Rock the kasbah - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio
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Rock the kasbah - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” Brugherio °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Giovedì 14 e venerdì 15 aprile 2016 Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15 “Ci sono stati dei momenti in cui guardavo Bill, e lui si era fatto crescere i capelli, aveva addosso una camicia di jeans e delle collanine turchesi. E mi chiedevo: mi sta prendendo in giro?” Mitch Glazer, lo sceneggiatore Rock the Kasbah di Barry Levinson con Bill Murray, Bruce Willis, Kate Hudson, Zooey Deschanel, Leem Lubany USA, 2015, 116’ °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Richie Lanz manager musicale sull'orlo del fallimento, intravede la possibilità di lanciare la sua ultima cliente, la trentenne Ronnie, nel corso di un tour per le forze armate americane in Afghanistan. Ma Ronnie se la svigna non appena messo piede a Kabul. Bloccato in terra straniera senza soldi e senza documenti, Richie s'imbatte casualmente in Salima, una ragazza di etnia pashtun dalla voce straordinaria, e decide di farla partecipare allo show televisivo Afghan Star, sfidando la sua cultura, il suo villaggio e soprattutto suo padre. Rock the Kasbah si colloca su una medietà di risultato che non è per forza mediocrità. Ha un sapore d'altri tempi, tempi nei quali si poteva derogare alla verosimiglianza in nome dello spettacolo, era un modo di stare al gioco, d'altronde non si può candidare tutto all'Oscar e ogni tanto dovrebbe essere lecito potersi rilassare, con un po' di salti di sceneggiatura e una visione schiettamente parziale e fantasiosa del Medio Oriente, com'è quella di Richie Lanz e del film di Levinson. Per dirla altrimenti, saremmo noi stessi un po' talebani se ci mettessimo a tirare le pietre a Rock the Kasbah perché smacchietta a destra e a manca e passa dal comico al sentimentale senza mettersi i guanti; è più sincero ammettere che, nonostante tutto, c'è qualcosa di efficace nel suo umorismo da fine del mondo e qualcosa di toccante nella storia di un uomo che sopravvive ammantandosi di un passato mitico che è a sua volta mito e menzogna e trova un po' di verità su se stesso solo dall'altra parte del pianeta, dove il villaggio che lo ospita è disposto a credere che "Smoke on the water" sia un canto tradizionale americano, per quanto bizzarro. Il titolo, come talvolta accade, è emblematico dei pregi e dei difetti dell'insieme. Ispirato al singolo dei Clash ("Rock the Casbah"), probabilmente originato dal divieto allora apposto da Khomeini all'ascolto della musica rock in Iran, nelle analogie con la sua fonte non va oltre questa dubbia origine; per di più la kasba è tipicamente nordafricana e non afgana, come fa notare al protagonista la figlia Dree. Lo spirito del film è dunque qui: nell'indebita appropriazione musicale (Richie non ha scoperto Madonna, non ha scoperto nessuno) e in un'idea mitica e pregiudiziale, scollata dalla realtà, ennesima illusione di un'esistenza costruita sulle illusioni. Prendere o lasciare. Lascino gli scettici e i puristi, prendano i fan della simpatia di Bill Murray, qui nel ruolo di Richie Lanz, e della bellezza di Leem Lubany (rivelata da Omar). Troveranno anche un Bruce Willis meccanico ed esilarante e una Kate Hudson sorprendentemente capace. Marianna Cappi – Mymovies Rock the Casbah è un pezzo dei Clash del 1982. Punk rock. Inserito in un album intitolato Combat Rock e uscito anche come singolo. La canzone non c’entra col film. Però il film, che è molto rock e ha quasi lo stesso titolo della traccia a parte lo scambio tra “C” e “K”, è prossimo alla canzone. Nello spirito e nel grande correre della vita. Bill Murray ne è il simbolo. Come uomo e attore ancora prima del suo personaggio Richie Lanz, manager di musica rock mezzo fallito e forse mai stato grande, davanti al tour che lo può rivitalizzare.(…) A dirigere tutto questo è Barry Levinson, un cineasta che probabilmente ha dato il meglio di sé egli anni Ottanta,(…) Oggi ritorna con Bill Murray in una pazza favola che riesce a entrare nel cuore del “fare musica” e a raccontare ciò che significa vivere nel segno della curiosità, della scoperta, dei nuovi paragrafi del suono e del rock’n’roll.(…) il film è davvero rock e questo Bill Murray lost in Afghanistan è autore di una performance tra le sue più amene, seducenti e ricche di prodigi espressivi. Un apologo che fiorisce in commedia di gioiosa follia nell’inferno afghano, tra codici di comportamento stranieri decodificati dal rock capace di sfondare le frontiere. Così Richie s’ingegna diabolicamente per compiere il suo disegno sulla cantante Pashtun dalla voce siderale condannata al silenzio da motivi religiosi e costumi millenari: “Le faremo cantare, dice, pezzi di artisti dell’occidente convertito all’Islam, Jimmy Cliff e Cat Stevens per esempio”.(…) Insomma ce n’è abbastanza per divertirsi: con un film volutamente un po’ stralunato e stropicciato, in realtà di forte compattezza ritmica, sostanziale, cromatica. Bill Murray ne è il mattatore, ma gli attori che lo affiancano ne sono scorta e sostegno di molta sostanza. Claudio Trionfera – Panorama.it Mitch Glazer, che ha già lavorato con Bill Murray per S.O.S. Fantasma, ha dichiarato di aver scritto la sceneggiatura pensando proprio all’attore. “Un Hunter Thompson della guerra” lo ha definito, scrivendo questa storia divertente e leggera che ha tuttavia dei problemi nello sviluppo e nella struttura narrativa. Murray sembra a suo agio nei panni di un uomo demoralizzato e in balia degli eventi, che riscopre gradualmente la passione per la musica e la sua identità di talent scout. Mantiene il suo tradizionale umorismo malinconico regalando momenti esilaranti ed ironici che tengono in alto il ritmo del film. Componenti della cultura pop si alternano a finestre di attualità nel cuore della caotica e contraddittoria Kabul e tra i sabbiosi e deserti paesaggi dei villaggi intorno, in cui la realtà è distorta e lontana da quella occidentale. Il confronto etnico è alla base della maggior parte delle gag previste dal copione. (…) La sceneggiatura non approfondisce molti aspetti e si lascia trasportare da uno stile di racconto superficiale. Alcune scene fondamentali sembrano bruscamente tagliate e ridotte ai minimi termini, riducendo un film promettente sulla carta ad una commedia implosa che non rende giustizia ai professionisti coinvolti. Sulle note di una colonna sonora piacevole e nostalgica, che ripropone riletture di intramontabili classici, il film non gestisce al meglio un’idea di base interessante, che poteva andare oltre il ricordo del fatto realmente accaduto vissuto da Setara Hussainzada e Lema Sahar, le due vere concorrenti di Afghan Star minacciate di morte e costrette a nascondersi in un paese che segue delle regole ben precise. I film che hanno adottato con successo la formula guerra + commedia sul grande schermo hanno trattato i problemi del mondo con onestà e spessore. Rock the Kasbah ci riesce solo in parte restando una commedia divertente ma confusa ed incompleta. Letizia Rogolino – Il Fatto Quotidiano Bill Murray piega questa storia spesso stucchevole non tanto al suo umorismo (molto contenuto e sacrificato a favore delle battute sul copione) ma alla sua idea malinconica di umanità. Il suo Richie Lanz non solo è un assurdo omino sempre eccitato e sempre positivo, costantemente intento a gettare il cuore oltre l’ostacolo, è anche una figura che proprio in quest’eterna positività trova un’amarezza e una malinconia che non hanno bisogno di musiche tristi, espressioni mogie o cocenti sconfitte per emergere, ma sono parte stessa di quell’iperbolica energia. Richie Lanz riuscirà a far partecipare la sua voce scoperta in una caverna dell’Afghanistan all’X-Factor locale, si batterà perché la sua famiglia non si frapponga e poi per la sopravvivenza stessa della famiglia, in una sottotrama che coinvolge un mercenario interpretato da Bruce Willis e la prostituta di Kate Hudson. Farà di tutto tra trattative e proiettili ma mai avrà il beneficio di un’epica, sarà sempre guardato con pietà. Non è quindi certo la parte politica che Rock the Kasbah centra, quella anzi è la parte più velleitaria e trascurabile, puerile e molto ingenua per come riduce questioni complicate ai minimi termini. Il centro è come questa serie di disavventure dicano qualcosa sull’irresistibile malinconia del mondo dello spettacolo, sulla forza propulsiva dell’etica statunitense e sulla mestizia che nasconde. Martellato dal successo che non ha avuto, Richie Lanz anela conferme dello statuto che ha inventato per sé stesso, i motti sulla propria abilità e gli aneddoti inventati. Richie Lanz cerca di far diventare vere le bugie che racconta da anni e trovata un’opportunità ci si aggrappa con sprezzo della vita. E in questo tentativo così tenace e falsamente gioioso, nella maniera in cui Bill Murray sorride alludendo ben altro, c’è l’unico motivo di soddisfazione di Rock the Kasbah. Gabriele Niola – Badtaste.it È un’avventura picaresca in un mondo estraneo, che diviene, per magica opposizione, lo specchio di un Occidente che non ha regolato i conti con le sue falsità. È un inno transnazionale alla libertà d’espressione, che però si incanala in modelli puramente commerciali che dettano la linea delle forme. Ed è, poi, se non soprattutto, il percorso di un uomo che deve ritrovare il senso della propria passione e, quindi, della sua vita. Nel personaggio di Richie Lanz, con la sovrastruttura di innocue menzogne che ha messo in piedi (Madonna l’ho creata io), si riconosce tutto il discorso portato avanti da sempre da Levinson. Quello di una macchina spettacolare che crea la realtà, stritolandone però i barlumi di verità e le scintille davvero creative. Di uno scintillio organizzato che abbaglia e chiude gli occhi, rimandando all’infinito il momento della “resa dei conti”. Eppure nella vita di Lanz non c’è davvero nulla di scintillante: c’è la vita minuta trascinata ai confini dell’impero, c’è la monotonia del lasciarsi andare, la solitudine della ripetizione tranquillizzante. C’è un’umanità dolorosa che non trova espressione, se non quella degli occhi e del corpo. Ed è proprio a quest’umanità che si aggrappa Bill Murray, con la sua faccia da vecchio leone in ciabatte, da comico in dismissione, con il suo stanco entusiasmo da attore “consumato”. Perché intuisce che solo nella modulazione progressiva delle emozioni del suo personaggio, nel viaggio di quest’eroe malconcio, il film può trovare il cuore più profondo. Aldo Spiniello – Sentieri Selvaggi