articoli modello intergato aspic

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articoli modello intergato aspic
Dizionario Internazionale di Psicoterapia
GARZANTI 2013
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Finalità e pianificazione del trattamento integrato.
L’obiettivo del percorso terapeutico è consentire all’utente di riesaminare la sua storia passata
(costruendo
la sua identità), attivarsi energicamente nel presente (connessione mente/corpo), progettare
realisticamente
il suo futuro (influenzando il suo destino in un nuovo stile di vita funzionale). Per conseguire tale
risultato è
necessario procedere con prudenza effettuando un assessment generale cui segue una valutazione
psicodiagnostica progressiva sui risultati raggiunti in itinere, nelle quattro fasi principali in cui si
articola la psicoterapia integrata. La prima è la fase iniziale dell’accoglienza: si effettua un’analisi
della domanda, dei bisogni, delle necessità e si chiarisce l’insorgenza dei problemi. Dopo aver
contestualizzato il paziente nel suo “sistema”, si propongono alcuni colloqui clinici e si cerca di
infondere la speranza per rassicurare l’utente; si valuta quindi la fattibilità della presa in carico,
sulla base di elementi quali la cronicità, la motivazione e lo stadio di prontezza al cambiamento
(ambivalenze rispetto all’entrare in terapia). La seconda fase è quella della pre-terapia: l’ assessment
è multidimensionale, mediante interviste cliniche semistrutturate e batterie di Test logiche
idiografiche (caratterizzanti la specificità del soggetto) e una serie di Test nomotetici (inventari
standardizzati) per valutare i sintomi e le risorse potenziali (vulnerabilità, resilienza, coping) per
formulare un progetto di cura. Viene restituito alla persona un profilo esplicativo con indicazioni
sulle modalità del trattamento psicoterapeutico ipotizzato (frequenza, intensità, durata). La terza
fase della psicoterapia consiste nell’attuare il piano di trattamento olistico su misura, finalizzato a
modificare lo stress complessivo generato dal disturbo.
L’alleanza empatica (coinvolgimento, legame affettivo e aderenza al trattamento) costituisce un
fattore
predittivo per la costruzione di una buona relazione terapeutica collaborativa e finalizzata verso
obiettivi
condivisi. Spesso sono assegnati compiti per modificare alcuni schemi mentali e agevolare il
cambiamento
desiderato dall’utente. Valutazioni progressive sull’efficacia degli interventi servono a misurare in
itinere i
mutamenti avvenuti nella struttura della personalità e l’entità del miglioramento sintomatico. Nella
fase conclusiva, tramite la somministrazione di questionari si valutano gli esiti del percorso
effettuato, il raggiungimento degli obiettivi concordati e la stabilizzazione degli effetti terapeutici.
Infine, va sempre previsto nel tempo un follow-up per il rinforzo e la stabilità degli esiti (benessere,
qualità della vita, un senso valoriale ottimistico e umoristico con emozioni positive).
Storiografia e sviluppi dell’integrazione.
Nel 1910, durante un congresso internazionale, S. Freud dichiarava che la tecnica della cura tramite
la parola
e l’interpretazione doveva essere modificata in quanto risultava insufficiente per alcuni pazienti
fobici. In seguito, per motivi di ordine economico, per vari anni hanno prevalso ortodossie
antiscientifiche e si sono creati monopoli di cultura ideologica che hanno portato alla nascita di
numerosi modelli di psicoterapie (censiti in una babele di oltre 400). Tuttavia, gradualmente si è
raggiunto un accordo sul riconoscimento di alcuni principi sovrani, dando così conferma scientifica
ai primi grandi modelli di base: ragioni inconsce determinano il comportamento (psicodinamica),
ma anche il condizionamento ambientale influenza le nostre azioni (comportamentismo) e pure la
percezione soggettiva di sé orienta il nostro essere al mondo (umanistico-esistenziale). Negli anni
1930-1980 sono state effettuate diverse forme sperimentali di accorpamento dei principali modelli
di base, includendo anche gli approcci corporei, sistemici e ipnotici.
Tra il 1995 e il 2002 sono state condotte importanti ricerche scientifiche di rilevanza internazionale
sulla valutazione effettiva dei risultati in psicoterapia. Nell’ambito delle associazioni dei
consumatori, ma anche attraverso prestigiose ricerche meta-analitiche in contesti accademici, è stato
decretato il principio di uguaglianza: uguale efficacia circa gli esiti anche utilizzando procedure
tecniche differenti. Alle psicoterapie veniva riconosciuta realmente la capacità di raggiungere
obiettivi ed effetti desiderati. Nella clinica, il modello bio-psico-sociale diventava la strategia
elettiva d’intervento ottimale,
Integrata, psicoterapia
Intervento psicoterapeutico che utilizza in modo flessibile metodologie, tecniche e strategie derivate
da più modelli teorici, per progettare e attuare un’interazione su misura, maggiormente
personalizzata per il fruitore. Obiettivo della psicoterapia integrata è modificare l’esperienza
soggettiva, il funzionamento adattivo e la qualità della vita dell’utente. I destinatari sono
generalmente persone che decidono di usufruire di una psicoterapia per problemi sintomatici,
disturbi d’identità e/o difficoltà relazionali che causano sofferenza psichica e disagi
comportamentali (Giusti, 2006/Treccani).
Integrata, Psicoterapia
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in quanto la domanda da porsi è la seguente “quale trattamento è il più appropriato per questo
individuo, con questo problema specifico e in questo sistema/contesto particolare (efficacia), e chi
può eseguirlo nel più breve tempo possibile e con i minori costi (efficienza)?”. Ne consegue che,
presi singolarmente, i numerosi modelli terapeutici risultano in parte insufficienti, e per potenziare
l’efficienza dei trattamenti la S.E.P.I. “Società per l’Esplorazione delle Psicoterapie Integrate”, il
movimento che raggruppa le ricerche per l’integrazione delle psicoterapie, ha ricevuto un crescente
consenso tra i professionisti. Nella clinica applicata è stato adottato un metamodello orientativo che
prevede i seguenti metodi d’intervento: eclettismo
tecnico (selezionare procedure efficaci parziali da diverse teorie); integrazione teorica (combinare
due o più
teorie diverse); processi di cambiamento (interventi trans teorici nelle varie fasi evolutive del
trattamento); fattori comuni (selezionare elementi decisivi ed essenziali per la relazione
terapeutica); integrazione assimilativa (un modello centrale con innesti utili di tecniche prese da
altri modelli). Non si cerca più il modello terapeutico migliore, ma piuttosto il miglior aspetto di
ogni approccio per le diverse priorità terapeutiche e in base alla complessità dei problemi
(comorbilità polisintomatiche) e delle situazioni
contestuali in cui è inserito l’utente. Per raggiungere gli obiettivi, definiti sempre in accordo con il
fruitore, vanno somministrati ingredienti relazionali considerati necessari (fattori aspecifici) e vanno
dosati alcuni principi attivi utili (prescrizioni specifiche) per orientare e accelerare il cambiamento.
Secondo le più recenti ricerche scientifiche, le variabili essenziali che determinano gli esiti sono
così quantificate: 3% l’interazione, 7% la personalità dello psicoterapeuta, 8% il metodo di
intervento, 12% la relazione terapeutica, 30% il contributo dell’utente (aspettative, predisposizione,
gravità disfunzionale), 40% l’ecosistema di supporto sociale (eventi di vita favorevoli o avversi).
Nella pratica clinica, i principali fattori curativi derivano
dall’applicazione di: tecniche psicoeducative che accrescono la consapevolezza; esperienze
catartiche
emotive correttive di sollievo con la drammatizzazione; controcondizionamento e controllo dello
stimolo; controllo e gestione del rinforzo; autoliberazione di sé e del contesto sociale. Tutti questi
fattori curativi hanno l’obiettivo di trattare disturbi, di far superare traumi e dissociazioni e di
costruire nuovi schemi comportamentali adattivi.
L’arte clinica consiste nell’umanizzare l’incontro armonizzandolo con le metodologie tecniche per
monitorare e calibrare il dosaggio relazionale e la frequenza di interventi di bassa intensità o di alta
intensità somministrati in terapia. Interventi processuali relazionali “caldi” (comprensione empatica
non direttiva) e prescrizioni alternate di procedure “fredde” (empatia cognitiva direttiva).
Favoriscono sia il superamento delle resistenze al cambiamento sia una rinnovata mentalizzazione
emozionale mediante uno stile di attaccamento più sicuro. I mattoni costitutivi ed essenziali
dell’approccio integrato si basano sulla mappatura dell’etica dei migliori risultati basati su prove di
evidenza emerse durante le attività pratiche e qualitative provenienti dall’esperienza dei
professionisti, su prove sperimentali randomizzate di evidenza scientifica disponibili e comprovate
dai dati quantitativi provenienti dalla ricerca in laboratorio e sulle preferenze soggettive e sul
gradimento degli utenti fruitori – che si formalizza nell’applicazione degli elementi comuni
fondamentali, universalmente condivisi e distillati da vari modelli terapeutici comparati.
Verso un pluralismo metodologico integrato.
Le ricerche e lo stato dell’arte professionale nel settore dell’integrazione si basano su procedure
codificabili
provenienti sia da standard empirici che da prove di evidenza scientifica. Il pluralismo evita al
clinico di rifugiarsi in un’identità professionale rigida presumendo di possedere una verità unica e
immutabile. Inoltre gli consente di smarcarsi da teorie ideologiche e fideistiche autoreferenziali e di
avvicinarsi alle posizioni della ricerca a prove di evidenza scientifica (validità e verifica). All’utente
fruitore offre la possibilità di aderire esclusivamente alle proposte tecniche e metodologiche di
gradimento e che ritiene utili, con ampia libertà. In questo ambito, la ricerca scientifica avanza
sempre con prudenza e fornisce utili indicazioni provvisorie, senza la pretesa di giungere a
conclusioni definitive.
Edoardo Giusti
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Psicoterapia pluralistica integrata
Alcuni aspetti essenziali per la pratica
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Psicoterapia pluralistica integrata
L’applicazione iniziale di uno schema teorico e diagnostico differenziale è necessario per
valutare i livelli di psicopatologia e le relative indicazioni e controindicazioni, rispetto a eventi
acuti e a rischio (Giusti e Bruni, 2009) e circa la fattibilità di un intervento psicoterapeutico
(Giusti et al., 2006; Spalletta, 2010).
Sin dagli incontri preliminari, vanno valutate l’aspettativa e l’adesione al trattamento
dell’utente fruitore del servizio, espresse dalla disponibilità e dalla prontezza a collaborare
verso obiettivi condivisi (Manucci e Di Matteo, 2010). Vanno anche considerate le risorse
individuali (resilienza) e di rete a disposizione per concordare alcuni obiettivi immediati e
a breve scadenza, al fine di ipotizzare un’eventuale evoluzione progressiva del trattamento
nel tempo (Giusti e Vigliante, 2009).
Dopo aver facilitato il discorso del paziente, una spiegazione adeguata va fornita anche
attraverso metafore (Giusti e Ciotta, 2005), per chiarire e rendere comprensibile alcuni
collegamenti circa l’origine dei problemi e i necessari interventi sequenziali per affrontare
le dolenze. Indispensabili e proficui sono i feedback, tempestivi, puntuali, regolari, tesi
a confermare i progressi avvenuti in itinere e, quando necessario, a confutare pensieri
irrazionali e distruttivi. Le pause significative (silenzi) vanno interpretate con tatto, se sono
molto frequenti.
Il circolo ermeneutico della relazione terapeutica (Clarckson, 1997) è stato confermato
dalle numerose ricerche scientifiche come il cuore pulsante dell’insieme dei rituali del
percorso della cura. La costruzione e il mantenimento dell’alleanza relazionale costituiscono
abilità fondamentali per consolidare la collaborazione e l’adesione alle indicazioni cliniche
(compliance).
L’alleanza e l’atteggiamento supportivo sono, inoltre, il miglior fattore redittivo di un buon esito.
Saranno le caratteristiche specifiche di ogni paziente a consentire di pianificare strategie
personalizzate (tailor made), modulate sui livelli di deterioramento funzionale e di resistenza, con
interventi elettivi mirati e sequenziali (stage of change) nel corso del trattamento (Norcross, 2002).
La rilevazione progressiva delle aspettative e della speranza di miglioramento, come anche della
motivazione, consentirà di utilizzare questi fattori come risorse importanti nel controbilanciare le
previste oscillazioni nell’impegno (resistenze) e l’ambivalenza difensiva circa il necessario
coinvolgimento partecipativo al cambiamento (Arkowitz et al., 2010).
Le abilità necessarie (struttura interattiva) per riparare le inevitabili rotture dell’alleanza
nel corso del trattamento si acquisiscono con l’esperienza e fanno parte dello stato dell’arte
e della credibilità del clinico (Safran e Muran, 2001). La responsività empatica (Giusti
e Locatelli, 2007) e il rispecchiamento affettivo (Hill, 2009) preservano il legame di
attaccamento (Holmes, 2004), incoraggiano il processo della cura e prevengono possibili
ricadute. I terapeuti esperti sanno svincolarsi dalle trappole traslative (Juston e Giusti, 1991),
utilizzano transfert e controtransfert per contenere e metabolizzare agiti seduttivi e reazioni
impulsive che interferiscono con il patto terapeutico. Sotto stress emergono strappi e fratture
nel rapporto, che vanno interpretati con cura e usati per una maggiore consapevolezza,
consentendo al paziente di beneficiare di una nuova esperienza emotiva, correttiva,
riparativa e integrativa (Giusti e Di Fazio, 2008). La personalità dello psicoterapeuta, in
formazione permanente, ha una valenza curativa e risulta essere l’agente mutativo principale
del trattamento, correggendo i deficit e promuovendo la salute per lo sviluppo di un’identità
stabile e autonoma.
Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo in continue riedizioni
interpersonali. Spiegazioni e collegamenti (Giusti e Minonne, 2004) vanno forniti
empaticamente per medicare antiche ferite narcisistiche del paziente (Giusti e Rapanà, 2002)
anche mediante l’autorivelazione e l’autosvelamento del terapeuta (Giusti e Lazzari, 2005)
e riconoscendo prontamente quei fallimenti empatici che possono altrimenti produrre crepe
relazionali.
La psicoterapia va considerata “la terapia dell’intimità”, in quanto aiuta a sperimentare
nel qui e ora le mappe relazionali primarie, in un modo diverso, correttivo, consentendo così
il superamento “in vivo” delle relazioni interpersonali fallimentari.
Specifiche tecniche di autosostegno, come quella della “mindfulness”, vanno proposte
in base alla prontezza al cambiamento e al livello di autosviluppo maturativo dell’utente.
Integrazioni di approfondimento, come una psicopedagogia della respirazione e del
rilassamento, risultano particolarmente utili per la desensibilizzazione di eventi ansiosi
(Shapiro e Carlson, 2009).
Promuovendo la mentalizzazione, alcune funzioni delle strutture cerebrali sono restaurate
per ridurre l’intensità delle tempeste emotive, colmare il senso di vuoto ed elaborare vissuti
traumatici (Allen et al., 2010).
I prevedibili ostacoli relazionali (conflitti) possono essere elaborati e superati attraverso le
tecniche immaginative (Giusti, 2007) e con il role-play (Giusti e Ornelli, 1999; Giusti e Rosa,
2006), che risultano tecniche elettive per armonizzare gli opposti interni, le dissociazioni
intrapsichiche e i problemi contestuali, che spesso ostacolano la prosecuzione del trattamento
quando si tende a modificare comportamenti disadattivi radicati. La biblioterapia e i compiti
da svolgere a casa sono spesso un supporto proficuo per gli interventi sulla ‘patogenesi’.
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Psicoterapia pluralistica integrata
Le recenti conferme ricevute dalla ricerca scientifica hanno validato l’efficacia della
psicoterapia come strumento utile sia per alleviare la sofferenza, sia per superare specifiche
difficoltà (Castonguay e Beutler, 2006; Dazzi et al., 2006). Il cammino psicoterapeutico
si correla, inoltre, con un incremento dell’indice di benessere (capacità autoriflessiva)
e soddisfazione personale ‘salutogenesi’, attraverso la realizzazione di attività e scelte
appaganti, espressa nella formula tripartita “avere, amare, essere”. Con la sua efficacia,
la psicoterapia a prova di evidenza del processo dell’outcome produce effetti migliorativi
duraturi e non solo transitori (Norcross et al., 2006). Dopo un trattamento psicoterapeutico,
la maggioranza delle persone sta meglio rispetto all’80% di coloro che non l’hanno ricevuta
(Carr, 2009). Le metanalisi rivelano che il 68% dei casi trattati migliorano significativamente
rispetto al 32% di casi non trattati nei gruppi di controllo (Giusti e Sica, 2006). Inoltre,
analizzando una montagna di studi scientifici, il parametro Effect size, che valuta l’effetto
mutativo e la dimensione di un risultato, è a favore delle terapie dinamiche a lungo termine,
che aumentano l’efficacia anche nel tempo (Shedler J., 2010).
Per di più, grazie alla diagnostica per immagini “PET Neuroimaging”, si è potuto
fotografare l’impatto degli eventi relazionali in interazione con i processi neurofisiologici
interni. Attraverso la rilevazione di indicatori di una maggiore plasticità sinaptica cerebrale
(Merciai e Cannella, 2009), sono state documentate le modificazioni metaboliche in
specifiche aree cerebrali determinate dalla psicoterapia. Un cambiamento duraturo richiede
una relativa disattivazione dei collegamenti problematici nelle reti attivate e l’attivazione di
connessioni nuove (Gabbard e Westen, 2008). Controindicazioni e ricadute intervengono in
minor misura con la psicoterapia che con la farmacoterapia (Wampold, 2010).
Gli interventi vanno bilanciati e flessibilmente orientati tra un polo narrativo evocativo,
con insight (Castonguay e Hill, 2007) al servizio della comprensione e della relazione
‘codice affettivo’, e un polo prescrittivo delle azioni, con la sperimentazione di compiti a
casa al servizio di un cambiamento comportamentale (Stricker, 2010), utilizzando anche la
scrittura per l’automonitoraggio e la cura di sé attraverso strumenti quali il diario, l’agenda
e simili (Giusti et al., 2004). Essere creativamente tempestivi (Cesa-Bianchi et al., 2009) e
spontanei nella somministrazione dei principi terapeutici attivi produce effetti immediati nei
clienti (Elliot et al., 2006).
Infine, proporre la psicoterapia di gruppo basata sulla teoria dei sistemi complessi e
svolta con una coppia di conduttori (Giusti e Montanari, 2005) è spesso un complemento
utile al percorso individuale. Risulta, infatti, un acceleratore esperienziale di efficienza, parte
della quale deriva dalle risonanze emotive socio-affettive evocate e dai feedback suscitati
nei partecipanti a partire dalle espressioni soggettive di autosvelamento e attraversamento
esperienziale catartico. Il gruppo terapeutico è, inoltre, un luogo di verifica degli effetti e dei
risultati conseguiti durante il percorso svolto nel setting individuale (Giusti e Nardini, 2004).
Va tenuto in mente che il progetto d’integrazione pluralistica è frutto dell’esperienza
maturata dagli psicoterapeuti attraverso la costante integrazione dei risultati della ricerca
nella professione clinica (Goodheart et al., 2006).
Il disegno psicoterapeutico pluralistico integrato di cura ha le seguenti finalità:
A) Procedere attraverso una valutazione psicodiagnostica della domanda dei soggetti
e dei contesti
B) Essere sensibilizzati empaticamente alle emozioni agite nelle relazioni 20terapia pluralistica integrata
C) Elaborare strategie diagnostiche e relazioni terapeutiche personalizzate
D) Psicodinamico: storiografia per l’acquisizione di un senso di identità, Umanistico:
per la consapevolezza e la qualità della relazione, Cognitivo-comportamentale: rituali
correttivi per progettare il destino
E) Validare i risultati mediante l’efficacia del processo e delle procedure attuate in
dialettica permanente con la ricerca scientifica.
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Psicoterapia pluralistica integrata
in gruppo
Diversi nostri allievi mi hanno chiesto di definire la segmentazione essenziale del processo
di alcuni interventi personalizzati che svolgo nel setting terapeutico di tipo gruppale. Il contesto
teorico, metodologico e operativo di riferimento è quello del modello pluralistico integrato (Giusti,
Montanari, Iannazzo, 2000), con un’ottica del cambiamento fondata sulla teoria del campo e su una
visione olistica dell’umano, in cui i diversi approcci clinici sono al servizio di una pratica
terapeutica personalizzata. La selezione delle procedure tecniche è basata sull’epistemologia
psicosociologia della molteplicità, sulla migliore ricerca scientifica a prova di evidenza (Evidence
Based). L’intero processo evolutivo di cambiamento si avvale, inoltre, della profonda e articolata
esperienza radicata ed esplicitata nella pratica clinica (Practice Based). I vissuti soggettivi del
partecipante (obiettivi, preferenze, valori e caratteristiche) sono considerati e rispettati per la
compatibilità ottimale e l’efficacia delle strategie cliniche.
Gli esiti del percorso sono rilevati attraverso indicatori di miglioramento, protocollati a
conclusione del trattamento, e riguardano lo stato di benessere complessivo, la riduzione o
scomparsa dei sintomi, valutati in follow-up e confermati da questionari self-report (Giusti, Nardini,
2004). Conduco gruppi con Claudia Montanari dal 1975 e successivamente con Enrichetta Spalletta,
Santa Battistelli e Isabella Piombo. Si tratta di gruppi terapeutici di evoluzione e crescita personale
(Giusti, D’Ascoli, 2000), che traggono notevole vantaggio dall’essere svolti in co-terapia (Giusti,
Montanari,2005). Hanno una durata di due ore o due ore e mezza, secondo il numero dei
partecipanti, che può variare da 8 a 16. Il gruppo è aperto e le persone si inseriscono ed escono in
base al loro specifico momento terapeutico. Nel nostro approccio il lavoro gruppale ha
un’evoluzione che procede per fasi (Benson, 2009).
Fase di pre-terapia di gruppo: il lavoro individuale
Il lavoro terapeutico in gruppo prevede una fase di pre-terapia, condotta a livello individuale con
sedute settimanali. Questa fase include la valutazione diagnostica multidimensionale, che evidenzia
il funzionamento globale dell’individuo e consente di pianificare una strategia personalizzata di
trattamento (formato e intensità in base alla gravità, selezione delle strategie e delle tecniche
compatibili più efficaci). L’intervento individuale iniziale include inoltre una rivisitazione narrativa
della storia anamnestica tramite il genogramma e l’album fotografico, affinché la persona si
riappropri di un senso di identità (Giusti, Vigliante, 2009). Un obiettivo iniziale è legato alla
gestione e all’organizzazione del tempo personale, perseguito attraverso l’addestramento all’uso
dell’agenda (De Luca, Spalletta, 2011). La desomatizzazione dello stress viene favorita attraverso
l’utilizzo del diario clinico (Demetrio, 2008), per fare un lavoro di scrittura introspettiva e
strumento di autoterapia. Successivamente e previa somministrazione testologica sintomatica e
motivazionale, che la persona può essere inserita nel gruppo di psicoterapia.
Il percorso individuale di pre-terapia in gruppo ha lo scopo di costruire una base sicura, di
accoglienza e supporto, di contenere comportamenti emotivamente disorganizzati, stati di
confusione e disorientamento mentale e affettivo, o di ansia eccessiva, di modulare conflittualità
ambivalenti o di sciogliere rigidità e distacco emotivo (Spalletta, 2010). Tutto questo implica tempi
variabili che possono andare da 3 a 6 mesi, o più a lungo termine, secondo lo stato del legame,
l’alleanza e la fiducia terapeutica, la severità patologica del soggetto, le inclinazioni personali e la
sua trattabilità in gruppo (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2006). Al momento dell’inserimento in
gruppo, due sedute individuali vengono sostituite con due incontri di gruppo.
Il percorso psicoterapeutico consisterà così in una seduta settimanale individuale alternata con
una seduta in gruppo. Gli incontri individuali serviranno di supporto per proseguire
approfondimenti
di autoconoscenza, per elaborare dinamiche emerse nel gruppo e per valutare progressivamente i
miglioramenti complessivi (Giusti, 2011).
L’inserimento nel gruppo: le regole del setting
Il partecipante, dopo aver ricevuto un’informativa sulla metodologia utilizzata in gruppo, viene
inserito e accolto dagli altri componenti che offrono il loro contributo di guida, informandolo sui
rituali di convivenza terapeutica attraverso le “regole del gruppo” (Shakoor, 2010). A partire da
quella sulla privacy (riservatezza e confidenzialità: i partecipanti si impegnano a non condividere
con persone estranee al gruppo quanto accade nel gruppo stesso): a quella per cui i partecipanti si
impegnano a non frequentarsi tra loro all’esterno del gruppo (confini del setting) per consentire
una totale libertà espositiva nel momento di esplorazione terapeutica (Benson, 2010). Vengono
comunicate le regole per le assenze, per la chiusura e per il saluto al gruppo.
Quando un lavoro è percepito insostenibile viene interrotto immediatamente se la persona
pronuncia l’esclamazione del “basta davvero!”. Viene esposta la regola, condivisa sull’assunzione
di responsabilità e coinvolgimento attivo, espressa attraverso la “prenotazione” di uno spazio di
tempo per un lavoro esplorativo, scrivendo il proprio nome su una lavagna.
Al termine dell’esplorazione terapeutica gli altri partecipanti hanno il compito di effettuare
interventi propositivi con feedback di restituzione “sterilizzata” per evitare interpretazioni,
proiezioni, giudizi e pregiudizi.
Questo consente di differenziare una restituzione come contributo offerto all’altro, dalle
risonanze emotive che possono essere evocate in chi ha osservato (attivamente) un’esplorazione.
I partecipanti si impegnano a usare nello spazio riflessivo le linee-guida del modello del feedback
fenomenologico.
3
Pcoterapia pluralistica integrata in gruppo
Il lavoro esplorativo individuale in gruppo
Il lavoro terapeutico del partecipante consiste nell’esporre al terapeuta tematiche sul malessere
contingente riguardante il suo mondo interiore (Tomasulo, 1998) e che si esprime anche attraverso
tempeste affettive e comportamenti disadattivi (sintomi, conflitti, inibizioni, dissociazioni, deficit,
perdite, collere, timori) connessi a idee, ricordi, sensazioni e affetti in cerca di risoluzione (Rutan,
2010). Il terapeuta propone di effettuare un’esperienza emotiva intrapsichica o interpersonale di
bassa, media o alta intensità (correttiva, riparativa e integrativa) di restaurazione, di ristrutturazione
oppure di ricostruzione di alcuni aspetti della personalità (Giusti, Rosa, 2006). L’autoesplorazione
ha lo scopo di disattivare i collegamenti problematici, di accrescere la consapevolezza esperita e
l’assimilazione attraverso l’Insight (Castonguay, Hill, 2007) e di sottolineare la valenza adattiva dei
sintomi (Brabender, 2004). Mediante un lavoro drammatizzato e di role-play (Giusti, Ornelli, 1999),
si riattualizzano eventi traumatici pregressi, con una momentanea regressione e abreazione catartica
con cui la persona può rivisitare situazioni antiche (regredire provvisoriamente per progredire). I
vissuti precedenti, non elaborati, sono spesso rimossi e influenzano il presente nella vita quotidiana
(Elliott et al., 2007; Greenberg, 2011). Lo scongelamento e l’espressione di emozioni profonde
antiche e cristallizzate (paure, dolori, rabbia, vergogna, sospetto, ecc) libera nuove energie modulate
procedendo da un impulso distruttivo dirompente ad un impeto moderato e che il partecipante trova
nuovamente a disposizione (Corbella, 2003). L’identificazione emozionale e la verbalizzazione
simbolica (dare senso al presente riletto alla luce del passato) promuovono una narrativa
comunicativa dialogica più congrua per riorientare il futuro (Kaneklin, 2010). Il legame di
attaccamento al gruppo è rinforzato dall’alleanza terapeutica instauratasi con il conduttore e i
partecipanti (Muran, 2010). Durante l’attraversamento, il terapeuta mette alla prova le difese
disfunzionali e rinforza i comportamenti del paziente, che consentono opzioni e prospettive
alternative, con nuovi punti di vista per un migliore adattamento creativo con l’ambiente (Ivey et
al., 2008). Le nuove connessioni, esperite emotivamente insieme ai nuovi significati memorizzati,
facilitano rappresentazioni mentali riadattate e relazioni più soddisfacenti nei contesti ambientali
(empowerment sociale). Per ogni partecipante il gruppo si configura come un grande scenario delle
immagini del proprio mondo interiore (Giusti, Militello, 2011): ognuno rappresenta un aspetto di sé,
attraverso l’interazione attiva con le parti proiettate all’esterno, si avvia il processo di
riappropriazione di elementi scissi, verso un’integrazione identitaria e di individuazione progressiva
(Giusti, 2002). Il cambiamento indotto da diversi stimoli emotivi e verbali modifica la struttura e le
funzioni neurobiologiche cerebrali (Mundo, 2009). Lo stress emozionale genera spesso un
sovraccarico di tensioni somatiche e predispone a cardiopatie e possibili alterazioni di aree
cerebrali, oltre a stati di ansia, disturbi del sonno, contrazioni muscolari, palpitazioni, disturbi
gastrointestinali ecc (Giusti, Di Fazio, 2008).
Quando la sofferenza mentale non riesce ad esprimersi in mancanza di un alfabeto emozionale, si
sviluppano alcuni disturbi psicosomatici con varie somatizzazioni su diversi organi bersaglio. Il
deficit di mentalizzazione simbolica delle emozioni troppo intense e l’assenza di rappresentazioni
immaginative per elaborare i conflitti, alterano l’unità dell’organismo (Giusti, Bonessi, Garda,
2006). Così il gruppo diventa un laboratorio esperienziale dove l’autosvelamento reciproco (Giusti,
Lazzari, 2005) favorisce un coinvolgimento paritario e costituisce la premessa per un cambiamento
motivazionale (Giusti et al., 2011) verso l’autoguarigione.
5
Psicoterapia pluralistica integrata in gruppo
6La
conclusione del lavoro di gruppo
La conclusione del trattamento avviene quando l’effetto mutativo, a livello del soggetto, si
manifesta con una migliore gestione complessiva della vita, con una mentalizzazione autoriflessiva
(Paleg, 2000) facilitata dalle relazioni supportive instaurate tra i membri del gruppo (altruismo
interpersonale) e dalla conferma empatica intersoggettiva del terapeuta (Giusti, Locatelli, 2007). Il
soggetto è pronto ad assumersi nuovi rischi possibili, accogliere gli inevitabili dolori esistenziali di
vita e a utilizzare l’aggressività in modo assertivo piuttosto che agirla con rabbia violenta (Giusti,
Sica, 2006). In questa tipologia di gruppi, gli scambi autentici (Gelso, 2011), il coinvolgimento, la
coesione, l’autosvelamento e la tempistica degli interventi sono un potente fattore di cambiamento
terapeutico (Norcross, 2012), che si esprime nel vissuto di condivisione profonda di stati affettivi
attraverso rispecchiamento e risonanze emotive. La terapia in gruppo aiuta i partecipanti ad
accettare le proprie esperienze, la percezione di sé e degli altri, per poi regolarli secondo i propri ata
in gruppo
obiettivi soggettivi e interpersonali (Gabbard, 2010). L’integrazione pluralistica in gruppo procede
sintetizzando il sapere che deriva dai diversi orientamenti clinici e attinge a metodologie tecniche
varie, orientando anche la ricerca scientifica (Castonguay et al., 2010) su ciò che realmente
funziona al fine di potenziare il senso di benessere (Lawson, 2008). Le interazioni positive in
gruppo generano molteplici connessioni sinaptiche che attivano neurotrasmettitori e rilasciano
ormoni che potenziano la resilienza alle vulnerabilità e alle avversità, aumentando le abilità
autocurative di tutti i componenti del gruppo (Norcross et al., 2011).
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