N°09-2011
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N°09-2011
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Costituzione della Repubblica Italiana, Principi Fondamentali, Articolo 3 Reg. n° 2425 del 26/03/2009 C.F. 93056690204 Menzogna e pregiudizio Vergogna 6 aprile 2011 Rassegna stampa Un altro mondo è stato possibile Appuntamenti MENZOGNA E PREGIUDIZIO La scorsa settimana, nella nostra rubrica A regola d’Art3, avevamo segnalato e commentato questo articolo: Nei giorni scorsi un giovane uomo, nel tentativo di rubare del metallo, è rimasto ucciso da una potentissima scarica elettrica. Ladro di rame folgorato (Gazzetta di Mantova, 26/3), Ladro di rame folgorato da 18 mila volt (Voce di Mantova, 26/3), L’oro dei poveri, per rubarlo si muore (Voce di Mantova, 27/3). Entrambi i quotidiani locali danno la notizia in prima pagina, ma solo la Voce di Mantova trova opportuno e significativo segnalare la (presunta) appartenenza culturale della vittima (rom), ben visibile sotto al titolo e nel corpo del pezzo, e pubblicare le immagini del cadavere, accanto alla fototessera dei documenti del giovane. Pensiamo si tratti di una cronaca scritta al di fuori dei dettami della deontologia e ai limiti della legge che assicura parità di trattamento indipendentemente dall’origine etnica (AB) Cosa è accaduto nei giorni successivi? Sorpresa: il ragazzo non è rom e la famiglia ha chiesto una rettifica, che il giornalista ha così formulato: Ci pare necessario sollevare nuove domande. Perché nel primo articolo si specifica la (abbiamo visto presunta) appartenenza alla comunità rom? Sarà forse il frutto di un pregiudizio? Ladro di rame = rom? E’ utile in questo caso rispolverare alcune riflessioni dal libro Cause strategiche contro la discriminazione, che ci evidenziano, a proposito del ruolo dei mezzi d’informazione nel campo della discriminazione, che una delle prassi più comuni è quella di non limitarsi a raccontare i fatti di cronaca nera, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, così come indica lo stesso Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. La tendenza in atto è quella di specificare in modo ossessivo l’origine di chi compie un reato, anche in circostanze in cui definire la nazionalità o l’appartenenza etnica non è necessario per la comprensione dei fatti. Questa prassi si chiama ‘Etnicizzazione del reato’. Riferimenti così ossessivi creano nei lettori la convinzione che effettivamente un certo tipo di reato viene compiuto esclusivamente da persone migranti o da persone di origine etnica minoritaria. Eppure il giornalista, nell’esercizio della sua professione ha il “dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e di non discriminare nessuno per la razza, la religione, il sesso, le condizioni fisiche e mentali e le opinioni politiche”. Fabrizio Amato non è rom ma italiano doc. Ma lo sappiamo che la maggior parte dei rom e sinti in Italia sono cittadini italiani? L’articolo si chiude con le scuse del quotidiano per l’imprecisione: dare del rom è un’offesa ormai. Il giornalista, sempre anonimo, si scusa quindi con la famiglia, perché mancano le scuse alla minoranza rom, indebitamente associata ai ladri di rame? Che dire infine della foto del cadavere? Non è forse lesiva della dignità? Eppure la Carta dei doveri del giornalista dice che: “Il giornalista non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona”. Eva Rizzin UN ALTRO MONDO È STATO POSSIBILE. LOMBARDIA, 1994 Quando Elvira, dodicenne, sua madre, sua nonna e i suoi fratellini nel 1994 arrivarono a Cevo, nell’alta Valle Camonica avevano addosso la stanchezza senza speranza e la tristezza spaesata di chi fugge da un massacro incomprensibile, da una guerra cruenta in cui le vittime erano soprattutto i civili, sottoposti a quella violenza sistematica, razzista e nazionalista che da allora ha preso il nome di pulizia etnica. L’iniziativa di portarli via da un campo profughi croato per dar loro la possibilità di ricominciare a vivere è stata presa una cordata di sindaci bresciani. Elvira e i suoi venivano da Srebrenica, teatro del più tremendo massacro della guerra di disgregazione della ex Jugoslavia. Ad accogliere le due donne e i tre bambini c’era mezzo paese, venne messa a disposizione della famiglia Mujcic una casa, del cibo e poi la scuola e un lavoro. Elvira e i suoi erano musulmani di Bosnia. Nella Jugoslavia socialista le religioni non avevano un gran peso, soprattutto tra gli intellettuali. E la mamma di Elvira, che a Cevo si guadagna da vivere ancora facendo l’operaia, era fisico nucleare. Il parroco, don Paolo, si preoccupò di evitare ai profughi musulmani l’imbarazzo di un’abitazione con i simboli di una religione che presumeva non fosse la loro. Andò a casa, staccò dai muri crocifissi e immagini della Madonna e portò in dono ai nuovi concittadini un Corano. Fra qualche settimana, alla fine di aprile, due classi di due scuole mantovane andranno in Bosnia, in un viaggio organizzato dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Mantova e dall’Istituto mantovano di storia contemporanea. Dopo un lungo itinerario di preparazione, hanno incontrato Elvira Mujcic, che oggi vive a Roma, dove scrive e pubblica bellissimi libri in italiano. “Riuscite a immaginare che quanto è accaduto a me nel 1994 possa accadere a una famiglia di profughi anche oggi?” ha chiesto la giovane scrittrice ai ragazzi. Una storia analoga è quella di Elzada Sarhatlic, che col suo racconto della pulizia etnica e della fuga da Stari Majdan, al nord della Bosnia, ha aperto il percorso di formazione riservato agli studenti mantovani. Anche lei e sua sorella hanno trovato a Roverbella, in provincia di Mantova, un’accoglienza che ha dato alle due bambine conforto e strumenti per costruirsi un futuro insieme alla madre. Tra il 1992 e il 1995, 78.500 profughi in fuga dalla ex Jugoslavia in guerra sono stati accolti in Italia, e il numero si riferisce solo a coloro che sono entrati in Italia con un regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari; molti non ebbero il tempo o non vollero chiederlo e nel nostro Paese entrarono ugualmente. Magari in transito verso Paesi europei in cui la normativa sui diritti dei rifugiati era (come tuttora è) migliore, più garantista e organica. Erano musulmani, cattolici, ortodossi, atei che trovarono in Italia, nell’Italia del Nord soprattutto, un’accoglienza spesso straordinaria; decine di lombardi, di veneti, di piemontesi e non solo aprirono le proprie case a chi non ne aveva più una. Si formarono famiglie allargate, non sempre facili da gestire; molti italiani rinunciarono per mesi, in qualche caso per anni, al secondo bagno, alla camera in più, all’appartamentino preparato per il futuro dei figli per ospitare gli stranieri. A farlo era gente comune, spesso furono i parroci a promuovere l’accoglienza; ma anche gli enti locali, le organizzazioni di volontariato. Dov’è finita quell’Italia che non aveva paura dell’altro? Come può avere dimenticato se stessa? Quando, alcuni anni fa, ho chiesto a un giovane uomo dell’Azione Cattolica perché nessuno di loro avesse pensato di scrivere quella bellissima storia, mi ha risposto con una frase che esprime un principio evangelico, pratica dei cristiani migliori: - Non sappia la mano destra quel che fa la sinistra. Non facciamoci vanto delle nostre buone azioni. Ma le storie e la Storia vanno raccontate, contribuiscono a costruire l’autocoscienza dei popoli, stabiliscono un piano di realtà che serve a orientarsi nel futuro. La smemoratezza travolge l’Italia, non si elaborano le colpe del passato prossimo, ma nemmeno i gesti di coraggio di un passato così recente. Oggi c’è soprattutto paura; gli stessi paesi che hanno accolto nelle proprie case i profughi quindici anni fa, oggi plaudono a chi dice di buttarli fuori dalle scatole tutti, senza perder tempo a distinguere chi fugge da una guerra o, semplicemente, ‘banalmente’, dalla fame, dalle malattie o dalle discriminazioni. Fuori tutti, anche i minorenni, i bambini. Speriamo che la bozza d’accordo che prevede la concessione di permessi temporanei vada in porto in condizioni di rispetto per la dignità dei migranti. E se qualche italiano decidesse di aprire la propria casa, come è accaduto negli anni Novanta, a una donna, un uomo, un bambino in fuga verso la vita? Grazie, Elvira, di averci ricordato che un altro mondo, nel suo piccolo, è stato possibile anche da noi. Maria Bacchi E’ di oggi la notizia del naufragio al largo di Lampedusa di un barcone che ha portato alla morte 250 persone. Torna su RASSEGNA STAMPA Apriamo la rassegna stampa con l’articolo in prima pagina della sezione Milano di Repubblica del primo aprile: Il codice dei rom per “segnare” gli appartamenti (Repubblica Milano, 1/4). Stentiamo a credere che proprio questo giornale rispolveri un antichissimo pregiudizio sui rom: quello dell’esistenza di un codice di simboli utilizzato dai rom per scambiarsi informazioni sugli appartamenti da derubare. Per il giornalista si tratterebbe di un elenco di simboli “redatto anni fa dagli investigatori con l’aiuto di informatori rom”. Purtroppo sappiamo che l’associazione ‘rom uguale ladro’, grazie al ruolo attivo di parte dei media, è entrata ormai nel senso comune condiviso. Tuttavia, dato ancor più grave, essere rom o sinti è sempre più spesso considerato un insulto infamante in sé e per sé, al punto che la Voce di Mantova deve pubblicamente chiedere scusa ai famigliari di Fabrizio Amato, il ragazzo morto folgorato mentre tentava di rubare il rame (lo riprendiamo in questo numero) per averlo “scambiato” per rom: Fabrizio Amato non era rom ma italiano doc (Voce di Mantova, 31/3). I media hanno un ruolo fondamentale nella creazione delle fobie e del senso comune, ruolo che questa settimana è particolarmente evidente nel racconto allarmistico che essi fanno degli sbarchi a Lampedusa (vedi riflessioni di Lorenzo Guadagnucci nel box qui sotto): L’invasione. La Lombardia (per ora) si salva dai clandestini. La tendopoli non si fa (Cronaca Qui, 31/3) nel quale si parla di uno “tsunami di clandestini”; “Entro vent’anni 400 milioni di africani ci invaderanno” (Cronaca Qui, 1/3) dove il giornalista mette in guardia dall’alto tasso di natalità degli immigrati definito una “bomba ad orologeria”. Apprendiamo dalla Gazzetta di Mantova che il governo starebbe valutando la possibilità di ospitare i migranti nordafricani nel Mantovano: Ipotesi campo profughi al Migliaretto (Gazzetta di Mantova, 4/4). Tale ipotesi viene però respinta seccamente dal capogruppo della Lega Luca De Marchi con la secca affermazione: “A Mantova zero clandestini, zero tunisini”, La Lega: “Disponibili solo per chi fugge dalla guerra” (Voce di Mantova, 6/4). Così, mentre Libero Milano si incarica di annunciare ‘l’arrivo degli Unni’ a Milano (E’ già iniziata l’invasione. Decine di clandestini in città, 2/3), la stampa locale dà ampio spazio a lettere intrise di islamofobia: Che colpa ne ha il povero cittadino? e Bussare alla porta prima di entrare (rispettivamente di Dino e Bertolini e Arnaldo Predari, Voce di Mantova, 31/3). In particolare in quest’ultima lettera si legge: “sappiamo quanto gli Islamici siano violenti, aggrediscono e uccidono Cristiani in tutto il mondo […] è arcinoto che in molte Moschee nostrane si reclutano terroristi e si predica violenza”. In questo clima generale, segnaliamo la crescente ostilità di alcuni rappresentati istituzionali e privati cittadini, fino ad arrivare a veri e propri atti di vandalismo, nei confronti del centro culturale islamico di Sesto San.Giovanni: Silicone nelle serrature, “sigillato” il capannone degli islamici (il Giorno Milano Milano, 5/4) e La finestra sul cortile e quel viavai “sospetto”. Binocoli puntati sugli studenti di lingua araba (il Giorno, 5/4). “Non abbiamo svolto attività di culto e non vogliamo entrare in polemica con nessuno” afferma Sabrina Doulmadji che si occupa della comunicazione del centro. Di particolare rilevanza la sentenza del tribunale di Milano contro l’Istituto nazionale tumori che aveva inserito il requisito di cittadinanza italiana nei bandi per l’assunzione di infermieri: “Ai concorsi per infermieri ammessi anche gli immigrati” (il Giornale Milano, 5/4). Sull’Eco di Bergamo leggiamo di due iniziative sulla disabilità. La prima Disabili e barriere. Gruppo australiano in visita alla città (Eco di Bergamo, 31/3): la città di Bergamo ha ospitato un gruppo di 18 persone disabili provenienti da Melbourne nel quadro dell’iniziativa “Melmi: un ponte Italia Australia” che “mira proprio a creare attraverso il confronto fra realtà diverse, nuove prospettive per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità”. La seconda iniziativa del Comune ci pare in contrasto con quella appena citata. Il Comune infatti ha deciso di permettere alle persone con disabilità di parcheggiare gratis nei parcheggi blu, ma rispettando i limiti di tempo previsti. Si tratta di una norma peggiorativa: i permessi di sosta sono sempre stati gratuiti e in deroga al disco orario. Si sono opposti la F.a.n.d (Federazione tra le associazioni nazionali disabili) e dell’Anmic (Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili) di Bergamo, che replicano: “La disabilità non è a ore – non vogliamo l’elemosina” (Parcheggi blu. Disabili gratis ma con limiti di tempo, Eco di Bergamo 31/3). Chiudiamo la rassegna con la notizia della laurea di Giusi Spagnolo, la prima ragazza affetta da sindrome di Down a laurearsi in Italia: 105 e lode, dottoressa Giusi (Vita, 8/4). Nell’intervista a Vita la neo dottoressa afferma: “Io non sono Giusi la down, sono Giusi” come a dire che una persona non è la sua disabilità, ma è molto di più e molto altro. Ci auguriamo che questa notizia sia di buon auspicio per tutti i ragazzi affetti da sindrome di Down che, lottando contro la diffidenza e spesso l’indifferenza delle istituzioni scolastiche, sognano un giorno di laurearsi. Elena Cesari In allegato l’indice della rassegna stampa regionale, ogni titolo conduce al formato on-line. Potete sempre consultare la rassegna completa e fare ricerche in archivio. A proposito del linguaggio largamente usato dai media in questi giorni, pubblichiamo un breve estratto Dal libro di Lorenzo Guadagnucci, Giornalisti contro il razzismo: Parole sporche. Clandestini, nomadi, vu cumprà: il razzismo nei media e dentro di noi. L’altra economia edizioni, 2010. Mettiamo al bando la parola clandestino (e non solo quella) Questo termine, molto usato dai media italiani, ha un’accezione fortemente negativa. Evoca segretezza, vite condotte nell’ombra, legami con la criminalità. Viene correntemente utilizzato per indicare persone straniere che per varie ragioni non sono in regola, in tutto o in parte, con le norme nazionali sui permessi di soggiorno, per quanto vivano alla luce del sole, lavorino, conducano esistenze “normali”. Sono così definite “clandestine” persone che non sono riuscite ad ottenere il permesso di soggiorno [magari perché escluse da quote d’ingresso troppo basse] o a rinnovarlo, altre che sono entrate in Italia con un visto turistico poi scaduto […] Spesso sono considerati “clandestini” anche i profughi intenzionati a richiedere asilo o in attesa di una risposta alla loro richiesta, oppure ancora sfollati in fuga da guerra o disastri naturali […]. Le alternative: All’estero si parla di “san papiers” (Francia), “undocumented migrant workers” (definizione suggerita dalle Nazioni Unite) e così via. A seconda dei casi, e avendo cura che l’utilizzo sia il più appropriato, è possibile usare le parole come “irregolari”, “rifugiati”, “richiedenti asilo”. Sono sempre disponibili e spesso preferibili le parole più semplici e più neutre: “persone”, “migranti”, “lavoratori”. Altre locuzioni come “senza documenti”, o “senza carte”, o “san papiers” definiscono un’infrazione amministrativa ed evitano di suscitare immagini negative e stigmatizzanti. Extracomunitario Letteralmente dovrebbe indicare cittadini di paesi esterni all’Unione europea, ma questo termine non è mai stato usato per statunitensi, svizzeri, australiani o cittadini di stati “ricchi”; ha finito così per indicare e stigmatizzare persone provenienti da paesi poveri, enfatizzando l’estraneità all’Italia e all’Europa rispetto ad ogni altro elemento (il prefisso “extra” esprime esclusione). Ha assunto quindi una connotazione dequalificante, oltre ad essere poco corretto sul piano letterale. Le alternative: È possibile usare “non comunitari” per tutte le nazionalità non Ue, o fare riferimento – quando necessario (spesso la nazionalità viene specificata anche quando è superflua, specie nei titoli) – al paese di provenienza. VERGOGNA Pubblichiamo questa lettera di Sandro Saccani, che con grande amarezza condividiamo. Credevo di essermi abituato a tutto a tutte le negatività che lo squallore quotidiano offre, ma debbo ricredermi. Quello che è successo in parlamento il 31.3.2011 quando una onorevole, Ileana Argentin, tetraplegica ma intellettualmente validissima è stata ignobilmente apostrofata da un “Stai zitta handicappata del c...” da un collega, supera qualsiasi limite. Infamie del genere, che neppure il più burino frequentatore di un bar sport si permetterebbe, squalificano qualsiasi ambiente, figurarsi una sede istituzionale come la Camera dei Deputati. Il responsabile ha poi espresso in modo quasi infastidito delle scuse, credendo in questo modo di rimediare. Nossignori, troppo comodo. Compiere atti ignobili come umiliare a sangue una persona per una invalidità di cui non ha alcuna colpa ma che non le ha impedito, superando i propri limiti fisici, di raggiungere importanti risultati, è una colpa che non può essere rimediata con le semplici scuse e neppure con lettere di censura, ma che dovrebbe comportare le dimissioni da parlamentare del responsabile, indegno di essere uno strapagato rappresentante di un popolo, quello italiano certamente migliore di lui. Sandro Saccani Torna su Appuntamenti Assessorato politiche sociali Centro educazione interculturale Mantova, 30 marzo 2011 prot. n. 11/17744 Ai Dirigenti scolastici Agli insegnanti delle scuole mantovane Agli insegnanti referenti per l’intercultura e p.c. ai Sindaci dei Comuni Loro Sedi Oggetto: Progetto : “Viaggio nelle religioni della mia città ” e laboratorio formativo. Prenderà avvio per il quinto anno consecutivo il “Viaggio nelle religioni della mia città” con il costruttivo coinvolgimento delle comunità baha’i, buddista, cristiana, ebraica, indù, islamica e sikh e delle scuole interessate. Il viaggio, il pellegrinaggio, la scoperta costituiranno il tema di fondo che caratterizzerà lo spirito dell’esperienza. Un invito ad uscire dalla propria aula, dalla propria scuola e a mettersi in cammino. Sarà uno spostamento fisico, ma anche un invito ad andare al centro di se stessi e alla scoperta di nuove relazioni. Al “Viaggio” si affiancherà il laboratorio dal titolo: “Pluralismo come interpellanza”. indirizzato a insegnanti, educatori e rappresentanti religiosi. Promosso dal Centro di educazione interculturale in collaborazione con il CEM – Centro di Educazione alla Mondialità di Brescia (www.cem.coop) intende promuovere una riflessione sulla prospettiva del dialogo interreligioso a partire dal pensiero di Raimon Panikkar. Ciò in continuità con il corso di formazione “Religioni, dialogo, educazione interculturale” (2007) ed i laboratori “Ospitalità come principio ecumenico ed interreligioso” (2008), “Religioni a scuola: un antidoto ai fondamentalismi” (2009), “Narrare le religioni ” (2010). Per un approfondimento del progetto si rinvia al quaderno della Fondazione ISMU 2/2008:”La scuola e il dialogo interculturale” a cura di Mara Clementi. L’iniziativa del corrente anno verrà realizzata in sintonia con il progetto nazionale della Tavola della pace e del Coordinamento enti locali per la pace e i diritti umani: “Cittadinanza e Costituzione La mia scuola per la pace - anno scolastico 2010-2011” che invita le scuole ad attuare azioni ispirate ai valori costituzionali di nonviolenza, giustizia, libertà, pace, diritti umani, responsabilità, speranza. Per adesioni e per ulteriori informazioni occorre fare riferimento al Centro di educazione interculturale. Gabriele Gabrieli Responsabile Centro educazione interculturale info [email protected] tel.0376-204569; fax 0376-204575 Redazione: Maria Bacchi, Annarosa Baratta, Carlo Berini, Angelica Bertellini, Elena Borghi, Elena Cesari, Guido Cristini, Fabio Norsa, Antonio Penzo, Eva Rizzin.
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