Testo (Pdf – 164 KB) - Scuola San Carlo Borromeo

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DA 11 A 14 ANNI: LA LOTTA CON UN RIBELLE APPARENTE.
QUAL È IL SUO VERO DESIDERIO?
Incontro con il dott. Ballerini, Scuola San Carlo Borromeo, Inverigo, 24 febbraio 2011
Quali sono i desideri e le aspettative di un ragazzo della scuola media? L’intervento dello
psicologo dott. Ballerini durante la conferenza presso la Scuola San Carlo di Inverigo il giorno 24
febbraio 2011, offre alcune risposte a questo interrogativo. Proponiamo di seguito il testo del
contributo.
Partiamo da questo caso che secondo me è davvero interessante:
seconda media, 12 anni, un bravissimo ragazzo, ineccepibile fino a questo momento, piace a
mamma, piace a papà, fa tutto, è obbediente, non c’è nessun dubbio su di lui, alle elementari è stato
un frugoletto meraviglioso (poi vedremo cosa diventano questi frugoletti meravigliosi), adorabile,
obbediente; a 12 anni però fa una sciocchezza, non torna a casa la sera, anzi non torna a casa il
pomeriggio. All’inizio la cosa non viene notata perché sappiamo come siamo noi genitori che
abbiamo la testa su tante cose. Passato il tempo si nota che non torna e c’è l’angoscia, dove sarà, poi
con quello che si legge sui giornali, siamo bombardati, ci angosciamo. Iniziano a cercarlo,
telefonano, chiedono in giro, chiedono agli amici, ai nonni, ai parenti, insomma questo ragazzo non
si trova, aumenta l’agitazione, aumenta l’angoscia, si dividono lo vanno a cercare, non lo si trova,
magari è a scuola, sentono gli insegnanti…. Che cosa succede? Che fortunatamente ad uno dei due
genitori viene in mente di andarlo a cercare nei luoghi che frequenta, fisicamente andando in giro.
Allora grazie a Dio lo trovano, lo trovano tardi, ovviamente avevano il sangue alla testa come si
dice, hanno fatto le loro rimostranze e questo impertinente ha avuto anche da ridire. Avete
riconosciuto Luca 41 vero?
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe
dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre
riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne
accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a
cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li
ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza
e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto
così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non
sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" Ma essi non compresero le sue parole.
Io adoro questo pezzo perché è l’unico – poi abbiamo gli apocrifi – ma è l’unica notizia che noi
abbiamo di Gesù adolescente, proprio l’unica: noi lo vediamo nascere, abbiamo i pastorelli, i magi...
tutta quella storia – vera – poi abbiamo un episodio a 12 anni, e che razza di episodio, e poi
sappiamo come va avanti.
E’ l’unico episodio di Gesù adolescente ed è un episodio forte, forse un po’ scomodo, anche perché
c’è stato un biblista, che si chiama Albert Schweitzer, che addirittura aveva postulato un’ insanità
mentale di Gesù partendo da questo episodio: ne disapprovava il comportamento, ne ha messo in
dubbio la sanità psichica, mentre io ritengo che, se Gesù Cristo è il prototipo dell’unico uomo sulla
terra che è stato psichicamente sano, certamente è stato un adolescente sano, a meno che noi non
pensiamo che anche a lui sia venuta una sorta di mutazione genetica per cui è diventato folle a 12
anni, ha fatto una sciocchezza e poi sia rinsavito.
Di cosa rimprovera Gesù questa coppia di genitori? Questo adolescente li ha rimessi al loro posto,
immediatamente; io credo li rimproveri per non averlo trattato da adulto quale lui si sentiva: lui
sapeva che stava facendo gli affari di famiglia, si stava occupando dell’azienda di casa praticamente
e i suoi lo trattano come se fosse un bambino.
I nostri ragazzi, li avete sentiti chiamare la ipod generation vero? No, allora, si chiamano ipod
generation, o millennials o nativi digitali: queste sono le categorie che usano i sociologi e il
marketing per indicare i giovani nati dal 77 al 2000; la forchetta è molto ampia ma ci cascano i
nostri ragazzi. Nativi digitali cosa vuol dire? Vuol dire che nascono da una parte con il biberon e
dall’altra con il mouse in mano e dobbiamo capire che cosa vuol dire perché poi non possiamo
pensare che crescano come se fossero nati nel 1965; perché se fossero nati nel 1965 sarebbero stati
come noi, invece sono nati poco prima del cambio di secolo e sono l’ipod generation, se saranno
l’ipod generation avrà un certo significato.
E’ stata fatta una bella indagine sull’ipod generation, i sociologi e soprattutto il marketing cercano
di capire questa generazione, non perché interessi loro in sé, ma perché ha una grandissima
importanza, nel senso che i ragazzi sono dei potenti driver di spesa delle famiglie, i ragazzi di
questa età sono capaci di influenzare quello che compriamo noi, anche la scelta della macchina può
essere influenzata dal ragazzo, e loro stessi sono dei consumatori preziosi….il marketing quindi
cerca di studiare, di capire, quindi han fatto una bella indagine, se n’è occupato addirittura il
Financial Times che ha pubblicato questa bella indagine sui millennials ed è venuto fuori un dato
interessante, cioè che quello che li preoccupa è il “work and life balance”, cioè il bilanciamento,
l’equilibrio tra vita e lavoro. Desiderano lavorare in remoto, quindi possibilmente lavorare da casa,
detestano l’idea di dover passare delle ore imbottigliati nel traffico, non vogliono perdere tempo nei
trasferimenti. Anche noi non vogliamo questo.
Siccome i ragazzi ci guardano, io credo che la loro preoccupazione dell’equilibrio vita-lavoro è
perché vedono che noi siamo squilibrati, che poi vuol dire “non vorrò mai essere come quei due”.
Non voglio essere come quei due vuol dire “non pensare che io arrivo a casa alla sera alle 9, sto
attaccato al BlackBerry tutto il tempo, guardo le email, lavoro la domenica”; insomma i
workaholics, che sono le persone dipendenti dal lavoro e io ne vedo sempre di più. Perché da una
parte abbiamo i ragazzi che sono fannulloni, non vogliono far fatica, dall’altra abbiamo noi, che ci
riempiamo la nostra agendina e appena ci vediamo uno spaziettino vuoto ci infiliamo qualcosa,
magari la palestra… una specie di horror vacui per cui se abbiamo mezz’ora libera in una giornata
abbiamo il panico. Se hanno questa esigenza è perché loro guardano noi e probabilmente noi non
abbiamo dato un grande esempio sul lavoro. Però volevo trasmettervi la mia esperienza; scrivendo
per loro, giro tantissime scuole per fare seminari di scrittura, per le presentazioni dei libri, o
l’incontro con l’autore, o il festival del libro o la fiera del libro a Bologna, insomma tutte queste
cose …sto tanto con i bambini delle medie ed elementari ed accade questa cosa incredibile, accade
che nel momento in cui, forse il laboratorio di scrittura a scuola è il momento forse più felice,
facciamo l’incontro con l’autore.. io sono in una stanza, di solito mi mettono in una biblioteca, o in
una libreria e portano le classi col pullman, le fanno scendere e arrivano lì… i bambini delle
elementari sono meravigliosi, curiosissimi, attenti, mi chiedono come nasce un libro, come ti viene
un’idea, quanto c’è di te nei libri.. incredibile in terza elementare… poi di solito li riportano via col
pullman e il tempo di bere un caffè, arriva il pullman delle medie e qua… praticamente ho delle
amebe: le ragazze si fanno la treccine, o si mandano gli sms, i ragazzi fanno le palline di carta e se
le tirano addosso, qualcuno guarda su, la maggior parte fuori della finestra e io sono il solito di
prima, non è che con loro divento un mortaccione... insomma, li guardo e dico “cosa gli hanno
fatto?” perché se questi li avessi incontrati 3 anni prima sarebbero stati spalancati, curiosi, con la
faccia aperta; cosa è accaduto? qual è la mutazione genetica che poi li rende irriconoscibili?
Tradotto con le parole dei genitori: ma chi è diventato, non lo riconosco, ma chi è, prima era tanto
carino… ora solo la playstation, risponde, è negativo, non gli interessa niente e io gli metto i paletti,
i castighi… cosa è accaduto per cui diventano così?
Io ho identificato tre punti di inciampo
1. Perdita dell’esperienza della soddisfazione: niente dura, è sempre tutto bruciato nell’istante, non
dura niente. Un esempio che faccio spesso perché mio personale, dal quale ho imparato molto è
quello in cui stavo guardando l’ultimo 007 con mio figlio. Dopo 20 min di un inseguimento
sfrenato, ho detto “giriamo, non capisco cosa sta succedendo” e mio figlio: “ma no, papà, quelli
sono… stanno inseguendo… lui aveva già capito chi erano i protagonisti, i personaggi … quel
film lì era pensato per Michele; se guardate i videoclip che sono fatti per loro, se guardate MTV,
se guardate certa pubblicità, è pensato tutto in accelerazione, anche le inquadrature,
inquadrature sghimbescio, frammentate, pochissimo dialogo, sequenze sparate una dietro l’altra.
Sono tutti ragazzi abituati ad un’accelerazione della realtà, dei tempi dei video che in qualche
modo induce il pensiero… chissà se induce il pensiero, non lo so, pensando alle serie tv mi
chiedo “ è la società che ispira le serie tv o è la serie tv che poi plasma la società?” allora poi,
può darsi che accada tutte e due…. comunque, tutto si consuma in tempo brevissimo, quindi
anche la loro esperienza, niente dura, quello che dura un po’ diventa immediatamente noioso e
c’è bisogno di qualcosa d’altro. Questo vuol dire che la soddisfazione si allontana dal loro
orizzonte, perché la soddisfazione, il concetto di “satis”, di abbastanza è proprio dire “va bene
così, dai adesso abbiamo fatto questo e ci fermiamo un attimino”, e invece no, c’è sempre
bisogno di qualcosa di nuovo.
2. Perdita del nesso lavoro- risultato. Son frasi che tornano... io le dico da tanti anni ma sono
sempre nuove, perché ogni settimana ho un Marco che viene in studio e mi dice “mi sono
innamorato di Martina” e io gli dico “cosa fai perché Martina si innamori di te?” risposta “ah
niente, è lei che deve farlo” che vuol dire faccio fuori il lavoro del corteggiamento perché il
corteggiamento è fare la corte ma poi devo fare il lavoro che invoglia l’altro a guardarmi con
degli occhi diversi. Voglio diventare una star del basket, sì ma che sbattimento tre volte la
settimana l’allenamento, che sbatti. Che tu dici “però se vuoi diventare davvero una star del
basket dovrai farli tre volte la settimana….” Oppure, so già che farò l’ingegnere nucleare, però
poi accade che non studio per la verifica di inglese di domani, perché quella non conta. Manca il
nesso lavoro risultato, cioè per arrivare lì, a quel risultato c’è un lavoro che è richiesto in mezzo.
3.
Perdita del nesso fatto- conseguenza, vuol dire “se questo... allora quello”, se faccio questo
allora c’è quest’altra conseguenza. Di fronte alla domanda, che ormai non faccio più, perché la
risposta è sempre la stessa, “perché lo hai fatto?”, e “lo” può essere qualunque cosa, dall’aver
rotto l’armadietto con un pugno perché ero arrabbiato a fare anche qualcosa di più che sconfina
nel penale, la risposta è “boh, mi capita così, mi è venuto lo schizzo”.
La questione quindi è che i nostri ragazzi, secondo me, generalizzando un po’, hanno tre punti di
inciampo, vivono di queste difficoltà.
Mi capita sempre più di frequente e fa ridere, ma non so se fa sempre ridere, mi capita di chiedere ai
ragazzi di questa età “che cosa vuoi fare da grande?” e loro mi rispondono “il pensionato”.
Il pensionato, che poi glielo diciamo noi, incarna l’idea di quello che si vede arrivare uno stipendio
senza lavorare, poco conta che ha lavorato per 40 anni magari, ma nell’immaginario io sto a casa e
mi arrivano i soldi.
Loro però vivono delle difficoltà che viviamo noi, su di loro ci sembrano mostruose, ma, è l’adulto
che fa la coda in tabacchiera per il jackpot del super enalotto; il jackpot vuol dire guadagno senza
lavoro, vincere la lotteria rappresenta esattamente la possibilità di avere tanti soldi senza che io
faccia niente. Noi guardiamo loro e li massacriamo “devi … devi impegnarti, devi…” poi noi tutte
le settimane siamo lì a guardare i numeri… ma il nostro guardare i numeri vuol dire la stessa cosa.
Anche noi siamo degli insoddisfatti cronici, non ci basta mai niente. Trovatemi uno che dice che gli
bastano i soldi che sta guadagnando, qualsiasi livello sia. Da 20 mila euro all’anno a 2 milioni di
euro, quei soldi non bastano, c’è sempre bisogno di qualcosa di più. Certo perché invece che andare
a Celle Ligure vorrei andare a Miami, invece di Miami vorrei andare alle Hawai, invece di andare
alla Hawai vorrei andare... sulla Luna. L’idea dell’insoddisfazione è un problema dell’adulto, la
mancanza del nesso atto conseguenza è un problema dell’adulto. Ma voi non sapete quanta gente io
conosco che ha perso il lavoro perché “ah, gliele ho dette eh, quello che c’è da dire va detto” certo,
fai così col capo ufficio poi ti stronca drammaticamente e ti lascia a casa. Oppure, mi invaghisco
della giovane nuova collega e non tengo conto che la semplice conseguenza di questo, anche solo in
termini di conseguenza, è che probabilmente mia moglie mi sbatte fuori di casa, oppure le mando
degli sms tanto romantici a questa qui e non penso che qualcuno prima o poi mi scoprirà.
Quanti adulti conosciamo che hanno perso il lavoro o la famiglia o gli affetti semplicemente perché
hanno seguito quello che gli è venuto in testa senza pensare per un attimo che i loro atti avessero
delle conseguenze. Questo per dire che l’impressione che ho a volte è che quello che non ci piace di
questi ragazzi è quello che non ci piace di noi, per cui spessissimo in realtà questi ragazzi ci
sbattono in faccia quelle incoerenze che sono le nostre.
Io credo che quello che è bello della loro età tuttavia, è che alle medie hanno ancora un’apertura che
noi non ci immaginiamo. Questo vuol dire che se solo noi correggiamo qualche cosa di noi, li
vediamo rifiorire velocemente.
A volte ci sono delle persone che mi vengono a trovare, a volte le cose vanno male e vanno peggio
e non si riesce a fare niente, perché poi c’è la libertà dell’altro, con cui abbiamo a che fare, ma a
volte accade qualcosa di incredibile: tre incontri e tutto si risolve; l’unica bravura è in una coppia di
genitori che ha deciso di correggersi; una correzione a volte anche piccola è capace di generare dei
grandissimi cambiamenti soprattutto nei ragazzi.
Questa è la buona notizia: se noi siamo capaci di identificare qual è la questione, poi riusciamo, a
volte, a dare un cambio di passo.
Stasera ho fatto un po’ tardi, ci tenevo a stare di più con gli amici, ma avevo avuto in studio questa
coppia di genitori, dopo un’ora e mezzo io non avevo ancora capito qual era la questione, e loro
continuavano a chiedermi “cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo fare”. Non lo
so cosa dobbiamo fare, ma la domanda non è “cosa dobbiamo fare”, la domanda è “cosa sta
succedendo”. La prima domanda è “cosa sta accadendo”, “che cosa sta vivendo questo ragazzo”,
non studia, non… metteteci tutte le lamentele che si possono mettere rispetto ad uno di terza media,
ma questo è descrittivo. La questione è:“che cosa sta succedendo”, “qual è il suo punto di
difficoltà”. E poi il che cosa possiamo fare spesso non è cosa posso cambiare io perché lui stia
meglio, non è la ricetta, la ricetta spesso di tipo comportamentale. L’altro giorno ho sbattuto fuori
una signora dal mio studio che continuava ad insistere che bisognava dare il rinforzo positivo a suo
figlio, ma il rinforzo positivo lo dai al cane, difatti vendono i bastoncini che sono il rinforzo
positivo del cane. Così gli insegnano a fare la pipì in casa, tutte queste cose qua. Il rinforzo negativo
ormai lo abbiamo culturalizzato: i bambini non si picchiano. Non mi permetto più per fortuna il
rinforzo negativo, ma mi sono inventata il rinforzo positivo. Il rinforzo positivo è di tipo
comportamentale: se lui fa una cosa buona lo premio, in modo che lui la ripeterà, sono dei processi
di condizionamento. Ma questa non è l’educazione, l’educazione non è condizionare i nostri figli e
neanche manipolarli, quindi bisogna sempre stare attenti e prima di pensare a che cosa devo fare, o
cercare una ricetta, davvero aiutarsi papà e mamma quando ci sono, quando sono insieme, a
chiedersi cosa sta succedendo santo cielo.
I ragazzi hanno bisogno di piacerci, hanno bisogno di essere sicuri che il papà e la mamma li
stimino e se noi continuiamo a guardarli come dei brufolosi, idioti, preda degli istinti, che pensano
solo al sesso o alla playstation e non hanno voglia di fare niente, e tu sei sempre quello e e e….
come faranno a crescere bene questi ragazzi?
Se non li aiutiamo noi a vedere le domande buone e i desideri buoni che hanno dentro di sé e che a
volte non riescono a vedere, come faranno a crescere bene questi ragazzi? Altro che rinforzo
negativo. C’è sempre una serie sistematica di cose che non vanno: dal fatto che spruzza il
dentifricio blu sul vetro del bagno, al fatto che lascia le scarpe in sala, al fatto che non si svuota la
borsa di calcio. Sapete quante ne sento, ne sento tante tutte uguali, tutte uguali, son tutte storie
fotocopia. Non si tratta di dire “fai bene”, “fai bene a lasciare la roba in giro”, non si tratta di
questo, ma si tratta di guardare a questo ragazzo come a qualcosa di più: non è solo quello che fa
questa cosa qui, non è solo il disordinato, non è solo quello che io non capisco. E’ un giovane
uomo e una giovane donna, a questa età, che sta cercando di capire come essere felice e lo fa come
riesce, ma noi siamo lì per sostenerli non per massacrarli, dobbiamo sostenere il desiderio che
magari esprimono male. Loro non sopportano che venga disprezzato il loro tentativo di afferrare la
realtà come uomo e come donna. Loro cercano di afferrare la realtà dentro un corpo che cambia. Il
corpo che cambia è il corpo che cambia e non possiamo non considerare anche tutto questo aspetto
in questi ragazzi e in queste ragazze. Il corpo che cambia ti sollecita a ripensare a te, ripone una
questione che si era sopita - che è quella del piacere legato al proprio corpo che era molto presente
da bambino e che poi ha avuto un periodo di latenza lungo e riesplode adesso - e si pone la
questione “che cosa me ne faccio del mio corpo”. Questo corpo che sta cambiando visibilmente e
che mi porta delle sensazioni nuove, di questo corpo, dovrò farmene qualcosa. I ragazzi si pongono
questa questione; la cultura dà solo un’unica strada del cosa farmene di questo corpo, però se loro
imboccano anche questa strada non possiamo disprezzarli o scandalizzarci; rispetto ad una
questione che si pone loro, prendono quello che il supermercato delle idee offre e questa è l’idea più
coglibile. C’è una scena di sesso per pubblicizzare il mirto sardo, ora ditemi voi, chi l’ha pensato…
tutto sul mirto sardo poteva venirmi in mente, ed ho anche una fantasia abbastanza fervida, ma qual
è il nesso tra quei due che si paciugano ed il mirto sardo? Non importa, non serve il nesso, perché si
sa che su un certo target funziona. I nostri ragazzi che sono i millennials, che sono la ipod
generation, non i baby boomers, sono completamente immersi in questa cultura, è 1+1. Allora, il
mio corpo cambia, nascono esigenze, devo farne qualche cosa, è indicata una strada. Piuttosto che
scandalizzarci, dobbiamo cogliere la questione dei ragazzi, perché ve l’ho già detto la volta scorsa,
quella mamma che mi diceva “a no, ma a lui non interessano queste cose”, poi il ragazzino mi ha
detto “ma come fa a pensare che non mi interessino le ragazze”. Come fa a pensarlo? Perché lo
pensa? Perché per lei è ancora il frugoletto tanto bravo e tanto carino a cui cambiava i pannolini, e
che poi le portava il regalo alla festa della mamma; ma non è più quello lì, tanto è vero che gli ho
detto “la tua mamma fa fatica a pensare che stai diventando un giovane uomo” e questo lo ha
tranquillizzato, dicendo “allora non è che sbaglio io a essere interessato, è la mia mamma che non
se ne accorge” tant’è che gli ho detto “dovrai educare la tua mamma”. Guardate che se non ci
facciamo educare dai nostri ragazzi ci perdiamo un’occasione strepitosa.
Padre e figlia. Voi padri, noi padri siamo i primi uomini delle nostre figlie: dobbiamo essere
all’altezza, dobbiamo renderci conto di questo. Tutti i papà che hanno una figlia devono sapere che
siamo il loro primo uomo. Quando incontro qualche giovane, alle ragazze dico: “non sposare un
uomo geloso, che poi te ne pentirai” – ma parlo del geloso tosto – e al ragazzo dico “stai lontano da
una donna che odia suo padre”. Una donna che odia radicalmente suo padre avrà difficoltà con te,
inevitabili. Poi, ve la regolerete voi, poi magari riuscirà a risolvere questa cosa, ma è una questione
radicale questa. Noi padri non facciamoci odiare e ricordiamoci che abbiamo delle figlie che stanno
diventando delle giovani donne e questo vuol dire che ogni tanto dobbiamo essere anche galanti con
loro e magari quando fanno il loro compleanno portiamo un mazzo di fiori, come quando compie
gli anni la mamma giusto? Se abbiamo smesso di portare fiori alla mamma quando compie gli anni
siamo già nei guai. E’ da lì che dobbiamo partire, poi quando vengono a dirmi dei problemi dei figli
e io chiedo “ma lei porta i fiori al compleanno di sua moglie, o la porta fuori a cena” o la domanda
“quand’è l’ultima volta che siete usciti da soli a cena al ristorante” e la risposta “ah, mai perché da
quando è nato…”. Eppure questa dedizione al figlio ha completamente annullato quei due, ha
annullato quei due che non sanno più cosa vuol dire essere un uomo e una donna insieme, sanno
solo essere un papà e una mamma, nel rapporto uno a uno per altro, mamma – figlia/o, papà –
figlio/a, ma tra quei due poi alla fine… difatti si dicono poco. E quello che si comunica di solito è
un’agenda dei lavori: “allora domani al mattino lo porti tu”, “io torno alle sette, poi c’è l’incontro”,
“cosa c’è di cena”. Un’agenda: il rapporto di papà e mamma diventa un’agenda, siamo dei perfetti
manager su questo, purtroppo. Si deve recuperare la questione del rapporto mamma - papà, anzi
uomo donna più che marito moglie. Per tornare al papà, abbiamo un compito importantissimo e
dobbiamo sempre vigilare su questo, questo vuol dire che se appena appena nostra figlia inizia ad
essere carina dobbiamo dirglielo, dobbiamo apprezzarla, dobbiamo farle capire che sta diventando
interessante. A volte invece la schiacciamo; ci può scappare quel “sei sicura che la maglietta XS va
proprio bene, non è meglio una XL? Ma papà, perché non sto bene? No, stai benissimo… però se la
mia paura è che stia troppo bene… diciamolo, dobbiamo dirle che abbiamo paura che le stia troppo
bene, non facciamola sentire una poco di buono perché ha scelto… si può anche dire “sei persino
troppo carina”, si può fare anche una battuta, ma non può essere mai saltato l’apprezzamento che
noi possiamo fare. Scene viste in spiaggia: ragazzina che esce dal mare, immediatamente si butta
l’asciugamano sulle spalle e cammina con le spalle un po’ in avanti e il papà che dice “ma togliti
l’asciugamano che fa caldo”. Come facciamo a non cogliere l’imbarazzo per il seno che sta
nascendo? Ma lasciala stare, ma cosa ti interessa? Anche perché poi, non appena scoprirà che se si
mostra un po’ piace, poi allora saremo noi a volerle mettere l’asciugamano. Tutte le correzioni che
noi possiamo fare in un senso o nell’altro, se sono rispettose del fatto che c’è un corpo che sta
cambiando, che noi apprezziamo che sta cambiando, magari più di quanto lo stia apprezzando lei in
quel momento.
Ieri l’altro mi son venuti a parlare di una ragazza che evidentemente è entrata in difficoltà sul fatto
che sta diventando una donna, era evidente ma i genitori non ci avevano pensato. Aveva iniziato a
sentire un dolore forte al seno – che non ha ancora – l’ha vista la pediatra e ha detto, ma sì a volte
succede e le ha dato una crema, non so che crema, spero la Nivea. Però cosa vuol dire questo
dolore? A fronte del fatto che ha iniziato ad andare male, tiene i capelli in un certo modo, ha
tagliato certi rapporti, questo dolore che cosa ci dice? E’ normale che ci sia un po’ di senso di
tensione, ma bisogna provare a guardare questa ragazza in modo diverso, nel senso che bisogna
aiutarla a capire cosa vuol dire un corpo che cambia e anche a scoprire che ci sono dei vantaggi in
questo corpo che cambia, cambierà la prospettiva per lei. Il problema non è che va male a scuola, i
patemi ai genitori sono venuti perché va male a scuola, perché non fa più niente, non si impegna.
Ma perché non fa più niente, chiedo? perché è un adolescente, rispondono, non vuole fare fatica. Su
questa cosa della fatica divento allergico. Ma chi vuole fare fatica? Anche noi non vogliamo fare
fatica; la retorica della fatica sui nostri ragazzi è perdente, perché vedono che noi non vogliamo
fare, ma il soggetto sano non vuole fare fatica, vuole fare solo le fatiche che vale la pena fare,
proprio quelle necessarie. Allora noi dovremo testimoniare che ci sono delle fatiche che vanno fatte,
che si può imparare ad amare anche quelle fatiche lì. Ma la retorica “ah, devi imparare a fare
fatica”, messa così, contraddice quello che testimoniamo noi tutti i giorni che iniziamo a dire “sono
stanco” dalle 7.05 del mattino, ci alziamo e che vorremmo fosse già sera per andare a dormire, tutto
è un peso e poi miracolosamente vogliamo che questo figlio/a sia lì che dice “dai, per favore, fammi
faticare”. Ma non può essere così. E allora questi qua son venuti a dire “non vuole mai fare fatica”,
cerchiamo di capire cosa vuol dire. Per far studiare uno non possiamo esaltargli la fatica ma
dobbiamo fargli capire che tramite quella fatica avrà dei vantaggi, avrà la soddisfazione
dell’apprendere, avrà la soddisfazione di conoscere, avrà la soddisfazione di poter parlare di
qualcosa di nuovo con un amico, avrà la soddisfazione di prendere un bel voto, e allora sì che dirà “
caspita, però tutto sommato c’è anche qualche vantaggio se faccio questo” però se partiamo
dall’esaltazione astratta della fatica… stiamo attenti anche ai principi morali astratti che ci diamo
noi. Ci sono dei principi che noi ci diamo che sono giusti, che ci sembrano proprio giusti, ma che
dobbiamo sempre contestualizzare perché ci sono poche cose che devono essere come devono
essere e su quelle non si transige, sul resto possiamo anche decidere come genitori che magari
qualche volta possiamo mollare. L’altro giorno ho incontrato una donna che, un po’ affaticata dalla
sua situazione, ha deciso che il letto può rimanere sfatto. Questa è una scelta di sanità psichica,
perché uno a un certo punto può decidere che molla qualche cosa; devo essere la donna-mammalavoratrice perfetta per cui il letto è sempre fatto, la cena è sempre pronta, sono sempre disponibile
a fare i compiti, quando mio marito chiama scatto.. cioè.. adesso.. l’aver deciso questa banalità .. ma
va che bel pensiero.. che vuol dire “devo mica fare sempre tutto”. Pensando a chi non c’era la volta
scorsa chiudiamo con i 4 verbi che sono le mie raccomandazioni: stimare i ragazzi, sostenerli,
incoraggiarli e difenderli. Che non vuol dire assolutamente far passare tutto, vuole semplicemente
dire che siamo lì per sostenerli, vuol dire che nel loro cammino verso l’essere giovane uomini e
giovani donne non dobbiamo essere una pietra d’inciampo, una zavorra. Se appena appena tirano su
la testa, lasciamogli tirar su la testa, anche se è un tirar su la testa in un punto diverso da quello che
abbiamo deciso noi. Non sarà magari in primis che diventeranno bravi a scuola, ma magari
eccelleranno nel basket. Eh si, però quello non conta niente no? perché quello che conta per noi è
che vada bene a scuola…. giusto, ma magari diventando bravo nel basket e aiutandolo a capire cosa
vuol dire diventare bravo nel basket speriamo che gli nasca un po’ di ambizione nel dire “se sono
bravo lì possono essere bravo anche di là”. Oppure, lì sono da 9, a scuola posso essere anche da 7.
L’altro giorno è venuta una mamma di un bambino di 5 elementare che è andata a ritirare la pagella,
erano tutti 9. Allora lei ha detto alla maestra: “ma voi i 10 non li date?”. Perché lei vuole che suo
figlio abbia tutti 10? E lei: deve tendere sempre al massimo. Accidenti; questo ragazzino sarà
schiacciato e soffocato da un pensiero così su di lui. Ditemi chi può avere 10 su tutto?... mi
preoccuperei… chi ha 10 su tutto poi ha almeno 7 in ginnastica.. per cui.. La teoria “mio figlio
deve sempre dare il meglio”, che si interpreta (anche se non è la stessa cosa) “deve sempre ottenere
il risultato massimo”, che vuol dire che se anche porta 9 tutto sommato…non va bene. E poi se
scopre che qualcuno della classe ha avuto dieci ...come mai Martina ha preso 10? La questione è
che dobbiamo stare attenti a sostenerli e a non essere zavorra.
Vi leggo il brano di S. Ambrogio, che avevo letto anche la scorsa volta e commento alcune parti.
L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti a una dedizione che dimentica se stessa..
quindi, se fate sacrifici, teneteveli per voi. Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, che
vuol dire “devi dare sempre il massimo”, questa è una ingenua fantasia di grandezza, lo tiriamo su
dicendo “tu sarai sempre..” Poi questi li vedo 30 anni dopo che mi vengono in studio e che dicono,
non sono niente, sono un fallito, perché non eccello in niente, faccio tutto così così. Questa è una
teoria che qualcuno gli ha messo in testa e a cui hanno aderito, che per essere riusciti ci deve essere
un punto in cui io sono il più bravo di tutti e se non è così sono un fallito, nasce da lontano. I vostri
figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio… se da una parte non
dobbiamo fare i camerieri dei nostri figli, e vedo tanti genitori che fanno i camerieri, e allora c’è
qualcosa che non va se siamo i camerieri… dall’altra può anche voler dire che se c’è un po’ di
spruzzino di dentifricio blu la sera dopo che si è lavato i denti… non lo prendi per le orecchie per
farglielo pulire .. perché così impara… se no io devo pulirtelo e non sono mica la mica la tua serva,
son qua tutto il giorno, mi sono alzata alle 6 del mattino.. altro che sano trovarsi bene! Che ti mette
a tuo agio… son venuti dei genitori di una ragazza di prima media che una settimana prima stavano
dormendo e alle 3.30 di notte suona il citofono, risponde uno sconosciuto e dice “ho riportato vostra
figlia” e il papà “ ma no, mia figlia è a letto che dorme”; va a vedere e la figlia non c’era. La figlia
di I media è scappata di casa alle 3, probabilmente, alla domanda “perché sei scappata di casa” lei
risponde , “io in questa casa non ci sto più”. Probabilmente ha ragione, però ha sbagliato la
modalità, avrebbe potuto scegliere una formula più pacifica come affezionarsi ad un educatore, ad
un insegnante, allo zio o a un parente o ad un amico adulto, sarebbe stata una forma pacifica.
Avrebbe potuto scegliere un’altra casa senza fare una sciocchezza simile, ma certamente non era
stata incoraggiata in casa, non si trovava bene in casa, non era stata messa a suo agio ed è stata
incoraggiata ad uscire di casa.
Perché ho iniziato con il brano sulla Sacra Famiglia? Perché la Sacra Famiglia, secondo me, non è il
guscio protettivo dell’adolescenza. A me è piaciuto molto quel “non avevano capito e custodivano
queste cose nel loro cuore”: quei due stessi grandi, quel papà e quella mamma non avevano
immediatamente colto, però non si sono certo opposti, non è iniziato un battibecco del tipo “come, a
noi dici questa cosa? Io ti ho fatto e io ti disfo”. La Madonna non avrebbe potuto dirlo perché
sapeva che non l’aveva fatto lei, ma anche noi non l’abbiamo mica fatto. La famiglia non è il guscio
protettivo dell’adolescenza, la famigli non deve diventare questo, la famiglia deve essere il luogo
che se non incoraggia ingenue fantasie di grandezza non diventa una zavorra che impedisce di
volare se Dio li chiama a grandi cose e lì Dio lo stava chiamando a grandi cose.
Domande
1) Volevo sapere qualcosa del rapporto madre - figlio
Il rapporto madre - figlio vive di una retorica spaventosa se pensate che ci sono anche riviste
“mamme e bambino”. Che poi è tutta la retorica sulla maternità . Mi hanno chiesto recentemente
di dare un giudizio sull’adozione da parte di un single. La questione non è uno o due, non è un
problema di numero, ma di essere uomo e donna. Il rapporto è sempre tra uomo e donna e il
figlio è un terzo, è un supplemento. Quando il rapporto madre figlio diventa esclusivo iniziano i
pasticci. Quando il rapporto diventa unilaterale spesso il padre viene escluso. I rapporti madrefiglio, padre-figlia funzionano perché permettono ai figli di scoprire da subito che la differenza
sessuale è vantaggiosa e allora l’altro, che è diverso da me, diventa oggetto anche della mia
preferenza quindi il bambino preferirà la mamma e la bambina preferirà il papà, ma perché quei
due si sono preferiti prima, non perché c’è una chimica particolare. Allora la questione è:
dobbiamo stare attenti che il rapporto madre – figlio non entri nella retorica di un rapporto
esclusivo, ma tenga sempre aperta la porta al padre, sempre, allora sì, sarà un rapporto di
preferenza giusto che però spalanca anche all’accoglienza del papà, senza escluderlo come a
volte accade.
2) La volta scorsa ha detto di non usare l’ironia con i bambini perché non la capiscono, ma con
gli adolescenti si può iniziare?
Se dico “Bravo, bravo fallo ancora, complimenti…” il bambino non capisce e pensa: perché mi
dice bravo se poi è arrabbiato. Gli adolescenti invece si offendono, sono estremamente
permalosi e spesso poi noi usiamo l’ironia quando vogliamo ferirli un pochino. Dobbiamo
capire cosa ci spinge ad usarla. Va bene la battuta, con la sua leggerezza, ma non il sarcasmo.
Invece di fare la paternale che dura 20 min e che fa venire il fumo alla testa a tutti, a volte con
una battuta messa lì bene si dice la stessa cosa e si ottiene di più. Ma l’uso un po’ ironico,
ripetuto, a volte tradisce un po’ di disprezzo, può essere preso come tale, allora non lo userei.
Piuttosto un bel messaggio chiaro, sì, no, va bene, non va bene, si fa, non si fa, non permetterti
questo, non parlarmi così. L’altra sera ero in una scuola e una mamma mi ha detto “mia figlia
riesce sempre a mettermi in un angolo”, ecco non deve accadere, ma come fa a metterla in un
angolo? Poi scopriamo perché fa il battibecco con la figlia: alla fine il contenuto sparisce, non si
sa più perché si sta litigando, vengono tirate fuori cose tipo “quella volta che…” e la casa
diventa un terreno di battaglia dove l’unico problema è chi vince. Ma vuole sempre averla vinta
lei- mi dice la mamma. Si, ma anche lei signora vuole averla vinta…siete esattamente sulla
stessa logica. E quando la casa diventa terreno di battaglia…spesso vincono loro, perché hanno
la libertà, cioè loro possono usare anche questa libertà contro di noi. Soprattutto se hanno colto
cosa ci fa arrabbiare, basta che usano quel tasto e ci fanno venire il fumo alla testa.
3) Ma è giusto che la vincono sempre loro?
Si può trovare un modo affinché poi alla fine facciano le cose che desideriamo noi. Ma
dobbiamo capire che se qualche cosa diventa il vero punto di conflitto, la soluzione sarà da
un’altra parte. Se lo scontro è la camera sempre in disordine, non sarà lavorando sulla camera in
disordine che si troverà la soluzione, questa arriverà da un’altra strada. Se noi facciamo testa a
testa su quello che diventa il conflitto o l’oggetto del conflitto, noi alzeremo la voce e lo faranno
anche loro. Allora su certe cose a volte è meglio temporaneamente mollare, e ogni genitore
decide lui dove e come, ma non lo fa per debolezza. Esiste anche un livello di pazienza e di
attesa che crescano, l’importante è saper capire se si diventa camerieri, allora lì c’è qualcosa che
non va. E’ anche importante distinguere le pretese dalle domande. Se una domanda è ben fatta
fa venir voglia di dire di sì. La pretesa la riconosciamo immediatamente perché ci fa fare un
balzo indietro. Aiutare i nostri figli a passare dalla pretesa alla domanda è una grandissima
educazione.
La questione è delicata, non possiamo mollare su tutto, ma non sarà insistendo sempre sulla
stessa cosa che la otterremo, ma se noi facciamo dell’accappatoio per terra il punto di scontro
sarà difficile che partendo da lì… no, dobbiamo sempre partire da qualcosa d’altro.
4) L’altra volta ha detto che non c’è un pensiero del bambino e uno dell’adulto, ma abbiamo lo
stesso pensiero. Io coi miei figli cerco sempre di dare le ragioni di quello che gli chiedo, e mi
sembra che funzioni, loro sono ragionevoli. Però lei, sul finire dell’incontro, diceva che a volte
si può semplicemente dire “non mi piace quello che stai facendo, giusto?
Mi è capitata una cosa analoga, di una madre che continua a dare risposte, perché suo figlio le fa
un sacco di domande. Le ho fatto notare che non è un juke box in cui si mette la moneta, non è
obbligata a rispondere,. Lo stesso è per la spiegazione: di norma si danno le ragioni perché li
riconosciamo come essere pensanti, ma non devo sempre dare le ragioni di tutto, a volte non le
so nemmeno io bene le ragioni, ma so che va bene così e allora, in quanto genitore, ti dico: “si fa
così”. Se dico che deve mettere in ordine e lui mi chiede perché, posso dire “perché nell’ordine
si vive meglio”, ma poi basta. Se lui ribatte “ma io vivo bene anche nel disordine” noi non
andiamo avanti, gli diciamo basta. Allora inizierà a capire che dovrà farlo non perché ha capito
il codice etico della mamma che vuole che si faccia così, ma perché è sufficiente che alla
mamma non piaccia e siccome quella è la casa della mamma quella cosa non si fa. ù
5) Lei ha detto che noi dobbiamo guardarli con positività, che non sono solo quello che noi
vediamo – grazie mille di avercelo ricordato – ma che sono veramente altro e che cercano la
felicità e che invece noi abbiamo già lo schema su di loro: tu devi essere… Guardi le racconto
solo una cosa che è successa proprio oggi: io ho una figlia di 11 anni e sono una di quelle
mamme che se non ho il letto, la casa come dico io, non va bene. Ma mi ha fatto proprio
pensare quello che ha detto, che loro sono altro e vogliono essere felici, perché guardandoli
così mi sono proprio resa conto che sono io che ringrazio davvero loro di avere ancora quella
apertura lì, se vuole, e quel modo di scombussolarti la vita ma di rimetterti continuamente
davanti davvero ad un modo di essere loro che se lo rispetti è la felicità anche per te. E’ un
esempio semplice ma oggi… io sono una che non esce se non ho la casa a posto, pulita… oggi
l’Anna mi ha detto “ mamma io voglio andare a fare un giretto a Como, portami” ... io oggi ho
perso tutto il pomeriggio, ero in giro per Como.. ma cosa mi è venuto in mente dicevo dentro di
me, ma ho le cose da fare… invece sono stata proprio a quella domanda di felicità dell’Annina.
Se ho deciso di andare a Como con mia figlia, che mi goda quel momento con lei, se no è
l’inferno per noi. Se sto lì pensando che le ho fatto un favore, che poi a casa mi aspetta il coso…
vorrà dire che Annina se ne accorgerà e non le chiederà più di andare a Como con lei, perché
dice “me la son portata dietro, aveva una piva così, ogni cosa che le ho chiesto mi ha detto di
no..la prossima volta lo chiedo a Carlotta” – e farebbe bene. Ma non solo per Annina, ma anche
per lei, ma che razza di esperienza può essere? Un pomeriggio a Como con una figlia così,
Annina può avere imparato come si diventa una donna in questo pomeriggio, da come avete
commentato un vestito, da come avete osservato una vetrina, dal fatto che lei si sarà comprata
un eye liner costosissimo che poi a casa si sono lamentati…ma deve essere bello e deve essere
di marca buona… l’ha fatto vero? Poteva essere un inferno e invece un pomeriggio a Como
diventa l’occasione per Annina di capire cosa vuol dire diventare una donna e lei poteva perdere
questa occasione e invece l’ha colta ed una cosa strepitosa.
6) Capita sempre più spesso, purtroppo, di imbattersi in tv, al lavoro, in malattie come anoressia e
bulimia e penso che queste malattie comincino in età adolescenziale. In che misura son dovute
ad un “cattivo”, “alterato”, “viziato” rapporto genitori figli? E se è così qual è il meccanismo
che li genera?
Sto proprio preparando una lezione sulla neuro-genetica, in generale le neuro-scienze se escono
ogni settimana dicendo che è stato trovato il gene responsabile di un certo comportamento.
Ultimamente è stato trovato il gene dell’amicizia negli adolescenti per cui persone che hanno
alleli particolari su questi geni hanno più probabilità di diventare amici tra loro. Stiamo
andando verso una direzione per cui tutto sarà geneticamente determinato, tutto, anche la donna
che scelgo. Ci sono studi usciti adesso in America per cui anche l’essere di destra o sinistra è
geneticamente determinato, poi se uno va a vedere bene gli studi grazie a Dio gli scienziati non
sono così stupidi, perché è vero che se c’è un gene in un ragazzo che codifica il gradimento
della’alcol, è facile che due ragazzi che hanno questo gene si trovino in un bar e diventino
amici. E’ difficile che uno che ha il gene che codifica la passione per gli scacchi si incontri con
quello che va al bar a bere. Per cui in realtà si deve superare questo determinismo che se no
diventa determinismo genetico, cioè io sono nato già programmato, sarò anoressica, sarà grasso,
voterò Berlusconi. C’è un filone di neuro-scienza che è alla disperata ricerca di una causa
genetica dei disturbi alimentari. Io sono un analista e lavoro sulla parola e sul racconto. Nella
mia esperienza ho visto alcuni casi di anoressiche e anoressici. Spesso il tutto inizia non con il
“io non mangio più” ma con il “io non mangio più con te”. Poi di anoressia bisognerebbe
parlarne il meno possibile perché più se ne parla e più generiamo anoressiche, perché fa parte
del supermercato delle idee per cui una ragazza ad un certo punto dice “potrei diventare
anoressica” a questo punto poi c’è una scelta del soggetto, favorita da alcune condizioni e si
diventa anoressici. Per cui, non voglio banalizzare, la questione è drammatica e molto
complessa, ma io credo sempre che ci voglia un bel lavoro insieme per capire che cosa è
successo e che la questione alimentare è solo la via finale di una situazione altra che è nata da
qualche altra parte, allora bisogna capire questo. Spesso se partiamo precocemente riusciamo a
correggere condizioni per cui poi diventa quella che io chiamo una tentazione anoressica. Ci
sono tante ragazze tentate di anoressia, però un conto è la tentazione, il potrei… e ciascun
genitore si accorge quando sta arrivando in questo caso o quando la ragazza ha già deciso di
imboccare questa strada. E’ una questione anche di non dare quel suggerimento, la frase “ah
sarai mica un’anoressica” perché non mangia, magari sta solo facendo una dieta e sta
mangiando poco…spesso siamo noi a dare il la, diciamo sciocchezze senza pensare, per cui
dobbiamo stare attenti anche a non suggerire o a dare degli spunti ai ragazzi e alle ragazze. Se
siamo già dentro in una strada di questo tipo c’è un lavoro forte di ordine dei pensieri che si
deve fare, questo in attesa che la scienza ci convincerà davvero che c’è qualcosa di
predeterminato nell’essere anoressiche….
7) Come dobbiamo porci di fronte ad adolescenti che hanno l’esigenza di utilizzo di internet e che
quindi ne fanno un mezzo che sostituisce il dialogo diretto.
In una scuola paritaria hanno fatto un questionario con le II medie sul web e queste cose ed il
70% dei ragazzi ha dichiarato di averci visto immagini pornografiche che l’hanno disturbato.
Credo che l’altro 30% le abbia viste senza esserne stato disturbato. La prima questione del web
è la pornografia e la violenza e tutto quello che c’è ed è accessibile precocemente. Dobbiamo
stare attenti a proteggerlo rispetto a questo. Sulla questione della comunicazione mi ricordo che
i miei si lamentavano perché passavo la sera al telefono. Ora che differenza c’è se la passano su
facebook? Non dico che debba essere … ma anche noi quando eravamo ragazzi avevamo i
nostri mezzi. Adesso c’è questo mezzo, l’importante è che non sia esclusivo. A Shangai un
32enne ha giocato per 3 giorni di fila senza mangiare, bere, dormire e alla fine è morto. Questi
giochi, il web, hanno un potere di attrazione enorme e possono diventare totalizzanti ed
esclusivi. Se ci avviamo in questa direzione è davvero un pericolo, dobbiamo aiutarlo,
regolamentarlo, ma se noi abbiamo un ragazzo che di pomeriggio fa gli allenamenti di calcio e
gioca a pallone e poi la sera mette su facebook il video di Barbara Streisand – che poi non so
perché adesso va di moda, che era l’icona degli omosessuali della mia generazione, assieme alla
Carrà…. Comunque se lui ha giocato, ha degli amici, frequenta l’oratorio, la scuola, i professori,
i cavalieri, fa quello che vuole... poi lo stare su facebook è come la nostra telefonata di un
tempo. Senza però essere troppo ingenui perché lì può accadere qualcosa di più e allora
vigiliamo, ma non dobbiamo demonizzare il mezzo. Certo che se, come sento certe mamme, “ah
no è bravissimo, sta in casa tutto il giorno” – sta a casa a fare cosa ? - “ sta al computer” - e no,
allora se succede così quello diventa sostitutivo del rapporto, allora è già successo qualcosa, non
è stato facebook che gli ha fatto male, aveva già deciso di mollare i rapporti e ha usato quello
che c’era. Anche qui bisogna guardare il ragazzo nella sua totalità per capire cosa sta
succedendo.
8) Mio figlio è in I elementare e quando è insieme ai suoi amici fanno sempre i cretini, sempre,
perennemente. A me scoccia perché mi sembra che butti via il tempo quando sta con loro.
Ma lo sa come è bello fare così? Fa la prima elementare! Cosa vuole, che giochi a scacchi?
Perché no? Ecco, ho fatto una domanda stupida e lei mi ha dato la risposta corretta. Può anche
giocare a scacchi ma non è l’unico modo per cui sarà un bravo bambino. L’altro giorno un
adulto, avrà quasi 50 anni, mi raccontava che gli è venuto in mente un ricordo di quando, da
ragazzino, andava in giro nella sua zona di Milano a prendere a calci i lampioni perché così si
muovevano le luci e per un po’ si rabbuiavano e poi riprendevano. Aveva un senso di colpa per
questo suo comportamento e gli ho detto che doveva essere stato un gioco straordinario e ho
capito che… pensa per un ragazzo l’idea di poter spegnere e accendere tutti i lampioni di una
via… è straordinaria questa cosa. Ora poi non si deve fare perché il lampione si può rompere,
può cadere, perché poi il comune, perché se tutti prendono a calci chissà cosa diventa… di per
sé non era un atto vandalico, non era pensato come atto vandalico, non faceva danni…io mi
sono immaginato… ma caspita un 12enne che ha questo potere di accendere e spegnere… La
questione è se suo figlio sistematicamente deve fare il pagliaccio. Questo è un altro punto. Se
mio figlio per stare con gli altri ha deciso che il suo ruolo è fare il pagliaccio dovrò aiutarlo su
questo. Ma non dicendogli “fai sempre il pagliaccio” così lo si mortifica e probabilmente lo
rafforzerà nel fare il pagliaccio. Se lei ha colto che la modalità che lui ha imparato è che deve
fare ridere gli altri, che deve fare una sciocchezza perché pensa che questo sia l’unico modo per
cui un altro lo possa apprezzare bisogna insegnarli e aiutarlo a capire che un buona amico non è
solo quello che fa ridere, ma anche quello che gioca bene… Il punto che lei ha colto può essere
corretto e allora abbiamo una correzione da fare in diretta, ma se ogni tanto fanno un po’ gli
stupidi perché sono in prima elementare, può essere che sia divertentissimo.
9) In base alla sua esperienza, genitori separati, cosa fare?
L’importante è che il bambino o ragazzo abbia la certezza che si sono separati il papà e la
mamma ma nessuno si è separato da lui. Questa deve essere la certezza. Sono affari nostri, fra
me papà e la mamma, fra me mamma e papà è accaduto qualcosa per cui non riusciamo più a
stare assieme, ma è una faccenda nostra la separazione, io non mi sono separato da te e la
mamma non si è separata da te. Verbalizzare, dire queste cose ai bambini/ragazzi gli toglie il
carico d’angoscia, perché spesso loro si sentono responsabili della separazione. La prima cosa è
chiarire i termini. Il secondo punto è che papà e mamma separati non usino il proprio figlio
come arma contro l’altro che è quello che accade più di frequente, per cui il problema è “ti porto
dalla parte mia” .. è un bel gioco di responsabilità che quei due si dicano “restiamo papà e
mamma di questo ragazzo” e io, padre, farò in modo che lui stimi la mamma perché è sua
mamma e io, mamma, farò in modo che lui stimi suo padre perché suo padre...
indipendentemente da quello che è successo tra noi. Certo che se è “ah sei andato da quel
cretino di tuo padre” oppure “quando vai lì’mi torni sempre che..” E poi bisogna stare attenti a
capire cosa sta accadendo perché se un ragazzo vomita tutte le sere prima di andare dal padre
non è detto che vomiti perché non è contento di andare dal padre, può anche essere che sia così
emozionato che lo esprime in quel modo. Stare sempre attenti perché poi uno o l’altro
interpreteranno questo come segnale di “ah, è attaccato a me, dall’altro non va volentieri..” E’
richiesto un grande passo di maturità a quei due: di essere almeno insieme per il figlio; potranno
essere separati su tutto il resto, farsi la guerra su tutto, ma non sul figlio che deve crescere con
questa certezza. Poi serve un po’ di ordine nella gestione della vita che vuol dire che se nel
week end sta dal papà abbia le cose per andare a scuola il lunedì. Queste cose le vedo sempre e
poveretti questi ragazzi non hanno casa, arrivano il lunedì e non hanno il libro di storia perché
era nell’altra casa… che ci sia la preoccupazione che siccome hanno due case o più case, che
loro abbiano sempre con sé quello che gli serve, questo li aiuta proprio anche ad essere a loro
agio nella casa in cui sono. Ma non possiamo considerare la separazione dei genitori come la
condanna inevitabile e necessaria dei figli, ossia non possiamo dare per scontato, in modo
deterministico, che cresceranno male; cresceranno male nella misura in cui quei due lì non
saranno in grado di crescerlo. Ma ce la possibilità per i figli dei separati di crescere bene se papà
e mamma saranno certi su di lui o su di lei.
Altre domande? No, allora vi dico io una cosa sull’interesse, sulla “voglia di studiare saltami
addosso”, perché sento sempre che i genitori si lamentano del fatto che al figlio non interessa
niente, è apatico, disinteressato. Ho pensato che noi adulti facciamo un errore sull’interesse,
pensiamo che l’interesse pre-esista, cioè che prima mi interessa una cosa e poi mi metto a farla.
Invece l’interesse è suscitato dalla realtà; non studierò geografia perché mi interessa, ma mi
interesserà geografia perché la studio. Se noi non siamo certi di questo passo non riusciamo ad
aiutare i nostri ragazzi. C’è quel credito che bisogna dare di energia per iniziare a farlo, se no è tutta
un’astrazione, come fa ad un ragazzo ad interessare... ma anche a noi.. quante volte non avremmo
voluto andare ad una vacanza, ad una cena, ad incontro e poi una volta che ci siamo andati diciamo
“ho fatto proprio bene, va che bello che è stato”; cos’è che abbiamo fatto? Abbiamo dato un minimo
di credito e abbiamo detto “dai facciamolo”. E poi è dal farlo che è venuto fuori il bene. I nostri
ragazzi a volte noi li convinciamo che devono avere determinati interessi, invece l’interesse viene
suscitato. Questo vuol dire che sto rivalutando quel vecchio detto, che non si sente più in giro, che
mi sembra sempre più bello in questi giorni, me lo sono anche segnato in un foglio in studio, che è
“voglia di studiare saltami addosso”. Perché è così che accade, la voglia di studiare mi salta addosso
nel momento in cui inizio a studiare, non è che ce l’ho prima. Io mi metto a fare una cosa e verrò
sorpreso dalla voglia di studiarla, ma prima devo decidere di studiarla. Se aspetto che…. Per cui la
voglia ci salta sempre addosso, ma ci salta addosso facendo.