiente naturale (Anderson, 1995). Nel contempo un analisi accurata dei territori alpini e collinari e delle loro realtà produttive, combinata ad iniziative per migliorare la conoscenza dei grandi predatori da parte delle popolazioni locali (compresa l’adozione di metodi di riduzione delle predazioni sul bestiame e/o compensazione), deve condurre ad identificare le aree nelle quali si possono conservare delle popolazioni stabili di grandi carnivori e di grande fauna, in coesistenza con le attività locali. Al fine di avere un reale successo, le realtà economiche rurali locali devono essere sostenute attraverso una serie di misure di accompagnamento integrate ed efficaci. Il paesaggio a prato-pascolo alternato ad arbusteto deve essere considerato, così come in gran parte dell’Europa, un paesaggio di pregio ecologico e culturale (Kirby et al., 1995) e di conseguenza conservato e valorizzato. G Bibliografia AA.VV. (1997), Loups du Mercantour: L’impossible cohabitation, Patre, mai 1997, n. 444, pp. 24-26. Anderson P. (1995), Ecological Restoration and Creation: a review, Biological Journal of the Linnean Society, n. 56 (Suppl), pp. 187-211. Angelstam K. (1997), Biodiversity and suistainable forestry in European forests: How East and West can learn from each other, Wildlife Society Bulletin, vol. 25, n.1, pp. 38-48. 182 L’animale come elemento mobile e modificabile del paesaggio Archer S. (1989), Have southern Texas savannas been converted to wood-land in recent history?, Amer. 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