Handout 10 Storia romana A Viglietti
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Handout 10 Storia romana A Viglietti
1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA Anno accademico 2015/2016 Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale Insegnamento di Storia romana A Handout n. 10 E. SACERDOZI E SODALITATES 1. Cicerone, Le leggi 2.7.15 Questo dunque i cittadini tengano ormai ben fermo fin da principio, che gli dèi sono padroni e reggitori di tutto l’universo, e che tutto quello che si fa lo si fa sotto il loro giudizio e la loro volontà, e che essi medesimi sono i maggiori benefattori del genere umano. 2. Cicerone, I doveri 1.45.160 Nell’ambito della convivenza umana c’è una gradazione di doveri (officia), dalla quale si può comprendere la loro rispettiva preminenza. Così, i primi sono verso gli dèi immortali, i secondi verso la patria, i terzi verso i genitori e i seguenti, a grado a grado, verso gli altri. 3. Varrone, La lingua latina 5.15.83 I sacerdoti (sacerdotes), nel senso generale del termine, traggono il loro nome dai riti sacri (sacra). I pontefici (pontifices), come diceva il pontefice massimo Q. Scevola, derivano il loro nome da ‘potere’ (posse) e ‘fare’ (facere) […]. Io penso però che il termine derivi da da ‘ponte’ (pons); infatti per la loro cura fu costruito la prima volta, e poi spesso restaurato, il ponte Sublicio poiché, proprio per questo, di qua e di là del Tevere sacri riti si svolgono con solenne cerimoniale. 4. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 1.20.5-7 Numa scelse poi tra i senatori, come pontefice, Numa Marco, figlio di Marco, e gli affidò tutti i riti sacri dopo averne fatta una descrizione precisa e particolareggiata: con quali vittime, in quali giorni, in quali templi si dovevano celebrare, e da quale fonte si dovesse attingere il denaro per tali spese. Anche tutte le altre cerimonie pubbliche e private le sottopose ai decreti del pontefice, perché vi fosse uno cui il popolo potesse ricorrere per averne consiglio, sì che non si profanasse in alcun modo, trascurando i riti patrii ed accogliendone di forestieri, il diritto divino (ius divinum); e non soltanto per le cerimonie divine il pontefice doveva dare precise norme, ma anche per i riti funebri, e doveva insegnare in che modo placare i Mani e quali prodigi apparsi con fulmini o con qualche altro fenomeno bisognava aacogliere ed espiare. 5. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 2.2.2 Poiché alcuni sacrifici pubblici erano stati celebrati dagli stessi re, per evitare che si avesse in qualche modo a rimpiangere la monarchia, fu creato il rex sacrificulus. 6. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 1.20.3 Numa creò un Flamine addetto in permanenza al culto di Giove e gli assegnò una veste speciale e la sedia curule riservata al re. A questo aggiunse due altri Flamini, uno per Marte, l’altro per Quirino. 7. Aulo Gellio, Notti Attiche 10.15 Le cerimonie alle quali erano obbligati i Flamini Diali erano molte, e così pure le astinenze, di cui si parla nei libri che trattano Dei sacerdoti dello Stato; e ciò ho letto pure nel I libro di Fabio Pittore. Le prescrizioni delle quali mi ricordo sono in generale queste: al Flamine Diale è proibito di usare una cavalcatura, e così pure di vedere, fuori del pomerio, una classis procincta, cioè un esercito in assetto di guerra; perciò raramente viene nominato console un Flamine Diale, in quanto ai consoli spetta di condurre la guerra; così pure è proibito al Diale di prestare giuramento; non gli è concesso di portare un 2 anello, a meno che non sia rotto e cavo. Non è consentito di prender del fuoco dai flaminia, cioè dalla casa del Flamine Diale, salvo che per sacri riti; se una persona legata entra nella casa, deve essere slegata e i legami debbono essere, attraverso l'impluvium, posti sulle tegole e di là gettati nella via. Non si deve avere un nodo né sul berretto sacerdotale né alla cintura né in alcun'altra parte del corpo; se qualcuno viene condotto alla fustigazione e si prostra supplice ai piedi del Flamine, non può essere per quel giorno fustigato. Solo un uomo libero può tagliare i capelli al Diale. Non possono essere toccate e nominate la capra, la carne non cotta, l'edera, le fave. Non può passare sotto tralci di vite legati verso l'alto. I piedi del letto in cui dorme debbono essere circondati da un sottile strato di fango e non può dormire in quel letto più di tre notti di seguito, né è lecito ad altri di dormirvi. Presso i piedi del letto deve esservi una cassettina per le piccole focacce sacrificali. Le unghie e i capelli tagliati del Diale debbono essere sepolti sotto un albero fruttifero. Ogni giorno è festivo per il Diale. Non può stare a cielo scoperto senza il berretto; che possa rimanerlo quando è in casa è stato stabilito solo recentemente dai pontefici, e secondo quanto scrive Masurio Sabino anche altre costumanze sono state abbandonate e sono stati autorizzati a non osservare alcuni divieti. Non gli è lecito toccare della farina impastata con lievito. Non può spogliarsi della tunica "intima" se non in luogo coperto, giacché non deve mostrarsi nudo a cielo scoperto, quasi fosse sotto gli occhi di Giove. Nessuno può occupare a tavola un posto superiore al Flamine Diale, salvo il rex sacrificulus. Se perde la moglie, cessa dall'essere Flamine. Il matrimonio del Flamine non può essere interrotto che dalla morte. Non può entrare nel luogo ove si bruciano i cadaveri e non può toccare un morto; non gli è però vietato di assistere a un funerale. Press'a poco le stesse sono le costumanze delle sacerdotesse Diali; ve ne sono però alcune che sogliono osservare solo esse, come, ad esempio, il portare una veste colorata, nello scialletto tenere un germoglio di albero "felice" e non salire più di tre scalini di una scala, salvo di quella greca; e quando vanno agli Argei, né ornare il capo né pettinare i capelli. Ho trascritto le parole del pretore dell'editto perpetuo che riguarda i Flamini Diali e le sacerdotesse di Vesta: «La sacerdotessa di Vesta e il Flamine Diale in tutta la mia giurisdizione non posso forzarli a giurare». Le parole di Marco Varrone nel II libro delle Divine antichità riguardo ai Flamini Diali sono le seguenti: «Egli solo ha un berretto bianco, sia perché è il maggiore dei sacerdoti, sia perché deve immolare a Giove una vittima bianca». 8. Plutarco, Vita di Numa 1.9.10,10.2-8 La tradizione attribuisce a Numa la consacrazione delle vergini vestali […]. Il re stabilì che le vergini sacre si conservassero tali per trent’anni: nei primi dieci anni esse imparano ciò che devono fare, nei dieci anni centrali fanno ciò che hanno imparato, e negli ultimi dieci ammaestrano a loro volta altre novizie. Dopo questo periodo, chi di esse lo vuole può anche sposarsi e seguire una vita diversa, lasciando il servizio religioso. […] Colei che disonora la propria verginità viene sepolta viva presso la porta Collina. 9. Aulo Gellio, Notti Attiche 1.12 Coloro che scrissero Sulla presa delle Vestali, fra i quali con molto scrupolo Antistio Labeone, affermano che non era consentito di scegliere minori di sei anni e maggiori di dieci; così pure che esse dovevano aver ancora padre e madre viventi; che non dovevano avere difetti di pronuncia o scarsezza d’udito, né altri difetti fisici; inoltre né la giovane né il padre dovevano essere emancipati […], inoltre i genitori o l’uno dei due non doveva essere stato schiavo o adibito a un mestiere (negotium) vile. […] La vergine vestale appena scelta, condotta nell’atrio di Vesta e consegnata ai pontefici senza bisogno di emancipazione e senza perdita dei diritti civili (capitis minutio), era affrancata dalla potestà paterna e otteneva il diritto di fare testamento. […] Si dice che viene presa (capta) una vergine perché essa viene tolta con la mano dal pontefice massimo al genitore che l’ha in potestà e viene portata via come fosse una preda di guerra. Nel libro I della Storia di Fabio Pittore sta scritto quali parole debba pronunciare il pontefice massimo mentre prende la vergine. Sono le seguenti: «perché tu compia i riti sacri (sacra) che secondo il diritto (ius) deve compiere una sacerdotessa Vestale per il popolo dei Quiriti, secondo un’ottima legge, ti prendo, Amata». 10. Varrone, La lingua latina 7.2.6-8 Templum si dice in tre sensi: naturale, auspicale, analogico; naturale in cielo, auspicale in terra, analogico sotto terra. […] Sulla terra, si chiama templum il luogo delimitato con determinate formule al fine di 3 trarvi presagi o prendervi auspici. Le parole della formula non sono dappertutto le stesse. Quella usata sulla rocca (arx) è la seguente: «Templi e luoghi augurali per me siano quelli dentro i confini che io con la mia lingua indicherò nel modo rituale. Per l’appunto quell’albero lì (ollaper arbos), di qualunque genere sia (quirquir est), che io intendo da me indicato a sinistra sia per me tempio e luogo augurale. Per l’appunto quell’albero lì che io intendo da me indicato a destra sia per me tempio e luogo augurale. Lo spazio racchiuso fra questi punti ho inteso realmente indicare nel modo rituale (rite) per direzione, visione e intuizione della mente». 11. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 10.8.2 Noi vediamo i plebei essere decemviri addetti alle cose sacre (decemviri sacris faciundis), interpreti delle profezie della Sibilla e dei destini di questo popolo, e inoltre custodi del culto di Apollo e di altri sacri riti. 12. Cicerone, L’oratore 3.19.73 Ma come gli antichi pontefici, per il gran numero delle cerimonie religiose, pretesero l’istituzione di tre magistrati che presiedessero ai banchetti sacri (tres viri epulones), benché Numa avesse affidato proprio a loro il compito di di allestire il solenne banchetto che si teneva in occasione dei ludi . 13. Varrone, La lingua latina 5.15.85 Fratelli Arvali sono detti quelli che fanno pubblici sacrifici perché i campi (arva) producano frutti. 14. Corpus Inscriptionum Latinarum VI.32338 Lari aiutateci, Lari aiutateci, Lari aiutateci (enos Lases iuvate)./ Non permettere, Marte, che rovina e carestia cada sul popolo. Non permettere, Marte, che rovina e carestia cada sul popolo. Non permettere, Marte, che rovina e carestia cada sul popolo./ Sii pieno (satur), feroce (fere) Marte. Balza oltre il confine. Rimani lì, selvaggio (berber). Sii pieno, feroce Marte. Balza oltre il confine. Rimani lì, selvaggio. Sii pieno, feroce Marte. Balza oltre il confine. Rimani lì, selvaggio./ Invocate a turno tutti gli dèi delle sementi (Semones). Invocate a turno tutti gli dèi delle sementi. Invocate a turno tutti gli dèi delle sementi./Aiutaci Marte. Aiutaci Marte. Aiutaci Marte (enos Marmor iuvato)./ Trionfo, trionfo, trionfo, trionfo, trionfo. 15. Varrone, La lingua latina 5.15.85 I Salii traggono il loro nome dal verbo salitare (danzare saltando), perché questo sono soliti e devono fare nel corso dei loro riti, che si celebrano ogni anno nelle adunanze del popolo. 16. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane 2.70.1-3 I Salii conservano i loro sacri arredi sul Palatino, e sono perciò detti Palatini. Gli Agonali, invece, da alcuni detti Salii Collini, che custodiscono i loro arredi sacri sul Quirinale, furono istituiti dopo il re Numa da Tullo Ostilio […]. Tutti questi Salii danzano e cantano inni in onore degli dei della guerra. […]. Essi indossano tuniche variopinte strette da cinture di bronzo e sopra portano toghe, allacciate con fibbie, adorne di strisce ed orli di porpora, che chiamano trabee […]. Sul capo portano i cosiddetti apici, alti copricapi a forma di cono […]. Ciascuno di loro è cinto da una spada e nella mano destra stringe un bastone o qualcosa del genere, con la sinistra regge uno scudo. 17. Plutarco, Vita di Numa 13.1-7 Quanto ai sacerdoti Salii, si dice che Numa li istituì per questa ragione: era ormai all’ottavo anno del suo regno quando una pestilenza, che serpeggiava per l’Italia, sconvolse anche Roma. Mentre la gente era in preda allo sconforto, uno scudo di bronzo – così si tramanda – piombò giù dal cielo e cadde nelle mani di Numa […]. Lo scudo era venuto per la salvezza della città, e bisognava custodirlo fabbricandone altri undici simili per forma, dimensione ed aspetto, perché un eventuale ladro non potesse trovare, a causa dell’uguaglianza dei dodici scudi, quello caduto dal cielo. […] Quali custodi e ministri di questi scudi, Numa istituì appunto i sacerdoti Salii […]. Il nome deriva dalla danza stessa, compiuta a salti, che essi ballano attraversando la città, quando nel mese di marzo imbracciano gli scudi, indossano delle tunichette scarlatte, sostenute ai fianchi da larghe cinture di bronzo, e portando elmi anch’essi di bronzo, mentre percuotono con piccole spade gli scudi. Per il resto la danza consiste soprattutto nel 4 gioco di piedi: i Salii muovono con grazia, eseguendo certe figure complicate e variate con un ritmo veloce e serrato, con forza e con leggerezza. 18. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 1.5.2 Si racconta che Evandro […] avesse istituito una solennità festiva recata dall’Arcadia, durante la quale i giovani correvano nudi fra scherzi licenziosi invocando Pan Liceo. 19. Varrone, La lingua latina 5.15.85 I Luperci sono detti così dal fatto che durante i Lupercalia compiono i loro riti nel Lupercale. 20. Ovidio, Fasti 2.289-302 Si racconta che gli Arcadi abitassero la terra prima che Giove nascesse e che il loro popolo fosse più antico della Luna. La vita era simile a quella delle fiere, senza alcuna cura di usanze: era gente rozza e priva di qualsiasi arte. Come loro dimora conoscevano il fogliame, come cibo le erbe, era nettare l’acqua bevuta dal cavo delle mani. I tori non ansimavano sotto il ricurvo aratro, e la terra non era in potere di alcun coltivatore; non v’era uso di cavalli; ognuno portava se stesso: la pecora andava coperta della propria lana. Vivevano a cielo aperto e avevano corpi nudi, avvezzi a sopportare le piogge e i minacciosi venti. E anche ora ignudi ricordano l’uso di un antico costume, e attestano la loro antica povertà. 21. Cicerone, In difesa di Celio 26 Una ben selvaggia confraternita (sodalitas) […] quella dei fratelli Luperci, associatisi nei boschi prima che fossero istituite la civiltà e le leggi. 22. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 1.23.4-8 Il feziale così chiese al re Tullo: «Vuoi tu, o re, che io concluda il patto con il padre patrato del popolo albano?» Avuto l’assenso del re, aggiunse: «O re, ti chiedo l’erba sacra». Disse il re: «Prendila pura». Il feziale recò dalla rocca la pura verbena. Domandò quindi al re: «O re, dichiari tu regio nunzio del popolo romano me, coi miei arredi e i miei assistenti?». Rispose il re: «Sì, in quanto ciò avvenga senza inganno (sine fraude) per me e per il popolo romano». Il feziale era Marco Valerio; egli nominò padre patrato Spurio Fusio, toccandogli con la verbena il capo e i capelli. Il padre patrato è nominato per compiere il giuramento (ius iurandum patrandum), vale a dire per sanzionare il patto […]. Data quindi lettura delle condizioni: «Ascolta o Giove» aggiunse [Marco Valerio] «ascolta padre patrato del popolo albano, ascolta pure tu popolo albano: come queste condizioni sono state lette senza inganno (sine dolo malo), davanti agli occhi di tutti, dalla prima all’ultima, e come qui sono state chiaramente intese, così a dette condizioni il popolo romano non verrà mai meno per primo. Se per primo verrà meno per pubblica decisione con l’inganno, allora, o Giove, colpisci quel giorno il popolo romano, così come io oggi colpirò questo porco; e tanto più colpiscilo quanto più sei forte e potente». Appena ebbe detto ciò, colpì il porco con una selce (saxo silice). 23. Aulo Gellio, Notti attiche 16.4.1 Cincio nel II libro dell’Arte militare scrive che il feziale del popolo romano, quando dichiarava la guerra ai nemici e gettava un giavellotto nel campo nemico, pronunciava queste parole: «Poiché il popolo Hermundulus ha fatto guerra al popolo romano e ha mancato contro di lui, e poiché il popolo Romano ha decretato la guerra contro gli Hermunduli, per tale ragione, unitamente al popolo romano dichiaro e faccio guerra al popolo Hermundulus». 24. Varrone, La lingua latina 5.15.85 I Sodali Tizii traggono il loro nome dagli uccelli di Tito, che essi sono soliti osservare in certe consultazioni augurali.