Il principio di laicità

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Il principio di laicità
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Fasc. 2/2016
26 Maggio 2016
Il principio di laicità: mero strumento rafforzativo del principio di
eguaglianza “senza distinzione di religione” ovvero obbligo positivo nei
confronti dei pubblici poteri? Riflessioni a prima lettura delle sentenze n. 63 e n.
52 del 2016
di Caterina Tomba – Dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Università
di Pisa
ABSTRACT: The following paper aims at analyzing two recent decisions of the Italian Constitutional
Court about freedom of religion: one relating to the freedom of worship, the other relating to the right to
optain the agreement provided by art. 8 Constitution. The article construed broadly the idea of secular state
offering a critical view on the Court’s interpretation.
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Decisioni simili di giudizi differenti. - 3. Il principio di laicità
dello Stato: una diversa lettura della ricostruzione giurisprudenziale. - 4. Definizioni dello
strumento dell’intesa tra Stato e confessioni religiose. - 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Nel primo trimestre dell’anno corrente la Corte costituzionale ha deciso due questioni, collegate
nell’apparenza, ma a ben vedere non del tutto coincidenti, relative all’annoso tema della libertà di
religione per le confessioni diverse da quella cattolica, pur prive dell’intesa prevista dal terzo
comma dell’art. 8 della Costituzione. La sentenza n. 52 del 2016 ha costituito la base per
l’affermazione di principi, in parte, non condivisibili, in materia di diritto all’intesa; la sentenza n.
63 del 2016 è stata la perfetta occasione per ribadire quegli stessi principi, delineando lo spazio di
libertà di religione spettante a tutte le confessioni religiose, anche prive di intesa. Inevitabile,
quindi, una lettura combinata delle due decisioni. Nel commento che segue si cercheranno di
individuarne i punti comuni, non tralasciandone, però, le necessarie distinzioni anche a fronte della
diversità dei giudizi da cui esse scaturiscono. A tal fine – si segnala fin da subito – non potrà

Lavoro sottoposto a referaggio in base alle Linee guida della Rivista.
1
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trattarsi di alcune delle questioni affrontate della Corte, se pur di notevole importanza, che
meriterebbero di essere analizzate in modo approfondito ma alle quali, in questa sede, è opportuno
soltanto accennare1. Si cercherà di dimostrare, invece, come l’utilizzo del principio di laicità,
richiamato in entrambi i casi dalla Corte, sembri non del tutto corretto nel primo caso, forse
superfluo nel secondo.
2. Decisioni simili di giudizi differenti
La sentenza n. 52 risolve un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, in particolare tra
Consiglio dei Ministri e Corte di Cassazione, annullando la sentenza di quest’ultima (sentenza n.
16305, 28 giugno 2013) con la quale veniva affermata la sindacabilità in sede giurisdizionale della
delibera del Consiglio dei Ministri con cui era stata negata all’Unione degli Atei e degli Agnostici
Razionalisti l’apertura delle trattative per la stipulazione dell’intesa di cui all’art. 8, terzo comma,
della Costituzione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha ritenuto necessarie alcune
considerazioni relative alla «natura e al significato che, nel nostro ordinamento costituzionale,
assume l’intesa per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da
quella cattolica»2. Parimenti, nel Considerato in diritto della sentenza n. 63 del 2016, conclusiva del
giudizio di legittimità costituzionale in via principale proposto dal Presidente del Consiglio dei
Ministri nei confronti di alcune disposizioni3 della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2015,
n. 12, si legge che «all’esame delle singole censure, occorre premettere alcune considerazioni sui
principi costituzionali in materia di libertà religiosa e di status delle confessioni religiose con e
senza intesa con lo Stato»4.
Fin da subito, evidentemente, emergono da un lato la diversità dei tipi di giudizio – conflitto di
attribuzioni nella prima decisione, giudizio di legittimità costituzionale in via principale nella
seconda – e dall’altro la corrispondenza dei procedimenti argomentativi preliminari volti a motivare
le decisioni dei giudizi stessi. Dati, questi, che non devono essere trascurati: nel primo giudizio la
Corte si trova a dover stabilire non tanto se e in che misura la Corte di Cassazione abbia esorbitato
dalle proprie attribuzioni, quanto, piuttosto, a dover fornire una qualificazione alla delibera del
Consiglio dei Ministri che nega l’avvio delle trattative, che viene, in particolare, connotata come
atto discrezionale, meramente politico, non vincolato da alcun parametro costituzionale, dal quale,
conseguentemente, deriva una responsabilità esclusivamente politica del Governo. Ciò sta a
significare che con la sentenza n. 52 la Corte non si limita a valutare la singola decisione della Corte
1
In particolare, potranno farsi soltanto alcuni accenni relativi alla qualificazione di confessione religiosa, tematica
che emerge soprattutto dalla sentenza n. 52 del 2016, e alle questioni di competenza tra Stato e Regioni in materia di
governo del territorio, ordine pubblico e sicurezza, e ordinamento civile nonché relativi alla normativa e giurisprudenza
sovranazionale in tema di libertà di religione e di culto, affrontanti nella sentenza n. 63 del 2016.
2
Corte cost., n. 52 del 2016, punto 4 del Considerato in diritto.
3
Art. 70 commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e art. 72 commi 4, 5, e 7 lettere e) e g).
4
Corte Cost., n. 63 del 2016, punto 4 del Considerato in diritto.
2
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di Cassazione, ma fornisce una conformazione e una definizione dello strumento dell’intesa prevista
dal terzo comma dell’articolo 8 Cost., arricchendo la sua stessa, scarna, giurisprudenza in materia5 e
dandone un’interpretazione fondata non esclusivamente sul dato letterale della disposizione
costituzionale, ma supportata da ragioni «istituzionali e costituzionali»6, tali da escludere l’esistenza
di una pretesa soggettiva all’avvio delle trattative di cui si tratta. Ragionevolmente, nondimeno,
autorevole dottrina ha evidenziato come quanto stabilito dalla sentenza n. 52 non potrà
evidentemente non avere effetti sulle future richieste di avvio alle trattative ai fini della stipulazione
delle intese7, e questo nonostante la Corte «si premur[i], sul finire del suo articolato argomentare, di
circoscriverne la portata assumendo che il diniego manifestato dal Governo alla confessione
religiosa (o presunta tale) che aspirava a dare avvio alle trattative in vista della eventuale stipula di
un’intesa ex art. 8, III c., Cost. non produce effetto alcuno al di là della vicenda in cui esso è
espresso; in particolare, non incide sulla qualificazione in via generale di un gruppo sociale quale
confessione religiosa, con ciò che ne consegue in ordine alla sua attitudine ad essere destinatario
delle norme giuridiche riguardanti tale tipo di formazione sociale»8. Se, dunque, la dichiarazione di
incostituzionalità di cui alla più recente pronuncia non desta preoccupazioni per i suoi riflessi sulla
legislazione futura, essendo, inoltre, coerente con i precedenti orientamenti in tema di diritto alla
disponibilità e alla costruzione di edifici di culto9, e ben potendo essere circoscritta alle disposizioni
5
Esigue sono, infatti, le decisioni in materia di libertà religiosa: sentenze n. 45 e n. 125 del 1957, sentenze n. 59 e n.
79 del 1958, sentenza n. 58 del 1960, ordinanza n. 15 del 1961, sentenza n. 85 del 1963, sentenza n. 39 del 1965,
sentenza n. 14 del 1973, sentenza n. 117 del 1979, sentenza n. 925 del 1988, sentenza n. 203 del 1989, sentenza n. 259
del 1990, sentenze n. 13 e n. 467 del 1991, sentenza n. 467 del 1992, sentenze n. 195 e n. 421 del 1993, sentenze n. 149
e n. 440 del 1995, sentenze n. 178 e n. 334 del 1996, sentenze n. 235 e n. 329 del 1997, sentenze n. 246, n. 507 e n. 508
del 2000, sentenza n. 379 del 2001, ordinanze n. 34 e 213 del 2002, sentenze n. 327 e n. 346 del 2002, sentenza n. 389
del 2004, sentenza n. 168 del 2005, ordinanza n. 127 del 2006, sentenza n. 102 del 2008.
6
Corte cost., n. 52 del 2016, punto 5.2 del Considerato in diritto.
7
A. POGGI, Una sentenza “preventiva” sulle prossime richieste di Intese da parte di confessioni religiose? (in
margine alla sentenza n. 52 della Corte costituzionale), in Federalismi.it, 6/2016.
8
A. RUGGERI, Confessioni religiose e intese tra iurisdictio e gubernaculum, ovverosia l’abnorme dilatazione
dell’area delle decisioni politiche non giustiziabili (a prima lettura di Corte cost. n. 52 del 2016), in Federalismi.it,
7/2016.
9
Tra tutte, v. sentenza n. 195 del 1993, in cui è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art.1 l. reg. Abruzzo, 16
marzo 1988, n. 29 con il quale si limitava l’assegnazione di contributi per la realizzazione di attrezzature destinate a
servizi religiosi alle sole confessioni religiose che avessero stipulato l’intesa prevista dal terzo comma dell’art. 8 Cost.
Più recentemente, v. sentenza n. 346 del 2002 con cui, analogamente, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art.1 l.
reg. Lombardia, 9 maggio 1992, n. 20 nella parte in cui introduceva il requisito della disciplina sulla base di intesa ai
fini di poter usufruire dei benefici previsti dalla stessa normativa regionale. Per un’analisi approfondita delle decisioni,
si vedano R. ACCIAI, La sent. n. 195 del 1993 della Corte costituzionale e sua incidenza sulla restante legislazione
regionale in materia di finanziamenti all’edilizia di culto, in Giur. Cost. 1993, II, 2151 ss.; G. DI COSIMO, Sostegni
pubblici alle confessioni religiose, tra libertà di coscienza e uguaglianza, ibidem, 2165 ss.; P. COLELLA, Un «passo
avanti» a garanzia dell’uguale libertà delle confessioni religiose, in Giurisprudenza Italiana, 1994, I, 100 ss.; C.
CARDIA, Edilizia di culto e l. 222/85,in Foro Italiano, 1995, I, 3114 ss.; G. GARANCINI, L’edilizia di culto: evoluzione
normativa e problematiche interpretative, in Iustitia, 2000, 111 ss.; R. BOTTA, Le fonti di finanziamento dell’edilizia di
culto, in Dir. Eccl., 1994, 3-4, 768 ss.; G. GIOVETTI, Il diritto ecclesiastico di produzione regionale, Milano, Cedam,
1997; G.P. PAROLIN, Edilizia di culto e legislazione regionale nella giurisprudenza costituzionale: dalla sentenza
195/1993 alla sentenza 346/2002, in Giurisprudenza Italiana, 2003, I, 351 ss.; G. GUZZETTA, Non è l’“eguale libertà”
a legittimare l’accesso ai contributi regionali delle confessioni senza intesa, in Giur. Cost., 2002, V, 2624 ss.
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censurate, lo stesso non può dirsi per la soluzione del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato,
e questo per il solo fatto che la Corte ha sancito inequivocabilmente la insindacabilità degli atti
governativi riconducibili al procedimento volto alla stipula delle intese ex art. 8, terzo comma, Cost.
3. Il principio di laicità dello Stato: una diversa lettura della ricostruzione giurisprudenziale
Fatta questa opportuna precisazione per ciò che concerne la diversità dei giudizi oggetto delle
due decisioni, non può che concentrarsi l’attenzione sull’evidente corrispondenza dei principi in
esse affermati: come premesso, in entrambe le motivazioni la Corte ritiene necessario esordire
facendo alcune considerazioni in tema di libertà di religione e, in particolare, sul concetto di intesa e
sullo status delle confessioni religiose con e senza intesa con lo Stato. In entrambe le decisioni, i
giudici della Consulta muovono dal presupposto che il carattere laico dell’ordinamento
costituzionale, da cui deriva una necessaria imparzialità ed equidistanza rispetto a ciascuna
confessione religiosa, non permetterebbe alcuna limitazione della libertà di religione, sia nel senso
di libertà collettiva, in riferimento, dunque, alla confessione in quanto tale, sia nel senso di libertà
individuale, in riferimento ai singoli fedeli nel libero esercizio anche collettivo del proprio culto. Le
disposizioni di cui agli articoli 3, 8, primo e secondo comma, e 19 della Costituzione già
varrebbero, autonomamente, a garantire tale spazio invalicabile di libertà, senza che a tal fine siano
necessari ulteriori atti, nello specifico le intese di cui al terzo comma dell’art. 8 Cost., come
confermato dalla precedente giurisprudenza della Corte da essa stessa richiamata10. Tale prima
considerazione, che apparentemente risulta conforme all’orientamento della Corte in materia,
merita un ulteriore approfondimento: a ben vedere, la giurisprudenza in tema di laicità dello Stato11,
fin dalla nota sentenza 12 aprile 1989, n. 203, non si è limitata a delineare uno spazio “minimo”
della libertà di religione che, in forza del principio di laicità, dovrebbe essere garantito a tutti i
cittadini – includendo, tra l’altro, anche la libertà negativa di non professare la propria fede – ma ha
precisato che proprio il principio di laicità «implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle
religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di
pluralismo confessionale e culturale»12. Il carattere laico dell’ordinamento, dunque, sembrerebbe
10
Sentenze n. 508 del 2000 e n. 329 del 1997.
Per un approfondimento sul tema della laicità nella giurisprudenza costituzionale di vedano, tra gli altri, S.
SICARDI, Il principio di laicità nella giurisprudenza della Corte costituzionale (e rispetto alle posizioni dei giudici
comuni), atti del Convegno “Costituzione e ordinamento giuridico” svoltosi a Foggia il 24 e 25 novembre 2006 in
occasione del decennale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia; L. MUSSELLI - C.B. CEFFA, Libertà
religiosa, obiezione di coscienza e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 2014; G. ROLLA, Libertà
religiosa e laicità. Profili di diritto costituzionale, Napoli, Jovene, 2009; M. CROCE, La libertà religiosa nella
giurisprudenza costituzionale: dalla giustificazione delle discriminazioni in nome del criterio maggioritario alla
“scoperta” del principio di laicità dello Stato. Verso la piena realizzazione dell’eguaglianza “senza distinzione di
religione”?, in Diritto Pubblico, 2006; S. RODOTÀ, Perché laico, Roma-Basi, Editori Laterza, 2009; M. AINIS, Chiesa
padrona. Un falso giuridico dai Patti Lateranensi a oggi, Milano, Garzanti, 2009; L. FORNI, La laicità nel pensiero dei
giuristi italiani: tra tradizione e innovazione, Milano, Giuffrè, 2010.
12
Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203, punto 4 del Considerato in diritto.
11
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essere qualcosa di più rispetto al mero divieto di discriminazione per motivi di religione, già
stabilito dall’articolo 3 della Costituzione. Tale conclusione risulta ancor più suffragata
dall’attribuzione del carattere supremo13 – e quindi immodificabile – al principio di laicità, ulteriore
rispetto al principio di eguaglianza formale e sostanziale, già di per sé appartenente a tale
categoria14.
Non sarebbe logicamente giustificabile affermare l’esistenza di un principio, implicito, quale
quello di laicità dello Stato, attribuirgli la qualifica di principio supremo dell’ordinamento,
utilizzarlo quale parametro di costituzionalità, se questo non avesse un contenuto diverso, o
comunque più ampio, rispetto al mero divieto di discriminazione per motivi religiosi. A ciò si
potrebbe obiettare che in realtà l’utilizzo del principio di laicità dello Stato si è connotato, e si
connota, quale strumento unicamente rafforzativo15 delle decisioni in tema di libertà religione, in
nulla differenziandosi dagli altri, espliciti, parametri costituzionali di cui agli articoli 3, 8, primo e
secondo comma, 19 e 20 Cost. già sufficienti a costituire il nucleo essenziale della libertà di
religione. Tale obiezione muove dal presupposto di un’utilizzazione addirittura «disinvolta»16 della
laicità, in molti casi non necessaria ed oltretutto accompagnata da una definizione poco chiara e,
dunque, incerta del principio stesso. Ma se così fosse, allora dovrebbero ricercarsi le ragioni di tale
utilizzazione, che non possono essere, e non sono infatti state, riconducibili ad un presunto carattere
generico delle disposizioni costituzionali in tema di religione o alla loro eventuale incapacità di
costituire, autonomamente, ragionevoli parametri costituzionali. In realtà, la richiamata dottrina, che
attribuisce carattere rafforzativo all’uso del principio di laicità, è la stessa che afferma che
«basterebbe muovere dal solo principio di eguaglianza “senza distinzione di religione” per risolvere
tutte le questioni aperte in questa materia»17. Se, dunque, i parametri costituzionali sono sufficienti,
13
Fra tutte, sentenza n. 203/1989.
Sul carattere supremo del principio di cui all’art. 3, cfr., in primis, Corte cost. n. 175 del 1971, in cui tale
disposizione viene considerata principio fondamentale e inderogabile. La giurisprudenza costituzionale in materia, in
realtà, non è del tutto univoca: si registrano talune decisioni (sentenze n. 32 del 1971 e n. 16 del 1982) nelle quali il
principio in parola viene definito cedevole nei confronti della legislazione concordataria ex art. 7 Cost. Per un’analisi
approfondita del tema cfr. A. CERRI, Appunti sul concorso conflittuale di diverse norme della Costituzione, in Giur.
Cost., 1976, 278, nota 31; F. MODUGNO, I principi costituzionali supremi come parametro nel giudizio di legittimità
costituzionale, in F. MODUGNO - A.S. AGRÒ - A. CERRI (a cura di), Il principio di unità del controllo sulle leggi nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, Giappichelli, 2002; R. NANIA, Concordato e “principi supremi”
della Costituzione, in Giur. Cost., 1977, I, 253 ss.; S.M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, Giappichelli,
2007, 109, nota 134; ID., La revisione della Costituzione, Padova, Cedam, 1972.
15
In tal senso, M. CROCE, op. cit., 387 ss., il quale osserva che «La Corte ha forse complicato un po’ il quadro
utilizzando come rafforzativo di diverse rationes decidendi il principio di laicità senza peraltro definirlo con
precisione»; R. CALVANO, Il ruolo dei principi fondamentali della Costituzione nella giurisprudenza costituzionale, in
AA.VV., Giurisprudenza costituzionale e principi fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle Costituzioni, a cura di
S. STAIANO, Torino, Giappichelli, 2006, 394, in nota 78, afferma che il principio di laicità è stato utilizzato come
«formula enfatica, per rafforzare la ratio decidendi» delle decisioni analizzate.
16
M. CROCE, cit., 388.
17
M. CROCE, cit., 387; nello stesso senso osserva R. CALVANO, cit., che «questa utilizzazione ha distolto
l’attenzione sul parametro che sta alla base delle decisioni e sulla base del quale è possibile impostare correttamente le
questioni e pervenire a ulteriori sviluppi, ossia il principio di eguaglianza individuale sotto il profilo dell’eguaglianza
“senza distinzione di religione”».
14
5
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allora perché individuare un diverso principio? Forse la laicità non può limitarsi ad essere
considerata una generica interpretazione del combinato disposto degli articoli in questione; forse, ed
è qui che si vuole tornare, la laicità comporta ulteriori conseguenze sul piano della legittimità
costituzionale e dei vincoli da essa derivanti nei confronti del legislatore. Tali ulteriori conseguenze
scaturirebbero, allora, dal diverso contenuto della laicità rispetto alla più semplice libertà di
religione, comportando quella necessaria non indifferenza di fronte al pluralismo religioso
affermata dalla Corte nella ricostruzione del principio.
D’altronde l’ordinamento italiano non può definirsi semplicemente laico, ma, come osservato da
autorevole dottrina18, si configura come uno Stato laico sociale, che ha scelto di valorizzare il
carattere sociale e il valore storico della religione e delle confessioni religiose. Il superamento del
binomio laicità/separatismo – in favore del richiamato carattere sociale – si ricava, d’altronde, dalle
stesse disposizioni costituzionali secondo le quali lo Stato: riconosce le formazioni sociali – anche
religiose – nelle quali si svolge la personalità dell’uomo (art. 2); si impegna a rimuovere gli ostacoli
che limitando la libertà e l’uguaglianza – anche religiosa – impediscono il pieno sviluppo della
persona (art. 3); e si propone di entrare in rapporto con le diverse confessioni religiose attraverso
accordi che disciplinano le relazioni ecclesiastiche (artt. 7 e 8). Il carattere sociale della laicità come
appena descritto ci permette, allora, di interpretare il primo comma dell’articolo 8 nel senso che
questo «escluderebbe, nell’affermare che tutte le confessioni sono egualmente libere di fronte alla
legge, che lo Stato possa favorire l’espansionismo di una confessione rispetto alle altre»19.
La configurazione, e conseguentemente applicazione, del principio di laicità praticata dalla
Consulta determina conseguenze diverse nelle due decisioni: nella sentenza n. 63 il principio in
parola porta la Corte a non salvare dalla censura di incostituzionalità le discriminazioni presenti
nella legislazione lombarda in virtù delle quali erano stati richiesti requisiti specifici e più stringenti,
ai fini della costruzione di edifici di culto, per le sole confessioni prive di intesa20; nella sentenza
precedente l’applicazione di tale principio porta la Corte a configurare la delibera governativa come
atto insuscettibile di controllo in quanto rientrante nella funzione, assolutamente libera nel fine, di
indirizzo politico, il cui esercizio non inciderebbe in alcun modo su quel minimo di libertà religiosa
che verrebbe comunque garantito e tutelato in base agli articoli 8, primo e secondo comma, e 19.
Ora, volendo, al contrario, ritenere il principio di laicità un principio autonomo dal quale derivano
obblighi positivi in capo allo Stato, nei termini sopra indicati, le conseguenze sarebbero, invece, le
seguenti: 1) la conclusione della decisione n. 63 sarebbe certamente la medesima, ma si fonderebbe
esclusivamente sull’articolo 3, dunque sul solo divieto di discriminazione per motivi religiosi; 2)
quella della sentenza n. 52, invece, sarebbe opposta rispetto a quella raggiunta dalla Corte, non
potendo – il Governo – discrezionalmente negare l’avvio delle trattative senza fornire adeguate
motivazioni che, se discriminanti, dovrebbero poter essere sottoposte ad un controllo giurisdizionale
ad opera dei competenti organi della giustizia amministrativa al fine, come d’altronde affermato
dalla Corte di Cassazione nella sentenza annullata21, di tutelare, si badi, non un diritto soggettivo
18
C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea legislazione italiana, Torino, Giappichelli, 2010.
C. CARDIA, op. ult. cit., 115.
20
È necessario segnalare che non tutte le disposizioni impugnate sono state dichiarate illegittime per contrasto con il
principio costituzionale di libertà religiosa, essendo state, talune, salvate dalla relativa censura, e talaltre dichiarate
incostituzionali per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera h).
21
Cass., Sez. Un., 16305/2013
19
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della confessione, bensì il suo interesse legittimo alla «difesa dalla lesione discriminatoria che si
potrebbe consumare con una immotivata e incontrollata selezione degli interlocutori confessionali».
4. Definizioni dello strumento dell’intesa tra Stato e confessioni religiose
Le criticità del quadro motivazionale appena descritte investono, conseguentemente, la
ricostruzione dello strumento dell’intesa che la Corte costituzionale offre in entrambe le decisioni.
Si legge, infatti, nella sentenza sulla legge lombarda che «il regime pattizio (artt. 7 e 8, terzo
comma, Cost.) si basa sulla “concorde volontà” del Governo e delle confessioni religiose di
regolare specifici aspetti del rapporto di queste ultime con l’ordinamento giuridico statale […]. Gli
accordi bilaterali sono finalizzati al soddisfacimento di “esigenze specifiche di ciascuna delle
confessioni religiose, ovvero a concedere loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro
particolari limitazioni, ovvero ancora a dare rilevanza, nell’ordinamento, a specifici atti propri della
confessione religiosa»22. Con questa riassuntiva descrizione la Corte fa riferimento, con un espresso
e testuale richiamo, alla dettagliata interpretazione dello strumento pattizio offerta in occasione del
“caso UAAR”. In questa circostanza i giudici della Consulta affermano che «il significato della
disposizione costituzionale – il terzo comma dell’articolo 8 – consiste nell’estensione, alle
confessioni non cattoliche, del “metodo della bilateralità”, in vista dell’elaborazione della disciplina
di ambiti collegati ai caratteri peculiari delle singole confessioni religiose». L’eguaglianza tra
confessioni con o senza intesa risulterebbe, invece, complessivamente tutelata dagli artt. 3 e 8,
primo e secondo comma, dall’art. 19, nonché dall’art. 20 Cost. Perciò, prosegue la Corte in un
passaggio che si ritiene di rilevante importanza, «non è corretto sostenere che l’art. 8, terzo comma,
Cost. sia disposizione procedurale meramente servente dei – e perciò indissolubilmente legata ai –
primi due commi, e quindi alla realizzazione dei principi di eguaglianza e pluralismo in materia
religiosa in essi sanciti. Il terzo comma, invece, ha l’autonomo significato di permettere
l’estensione del “metodo bilaterale” alla materia dei rapporti tra Stato e confessioni non
cattoliche, ove il riferimento a tale metodo evoca l’incontro delle volontà delle due parti già sulla
scelta di avviare le trattative»23. A ben vedere, la ratio della previsione dello strumento pattizio di
cui al terzo comma dell’articolo 8, in relazione ai commi precedenti e, soprattutto, alla medesima
previsione per la Chiesa cattolica, non è così pacifica. Come è stato giustamente osservato 24, la
Costituzione ha espresso un intento risarcitorio nei confronti delle confessioni di minoranza rispetto
al discriminatorio trattamento da esse subìto in epoca fascista. Tale intento risarcitorio si desume
chiaramente dalle discussioni affrontate sul tema in sede costituente, le quali nacquero di rimbalzo
dall’approvazione dell’art. 7 con la proposta, non ostacolata, dell’on. Terracini di regolare «i
rapporti dello Stato con le altre Chiese (…) per via legislativa, d’intesa con le loro rappresentanze
legittime»25. Tale proposta portò alla stesura di un testo nel quale venivano accorpati, nello stesso
articolo – allora articolo 5 –, i contenuti degli attuali articoli 7 e 8 Cost.26, la cui scissione derivò
non tanto dalla volontà di diversificare formalmente il regime concordatario da quello delle intese,
22
Punto 4.1 del Considerato in diritto.
Punto 5.1 del Considerato in diritto.
24
C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico, cit., 249.
25
Seduta del 23 gennaio 1947, in ASSEMBLEA COSTITUENTE, COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, Adunanza
plenaria. Discussioni dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, Roma, 158.
26
Testo approvato dalla Commissione per la Costituzione in seduta plenaria nella seduta del 24 gennaio 1947.
23
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quanto piuttosto dalla volontà di legare la possibilità di addivenire ad intese alla libertà di tutte le
confessioni di fronte alla legge. Tanto è che prima dell’approvazione dell’attuale testo dell’articolo
8, lo stesso testo era stato collocato nell’allora articolo 10, oggi articolo 19, dimostrando la
necessaria convergenza tra regime pattizio ed effettiva libera professione della propria fede27.
Coerente con questa impostazione risulta l’intervento di Ruini del 25 marzo 1947, il quale,
inequivocabilmente affermò che «Bisogna bensì andare incontro ai desideri delle minori
confessioni, ed assicurarne la libertà. La Commissione non ritiene che debbano sempre, nei loro
rapporti con lo Stato, essere regolate da legge. In molti casi non occorrerà che intervenga una legge:
le confessioni saranno lasciate interamente libere. Ma il giudizio e la decisione se si debba o no
provvedere con legge, non può essere rimesso alla rappresentanza della confessione: spetta
logicamente e necessariamente allo Stato; che ha tuttavia il dovere di procedere, ove sia richiesto, a
trattative con tali rappresentanze. Questo sembra il sistema, indubbiamente migliore fra tutti, che
risponde al pensiero della Commissione. La sua applicazione potrà aver luogo con piena
soddisfazione delle Chiese interessate»28 (corsivo aggiunto).
A fronte di tali premesse, si deve accogliere la qualifica dell’intesa offerta da quella parte della
dottrina secondo cui questa si configurerebbe come contratto di diritto pubblico interno29,
evidenziando, così, il ruolo preponderante della confessione nella dialettica con i poteri pubblici e il
carattere vincolante che l’intesa assume nei confronti degli stessi. Tale carattere vincolante
produrrebbe l’effetto, secondo tali orientamenti, non soltanto di non permettere al legislatore di
modificare unilateralmente il contenuto dell’eventuale intesa raggiunta attraverso una revisione
della legge approvata ex art. 8, terzo comma, ma anche quello di integrare un vero e proprio obbligo
costituzionale per il Governo di presentare il disegno di legge di approvazione dell’intesa stessa al
Parlamento30, disegno di legge che deve riprodurre almeno la sostanza – c.d. obbligo di conformità
27
Testo approvato nella seduta pomeridiana del 12 aprile 1947.
F. CALZARETTI (a cura di), La nascita della Costituzione. Le discussioni in Assemblea Costituente a commento
degli articoli della Costituzione, in www.nascitacostituzione.it
29
Tale definizione si deve a C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., 250. Nello stesso senso, P. A.
D’AVACK, Intese (Diritto ecclesiastico: profili generali), in Enc. giur., XVII, Milano, 1989; S. LARICCIA, Diritto
ecclesiastico, Padova, Cedam, 1986; C. MIRABELLI, L’appartenenza confessionale. Contributo allo studio delle persone
fisiche nel diritto ecclesiastico italiano, Padova, Cedam, 1975; G. QUADRI, Un presunto caso di legge atipica: la legge
che regola i rapporti fra Stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Scritti degli allievi offerti ad Alfonso
Tesauro, Milano, Giuffrè, 1968; N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8
della Costituzione, Bari, Cacucci Editore, 1990; S. LANDOLFI, L’intesa tra Stato e culto acattolico. Contributo alla
teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Napoli, Cedam, 1962; G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto
costituzionale. Il sistema delle fonti del diritto, I, Torino, Giappichelli, 1990. In senso contrario, F. FINOCCHIARO, Sub
art. 8 della Costituzione, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna - Roma, Zanichelli - Soc.
Ed. del Foro Italiano, 1975; G. CASUSCELLI, Concordati, intese e pluralismo confessionale, Milano, Giuffrè, 1974; M.
RICCA, Legge e intesa con le confessioni religiose. Sul dualismo tipicità/atipicità nella dinamica delle fonti, Torino,
Giappichelli, 1996; P. LILLO, L’adattamento dell’ordinamento interno al “diritto pattizio”: contributo allo studio delle
fonti del diritto ecclesiastico italiano, Milano, Giuffrè, 1992; P. BARILE, Appunti sulla condizione dei culti acattolici in
Italia, in Il Diritto ecclesiastico, I, 1952; G. PEYROT, Significato e portata delle intese, in AA.VV., Le intese tra Stato e
confessioni religiose, Milano, Giuffrè, 1978. Oltre a tali tesi, che possono considerarsi piuttosto moderate, se ne sono
sviluppate alcune, maggiormente estreme, che configurano le intese come atti meramente politici la cui vincolatività nei
confronti dello Stato sarebbe sorretta da ragioni di esclusiva convenienza ed opportunità: in questo senso P. CIPROTTI,
Diritto ecclesiastico, Padova, Cedam, 1964; V. DEL GIUDICE, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1964 e
M. PETRONCELLI, Manuale di diritto ecclesiastico, Napoli, Jovene, 1982.
30
Per i relativi riferimenti bibliografici si veda S. BERLINGÒ, L’affaire dell’U.A.A.R.: da mera querelle politica ad
oggetto di tutela giudiziaria, in www.statoechiese.it, 4/2014, 3 febbraio 2014, 18 ss.
28
8
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
sostanziale – dell’intesa conclusiva delle trattative. A sostegno di tali conclusioni vale la
qualificazione della legge di approvazione come legge rinforzata, che determina la subordinazione
della legge stessa alla Costituzione, ma allo stesso tempo la sua resistenza a qualsiasi modifica o
abrogazione in quanto vincolata, dall’articolo 8, all’intesa che essa approva31. A ciò si aggiunga
l’individuazione del principio di effettività quale fine ultimo dello strumento dell’intesa 32, non
potendo, quest’ultima, essere considerata esclusivamente come uno strumento finalizzato al
riconoscimento di esigenze peculiari di un gruppo religioso – come affermato dalla Corte –, ma
dovendo, al contrario, riconoscere che l’intesa concorre ad assicurare l’effettiva eguale libertà
religiosa delle confessioni che vi addivengono33.
5. Conclusioni
In conclusione: dal principio di laicità dello Stato deriva un obbligo positivo, ulteriore e
rafforzato rispetto al mero divieto di discriminazione per motivi religiosi, nei confronti del
Governo; tale obbligo comprende il necessario favore nei confronti del pluralismo religioso; tale
atteggiamento di favore si concretizza nell’obbligo di motivare l’eventuale diniego all’avvio delle
trattative di cui al terzo comma dell’articolo 8 della Costituzione e, dunque, l’ulteriore eventuale
potere di verificare in sede giudiziaria che tali motivazioni non siano discriminatorie, in violazione
del primo comma dell’articolo 8. A conferma di quanto concluso si pone la dottrina dell’intesa
quale contratto di diritto pubblico interno sopra richiamata con tutte le necessarie derivazioni
teoriche sull’obbligatorietà di presentazione della legge di approvazione dell’intesa e sulla non
modificabilità sostanziale del contenuto dell’intesa e della legge stessa.
31
In particolare, C. CARDIA, op. ult. cit., 252.
Tra tutti, L. D’ANDREA, Eguale libertà ed interesse alle intese delle confessioni religiose: brevi note a margine
della sentenza cost. n. 346/2002, in Dir. eccl., 2/2004, 494 ss.
33
A. RUGGERI, op. cit.,8.
32
9