Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE
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Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE
Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE Introduzione 1. Che cosa si dice del bullismo Il termine inglese “bullying” di cui l’italiano “bullismo” è la traduzione letterale di quello che oggi comunemente viene usato nella letteratura e negli studi portati avanti sull’argomento1. La parola che viene utilizzata per riferirsi al bullismo nei paesi Scandinavi è “mobbing”. Questa assume diversi significati e connotazioni. Da un lato prende come riferimento un gruppo di persone, abitualmente esteso ed anonimo, coinvolto in azioni di molestie; d’altra parte considera anche una sola persona che critica, molesta o picchia un’altra. Secondo Dan Olweus, sebbene quest’uso non sia del tutto adeguato da un punto di vista linguistico, è importante riferire al concetto di mobbing o bullismo entrambe le situazioni: sia quella in cui un singolo individuo molesta un altro, sia quella in cui ad esser responsabile di una molestia è un gruppo2. Nello specifico: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni»3. Infatti, perché si possano verificare episodi di bullismo, è necessario che all’interno della relazione vi sia un’asimmetria. Lo studente è indifeso ed impotente, si trova all’interno di una situazione in cui egli è soltanto vittima di violenza e di molestie da parte di colui o coloro che hanno deciso di tormentarlo. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a volte le prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica, verbale o psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo con uno squilibro tra vittima e 1 Cf. D. OLWEUS, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1993, p. 11. 2 Cf. Ibidem, p. 11. 3 Cf. Ibidem, pp. 11-12. 1 carnefice. Il bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole (fisicamente e psicologicamente) e la perseguita con effetti che nel tempo possono essere devastanti4. I tre aspetti rilevanti per la definizione di bullismo sono: - L’intenzionalità, il prevaricatore o il bullo, pone in atto intenzionalmente dei comportamenti fisici, verbali o psicologici finalizzati ad offendere o a recare danno o disagio all’altro; - La persistenza, cioè la ripetizione della prevaricazione protratta nel tempo; - L’asimmetria, il disequilibrio di forza tra colui che prevarica e colui che subisce, in quanto non è in grado di difendersi5; il bullismo può manifestarsi in forme differenti: - diretta, consiste in attacchi rivolti nei confronti della vittima. Questa può manifestarsi mediante una forma fisica ovvero: aggressioni, pugni e/o calci, smorfie facciali, gesti offensivi; oppure attraverso una forma verbale ovvero: insulti, prese in giro, derisione. - indiretta (o psicologica), consiste in una forma di isolamento sociale e in un’intenzionale esclusione dal gruppo6; Il bullo sostiene che il suo comportamento sia divertente, sia solo uno scherzo e che le vittime prese di mira meritano di essere trattate così. Ciò che spinge i bulli a prevaricare è un grande bisogno di potere e di dominio a cui segue una piacevole sensazione di controllo e sottomissione degli altri. Far del male ai più deboli, può essere una conseguenza di una certa ostilità nei confronti dell’ambiente maturata nel contesto familiare spesso inadeguato poiché al suo interno vengono utilizzati stili educativi che oscillano tra l’eccessiva coercizione e il permissivismo7. Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 46. Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, Milano, Franco Angeli, 2006, p. 32. 6 Cf. Ibidem, p. 32. 7 Cf. Ibidem, p. 41. 4 5 2 Spesso il bullismo è una conseguenza di alcune sollecitazioni che provengono dalla famiglia, in quanto diviene motivo di orgoglio per la stessa. Gli adulti pensano che il compiere degli atti di bullismo sia un modo per prepararsi al saper sopravvivere nella società attuale, caratterizzata da continue provocazioni di vario tipo8. Non sono esenti da colpe anche la tv o i videogiochi che trasmettono ripetutamente scene di violenza spingendoli alla continua competizione prima con se stessi e poi con gli altri, innescando sentimenti di aggressione manifesti in episodi di bullismo9. L’essere ansiosi, deboli, insicuri e carenti di autostima sono esempi che favoriscono il divenire vittima, così come l’avere un atteggiamento negativo verso la violenza e l’uso dei mezzi violenti. Inoltre, anche le caratteristiche esteriori, come l’essere obeso, l’uso degli occhiali, il colore dei capelli o altre particolarità riferite all’aspetto estetico e che solitamente costituiscono delle particolarità che fanno sentire una persona diversa da quelle che i media propongono come modello ideale, vengono indicate da alcuni bambini come spunto di prevaricazione. Oltre alle caratteristiche esteriori vi è anche il colore diverso della pelle che determina dei pregiudizi a causa dei preconcetti inculcati dagli adulti, considerandoli “diversi”, meritevoli di occupare una posizione sociale di marginalità e di conseguenti insulti10. Secondo altre opinioni, il bullismo può essere anche una conseguenza della competizione scolastica in vista del conseguimento di buoni voti. Il comportamento dei bulli verso i propri coetanei può essere considerato come una reazione alle frustrazioni e ai fallimenti scolastici11. All’interno del contesto scolastico il bullismo riguarda tutti e non solo coloro che ne prendono parte in maniera più evidente. Ciascun allievo assume ruoli diversi che di seguito vengono sintetizzati: - bullo, chi prende attivamente l’iniziativa nel fare prepotenza ai compagni; - aiutante, chi agisce in modo prepotente ma come seguace del bullo; 8 Cf. Ibidem, p. 43. Cf. Ibidem pp. 43-44. 10 Cf. Ibidem p. 42. 11 Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, p. 57. 9 3 - sostenitore, chi rinforza il comportamento del bullo attraverso segnali di approvazione, ridendo, incitandolo, o semplicemente stando a guardare; - difensore, chi prende le difese della vittima consolandola o cercando di far cessare le prepotenze; - esterno, chi rimane estraneo alle prevaricazioni non prendendo alcuna posizione né verso il bullo, né verso la vittima; - vittima, colui che è oggetto di prepotenza12; I numerosi studi e le numerose ricerche portate avanti sul campo rilevano che gli atti di bullismo sono frequenti sia nelle scuole elementari che nelle scuole medie. Il numero degli studenti coinvolti nel bullismo a scuola raggiunge cifre allarmanti, rispettivamente il 64 % alle scuole elementari e il 50 % alle scuole medie. 2. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi Negli ultimi decenni, all’interno del sistema educativo i comportamenti devianti degli studenti sono cresciuti in modo smisurato e questi sono stati interpretati dagli esperti come atti di bullismo. Inoltre i mass media hanno enfatizzato le informazioni ottenute in riferimento a questo tipo di comportamenti e le hanno tradotte come indicatori di una allarmante crisi generazionale13. Il significato del bullismo è stato studiato cercando di capire le caratteristiche individuali dei bulli. In particolare è stata attribuita ai bulli una incompetenza nelle relazioni con gli altri. Tuttavia, questa attribuzione di incompetenza viene attuata da un osservatore esterno e non dai partecipanti alla relazione, né sulla base di dati inerenti all’efficacia della relazione tra di essi. Questa attribuzione è basata sul significato di relazione “positiva” che è assegnato da un osservatore secondo parametri valoriali prima che scientifici. Nella prospettiva psicologica, questa osservazione appare sconcertante perché l’attribuzione di incompetenza relazionale è infatti associata ad una tendenziale 12 Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, p. 33. Cf. C. BARALDI, Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4, p. 275. 13 4 assenza di motivazioni nel comportamento, per cui il bullo fa soffrire la vittima “per il gusto di farla soffrire”. Dunque si tratta di una combinazione di incompetenza e arbitrarietà?14. Secondo gli studi e le ricerche condotte sul campo da Baraldi, il termine bullismo non indica una realtà oggettiva, psicologica o comportamentale, ma una costruzione di significati culturali. Il bullismo è un fenomeno culturale in quanto posiziona gli individui nella società, come autori di azioni offensive e sistematiche considerare come prodotto culturale. Per esempio: un italiano non si offende se un suo interlocutore agita le braccia mentre parla oppure punta un dito contro di lui per indicarlo; invece per un vietnamita o un giapponese questo sarebbe motivo di offesa. I confini culturali dell’offesa non sono sempre chiari. Lo stesso tipo di scherno o di prepotenza può creare forti difficoltà, se non proprio danni irreversibili, in un soggetto e nessuna difficoltà significativa in un altro15. Secondo Baraldi, l’offesa è visibile solo attraverso la delusione di aspettative. Un’azione offensiva delude le aspettative dell’interlocutore perché infrange una struttura sociale stabilita, ossia una base conosciuta e condivisa di fiducia nella relazione sociale. Pertanto l’offesa è intesa come una violazione di una struttura sociale che modifica e mette in discussione le basi di una relazione. La debolezza di colui che riceve l’offesa traspare nel momento in cui egli ha una reazione cognitiva. In altre parole: l’offeso è debole se e quando si adatta senza opporvisi. Questo adattamento può condurre verso la stabilizzazione di nuove aspettative tali da normalizzare l’azione offensiva così da poter essere ripetuta con sistematicità nella relazione tra offensore e offeso (e ciò che precedentemente è stato definito bullismo)16. Quando si parla di azione offensiva, si deve tener conto non solo dei motivi singolari e soggettivi dell’individuo incompetente ma è importante guardare all’interazione e non alla singola azione. L’azione offensiva è sempre rivolta ad un interlocutore, e finisce con il diventare sistematica nel momento in cui si afferma come struttura normativa di tale interazione a seguito di un adattamento dell’offeso alla delusione subita17. 14 Cf. Ibidem, p. 276. Cf. Ibidem, p. 276. 16 Cf. Ibidem, p. 277. 17 Cf. Ibidem, p. 277. 15 5 Una lettura così allargata ed ampia viene impedita da una visione morale che addita tutte le responsabilità all’offensore e considera l’offeso come una vittima. Se si considera la vittima come partecipante attivo all’interazione con l’offensore allora si possono comprendere anche le origini di tali episodi. Seguendo quest’ottica il bullismo viene considerato come fenomeno sociale che si realizza necessariamente nel quadro di un’interazione tra offensore ed offeso. Inoltre esso è anche considerato come fenomeno culturale, poiché l’interazione che lo riproduce proviene da alcuni orientamenti culturali; quindi ciò che sta dietro alle azioni offensive non è rintracciabile solo nelle menti degli offensori, ma nella cultura che li circonda. Questo ci permette di comprendere che offensore ed offeso sono inseriti in un contesto scolastico, hanno delle famiglie alle spalle e si muovono in gruppi più vasti di coetanei o quasi coetanei18. La cultura dei pari è la base fondamentale su cui vengono ad edificarsi le azioni offensive tra offensore ed offeso. La debolezza dell’offeso è complementare rispetto alla forza dell’offensore. L’offensore può dominare nella scuola, perché chi si oppone si colloca sul suo versante, e non su quello del debole, e nel momento in cui si produce una sfida tra forze contrapposte, non si tratta più di bullismo, ma di rissa o scontro, venendo meno la complementarità forza/debolezza e affermandosi la simmetria. Questa struttura simmetrica di forze costituisce la cultura della prevaricazione. Questa struttura simmetrica di forze si costituisce intorno ad una simmetria tra offesa e contro offesa, la quale rende possibili i ruoli sociali (con la differenza tra soggetti forti e soggetti deboli) e la creazione di aspettative nella relazione complementare tra offensore ed offeso19. L’affermazione della cultura della prevaricazione richiede ulteriori condizioni di un contesto sociale. La struttura simmetrica di forze contrapposte si accompagna ad un processo di progressivo distacco affettivo dei bambini dalla famiglia e dalla scuola. Questo distacco prevede, per la crescita del bambino, una crescente rilevanza degli aspetti cognitivi a scapito di quelli affettivi: la scuola si orienta in questa direzione. Tuttavia c’è da dire che i preadolescenti si trovano dinnanzi ad un raffreddamento della relazione che vede protagonisti insegnanti e genitori. Nel caso degli insegnanti essi affermano che non sono 18 19 Cf. Ibidem, p. 277. Cf. Ibidem, p. 278. 6 degli interlocutori significativi per i loro problemi rilevanti. Nel caso dei genitori essi dichiarano di avere il timore di perdere la loro fiducia nel caso in cui gli comunicassero le loro azioni devianti e dunque per preservare l’affetto e la fiducia, si smette di comunicare. L’assenza di interlocutori adulti conduce i preadolescenti all’interno di un limbo comunicativo in cui la comunicazione con i coetanei, affettivamente fragile, può essere facilmente orientata dalla simmetria dei rapporti di forza e dalla complementarità di forza e debolezza: le azioni offensive si diffondono in modo corrispondente20. Infine, è attraverso la potenza dei mass media che all’interno delle nostre società si verificano e si riproducono modelli di simmetria tra forza e debolezza. La cultura della prevaricazione rimbalza nella quotidianità, si riproduce nei comportamenti dei genitori, degli insegnanti e in altre numerose situazioni quotidiane. Insomma la cultura della prevaricazione si costruisce in un’interazione e sulla base di orientamenti culturali differenziati che coinvolgono i rapporti tra pari, la scuola, la famiglia e la cultura diffusa dai media e dilagante nella vita quotidiana21. 3. La cultura della prevaricazione e il rapporto con il sistema scolastico La cultura della prevaricazione è ben visibile e accessibile a tutti i bambini ed adolescenti e deve a questo la sua riproduzione. Come si è visto la complementarità tra forza e debolezza genera una padronanza del conflitto, cioè una forma di dominio del forte sul debole. Il dominio può essere abbattuto attraverso un’azione di forza contraria che però riproduce la cultura della prevaricazione. Infatti l’imposizione dell’autorità da parte dell’adulto non è sufficiente per contrastare la cultura della prevaricazione, al contrario, essa ne riproduce i rapporti di forza cercando di imporre una forza superiore. È evidente dunque come punizioni, espulsioni, sorveglianze, non fanno altro che alimentare la distinzione tra forza (avere potere) e debolezza (non averne)22. 20 Cf. Ibidem, pp. 278-279. Cf. Ibidem, p. 279 22 Cf. Ibidem, p. 279-280. 21 7 L’analisi scientifica che non è investigazione poliziesca, non dovrebbe interessarsi solo della registrazione numerica delle azioni offensive, ma dovrebbe porre la sua attenzione a tutte quelle condizioni culturali che rendono possibile la riproduzione di un’azione offensiva, e dunque alla cultura della prevaricazione e alla cultura dell’antagonismo diffuse nella nostre società e alimentate dalle continue e frequenti difficoltà di comunicazione tra adulti e minori. La cultura della prevaricazione è il risultato del deteriorarsi della comunicazione sia familiare sia scolastica. Come si spiega la constatazione generale che le scuole medie inferiori sono un contesto che favorisce, anziché ostacolare la cultura della prevaricazione? Un bambino o un preadolescente che si sente fuori posto o a disagio nella classe non ha nessuna possibilità di uscirne, nel senso comunicativo del termine, come accadrebbe invece in un sistema di frequentazione, e deve quindi subirne necessariamente tutte le conseguenze, tra le quali c’è anche la possibilità di diventare vittima, oppure aggressore. Integrare… rispetto al rapporto con la scuola 4. Gestione dialogica dei conflitti La cultura della prevaricazione se arginata da adulti che utilizzano uno stile autoritario non è per niente funzionale al buon clima della gestione della classe. Vediamone un esempio trattato da una ricerca. Un’insegnante rimprovera un bambino con un tono molto fermo e lo invita categoricamente ad adeguarsi a ciò che gli è stato suggerito. Il bambino accetta ma nonostante ciò, l’insegnante insiste, poiché pensa che l’alunno non abbia effettivamente capito la sua richiesta e ritiene necessaria un ulteriore spiegazione. Questa genera un tentativo di reazione da parte del bambino che però viene subito represso dall’insegnante con un tono nuovamente fermo tale da segnalargli nuovamente la richiesta di adattamento. L’alunno rinuncia definitivamente e l’insegnante può trarre la sua conclusione normativa sulla vicenda23. Dall’esempio è emerso come l’insegnante abbia assunto un ruolo esclusivamente istituzionale. Tuttavia questo ruolo evoca delle aspettative normative che sono compatibili con quelle che fondano la prevaricazione (l’alunno è stato accusato di aver agito in modo 23 Cf. Ibidem, p. 280. 8 offensivo e sanzionato per questo, attraverso un’asimmetrizzazione dei rapporti di forza. Per affrontare dunque la cultura della prevaricazione sembra più produttivo proporre una distinzione alternativa rispetto a quelle che la riproducono. Questa produzione di alternative è stata interpretata in vari modi24. In primo luogo, si è ritenuto utile educare alla rinuncia alla forza, è bene che in classe l’insegnante selezioni letture adeguate tali da stimolare ed accrescere il confronto; avviare simulazioni e giochi di ruolo per far vivere un modo alternativo di gestire le controversie ed in aggiunta fissare modelli concordati per regolare i conflitti25. L’obiettivo generale di queste iniziative è poter giungere alla stabilizzazione di “relazioni positive” per contrastare l’incompetenza relazionale tra bambini ed adolescenti. Questo incrementa l’ascolto nei confronti degli interlocutori, promuovendo un modo corretto e rispettoso di porsi nell’interazione ed apprezzando i diversi punti di vista26. Ovviamente le tecniche dell’ascolto, della verifica del sentire e della partecipazione dei bambini se non tengono conto delle molteplici variabili che costituiscono la cultura della prevaricazione allora producono danni ulteriori, mettendo in dubbio la posizione del più debole dal punto di vista istituzionale a cui poi si allineano tutti gli altri partecipanti. A questo punto le relazioni positive risultano essere controproducenti, nel momento in cui è l’insegnante stesso che con il suo ruolo incentiva involontariamente la cultura della prevaricazione27. La simmetria di forze è la base di partenza di un conflitto che può degenerare in violenza o dominio. Ecco perché è utile in queste circostanze attivare una gestione efficace del conflitto. La gestione del conflitto ha come obiettivo quello di sostituire la simmetria normativa di forze nella quotidianità scolastica, offrendo un modo alternativo di affrontare le offese. Questa operazione richiede il coinvolgimento attivo dei bambini e degli adolescenti28. 24 Cf. Ibidem, p. 281. Cf. Ibidem, p. 281. 26 Cf. Ibidem, p. 281. 27 Cf. Ibidem, p. 283. 28 Cf. Ibidem, p. 284. 25 9 Una metodologia usuale per coinvolgere attivamente i bambini e gli adolescenti è quella della mediazione o educazione tra pari (peer education). È una tecnica che consiste nell’assegnare ruoli attivi ad alcuni studenti i quali si mostrano disponibili ad essere mediatori e/o coordinatori di gruppi di coetanei, in modo da assicurare un’autonomia nella gestione dei problemi e un maggiore agio nel risolverli tra pari. Questa forma di coinvolgimento, è preselezionata dagli insegnanti i quali hanno un ruolo importante di attivazione e di controllo del percorso; in secondo luogo gli studenti selezionati come mediatori devono essere formati per il ruolo che accettano di assumere. Su queste basi, gli studenti prescelti assumono un ruolo diverso da quello dei compagni di classe: di fatto, rendendo artificiale la gestione dei problemi, l’educazione crea una separazione visibile e riconosciuta tra chi è competente e chi non lo è. Il coinvolgimento degli studenti è limitato e predefinito; esso è guidato dagli insegnanti e dagli esperti, differenziato per via di asimmetrie di ruolo. È molto importante la presenza dell’adulto e in quali modalità questa presenza sia efficace29. L’adulto è colui che stimola la riflessione mediante domande che non sollecitano risposte corrette, ma un confronto di prospettive diverse. L’adulto non esprime giudizi. Egli apprezza anche le prospettive che non condivide, attirando l’attenzione dei bambini sui metodi possibili di soluzioni delle controversie, ignorando a sua volta tutti quei contributi che tendono a creare una distinzione tra forza e debolezza30. La sua narrazione introduce un’alternativa che viene colta ed elaborata dagli stessi bambini. L’insegnante non propone nessuna soluzione, è l’interazione tra i bambini che produce il risultato finale sostenuto dall’apprezzamento dell’adulto. In questo modo i bambini sono partecipanti attivi ed autonomi che producono soluzioni nell’interazione tra loro e con l’adulto. I punti di forza di questa metodologia considerano l’operatore come colui che adotta una posizione promozionale attiva, stimolando i bambini a partecipare, riflettere, elaborare. D’altra parte evitano qualsiasi richiesta di adattamento o proposta di normazione. In questo modo si evita di alimentare la cultura della prevaricazione e si introduce una cultura del dialogo31. 29 Cf. Ibidem, p. 284. Cf. Ibidem, p. 287. 31 Cf. Ibidem, p. 287. 30 10 L’insegnante, pur non rinunciando al suo ruolo istituzionale, non si presenta come più competente dei bambini, ma come un partecipante che ha obiettivi diversi dai loro e che cerca di raggiungere insieme a loro. Si può affermare che l’intervento ha raggiunto il successo se e quando si produce una negoziazione efficace, che vede il coinvolgimento di adulti e bambini in un processo comunicativo che soddisfi l’uno e gli altri32. Questo crea le condizioni di un metodo dialogico di gestione dei conflitti che può disinnescare la cultura della prevaricazione. Secondo Baraldi, per affrontare la cultura della prevaricazione, è opportuno: 1) Abbandonare l’osservazione delle azioni offensive come soli comportamenti individuali; 2) Prendere atto che questa cultura non è semplicemente il prodotto di una distinzione complementare e di potere tra forze e debolezza, bensì di una distinzione simmetrica tra forze contrapposte; 3) Prendere atto che questa cultura non riguarda soltanto i bambini e gli adolescenti, ma coinvolge tutti gli adulti significativi che interagiscono con loro. 4) Abbandonare un’azione di repressione delle azioni offensive basata sul potere e sul ruolo istituzionale; 5) Avviare una gestione dialogica quotidiana dei conflitti, che consenta di affrontare le radici simmetriche della prevaricazione, sulla base della partecipazione attiva di adulti e bambini/adolescenti, cioè una prova pragmatica della comunicazione33. La gestione dialogica dei conflitti richiede sperimentazioni. Ogni occasione in cui emergono prospettive diverse può essere sfruttata per avviare riflessioni e mediazioni. Si tratta di sfruttare ogni opportunità per promuovere la partecipazione attiva dei bambini e degli adolescenti, per creare le opportunità di differenziare le prospettive, aprire conflitti e quindi riflessioni e mediazioni. In questo modo la scuola può trasformare consapevolmente 32 33 Cf. Ibidem, p. 288. Cf. Ibidem, p. 289. 11 il suo intervento da repressione o esclusione dei conflitti, in produzione di conflitti come occasioni per affrontarli in modo dialogico. Secondo quello che è apparentemente un paradosso, più conflitti attiva, più la scuola diventa efficace nel vincere la cultura della prevaricazione34. C’è da dire che una routine scolastica di gestione dialogica dei conflitti non può contrastare da sola una cultura assai vasta che continua a riprodurre la prevaricazione. La riflessione sul cosiddetto bullismo, se dirottata verso la riflessione sulla cultura della prevaricazione, può avviare un cambiamento rilevante nell’interazione tra nuove generazioni e istituzioni, dove gli adulti si propongono come promotori della partecipazione, facilitatori della riflessione e mediatori, avendo una concezione dei bambini e degli adolescenti come partecipanti attivi, autonomi e competenti35. 5. 6. Strategie preventive 34 35 Cf. Ibidem, p. 289. Cf. Ibidem, p. 290. 12 Bibliografia MARINI F. – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999. CIVITA A., Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile, Milano, Franco Angeli, 2008. OLWEUS D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1996. BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4, pp. 275-290. 13
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