missionari martiri liberi di amare
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MISSIONARI MARTIRI LIBERI DI AMARE Quante volte ci sarà capitato, girando per le vie delle nostre città, di imbatterci in scritte del tipo “Mely, Ti amo da morire. By P.”, “Mikki, tu sei la mia vita. Tua MG”, “Cucciola, senza di te, non vivo più. Da Amo.”? Sicuramente, non di rado! Questi graffiti deturpano sicuramente il decoro urbano, ma innegabilmente suscitano anche grande tenerezza perché manifestano lo stato d’animo dei loro autori: innamorati consumati da un sentimento urlato al mondo intero e in modo esclusivo alla persona amata che è l’unica capace di decifrare i nomi in codice del messaggio. Spesso, quelli con già in testa i capelli color sale e pepe liquidano quelle scritte con commenti del genere: “Fan parte di quelle cose folli che si dicono da ragazzi senza mai pensarle seriamente”. Eppure, ci piace immaginare quelle parole folli, da veri “incoscienti”, in bocca ai vari Fratel Anton Probst, Don Andrea Santoro, Annalena Tonelli, Graziella Fumagalli, per citare solo quattro di alcuni martiri cristiani caduti nel corso di questi ultimi anni perché incatenati a Cristo. Non ne hanno imbrattato i muri, ma di certo tante volte, nell’intimità della loro preghiera, avranno sussurrato dei “Tu sei la mia vita, altro io non ho” o “Signore Gesù, ti amo da morire”, certi che il loro “S.G”, avrebbe saputo meglio di chiunque altro capire e decifrare la verità e l’immensità del loro amore. Hanno urlato al mondo di essere “cotti” di Lui con la radicalità della loro lunga testimonianza in terre di missione per servire i più poveri. Alla fine, hanno pagato con la vita questo loro amore. E il loro sangue sparso è andato a ingrossare il lunghissimo fiume dove, sin da tempi antichi, confluisce il sangue di coloro che hanno amato da morire ovvero i vari profeti, il loro stesso Signore Gesù insieme ai suoi Apostoli, e tanti altri uomini e donne di ogni generazione, a volte sconosciuti, che messi in catene per Cristo, non hanno mai perso la libertà di amare, rimanendo fedeli al Vangelo sino alla morte. Fra tutti, ci piace ricordare l’esempio di San Paolo. Sappiamo ben poco delle circostanze precise del suo martirio. Invece, quello che conservano i testi biblici è l’ardente e totale dedizione dell’Apostolo delle genti all’annuncio del Vangelo di Cristo Signore senza badare allo scotto da pagare. Ben consapevole dei pericoli inerenti al suo apostolato, Paolo non si è mai tirato in dietro. Infatti, in At 20,22-24, egli dice: “Ora ecco che, avvinto dallo Spirito, sto andando a Gerusalemme, non sapendo ciò che colà mi potrà succedere. Soltanto so che lo Spirito Santo di città in città mi avverte che mi attendono catene e tribolazioni. Ma non do alcun valore alla mia vita, purché io termini la mia corsa e il ministero che ho ricevuto dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al vangelo della grazia di Dio”. Tuttavia, anche se lo stesso Paolo afferma spesso di desiderare la morte – “morire per me è un guadagno”(Fil 1,21) – e di dichiararsi pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il nome del Signore Gesù (At 21,13), non bisogna pensare che avesse un animo da kamikaze, di uno che decide di immolarsi nel nome di Dio anche al costo di spargere altro sangue innocente e seminare a piene mani odio, rancore, dolore senza fine. Anzi, più volte è costretto a fuggire perché la sua vita è minacciata. Paolo accetta semplicemente di buon grado la croce del suo ministero perché lo conformano al suo Signore Gesù Cristo (Gal 6,17). Come per tutti i martiri, i patimenti che lo porteranno al sacrificio estremo, sono vissuti come una grazia particolare, fattagli per unirlo in modo unico alle sofferenze di Cristo. Sono un’occasione privilegiata di testimonianza da accogliere con spirito di beatitudine (Mt 5,11-12; Lc 21,12-13). Di catene e tribolazioni per fedeltà a Cristo e al Vangelo, Paolo ne ha conosciute tante come lo riassume in 2Cor 11,23-28: “Ho rasentato spesso la morte. Cinque volte dai Giudei ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte passato alle verghe, una volta lapidato, tre volte naufragato, ho trascorso un giorno e una notte sull'abisso. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di ladri, pericoli dai connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli dai falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, digiuno frequente, freddo e nudità. E oltre tutto, il mio peso quotidiano, la preoccupazione di tutte le chiese”. Questo elenco delle vicissitudini della lunga carriera apostolica di Paolo mette in luce in modo decisivo un altro aspetto fondamentale dell’esperienza del martire, cioè il nesso inscindibile che esiste tra il martirio e la ferialità della vita di fede. Infatti, non si è mai martire per caso! Il sacrificio supremo non è altro che l’atto finale che corona una vita vissuta con e per Cristo. Quindi per morire per Cristo bisogna aver vissuto incatenati a Cristo. Infatti, la quotidianità di questi “campioni” della fede è intessuta di grandi e piccole scelte di fedeltà al Vangelo, fino a dare la vita per i fratelli: nella sobrietà, nella difesa dei diritti dei più poveri, nell’affermazione della dignità di ogni persona anche se debole, nella condivisione e solidarietà con chi è vittima dell’ingiusta violenza, nell’annuncio e nella denuncia profetici, nel perdono elargito con amore ai loro persecutori, nella coraggiosa sopportazione dinanzi a incomprensioni e ostilità di ogni genere. Proprio questa ferialità della fede dei martiri fa di loro delle persone a noi vicine, modelli accessibili, facilmente imitabili aldilà delle loro eroiche virtù, che fanno del martirio una grazia concessa a pochi. Il loro esempio ci incoraggia a lavare anche noi le nostre vesti nel sangue dell’Agnello e ci fa dire: Anche noi, ce la possiamo fare! Se ci lasceremo ispirare da questi testimoni, amici forti di Dio, il loro sacrificio non sarà vano. Il loro sangue potrà fluire nelle nostre vene per portarci tutti i benefici del loro dono. E allora, ce la faremo anche noi a non barattare la nostra fede con facili compromessi, false libertà o mendaci promesse di felicità. Ce la faremo a diventare testimoni autentici del Vangelo anche quando ciò significa annunciare scomode verità. Ce la faremo a operare scelte di vita improntate alla generosità e alla solidarietà con i più deboli. Ce la faremo anche noi ad essere liberi di amare e ad amare da morire! Per la riflessione Si muore per Cristo perché si vive con Cristo. Quali scelte concrete, piccole o grandi che siano, ti senti di fare per poter dire anche tu “Signore Gesù, ti amo da morire”?