Parte prima

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Parte prima
LARRY LISCA
CAMP ATTACK
© 2006 I sognatori, Lecce
ISBN 88-95068-01-7
ISBN 978-88-95068-01-5
Per contattare l’autore,
ed essere aggiornati
sulle iniziative della
casa editrice I sognatori,
consultare il sito internet:
www.casadeisognatori.com
In copertina:
disegno di Francesca Santamaria
camp attack by casa editrice I sognatori is licensed under a
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non
opere derivate 2.5 Italia License.
Questo libro è un umile omaggio a tutti coloro che, da
anni, consentono al sottoscritto di esercitare la più
bella tra le facoltà umane: ridere.
Ringrazio dunque: Hanna&Barbera, Groucho
Marx, Frank Zappa, Stefano Benni, i fratelli Zucker, Jim Abrahams e Matt “Homer” Groening.
Parte prima
Dissertazione sul tema:
che cos’è un campeggio
Date retta a me: il campeggio non è un ammasso di
tende, camper e roulotte di varia grandezza, né un ammasso contraddittorio di verde e cemento.
È un microcosmo, un crogiolo di anime in pena che
s’accalcano al suo ingresso per poter trascorrere un
paio di settimane in perfetta beatitudine.
Provati dallo stress della vita cittadina, dal tran tran
del solito, monotono lavoro, dallo smog che sembra
fare schifo a tutti ma che tutti alimentano, campeggiatori accorsi dai quattro angoli della terra sborsano fior
di soldi senza batter ciglio, accettando convivenze forzate, cibi scadenti ed esosi, ripari notturni improvvisati e servizi igienici che di igienico hanno soltanto il
nome.
Robaccia, insomma, che in qualunque altro luogo
nessuno di noi accetterebbe passivamente, ma che in
campeggio diventa il contrappasso necessario e naturale per il raggiungimento di un decente livello d’ozio.
La grandezza del campeggio, da questo punto di vista,
risiede nella sua innata capacità di modificare usi e
costumi della gente che lo frequenta: chi ha smesso di
bere e fumare ricomincia, gli asociali escono fuori dal
guscio e cercano qualcuno con cui condividere i loro
istinti suicidi, darkettoni pallidi come cadaveri trascorrono ore ed ore sotto il sole, i maniaci dell’igiene
personale non lavano i denti per giorni. E così via.
Detto questo, c’è da aggiungere che il campeggio,
nelle circostanze appropriate, è in grado anche di tirare fuori l’anima più abitudinaria dei campeggiatori.
Molti di essi, infatti, trasportano nel luogo di vacanza
manie, difetti, fissazioni ed atteggiamenti indissolubilmente legati al proprio modo di essere: le persone irascibili si lamentano di tutto, le ragazzine più stupide
cominciano a sfilare e a starnazzare, i culturisti pompano i muscoli, i pigri vanno a letto alle dieci, i maniaci dei libri cercano un posto isolato per fuggire dalla realtà, chi non lava mai i denti continua a non lavarli. E così via.
Alla luce di quanto detto, emerge chiaramente una
verità di fondo: il campeggiatore, perennemente in bilico fra queste due tendenze, è il vacanziero schizofrenico per eccellenza. Circoscriverne in maniera organica il modo di pensare ed agire, le mille contraddizioni,
i dislivelli abissali tra ciò che sostiene e ciò che poi attua concretamente, non è impresa agevole.
Emerge così un’altra verità di fondo: il campeggiatore non va capito, ma descritto. Difficile se non impossibile la prima operazione, semplice se non automatica la seconda.
Il libro che avete fra le mani, in tal senso, si è praticamente scritto da solo. Io mi sono limitato a ricordare, individuare e schedare il maggior numero possibile di campeggiatori, gonfiando qua e là la realtà, ma
attenendomi in linea di massima a ciò che ho visto
nell’arco di decine di estati trascorse a spiare le mie
vittime.
Chi in campeggio non c’è mai stato, ma ha intenzione prima o poi di farci una capatina, troverà in quest’opera degli ottimi consigli per evitare di imbattersi
in soggetti e situazioni sgradevoli, o eventualmente,
precise indicazioni sul come uscirne fuori.
Chi, invece, il campeggio lo frequenta da un po’,
identificherà nei personaggi descritti il proprio padre,
la propria sorella o l’animatore conosciuto anni addie-
tro, poiché non esiste campeggio che non accolga al
suo interno, una per una, le varie figure delineate.
Chi in campeggio non c’è mai stato e non ha nessuna intenzione di andarci, troverà nuove ragioni per restarsene a casa, o nuove ragioni per biasimare questa
scelta.
Quanto al sottoscritto, vi conviene tenere gli occhi
ben aperti, la prossima estate. Non conoscendo il mio
volto, sarà impossibile, per voi, distinguermi dalla
massa dei campeggiatori comuni.
Tuttavia, se il vostro vicino di piazzola dovesse fissarvi per ore e contemporaneamente scrivere qualcosa di
ignoto su un taccuino, magari sghignazzando come un
matto, iniziate seriamente a preoccuparvi: Larry Lisca
ha trascinato il suo vecchio camper fin nel vostro
campeggio.
E tutti voi, allibiti e impotenti, potreste riconoscervi
con orrore nei ridicoli personaggi del suo prossimo libro…
Parte seconda
Gli inservienti del campeggio
Le cassiere pettegole
In ogni campeggio che si rispetti c’è un piccolo supermercato. E in ogni supermercato che si rispetti ci
sono almeno due casse, due file di persone, e due donne sedute che parlano fra loro fregandosene dei clienti
in attesa. Queste due donne sono le cassiere pettegole.
Le cassiere pettegole sono grasse, di media età e
parlano in continuazione. Non si guardano mai negli
occhi, ma restano sintonizzate sullo stesso argomento
per ore. I loro pettegolezzi riguardano per lo più la
cellulite delle campeggiatrici più belle, i muscoli dei
campeggiatori più scemi, e i gossip sui divi della tivù.
Nelle pause leggono giornali scandalistici. Se un
cliente le disturba, lo guardano malissimo, posano il
giornale con un sospirone e poi fingono di avere problemi con la cassa: all’improvviso, per un motivo misterioso il laser si rifiuta di leggere il codice a barre, o
si blocca il tapis roulant. Per i campeggiatori più antipatici vengono messe da parte buste di plastica già lacerate, destinate a rompersi nell’arco di pochi secondi,
giusto il tempo di arrivare a due metri dalla piazzola.
Incatenata ad un lavoro monotono e ripetitivo, la
cassiera pettegola divora quintali di brioche, e sotto la
divisa indossa regolarmente uno di quei pantaloncini
snellenti che si vedono di tanto in tanto nelle pubblicità delle reti private.
Vegetando sul suo sgabello in finta pelle, non le
viene consentito di smaltire in alcun modo le calorie
Le cassiere pettegole
in eccesso, e reputando più affidabile il consiglio di
un’attricetta piuttosto che quello di un dietologo, sper-
pera i suoi soldi in placebo di ogni genere, pillole e
cremine che avrebbero lasciato scettico persino un
contadino del Medioevo.
Per via dell’orario di lavoro, inoltre, la cassiera pettegola vede il mare unicamente all’alba e al tramonto.
La sua carnagione mozzarellastra ne testimonia gli
sporadici incontri, e la rendono il bersaglio preferito
di quei colleghi che possono permettersi un’esposizione regolare o qualche lampada di tanto in tanto.
Esistono poi le cassiere pettegole e stacanoviste,
donne che per vari motivi non scendono mai dal loro
sgabello, se non per necessità fisiologiche.
Organizzano il minuscolo ambiente lavorativo in
modo da renderlo accogliente, spargendo fiori sulla
cassa, disseminando ovunque le foto dei loro piccoli
barboncini, spruzzando deodorante per ambienti attorno ai tapis roulant, e così via. Alle orecchie hanno
spesso un paio di cuffie, e dalle divise da lavoro penzolano cinque o sei cellulari, unici mezzi di contatto
con il mondo esterno. Sotto lo sgabello, nella zona celata agli occhi dei clienti, c’è una vaschetta piena
d’acqua nella quale le cassiere tengono a mollo i piedi, segnati da profonde piaghe da decubito.
La spiaggia è un ambiente a loro ostile; infatti, se
per un motivo qualunque si ritrovano a calcare il soffice manto sabbioso, accade regolarmente che:
a. la cassiera pettegola si dissolve al sole come
Christopher Lee nel Dracula di Terence Fisher;
b. la cassiera pettegola, circondata da centinaia di
bagnanti, in un attacco di agorafobia cerca di nascondersi sotto il telo da mare di un turista svizzero;
c. la cassiera pettegola cerca di prendere la tintarella per ore, ma senza risultati. Quando va via, si accor-
ge che la sua pelle è rimasta bianca, ma che in compenso il sole, grazie a lei, è diventato più scuro.
Per quel che riguarda i rapporti coi clienti del supermercato, come già accennato essi non sono idilliaci. Le cassiere pettegole vedono sfilare ogni giorno
corpi femminili mozzafiato, davanti ai quali non possono sfoderare che un’unica arma, quella del pettegolezzo. I loro occhi sono dei microscopi in grado di effettuare analisi del tessuto epidermico nel giro di un
batter di ciglia. Notano smagliature, cicatrici e depositi d’adipe con una facilità eclatante. Le cassiere più
esperte possono eseguire delle vere e proprie radiografie, e diagnosticare malattie invisibili all’occhio umano. Tendenzialmente misogine, contraddicono qualunque parere positivo espresso dagli uomini, ed estremizzano tutto. Le ragazze carine diventano “brut-te”.
Quelle belle diventano un “niente di che”. Quelle bellissime vengono giudicate “bellocce ma…”. Un seno
grosso lo giudicano “volgare”, un seno piccolo “ridicolo”, un seno medio “non sa né di carne né di pesce”.
Idem il peso: per loro, le donne magre sembrano “dei
manici di scopa”, quelle formose “dei troioni”, le vie
di mezzo “poco attraenti”.
In mezzo a tutte queste valutazioni, la cassiera pettegola evita accuratamente di parlare delle donne grasse e racchie, categoria nella quale sa benissimo di
rientrare.
Con gli uomini le cose vanno in maniera diversa.
Disdegnano i ragazzi tutti muscoli e tatuaggi, troppo spiritosi e pieni di sé, ma hanno un occhio di riguardo per gli over trenta più seri e distinti, anche se
muscolosi e tatuati; l’importante è che sorridano, e
che entrando od uscendo dal supermercato dicano
“buongiorno” e “buonasera”. Mentre fanno la spesa,
non vengono persi neanche per un istante dagli sguardi delle due cassiere, che in attesa di appurare in quale
fila s’incolonnerà, recitano a denti stretti svariati inni
sacri pur di venire baciate dalla fortuna. Ignaro di tutto, il bell’uomo sceglie una delle file e attende pazientemente. A quel punto una delle due cassiere esulta, e
spruzza in bocca del deodorante al mentolo; l’altra si
fa scura in viso, e comincia a prendersela con quelli
della sua fila, composta esclusivamente da donne e
vecchiacci. Se l’ambito cliente, al momento di essere
servito, chiede educatamente alla cassiera se ha notato
che caldo che fa, quest’ultima attacca a raccontargli la
storia della sua vita, e a sperticarsi in complimenti per
l’oculatezza con cui l’uomo, nonostante i difetti di valutazione tipici del sesso forte, ha scelto i prodotti da
portar via. Tutto ciò le fa perdere la bussola, per cui
una volta su due gli dà il resto sbagliato (sempre più
del dovuto, mai meno), o le fa trascurare il resto della
fila, i cui componenti abbandonano la merce e vanno
via, o la rubano, o si sdraiano per terra e schiacciano
un pisolino.
In linea generale il cliente maschio e piacente viene
trattato con maggiore gentilezza, ma se vuole tenersi
lontano da rappresaglie e vendette di vario genere
deve assolutamente evitare i seguenti errori:
a. fare complimenti lusinghieri all’altra cassiera;
b. comprare per tre giorni di seguito due pacchi di
preservativi da dodici;
c. entrare mano nella mano con una donna;
d. entrare mano nella mano con un uomo.
L’animatore
In ogni campeggio ci sono due tipi di animatore:
quello che si occupa di sollazzare i ragazzi e gli adulti
(animatore-dj), e quello che si occupa di intrattenere i
bambini (animatorerode).
L’animatore-dj
La prima categoria è composta da animatori di sesso maschile, il cui compito, solitamente, è quello di
organizzare balli di gruppo, feste in piscina e deprimenti tornei sportivi di vario genere.
Vivendo nella folla, questo bizzarro soggetto finisce il più delle volte per vivere in funzione della folla;
il silenzio e la solitudine diventano così nemici mortali, da combattere a suon di musica.
L’animatore-dj, dunque, è costantemente, insensatamente allegro: dispensa saluti, abbraccia campeggiatori (e soprattutto campeggiatrici) conosciuti non più
di venti minuti prima, scherza con gli anziani, sorride
ai ragazzini (e soprattutto alle ragazzine). Se non visto, cerca di attaccare bottone anche con esseri inanimati tipo camper e fontanelle dell’acqua.
Avrete capito, insomma, che l’animatore-dj è fondamentalmente un disperato, consumato dalla propria
incapacità di restare solo con se stesso per più di un
minuto. Nei rari casi in cui la noia prende il sopravvento sulla sua consueta spensieratezza, egli entra in
una crisi profonda, che si manifesta esternamente con
sintomi terribili, quali l’improvviso interesse per la filosofia eraclitea e l’acquisto in blocco delle opere di
Schubert, che l’animatore-dj fino al giorno prima credeva essere un rapper viennese. Nei casi più gravi, i
medici raccomandano un ritorno lento ma costante al
precedente stato di afasia, attraverso il ripristino della
consueta attività fisica (balli di gruppo e trenini), l’ascolto degli album musicali più trendy (rigorosamente
consigliati da MTV), e per una guarigione rapida e sicura, robuste iniezioni di programmi tivù, preferibilmente reality show.
L’animatorerode
L’animatorerode trascorre il proprio tempo in compagnia dei bambini.
Nella maggioranza dei casi si tratta di una ragazza
di età compresa tra i venti e i trent’anni, di bell’aspetto, vestita con magliette e pantaloncini dai colori sgargianti, cui può essere abbinato un cappello in tinta con
la scritta IO AMO I BAMBINI.
Tuttavia, nonostante l’impalcatura costituita da sorrisi, sbaciucchiamenti, sguanciottamenti e discorsi del
tipo “ah, se non ci fossero i bambini questo campeggio sarebbe un mortorio”, la terribile verità, quella che
l’animatorerode tende a nascondere a se stesso e soprattutto ai genitori degli infanti, è una ed una soltanto: checché se ne possa dire, il vero animatorerode
odia i bambini.
Si tratta di un odio silenzioso, che esce fuori sulla
lunga distanza, ma che serpeggia nel cuore della ragazza sin dal primo giorno di lavoro. È lì, ma tende a
camuffarsi, almeno inizialmente. Poi, giorno dopo
giorno, rimprovero dopo rimprovero, la simpatica animatrice butta giù la maschera e rivela il suo vero volto.
Supponiamo, ad esempio, che un bimbo qualunque
si avvicini furtivamente a lei con un palloncino pieno
d’acqua, e che dopo aver attirato la sua attenzione,
glielo getti in piena faccia, per poi bullarsi con gli
amici del gesto appena compiuto. Quale sarà la reazione dell’animatorerode? Sarà differente a seconda
della data in cui avviene lo scherzo.
Ipotizziamo ancora, per facilitare la comprensione
del lettore, che il misfatto veda la luce in tre diverse
date, poste una all’inizio della stagione estiva, l’altra a
metà, e l’ultima sul finire dell’estate.
Questi sarebbero, in linea di massima, i gesti e le
parole utilizzati dall’animatorerode per esternare i
propri sentimenti:
a. Primo giugno. La ragazza resta in silenzio per tre
secondi, guarda il bimbo e sorride. Poi, ravviandosi i
capelli bagnati, esclama divertita: “Bravo Giacomino,
me l’hai fatta davvero sotto il naso. I tuoi amici dovrebbero imparare l’arte dello scherzo dai birboni
come te. Ma adesso vai, vai pure a raccontare tutto ai
tuoi genitori: saranno lieti di sapere che il principe
delle goliardate ha colpito di nuovo. E non dimen-ticare di salutarmeli, mi raccomando!”;
b. Quindici luglio. La ragazza resta in silenzio per
trenta secondi, e guarda il bimbo con sguardo severo.
Poi, strizzando l’acqua in eccesso dal bordo della maglietta, esclama un tantinello risentita: “Fai attenzione,
Giacomino, agli scherzi che combini. Un gavettone in
faccia può anche far male. E poi hai tanti amici, perché disturbare proprio me, che sono in piedi dalle sei e
sto cercando di lavorare? Adesso torna nella tua piazzola e non dire nulla a mamma e papà, ché potrebbero
rimproverarti per ciò che hai fatto. Tuttavia, salutali
calorosamente da parte mia”.
c. Primo settembre. La ragazza resta in silenzio per
venti minuti, solleva lo sguardo e mette in bella mostra un’arteria che pulsa nei pressi della tempia destra.
Poi, battendo ad intermittenza gli occhi, la graziosa
fanciulla esclama: “Stammi bene a sentire teppistello
di merda, ne ho le palle piene dei tuoi scherzi. Mancano quindici giorni alla chiusura della stagione estiva: azzardati soltanto a rivolgermi la parola, o a sfiorarmi una spalla, e ti ritroverai a masticare le tue stesse chiappe. E adesso vai, vai pure a piangere da mamma e papà, tanto non li troverai di certo in piazzola: a
quest’ora tuo padre sarà già al bar a sbronzarsi, e in
quanto a tua madre, lo sanno tutti che finora non si è
mai svegliata per due volte di fila nella stessa tenda.
Ad ogni modo, quando lui verrà buttato fuori dal bar e
lei avrà finito il suo giro, ti sarei grata se li salutassi da
parte mia”.
Naturalmente, l’ultima delle tre versioni fornite si
verifica assai di rado. L’animatorerode è solito pensare certe cose, non dirle, e a meno che non venga colto
da un raptus masochistico, se ne sta buono e ingoia a
denti stretti. Continuerà dunque a far credere all’intera
comunità che la suprema fonte di gioia della sua vita
sono i bambini, le loro faccette pulite, le loro corse
sfrenate, i loro scherzi crudeli.
Ma secondo testimonianze alquanto attendibili,
quando il campeggio chiude, all’approssimarsi dell’autunno, tutti gli animatorerodi organizzano una
grande festa pagana in cui vengono arsi vivi dei manichini con le sembianze dei bimbi più cattivi passati fra
le loro mani in quei terribili tre mesi.
E c’è chi giura di aver sentito alcuni di quei manichini implorare disperatamente perdono…
L’inserviente dei bagni
L’inserviente dei bagni è un individuo di sesso maschile, sui quarant’anni, con occhiali e guanti blu (o
grigi), tuta da lavoro in tinta, scarponi neri da esploratore. Il suo compito è quello di ripulire una o più volte
al giorno i tanti bagni disseminati nel campeggio.
L’inserviente dei bagni odia tutti i campeggiatori, poiché tutti i campeggiatori utilizzano il bagno per questioni igieniche. Ama soltanto i bimbi fino ai due anni,
i quali, per ciò che riguarda le esigenze fisiologiche,
sono abituati a sbrigarsela da soli.
L’inserviente dei bagni è tendenzialmente misogino, per via di una crudele incompatibilità di tipo professionale: le donne vanno al bagno per pulirsi, lui per
sporcarsi. Per questo, nessuna storia d’amore potrà
mai nascere tra un inserviente e una campeggiatrice. E
infatti, a differenza dell’animatore o del cameriere,
l’inserviente dei bagni non rimorchia mai.
L’inserviente dei bagni canta e fischietta in con-tinuazione. Ogni mattina si para davanti a un cesso, con
la sua scopa e il suo tubo di gomma, e si chiede perché mai abbia deciso di svolgere proprio quel lavoro.
Non avendo alcuna risposta intelligente da offrire a
L’inserviente dei bagni
se stesso, attacca a fischiare o a cantare arie melodrammatiche partenopee.
L’inserviente dei bagni fuma, e ha poco senso dell’umorismo. Detesta l’estate, e tra un sol diesis e una
sigaretta ci infila spesso una bestemmia, o uno sputo,
assumendo l’espressione tipica di chi, nella vita, ne ha
viste di tutti i colori (e non è un eufemismo…).
L’inserviente dei bagni ha molti nemici, per l’esattezza cinque.
L’incivile da bagno
Il primo di essi è l’incivile. Questi, dopo aver “disegnato” arabeschi di varia grandezza e colore sulla superficie del water, abbandona il luogo del delitto senza tirare lo sciacquone. Oppure, le rare volte in cui
aziona quel misterioso marchingegno, non si assicura
che il water appaia nelle stesse condizioni in cui l’ha
trovato entrando.
È diabolico e canzonatore. Se vede l’inserviente
(già incavolato nero alle sette di mattina) mentre svolge il suo lavoro, lo saluta dicendo: “bella giornata di
merda oggi, eh?”.
L’impiegato da bagno
Il secondo nemico dell’inserviente è l’impiegato da
bagno. Trattasi, più specificatamente, di un individuo
adulto, quasi sempre di sesso maschile, che entra nel
bagno stringendo nella mano sinistra un rotolo di carta
igienica, e nella destra una ventina di quotidiani.
Dopo essersi chiuso in quello che per lui rappresenta una sorta di ufficio improvvisato, l’impiegato da
bagno legge minuziosamente ogni singola riga dei
giornali appena acquistati, informandosi per bene sul-
l’andamento dei BOT e sulla campagna acquisti dello
Sporting Lisbona.
Ritorna a respirare aria pulita a distanza di due ore,
e accompagnato dalle bestemmie dell’inserviente dei
bagni, comincia a pensare fra sé e sé che in vacanza il
tempo sembra scorrere più velocemente…
Il mattiniero
C’è poi il mattiniero, forse il tipo di campeggiatore
più temuto dall’inserviente dei bagni. Quest’ultimo,
infatti, lavora seguendo degli orari piuttosto rigidi; per
comodità, la prima pulizia dei servizi igienici avviene
sul presto, attorno alle sette di mattina. Alle sei e cinquantanove, il mattiniero è già chiuso nel cesso. Se
l’inserviente cerca di fare il furbo, presentandosi l’indomani alle sei e cinquantacinque minuti, troverà
ugualmente la porta sbarrata: il mattiniero è lì dentro
dalle sei e cinquantaquattro. Nonostante tutti i suoi
sforzi, infatti, l’inserviente è destinato ad arrivare puntualmente un minuto dopo il mattiniero, e quindi a non
raggiungerlo mai, così come l’Achille di Zenone non
raggiungerà mai la stramaledetta tartaruga. Se uno dei
due è in anticipo lo sarà anche l’altro, inesorabilmente.
Ne consegue che, ogni santo giorno, l’inserviente
troverà chiusa la porta di almeno un bagno, e dovrà attendere a lungo prima di terminare il lavoro già avviato.
Nella peggiore delle ipotesi, il mattiniero può essere al contempo un impiegato da bagno. In casi come
questo, il gabinetto occupato resterà chiuso dalle sette
a mezzogiorno. Nel frattempo, l’inserviente dei bagni
tenterà il suicidio infilando la testa nel water lasciato
libero dall’incivile.
L’infante bombardiere
Fra i minorenni, come già detto, l’inserviente dei
bagni apprezza soltanto i bambini sotto i due anni.
Tutti gli altri godono della sua più totale avversione, specie quelli in età da scuola materna. Tra questi
figura quasi sempre l’infante bombardiere, così chiamato per via dello stratagemma con cui si lascia andare alle sue “esternazioni fisiologiche”. Coadiuvato da
un genitore che, per evitargli il contatto con la superficie sporca del water, lo regge durante le “fasi di attacco”, l’infante bombardiere ha il compito precipuo di
fare centro al primo colpo. Troppo spesso, però, egli si
rivela preciso quanto una bomba intelligente americana. Per questo l’inserviente dei bagni lo odia.
Dipendesse da lui, obbligherebbe tutti i campeggiatori ad indossare il pannolone.
L’adolescente da specchio
Affine all’impiegato da bagno è invece l’adolescente da specchio. Uomo o donna che sia, l’insipido
adolescente trascorre metà del pomeriggio a prepararsi
per l’uscita serale, impedendo all’inserviente di svolgere le pulizie di fine turno. Una volta piazzatosi davanti allo specchio, non c’è modo di schiodarlo da lì, a
meno che non si verifichi una delle seguenti situazioni:
a. (nel caso in cui si tratti di un maschio): la ragazza più bella del campeggio passa davanti al bagno maschile, gli fa l’occhiolino e si dirige verso le docce
delle donne per raggiungere la formosa sorella gemel-
la, lasciando la porta d’ingresso maliziosamente socchiusa…
b. (nel caso in cui si tratti di una femmina): l’inserviente, stanco di aspettare, le fa l’occhiolino e si dirige
verso di lei in compagnia del collega Fausto, detto “il
fogna”, che sorride mettendo in mostra una dentatura
assai rada. La ragazza sfonda una finestra e scappa via
urlando.
I vigilantes
Per tutelare l’incolumità fisica e “patrimoniale” dei
campeggiatori, solitamente vengono assunti e retribuiti due tipi diversi (ma non troppo) di inservienti: il vigilante appiedato e il vigilante motorizzato.
Il vigilante appiedato è la classica figura che vi
blocca il passaggio non appena tentate di entrare nel
campeggio col vostro camper. Esistono vari modelli di
vigilante appiedato, ma il più divertente rimane quello
serio ed imbronciato alla Clint Eastwood. Perennemente in tensione, vi chiede con calma di farvi identificare, e di mostrargli il pass; una volta ottenuto, lo
guarda per mezz’ora, sollevando di tanto in tanto la testa per accertarsi che i dati stampati corrispondano più
o meno alla vostra persona. Poi vi lascia passare, e vi
segue con lo sguardo finché non sparite dalla sua visuale.
Naturalmente, la procedura fin qui descritta non è
altro che una sceneggiata: in realtà, il vigilante appiedato sa già tutto di voi, dal vostro nome al vostro numero di piazzola, dal ristorante in cui avete trascorso
la serata al numero di sigarette fumate.
Diffidente e costantemente incazzato, guarda con
estremo sospetto i capelloni e quelli con l’aria da tossicomane, cioè l’ottanta per cento dei campeggiatori.
Per regolamento deve sempre mostrarsi gentile, ma
il suo sogno è quello di poter puntare una quarantaquattro Magnum alla tempia di qualche fighetto impegnato a compiere evoluzioni con la sua moto.
Inoltre, non sopporta i bambini. Se ne becca uno in
procinto di fare un gavettone, gli sequestra i palloncini
e gli legge i diritti garantiti dallo statuto del campeggio.
Con le donne, invece, ha un rapporto decisamente
particolare: gioca a fare il duro, ma è timido da far
schifo, e non regge il loro sguardo per più di due secondi. Se una ragazza in costume, esterna al camping,
gli chiede di entrare un attimo a salutare degli amici,
s’irrigidisce e comincia a tartagliare. Ligio al dovere,
respinge qualunque profferta sessuale. A distanza di
pochi minuti la ragazza cede e va via delusa, ma la
tensione accumulata dal vigilante trova il suo sbocco
naturale durante il resto della giornata, materializzandosi sotto forma di controlli più rigidi o di grosse flatulenze.
Il vigilante appiedato fuma, e si annoia; nonostante
svolga il proprio lavoro in maniera irreprensibile,
spesso avverte la mancanza di qualcosa… uno stimolo, un pungolo in grado di spronarlo ad agire con più
energia, e con un accresciuto senso di autostima.
S’interroga per ore sulla natura di questo qualcosa;
poi, all’improvviso, il vigilante motorizzato gli sfreccia davanti, ed egli comprende cos’è che manca nella
sua vita: un motorino.
Un motorino col quale intimare l’alt ai campeggiatori indisciplinati, prendere al lazo i bambini più fastidiosi, sventare rapine, e salvare l’intero campeggio da
un lucertola gigante, arrivata sin lì dal lontano Giappone…
Darebbe l’anima al diavolo pur di salirci su almeno
una volta, e compiere un giro di perlustrazione al- l’oscuro di tutti, sgasando come un matto per le stradine
brecciose del campeggio. Ma non può: questo privilegio è stato concesso agli immeritevoli, agli incompetenti.
Il vigilante motorizzato gli passa davanti, e il collega appiedato lo segue con sguardo torvo, pensando
fra sé e sé che anche lui, prima o poi, otterrà la promozione, e il sospirato motociclo. Nel frattempo, si limita ad urlargli che è uno stronzo, e che spera di vederlo finire sotto il camion della spazzatura.
Il vigilante motorizzato, disturbato dal rumore
emesso dal suo due ruote, lo saluta sorridente, ignaro
dell’invidia che raccoglie attorno a sé.
A dire il vero, il vigilante motorizzato è ignaro
praticamente di tutto ciò che accade nel campeggio.
Pagato per sorvegliare le piazzole dei campeggiatori,
nella prassi quotidiana egli si lascia sfuggire gli eventi
più macroscopici.
Ovunque vi sia un problema, lui è da tutt’altra parte, e questo per motivi quasi sempre indipendenti dalla sua volontà. Non c’è malizia, cattiveria o intenzio-
nalità nelle sue sviste colossali. C’è, piuttosto, un destino crudele che pare beffarsi costantemente di lui; se
avviene un furto in una piazzola, ad esempio, potete
star certi che il vigilante motorizzato le passerà davanti trenta secondi dopo che il ladro è andato via, o trenta secondi prima che il ladro s’intrufoli nella piazzola
incriminata.
Inoltre, il regolare svolgimento del suo lavoro viene
chiaramente intralciato dalla scarsa qualità del motorino assegnatogli, quel motorino che il vigilante appiedato si ostina a bramare, ma che nella realtà dei fatti si
dimostra assolutamente scadente dal punto di vi- sta
professionale.
La marmitta del due ruote in questione, infatti,
emette un rantolo monotono e incessante, simile al
russare melodioso di un tirannosauro, capace di coprire da solo qualunque altro suono.
Così, invocazioni d’aiuto, spari nella notte, musica assordante e rutti belluini vengono spazzati via dall’avanzare farraginoso del motorino, il quale riesce ad
evitare anche gran parte dei tranelli tesi dai campeggiatori, stanchi di essere svegliati ogni volta nel cuore
della notte.
A volte accade che l’odiato sorvegliante si rechi dal
meccanico per una controllatina generale, convinto di
dover spendere sì e no un paio di euro in totale. Ebbene, questo è l’elenco delle riparazioni e dei danni subiti mediamente dal motociclo di un vigilante nel corso
di una settimana:
1. installazione di ruota anteriore e ruota posteriore
della giusta misura (qualche campeggiatore vendicativo gliele aveva sostituite con un paio da bicicletta);
I vigilantes
2. rimozione di una tagliola per rinoceronti;
3. estrazione di bozzoli di pistola dal serbatoio della
benzina, rimasto miracolosamente inesploso;
4. sostituzione delle candele (i soliti burloni ne avevano applicato un paio di cera);
5. pulizia della pece spalmata sul faro anteriore e
sui catadiottri posteriori;
6. riparazione dei freni, i cui fili erano stati invertiti
(difatti, per un’intera settimana, pur azionando il freno
posteriore, il povero vigilante si era ritrovato a volare
come un condor ad ogni decelerata);
7. distruzione di una microspia e di diversi fogliettini con messaggi intimidatori, probabilmente opera del
vigilante appiedato. Uno di questi è accompagnato da
un tristissimo fotomontaggio, in cui la testa della moglie del vigilante motorizzato sormonta il corpo di una
pornostar intenta a “lavorare”;
8. sostituzione del carburatore, strapieno di farina e
zucchero;
9. disinnesco di una bomba ad orologeria, posizionata sotto il sellino e collegata al clacson: riflettendoci
su un istante, il vigilante motorizzato ricorda di aver
notato, negli ultimi tempi, una spiccata tendenza dei
campeggiatori a salutarlo e a gettarsi per terra con le
mani strette sulla nuca.
Altri inservienti (in pillole)
Il responsabile del campeggio
Individuo misterioso e sfuggente, identificabile soltanto dalle spalle. Nessuno, infatti, l’ha mai visto in
faccia. Se chiedete di lui alla reception, vi rispondono
puntualmente che “si è assentato un attimino”. Per alcuni il responsabile del campeggio non esiste, ma è
soltanto un’idea, una rappresentazione mentale.
Cosa se ne faccia una rappresentazione mentale di
tutti i soldi che entrano nel campeggio, non è dato sapere.
Il venditore ambulante
Se vedete sulla spiaggia un ammasso di vestiti, giocattoli e chincaglierie varie che si sposta faticosamente
da un punto all’altro della battigia, sappiate che sotto
vi è anche un uomo, il famigerato venditore ambulante.
Trattasi di un omaccione di due metri, visibile dalle
ginocchia in giù, quasi sempre straniero, che nascosto
sotto uno strato di pareo colorati vi chiede con voce
ovattata di comprare qualcosa. Se un bagnante ordina
un accendino, il venditore ambulante inizia a cercarlo
freneticamente, chiedendo continuamente scusa e avviluppandosi nella sua stessa mercanzia. Ogni tre secondi implora di attendere ancora qualche istante.
Dopo qualche minuto il cliente gli consiglia di lasciar perdere, ma non ottiene risposta. Ripete l’esortazione, ma niente. A quel punto, un po’ preoccupato,
comincia a scostare i pareo e i teli da mare, e realizza
che il venditore ambulante è scomparso, probabilmente perché risucchiato in un’altra dimensione.
L’uomo della spazzatura
Signore di mezza età addetto allo smaltimento dei
rifiuti. Può guidare il camion, oppure lanciare all’interno del camion stesso i sacchi raccolti in giro per il
campeggio. Ha un culo enorme, che gratta in continuazione, fregandosene dei bambini che l’osservano.
Spesso sbircia all’interno delle piazzole, ma è fondamentalmente innocuo. Amico dell’inserviente da bagno (vedi prima), trascorre le serate in sua compagnia,
a parlar male delle donne e dell’igiene.
Nei ristornati non c’è cameriere che non gli chieda di
metter via i guanti da lavoro almeno in presenza degli
altri clienti. E lui a ribadire ogni volta che non indossa
alcun guanto…
La signorina della reception
Graziosa inserviente che vi spilla un sacco di soldi,
ma con gentilezza. Parla sempre da dietro un vetro trasparente, inventato per non dover inalare, di prima
mattina, il terribile alito dei campeggiatori appena
svegli.
Il giornaccaio (o tabalaio)
Incrocio tra un giornalaio e un tabaccaio. In quanto
tale, vende sia riviste che sigarette.
Per venire incontro alle esigenze della sua clientela,
anche straniera, ordina quintalate di merce che poi
ammassa negli angoli più remoti del locale.
Nonostante l’apparente disordine, ogni collocazione
viene a lungo studiata, messa ai voti e poi stabilita definitivamente. Le riviste, pressate l’una contro l’altra
in mini-scaffali, rischiano di saltar fuori all’improvviso e di ghigliottinare qualche passante.
Il reparto quotidiani, solitamente, è tenuto distante da
quello dei Sali e dei tabacchi, ma tutti gli articoli sono
legati tra loro da un ordine occulto che soltanto il giornaccaio conosce. L’ignaro cliente, invece, estraendo
dallo scaffale un mensile qualunque, fa partire dall’altra parte del negozio un pacchetto di Malboro che colpisce in testa qualche salutista sfortunato.
Il quale, risentito per l’incidente, borbotta fra sé e
sé che ormai la gente non si accontenta più di fumarti
in faccia: ti tira dietro anche le sigarette…
Il cameriere del ristorante
Ragazzo dall’aspetto tutt’altro che piacevole, magro e pallido, che serve i clienti dal bancone del selfservice o direttamente ai tavoli. Per evitare rimproveri
tende a curare molto l’acconciatura, giacché un solo
capello finito nel piatto può costargli una ramanzina di
sei ore. Allergico a cuffie e retine di ogni tipo, preferisce ingrassare i suoi capelli con quintali di gel, che donano alla capigliatura un piacevole aspetto catramoso.
Il lato negativo di questa scelta risiede nelle frequenti scivolate che il cameriere compie sul gel perso
per strada: se perde l’equilibrio e finisce per terra, egli
comincia a slittare da una parte all’altra del ristorante
come un ballerino di break-dance, segnando il pavimento con lunghe strisce d’unto. Per fermarlo occorrono due ore, quattro persone e una rete da pescatore.
Una volta bloccato, il cameriere torna nei box (cioè
nel retro del ristorante), e nel tempo record di otto secondi netti si fa cambiare l’olio ai capelli e l’uniforme
da lavoro. Infine ricompare in sala, salutato dall’ovazione degli astanti.
Il maestro di nuoto
Se il campeggio possiede una piscina, ci sarà pure un
invasato con la mania del nuoto che proporrà a voi e
ai vostri figli di imparare qualunque tecnica olimpionica nell’arco di una settimana. Si fa chiamare “Maestro”, e attua programmi rigidissimi, basati su teorie
del nuoto, esercizi di respirazione, nuoto applicato e
punizioni corporali. Non ammette repliche alle sue decisioni, né segni di debolezza caratteriale da parte degli allievi.
I risultati di questa inflessibile disciplina non mancano, dal momento che molti turisti, a fina vacanza,
decidono di tornarsene a casa nuotando.
L’indaffarato
Misterioso inserviente in perenne movimento, vestito con pantaloni lunghi, camicia bianca e scarpe
eleganti. Gravita sempre attorno alla reception, discute
sottovoce coi vigilanti e attraversa il camping da una
parte all’altra, anche tre o quattro volte al giorno.
Tuttavia, nessuno sa esattamente quali siano le sue
mansioni. Se provate a fermarlo, vi dice che è molto
indaffarato e che sarà da voi tra due o tre ore.
Se chiedete in giro chi è quell’individuo che corre
come un dannato, vi risponderanno che:
a. l’indaffarato era già lì prima che il camping venisse aperto;
b. nessuno lo conosce ma si dice in giro che… ;
c. nessuno ci ha mai parlato veramente: gli altri inservienti eseguono le sue direttive senza aprire bocca,
temendo di avere a che fare col proprietario del campeggio.
Parte terza
I campeggiatori
Il brontolone
Meraviglioso soggetto da campeggio, divertente e
insopportabile al tempo stesso.
Il brontolone professionista non trova altro da fare,
una volta entrato in contatto con l’atmosfera rilassante
del camping, che lamentarsi di tutto ciò che lo circonda. E questo per due ordini di ragioni.
Innanzitutto perché il brontolio, per lui, rappresenta
una forma di masturbazione sonora.
In secondo luogo, egli trascina con sé, all’interno
del campeggio, molte delle manie e delle fissazioni
che costellano la consueta vita urbana.
Ne deriva che il brontolone vive di antinomie, di affermazioni costantemente in contraddizione fra loro.
Ne offriamo qui un breve elenco, certamente non
esaustivo, ma indicativo del suo bizzarro modo di ragionare:
a. (nella folla) C’è troppa gente in questo campeggio, troppo rumore. Io sono venuto qui per rilassarmi,
non per ballare tutta la notte.
b. (da solo) In questo campeggio non succede mai
un cazzo…
a. (al vicino che guarda la tivù) Io non capisco cosa
ci viene a fare la gente in campeggio se poi si trascina
dietro la tivù.
b. (al vicino che guarda la partita) Ma è il Milan
che gioca? Poteva anche dirlo, invece di starsene lì in
silenzio. Le dispiace se mi siedo accanto a lei?
a. (sotto l’ombrellone) Porco giuda che caldo! Comincio a rimpiangere l’inverno.
b. (sotto la pioggia) Ma guarda se proprio il giorno
di Ferragosto doveva venir giù ‘sto diluvio di merda!
a. (prima di provarci) Io sono uno all’antica, queste
campeggiatrici mi sembrano troppo disinibite.
b. (dopo averci provato) Qua dentro se la tirano tutte. Ai miei tempi sì che ci si divertiva…
a. (guardando un uomo che parla al cellulare) Pure
in campeggio rompono l’anima coi cellulari? E basta!
b. (davanti a una cabina telefonica rotta) In questo
campeggio non funziona un cazzo! Scusi, mi presterebbe il suo cellulare? Dovrei chiamare mio figlio in
Guatemala.
Per quel che riguarda la carta d’identità del brontolone, egli ha solitamente più di quarant’anni, ma si
sono registrati casi di brontolite acuta anche in soggetti prematuri, sui ventisette. È sposato con una povera
donna che deve sopportare quotidianamente ogni suo
rimbrotto, e trascina in campeggio almeno un paio di
figli, vittime predilette dei suoi brontolii.
In tal senso, le lamentele del brontolone mutano a
seconda del sesso della prole.
Ad una figlia, egli rimprovererà nell’ordine:
1. di trascorrere troppo tempo nel bagno del campeggio ad imbellettarsi.
2. di vestirsi come una ballerina brasiliana durante
il festival di Rio.
3. di essere nata donna e di aver preso tutto da sua
madre.
Ad un figlio, invece, rimprovererà nell’ordine:
1. di non lavarsi mai, se non in spiaggia durante il
bagno in mare.
2. di vestirsi come un viados brasiliano.
3. di essere nato maschio e di non aver preso nulla
da suo padre.
Tuttavia, dopo tre settimane trascorse a parlar male
della propria famiglia, degli altri campeggiatori, del
clima, dell’animazione, degli inservienti e quant’altro,
al momento di smontare per andar via, c’è sempre
qualcuno che domanda al brontolone:
- Allora, tornerete l’anno prossimo?
Ed egli, carico di rancore, corruga la fronte, alza il
pugno per aria e risponde:
- Naturalmente.
Il bambino della sala giochi
Provate ad entrare in una comune sala giochi da
campeggio. Infilate una monetina nella feritoia del
nuovissimo videogioco d’arti marziali, arrivato sin lì
dalla lontana Cina. Prendete il joystick in mano, premete il tasto d’avvio, e avanzate di qualche passo col
vostro bravo ninja. A quel punto, puntuale come un
orologio svizzero, sentirete la voce di un bambino sussurrare:
- No, stai sbagliando tutto.
Abbassando lo sguardo, noterete due occhi vispi
che vi scrutano da cinquanta centimetri di distanza:
questi sono gli occhi del bambino della sala giochi.
Il bambino della sala giochi non trascorre il suo
tempo nella sala giochi.
Il bambino della sala giochi vive nella sala giochi.
Conosce a memoria ogni quadro del più recente videogame, i trucchetti per evitare un prematuro quanto
doloroso decesso, parole-chiave e convulsi movimenti
del joystick. Ha in media tra i sei e gli undici anni, ma
quando un bambino perde la sfida finale col solito
mostro dell’ultimo quadro, è solito consolare il collega con grandi pacche sulle spalle, sostenendo che anche lui ci prova da vent’anni.
Perché il bambino della sala giochi, incatenato ad una
specie di crudele legge del contrappasso, non riesce
mai a terminare un solo gioco. Il destino impone puntualmente che sia qualcun altro, sotto le sue indicazioni, a superare l’ultimo quadro, e a salvare la bella
principessa (o chi per lei). Nonostante ciò, in lui permane la convinzione di aver giocato un ruolo sostanziale, che il più delle volte lo spinge ad esclamare:
- Ah, se non ci fossi stato io!
Ma questo è solo un aspetto della sua vita professionale. L’iter completo, in realtà, è molto più lungo.
La giornata del bimbo della sala giochi inizia col consueto tira e molla per l’ottenimento dei sospirati soldini. Un bimbo professionista è in grado di rompere l’anima ai propri genitori per quattro ore filate, ripetendo
ossessivamente la domanda “posso avere un po’
Il bambino della sala giochi
di soldi?”, seguita da un “e perché?” in caso di rifiuto.
Sulle prime il padre e la madre sono soliti mostrare un
po’ di polso, ma allo scoccare della seconda ora, in
media, essi gli tirano dietro il portafogli, tentando inutilmente di accopparlo.
Ottenuto un discreto gruzzolo, il bimbo afferra la
bici e percorre a velocità folle le stradine del campeggio, schivando alberi, macchine e passanti. Giunto in
prossimità della sala giochi, inchioda, dopo di che può
verificarsi una delle conseguenze descritte qui sotto:
1. il bimbo cade e si sbuccia un ginocchio, attacca a
piangere e qualcuno lo riporta in piazzola;
2. il bimbo cade e si sbuccia un ginocchio, rifiuta le
cure mediche e si fionda nella sala giochi;
3. il bimbo cade e sorride beato, perché essendosi
imbottito di ginocchiere e parastinchi, rimbalza sull’asfalto, sfonda una finestra aperta e atterra regolarmente davanti al videogioco preferito.
Una volta entrato nella sala giochi, il piccolo invasato si reca velocemente al bancone del cambio-valuta, ottenendo così gli appositi gettoni del videogioco;
quindi, si para davanti allo schermo luminoso, poggiando venti chili di gettoni sulla porzione libera del
videogame, ne sceglie uno a caso e lo infila nella feritoia.
Per un po’ non accade nulla: il bimbo segue attentamente le fasi iniziali, che conosce a memoria.
Poi, alla prima difficoltà, l’infante esplode in una
sequela di bestemmie tali da far rabbrividire l’ultrà più
navigato. Nuove parolacce nascono e si diffondono
nelle sale da gioco di tutti i campeggi del mondo.
Famoso il caso del piccolo Luis, che in Portogallo
riuscì a bestemmiare nel giro di venti minuti tutti i
santi del calendario romano, in ordine rigorosamente
cronologico e senza mai distogliere lo sguardo dal
monitor, seguiti a ruota dai beati in attesa di santificazione e da parecchie divinità pagane.
Con le prime ingiurie, comincia l’odissea del bambino della sala giochi. I suoi movimenti diventano
convulsi, lo sguardo febbrile, la fronte un ammasso informe di goccioloni da sudore freddo. Man mano che
il gioco si fa più duro, riesce a cadere dallo sgabello
ogni cinque secondi. L’identificazione tra bimbo e
personaggio del videogame raggiunge qui il suo culmine: i proiettili diventano veri, i salti sui grattacieli
sempre più difficoltosi, le capriole via via più spettacolari.
In questa fase l’infante diviene pericolosissimo:
toccategli una spalla per chiedere a cosa sta giocando,
e riceverete in cambio una gomitata nel bassoventre.
Se avete davanti un bambino alle prese con qualche
videogame di guerra, lasciatelo perdere: potreste scoprire a vostre spese cosa nasconde sotto la maglia…
Nonostante l’impegno profuso, ad ogni modo, prima o poi il nemico di turno riesce ad approfittare di un
suo errore, dettato a volte dagli occhiali appannati, più
spesso dalla stanchezza. A questo punto il bambino
della sala giochi, per nulla demotivato dalla scritta
“game over” che persiste a lampeggiargli davanti, inserisce una nuova moneta e riattacca a giocare.
E così per ore, gettone dopo gettone, bestemmia
dopo bestemmia, decesso dopo decesso.
Il game over definitivo, solitamente, non arriva prima delle quattro ore di gioco; inoltre, mai nessun
bambino abbandona la sala per noia o per stanchezza,
ma sempre e soltanto per esaurimento dei gettoni.
Preso atto dell’impossibilità di proseguire, davanti
al bimbo della sala giochi si stagliano allora tre possibilità.
La prima è quella di andare via in costernato silenzio, per evitare di cadere nelle trappole che la smania
del gioco porta con sé: su tutte, quella di pestare e derubare qualche soggettone presente in sala.
La seconda consiste nell’elemosinare gettoni qua e
là, pratica pericolosa in quanto si corre il rischio di apparire patetici agli occhi degli altri bimbi, perdendo
così il rispetto dell’intera comunità giocante.
La terza è quella di acquattarsi nelle vicinanze del
videogame preferito, ed attendere che un qualunque
soggetto occupi il corrispettivo sgabello, per poter
sussurrare a distanza di pochissimi secondi:
- No, stai sbagliando tutto.
Lo sfigato
Ogni campeggio ospita un numero non irrilevante
di sfigati durante la stagione estiva, poiché il campeggio, agli occhi di questa bizzarra tipologia di campeggiatore, rappresenta una fuga dalle miserie e dalle
sfortune della vita cittadina. Deriso e iellato nella quotidiana esistenza, egli si rifugia come un animale ferito all’interno del camping, desideroso di cambiare
aria, e di poter svolgere una vacanza “normale” assieme ad altri campeggiatori “normali”.
Il problema, come già suggerito, è che lo sfigato
non è un campeggiatore normale.
Innanzitutto, egli fa il suo ingresso nel camping già
con un braccio fasciato, o una gamba ingessata.
L’ingessatura è il tratto distintivo dello sfigato.
Quasi sempre è maschio e di giovane età, variabile
tra i quindici e i trent’anni. La piazzola che gli viene
assegnata è regolarmente illuminata dal sole per l’intero arco della giornata. Al momento di montare la
tenda, le prime avvisaglie della sfortuna si materializzano sottoforma di violento nubifragio estivo. Piantato
l’ultimo picchetto, e ormai fradicio di pioggia, lo sfigato vede le nuvole allontanarsi rapidamente, e uno
splendido arcobaleno incorniciare un cielo ormai terso.
Il primo giorno di vacanza, ingessato o meno che
sia, il campeggiatore sfigato solitamente non vede il
mare, per uno fra i seguenti contrattempi:
a. foratura di una ruota del camper, avvenuta davanti
al cartello d’ingresso, quello con la scritta “BENVENUTI”;
b. irreperibilità del costume da bagno, sparito nel
nulla e mai più rintracciato;
c. improvvisa secchezza delle mucose, dovuta alla
vicinanza della physostigma venenosum, rarissima leguminosa rampicante che cresce nella costa occidentale dell’Africa e, per un motivo inspiegabile, anche in
quel campeggio. Ovviamente l’unico ad esservi allergico è lo sfigato.
Lo sfigato
Alla luce di tutto questo, dunque, nelle prime ore di
soggiorno egli preferisce dedicarsi ad una veloce
quanto refrigerante doccia. Peccato che, al suo arrivo,
davanti alle cabine ci sia solitamente una fila di persone lunga all’incirca tre o quattrocento chilometri.
Decide allora di accantonare l’idea della doccia e di
riprovare più in là, verso sera. Alle nove ritrova esattamente la stessa fila, stavolta formata esclusivamente
da patetici adolescenti in odor di uscita serale.
Riaccantona l’idea e se ne torna in piazzola. Un’ora
dopo trova cinque cabine-doccia su sei occupate, ed
una miracolosamente libera. La porta è già aperta.
S’infila dentro tutto contento, chiude a chiave e si spoglia canticchiando un allegro motivetto. Poi gira il pomello dell’acqua, ma dall’alto precipita un unico gocciolone, per di più bollente, che gli ustiona l’uccello.
Resta col naso all’insù per parecchi secondi, quindi
inizia ad imprecare, girando e rigirando nervosamente
l’impassibile pomello. Dopo un po’ si arrende, e va
via.
A mezzanotte la sua presenza torna a palesarsi per
l’ultima volta davanti alle docce. Non c’è traccia di
campeggiatori, né tanto meno di chilometriche file.
Tutte le porte delle cabine sono aperte. Per via dell’orario, regna un silenzio confortante.
Forse ci siamo.
Lo sfigato entra nella struttura, e si accerta che non
ci sia nessuno. Via libera.
Si avvia verso la cabina prescelta, quando una mano grossa e callosa lo blocca per una spalla.
È l’inserviente dei bagni, che ha appena terminato
di lavare le docce, e che gli consiglia di tornare il giorno dopo. Lo sfigato accenna una timida protesta, l’in-
serviente fa notare che il suo prodotto per i pavimenti
cancella ogni macchia, comprese quelle di sangue.
Lo sfigato va via…
Se il campeggiatore iellato è privo di ingessature, il
mattino seguente, di buon’ora, preferirà dirigersi verso
la spiaggia per il suo primo bagno estivo. Mani sui
fianchi, inspirerà l’aria frizzante della spiaggia, cui seguirà una breve rincorsa ed un tuffo. Neanche il tempo
di prendere il largo, e di assaporare la dolce fatica del
nuoto, che presto la sua traiettoria incrocerà quella di
una simpatica medusa, la quale, risentita per l’inevitabile scontro, col suo veleno gli gonfierà la faccia come
una zampogna. Dopo una veloce corsa alla guardia
medica, e un esborso economico non indifferente per
l’acquisto di secchiate d’ammoniaca da spalmare sul
volto, della medusa nessuno saprà più nulla: una sola
vittima su duemila campeggiatori.
Per lo sfigato, questo significa rinunciare al mare
per almeno cinque giorni. Il sesto e il settimo pioverà.
L’ottavo giorno andrà via, salutato dal solito acquazzone estivo. Tornerà dunque nel luogo di residenza in
condizioni pietose, col volto rosso e turgido, puzzando
come un cane bagnato.
Pur di non cadere vittima dei soliti luoghi comuni,
dirà a tutti di essersi divertito da matti, ma nessuno capirà una sola parola dei suoi discorsi, a causa delle
labbra gonfie. Alcuni paesani piuttosto irascibili, credendosi presi in giro, lo picchieranno a sangue.
Se il campeggiatore iellato è tale in senso stretto,
invece, almeno uno dei suoi arti presenterà, come già
accennato, un qualche tipo di ingessatura. In questo
caso lo sfigato parte dalla città con la piena consape-
volezza di dover rinunciare al mare, ma comunque
pronto a godersi l’atmosfera distensiva della pineta.
Anche lì, tuttavia, il pericolo è in agguato. Al di sopra dello sfigato aleggia un destino crudele ed ineluttabile, che pare seguire la nota legge di Murphy, secondo cui se qualcosa deve andar storto, ci andrà comunque. E in tal senso, allo sfigato può davvero accadere di tutto, da incursioni notturne ad opera di serpentelli potenzialmente mortali (quelli innocui snobbano le tende degli sfigati), a cadute tragicomiche in
tombini lasciati incautamente aperti da inservienti
vendicativi, per arrivare ad incontri teoricamente impossibili in una banale pineta.
Ad esempio, se lo sfigato è destinato ad incontrare
una medusa urticante, egli la incontrerà comunque,
che faccia o meno il bagno. A volte lo sfigato sembra
quasi presagire l’incombere della iella, e cerca di tutelarsi come può; in questo caso, per evitare i pericoli
del mare, egli riterrà sufficiente passeggiare per ore
all’interno del boschetto, e stare il più lontano possibile dalla spiaggia.
La sfortuna (che, com’è noto, ci vede benissimo) lo
coglierà allora nel luogo e nel modo più impensabili.
La rappresaglia si manifesterà sottoforma di brufoloso tredicenne, che il giorno di Ferragosto, ignaro di
essere una pedina manovrata dal fato, riempirà un secchio pieno d’acqua marina e si nasconderà dietro un
albero, pronto a fare un bel gavettone “al primo che
passa”.
Il primo che passa non potrà che essere lo sfigato,
intento a leggere le ultime righe di un romanzo giallo
lungo seicento pagine. Al momento di scoprire, dopo
mesi d’attesa, l’identità dell’assassino, il ragazzino
uscirà allo scoperto e lo inzupperà per bene.
Le conseguenze di questo vile attentato saranno
quattro:
1. lo sfigato non saprà mai chi ha ucciso la protagonista del romanzo, e dovrà ripagare il libro all’amico
che gliel’ha prestato (il quale, ovviamente, non gli rivolgerà mai più la parola);
2. con la coda dell’occhio, lo sfigato vedrà un celenterato gelatinoso, trasparente e pieno d’acqua dirigersi inesorabilmente verso di lui, come già previsto
da un destino infame;
3. per la sorpresa e per lo spavento, lo sfigato cadrà
all’indietro, franando in un rovo di physostigma venenosum, e comincerà a starnutire come un disperato;
4. i vicini di tenda, inorriditi dal suo aspetto, e infastiditi dal suo continuo starnutire, cercheranno di fucilarlo durante la notte.
Sospettando di non essere gradito, il mattino seguente lo sfigato caricherà tutta la sua roba sull’auto,
deciso ad andar via.
Ma quando girerà la chiave per accendere il motore
della vettura, un fumo denso e grigio, fuoriuscendo dal
cofano, lo informerà che l’incubo non è ancora finito.
Lo sportivo
Il suo arrivo in campeggio è di quelli che si fanno
notare. Il camper dello sportivo, infatti, è caratterizzato dalla presenza di una quindicina di biciclette appiccicate alla carrozzeria, spesso anche sul parabrezza
anteriore, in tutte le posizioni possibili e immaginabili.
Una volta giunto in piazzola, il campeggiatore in
questione tira fuori dal suo camper talmente tanta di
quella attrezzatura sportiva da poter improvvisare
un’Olimpiade all’interno del camping.
Naturalmente, pur dilettandosi in più di una disciplina, e pur considerandosi un onnivoro per quel che
concerne lo sport mostrato in televisione, egli predilige in generale una sola attività sportiva, che pratica in
campeggio con scrupolosa regolarità.
A seconda di questa, lo sportivo può essere inquadrato in una delle seguenti sottocategorie.
Il maratoneta ectoplasmico
Il più misterioso fra gli sportivi da campeggio.
Uomo o donna che sia, lo si vede (o lo si sente) passare davanti alla propria piazzola alle sette di mattina,
per poi perderlo di vista fino al giorno seguente, quando, alla stessa ora, lo si rivede (o lo si risente) passare
di fronte alla propria tenda.
Le teorie sono quattro:
1. il maratoneta ectoplasmico è un campeggiatore
che si è perso da bambino, e che gira in tondo attorno
al camping alla ricerca dei genitori, morti ormai da
vent’anni;
2. il maratoneta ectoplasmico è un folle che si alza
ogni mattina alle sei, già vestito da perfetto mezzofondista, parte alle sette dalla propria piazzola, passa davanti alla vostra a velocità sostenuta, poi inchioda tre
piazzole più in là, dove chiede ad un perfetto sconosciuto se ha del caffé da prestargli. Non avendo, in seguito, la benché minima intenzione di tornare indietro,
il maratoneta ectoplasmico scongiura il nuovo amico
di prendere il caffé insieme. Andrà via diciotto ore
dopo;
3. il maratoneta ectoplasmico è un patetico pseudosalutista che ogni giorno tenta di convincere moglie e
figli a correre con lui. Questi tentativi, in realtà, nascondono un fine occulto: egli, nonostante quello che
vorrebbe far credere, non spera di salvare dall’obesità
i propri familiari, ma se stesso. Una volta girato l’angolo, infatti, il maratoneta ectoplasmico, consapevole
di non essere visto da nessuno, cede alla tentazione e
si fionda nel bar del campeggio, divorando quintali di
ciambelle che tenterà inutilmente di smaltire correndo
sino al mattino successivo;
4. il maratoneta ectoplasmico è veramente un ectoplasma. Il suo scheletro giace sotto la vostra tenda, e
in realtà voi siete gli unici a vederlo e a sentirlo.
Il tennista pallonaro
La maggior parte dei tennisti da campeggio è costituita da patetici cinquantenni con pancioni da settimo
mese, spinti da reminescenze adolescenziali a calcare
la superficie cementata del campo, infischiandosene
del caldo e soprattutto degli ictus.
La peculiarità di questi soggetti sta tutta nelle scuse
che adducono per giustificare la loro impreparazione
tecnica. La più utilizzata è senz’altro “sono quindici
anni che non tocco una racchetta”, seguita da “c’è
troppo vento oggi” e da “questa racchetta fa schifo”.
I tennisti più navigati sparano fesserie di livello
stratosferico pur di dare un senso alle loro sconfitte.
Quelli più in là con gli anni, davanti a un triplo,
umiliante sei a zero, cominciano a sostenere che ai
loro tempi i campi da tennis erano grandi la metà, e ci
si stancava meno. Se qualcuno gli fa notare che in televisione, quindi, già all’epoca avrebbe dovuto notarsi
una sproporzione fra le dimensioni del campo e quelle
dei giocatori, il tennista pallonaro, per togliersi dall’impaccio, tenta di convincere gli interlocutori più
giovani che Borg e Panatta, nella famosa finale che li
vide uno di fronte all’altro, non fossero alti più di un
metro e venti.
Le nuove leve non sono da meno. Molti trentenni
sono soliti raccontare la balla per eccellenza, quella
della sedia a rotelle. Con sguardo serio e voce impostata, raccontano di essere stati ad un passo dalla morte sino a un mese prima, quando un terribile incidente
stradale li ha privati dell’uso delle gambe. Da allora
hanno seguito un rigido programma di recupero, superato brillantemente grazie ad una straordinaria forza di
volontà. Casualmente, il periodo di riabilitazione ha
avuto termine cinque minuti prima di scendere in
campo.
Della sedia a rotelle, però, nessuna traccia.
Il giocatore di bocce
Il giocatore di bocce, all’interno del campeggio,
non esiste. O meglio, nessuno l’ha mai visto. Sebbene
ogni camping disponga di almeno un campo da gioco,
la desolazione che regna attorno alla struttura in cemento richiama da vicino quella che pervade le cittàfantasma dei film western.
Negli ultimi cinquant’anni, in Italia, è stato registrato un unico, epico incontro di bocce, avvenuto in
un campeggio del Sud intorno agli anni Settanta. Di
fronte, due vecchietti arteriosclerotici, carichi di spirito agonistico e di catarro.
La sfida durò la bellezza di trenta secondi.
Il primo dei due vecchietti, infatti, commise l’errore
di tentare un veloce quanto inopportuno riscaldamento: alla terza flessione fu portato via in stato di shock.
L’altro, invece, riuscì ad effettuare il lancio, e la
sua boccia si avvicinò notevolmente al pallino. Il vecchietto rise e restò impalato ad osservare il risultato
ottenuto.
Dopo qualche secondo un tizio, fra coloro che guardavano la partita, informò il vecchietto che il gioco
prevedeva ulteriori lanci. Dopo alcuni istanti di comprensibile disorientamento, l’uomo tornò a fissare il
campo da gioco, e ricominciò a ridere.
- E perché mai? -, disse, - … io sono già contento
così!
Voltò le spalle al pubblico, e andò via scatarrando.
Il calceggiatore
Il calcio è lo sport maggiormente praticato anche in
campeggio. Ma lo spirito agonistico che contraddistingue i giocatori di serie A non è nulla in confronto alla
ferocia dei campeggiatori (volgarmente detti “calceggiatori”) che si cimentano col calcio a cinque.
Amicizie ventennali finiscono malamente per colpa
di una banalissima partita di calcetto. Ragionieri e
commercialisti noti per la loro professionalità minacciano di rendere pubblici i vostri dissesti finanziari se
soltanto vi azzardate a sbagliare il rigore decisivo. Docenti di filosofia con vent’anni di carriera alle spalle
promettono di infilarvi chissà dove l’intera produzione
di Kant, se l’arbitro non concede almeno cinque minuti di recupero.
E che non vi salti in mente di invitare una donna a
giocare con voi, magari sperando che la sensibilità
femminile possa avere la meglio sull’irascibilità maschile! Perché qualunque donna, anche la più mansueta, si trasforma in una belva assetata di sangue durante
una partita di calcetto. Lo diventa minuto dopo minuto, per questioni psico-fisiche: infatti, essendo la maggior parte delle donne assolutamente scoordinata, ella
tenterà invano di colpire il pallone, mancandolo o
svirgolandolo puntualmente. Ne deriverà una sensazione di fastidio crescente, e un senso di sfida nei confronti di se stessa, che in seguito diverrà sfida nei confronti di tutti quegli uomini che hanno osato punzecchiarla nei minuti iniziali.
Se fra questi figura suo marito, il pover’uomo verrà
dileggiato dalla moglie con frasi del tipo “non riesci a
reggere cinque minuti a letto, figuriamoci un’ora sul
campo di calcio”, o peggio ancora “non vedo l’ora di
andare negli spogliatoi con i miei compagni di squadra”.
Dopo sessanta minuti di minacce, ingiurie, calcioni
e umiliazioni, la partita ha termine.
Solitamente, dopo il fischio di chiusura tutto viene
gettato alle spalle. Ma c’è ancora chi aspetta di veder
uscire la propria moglie, e i propri amici, dalle docce
del campeggio…
Il giocatore di ping-pong
Ogni campeggio, solitamente, mette a disposizione
degli astanti un tavolo da ping-pong, e organizza tornei in cui giocatori più o meno bravi si sfidano a suon
di schiacciate e palle corte. Gli incontri, però, vengono funestati regolarmente da un insopportabile vento,
che si diverte a mutare la traiettoria della pallina con
risibile facilità.
Tiri lenti ed effettati si trasformano, così, in fucilate
capaci di perforare il torace dell’avversario; bordate
d’inaudita violenza, invece, varcano a malapena la
rete che separa le due metà del campo.
Paradossalmente, il vento resta l’alleato numero
uno degli imbranati, che possono schermarsi dietro
questa scusa per giustificare i loro lisci clamorosi; anche le belle ragazze giungono sovente in loro aiuto,
poiché non c’è giocatore che non vada in tilt davanti
ad un manipolo di seni in bella vista.
Il maniaco del ping-pong, tuttavia, non deve guardarsi soltanto da loro: c’è un individuo ancor più vi-
scido e pericoloso che trama alle sue spalle, conosciuto con il nome di nano spione.
Trattasi di un bambino di non più di dieci anni, che
staziona sistematicamente alle spalle del giocatore; lo
si può vedere soltanto con la coda dell’occhio, e rischia di essere colpito o investito ogni volta in cui il
giocatore arretra di un passo.
Prima o poi uno dei due sfidanti perde la calma e si
gira per rimproverarlo: a quel punto il nano spione ha
già cambiato posizione, ed è comparso magicamente
dietro le spalle dell’altro giocatore. Il quale, a sua volta, dopo pochi minuti si volterà per dirgliene quattro, e
vedrà il bambino che, seduto a cinquanta metri di distanza, lecca tranquillamente il suo gelato.
L’unico modo per farlo cadere in trappola è offrirgli la racchetta da ping-pong: davanti ad una simile
tentazione, il nano spione si avvicinerà senza opporre
resistenza, ignaro della corda e del bavaglio che nascondete dietro di voi.
Il cestista solitario
Il campo di pallacanestro, spoglio e malcurato, è attiguo solitamente a quello di calcetto, strabordante di
persone e perfettamente funzionale.
Tale accostamento funge da lente d’ingrandimento
per la mesta e solitaria figura che vaga fra i ciuffetti di
erba incolta del campo da basket: il cestista solitario.
Trattasi per lo più di un ragazzo fra i quindici e i
vent’anni, vestito come un giocatore dell’NBA ma
alto non più di un metro e sessanta, nemico giurato del
Il cestista solitario
calcio (che reputa uno sport per imbecilli) e delle ragazzine che orbitano attorno ai calceggiatori.
Non avendo uno straccio di amico con cui condividere la sua passione, il cestista solitario trascorre le
ore a palleggiare con una mano, e a provare tiri liberi.
Predilige le giornate uggiose, ed è felice se il vento
trasporta il rumore del mare fino al campetto di basket. Tra un tiro libero e l’altro, recita Leopardi.
Se vedete un cestista solitario attaccare una corda al
canestro, chiamate subito soccorso.
Lo sportivo da spiaggia
Lo sport da spiaggia per eccellenza rimane la pallavolo, giocata rigorosamente con regole spurie.
Innanzitutto, viene modificato il numero dei partecipanti: da sei contro sei a diciotto contro diciotto.
L’alta densità di giocatori per metro quadro fa sì
che venga bandito il tuffo in avanti, onde evitare di
abbattere come birilli i propri compagni di squadra.
È vietato altresì rivolgersi alla palla urlandole:
“Mia!”.
Si sa infatti che ad un simile richiamo (la scienza
non ha ancora spiegato il perché) tutti i presenti si gettano contemporaneamente sulla palla, e che a nulla
vale urlare l’aggettivo contrario (“vostra”), perché in
questo caso nessuno si degnerà di prenderla…
È noto, infine, che parecchi ragazzi utilizzano proprio questa tecnica per saltare addosso alle giocatrici
più formose: peccato che le ragazze lo sappiano, e nelle fasi di gioco tendano spesso a cambiar di posto, ce-
dendo il proprio a qualche omaccione dai gusti sessuali ambigui…
Altro oggetto molto usato sulla spiaggia è il frisbee,
sorta di variopinto disco volante in grado di suscitare
stupore con le sue evoluzioni aeree, ma anche rabbia e
attacchi isterici qualora non venga utilizzato con la
dovuta accortezza. Tutto sta in chi lo manovra. Un frisbee usato male può divellere cornee e scoperchiare
calotte craniche. Un frisbee ben adoperato, invece,
può rendervi popolari in molti modi: i lanci alti e lunghi, a planare, attirano spesso gli sguardi d’ammirazione dei bagnanti.
Un turista tedesco, una volta, per conquistare l’attenzione della ragazza amata, lo sparò talmente in alto
che il frisbee scomparve sotto gli occhi di tutti noi, divenendo un puntino in movimento nel cielo.
Ricadde a distanza di dodici giorni, recando con sé
un simpatico peluche di koala e una scatola di cioccolatini con la scritta “I love you”.
Una volta che il frisbee si fu posato sulla spiaggia,
realizzammo che il koala era vero.
La corsa, invece, è uno dei pochi sport praticati regolarmente da entrambi i sessi. Tuttavia, è facile distinguere coloro che lo praticano seriamente da coloro i
quali utilizzano la corsa per attirare su di sé l’attenzione dei bagnanti.
I primi, difatti, compaiono in spiaggia già alle sette
del mattino, saltellano qua e là per un’ora, poi fanno il
bagno in mare e tornano in campeggio.
I secondi, invece, attaccano a correre esclusivamente attorno alle undici, con la spiaggia già strapiena di
persone. Unti da far schifo, esibiscono bicipiti steroidizzati o tette ultrastrizzate, occhiali da sole a specchio e abbronzature perenni. Corrono a testa alta, elaborando (con l’unico neurone a disposizione) veloci
quanto improbabili indici di gradimento, basati sul numero di persone intente a guardarli.
Naturalmente, chi li osserva lo fa per potersi abbandonare a qualche battuta triviale, non certo per interesse (maniaci sessuali e tredicenni infoiate a parte).
C’è perfino chi approfitta della loro untuosità, sottraendo olio prezioso dai loro corpi bitorzoluti: esiste
gente capace di risparmiare sull’abbronzante per settimane, semplicemente attendendo il loro passaggio per
poter riempire le boccette vuote.
Non è cosa rara, inoltre, vedere alcuni di questi soggettoni correre felici per la spiaggia, con una trentina
di bruschette appiccicate alla schiena.
C’è, infine, chi si diletta anche in campeggio nello
sport “marino” per eccellenza, la pesca.
Questo sport è noto per il grado di follia che contraddistingue la maggior parte dei suoi adepti. Altrettanto nota è l’abnorme sproporzione che intercorre fra
lo sforzo (economico, ma non solo) affrontato dal pescatore, e la risultante dei suddetti sforzi. Il pescatore
medio spende centinaia di euro per acquistare lenze,
esche, galleggianti, arpioni, maschere subacquee e
quegli stupidi cappelli da pseudo esperto, restando sugli scogli (o sott’acqua) per ore.
Tutto quel che ne ricava, di solito, non è più grande
di un’aringa.
Molti pesci, commossi dalla dedizione con cui questi individui si sforzano di catturare alcuni di loro, ab-
boccano volontariamente all’amo. I più caritatevoli si
cospargono di menta e rosmarino, oppure indossano
vestiti di carta stagnola per agevolare il lavoro delle
mogli dei pescatori, le vere vittime di quell’insana
passione chiamata “pesca”.