NEL TRENTINO ORIENTALE TRE REALTA` CASTELLANE DIVERSE

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NEL TRENTINO ORIENTALE TRE REALTA` CASTELLANE DIVERSE
NEL TRENTINO
ORIENTALE
TRE REALTA’
CASTELLANE
Castel Belvedere
Castellalto
Castel Ivano
ASSOCIAZIONE CASTELLI DEL
TRENTINO
(1987 – 2003)
15 ANNI DI ATTIVITA’
a cura di
Remo Carli e Tullio Pasquali
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NEL TRENTINO
ORIENTALE
TRE REALTA’
CASTELLANE
Castel Belvedere - Castellalto - Castel Ivano
ASSOCIAZIONE CASTELLI DEL
TRENTINO
(1987 – 2003)
15 ANNI DI ATTIVITA’
a cura di
Remo Carli e Tullio Pasquali
Con contributi di :
Remo Carli, Vito Bortondello, Alessandro Gremes,
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Tullio Pasquali, Alfonso Scartezzini
NEL TRENTINO ORIENTALE
TRE REALTA' CASTELLANE
Castel Bevedere, Castellalto e Castel Ivano
ASSOCIAZIONE CASTELLI DEL TRENTINO (19872003)
15 anni di attività
a cura di
Remo Carli & Tullio Pasquali
Progetto editoriale e coordinamento redazione
Roberto Murari
Progetto grafico editoriale
Roberto Murari, Tullio Pasquali
Redazione
Lorena De Valenzuela, Patrizia Gremes, Nirvana Martinelli,
Ivana Mosna
Fotografie
Remo Carli, Alessandro Gremes, Ivana Mosna, Alfonso
Scartezzini
Disegni tecnici
Remo Carli, Alfonso Scartezzini
Elaborazioni grafiche
Tullio Pasquali, Roberto Murari
Disegni dei materiali
Tullio Pasquali
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INTRODUZIONE
Questa monografia presenta alcuni contributi, su ricerche,
eseguite dall'Associazione Castelli del Trentino, tra il 1991 e il
2002.
L'Associazione è nata il 2 luglio 1988 con lo scopo di proporre
delle pubblicazioni molto semplici ma essenziali, su ricerche di
strutture castellane "minori".
I nostri contributi non sono mai stati sicuramente definitivi né
tantomeno esaurienti: sono invece solo una serie di temi, studiati
però in modo da costituire una campionatura sufficiente
indicativa a dare un quadro d'insieme sulla storia meno ufficiale.
In 15 anni di attività, non è mai mancata una stretta
collaborazione con l'Ufficio Beni Archeologici della Provincia
Autonoma di Trento.
I collaboratori fondamentali di gran parte dei lavori sono tutti
appartenenti alla nostra Associazione: Remo Carli, che ha
sempre dato un apporto primario ai rilievi delle strutture
castellane e nell'allestimento delle mostre; Alessandro Gremes,
che si è occupato con estrema perizia dei reperti monetali
rinvenuti in più realtà castellane (in questo monografia vi sono
alcuni suoi grafici di notevole interesse); Ivana Mosna,
attraverso le cui fotografie è stato possibile catalogare e
illustrare centinaia di reperti; Roberto Murari, dinamico
segretario dell'Associazione; Barbara Rauss, che con i suoi
disegni ha dato corpo a frammenti ceramici e spezzoni di ferro
che altrimenti sarebbero rimasti "muti" (e aiutato chi scrive nello
studio dei resti di cultura materiale); Alfonso Scartezzini, che
con Carli ha eseguito molti rilievi di strutture assai complesse
come ad esempio quelle di Castel Corno (non vanno dimenticate
neppure le sue notevoli capacità quale disegnatore di elementi
architettonici).
Ma dal 1988 al 2003 i collaboratori sono stati tanti, oltre alle
persone ricordate, vi sono: Sergio Anesi, Claudio Antonelli,
Marco Avanzini, Roberto Avanzini, Giovanni Battista a Prato,
Bernardino Bagolini, Pier Luigi Baroni, Ivano Bernardi, Marco
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Bettotti, Franco Bonomi, Giuseppe Borgogno, Vito Bortondello,
Luciano Brida, Walter Casagranda, Enrico Cavada, Giorgio
Chelidonio, Cesare Ciola, Gianni Ciurletti, Fausto Corazzola,
Mario Curzel, Donatella D'Angela, Lorena De Valenzuela,
Mariano Devigili, Stefano Ferrari, Alessandro Fontanari, Bruno
Fruet, Nereo Garbari, Lorenzo Ghirotti, Renzo Giovannini,
Marco Gramola, Mauro Grazioli, Elisabetta Gremes, Patrizia
Gremes, Ivan Gubert, Giuseppe Gorfer, Tomaso Iori, Massimo
Libardi, Luca Marchi, Pietro Marsilli, Carlo Martinelli, Nirvana
Martinelli, Franco Marzatico, Leone Melchiori, Franco
Menegoni, Giuseppe Mezzena, Aldo Miorelli, Ezio
Moranduzzo, Guido Omezzoli, Lucia Paoli, Roberto Pecoraro,
Claudio Piccoloroaz, Claudio Pisetta, Riccardo Pizzi, Adriano
Predelli, Graziano Riccadonna, Valentino Rosà, Giuseppe
Sebesta, Luca Slomp, Roberto Spagolla, Vittorio Staudacher,
Umberto Tecchiati, Gioia Tentori, Lucia Tessaro, Natalino
Tonina, Carlo Tonizzo, Romano Turrini, Guido Turrini, Franca
Maria Scarpa, Gino Scarpa, Marco Stenico, Marzio Zampedri,
Paolo Zanetti, Carlo Zanghellini.
L'Associazione ha operato in prevalenza nel bacino idrografico
del Fersina e del Brenta con i seguenti Enti: il Comune di
Civezzano, la Biblioteca Comunale "G. B. Borsieri" di
Civezzano, il Comune di Fornace, il Consorzio Porfido Trentino
di Albiano, il Comune di Lona - Lases, il Comune di Baselga di
Pinè, l'Azienda Promozionale Turistica dell'Altipiano di Pinè, la
Biblioteca Comunale di Pinè, l'Associazione <Amici della
Storia> di Pergine, il Comune di Calceranica, il Comune di
Caldonazzo, la Biblioteca Comunale di Caldonazzo, il Comune
di Telve, la Biblioteca Comunale di Telve, il Comune di
Castello Tesino e con il Centro Culturale " Castel Ivano Incontri", Valsugana - Trento. Inoltre con il Comune di Cembra,
la Biblioteca Comunale di Cembra, il Comune di Mezzocorona,
il Circolo Fotoamatori Rotaliano di Mezzocorona, il Museo
degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele
all'Adige, il Comune di Isera, il Museo Civico di Rovereto, il
Museo Storico della Guerra di Rovereto, la Biblioteca Comunale
di Mori, il Gruppo Culturale Nago - Torbole <La Giurisdizione
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di Pénede>, l'Associazione “Riccardo Pinter” di Riva del Garda,
l'Azienda Promozione Turistica Garda Trentino e con il
Consorzio dei Comuni della Provincia di Trento B.I.M.
dell'Adige.
Questo libro è pensato per le persone che si interessano di
problematiche medioevali, ed è anche nato grazie ad esse e fra
esse. Una sola considerazione basta a spiegare il taglio ed il
significato della monografia, la quale è una serie di proposte che
non vogliono essere presentate come un insieme a soggetto. I
vari contributi non danno soluzioni o <<certezze>>: vogliono
essere solo un invito e una proposta, e uno strumento utile a chi
desideri andare oltre nell’approfondire. E' stato per questa
ragione che i tre compendi hanno un contenuto stringato e un
taglio discorsivo, il più possibile semplificato, anche se
avremmo potuto, dato la mole delle ricerche svolte, fare ben
altro.
Ci auguriamo soprattutto che il libro sia capito nella sua
fondamentale intenzione di valorizzare <<la cultura materiale
medioevale>> ancora assai trascurata dal ricercatore, che trova o almeno finora ha trovato - così poco posto nella ricerca
ufficiale.
Tullio Pasquali
Presidentedell'Associazione Castelli del Trentino
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PARTE PRIMA
BIBLIOGRAFIA DELL’ASSOCIAZIONE
Tullio Pasquali
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Il primo lavoro; antecedente alla costituzione dell’Associazione Casteli del Trentino.
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Anno 1987
AA. VV. < Torre dei Sicconi. Storia di un castello
medioevale (1201-1385). Momenti del passato di Caldonazzo
>. Pag. 54.
Biblioteca Comunale di Caldonazzo, 1987 (con mostra).
I pannelli della mostra e i materiali recuperati sono presso la
Biblioteca Comunale di Caldonazzo.
Riassunto. Vengono prima descritti i personaggi più importanti
della famiglia dei da Caldonazzo-Castronovo. Poi le motivazioni
che nel 1385 spinsero i Vicentini ad invadere militarmente i
feudi dei da Caldonazzo, con il diroccamento, sul Monte Rive,
del Castronuovo, passato poi alla storia col nome di <Torre dei
Sicconi>.
Si pubblicano i rilievi, dove fino al 1915 si innalzava la <Torre
dei Sicconi>. Vengono illustrati i resti di ceramica, i frammenti
metallici ed i reperti monetali rinvenuti nei pressi dei ruderi
medioevali (con sporadiche presenze sia preistoriche che
romane). Chiude il lavoro una serie di schede tematiche che
vanno dal cavaliere medioevale alle bombarde del 1385.
Anno 1989
T. Pasquali (a cura di) < Il Castello di S. Gottardo a
Mezzocorona. Ricerche >. Pag. 143.
Copyright Circolo Fotoamatori Rotaliano. Mezzocorona, 1989
(con mostra).
I pannelli della mostra sono presso il Comune di Mezzocorona, i
materiali sono depositati presso l'Ufficio Archeologico della
Provincia Autonoma di Trento.
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Riassunto. Si presenta un attento rilievo sull'articolato
complesso architettonico medioevale, situato nei pressi di
Mezzocorona.
Vengono illustrati i resti di cultura materiale, tutti recuperati
nelle varie fasi di rilievo e nei successivi momenti di ricerca. Si
segnala all'esterno del castello, la presenza di pochi frammenti
ceramici preistorici, di alcuni reperti romani e del primo
medioevo. La catalogazione dei reperti "castellani" è suddivisa
per tipologia, che va dalla ceramica ai vetri, dai metalli ai
manufatti in osso, dalle pietre focaie alle monete.
A termine della catalogazione si presenta una serie di schede
tematiche che riguardano i seguenti argomenti: la ceramica, il
vetro, le stufe ad <ole>, i bottoni in osso e di metallo, la
monetazione, l'orante, il fabbro nel medioevo, la celata, la
maglia in ferro e gli elementi di corazzatura, la balestra, le selci
e le pietre focaie.
AA. VV. < Castelbosco. Ricerche >. Pag. 135.
Copyright Biblioteca Comunale "G. B. Borsieri" di Civezzano.
Civezzano, 1989 (con mostra).
I pannelli sono di proprietà della Biblioteca Comunale "G. B.
Borsieri" di Civezzano, i materiali recuperati sono depositati
presso l'Ufficio Archeologico della Provincia Autonoma di
Trento.
Riassunto. Si presentata per la prima volta uno studio geologico
del dosso ed una ricostruzione ipotetica di Castel Bosco.
Seguono le note storiche, con appendice sull'atto di investitura
del 1187, dove i da Civezzano (Pietro e suo fratello) vengono
infeudati di Castel Bosco. Si illustrano i rinvenimenti di cultura
materiale raccolti sia sul dosso che nelle zone contigue e i
reperti della raccolta <<Gubert>>. Il contributo sulle monete
descrive sette reperti basso medioevali e due romani.
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Il successivo scritto, evidenzia un reperto eccezionale, si tratta di
un piccolo manufatto in osso riguardante il gioco degli scacchi,
riconoscibile come il cavallo. Segue un attento studio su una
fibula longobarda del "tipo trentino", monile che è stato
rinvenuto all'esterno del castello. Interessante è lo studio sui resti
faunistici, dove risultano macellati bue, capra, maiale e
qualche animale selvatico. Viene ripreso da Studi Trentini di
Scienze Storiche il catalogo dei materiali recuperati nel 1982 a
Castel Bosco.
Si conclude con una serie di schede tematiche riguardanti la
cavalleria medioevale, l'armamento del cavaliere dal 1100
all'inizio del 1300, l'arco e la balestra nel medioevo.
R. Giovannini (a cura di) < Un segno a protezione dell'uomo e
del territorio: gli elementi di dettaglio del paesaggio e gli ex
voto di Caldonazzo >. Pag. 267 con 2 cartine topografiche.
Assessorato Attività Culturali di Caldonazzo. Caldonazzo, 1989
(con mostra).
I panelli sono di proprietà della Biblioteca Comunale di
Caldonazzo.
Riassunto. Nella prima parte si ricorda il tempo che fu, dove
anche la casa, come bene privato, aveva una sua sacralità.
Seguono delle considerazioni sulle forme architettoniche dei
"capitelli a colonnetta", per poi passare alle espressioni dialettali
che ogni regione da alle edicole sacre. Il successivo capitolo
ricorda che i "capitelli", prima di diventare espressione della
religiosità popolare, furono sacelli romani e prima ancora
simulacri di divinità preistoriche. Conclude la prima parte un
capitolo sulle malattie, evidenziando quanti "capitelli" sono
ancora dedicati a S. Rocco e S. Sebastiano protettori contro il
morbo della peste.
La seconda parte, attraverso ben 40 schede, analizza le
caratteristiche tipologiche dell'architettura sacra minore presente
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sul territorio di Caldonazzo. Vengono anche
studiati e
pubblicati, i superstiti ex voto della Parrocchiale di S. Sisto e
della chiesa di S. Valentino.
La terza e ultima parte, supportata da una adeguata cartografia,
propone una serie di itinerari, dove si suggeriscono delle
passeggiate per visitare gli elementi sacri, che costellano sia il
centro storico di Caldonazzo che le zone più periferiche.
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La Magnifica Corte di Caldonazzo – Castello Trapp. Una delle pubblicazioni
interamente curate dall’Associazione.
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Anno 1990
AA. VV. < La Magnifica Corte di Caldonazzo. Castello
Trapp >. Pag. 234.
Edizione a cura del Comune di Caldonazzo. Caldonazzo. 1990
(con mostra).
I pannelli sono di proprietà della Biblioteca Comunale di
Caldonazzo.
Riassunto. Il primo capitolo è un attento studio sulla genealogia
della famiglia Trapp di Caldonazzo e Beseno. Il successivo
capitolo è un contributo sull'evoluzione architettonica della
Magnifica Corte, dove vengono analizzate, attraverso
planimetrie e prospetti, le mutazioni dei fabbricati dal 1100 al
2000.
Il terzo capitolo studia gli affreschi interni del castello. Inizia
con una carrellata storica sulla pitture del Trentino-Alto Adige
sviluppatasi dal XI al XVII secolo, per poi prendere in
considerazione la sala Villinger o di Osvaldo, la sala del torneo e
l'atrio degli stemmi.
Il quarto capito si riferisce all'Urbario e allo Statuto di
Caldonazzo del 1712, accompagnato da un glossario dei termini
inusitati. L'ultimo capitolo tratta le cronache comparate di storia
di Caldonazzo e del Trentino con l'Italia e l'Europa dal 1100 al
1990.
Anno 1991
AA. VV. < Castel Corno in mostra. Ricerche >. Pag. 198.
Comune di Isera. Museo Civico di Rovereto. Manfrini R. Arti
Grafiche Vallagarina S.p.A. Calliano (Trento), 1991.
I materiali recuperati sono depositati presso il Museo Civico di
Rovereto.
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Riassunto. Sono le ricerche e i rilievi di Castel Corno,
pubblicate negli Annali dei Musei Civici di Rovereto (19871990).
La parte iniziale riguarda i rilievi. Nel primo contributo viene
trattato l'inquadramento topografico, l'evoluzione geologica
della zona di Castel Corno e i rilievi della parte alta del castello.
I due successivi contributi presentano, con piante e prospetti, i
rilievi della parte bassa con una attentissima descrizione del
complesso architettonico superstite.
La seconda parte tratta i resti di cultura materiale. Il primo
contributo descrive i materiali recuperati nella parte alta di
Castel Corno. I successivi due contributi studiano i materiali
rinvenuti nella parte bassa e nelle zone limitrofe.
La terza parte studia la fauna macellata, dove risulta che i resti
di pasto predominanti sono di bue, capra e di maiale.
La quarta parte tratta le monete, dove tra quelle medioevali e
rinascimentali sono segnalate due monete romane, vengono
anche evidenziati i probabili sfridi di una zecca clandestina.
L'ultimo contributo riguarda due acciarini (accendi esca)
rinvenuti nella parte bassa del castello, con dei confronti
tipologici sia italiani che europei.
T. Pasquali (a cura di) < Castel Corno in mostra. Catalogo >.
Pag. 140.
Comune di Isera. Museo Civico di Rovereto. Manfrini R. Arti
Grafiche Vallagarina S.p.A. Calliano (Trento), 1991 (con
mostra).
I pannelli della mostra sono di proprietà del Museo Civico di
Rovereto.
Riassunto. Il primo argomento tratta la preistoria del territorio
di Isera e i materiali preistorici rinvenuti tra le mura di Castel
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Corno. Il secondo tema riguarda la romanizzazione del territorio
della Vallagarina dove vengono evidenziate le presenze romane
nel Comune di Isera con particolare sottolineatura della così
detta <villa di Isera>. Il successivo contributo consiste nella
sintesi storica sulle due realtà castellane situate nel territorio di
Isera (Castel Pradaglia e il Castel Corno). Viene poi trattato
l'inquadramento ambientale di Castel Corno con due studi
separati, uno geologico e l'altro sulla flora e la vegetazione. Non
manca una planimetria generale del castello (alto e basso) e uno
studio evolutivo di Castel Corno dal XI al XVII secolo.
Segue un notevole contributo sui materiali di Castel Corno, sotto
forma di schedature. Le quali vanno: dalla ceramica ai vetri,
dalle posate alla balestra, dalla maglia in ferro alle fibbie, dai
puntali di foderi di spade e pugnali alle bocche da fuoco. Segue
un contributo sulla storia della monetazione, sulla tecnica
monetale e sulle monete recuperate a Castel Corno. Ultimo
intervento è uno studio sui reperti faunistici e sulle ostriche
rinvenute nel castello. Viene descritta ed illustrata la tecnica di
macellazione. Per le ostriche, essendo un prodotto alimentare
assai raffinato, si ricorda un tipico piatto medioevale (il pastello
di ostiche).
T. Pasquali (a cura di) < La Val di Cembra in età preromana.
Dai cacciatori raccoglitori mesolitici dei Lagorai al mondo
retico >. Pag. 174.
Comune di Cembra. Edizione - U.C.T. Trento, 1992 (con
mostra).
I pannelli della mostra sono di proprietà della Biblioteca
Comunale di Cembra.
Riassunto. Il primo argomento tratta la glaciazione della Val di
Cembra con un capitolo sull'evoluzione geologica delle piramidi
di terra di Segonzano.
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Seguono: il Paleolitico Medio, il Paleolitico Superiore, il
Mesolitico e, un lavoro di sintesi, dal titolo: A caccia di
stambecchi diecimila anni fa. I quattro argomenti parlano in
modo schematico dell'uomo di Neandertal, dei cacciatori del
Paleolitico Superiore e dei cacciatori raccoglitori mesolitici della
Catena dei Lagorai.
Segue un contributo sul Neolitico. I vari capitoli affrontano le
vicissitudini culturali di popolazioni dedite prima alla caccia e
alla raccolta di frutti spontanei per poi trasformarsi lentamente
in agricoltori e allevatori.
Il successivo capitolo parla dell'Eneolitico (età del Rame).
Dall'arrivo in regione dei primi manufatti in rame alle statue
stele di Arco. Seguono due argomenti ben separati: l'età del
Bronzo e l'età del ferro. Nei vari capitoli diventa sempre più
evidente la colonizzazione della Val di Cembra nell'età del
Bronzo, per raggiungere l'apice nell'età del Ferro. Nella fase
finale dell'età del Ferro la civiltà dei Reti viene sottoposta al
dominio romano.
Il compendio successivo tratta l'astronomia nel periodo
preistorico. Dove si ipotizza che molte coppelle incise nelle
rocce, possano essere delle congiunzioni astronomiche scolpite
dall'uomo preistorico.
La penultima parte è uno studio sulle incisioni rupestri della Val
di Cembra con ben 10 schede. Vi è una particolare sottolineatura
delle incisioni dei Casteleri di Lona, dove è presente la più alta
concentrazione di coppelle di tutta la Val di Cembra. L'ultimo
argomento è il dizionarietto sui termini archeologici.
Anno 1998
N. Forenza & M. Libardi (a cura di) < Il Castello Roccabruna
a Fornace >. Pag. 386.
Comune di Fornace. Edizione Associazione <<Amici della
Storia>>. Pergine, 1989 (con mostra).
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I pannelli sono di proprietà del Comune di Fornace, i materiali
rinvenuti nel castello sono esposti nella Biblioteca Comunale di
Fornace.
Riassunto. La monografia inizia con una serie di immagini
fotografiche del castello. La prima parte consiste in due saggi:
uno tratta il Castello di Fornace, attraverso la storia della
Famiglia dei da Fornace - Roccabruna e
l'evoluzione
architettonica del castello; l'altro studia la Carta di Regola di
Fornace del 1764.
La seconda parte è dedicata ai Roccabruna. Di notevole interesse
è la trattazione dal seguente titolo: I Roccabruna a Fornace:
origini della famiglia e costruzione del patrimonio tra duecento
e trecento. L'autore presenta delle riflessioni che rivedono il
ruolo del mitico capostipite della Famiglia dei Roccabruna. Nel
compendio vi sono due tavole sulla genealogia dei Roccabruna
sino alla metà del secolo XV. Chiudono l'argomentazione cinque
documenti del XIV secolo. Il contributo successivo tratta tre
documenti inediti dell'archivio parrocchiale di Fornace. Il primo
riguarda il codicillo di Gerolamo Roccabruna del 1670; il
secondo contiene due atti ben separati del 1796 che sono: la
peste bovina e le dispute finanziarie tra il prete di Fornace e la
sua comunità; il terzo documento è un impegno di pagamento
datato 1797; concludono il capitolo delle osservazioni, di
carattere storico, sulla lapide tombale dei Roccabruna murata
nella chiesa di San Martino di Fornace.
La terza parte tratta i ritrovamenti iniziando con i materiali
castellani rinvenuti nel restauro di Castel Roccabruna, con dei
capitoli sulle ceramiche e i vetri, sui metalli e sulle monete.
Seguono due brevi compendi; uno su due fibule romane
rinvenute nel territorio di Fornace e l'altro sulla meridiana della
torre del Castel Roccabruna.
La quarta parte abbraccia il territorio comunale di Fornace con
tre saggi. Il primo fa delle supposizioni fra cultura preistorica e
astronomia. Il secondo ruota attorno ai Longobardi dell'Alta
Valsugana e si articola in più argomentazioni che sono: la
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storiografia longobarda del'900, l'influsso dei Longobardi nel
Trentino, il territorio del pinetano e di Fornace come punto
nodale per il transito tra la Valsugana e il territorio nord-atesino,
il radicamento longobardo nella toponomastica e nei termini
dialettali. L'autore conclude ricordando che nel pinetano sono
venerati due santi particolarmente cari ai Longobardi. S.
Michele, che si trova nello stemma della Comunità di Pinè, e
San Mauro, titolare di una chiesetta situata nell'omonima
frazione. Il terzo contributo si riferisce all'attività mineraria, con
delle osservazioni sulle metodologie di sfruttamento di una
miniera medioevale. Lo studio prende in considerazione la
"Canopa del Raita", presentando un particolareggiato rilievo
planimetrico e delle interessantissime sezioni.
La quinta parte o appendice è la ristampa integrale della
genealogia della Famiglia Roccabruna, pubblica su Studi
Trentini di Scienze Storiche del 1931. Segue la parte
iconografica con una serie di fotografie su gli stemmi del casato,
le tombe dei Roccabruna e i ritratti di Famiglia. Non manca
neppure un breve contributo
fotografico sul restauro e
l'inaugurazione di Castel Roccabruna, maniero che è diventato la
nuova sede municipale di Fornace (24 maggio 1992).
La monografia termina con una bibliografia generale e una
bibliografia ragionata su Fornace.
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Pubblicazione del Museo Civico di Rovereto. In copertina una delle ferritoie di
Castel Corno.
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ANNALI DEI MUSEI CIVICI DI ROVERETO
Alcuni soci, da molti anni, collaborano con il Museo Civico di
Rovereto e questi sono i contributi pubblicati sugli Annali.
Anno 1985
M. Avanzini, B. Bagolini, M. Capitanio, G. Chelidonio, T.
Pasquali, G. Prosser & B. Robol - Bersaglio di Mori. Dati e
ricerche - Vol. 1, pp. 23-66.
Riassunto. Viene esaminata la stazione archeologica del
<<Bersaglio di Mori>>, fornendo oltre ad una documentazione
paletnologica ed antropologica, dati di carattere tecnicoeconomico riguardanti i manufatti litici e le aree di
approvvigionamento della selce.
Anno 1986
M. Avanzini - Ceramiche medioevali non invetriate da due
Castelli della Bassa Val Lagarina, Castello di Chizzola e
Castel Sajori -. Vol. 2, pp. 3-11.
Riassunto. Viene classificato ed analizzato il materiale
ceramico proveniente da due castelli del bassa V. Lagarina,
provvisoriamente riferibile a frequentazioni del XIV-XIII sec.
M. Avanzini & T. Pasquali - Una sepoltura eneolitica ai piedi
del torrione medioevale di Castel Corno. Nella zona del
Bersaglio di Mori -. Vol. 2, pp. 13-16.
Riassunto. Vengono pubblicati i risultati preliminari di uno
scavo promosso dalla Sez. Arch. St. Sc. Nat. dei Musei Civici di
Rovereto alla stazione archeologica del <<Bersaglio di Mori>>.
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Anno 1987
M. Avanzini, R. Avanzini, R. Carli, T. Pasquali, C. Pisetta & A.
Scartezzini - Note su Castel Corno (Vallagarina - Trentino
Occidentale ) -. Vol. 3, pp. 3-22.
Riassunto. Viene presentato uno studio geologico del sito
esaminando i resti del complesso edilizio dal punto di vista
architettonico e delle tecniche costruttive.
T. Pasquali & B. Rauss - I resti di cultura materiale rinvenuti
a Castel Corno (Vallagarina - Trentino Occidentale) -. Vol.
3, pp. 23-46.
Riassunto. Viene presentato uno studio dei resti di cultura
materiale rinvenuti nella zona sommitale di Castel Corno, i
materiali provengono da 10 punti diversi del castello in oggetti
di ceramica, vetro, metallo e pietra.
Anno 1988
M. Avanzini, T. Pasquali & M. Zampedri - Ritrovamenti di
materiali litici in località <<Longariva>> (Comune di
Rovereto - Trento) -. Vol. 4, pp. 21-36.
Riassunto. Si comunica il rinvenimento di industria litica
raccolta in superficie, in alcuni campi presso il corso dell'Adige,
nella zona di Borgo Sacco (Comune di Rovereto). L'industria è
riferibile ad un arco temporale che va dal neolitico alle fasi
dell'età del Bronzo. Sono presenti pietre focaie storiche.
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M. Avanzini, R. Avanzini, R. Carli & A. Scartezzini - Note su
Castel Corno (Vallagarina - Trentino Occidentale). II Parte . Vol. 4, pp. 55-78.
Riassunto. Viene presentato uno studio del sito esaminando i
resti del complesso edilizio dal punto di vista architettonico e
della tecniche costruttive.
T. Pasquali & B. Rauss - I rinvenimenti di cultura materiale
rinvenuti nella zona bassa di Castel Corno (Vallagarina Trentino Occidentale) -. Vol. 4, pp.79-118.
Riassunto. Viene presentato uno studio dei resti di cultura
materiale rinvenuti nelle due discariche, situate all'esterno delle
mura della parte bassa di Castel Corno.
M. Avanzini - Castel Corno - Analisi della Fauna -. Vol. 4, pp.
119-122.
Riassunto: Viene descritto ed analizzato il materiale
osteologico proveniente dalla discarica bassomedioevale di
Castel Corno. La tipologia faunistica documenta una sussistenza
basata su maiali, capro-ovini, buoi. E' da rilevare la presenza di
ostriche.
A. Gremes & L. Zanoni - Le monete rinvenute a Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale) - . Vol. 4, pp. 123-136.
Riassunto: Vengono descritte le monete rinvenute a Castel
Corno con una breve bibliografia delle Autorità che hanno
emesso le monete.
Anno 1990
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R. Avanzini - Note su Castel Corno (Vallagarina - Trentino
Occidentale). III Parte -. Vol. 5 (1989), pp. 29-40.
Riassunto. Viene presentato uno studio del sito esaminando i
resti del complesso edilizio dal punto di vista architettonico e
delle tecniche costruttive.
T. Pasquali & B. Rauss - I resti di cultura materiale rinvenuti
nella zona bassa di Castel Corno e nelle zone limitrofe
(Vallagarina - Trentino Occidentale) -. Vol. 5 (1989), pp. 4174.
Riassunto. Gli Autori presentano lo studio dei resti di cultura
materiale rinvenuti sia all'interno che nelle zone circostanti il
castello. I reperti sono suddivisi in quattro zone di ritrovamento.
G. Chelidonio - Due acciarini per fuoco da Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale) -. Vol. 5 (1989), pp. 7584.
Riassunto. Due acciarini da fuoco rinvenuti nella recente
indagine archeologica a Castel Corno vengono illustrati nel
quadro dell'evoluzione protostorica e storica dei tipi di acciarino.
Anno 1991
A. Gremes - Le monete rinvenute nella parte bassa di Castel
Corno (Vallagarina - Trentino Occidentale) -. Vol. 6 (1990),
pp. 63-77.
Riassunto. Vengono descritte le monete rinvenute a Castel
Corno con una breve biografia delle Autorità che hanno emesso
la moneta.
25
G. B. a Prato - Reperti metallici con simboli araldici
provenienti da Castel Corno (Isera - Vallagarina - Trentino
Occidentale). Anni 1987-88 - Vol.6 (1990), pp. 79-82.
Riassunto. Vengono illustrati dei reperti metallici con simboli
araldici rinvenuti a Castel Corno.
Anno 1992
R. Carli - Studi e ricerche alla Busa dei Preeri (Comune di
Avio Trentino) -. Vol. 7 (1991), pp. 37-56.
Riassunto. Viene presentato il rilievo dell'antro e delle strutture
presenti.
T. Pasquali & B. Rauss - I resti di cultura materiale
provenienti dalla Busa dei Preeri (Comune di Avio Trentino -. Vol. 7 (1991), pp. 57-90.
Riassunto. Vengono studiati per la prima volta i resti di cultura
materiale rinvenuti all'interno dell'ampia cavità naturale, situata
nel Comune di Avio, chiamata <<Busa dei Preeri>>. I reperti
consistono in oggetti di ceramica, metallo, legno, cuoio e stoffa.
A. Gremes - Le monete medievali rinvenute alla Busa dei
Preeri (Comune di Avio - Trentino) -. Vol. 7 (1991), pp. 91100
Riassunto. Vengono descritte le monete rinvenute alla <<Busa
dei Preeri>>.
26
Anno 1993
F. Bonomi, A. Gremes, T. Pasquali, B. Rauss & V. Rosà Ritrovamenti archeologici tardomedievali presso i ruderi di
una torre anonima nel Comune di Nago-Torbole (Trento) -.
Vol. 8 (1992), pp. 77-102.
Riassunto. Gli autori presentano lo studio di resti di cultura
materiale rinvenuti sia all'interno che nelle zone adiacenti la
torre.
R. Carli, A. Gremes, T. Pasquali, B. Rauss & L. Paoli - Busa dei
Preeri (Avio). Notizie preliminari sulla campagna di ricerche
effettuate dal 3 al 9 agosto 1992 -. Vol. 8 (1992), pp. 103-114.
Riassunto. Vengono descritti gli interventi eseguiti e illustrati i
reperti più significativi venuti alla luce.
A. Gremes - Monete medievali rinvenute al castello di
Castellalto nel Comune di
Telve (Trento) e depositate al Museo Civico di Rovereto -.
Vol. 8 (1992), pp. 115-134.
Riassunto. Vengono descritte le monete medievali provenienti
dal Castellalto e depositate al Museo Civico di Rovereto.
Anno 1994
M. Avanzini, M. Bertolini, R. Carli, G. Chelidonio, A. Gremes,
T. Pasquali & B. Rauss - Considerazioni sui materiali e sulla
fauna proveniente dal settore 3 della Busa dei Preeri
(Comune di Avio - Trentino) -. Vol. 9 (1993), pp. 37-74.
27
Riassunto. Gli Autori presentano i rilievi effettuati nel <<settore
3 della Busa dei Preeri>>, nell'agosto del 1992, e gli studi dei
materiali, consistenti in frammenti ceramici e in pietra ollare,
oggetti metallici, reperti monetali, resti di legno e di stoffa,
litotecnica in selce. Vengono inoltre descritti i reperti faunistici
rinvenuti nel sito. Le specie documentate appartengono a fauna
domestica comprendente: bue, maiale, capro-ovini, gallinacci. E'
documentata la presenza di micromammiferi.
R. Avanzini - Un rosario dai materiali archeologici della
<<Busa dei Preeri>> (Comune di Avio - Trentino). Prime
ipotesi di Studio -. Vol. 9 (1993), pp. 75-82.
Riassunto. Durante la campagna di scavi dell'estate del 1992 è
stato rinvenuto nel sito detto <<Busa dei Preeri>> parte di un
rosario. Si dà relazione dei primi risultati dello studio sul
reperto.
Anno 1995
M. Avanzini & T. Pasquali - Le pietre focaie della Busa dei
Preeri (Vallagarina - Trentino meridionale): un insieme di
reperti litici di epoca medioevale (XIII sec.) - Vol. 10 (1994),
pp. 23-40.
Riassunto. E' analizzato un cospicuo gruppo di pietre focaie
rinvenute all'interno di una struttura abitativa edificata
nell'ampia cavità naturale chiamata <<Busa dei Preeri>>. Il
ritrovamento rappresenta uno dei più consistenti insiemi di
pietre focaie databili con precisione. Il loro studio fornisce un
valido strumento per l'identificazione e la corretta
interpretazione di una classe di materiali minori che
contribuiscono a completare il quadro della vita quotidiana del
medioevo.
28
R. Avanzini, R. Carli, D. D'Anela, A. Gremes, T. Pasquali & B.
Rauss - Studi sui materiali rinvenuti nei settori 2 e 2 A della
Busa dei Preeri (Comune di Avio - Trentino) -. Vol. 10
(1994), pp. 41-94.
Riassunto. Gli Autori presentano i rilievi eseguiti nei settori 2 e
2 A della Busa dei Preeri, nell'agosto 1992, e gli studi dei
materiali, consistenti in resti di ceramica, in pietra ollare, vetri,
oggetti metallici, reperti monetali, manufatti in cuoio, legno e
manufatti in selce. Vengono inoltre descritti i resti faunistici
rinvenuti.
A. Ferrari, A. Gremes, T. Marchi, M. Martinelli, T. Pasquali &
C. Uez - Rinvenimenti occasionali di reperti archeologici
provenienti dalla parte bassa di Castel Corno (Vallagarina Trentino Occidentale) -. Vol. 10 (1994), pp. 95-102.
Riassunto. Vengono descritti i reperti ritrovati, particolare
interesse riveste il ritrovamento di una chiave in ferro del tipo
Sanzeno.
P. L. Baroni & T. Pasquali - Le monete rinvenute nei pressi
del passo di Ballino (TN) -. Vol. 10 (1994), pp. 103-134.
Riassunto. Vengono descritte le monete più rappresentative
rinvenute al Passo di Ballino, con una breve biografia delle
Autorità che hanno emesso le monete.
Anno 1996
R. Carli, A. Gremes, T. Pasquali & B. Rauss - Antropizzazione
bassomedioevale nella fascia pedemontana, sulla destra del
29
fiume Adige, tra il comune di Avio e il territorio veronese
(Ricerche 1993-1994) -. Vol. 11(1995), pp. 115-200.
Riassunto. Gli Autori presentano i risultati della ricerca di
presenze bassomedioevali sulla fascia pedemontana tra il
comune di Avio e il territorio veronese eseguite nell'estate del
1993 e del 1994 e sottolineano l'importante scoperta della
<<zona 3>> (<<Pian dei Segarizi 2>>), con tracce di una torre
documentata da resti ceramici, oggetti metallici e reperti
monetali.
Sulle cuspidi di freccia e sulle monete è stato eseguito un attento
studio tipologico.
Anno 1998
P. L. Baroni, R. Carli, A. Gremes & T. Pasquali - Borghetto
sull'Adige (Comune di Avio. Trentino). Notizie preliminari
sulle ricerche effettuate nel 1994 e 1995 in località Coai di
Borghetto e Dos del Maton - Vol. 12 (1996), pp. 3-14.
Riassunto. Vengono descritti i siti indagati e illustrati due dei
reperti più significativi rinvenuti.
30
PARTE SECONDA
PRESENTAZIONE
Da anni l’interesse di Tullio Pasquali e l’impegno
dell’Associazione Castelli del Trentino ci regalano
approfondimenti storici su particolari spaccati della nostra storia.
La collaborazione instaurata in passato ha prodotto degli
interessanti articoli, pubblicati sulle riviste del Comune di
Baselga di Pinè e dell’APT Pinè Cembra, che hanno dato veste
scientifica alle antiche leggende che alimentano la fantasia
popolare sulla esistenza e distruzione del Castel Belvedere di
Pinè. Non solo: gli oggetti rinvenuti e posti con opportuna
descrizione in una bacheca, consentono di comprendere quale
poteva essere l’importanza e la funzione di un avamposto che,
per posizione strategica doveva rappresentare un punto di
controllo importante di una vasta area del Trentino Medioevale.
Con questa pubblicazione, che accanto alla storia di Castel
Belvedere presenta altri manieri, si recupera gran parte del
materiale pubblicato in una veste del tutto nuova, molto più
completa ed in dettaglio che in passato, e, ancora una volta, si
riaccende accanto all’interesse storico-scientifico l’emozione per
un percorso storico che la Comunità ha probabilmente vissuto
con grande intensità.
Nell’esprimere il plauso per l’iniziativa all’Associazione Castelli
del Trentino, mi corre l’obbligo di ringraziare, non in maniera
formale, l’amico Pasquali per questi significativi “doni” di
cultura storica che puntualmente riesce a proporci.
Desidero anche confermare l’interesse dell’Amministrazione di
Baselga di Pinè ad uno studio futuro e al recupero dell’intera
area del Castel Belvedere, che come da toponimo si trova in una
posizione panoramica di eccezionale apertura sulla Valsugana,
su Trento e su Pinè, con l’auspicio che possa diventare un luogo
dove storia cultura e paesaggio possano rappresentare una parte
di un percorso museale che preveda il recupero alla fruizione
pubblica dei più interessanti siti storici dell’Altopiano.
31
L’area del Castello recuperata quindi, accanto ai Forni
Preistorici del Redebus, ai siti mesolitici, alle fucine e ai mulini,
alle segherie e ai caseifici di un tempo, agli antichi oggetti di
lavoro e di vita dei nostri avi, per garantire la conoscenza del
passato anche alle generazioni future, ribadendo il concetto che
non è possibile interpretare il presente e progettare il futuro se
non si ha conoscenza del proprio passato.
Sergio Anesi, Sindaco del Comune di Baselga di Pinè
Dalla residenza municipale, primavera 2003
32
CONSIDERAZIONI SULLA COSTRUZIONE E
SULLA DISTRUZIONE DI CASTEL
BELVEDERE DI PINE’ CON APPUNTI SU
ALCUNI RINVENIMENTI DI CULTURA
MATERIALE
Tullio Pasquali
33
Ideale ricostruzione di Castel Belvedere (XIII – XIV secolo). Dis. Di Tullio Pasquali.
34
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
Sono scarsissime le tracce rimaste di Castel Belvedere. I pochi
laceri di muro si trovano sulla sommità boscosa del Doss de la
Mot (m. 1077 s.l.m.).
Fig. 1 - La freccia indica l’ubicazione di Castel Belvedere. Da :
A. Peter. <
Atlas Tyrolensis > 1759. Ristampa : Athesia – Verlag. Bolzano 1986.
A mio avviso, per arrivare più facilmente in prossimità dei
ruderi, è preferibile seguire la Strada Provinciale di Montagnaga
(N. 66) fino al bivio per la frazione Gril.
35
Da lì, si prosegue sulla stradina asfaltata, arrivando alle poche
case che formano la piccola contrada. Unico edificio importante
è la bianca chiesetta del Gril, da dove si deve risale a piedi la
strada sterrata che, tra i prati, porta al maso Purga (m. 1024
s.l.m.). Dietro l'antico caseggiato, si inerpica il sentiero che
costeggia il versante ovest del Doss de la Mot, dopo un breve
tratto si raggiunge una spianata, e da questa si risale il pezzo più
ripido per arrivare sulla sommità del dosso.
Rimangono godibili, dell'antico castello, solo i basamenti di una
torre quadrata di circa 7 X 7 metri (Fig. 2 – 3).
Notevole è il panorama che abbraccia tutto l'Altopiano di Pinè,
con una stupenda vista sul biotopo del Laghestel.
Fig. 2 – 3 - Il basamento della torre di Castel Belvedere (foto:
Ivana Mosna)
36
SINTESI STORICA
Il primo documento riguardante il castello è del 21 maggio 1160
nel quale il vescovo di Trento, Adalpreto, infeudava Gandolfino
da Fornace del castello di Belvedere. Presumibilmente il
maniero ebbe il suo massimo splendore verso la metà del 1200
ed è per l'appunto, in questo periodo (1256, 1265 e 1270), che
diede ospitalità al principe vescovo di Trento Egnone, ultimo dei
conti di Appiano.
Dal 1273 al 1276 fu occupato dalle truppe di Mainardo II, conte
del Tirolo. Pochi anni dopo lo sgombro dei tirolesi, le
documentazioni certe svaniscono nel nulla.
Che cosa accade tra il 1276 e il 1357 ?
A mio avviso, dopo il ritiro dei tirolesi, il castello rimase semi
abbandonato per oltre 50 anni. Nel 1349, senza colpo ferire, i da
Carrara, signori di Padova, si impossessarono dell'attuale Alta
Valsugana, occupando i castelli di Pergine, Selva e Roccabruna
e, sicuramente, anche quello di Pinè.
Nella primavera del 1356, Ludovico di Brandeburgo, conte del
Tirolo, iniziava le operazioni militari per riavere quella
importantissima zona mineraria del Principato vescovile di
Trento. L'esercito tirolese con i suoi alleati, pose sotto assedio il
castello di Pergine, quello di Selva e Roccabruna e, certamente
anche, il Castel Belvedere. Quasi subito si arrendeva Castel
Selva, mentre gli altri manieri resistettero fino alla pace di
Padova, avvenuta nell'ottobre dello stesso anno.
Dopo sette anni di occupazione padovana, l'Alta Valsugana
ritornava al Principato vescovile di Trento, o forse è meglio dire,
rientrava nelle mani del conte del Tirolo.
Nel 1357, l'egemonia tirolese è indiscussa, lo testimonia la
vendita per 290 fiorini d'oro, di un bene del Principato di Trento,
alla Comunità di Pinè. Si tratta della Rocca di Roccabruna con
l'obbligo di smantellarla ed è molto probabile che il Castel
Belvedere fosse già in rovina a causa degli assedi sostenuti,
nella guerra contro i Padovani.
37
38
LE MOTIVAZIONI DELLA RICERCA
Tra il 1999 e il 2001 ho scritto quattro articoli riguardanti il
Castel Belvedere di Pinè. Due sono su < Pinè Cembra. Turismo
Notizie > e due su < Pinè Sover. Notizie >.
Con i quattro articoli, volevo ricordare, che nel 2000 ricorrevano
gli 840 anni dal primo documento, redatto nel maggio del 1160,
riguardante Castel Belvedere e l'Altopiano di Pinè.
Nel contempo, alcuni collezionisti privati mi mettevano a
disposizione sia del materiale metallico che ceramico, raccolto
nei pressi delle rovine del castello.
I ferri e le ceramiche sono da considerare resti della cultura
materiale del Castel Belvedere. Ora sono esposti a Baselga di
Pinè, in una piccola bacheca, presso la sede dell'Azienda di
Promozione Turistica Altopiano di Pinè - Val di Cembra.
In questo lavoro, i quattro saggi pubblicati sulle riviste pinetane,
hanno subito delle inevitabili correzioni e aggiunte.
Fig. 4 - Il dosso dove sorgeva Castel Belvedere visto da Vigo (foto : Ivana
Mosna).
39
IL CASTELLO DI BEVEDERE DI PINE' NEI SECOLI XI
E XII
Il primo documento
Giuseppe Gerola, alla fine del 1800, così descriveva il vertice
del dosso, dove sono presenti i ruderi del castello di Pinè: < La
sommità del dosso su cui sorgeva il castello è inaccessibile dai
due lati meridionale ed occidentale, costituiti da rocce di
porfido che calano a picco, là dove dalle altre parti il declivio è
più dolce: anzi nel lato settentrionale, si scorgono tuttora le
vestigia di un'antica cerchia di mura, costituente la solida cinta
esterna, la prima difesa del castello>. E per quanto riguarda la
più antica documentazione del maniero così scriveva: < Il primo
documento, che con sicurezza ci parli del castello di Belvedere è
una pergamena del 21 maggio 1160, con la quale il vescovo di
Trento Adalpreto II (1156-1177), concede in feudo il castello
stesso a Gandolfino signore di Fornace, a parte che costui
difendesse la rocca in soggezione al vescovo, la tenesse sempre
aperta al vescovo in caso di guerra, si obbligasse a comporre
entro un mese le eventuali controversie sue con la curia e
costringesse gli abitanti delle terre a difendere insieme con lui il
castello 1>.
Il paesaggio
La pergamena del 21 maggio 1160 sancisce diritti ed obblighi,
su un territorio che, sicuramente, doveva avere un paesaggio
assai diverso dall'attuale.
Innanzi tutto, sull'Altopiano di Pinè vi erano almeno quattro
laghi. Il più grande era quello della Serraia che, in un documento
del 1349, risulta portare il nome di lago Fosso o Fox o Foxo 2.
1
2
GEROLA, 1898-99.
GOBBI (A), 1990, p. 168.
40
Nel secolo XII, il lago della Serraia era più vasto e caratterizzato
da una grande ansa che lambiva i dolci declivi orientali del
dosso di Miola.
Sembra che nel Palù di Miola, quando furono messe a dimora le
fondazioni dello stadio del ghiaccio (Ice Rink Pinè), siano stati
visti una serie di pali infissi nel terreno torboso; pali che
potrebbero essere appartenuti a qualsiasi cosa : come i residui di
un antico approdo per barche, o forse di una palafitta preistorica,
o semplicemente, tronchi macerati appartenuti ad antichi alberi
sommersi.
Non è da escludere che nel 1100 il contiguo lago delle Piazze
potesse essere un tutt'uno con quello della Serraia. Si ricorda,
però, che il livello delle acque dei due laghi, deve essere stato
costante per moltissimi secoli, come prova la presenza di scorie
di fusione preistoriche, concentrate sulla spiaggia di
Campolongo, e più precisamente poco oltre l'ex Albergo <Due
Laghi > 3.
Sulla stessa direttrice, oltre Bedollo, si trovava il lago delle
Buse, detto anche di Bedollo o Brusago 4 che da pochissimi anni
è stato parzialmente ripristinato dal Comune di Bedollo.
L'antichità del bacino lacustre è anche documentata dai
rinvenimenti di tracce preistoriche risalenti, inizialmente, ai
cacciatori mesolitici (8000-4500 anni a.C.) e successivamente a
quelle dei fonditori dell'Età del Bronzo Recente (1300-1100 anni
a.C.) 5.
Anche fra le frazioni di Bernardi e Ferrari era presente un vasto
lago, del quale ora rimane solo un'insignificante testimonianza,
quella della zona umida e protetta a biotopo della Riserva
Naturalistica del Laghestel 6.
3
PASQUALI, 1990, pp. 75-76.
GOBBI (A), (op. cit.), 1990, pp. 168-169.
5
PASQUALI, 1986 (A), pp. 15-16; Pasquali 1986 (B), pp. 1-12.
6
Il lago di Laghestel, essendo situato sotto il versante ovest del Doss de la
Mot, sulla cui sommità stanno i ruderi del castello di Belvedere, era nel
Medioevo, l'unico lago che poteva essere controllato "a vista" (attività di
pesca e di caccia) stando tranquillamente all'interno del castello.
Per le problematiche riguardanti la riserva naturale, vedi: PEDROTTI,
CHEMINI, 1981; GOBBI, (op. cit.), 1990, p.167.
4
41
Probabilmente, il manto forestale presente nel secolo XII era
assai più rado dell'attuale, questo in conseguenza della
colonizzazione avvenuta tra i secoli X e XII 7.
< Fu appunto a cavallo del primo millennio, periodo di
profonde trasformazioni del nuovo assetto politico-economico,
quello feudale, che contribuirono a conformare il paesaggio
storico-sociale europeo: il dissodamento di nuove terre tolte
alle foreste, lo stabilirsi di nuovi villaggi (ville nove) e di nuovi
borghi (suburgo), la costruzione di monasteri, ospedali, ospizi e
di castelli > Gorfer,1985 8.
Il disboscamento nel pinetano fu eseguito per trasformare le
boscaglie in ampie zone aperte, idonee sia all'agricoltura che alla
pastorizia. Nell'economia medioevale, l'attività pastorale era di
primaria importanza e legata soprattutto all'allevamento delle
pecore (per la lana), mentre le capre, presenti in numero
insignificante nel gregge o in greggi separati, venivano allevate
per produrre latte, formaggio e carne.
Certamente la presenza delle greggi avrà richiamato dai monti
circostanti, branchi di lupi. Fiere che erano estremamente diffuse
in tutta l'Europa medioevale. Moltissimi sono i racconti legati
alla ferocia dei lupi, fra questi la poetica narrazione del lupo di
Gubbio, che venne ammansito dal Poverello d'Assisi ( S.
Francesco d'Assisi (1182-1226)) 9.
La nascita del Castello di Belvedere
7
RIEDMANN, 1995, pp.27-36; BELLI, FEDRIGOTTI, LOSS 1977, p. 66
GORFER 1985, pp. 138-158.
9
La foresta nel Medio Evo era un mondo popolato di paure e leggende: vi
dimorava l'orso, che spesso scendeva al limite dell'abitato. L'orso era ancora
presente in Val di Cembra nei primi decenni del 1800 e l'ultimo fu ucciso nei
dintorni di Sover nel 1819 (GOBBI (A), 1990, (op. cit.), p. 160). Non di rado
dalla foresta uscivano branchi di cinghiali e di lupi che devastavano i raccolti
e le greggi. Emblematici sono, a questo proposito, alcuni proverbi trentini che
riguardano i lupi: "La morte dei lovi l'è la salute de le pegore." (La morte dei
lupi è la salvezza delle pecore), "Chi pegora se fa lovo lo magna." (Chi si fa
pecora dal lupo viene mangiato), "Chi sta coi lupi 'mpara a urlar. "(Chi sta
con i lupi impara a urlare). (RAFFAELLI, 1982, p. 18).
8
42
La scelta di costruire il castello di Belvedere sulla sommità più
alta del Doss de la Mot 10 fu fatta solo perché questo è l'unico
dosso del Pinetano da cui si ha il totale controllo dell'Altopiano
11
e che, inoltre, poteva "dialogare" direttamente con la città di
Trento attraverso segnalazioni ottiche (fumo, specchi o altro).
Di certo, le segnalazioni venivano compiute dall'alto della torre
del castello e, recepite dal Castel Povo, situato sul dosso di S.
Agata di Povo 12, il quale a sua volta le proiettava sulla città di
Trento. In questo modo la distanza fra la sede del Principe
Vescovo ed il castello di Belvedere veniva annullata da un
continuo "dialogo" tra il Principe ed il suo ministeriale 13.
10
A riguardo del toponimo del Doss de la Mot, così scrive Gorfer (op. cit.,
1985, p. 142, nota 3): < Castello a motta, costruzione residenziale costruita
su rilievo naturale, e talvolta artificiale, adattato con lavori di sistemazione e
di fortificazione. Corrisponde al cheteau a motte dei Francesi e in qual certo
senso allo Spitzwall dei Tedeschi. Nel Trentino un esempio toponomastico e
sul terreno è dato dal Doss de la Mot o Dos de la Purga, nel Pinetano. Si
tratta di un'altura naturale rocciosa, che conserva le tracce dell'intervento
umano di adattamento e fortificazione visibile, oltre che nel basamento della
torre a pianta quadrata, nel vallo e in altri apprestamenti >.
Nel dicembre del 1999, si notava, pochi metri sotto la sommità del dosso
(versante nord), una grande buca, sicuramente fatta da ricercatori abusivi. La
fossa misura circa m 6 X 2 e si sviluppa orizzontalmente seguendo per oltre
m 2 un terreno nerastro dello spessore di una ventina di centimetri
(incendi ?). Inoltre, i clandestini hanno messo in luce un muro legato in calce
con andamento da nord verso sud. Da quel poco che si può arguire dallo
scavo, sembra che sul versante nord, almeno in quel tratto, il dosso sia stato
alzato artificialmente di m 3 o 4 o che i crolli del castello abbiano inglobato i
sottostanti scantinati.
11
Dalla sommità del dosso il panorama è estremamente vasto e lo stesso
nome di castello "Belvedere" ci fa comprendere quanto siano numerosi i
luoghi che entrano nel raggio visivo.
< In effetti dal dosso si gode un vasto panorama che va dai monti della Val
Martello a quelli di Tonezza, dalle Dolomiti di Brenta alle Piccole Dolomiti
Venete, dai monti delle Giudicarie e di Ledro al Baldo e al Pasubio. Si
vedono i castelli di Fornace, Seregnano, Pergine, i dossi castellani di Bosco,
Magnano, Vedro, Povo, Pissavacca, Bosentino, Caldonazzo, Brenta >.
(GORFER 1987, p. 574).
12
GORFER 1991, p, 659.
13
Come luogo di segnalazioni tra l'Alta Valsugana e la città di Trento, vi era
anche il Castel Vedro di Civezzano che usava, anch'esso il Castel Povo come
43
L'edificazione embrionale del castello deve essere avvenuta
almeno tre o quattro generazioni precedenti il documento del
1160. E' molto probabile che questa prima costruzione sia stata
innalzata usando solo del buon legname 14.
La sommità del dosso era, pertanto, coronata da una robusta
palizzata conficcata nel suolo; dove non era possibile piantare i
pali nel terreno, questi venivano bloccati da pietrame
ammassato. Nel recinto interno vi era una torre lignea ed alcune
casette, sempre di legno, dai tetti di paglia pressata o di scandole
(Fig. 5) 15.
Non è neppure da escludere che i primi costruttori, quando
hanno collocato nel suolo le travature di fondazione, abbiano
messo in luce gli avanzi di stoviglie e di fuochi preistorici
associati, forse, a calcinacci e cocci romani 16.
Oltre la palizzata, tutto era
completamente
brullo e chi attaccava il maniero
doveva
essere
sempre esposto
al tiro micidiale
delle frecce dei
difen-sori.
Finché fu attivo
il castello, i punti
punto intermedio. (PASQUALI, GREMES, 1992, pp. 102-104).
14
In Europa continentale si utilizzava soprattutto legno di quercia vecchio dai
50 ai 100 anni, tagliato d'inverno e messo in opera uno o due anni più tardi.
Per impedire che marcisse, lo si affumicava. (DUCHET-SUCHAUX,
Fig. 5 - Ideale
del Castello
di
PASTOUREAU 1981, pp.10-12),
mentrericostruzione
nell'arco alpino
si utilizzava,
Belvedere
nei
secoli
XI
e
XII.
Visto
dal
versante
soprattutto per le travature più importanti, legno di larice, come è
(dis. (NICOLUSSI,
di T. Pasquali).1995, pp. 74-78).
documentato ad esempio anord-ovest
Castel Tirolo.
15
Sul dosso, la totale mancanza di frammenti di coppo suggerisce che i tetti
fossero coperti o di paglia pressata o di scandole.
16
Se il dente roccioso è stato un valido punto di controllo visivo nel Basso
Medioevo, altrettanto può essere stato nei periodi precedenti. Sembra che ai
piedi del versante sud del Doss de la Mot, nei pressi del maso Purga, sia
avvenuto nel 1995, il rinvenimento di alcune monete romane.
44
più vulnerabili si
trovavano
sui
versanti nord e
nord-ovest, che
fanno da bretella
di collegamento
tra la sommità ed
il piano sottostante.
E' pertanto verosimile che questa porzione di terreno fosse
fortificata con una palizzata e, totalmente priva di vegetazione,
anche oltre il tiro dell'arciere più capace. Il terreno raso, senza
nessuna copertura, impediva agli assalitori di accamparsi o di
manovrare le schiere in prossimità del castello. Gli altri tre lati
della rocca di Belvedere (sud, est, ovest), cadono a precipizio e
pertanto sono più difficili da risalire ed anche questi sicuramente
saranno stati spogli di qualsiasi arbusto, fin poco oltre il tiro
massimo di una freccia scagliata con l'arco (circa 200 metri) 17.
17
PASQUALI, 1987, pp.46-47;
PASQUALI, 1999, pp. 33-34.
PASQUALI,
45
1989, pp. 130-133;
Il sistema difensivo all'esterno del castello
Per accedere al castello di Belvedere, con una mulattiera, si deve
percorrere l'ultimo tratto viabile risalendo il versante nord del
dosso.
Sta di fatto che questa circoscritta zona è stata, da sempre, la
posizione più vulnerabile nel sistema difensivo del castello. Si
tratta di un modesto pianoro, di forma ellissoidale, dal quale
s'innalza quasi verticalmente, per circa 25 metri, il vertice del
dosso. Ed è per l'appunto in questo tratto (versante nord e nordovest) che troviamo notevoli tracce di antichi sconvolgimenti del
terreno, eseguiti verosimilmente in momenti diversi dai
costruttori della rocca.
Come tutto il Doss de la Mot, anche i vecchi scassi, ormai
abbandonati da oltre 600 anni, sono ricoperti da un fitto bosco.
Certamente le piante, nel lento trascorrere dei secoli, hanno
alterato ed in parte cancellato le opere difensive. Nella sella, tra
il pianoro ed il piede della rampa, che sale al castello superiore,
vi è probabilmente un fossato di impedimento (vallo), ora in
gran parte livellato, con andamento da est ad ovest 18.
E’ su questo crinale che Gerola prima, e Gorfer poi, vogliono
vedere la cinta murata esterna del castello 19.
18
Il fossato fu probabilmente occluso in occasione dei lavori di costruzione
dell'acquedotto, eseguiti tra il 1920-25 (acquedotto che ora non più in
funzione).
19
< Si scorgono tuttora le vestigia di un'antica cerchia di mura, costituente
la solida cinta esterna, prima difesa del castello > (GEROLA, 1898-99, (op.
cit.)).
< Una seconda cinta scendeva ad abbracciare la pendice terrazzata di nordovest dove c'erano le case di servizio. Sono avvertibili sul terreno i segni del
vallo >. (GORFER, 1987 (op. cit.), p. 575).
< Dai resti si può tentare una ricostruzione piantistica: i blocchi costruiti
erano probabilmente due. Il castello propriamente detto sulla sommità del
dosso, circondato da un muro di cinta rafforzato da una torre, situata forse a
nod-est. A questo si appoggiava, più basso il palazzo comitale (una bifora
del quale è conservata nella Biblioteca Comunale di Pinè). V'era poi una
seconda cinta che comprendeva la pendice terrazzata di nord-ovest dove
erano alloggiati i servi. La zona ha dato numerosi reperti guerreschi (punte
di frecce, una balestra e un balestrone >. (GORFER, TABARELLI, 1995,
46
Attualmente (dicembre 1999) posso affermare che, oltre al
probabile fossato, si riconosce, sul versante nord-ovest, la
presenza di quattro terrazzi artificiali seguenti la morfologia del
fianco ovest del dente roccioso, con andamento approssimativo
che va da nord-ovest verso sud-ovest (lunghi mediamente 40/45
metri, alti ciascuno tra i 6 ed i 10 metri e larghi tra i 5 ed i 10
metri). I quattro gradoni sono impostati in modo tale da poter
avere un più diretto controllo della parte bassa del versante sudovest e nord-ovest. L'importanza strategica del tratto gradinato è
determinata dal fatto che, in quel settore del versante sud-ovest,
la risalita verso il castello si fa più dolce, aprendosi in un'ampia
spianata naturale sul crinale nord-ovest.
Considerando l'insieme delle manomissioni, ora visibili sul
terreno, posso ipotizzare il seguente sistema difensivo, che fu
posto in opera quale antimurale al castello superiore.
Gli eventuali attaccanti, provenienti sia da nord che da sud,
prima di raggiungere il ripiano a nord-ovest, dovevano
percorrere due tracciati diversi: quelli provenienti da settentrione
risalire le pendici del versante nord difese dal piccolo dosso
piano o se deviavano a nord-ovest, si trovavano sotto il controllo
sia del dossetto che dalla bretella che fa da collegamento con il
vertice del dosso.
Gli assalitori provenienti da meridione dovevano risalire il
costone del versante sud-ovest tenuto sotto attenta vigilanza dal
terrazzamento più elevato posto a difesa di quel versante.
Raggiunto il pianoro, avevano di fronte la spianata che si apre
quasi a ventaglio, con un dislivello di circa 25/30 metri tra la sua
base ed il crinale fortificato.
Per rallentare l'impeto degli eventuali assalitori, l'apparato
difensivo era anche munito di due profondi camminamenti che,
tuttora, tagliano da est ad ovest la bretella di congiunzione con la
sommità del dosso. I due trinceramenti erano anche le uniche vie
d'accesso al primo sistema difensivo del castello. Valli che
formavano dei passaggi obbligati, veri e propri <battifolle> 20.
pp. 146-147).
20
Per <battifolle> si intende un passaggio obbligato. Si ricorda, inoltre, che vi
è un terzo modesto avvallamento, posto a nord degli altri due; su questo solco
47
Senz'altro non era per nulla facile superare incolumi questa linea
di sbarramento posta a difesa della parte più "debole" del
castello di Belvedere.
Partire dall'ampia spianata alla conquista della fortezza voleva
dire incontrare il tiro incrociato delle frecce scoccate sia dal
terrazzamento più elevato 21 che dall'alto dei trinceramenti, come
dal piccolo dosso piano posto a nord nord-ovest, senza contare
le saette provenienti dalla sommità del dosso.
Con delle difese di questo genere, l'assalitore era indubbiamente
colpito da grandinate di frecce. Tutti gli apprestamenti difensivi
erano muniti da una alta e fitta palizzata, che partendo dalla
corona del piccolo dosso piano, proseguiva verso sud, per
recintare la testa dei due camminamenti forniti, forse, di porte
ferrate, e per proseguire, poi, sul margine esterno del
terrazzamento più elevato, per incunearsi, infine, contro la
parete rocciosa del versante sud-ovest.
Naturalmente la palizzata coronava anche il crinale opposto fino
al congiungimento con la risalita al vero castello. L'interno del
recinto era assai stretto e solo sul pianoro del piccolo dosso vi
era spazio a sufficienza per costruire, forse, una torre di legno
con una o due casupole, fatte di travi incrociate con il tetto di
paglia o di scandole, costruzioni idonee ad alloggiare solo
cavalli e servi 22.
passa l'attuale sentiero, realizzato, sicuramente, in occasione della costruzione
dell'acquedotto.
21
Il terrazzamento più elevato misura circa 45 metri di lunghezza e una
larghezza di circa 10 metri ed ha una scarpata mediamente alta 10 metri. Gli
altri tre gradini servivano per rallentare la risalita e per esporre gli avversari
al massimo rischio di essere colpiti da qualsiasi cosa (frecce, sassi e pezzi di
ferro).
22
Ancora ai tempi di Dante (1265-1321) a Firenze le case dei poveri erano,
nella maggior parte dei casi, composte di un'unica stanza che serviva, allo
stesso tempo, da cucina e da camera da letto. Fatta in mattoni, o più spesso in
legno, coperta talvolta di stoppa, costruita sul suolo senza cantina, né
fondamenta, è facile preda dei frequenti incendi che devastavano la città.
Ricovero rudimentale, affumicata dal focolare situato al centro dell'unico
vano e mal illuminata dall'apertura della porta o da un'unica finestra.
La finestra era senza vetri e con scuri in legno che, è chiaro, lasciavano
entrare con la luce anche il freddo e l'umidità. E' un sogno di raffinatezza il
48
Ammesso che il nemico riuscisse a sfondare il primo sistema
difensivo, per raggiungere il cuore del castello doveva, innanzi
tutto, usare delle travature per attraversare il profondo baratro
costituito dal fossato, poiché il ponte mobile era stato levato al
momento della ritirata dei difensori all'interno del vero e proprio
castello.
Operazione assai pericolosa per gli attaccanti che, oltre a rifare il
ponte, dovevano proteggersi con gli scudi dalla pioggia di frecce
e sassi che la guarnigione gettava in basso da un'altezza di oltre
20 metri. Attraversato il fossato essi dovevano risalire, in fila
indiana, una strettissima stradina sempre sottoposti al tiro
micidiale dei dardi provenienti dalla sovrastante palizzata.
Ultimo possibile ostacolo, prima di espugnare il castello, era,
con tutta probabilità, un ulteriore fossato in prossimità della
porta d'accesso alla rocca.
Considerazioni
Quanto ho detto, relativamente alla zona bassa del castello, si
può solo considerare come una delle tante ipotesi fin qui scritte.
Supposizioni che potrebbero essere smentite attraverso mirati
scavi eseguiti sugli avvallamenti, i quali, presumibilmente,
dovrebbero celare dei muri legati in calce.
Gli eventuali interventi dovranno essere realizzati, con
l'autorizzazione degli Enti provinciali competenti, da un'equipe
specializzata nelle ricerche di strutture medioevali 23.
sovrapporre all'imposta l'impannata, cioè una tela trasparente, immersa
nell'olio o nella trementina, che lasciava passare la luce e trattiene, come si
può, il caldo all'interno. Niente vetri ai tempi di Dante. Quando diverranno
d'uso comune - dapprima esclusivamente nelle case dei ricchi - saranno a
losanga o a quadrati, o cerchiati di piombo. (ANTONIETTI, 1983, pp. 3335).
23
A mio avviso è assai improbabile che la parte bassa del dosso sia stata
totalmente fortificata da una cortina murata. Ipotizzo questo per la mancanza
palese di residui o tracce di muri legati in calce sia sul piccolo pianoro a
forma ellissoidale, sia sul ciglio di collegamento al dente roccioso; analoga
situazione presenta l'area del probabile fossato, come, pure, i camminamenti.
Mentre alla base della risalita verso la sommità del dosso (versante nordovest), dove inizia il terrazzo più elevato, vi sono dei filari di pietrame che
49
Da : < Pinè - Sover Notizie >. Notiziario Trimestrale dei
Comuni di Baselga di Pinè, Bedollo e Sover. N. 1, 2000. pp. 1318.
potrebbero indicare dei muri di contenimento. Nel punto in cui termina il
piano di questo scalino e la scarpata scende a valle, vi sono presumibilmente,
i mozziconi di un muro interrato che potrebbe essere legato con malta.
50
Fig. 6 – Frecce scagliate con
l’arco contro un guerriero
sassone del sec. XI. Battaglia
di Hastings (Inghilterra, 14
ottobre 1066). Da : Arazzi di
Bayeur (Francia, 1077).
Rielaborazione grafica
di
Tullio Pasquali.
51
LA SCOMPARSA DI CASTEL BELVEDERE
META' DEL SECOLO XIV
Il documento del 18 aprile 1357
Verso la metà del XIV secolo, il Castel Belvedere di Pinè, era
già in completa rovina, lo si può arguire dall'atto d'acquisto del
1357, attraverso il quale la Comunità di Pinè comperava il
castello di Roccabruna per abbatterlo; fortezza situata nei pressi
di Nogarè.
Questo documento è stato più volte pubblicato 24 e noi
riprendiamo integralmente la trascrizione dall'Ausserer 25 : <Il
18 aprile del 1357, a Trento dal signor Concius (Kunz) detto
Zinle, capitano di Castel Pergine, per e in nome del signore e
illustre principe Ludovico 26 margravio di Brandeburgo, duca di
Carinzia e di Baviera, conte del Tirolo e di Gorizia, gran
ciambellano del Sacro Romano Impero, advocatus 27 e
24
Vedere tra gli altri: DE ALESSANDRINI 1890, p. 32; DEGLI ALBERTI
1860, pp. 247-248; PIATTI 1994, pp. 79-80.
25
AUSSERER 1916, p.253.
26
Ludovico di Brandeburgo (1315-1363) era primogenito dell'imperatore
Ludovico IV di Baviera. Nel 1323, all'età di soli otto anni veniva investito
dalla Dieta di Norimberga del margraviato (marchesato) di Brandeburgo.
Dopo le nozze con la figlia del re di Danimarca, Margareta, prematuramente
scomparsa, nel 1342, sposava Margherita unica erede della contea del Tirolo,
sottostando al volere del padre, fermamente intenzionato a garantire alla
propria famiglia la contea del Tirolo, territorio d'importanza strategica per
l'accesso all'Italia (AA.VV 1995, p. 174, 5.13).
27
Le signorie ecclesiastiche, come il principato di Trento, le abbazie e i
monasteri avevano un rappresentante laico, chiamato <<advocatus>>
(avvocato), con l'incarico di difendere i loro interessi in caso di guerra o nelle
contestazioni territoriali. La chiesa di Trento ebbe avvocati fin dall'anno 845
e mantenne questi notabili anche dopo la fondazione del principato.
Inizialmente l'avvocatura era a termine, il prestigioso incarico veniva
concesso solo alle famiglie dei grandi feudatari, come i Flavon o i Tirolo.
Dopo la metà del 1250 i conti del Tirolo riuscirono ad imporsi in modo
permanente come avvocati sia sulla chiesa di Trento che su quella di
Bressanone. In questo modo i Tirolo poterono pensare a fondare uno stato
indipendente, dando l'avvio ad un lungo periodo di lotte contro i vescovi di
Trento (BELLI, FEDRIGOTTI, LOSS 1977, (op. cit.) p.64).
52
protettore delle Chiese di Bressanone e Trento per sé e i suoi
eredi e da Giuliano, del fu Nascinbene di Stranigo 28, sindaco di
Pinè e Voxele (Fuchslein) di Miola e Kunz, detto Kundiger di
Stranigo e Moratus di Trassilla 29 e Menele, detto Waldele, di
Montagnaga, anziani del comune di Pinè, e Michele sindaco di
Fornace, del suddetto comune di Pinè, per sé e i loro eredi.
Zinle confermò di avere ricevuto da essi 290 fiorini d'oro, che
suddetti sindaci e rappresentanti di Pinè per e in nome dei loro
comuni avevano versato come somma pattuita per l'acquisto di
Castel Roccabruna, allo scopo di demolirlo, come risulta
evidente dal pubblico atto redatto il 7 febbraio 1357 nel palazzo
di Castel Pergine e in vero con tutti i diritti e tutte le
pertinenze…>.
Fig. 7 – Ritratto del Marchese
Ludovico di Brandenburgo, XVI
sec. Olio su carta cm 13,5 x 10,5.
Iscrizione : Ludovicus. Comes.
Tyrol. Da : <Il sogno di un
Principe Mainardo II – La nascita
del Tirolo >. 1995.
Nel 1349 l'Alta Valsugana viene occupata dai da Carrara
28
29
Stranigo = Sternigo
Trassilla = Tressilla
53
Se, in quel lontano 1357, la gente del pinetano decideva di
comperare il castello di Roccabruna, posto sul Dos de la Roca,
situato alla periferia del territorio della Comunità, anziché quello
di Belvedere posizionato nel cuore dell'altopiano, fa supporre
che il castello di Pinè, fosse in completa rovina (Fig. 8).
Macerie, forse ancora fumanti, al momento dell'acquisto del
"Castrum Rokkabrune". Per capacitarsi dei complessi fatti
storici che hanno portato alla distruzione del castello di
Belvedere e all'acquisizione di quello di Roccabruna, bisogna
ritornare al gennaio del 1349, quando, senza colpo ferire, le
schiere degli <stipendiarii> 30 di Giacomo da Carrara, signore di
Padova 31, conquistarono l'Alta Valsugana. I Padovani
30
Con questo termine si intendeva dei soldati mercenari di professione. Per il
Veneto, già nel Duecento è cosa ordinaria avere la presenza di cavalieri e
combattenti professionisti. Sarà sufficiente ricordare i mercenari tedeschi di
Ezzelino III da Romano, nonché - per la Verona dei primi anni scaligeri - i
balestrieri e gli stipendiati con lance lunghe a disposizione di Alberto I della
Scala (VARANINI 1988, p. 167).
31
Nel 1347 Giacomo II da Carrara, dietro istanza del pontefice Clemente VI,
si era alleato, assieme agli Scaligeri di Verona, dei Visconti di Milano e dei
Gonzaga di Mantova, con il neo eletto re di Germania Carlo IV di
Lussemburgo - Boemia. Designato per contrastare l'imperatore Ludovico IV
di Baviera. Il giovane re, il futuro imperatore Carlo IV (1355), intendeva
riconquistare la contea del Tirolo, in possesso a Ludovico, marchese di
Brandeburgo, avendo egli sposato nel 1342 Margherita, contessa del Tirolo.
La spedizione militare non ebbe nessun successo contro la contea del Tirolo,
riuscendo solo ad occupare le città di Feltre e Belluno, sottoposte al
Brandeburgo. A Feltre, Carlo IV affidava a Giacomo da Carrara, le due città
(fine estate del 1347). Nel giugno del 1348 Carlo, nominava il Carrara vicario
imperiale di Padova.
Nell'ottobre o novembre del 1348, i canonici del Capitolo di Trento,
minacciati dai fautori del Brandeburgo che reclamavano l'avvocatura del
principato, chiedevano aiuto a Giacomo da Carrara in quanto difensore
dell'impero. Gli <stipendiarii> del Carrara arrivarono in città verso la fine
dell'anno. Il 31 dicembre del 1348, Trento cadeva in mano ai sostenitori del
Brandeburgo, grazie al tradimento del capitano supremo della città, Giovanni
Dionigi de Gardellis. Lo stesso giorno o forse il giorno dopo, i mercenari
Carraresi lasciavano Trento senza essere molestati.
Tra i molti lavori che trattano l'argomento vedere: AUSSERER (op. cit.), pp.
243-244; BRIDA 1970, p. 10; BRIDA 2000, p. 172. Per una breve biografia
54
occuparono prima il castello di Pergine, poi quello di Selva di
Levico ed infine quello di Roccabruna 32. Dunque, nel gennaio
del 1349 33, i da Carrara si stabilirono, su una piccola, ma
importante porzione del principato vescovile di Trento,
rimanendovi fino all'autunno del 1356.
Ai Carraresi si presentò subito un problema : la difesa del
territorio conquistato, essendo la fascia nord ovest dell'Alta
Valsugana il nuovo confine con il principato di Trento, frontiera
posta a poche ore di marcia dalla città e pertanto vulnerabile a
qualsiasi improvvisa scorreria da parte di schiere armate
provenienti dalla Valle dell'Adige. Analoga situazione si
presentava nella fascia a sud est, che confinava con la signoria di
Siccone I di Caldonazzo, sostenitore della causa del
Brandeburgo. Perciò, il potenziamento del sistema difensivo a
baluardo dei tre castelli (Roccabruna, Pergine e Selva) deve
essere stato febbrile. Evidentemente, più la morfologia del
di Giacomo da Carrara vedere: AA.VV., 1977 pp. 673-674.
32
Sulle motivazioni che indussero i da Carrara ad occupare i Castelli di
Roccabruna, di Pergine e di Selva, Vedere: AUSSERER (op. cit.), pp. 243244 e nota 35. DE ALESSANDRINI (op. cit.), pp. 29-30 e altri ancora.
33
10- E' molto probabile che i militi del Carrara, lasciata la città di Trento (1
o 2 gennaio 1349) in quanto difensori dell'impero, abbiano trovato le porte
aperte del castello di Pergine dove in accordo con il capitano della rocca,
Bonaventura de Gardellis, organizzarono la difesa contro i tirolesi. Il 12
gennaio 1349, i partigiani del Brandeburgo, capeggiati dal <giuda> Giovanni
de Gardellis (zio del capitano del castello) parlamentavano con i difensori; ed
è in quella occasione, che il "traditore" veniva ucciso. La morte violenta di
Giovanni Dionigi de Gardellis, divenne una inequivocabile dichiarazione di
guerra per il Brandeburgo.
Prontamente, il capitano del castello di Pergine, chiedeva formalmente
soccorso al vicario imperiale di Padova. Giacomo da Carrara accettava senza
indugio di intervenire, essendo in perfetta sintonia politica con Carlo IV re di
Germania, che come sappiamo, era in guerra con il Brandeburgo per la
contea del Tirolo. Le forze armate del padovano partirono forse da Borgo
Valsugana o da Feltre, solo in questo modo potevano raggiungere l'Alta
Valsugana in uno o due giorni. Sta di fatto che i Padovani senza nessuna
difficoltà occuparono, oltre il castello di Pergine, quello di Selva e di
Roccabruna. In questo modo Giacomo da Carrara entrava in possesso di una
piccola tessera dell'impero, appartenente al principato di Trento, ma sotto
"tutela" dei conti del Tirolo.
55
territorio attorno al castello si prestava, come ad esempio a
Pergine, più numerosi erano i fortilizi e le torri di controllo
(battifredi). Inoltre furono rinforzate le strutture castellane
situate al di fuori dell'apparato principale di protezione. Tra
questi edifici spiccava, come uno dei punti nodali di difesa, il
castello di Belvedere che aveva importanti mansioni: segnalare
al castello di Pergine i movimenti di truppe provenienti dalla
zona di Trento (discesa dal monte Calisio), eseguire sortite su
eventuali schiere nemiche transitanti nel pinetano e, in caso di
necessità, portare soccorso al vicino castello di Roccabruna.
Attraverso i reperti metallici rinvenuti si può affermare che il
castello di Belvedere era munito di un battifredo. La torre, fatta
da grossi travi incrociati, si trovava nella direzione del Dosso
della Clinga, a 1044 metri di quota, le cui pareti rocciose cadono
a picco, per oltre settanta metri, fino ad arrestarsi sul terrazzo
sottostante tenuto a campagna.
E' anche molto probabile che sul dosso di San Mauro i Padovani
abbiano edificato una torre di legno 34 con notevoli compiti di
controllo come: la strada che scendeva verso valle per poi
risalire verso Fornace o S. Stefano, la piana di Fornace,
dominata dal suo castello, e il contatto visivo con il recinto
fortificato del Dos del Castel di Lases.
34
GORFER, TABARELLI 1995, (op. cit.) p. 148.
56
Fig. 8 - Ideale ricostruzione del Castel Belvedere nei secoli XIII-XIV. Visto dal
versante nord-ovest (dis. di T. Pasquali).
57
Sette anni di dominazione padovana (1349-1356)
Le documentazioni sul dominio dei da Carrara in Alta
Valsugana sono praticamente nulle.
Sappiamo solo che, verso il 1350 35, dopo vent'anni di attività
mineraria, eseguita prevalentemente nel perginese ed in valle dei
Mocheni, la società boema di Kuttenberg 36 aveva una propria
fonderia a Pergine o, più semplicemente, fondeva argento sotto
il controllo dei Carraresi. Siamo a conoscenza anche del fatto
che, tra il 1349 e il 1356, i Padovani costruirono un pozzo
all'interno del castello 37.
E' poi risaputo che il sistema fiscale dei da Carrara era per tutti
insopportabile. Lo documenta il malcontento della cittadinanza
di Padova nel periodo della signoria di Francesco da Carrara 38.
Particolarmente detestabile per i cittadini padovani era stata
l'avidità dimostrata nei riguardi dei loro patrimoni: il Carrarese
ed i suoi familiari avevano obbligato molti cittadini a cambiare il
testamento sul letto di morte costringendoli a lasciare le loro
proprietà al signore di Padova.
Non sappiamo se in Alta Valsugana il sistema fiscale sia stato
analogo; come non sappiamo se tra il 1349 ed il 1355, ci siano
state scaramucce o colpi di mano, da parte dei trentino-tirolesi.
35
La fonderia veniva messa in funzione l'anno dopo l'occupazione dei
Padovani. Vedere: AUSSERER (op. cit.), p. 378.
36
Il 27 gennaio 1330, il re Enrico di Boemia (si tratta del principe Enrico,
conte del Tirolo che aveva il vezzo di firmarsi re di Boemia essendo stato
sovrano di quel regno dal 1307 al 1310) conferiva a Nikolaus von Paswicz da
Kuttenberg in Boemia e ai suoi compagni il diritto di scavare argento nel
Perginese, e precisamente a Viarago, Heilice (?), Falesina, Frassilongo e
Vignola e sul Monte Vaccino, secondo lo statuto minerario di Kuttenberg.
(AUSSERER (op. cit.), p. 375).
37
AUSSERER (op. cit.), p.310.
38
Francesco da Carrara detto <il Vecchio> (1325-1393). Primogenito di
Giacomo II, nel 1350, dopo l'assassinio del padre prendeva possesso della
signoria di Padova. Così iniziava quel lungo governo del Carrara che doveva
terminare solo trentotto anni più tardi con la sua abdicazione e con la sua
cattura da parte di Gian Galeazzo Visconti (AA. VV. 1977 (op. cit.), pp. 649655).
58
A mio avviso, la momentanea rinuncia del Brandeburgo 39 al
distretto minerario perginese, era imputabile soprattutto, alla
peste che flagellò tutta l'Europa dal 1348 al 1350 40. Il Trentino
fu colpito dalla peste nell'estate 1348. In sei mesi di pestilenza,
nella sola città di Trento, il morbo uccise circa 2000 persone,
vale a dire l'80% della cittadinanza 41.
Le forze del Brandeburgo riconquistano l'Alta Valsugana
(1356).
39
Nel 1350 l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo concedeva in feudo al
marchese Ludovico di Brandeburgo e ai suoi eredi il ducato di Carinzia, le
contee del Tirolo e Gorizia, le avvocature su Trento, Bressanone e di
Aquileia. Tale investitura rappresentava la rinuncia definitiva del casato dei
Lussemburgo - Boemia a tutti i diritti derivanti sul Tirolo dal primo
matrimonio di Margherita, contessa del Tirolo, con Giovanni Enrico, fratello
minore dell'imperatore. A sua volta il Brandeburgo riconosceva Carlo suo
imperatore. (AA. VV. 1995 (op. cit.), p. 161. 4.39).
40
La peste del XV secolo prese l'avvio nel 1348 nei porti italiani portata dai
vascelli mercantili provenienti dal Mar Nero. Si diffuse in tutta la penisola e
nei due anni successivi si propagò in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Europa
centrale e Scandinavia. L'epidemia del 1348-1350 venne seguita a intervalli
di dieci anni o meno, da una lunga serie di morie in tutta l'Europa. Oggi si dà
per scontato che almeno un quarto della popolazione europea venne
sterminato durante quella prima epidemia. Nel complesso la mortalità
nell'Europa occidentale e centrale fu così alta che ci vollero quasi due secoli
perché il numero degli abitanti tornasse al livello del 1348. Dopo la peste
nera degli anni 1348-1350 l'Europa sprofondò in una lunga depressione:
cent'anni e più di stasi economica e di declino. I danni più gravi si
registrarono in agricoltura: i terreni agrari rimasero incolti oppure si
trasformarono in pascoli ed il valore delle terre e dei poderi crollò. I piccoli
proprietari terrieri caddero in miseria. Per usare le parole di Francesco
Petrarca, <una vasta e terribile solitudine> gravava sulla terra. E com'è
naturale, la desolazione delle campagne si riflette anche sulla città (LANGER
1987, pp. 82-83). Vedere anche AUSSERER, (op. cit.) p. 241.
41
Così ricorda la peste il Mariani <Lo stesso anno 1348 nacque a Trento si
grande mortalità, che quasi la Città restò desolata per il Contagio, e riferir
del Canonico Giovanni da Parma, d'ogni sei Persone ne morirono cinque.
Onde gli habitatori fuggendo raminghi si schivavano tra loro, come la Lepre
il Cane. Per cosa notabile ritrovo che sei mesi soli morirono 40 Prebendati
di Duomo, tra quali 14 Canonici> ( MARIANI, 1673, p. 178).
59
Tra aprile e maggio 1356, dal castello di Belvedere si segnalava,
al castello di Pergine, la discesa dalle pendici del Calisio (zona
di Castel Vedro) di file interminabili di nemici. Dopo poche ore
le schiere armate, innalzanti al vento i vessilli del Tirolo, del
Brandeburgo, dei da Caldonazzo, dei da Campo, dei Castelbarco
42
, dei d'Arco e dei dalla Scala 43, raggiunsero il perginese per poi
accamparsi nella piana del Cirè. Comandava la compagine del
conte del Tirolo, Herinch von Pophingen, detto Enrico pievano
del Tirolo, capitano generale della città di Trento e vicario del
Tirolo per Ludovico di Brandeburgo.
Ben presto la borgata di Pergine si consegnava ai tirolesi (31
maggio), certamente per evitare qualsiasi rappresaglia, mentre il
castello di Pergine, comandato dal padovano Francesco Fugacia
resisteva ad oltranza. Nel contempo, una notevole schiera armata
carrarese, proveniente dalla Bassa Valsugana, che voleva portare
soccorso ai Padovani, veniva bloccata e respinta nella zona di
Novaledo 44; di lì a poco il capitano di Castel Selva di Levico,
Albertello Manula di Parma, con i suoi armigeri padovani
capitolava (12 giugno) 45.
Nulla si sa delle operazioni militari, avvenute tra la metà di
giugno e la fine di settembre, quando fu stipulata la pace. E'
indubbio che un forte contingente d'uomini abbia posto sotto
stretto assedio il castello di Pergine, come altri <stipendiarii>
abbiano tenuto sotto scacco il castello di Roccabruna. Nel
42
Nel 1354, i Castelbarco, avevano giurato fedeltà a Ludovico di
Brandeburgo. Erano testimoni al giuramento, Siccone di Caldonazzo e Nicolò
di Arco (DEGLI ALBERTI, (op. cit.) pp. 247-248). Nella coalizione del
Brandeburgo sembra che non ci fossero milizie della città di Trento.
43
Nel 1352 Ludovico di Brandeburgo si era alleato con il cognato Cangrande
II della Scala. Lo Scaligero aveva sposato nel 1350 Elisabetta, sorella di
Ludovico (RIEDEMANN, 1988, pp. 31-32). E' interessante segnalare che nel
maggio 1350, procuratori di Cangrande II, per contrattare il matrimonio con
Elisabetta, furono Francesco Bevilacqua e Siccone di Caldonazzo (MAROSO
1988, p. 140).
44
Comandava la difesa dello sbarramento Siccone di Caldonazzo
(AUSSERER, (op. cit.) p. 250; BRIDA 1970 (op. cit.) p. 111; BRIDA 2000
(op. cit.), p. 155).
45
Tra i molti lavori sull'argomento vedere: AUSSERER (op. cit.), pp. 249251.
60
frattempo, numerosi armati misero a ferro e fuoco ogni altra
fortificazione, come ad esempio la torre di S. Mauro o il recinto
fortificato del Dos del Castel di Lases. Questa tattica aveva
anche lo scopo di rompere ogni collegamento tra i due castelli
principali: quello di Pergine e quello di Roccabruna. Posizione
predominante e centrale, tra le due fortezze, era il castello di
Belvedere con la sua torre esterna che fu preso e distrutto tra
giugno e settembre di quell'anno.
Il 9 ottobre del 1356 a Padova veniva stipulata la pace tra
Ludovico marchese di Brandeburgo, conte del Tirolo, e
Francesco da Carrara, vicario imperiale di Padova 46. Il da
Carrara rinunciava a qualsiasi diritto sull'Alta Valsugana, dopo
ben sette anni di assoluto dominio.
1357 : la Comunità pinetana riscatta la propria libertà
Immediatamente, dopo la riconquista dei tirolesi e la cacciata dei
padovani, la Comunità del pinetano intavolava con il nuovo
capitano del castello di Pergine, Domenico Concius detto Zinle,
le trattative per l'acquisto del castello di Roccabruna. Già il 7
febbraio del 1357, nel castello di Pergine davanti ad un notaio,
la Comunità si impegnava a comperare ed abbattere il castello di
Roccabruna 47. Settanta giorni dopo, il 18 aprile, a Trento nella
46
Del lungo trattato di pace evidenziamo solo il paragrafo riguardante la
consegna delle fortificazioni. <E per prima cosa il capitano di Pergine,
Francesco Fugacia, dia e consegni il castello (di Pergine, N.d.A.) e ogni
fortificazione di Pergine nelle mani del signor marchese (di Brandeburgo,
N.d.A.) o dei suoi uomini, a questa condizione, che tutti quelli che
custodirono il detto castello (di Pergine, N.d.A.) e fortificazioni, e che furono
e sono nella guerra presenti dalla parte del signor Francesco (da Carrara,
N.d.A.) e a favore suo tanto armati dentro il castello quanto fuori sul monte
di Pergine (Altopiano di Pinè o Tegazzo? , N.d.A.), possono quindi
abbandonare sicuri luoghi, e le genti di detto signor marchese (di
Brandeburgo, N.d.A.) siano tenute a condurre i medesimi in luogo sicuro
soggetto al dominio del detto signor Francesco (da Carrara, N.d.A.) >.
(MONTEBELLO 1793, pp.64-65). Vedere anche: AUSSERER (op. cit.),
pp.251-252.
47
Purtroppo il documento del 7 febbraio 1357, dove sono definiti i diritti o le
pertinenze che i Pinetani avevano acquistato non esiste più (AUSSERER (op.
61
contrada del mercato davanti all'osteria del signor Stefano, il
capitano del castello di Pergine, Domenico Concius, a nome del
conte del Tirolo, vendeva alla Comunità di Pinè il castello di
Roccabruna per 290 fiorini d'oro 48.
Indubbiamente, le motivazioni dell'acquisizione devono essere
state molto sentite da tutta la comunità.
Tra queste la più lampante era la volontà di liberarsi, per
sempre, dalle servitù e dalle prestazioni coatte connesse con il
maniero, in quanto bene feudale del principato di Trento.
All'interno della Comunità pinetana, le trattative devono essere
state molto laboriose tra i vari comuni, sia per decidere
l'acquisto, sia per la suddivisione della spesa, e la raccolta della
cifra pattuita.
Da sempre infatti, per la gente della Comunità, i due castelli
(Roccabruna e Belvedere) devono essere stati considerati come
due enormi bocche voraci.
Se prima dei Padovani l'imposizione tributaria fatta dai vassalli
del vescovo di Trento doveva essere abbastanza sopportabile,
con la loro scacciata e l'arrivo degli "stipendiati" e dei funzionari
dell'esigente da Carrara, il giogo tributario forse divenne
insopportabile. In un breve arco di tempo (1349-1357), per la
Comunità di Pinè, i due castelli portarono solo la tirannia dei da
Carrara e una guerra. Non sappiamo se sono stati i ministeriali
cit.), pp. 253-254).
48
A distanza di quasi 650 anni è molto difficile comprendere il valore di 290
fiorini d'oro. Possiamo solo confrontare l'acquisto del castello di Roccabruna
con altre spese o prestiti fatti nel XIV secolo in scudi d'oro. Alcuni esempi:
nel 1346 Siccone di Caldonazzo offriva all'imperatore Ludovico IV di
Baviera per il capitanato di Feltre e Belluno 12000 fiorini d'oro.
(AUSSERER (op. cit.), p.245). Sempre nel 1346, Siccone di Caldonazzo,
fatto prigioniero, sborsava 6000 ducati d'oro per il suo riscatto (BRIDA 2000
(op. cit.), p. 172). Nel 1348 con 272 ducati d'oro veniva riscattato il castello
di Tenno (DEGLI ALBERTI (op. cit.), pp. 245-246). Nel 1349, Mastino
della Scala consegnava 4000 fiorini d'oro al vescovo di Trento Giovanni da
Pistoia, il quale dava in pegno (o svendeva) Riva, Tenno, la Val di Ledro,
Tignale con la valle di Cavedine e la giurisdizione di Arco (COSTA 1977, p.
106.). Nel 1352, Siccone di Caldonazzo prestava 400 fiorini d'oro a Ludovico
di Brandeburgo (AUSSERER (op. cit.), p. 249).
62
tirolesi a proporre l'acquisto del castello ai pinetani o il
contrario.
Sta di fatto che, nel 1357 l'unico vero signore, con investitura
imperiale, sia come avvocato e protettore del Principato di
Trento sia come conte del Tirolo, era Ludovico marchese di
Brandeburgo e, pertanto, le sue decisioni erano legge.
Infatti, la Comunità di Pinè aveva come unico interlocutore il
conte del Tirolo, dal quale comperò il castello di Roccabruna
con l'accordo preventivato di demolirlo.
In questo modo, vi fu il livellamento di ogni fortezza
sull'Altopiano e, i pinetani riuscirono, finalmente, a riscattarsi
per sempre dalle servitù coatte 49.
Da < Pinè Sover. Notizie >. Notiziario Trimestrale dei Comuni
di Baselga di Pinè, Bedollo e Sover. Numero 1. 2001, pp.44-46.
49
Bruno Paoli nella sua rievocazione dell'epopea pinetana, dal titolo < Il
tiranno Jacopino e la vendetta dei Pinetani > , ne fa una sua interpretazione
leggendaria, che non corrisponde alle documentazioni storiche.
63
IL RINVENIMENTO DI FERRI MEDIEVALI AL
CASTEL BELVEDERE
Dopo oltre sei secoli
Sono trascorsi oltre 600 anni dalla totale distruzione del castello
di Belvedere ed è incredibile che, dopo così tanti secoli sia
ancora possibile rinvenire, tra i suoi ruderi, delle cuspidi di
freccia.
I ferri medioevali sono solo 9 cuspidi di freccia e si possono
suddividere in due tipologie diverse: quelle con l'estremità
posteriore a gorbia cava (Fig. 9, nn. 1-5) e quelle con l'estremità
a codolo filiforme (Fig. 9, nn. 6-9).
Fig. 9 - N. 1-5
cuspidi di freccia
con gorbia cava;
nn. 6-9 cuspidi di
freccia con
codolo
peduncolato (dis.
di T. Pasquali).
64
Le due tipologie sono due modi differenti di armare di cuspide
l'asticciola della freccia. In quelle a gorbia cava, l'asticciola
veniva infilata all'interno della cavità della cuspide. In quelle a
codolo, l'asticciola veniva impiantata, fino a che tutto il codolo
scompariva nel legno.
Le cuspidi con gorbia cava, nn. 1 e 2, si possono ritenere
scagliate con l'arco e la loro datazione può oscillare dal XI al
XIV secolo. Le rimanenti a gorbia cava, nn. 3, 4 e 5, si possono
considerare scagliate con la balestra ad arco composito. Le
cuspidi con codolo, nn. 6 e 7 si possono considerare scagliate
con la balestra avente l'arco composito e per alcune peculiarità le
cuspidi, le datiamo alla prima metà del XIV secolo. Mentre per
le altre due, nn. 8 e 9, scagliate probabilmente con l'arco non
proponiamo nessuna datazione.
Alcune note sull'arco medioevale
L'arco medioevale era di solito costituito da un elemento unico
di legno di tasso o di frassino, essendo questi legni
particolarmente elastici.
La corda era legata alle due estremità del fusto. L'arciere, usando
come forza di trazione le braccia, portava a tensione la corda
insieme alla freccia e poi lasciava andare la corda che tornava a
tendersi violentemente. In questo modo la freccia veniva
scagliata sul bersaglio prescelto (Fig. 10).
Un buon arciere poteva raggiungere una tensione di 80-100 kg e
scagliare le frecce fino a 200 metri di distanza, con una massa
d'urto tra i 50 ed i 100 kg.
In assoluto i migliori arcieri medioevali furono gli inglesi i quali
usavano un arco in legno di tasso, lungo da metri 1,40 a metri
1,80, e riuscivano a scaricare fino a 12 frecce al minuto. Le
frecce d'arco avevano l'asticciola di legno di tasso o frassino e
portavano su un'estremità dell'asticciola la cuspide e su quella
opposta alcune piume d'uccello, attentamente tagliate, che
65
costituivano l'impennaggio necessario a conservare la traiettoria
e la gittata della freccia.
Fig. 10 - I difensori di Castel Belvedere: A destra un balestriere a sinistra un
arciere. Le due figure sono tratte dal ciclo pittorico della Casa delle Guardie di
Castel Avio. Affreschi datati tra il 1350 ed il 1360 (dis. di T. Pasquali).
Qualche considerazione sulla balestra con l'arco composito
Le più antiche balestre del Basso Medioevo avevano l'arco di
legno duro. Verso il 1100, in Europa, i Crociati portarono dalla
Terra Santa le prime balestre con arco composito, catturate ai
Saraceni.
66
L'arco composito della balestra era formato da listelli di legno
duro e strisce di corna bovine o altro animale sovrapposte ed
incollate, poi strettamente legate con tendini di animali: Il tutto
ricoperto di cuoio o carta pecora. Benché l'arco fosse di notevole
spessore, la balestra era di modesto peso, con un arco assai
elastico ed una notevole gittata.
Il costo estremamente elevato di questo tipo di balestra, portò ad
una sua lenta diffusione risultando però la più efficace arma a
getto individuale, fino alla comparsa, verso la metà del 1300,
della balestra con l'arco d'acciaio.
Se per caricare e tendere l'arco di legno duro era sufficiente la
forza muscolare per quelle ad arco composito e d'acciaio poi si
dovettero inventare dei meccanismi di caricamento che
riducessero drasticamente lo sforzo del balestriere: si ebbero
così balestre a leva, a martinetto e a mulinello.
Ad esempio, una balestra con l'arco d'acciaio poteva arrivare ad
una tensione di circa 300 kg. e scaricare i dardi ad oltre 250
metri di distanza.
Per la costruzione del dardo (freccia) si adoperavano asticciole
di legno, che in molti casi venivano tornite al tornio, sulle quali
veniva inserita la cuspide, chiamata "quadrella" o anche
"verretta". Dalla parte opposta dell'asticciola alcune penne di
uccello, o più sovente, materiali diversi come cartone,
pergamena, legno, lamine di rame o ferro, costituivano
l'impennaggio necessario a stabilizzare la traiettoria e la gittata
del dardo.
Nel 1999, le cuspidi illustrate erano le prime tangibili
documentazioni medievali di Castel Belvedere di cui la
Comunità di Pinè entrava in possesso.
I ferri sono depositati presso l'Azienda di Promozione Turistica
dell'Altopiano di Pinè Valle di Cembra. E' auspicabile che
questa prima donazione venga seguita da quelle di altri
collezionisti.
Estrapolato da < Pinè Cembra. Turismo Notizie >.
Quadrimestrale dell'A. P. T. Pinè - Cembra. N. 28, 1999, pp. 3334.
67
68
TESTINONIANZE DI VITA QUOTIDIANA
Oggetti di ceramica e di metallo
Le testimonianze di vita quotidiana riconducibili al Basso
Medioevo constano, soprattutto, di residui di oggetti in ceramica
od in metallo che sono stati gettati via perché rotti o sono andati
perduti. Va precisato che l'insieme delle documentazioni di vita
quotidiana consistono in un'infinita serie di oggetti, più o meno
integri, che furono usati nel lento trascorre delle giornate.
Molte di queste cose si sono rotte o frammentate per le cause più
banali. Stanno in questa categoria di materiali le terrecotte ed i
vetri e per capire a che cosa ci riferiamo, suggeriamo al lettore
di immaginare l'attrezzatura in dotazione presso la cucina del
castello. Molti sono i recipienti in terracotta. Fra questi:
scodelle, ciotole, catini, piatti, boccali, pentole, secchielli, olle,
ecc. Altri, quelli in vetro: bottiglie, ampolle, vasi, coppe,
bicchieri, ecc.
La più vasta tipologia di arnesi persi è, invece, in metallo.
Manufatti che possiamo genericamente suddividere in due
gruppi: quelli di poco conto e quelli di un certo pregio.
Tra i materiali di poco conto, che di norma sono anche i più
seriali, prendiamo, ad esempio, quelli di un'ipotetica scuderia:
ferri da cavallo (integri o spezzati), chiodi per ferrare (usati o
nuovi), fibbie per finimenti (rotte od integre) e altro ancora.
Non vi è poi castello del Trentino che non abbia subito, almeno
una volta, <assalti e contrattacchi, assedi e sortite, saccheggi ed
incendi>.
Durante gli episodi bellici, le armi più consone, sia alla difesa
che all'offesa, furono le balestre e gli archi con la successiva
dispersione, attorno alle mura dei castelli, di un numero
incalcolabile di frecce.
Le cuspidi di frecce, dell'arco e della balestra, sono, a mio
avviso, soltanto dei piccoli manufatti di ferro, costruiti in modo
dozzinale. Ma, questi ferri, dalle punte acuminate, furono fatti
forgiare in quel modo allo scopo di uccidere e, pertanto,
diventano muti testimoni di fatti guerreschi.
69
Nell'epoca d'oro di Castel Belvedere, tra la metà del 1100 e la
fine del 1200, chi abitava nel maniero, come in tutta l'Italia e nel
resto d'Europa, indossava vestiti privi di tasche. La totale
mancanza di saccocce, sia per l'uomo che per la donna,
obbligava tutti a tenere nella cintura, appesa od infilata, una
serie incredibile di oggetti che andavano dal coltello da cucina
alla forbice, dalla chiave al pugnale. Inoltre, quasi tutti
possedevano una borsa tenuta ben legata, o appesa, alla cintura,
di forma e grandezza diversa, contenente una serie di piccole
cose come: monete, ditali, aghi (in astucci in osso od in metallo),
sigilli, temperini ed altro ancora (Fig. 11).
Fig. 11 – Tre modi diversi di portare alla cintura la borsa. Da : <I sette peccati
capitali> 1475 – 1480. Di H. Bosch (1453 – 1516). (Rielaborazione grafica di T.
Pasquali).
70
Gli uomini e le donne camminavano, lavoravano e, magari,
combattevano, avendo alla cintola tutte queste cose. Era
inevitabile che qualche arnese andasse perso ed è pertanto
probabile rinvenire, nei pressi degli abitati medioevali, oggetti di
un certo pregio.
Altra oggettistica, di migliore qualità, che andava abitualmente
perduta in quei secoli, consiste in una serie di piccoli manufatti
di bronzo: guarnizioni metalliche, cucite sulle vesti, che, in
alcuni casi, sono pezzi unici; bottoni (più rari); fibbie di varia
grandezza che allacciavano corpetti, calze, casacche, cotte
(armature composte di anelli metallici), scarpe, speroni e
mantelli; fibbie, ancora più grandi, che bloccavano le cinture,
poste sia attorno ai fianchi che a tracolla, con appese, in molti
casi, oltre alle solite mercanzie, per quella posta ai fianchi la
spada e per quella messa a tracolla la faretra ricolma di frecce.
I materiali
La piccola raccolta è composta da tre frammenti di ceramica,
una fusaiola fittile, un vetro, due fibbie in ferro, una piccola
fibbia in lega, una chiave di ferro, due coltelli di ferro (uno
frammentato), una piccola presa a gomito di ferro, un probabile
acciarino di ferro, nove chiodi per carpenteria pesante con larga
capocchia (alcuni hanno la testa tranciata), otto chiodi per
carpenteria leggera a sezione piatta con capocchia tranciata e
vari ferri d'uso imprecisato.
I materiali sopra elencati si possono considerare come la prima
testimonianza di vita quotidiana, a noi pervenuta, da Castel
Belvedere.
Le ceramiche
Dei tre frammenti vascolari, in ceramica grezza e priva di
qualsiasi rivestimento impermeabilizzante (per certi aspetti
l'impasto delle argille può ricordare quello delle ceramiche
preistoriche), particolarmente degno di nota è il residuo d'ansa a
71
forma trapezoidale con foro passante che è appartenuta ad un
secchiello (Fig. 12, n. 1).
Si ricorda che nei castelli del Trentino, tra il 1200 ed il 1400, il
secchiello era tra i recipienti d'uso più comune per contenere
liquidi e per cucinare. Si trattava di una pentola, non
eccessivamente panciuta, con fondo piatto e due anse
sopraelevate al bordo (di forma trapezoidale o ad "orecchio")
sempre forate per contenere il manico di ferro. La sua forma è
analoga a quella dei secchi in rame, con i quali, oltre 50 anni fa,
si andava a prendere l'acqua alla fontana.
Inoltre, è stata rinvenuta integra una piccola fusaiola, in
terracotta, di forma sferica assai schiacciata (Fig. 11, n. 2), che
serviva alla filatura della lana o di fibre vegetali.
I metalli
Per questione di spazio, i metalli scelti sono le tre fibbie (Fig.
12, nn. 3-5) e la chiave (Fig. 12, n. 6).
La fibbia n. 3, con ancora inserito l'ardiglione, è in ferro; per la
forma ovale leggermente schiacciata è del tipo "a staffa". La
sua fattura, molto semplice, potrebbe indicare l'uso della fibbia
come fermaglio nei finimenti.
La successiva fibbia, n. 4, con ardiglione, è anch'essa in ferro.
Presenta il traversino superiore rifinito a lima con delle tacche
verticali poste su di un unico verso. Nella forcella inferiore è
saldata una piccola guarnizione a lingua (rotta in antico) che
serviva da presa alla cintura. L'oggetto, per il suo decoro, è da
considerarsi d'uso personale.
La piccola fibbia, n. 5 è in lega (bronzo).
Essa presenta il traversino superiore con decoro a quadrilobo
ripassato a lima; i due segmenti di collegamento sono ricurvi "a
staffa" e la barretta inferiore è priva d'ardiglione. La fibbietta è
di un certo pregio e chi l'ha persa doveva essere senz'altro di
ceto elevato.
L'ultimo oggetto è il ferro n. 6. Si tratta di una piccola chiave, da
mobile. Presenta l'impugnatura ad anello rotondo, stelo pieno
72
(maschio), apripista, mappa con doppie tacche alternate.
Certamente la chiave doveva aprire uno dei pochi mobili
(cassapanche e bauli) dell'arredo del castello.
Siamo propensi a datare tutti gli oggetti illustrati tra il XII e il
XIV secolo, in considerazione delle vicissitudini storiche di
Castel Belvedere 50.
Un probabile momento di vita quotidiana
Attraverso l'analisi dei pochi materiali descritti possiamo gettare
qualche barlume di luce sulla vita quotidiana a Castel Belvedere.
Luce molto fioca che illumina delle pentolacce in terracotta
fumanti, poste accanto al fuoco, in una cucina, stagnante di
odori acri, dove una serva fila lentamente la lana. Nella stanza
accanto il signore di Belvedere sta cercando una piccola fibbia
in bronzo, cadutagli sul pavimento ricoperto di paglia. Nel
cortile interno del castello uno dei soldati sente che si sta
allentando la fibbia della cintura che porta in vita, mentre un
altro armigero, poco più in là, si chiede dove abbia nascosto la
chiave del suo baule. Infine, sulla mulattiera che sale alla rocca
incede un cavallo che ha appena perduto sul sentiero una delle
fibbie della cavezza.
Estrapolato da < Pinè - Cembra. Turismo Notizie >.
Quadrimestrale dell'A. P. T. Pnè - Cembra. N. 30, 2000, pp.2829.
50
Alcuni mesi dopo la pubblicazione dell'articolo, alla sede dell'Azienda
Promozionale Turistica dell'Altopiano di Pinè - Val di Cembra, sono
pervenuti altri materiali da collezionisti privati, garantendo che i vari oggetti
provengono tutti dal Castel Belvedere. Tra questi ci sono alcuni frammenti di
ceramica smaltata, databili tra il XVII al XIX secolo, che nulla hanno da
vedere con il castello scomparso alla metà del XIV secolo. Forse i cocci sono
stati recuperati nei pressi nel Maso Purga, che come ho già detto è ubicato ai
piedi delle pendici meridionali del Doss de la Mot.
73
Fig. 12 - N. 1 frammento d'ansa trapezoidale di secchiello; n. 2
fusaiola.; nn. 3-4 fibbie di ferro; n. 5 fibbietta di bronzo; n 6 chiave
di ferro (dis. di T. Pasquali).
74
PARTE TERZA
PRESENTAZIONE
Se non ci avesse lasciato nell’ottobre del 1999, Roberto Spagolla
sarebbe sicuramente uno degli autori di questo libro; anzi,
probabilmente avrebbe scritto lui la presentazione del capitolo
relativo a Castellalto, perché le ricerche legate alla storia
dell’antico maniero, come pure agli aspetti storici e culturali
della comunità di Telve sono stati sempre al centro degli
interessi della vita di Roberto. Ci sembra quindi giusto e
doveroso, in occasione dell’uscita di questo interessantissimo
volume, ricordare brevemente la figura di Roberto Spagolla, più
che addentrarci in aspetti storici o tecnici relativi a Castellalto,
che con dovizia di particolari sono illustrati nelle decine di
pagine che seguono.
Sarebbe troppo lungo ripercorrere le varie attività in cui Roberto
è stato coinvolto e di cui molto spesso è stato iniziatore ed
animatore; qui ci limitiamo a ricordare le migliaia di fotografie
con le quali ha immortalato i più svariati aspetti della vita di
Telve e gli sforzi che ha profuso per recuperare e conservare un
grande patrimonio iconografico (e non solo) sulla storia del
paese. Castellalto è sicuramente stato uno dei suoi “soggetti”
preferiti, come testimonia anche la sua piccola raccolta di
oggetti metallici illustrata in questo libro. Roberto è stato anche
uno dei soci fondatori dell’ “Associazione castelli del Trentino”,
lanciando in prima persona l’idea di effettuare una serie di rilievi
sui ruderi di Castellalto, ai quali ha successivamente preso parte
direttamente e con grande entusiasmo. Purtroppo, anche a causa
del fatto che il castello risulta essere di proprietà privata, non è
mai stato possibile eseguire interventi di recupero sulla struttura,
per cui il degrado di quanto è rimasto è proseguito inesorabile
con il passare degli anni.
La speranza è che prossimamente si riesca ad attivare qualche
iniziativa per valorizzare Castellalto, o comunque per evitare un
75
ulteriore decadimento dei ruderi rimasti.Sicuramente Roberto
Spagolla sarebbe contento.
Franco Rigon, Sindaco di Telve Valsugana.
76
I RILIEVI DEL CASTELLO DI CASTELALTO
ANNI 1991 - 1992
Remo Carli
Alessandro Gremes
Tullio Pasquali
Alfonso Scartezzini
77
Ruderi di Castelalto. Da Otto Piper, 1902.
78
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
Alessandro Gremes & Tullio Pasquali
Arrivando da Borgo Valsugana, anziché entrare a Telve si
prosegue sulla nuova strada che porta a Telve di Sopra e a
Torcegno (Fig. 1).
Al crocevia per Telve di Sopra, si svolta a destra seguendo la
strada che va in Val di Calamento. Arrivati al maso Belvedere 51,
si lascia l'autovettura, di lì a piedi, si risale un ripido sentiero,
che prima di raggiungere le rovine di Castellalto, attraversa una
plaga di secolari castagni e poi un fitto bosco di conifere.
Le rovine del castello si elevano su un rilievo (m. 818 s.l.m.) che
è inciso da due profondissimi solchi torrentizi, che formano la
Val di S. Nicolò a ovest e quella di Arnana a est. A nord nordovest, l'altura è formata da una serie di terrazzi artificiali
delimitati da muri a secco, degradanti su un leggero pendio. I
punti più vulnerabili del maniero sono i lati sud sud-est e sudovest che fanno da collegamento naturale con la rimanente
montagna della Musiéra 52.
51
Il maso è posto ai piedi del dosso del <<Castelletto>> sul quale ci sono
ancora i ruderi della torre dell'antico castello di Arnana, prima sede della
famiglia dei <<da Telve>>, chiamata poi <<de Castro Alto>>, dopo la
costruzione del castello di Castellalto.
E' da notare l'analogia fra il castello di Castellalto nei confronti del castello di
Arnana e il castello di Altaguarda, in Val di Non, rispetto a quello di Livo. In
entrambi i casi il castello successivo, non solo è divenuto il più importante,
ma ha mantenuto a lungo la sua presenza, mentre il castello <<matrice>> è
scomparso in breve tempo. Ciò è dovuto, non solo alle vicende familiari, ma
in particolare alla miglior dislocazione, forte delle difese naturali, ed al
relativo isolamento rispetto alle linee di gran traffico e di facile penetrazione
nemica (TABARELLI, CONTI, 1981, p. 131).
52
Nei primi anni del 1900, i fabbricati di Castellalto, benché in rovina, erano
ancora in ottime condizioni (PIPER, 1902, pp.46-49).
79
Fig. 1 - La freccia indica l'ubicazione di Castellalto. Da : A. Peter. < Atlas
Tyrolensis > 1759. Ristampa : Athesia – Verlag. Bolzano 1986.
80
SINTESI STORICA
Alessandro Gremes & Tullio Pasquali
I primi personaggi noti della nobile famiglia dei domini de
Telvo sono Adalpreto e Wala, i quali nel maggio 1160
presenziarono assieme ad alcuni tra i più influenti feudatari
trentini del tempo (Odorico e Federico d'Arco e Gumpone di
Madruzzo), all'infeudazione vescovile di Gandolfino da Fornace
del castello di Belvedere di Pinè (GORFER, 1987, p. 231).
La prima documentazione certa dell'esistenza di Castellalto
risale al 1272 mentre la prima infeudazione conosciuta è del
1299, anno in cui il vescovo di Feltre e Belluno concedeva a
Francesco I di Castellalto le case di Telve, decime, terre arative,
prative e vigne 53.
Quando alla metà del XIV secolo i da Carrara, signori di
Padova, ebbero da Carlo IV di Lussemburgo - Boemia la
signoria di Feltre e di Belluno, anche la Valsugana fino a
Novaledo divenne signoria padovana 54. Così, assieme a tutti gli
altri feudatari valsuganotti, i Castellalto riconoscevano come
loro signori i da Carrara 55.
La Bassa Valsugana nel 1412 passava sotto il totale dominio del
duca Federico IV d'Austria, conte del Tirolo, detto <<Tasca
Vuota>>. Con la conquista tirolese la giurisdizione di Castellalto
entrava nelle proprietà indiscusse di Casa d'Austria. Il conte del
Tirolo riconfermava i Castellalto feudatari del castello 56 mentre,
per volontà del principe tirolese, i Castelnuovo-Caldonazzo
venivano cancellati per sempre dalla scena storica. Da quel
momento in poi i Castellalto rimasero unici rappresentanti
53
La signoria di Castellalto fu l'unica della Valsugana feltrina a non essere
assorbita dai Castelnuovo-Caldonazzo.
54
Il confine del contado vescovile di Feltre passava a Novaledo.
55
I Castellato ebbero dei rapporti privilegiati con i da Carrara ad esempio:
Francesco da Carrara detto <<Il Vecchio>>, e i suoi capitani, furono ospiti di
Francesco II di Castellalto (GORFER 1987, p. 238).
56
La Casa d'Austria ne riceveva volta per volta l'investitura dal vescovo conte
di Feltre, previo giuramento di fedeltà da parte dei suoi rappresentanti
(GORFER, (op. cit.), p. 240).
81
dell'antica nobiltà incastellata locale sopravvissuta ai profondi
mutamenti dell'aspetto politico valsuganotto voluto da Federico
d'Austria e poi dai suoi successori 57.
I signori di Castellalto diedero alla loro politica nuovo corso
cercando costantemente appoggio e favori presso la Casa
d'Austria, forti dei vantaggi che la dipendenza immediata
dall'Impero (Reichsunmittelbarkeit) conferiva loro.
Verso la fine del XV secolo, il castello di Castellalto,
rappresentò un notevole ostacolo per l'esercito veneziano che
intendeva occupare Trento. Nell'agosto del 1487 i Veneziani
tentarono invano di conquistarlo 58 (Fig. 2).
Fig. 2 - Veduta di Castellalto. Disegno eseguito dopo la metà del XV secolo;
Archivio Buffa di Castellalto, presso l'Archivio di Stato di Trento (rielaborazione
grafica di T. Pasquali).
57
GORFER (op. cit.), p. 240.
58
La guerra scoppiata tra il duca Sigismondo e la Repubblica di Venezia
aveva come fronte principale la Valle dell'Adige e la Valsugana come
direttrice di penetrazione allo scopo di colpire Trento alle spalle.
82
Il più famoso dei Castellalto fu Francesco IV (1480 circa 1555), detto il <<Grande>>, colonnello imperiale di un
reggimento di lanzichenecchi, capitano della città di Trento,
colonnello generale della contea principesca del Tirolo,
consigliere dell'imperatore Carlo V e ambasciatore dei Re dei
Romani presso il Concilio di Trento 59.
Alla sua morte (avvenuta nel 1555), essendo senza figli, il feudo
di Castellalto passava ai nipoti, figli delle tre sorelle: Beatrice
sposata al conte Nicolò di Lodron, Gabriella sposata con Giorgio
von Greifensee e Dorotea moglie di Nicolò di Trautmannsdorf.
I von Greifensee nel 1559 rinunciavano ai diritti su Castellalto e
nel 1562 i Lodron. I Trautmannsdorf della Torre Franca di
Mattarello, presso Trento, tennero per poco più di 70 anni il
feudo di Castellalto, quando nel 1635 lo vendettero per 22 mila
fiorini, all'arciduchessa d'Austria Claudia de Medici, contessa
del Tirolo.
Nel 1652 Castellalto fu dato in pegno dal conte del Tirolo ai
fratelli Zambelli di Bassano con la riserva di recupero da parte
del capitano del castello Armenio Buffa. Disputato tra più
famiglie, Castellalto fu assegnato ad Antonio Buffa, che aveva
sposato una Zambelli. Nel 1673 l'imperatore Leopoldo I, con
una sua sentenza non riconobbe la giurisdizione dei vescovi di
Feltre sul feudo di Castellalto, ma quella dei conti del Tirolo.
I Buffa furono creati nobili nel marzo 1674, il 3 luglio dello
stesso anno l'imperatore Leopoldo concedeva ad Antonio Buffa
di Montegiglio, Castellalto e Haiden a lui e ai suoi discendenti il
titolo di barone del Sacro Romano Impero.
59
Francesco IV fu uno dei più energici repressori della <<guerra rustica>>
del 1525. < I suoi contemporanei lo descrivono come "persona giusta,
sincera, devota, elemosinaria et liberale ". Egli si sarebbe "accontentato del
patrimonio et non di accrescere la sua robba altramente " > (GORFER (op.
cit.), p. 241).
83
Con i Buffa il castello perse lentamente il suo compito di sede
feudale; alla metà del 1700 era semiabbandonato e nei due secoli
successivi cadde in totale rovina.
Durante le vicissitudini del periodo napoleonico, la giurisdizione
di Castellalto fu più volte trasferita.
Con il ritorno del Trentino all'Impero fu ripristinato il Giudizio
patrimoniale di Telvana San Pietro del conte Giovanelli e quella
di Castellalto del barone Buffa, con sede a Borgo, nel 1825 i
Buffa rinunciarono alla giurisdizione 60.
60
Casetti, 1961, pp. 760-767.
84
LE MOTIVAZIONI DEI RILIEVI
Remo Carli, Alessandro Gremes, Tullio Pasquali & Alfonso
Scartezzini
Roberto Spagolla61 nel 1990 ci propose di eseguire dei rilievi
architettonici sui ruderi di Castellalto. Egli sapeva, come
abitante di Telve, non ché come impiegato comunale, quanto
l'Amministrazione della borgata fosse da anni interessata alla
rivalutazione del castello 62.
61
A quattro anni dalla scomparsa di Roberto Spagolla (1943-1999), si ricorda
che fu uno dei soci fondatori della nostra Associazione. Per quanto riguarda
Castellalto fu motore trainante, sia nelle trattative con il Comune di Telve che
nelle fasi riguardanti i rilievi.
62
Il Comune di Telve nel 1989 così deliberava a riguardo di Castellalto
(Verbale di deliberazione N. 65 del 21 luglio 1989) < I ruderi di Castell'Alto,
sede dei signori di Castell'Alto, linea discendente dei Thelvo, dal XIII al
XVIII secolo, si trovano attualmente in uno stato di abbandono che favorisce
l'ulteriore degrado, sia per il naturale effetto degli agenti atmosferici, che a
causa di possibili atti vandalici ed appropriazioni abusivi di materiali; benché
detti ruderi siano di proprietà privata, l'artico 2 della L. 21. 12. 1961, n. 1552,
consente di intervenire, anche coattivamente, sui medesimi, purché essi siano
previamente oggetto della notificazione prevista dall'art. 2 della L. 1. 6. 1939
n. 1089; ogni provvedimento in merito è peraltro di competenza della
Provincia Autonoma; già con note del 6. 6. 1988 e dell'8. 9. 1988 il Servizio
Beni Culturali della Provincia è stata invitata ad esaminare l'opportunità di
intervenire per porre rimedio allo stato di degrado di cui sopra; detti inviti
non risultano però aver fino ad ora sortito alcun effetto; si propone pertanto di
rinnovarli con formale deliberazione del Consiglio Comunale e di portare
anche all'attenzione delle Amministrazioni dei Comuni vicini e del
Comprensorio.
IL CONSIGLIO COMUNALE. Sentita la relazione del Sindaco;
Considerato che i ruderi di Castell'Alto rivestono un indubbio interesse
storico. Considerato altresì che il loro restauro e la loro valorizzazione
potrebbe avere benefici effetti per lo sviluppo dell'attività turistica della zona.
Visto il T.U. delle leggi regionali sull'ordinamento dei Comuni approvato con
D. P.G.R: 19 gennaio 1984, n. 6/L;
Con voti favorevoli n. 14 su 14 presenti: delibera
1 - Di chiedere alla Provincia Autonoma di Trento di adottare
tempestivamente ogni provvedimento necessario per arrestare lo stato
di attuale degrado dei ruderi di Castell'Alto e per garantirne il restauro;
85
Dopo vari contatti con l'Amministrazione comunale, la nostra
Associazione riceveva il mandato, per effettuare dei rilievi
tecnici sulle rovine di Castellalto, con le seguenti finalità: di
poter ottenere uno studio di progetto atto a conoscere
l'evoluzione fisiologica nonché a raggiungere le condizioni di
fattibilità per l'arresto del degrado del castello 63 (Fig. 3).
Il nostro impegno era suddiviso in 6 punti:
1. Rilevo planimetrico di tutta l'area interessata (comprese
pertinenze).
2. Rilevo di tutti gli elementi architettonici del castello
(portali, finestre, ecc.), estrapolare i particolari più
significativi in tavole separate.
3. Studio evolutivo del tessuto murario (aggiunte di
muratura in varie epoche, saturazione di finestre e porte).
4. Misurazione effettiva dell'elevato esistente.
5. Eventuale studio dei leganti usati nelle varie fasi di
costruzione.
6. Studio del materiale lapideo usato e studio delle pietre
esotiche inserite nel tessuto murario (controllo teste dei
conci, dei piani frontali e le tecniche di martellinatura
sulle pietre più significative) 64.
I rilievi iniziarono nel giugno del 1991, trovando le rovine
completamente sommerse da una fitta vegetazione spontanea.
Dopo il disboscamento durato alcuni giorni, si iniziarono i rilievi
che si protrassero fino a tutto l'anno successivo. Alla fine del
1993, per motivi di vario genere, si rinunciò a completare i
rilievi di Castellalto 65 .
2
- Di invitare anche le Amministrazioni dei Comuni vicini e quella
comprensoriale ad appoggiare la presente richiesta.
Nel giugno dell'anno successivo la Provincia Autonoma di Trento deliberava
di mettere sotto tutela i resti di Castellalto. Decreto del Presidente della
Giunta Provinciale N. 102 del 14 giugno 1990.
63
Verbale di deliberazione N. 219 del 29 ottobre 1990.
64
Nostra lettera del 23 luglio 1990.
65
Nei due anni di rilievi hanno partecipato: Remo Carli, Marco Gramola,
Alessandro Gremes, Lucia Paoli, Tullio Pasquali, Renato Pecoraro, Claudio
Pisetta, Alfonso Scartezzieni, Roberto Spagolla.
86
Fig. 3 - Il castello di Castellalto alla fine del XVIII secolo, da un dipinto
di Carlo Sartorelli (rielaborazione grafica di T. Pasquali).
87
I RILIEVI.
Remo Carli, Alfonso Scartezzini
Nota introduttiva
Dai rilievi di OTTO PIPER 66 è trascorso un secolo e, dei
caseggiati del 1902, ben poco è rimasto. Se il degrado dovesse
proseguire in questo modo, nell'arco di cento anni di Castellalto
resterà solo un immenso cumulo di macerie.
Benché la situazione generale sia estremamente compromessa
un attento restauro conservativo potrebbe salvarlo dalla totale
rovina 67 (Fig. 4).
Con questo lavoro non si pretende di aver eseguito un rilievo
millimetrico ma solo di aver tracciato un guida per eventuali
futuri interventi.
Fig. 4 - Veduta di
Castellalto nei primi anni
del 1900 (Piper, 1902).
66
PIPER ,1902, pp. 46-49.
Gli scriventi con altri tecnici hanno eseguito tra il 1987 e il 1989, i rilievi
delle rovine di Castel Corno in Vallagarina (Comune d'Isera). Il degrado
generale e l'alzato dei muri era più o meno nelle stesse condizioni di quelli di
Castellalto.
Dopo i nostri rilievi il Comune d'Isera, attraverso un contributo europeo,
commissionava il restauro del castello e, nell'agosto 2002 vi è stata la prima
parziale apertura al pubblico.
67
88
La planimetria di Otto Piper
La descrizione viene fatta, usando fedelmente i passi
dell'AUTORE, tralasciando però, le conclusioni finali (Fig. 5).
Fig. 5 - Piano di quota di Castellalto ai primi dell'900 (Piper, 1902).
Descrizione
<< (…) La rovina si presentano dall'esterno come un'alta
costruzione quadrata con file di finestre uniformi e questo
quadrato e quasi completamente riempito di stanze d'abitazione.
Nello stesso tempo sorprende l'interno del castello per la sua
bella sistemazione a fortezza.
Già entrando dal portone, all'estremità sinistra del fronte
principale esposto verso sud- est, si ha una sorprendente
impressione (…) >>.
89
<< (…) (n) - Piccolo cortile (corte d'ingresso) 68 dal quale si
vede diritto, attraverso il passo carraio, i locali sotterranei
delle stanze d'abitazione f e g di cui l'ultima è semi coperta da
materiali di crollo.
(m) - Il passo carraio è costruito in pietra di cava.
(t) - Stretto cortile (piccola corte) circondato da alte mura con
merli e camminamenti di ronda. Una porta passa nel locale
sotterraneo delle stanze f, buio ma ben conservato e di lì
un'altra porta va verso il vano sotterraneo della stanza g.
(v) - Portone di chiusura del cortile (corte nuova o esterna).
In una piccola postierla 69 nelle mura di cinta a sud -ovest del
portone di chiusura (v) del cortile (corte nuova o esterna), si
trova anche l'arco tondo nel quale si legge l'indicazione di una
data " 155 " della quale la quarta cifra non è più leggibile.
(w) - Androne del complesso rotondo che portava (corte
vecchia) al cortile di Castel vecchio.
La costruzione che circonda a est e sud il cortile (corte nuova o
esterna), ha a est dell'androne (w) quattro locali sotterranei con
due entrate dal cortile stesso e sopra, estese fino a sud-ovest, si
trovano tre stanze d'abitazione, delle quali quella centrale con
un balcone esterno poggiato su beccatello in pietra 70. La
costruzione, per dominare la salita parallela, è fortificata,
avendo oltre le feritoie di ciascun merlo, ancora altre feritoie. Il
muro esterno della terza stanza (a sud-ovest) manca quasi
completamente. La pendenza del terreno comporta che le
cantine si trovano verso l'esterno abbastanza alte, sopra il
68
Vengono usati i nomi, dati da ALDO GORFER, ai vari ambienti del
castello. GORER, 1987.
69
La postierla è una piccola porta per il passaggio di una persona alla volta.
Usata soprattutto nel Medioevo per le torri, mura, castelli e altro simile.
70
Nell'antica architettura militare il beccatello era un elemento costruito, in
genere, da unarchetto su mensole aggettanti, destinato a respingere dall'alto
gli assalitori.
90
terreno, mentre nell'angolo vicino alla torre si entra a
pianterreno.
(H) - Cortile (cote vecchia) del castello dominato dalla torre
della rocca .
(r) - Piccola costruzione del cortile (corte vecchia) quasi
completamente distrutta.
(a) - Molto ben conservata è la costruzione situata più in alto e
spostata verso l'esterno, la cui cantina ha l'entrata a sud- ovest
del cortile (corte nuova o esterna).
(o) - Mastio del castello.
(s) - Stanza d'abitazione.
(f) - Stanza d'abitazione, con locale sottostante. Una fila di fori
lasciati dai travi, in alto nella parte sud-ovest della stanza, fa
pensare che c'era un passaggio sporgente in legno adibito a
camminamento di ronda, dal quale si poteva sparare con
efficacia, sia verso il piccolo cortile intermedio (t) (piccola
corte), sia verso l'ulteriore salita al cortile del Castello (corte
nuova o esterna).
(g) - Stanza d'abitazione, con latrina come era in d'uso verso la
fine del Medio Evo e locale sottostante.
(h) - Stanza d'abitazione, con locale sottostante.
Le importanti stanze d'abitazione, costruite in epoca più
recente, si trovano a sud (Palazzo nuovo o Palazzo di
Francesco). La costruzione, che ha nella parte superiore nove
finestre in fila, abbastanza grandi, dovrebbero essere state
aggiunte più tardi. Essa è formata dall'arcata a botte <<
scuderia o sala delle guardie>> che si trova in basso e che
nella sua lunghezza ha quattro feritoie. Tutta l'arcata è lunga 7
metri e alta circa 6 metri ed è completamente aperta verso la
stanza più stretta che in passato era coperta con doppia volta a
crociera ed anch'essa aperta con due archi verso il piccolo
cortile (1°) (n) (corte d'ingresso)..(…) >>.
Lo studio del PIPER vista da GORFER
91
<< (…) L'ingresso era stabilito sulla fronte orientale del
Palazzo nuovo o Palazzo di Francesco. Si tratta di un notevole
corpo di fabbrica lungo circa 28 metri e largo una decina,
disposto su tre piani: Esso completa l'organizzazione
quadrangolare dell'impianto castellare che a sua volta
incapsula quello, semilunato, del primitivo nucleo medioevale
addossato alla torre. Dalla corte d'ingresso il passaggio era
obbligato in un lungo androne, direzione sud-nord, in
collegamento con una seconda piccola corte, stretta tra il muro
esterno e il muro circolare interno, che immetteva, tramite un
arcone a tutto sesto datato 155 nella corte nuova o esterna.
Quadrangolare, in essa penetrava il corpo antico, semillittico,
merlato, poggiato su di un potente basamento di pietra, con
aerei sporti e feritoie.
Occupava la sommità del rilievo. La corte nuova la contornava
a forma di mezzaluna. Un androne, su cui si apriva la porta
delle cantine, dava accesso alla corte vecchia dove si trova la
cisterna, la scala del piano nobile e gli ingressi alle stanze di
servizio. >>
92
Fig. 6 - Piano di quota di Castellalto del 1991 (rilievi di R. Carli e A.
Scartezzini).
Rilievi (1991-1992) (Fig. 6)
Dove è possibile, confrontiamo i nostri rilievi con quelli di
OTTO PIPER e con le osservazioni architettoniche di ALDO
GORFER.
Ingresso
Sul portale d'ingresso, a sinistra per chi entra, si trovava l'unico
frammento superstite della pilastrata rinascimentale in pietra
calcarea bianca, anziché rossa come osserva GORGER. In un
sopralluogo dell'agosto 2002, il piedritto è stato divelto dalla
muratura e trafugato (Fig. 7 e 8).
GORFER: << (…) Il portale d'ingresso al palazzo di sud, e del
castello, di forme rinascimentali elegantemente ricavate dal
calcare rosso della Ziolina è crollato. Unici resti sono il
piedritto di sinistra e il frammento dell'arco tra l'erba della
rampa. (…) >>
93
Fig. 7 - Castellalto, piedritto del portale d'ingresso (rilievo e disegni di A.
Scartezzini, giugno 1991).
Fig. 8 - Piedritto del portale d'accesso (foto di A. Scartezzini - 1991).
94
<<Corte d'ingresso>>
Superato il portale d'ingresso, si incontra, tra le più desolanti
rovine, il primo cortile che in origine doveva essere
completamente coperto. Lo si intuisce dalle finestre rettangolari
poste ad un'altezza tale che dovevano essere di un primo piano.
Il cortile di forma quadrata aveva di fronte, per chi entrava, il
porticato detto <<scuderia o sala delle guardie>> e sulla destra il
portico detto <<l'androne>>.
GORFER: << (…) Pericoloso è l'avventura fra le macerie che
sommergono la piccola corte d'ingresso principale, stretta tra i
resti dell'androne di destra (nel muro si nota un assetto ritenuto
<a cunicolo>) e i due arconi, sorretti da un pilastro
quattrocentesco (…) >>
Porticato detto <<scuderia o sala delle guardie>> (Fig. 9)
L'entrata della così detta <scuderia o sala delle guardie> è
formato da un doppio arco a tutto sesto. I due archi sono
contornati da larghi conci in pietra calcarea bianca, scalpellata a
mano. Le due volte sono sostenute da un notevole pilastro di
forma cilindrica, composto da sei rocchi formati da più pietre
calcaree bianche sovrapposte 71 (Fig. 10). Le pietre sono
attentamente bocciardate e terminano con un capitello dal
notevole abaco (Fig. 11).
Il soffitto del loggiato è crollato completamente ricoprendo il
pavimento e il pilastro di macerie per circa uno o due metri (Fig.
12). Dai rilievi da noi eseguiti e dal disegno del PIPER la volta
del loggiato era a quattro vele 72. Dopo il piccolo porticato si
susseguivano altri tre locali 73; di questi ora rimane un solo
grande vano (detto anche <<scuderia>>). L'insieme presenta il
71
Il pilastro trova analogie con le colonne del Castello della Pietra di
Primiero (GORFER, 1987, p. 379).
72
Vedere con attenzione il disegno del PIPER (Fig. 9).
73
La planimetria dei primi '900 del PIPER, indica quattro vani consecutivi
sulla sinistra del disegno (Fig. 4).
95
soffitto a volta a botte magistralmente eseguito con del pietrame
posto a lama di coltello. Osservando con attenzione il soffitto si
riconoscono le tracce delle imposte delle murature che
dividevano i locali.
Attualmente, in quello che doveva essere l'ultimo vano, in
prossimità del muro di fondo si apre una fossa in muratura di
forma circolare, con un grosso cilindro in pietra calcarea,
piegato su un fianco, che serviva come basamento di un torchio
(Fig. 13).
Nel 1991 Roberto Spagolla con altre persone ha ripulito il
pilastro fino al basamento mettendo in luce un selciato (Fig. 14).
PIPER: << (…) Un pilastro rotondo accuratamente lavorato in
pietra, con base di una parete intera, dalla quale si estendono,
da ambo le parti, archi a muro aperti. (…)>>
GORFER : << (…) i due arconi, sorretti da un pilastro
quattrocentesco di pietre squadrate, che immettono nel vasto
locale a grande volta a botte detto <<della scuderia o sala
delle guardie>>. E' caratterizzato da cinque successivi arconi
di scarico ed illuminato da finestre stombate che danno verso
mezzogiorno (…) >>.
Fig.
9
Castellalto primi
del
'900.
Il
porticato
detto
<<scuderia o sala
delle guardie>>
(Piper, 1902).
96
Fig. 10 - Castellalto, estate 1991. Particolare del pilastro (foto di R. Carli).
97
Fig. 11 - Estate 1991. Rilievo del
porticato detto << scuderia o sala delle
guardie>> (rilievi e disegni di A.
Scartezzini).
Fig. 12 - Il porticato detto <<scuderie
o sala delle guardie>> visto dal piano
superiore, guardando da nord verso
sud (foto di R. Carli, 1991).
98
Fig. 13 - La parte interna del portico detta << scuderie o sala delle guardie>> (rilievi
e disegni di R. Carli, 1991).
99
Portico di destra o << androne>> (Fig. 14)
Il
soffitto
dell'androne è a volta
a botte, in pietra
calcarea messa a lama
di coltello. La galleria
portava al Castel
Vecchio;
ora
è
ricoperta
parzialmente
da
materiali crollati dal
soffitto.
Le macerie hanno una
potenza di oltre 1,50
m. e occludono il
passaggio attraverso
il portale di fondo.
I
due
portali, Fig. 14 - Castellalto. Il portico di destra o
scalpellati a mano,
<<androne >> visto da Otto Piper nel 1902.
hanno i pilasti e i
conci della volta in
pietra bianca di Pila
(Fig. 15-16).
Sulla sinistra del primo portale si trova una apertura
rettangolare, che è l'imboccatura di un stretto cunicolo saturo di
macerie. Le due archibugiere ai lati del portale di fondo sono
state trafugate di recente. Roberto Pecoraro le ricorda ancora
presenti nel 1985-90. Il pavimento dell'androne è ancora selciato
di ciottoli fluviali.
PIPER: << (…) La volta situata ad est, sotto un edificio che non
esiste più. Delle dimensioni di metri quattro per tre, forma un
porticato lungo per l'ulteriore ingresso nel castello, dominato
da due feritoie da ambo le parti del portone. L'aggressore
attraversato il portone si trovava in un cortile stretto circondato
da alte mura con merli e camminamenti di ronda (…) La volta
100
Fig. 15- Rilievo del portico di destra o
<<androne>>. Primo arco. (disegni di R.
Carli, 1991).
del passo carraio è costruita in pietra di cava. All'inizio, a
sinistra si trova all'altezza di m. 1,50 l'apertura quadrata di cm.
65 X 80 di un canale orizzontale, il quale ( come mi risulta da
un sondaggio effettuato con una asta lunga) si sviluppa ancora
per 2 metri di lunghezza verso il basso a sinistra. Sebbene non
trovando alcun segno di serrature, si può presumere che questo
buco completamente buio, senza aperture verso l'esterno, possa
essere stato soltanto una prigione. (…) >>.
Fig. 16 - Rilievo del portico di destra o
<<androne>>. Secondo arco. (disegni di
R. Carli, 1991).
GORFER: << (…) Dai
cumuli
delle
macerie
affiorano: un portale a
tutto sesto di pietra
calcarea,
un
secondo
portale bugnato dello
stesso
materiale
assegnabile al XVII secolo
immetteva
sulla
corte
esterna, (…) Dalla corte
d'ingresso il passaggio era
obbligato in un lungo
androne, direzione sudnord, in collegamento con
una seconda piccola corte,
stretta tra il muro esterno e
il muro circolare interno,
(…) >>
<<Portalino gotico>> (Fig. 17)
La piccola porta tardo gotica si trova al pianterreno in un
ambiente imprecisato. Manca di metà della cornice (Fig. 18) . Le
macerie ricoprono l'ingresso per un'altezza di circa m. 1 (Fig.
19).
Abbiamo messo in luce nel 1991-92, una soglia in pietra rossa
(ammonitico) ed un probabile scalino in granito.
101
Gli elementi lapidei del portale sono in pietra tenera di colore
giallognolo che per alcune caratteristiche fisiche ricorda le pietre
lavorate presenti a Castel Roccabruna di Fornace 74.
PIPER: << (…) Le porte dei locali sotterranei hanno archi a
schiena d'asino eccezionali acuti di arenaria rossa (…) >>
GORFER: << (…) un portalino tardogotico di gialla pietra
oolitica che sembra desse accesso alle cantine. (…) >>
Fig. 17 -Castellalto1902. Uno dei
portalini gotici disegnati da Otto
Piper.
74
Vedere: CODROICO, pp. 50-51; G. GORFER, 1998, pp. 27-64.
Fig. 18 - Rilievo del portalino
gotico (disegni e rilievi di A.
Scartezzini. 1992).
102
Fig. 19 - Foto dell'unico portalino gotico superstite di Castellalto (foto di A,
Scartezzini, 1992).
103
<<Portalino della torre>>
Il portalino è in pietra rossa di Trento, presenta una cornice
senza svecchiatura e sull'architrave è scolpita la datata 1556
(Fig. 20-21). La soglia è della stessa pietra della porta, formata
da due basamenti coniugati da una grossa grappa. Dall'altra parte
del muro, dello spessore di metri 2,40 c’è un altro portalino con
cornice in pietra rossa di fattura imprecisata essendo in gran
parte ricoperto da materiale di crollo (Fig. 22).
Per la messa in opera dei
due
portalini
comunicanti è stato
necessario forare il
basamento del mastio, il
quale aveva addossato,
verso l'esterno (lato
nord), una scarpata di
rinforzo
e
successivamente
una
costruzione di almeno
due piani.
PIPER: << (…) Sia
sulla parte esterna
arrotondata
della
costruzione
abitativa
all'interno del castello,
sia su tutta la facciata
esterna
sud-est,
troviamo
un
muro
supplementare
di
rinforzo inclinato, senza
legatura,
costruito
accuratamente con sassi
lisci, molto alto, che
negli angoli estende
104
verso il muro maestro
(…) >>.
GORFER:
<<
(…) Fig. 20/21 - Castellalto. Sopra: insieme del
Sull'arco del portalino portalino della torre; sotto: particolare del
settentrionale del muro concio datato 1556 (foto di A. Scartezzini,
della torre, incassato 1992).
nelle macerie, è incisa
la data 1556.
Si riferisce all'apertura del fondo della torre. Il portalino
corrisponde a un secondo, di sud, non datato, ma coevo. Lo
spessore del muro che li separa è di due metri (..) >>.
Cappella o <<Crocifisso>> (Fig.22 )
Per chi entrava nella torre attraverso il portalino datato 1556,
l'affresco si trovava al pianterreno, sopra il secondo portalino.
Attualmente i due portalini sono saturi di pietrame e calcinacci.
L'affresco, è praticamente scomparso, si intravede la croce,
l'ombra del Crocifisso e il basamento della croce. Sulla destra di
Cristo vi sono le tracce di una scritta in lettere gotiche e, oltre
trequarti dell'intonaco è corroso dalle intemperie. La volta
doveva essere ad arco a tutto sesto con crociere a vela.
105
Fig. 22 - Il rilievo della
parete dove si trova
l'affresco della
Crocifissione (rilievi e
disegni di A. Scartezzini,
1992).
Fig. 23 - Castellalto. L'affresco della Crocifissione in una foto del 1953
(Gorfer, 1987).
Fig. 24 - L'affresco della Crocifissione a distanza di circa quarant'anni (foto di
A. Scartezzini, 1992).
PIPER: << (…) La torre della rocca, non molto robusta è poco
conservata. Il suo piano terra era adibito a cappella, come
dimostra una pittura murale di esecuzione abbastanza buona
sulla parete interna nord-est. Accanto ad un crocifisso figura
sulla parete superiore il sole e la luna e con molti arabeschi un
semplice stemma di alleanza, mentre in mezzo c'è la scritta "
propter scellera nostra ". La scrittura minuscola tedesca fa
presumere che si tratta del 15° secolo (…) >>.
106
GORFER: << (…) La parete di mezzogiorno, al di sopra del
portalino, circa al secondo piano del mastio, espone i resti di un
affresco: rappresentante la crocifissione con il sole e la luna ai
lati del capo reclinato di Cristo.
La scrittura mediana in caratteri gotici ammonisce: propter
sellera nostra. I cimieri di due stemmi, scomparsi per la caduta
dell'intonaco, scortano il piedistallo della croce
L'avvolto che sosteneva l'ambiente, ritenuto la cappella, è
crollato. Ne restano tracce di mozziconi di muraglia. (…) >>.
Le stanze sopra la <<cappella>>
La facciata sud del
muraglione del mastio
presenta
in
successione, dal basso
verso l'alto, il piano
terra
adibito
probabilmente a cappella; il primo piano,
formato da una stanza
dal soffitto molto alto
che aveva la travatura
in legno. A livello del
pavimento vi è un
grande riquadro rientrante nella mura-tura
che
probabilmente
costituiva un armadio a
muro.
Il
secondo
piano, formato da una
stanza sempre dal
soffitto
piano
in
Fig. 25 – I resti del muraglione. Si vedono molto
travatura,
ha
una bene i piani delle stanze (foto di R. Carli).
finestra ret-tangolare,
contornata da una bella
107
cornice in pietra rossa
che guarda all'interno
del locale.
Affianca la finestra una feritoia murata. Del terzo piano rimane
una finestrella rettangolare e forse un'altra feritoia murata. Con
tutta probabilità, vi era una soffitta prima del tetto (Fig. 25).
Muro angolare verso la valletta di San Nicolò
Il muro è costruito con il sistema del <muro a sacco>.
L'apparato murario nel complesso è costituito da pietrame
fluvioglaciale in granito di pezzatura media e sbozzato quanto
necessario. Abbondante è il legante, i corsi hanno un andamento
poco regolare. Oltre al granito sono presenti ciottoli di porfido
(rari) e pietrame a scaglie, in rosso ammonitico. La scaglia
serviva per raccordare i piani di posa dei filari e il foro della
finestra.
Il foro della finestra o porta-finestra ha la volta in sassi piatti di
granito posto a lama di coltello; nell'architrave sono presenti
anche due lastre di porfido di spessore diverso. A fianco della
porta-finestra vi è una nicchia quadrata con ancora inserita la
mensola superiore in calcare (rosso ammonitico). La parete
interna della nicchia è ancora perfettamente integra. Tra il
grande foro della porta-finestra ed il muro d'angolo abbiamo
raccolto, mediante un ridottissimo sondaggio, dei frammenti di
intonaco dipinto di rosso, rosso e fasce bianche, grigio con fasce
bianche e con graffite delle lettere in corsivo. Altri frammenti
d'intonaco sono gialli con volute filiformi.
Renato Pecoraro ricorda che in quell'angolo erano presenti delle
pitture di grappoli d'uva e una data del 1700. Il dipinto è
perfettamente vetrificato con un sottostante intonaco di
preparazione molto chiaro.
PIPER: << ( …) L'unico locale, nonché le tre stanze di fronte,
sono decorate in modo particolare con strisce oblique
108
ascendenti in modo simmetrico della larghezza di cm. 24,
alternate rosso scuro e bianco (…) >>.
Tratto di cortina ovest, verso la valletta di San Nicolò
La cortina muraria è il prosieguo del muro del secondo piano
che forma un cortile interno.
Come tutte le rimanenti murature del castello, la muratura è
costituita da pietrame in granito, con la presenza di occasionali
scaglie calcari rosse poste come raccordo dei piani di posa. I
sassi sono di pezzatura medio grande a filari molto regolari, con
corsi alti poco più di un metro, muratura perfettamente a
piombo, buche pontali ben evidenti. Nel muro, in
corrispondenza della risega, si aggetta un balcone costituito da
grosse mensole in granito appena sgrossate, una delle quali è
rinforzata dal basso con peduccio di analoga fattura;
probabilmente è una caditoia o beccatello mancante di tutti gli
elementi lapidei orizzontali. (Fig. 27).
109
Fig. 26 - Rilevo delle mensole in granito (rilievi e disegni di A. Scartezzini, 1992).
Pavimento sopra la <<scuderia o sala delle guardie>>
(secondo piano)
In un ridotto sondaggio sopra la scuderia abbiamo recuperato dei
frammenti di intonaco affrescato di rosso a fasce bianche, di
grigio con graffito a stampatello probabilmente il nome <FRIZ>,
di frammenti colorati di giallo e di violetta. Il pavimento è
costituito da abbondante boiacca in calce posta probabilmente
per legare un piano di mattoni. Il muro ha ancora dei resti di
intonaco bianco molto vetrificato.
La chiesetta
I ruderi sono ubicati all'esterno del castello sul versante sud in
corrispondenza dell'ultimo gradone, sulla parte destra di un
muro a secco in prossimità del ciglio sulla valle di S: Nicolò.
La piccola struttura (m. 6 X 3 (circa) presenta un'abside rotonda.
L'edificio è stato sezionato in tutta la sua lunghezza per far
passare una mulattiera (forse fatta nel primo conflitto mondiale).
Fig. 27 – La freccia indica la posizione della chiesetta.
110
I muri a monte sono legati a malta con resti d'intonaco, l'elevato
non supera i cm. 90. Si notano tracce d'affresco. Il pavimento era
livellato con della buona malta di calce e sabbia (h. cm.30 circa)
e in origine era ricoperto da mattoni.In prossimità dell'abside vi
sono tracce del basamento di un piccolo altare a pianta
rettangolare.
In antico la chiesetta è stata abbandonata e spogliata del pavimento in cotto. Il tetto, per la mancanza di frammenti di coppo,
doveva essere di scandole.
La chiesetta è raffigurata nel disegno del 1461 (Archivio Buffa
di Castellalto, presso l'Archivio di Stato di Trento). (Fig. 27).
111
L'ANTIMURALE DI CASTELLALTO
Remo Carli, Tullio Pasquali
La nota è la descrizione di un ampio recinto in muratura legato
con malta di sabbia e calce, mai prima segnalato.
Il recinto si trova a circa metà percorso a monte del masso di
granito depositatosi sulla sinistra del sentiero (per chi sale da
valle) chiamato <<sasso dei secchi>> (GORFER, 1987) (Fig.
28).
Fig. 28 - Risalita verso
Castellalto. Il cosiddetto <<sasso
dei secchi>>
(foto di A. Scartezzini, 2002).
La costruzione è posta a guardia della biforcazione di due
sentieri, su un ampio promontorio, di forma ellissoidale che si
chiude al rimanente pendio con uno stretto istmo d'accesso. La
struttura muraria corona per tre lati il promontorio presentando
una forma vagamente trapezoidale. Il massimo dell'elevato si
trova sul versante est con un'altezza di poco più di un metro. Lo
spessore medio di tutta la cortina è di metri 1, 10. La costruzione
doveva appartenere al sistema antimurale del castello,
documentata da pochi ferri rinvenuti in sito che datiamo tra il
1400 e il 1500 ( Fig. 29-30). Si ringraziano Alfonso Scartezzini
e Franco Bonomi per il loro contributo nelle fasi di ricerca delle
strutture murarie e nel recupero dei resti di cultura materiale.
Fig. 29 - I resti del muro legato con
tenacissima malta (foto di R. Carli,
2002).
112
Fig. 30 - Reperti in ceramica: 1, frammento di grande scodella in ceramica del
tipo <<pettinata>>. Reperti metallici: 2-3, cuspidi di freccia; 4, fibbia circolare;
5, gancio; 6, chiodino per suole; 7 calzuolo; 8, chiodo per ferrare; 9, puntale per
fodero (spada o altro); 10, frammento di coltello; 11, chiodo di medie
dimensioni. (disegni di T. Pasquali, 2002).
113
LE CERAMICHE
CASTELLALTO
Tullio Pasquali
AD
IMPASTO
GREZZO
DI
Le ceramiche di Castellalto sono assai diverse tra loro, per
l'impasto ceramico, per la copertura impermeabilizzante, e per il
decoro; differenze che non sono solo tipologiche ma anche
cronologiche 75.
Dovendo decidere se pubblicare tutti i frammenti più
significativi di ogni tipologia, o approfondire solo le peculiarità
di alcune categorie di materiali, abbiamo scelto questa ultima
via. Le ceramiche selezionate sono del tipo grezza cioè priva di
rivestimento impermeabilizzante, che a loro volta sono divise in
due categorie ben distinte:
Ceramiche ad impasto grezzo, prive di rivestimento
impermeabilizzante, del tipo <<pettinata>>.
Ceramiche ad impasto grezzo, prive di rivestimento
impermeabilizzante del tipo <<Passauer>>.
I frammenti provengono per lo più da rinvenimenti casuali,
effettuati in occasione del taglio della legna e nella fase di
rilievo di Castellalto (1991-1992). Per tanto i residui ceramici
sono privi di qualsiasi contesto stratigrafico e le informazioni e
le documentazioni relative riguardano solo le forme e i decori
dei recipienti.
Ceramica ad impasto grezzo, priva
impermeabilizzante, del tipo <<pettinata>>
di
rivestimento
Con il termine di ceramica grezza si intendono dei recipienti
caratterizzati da un impasto argilloso ricco d'inclusi calcarei,
micacei o di altro genere, di varia granulometria, talvolta
affioranti sulle pareti che sono sempre prive di rivestimento
impermeabilizzante.
75
Dobbiamo ricordarci che il castello è stato abitato per oltre mezzo
millennio (dal 1100 al 1700 circa).
114
Il vasellame veniva modellato con il tornio, lento o veloce.
Tracce di questa lavorazione sono visibili sulle pareti interne ed
esterne dei contenitori. I vasai usavano delle spatole dentate che
lasciavano delle solcature profonde e distanziate nella
lavorazione al tornio lento; più fitte e regolari con il tornio
veloce. Lavorazione chiamata dagli studiosi a <<pettine>>, per
le solcature più o meno fitte, poste sia orizzontali che verticali
come sovrapposte. Una volta forgiato, il vasellame veniva
essiccato all'aria e successivamente sottoposto ad una unica
cottura disomogenea in forni fumosi e poveri d'ossigeno. I
recipienti assumevano così una caratteristica colorazione
bruno/grigia o nero sfumato.
I contenitori in ceramica <<pettinata>> più comuni sono: i
secchielli, le olle e le scodelle che trovavano la loro principale
utilizzazione come tegami da fuoco in cucine o come contenitori
per l'acqua o in dispensa per la conservazione delle derrate
alimentari. I secchielli, di norma, hanno una forma globosa a
fondo piatto, e sono caratterizzati da due anse sopraelevate
all'orlo con foro passante per l'inserimento del manico. Le olle
hanno una forma ovoidale con piede piatto ed orlo estroflesso; la
bocca delle olle è molto più piccola di quella dei secchielli. Le
scodelle sempre con fondo piatto hanno una forma generalmente
troncoconica a bocca molto aperta.
Dati gli scopi solo funzionali, la tipologia di questi recipienti
rimase sostanzialmente immutata per molti secoli.
Vi sono poi, in numero assai inferiore, i vasi - boccali, i catini coperchi, le ollette, ecc.
Il vasellame in ceramica del tipo <<pettinata>> di Castellalto
Tutti i frammenti sono di pezzatura modesta, quelli scelti
appartengono a dei secchielli. Si tratta di residui di anse, sia di
forma trapezoidale (Fig. 31, nn. 1, 2) che ad <<orecchio>> (Fig.
31, nn. 3, 4), e di due cocci, sempre di secchiello, prossimali
all'orlo, con labbro appena espanso (Fig. 32, nn. 5, 6) 76.
76
Analogie tipologiche si riscontrano con dei frammenti rinvenuti a Castel
Savaro (PASQUALI 1981, p. 176, n. 1).
115
Alle scodelle appartengono tre orli, con labbro diverso (Fig. 32,
nn. 7, 8; Fig. 33, n. 9) 77. I frammenti di olla sono probabilmente
due, ed hanno l'orlo arrotondato e aggettante verso l'esterno (Fig.
33, nn. 10-11).
Assai interessante è il frammento spettante ad un catino coperchio che serviva da fornetto domestico (Fig. 33, n. 12),
all'interno del quale si cuocevano il pane e le focacce,
accomodandolo direttamente tra le ceneri calde. I catini coperchio non si differenziano per nulla nella forma dai normali
catini, se non fosse per le presenza di prese del tipo <a lingua>
o del tipo <<a gomito>>, ma soprattutto per i fori di sfiato
variamente disposti lungo le pareti 78.
Fig. 31. Castellalto. Ceramica grezza del tipo <<pettinata>>. Disegni di Tullio
Pasquali.
77
La olla come forma ha dei prototipi protostorici, sviluppatisi in epoca
altoimperiale ma perduranti anche in epoca medioevale. Il suo nome deriva
dal latino olla, forma collaterale di aula = pentola. In epoca romana le olle
venivano utilizzate anche come urne cinerarie.
78
I fori assicuravano la fuoriuscita del vapore e permettevano di controllare la
temperatura interna del recipiente.
116
Figg. 32
Figg. 32. Castellalto. Ceramica grezza del tipo <<pettinata>>. Disegni
di Tullio Pasquali.
Sono pure presenti, dei residui di recipienti di forma cilindrica e
troncoconica a fondo piatto, che trovano precisi confronti a
Castel Savaro, Castel S. Gottardo e Castel Valer (materiale
inedito) (Fig. 33, nn. 13-15). Il reperto n. 16 è un frammento di
ansa a gomito che probabilmente apparteneva ad un recipiente
chiuso. Interessante è il disco n. 17, ricavato da un grande
117
Fig. 33 – Castelalto. Ceramica grezza del tipo <<pettinata>>. Disegni di
Tullio Pasquali.
frammento, usato probabilmente come tappo per contenitori
chiusi ( vasi - bicchieri o altro) 79.
La datazione del vasellame viene proposta attraverso diversi
elementi derivanti dalle analogie tipologiche, nonché mediante
confronti con materiali simili, in questo caso, provenienti da
alcuni castelli della Valsugana.
79
A Castel Bosco di Civezzano vi è il rinvenimento di un piccolo disco in
ceramica pettinata catalogato come probabile pedina (PASQUALI, 1989, p.
66, m. 16). Un piccolo disco in ceramica <<pettinata>> è stato rinvenuto
anche al Castello di Ivano. Mentre alla torre anonima di Nago - Torbole, un
disco ricavato da un frammento di coppo è stato catalogato come tappo
(AA.VV. 1993, p. 87, fig. 4, n. 7).
118
Figg. 33. Castellalto. Ceramica grezza del tipo <<pettinata>>.
Disegni di Tullio Pasquali.
I dati congiunti fanno ritenere che la maggior parte delle
ceramiche del tipo <<pettinata>> di Casellalto siano state in uso
tra il XII e il XIV secolo. Lo confermano alcune peculiarità, la
presenza a Castellalto di forme troncoconiche con rigature sia
119
verticali che orizzontali, assai simili ai vasi - boccali di Castel
Savaro, maniero distrutto da Romano d'Ezzelino nel 1255. Pure
le anse dei secchielli trovano confronti puntuali con forme
vascolari simili rinvenute a Castel Bosco di Civezzano; castello
scomparso probabilmente prima del XIV secolo. Altra ceramica
grezza del tipo <<pettinata>> proviene da Castel Brenta,
diroccato nel 1304 dai Signori di Caldonazzo 80 e nella così detta
<<Torre dei Sicconi>> (Castelnovo) distrutto dai Vicentini di
Antonio della Scala nel 1385 81.
Ceramica ad impasto grezzo, priva
impermeabilizzante, del tipo <<Passauer>>
di
rivestimento
Come la precedente ceramica grezza del tipo <<pettinata>>
anche quella di Passauer si presenta senza qualsiasi rivestimento
impermeabilizzante, ma si differenzia per le seguenti
caratteristiche: l'impasto ceramico contiene solo inclusi
finissimi, in prevalenza di polveri quarzifere. La maggior parte
dei recipienti veniva plasmata mediante il tornio veloce e rifinita
con la levigatura delle pareti. Dopo la cottura in forni ben
ossigenati, tutto il vasellame si presentava con una colorazione
uniforme che andava dal nero al grigio. Di qui la definizione
tedesca di <Passauer Schwarzhafnerei>, cioè ceramica nera di
Passauer 82. Le pareti del vasellame di Passauer sono molto
sottili, se rapportate a dei contenitori della stessa grandezza in
ceramica <<pettinata>>.
Nei contesti castellani trentini, la forma vascolare più comune è
quella della olla, che di norma veniva usata come tegame da
fuoco. La sua forma è globosa con fondo piatto, collo e spalla
distinta. L'orlo è quasi sempre aggettante sulla spalla che forma
un largo nastro convesso attorno alla bocca. Peculiare di gran
parte di questi contenitori è la caratteristica stampigliatura
presente sull'orlo. I marchi, quasi sempre cruciformi, venivano
80
Castel Brenta. In corso di stampa.
Cfr., AA.VV. 1987, p. 31. Tav. 1, nn. 11-12.
82
Cfr., PITTIONI 1979, p. 84.
81
120
eseguiti quando l'impasto ceramico era allo stato di resistenza
"cuoio". Molte olle come decoro hanno una o due solcature
parallele tra il collo e la spalla, rare sono le solcature ondulate e i
cordoni plastici.
Il vasellame in ceramica del tipo <<Passauer>> di Castellalto
I frammenti di ceramica di <<Passauer>> raccolti tra le rovine
di Castellalto, corrispondono ad un quantitativo assai modesto.
Probabilmente la scarsa presenza è imputabile alla colorazione
dei cocci che, essendo neri o grigi, diventano poco individuabili
su terreni che hanno le stessa tonalità.
I frammenti scelti riguardano: 4 orli di olle (Fig. 34, nn. 1-4); un
fondo piatto con residui di parete, appartenente anch'esso ad
un'olla (Fig. 34, n. 7); un frammento di parete riferibile ad un
recipiente troncoconico (Fig. 34, n. 5); un frammento di piccola
olla con una ansa a nastro, sulla quale è stampigliata una fitta
raggiera (Fig. 34, n. 6).
Gli orli di olla nn. 1-3, per le tese particolarmente estroflesse,
sono da considerarsi frammenti di recipienti tipici di Passauer.
Si aggiunge che il residuo n. 1 conserva ancora sulla parete
notevoli croste di fuliggine che documentano in modo
inconfutabile l'uso del contenitore come tegame da fuoco.
Interessante è anche il marchio sull'ansa (Fig. 34, n. 6). Segni
simili, con raggiera più aperta, sono presenti in Austria 83, nel
Friuli 84 e per il Trentino a Castel Corno 85.
La nostra catalogazione è molto generica, in realtà la ceramica
del tipo <<Passauer>> è suddivisa in più classi rapportate
all'impasto ceramico.
83
Nel Museo di Neustadt (Austria) una olletta ansata con un marchio molto
simile a quello di Castellalto, viene datato al primo decennio del 1400
(KREMES, 1985, p. 279, Tav. 18, fig. A 115).
84
Tra le ceramiche rinascimentali datate, fine XV secolo - inizi XVI secolo,
di Palazzo Savorgnan (Udine), vi sono dei frammenti di ollette che hanno il
marchio a raggiera aperta che potrebbero essere del tipo Passauer
(CASSANI, FASSANO, 1993, p. 78, Tav. III, fig. 2 a, fig. 2 b).
85
Il coccio di Castel Corno viene datato dal XVI secolo in poi (PASQUALI,
RAUSS, 1989, p. 59, fig. 3, n. 23).
121
Figg. 34 - Castellalto. Ceramica grezza del tipo <<Passauer>> (dis. di T.
Pasquali, 2001).
Le forme dei recipienti sono assai diverse e comprendono:
pentole (olle), scodelle, piatti, coperchi, bicchieri, brocche,
bottiglie, lampade, salvadanai, vasellame in miniatura, crogioli e
mattonelle da stufa (Pittioni 1979) 86. Nel Trentino, i recipienti
86
PITTIONI, 1979 (op. cit.) pp. 83-107.
122
più diffusi del tipo <<Passauer>> sono le olle; importate, con
tutta probabilità verso la metà del XV secolo 87, raggiungono la
massima diffusione nel XVI secolo per poi lentamente essere
sostituite da pentole invetriate.
Pittioni osserva che le olle servivano come contenitori per scorte
alimentari, ad esempio grano, farina ed altri alimenti umidi
(crauti). E aggiunge che l'esame dei residui in croste degli
alimenti permette di stabilire la natura del contenuto.
Attraverso quanto detto, il vasellame di Castellalto dovrebbe
essere stato in uso nelle cucine e nelle dispense del castello a
partire dal XV secolo, per rimanervi per oltre cent'anni.
Sull'asse della Valsugna, vasellame del tipo <<Passauer>> è
stato rinvenuto nel vicino Castel Ivano 88, in un edificio storico
di Borgo Valsugana 89, nel Castel Roccabruna di Fornace 90 e
sotto il pavimento della chiesa di S. Maria Assunta di Civezzano
edificata per volontà del cardinale Bernardo Clesio tra il 1533 e
il 1538 91.
87
Nei castelli trentini scomparsi tra il XIII e il XIV secolo, le ceramiche del
tipo << Passauer>> sono completamente assenti. E' molto probabile pertanto,
che esse abbiano lentamente sostituito le ceramiche grezze del tipo
<<pettinato>> durante XV secolo. Ad esempio a Castel Corno ceramica del
tipo <<Passauer>> è associata a vasellame rinascimentale del XV-XVI
secolo (PASQUALI, RAUSS, 1988; pp. 79-118).
88
Nelle vetrine di Castel Ivano, sono molti i frammenti di ceramica di
Passauer esposti.
89
Il materiale di Borgo Valsugana è del tipo <<Passauer>> molto tardo, e
potrebbe essere datato verso la fine del XVII secolo.
90
Cfr., PASQUALI, SCARTEZZINI, 1998; p. 152, nn. 2-5.
91
Nello scavo archeologico, eseguito dalla Provincia Autonoma di Trento,
nella chiesa di Civezzano, sotto il pavimento clesiano (Unità Stratigrafica 1),
oltre al frammento di ceramica di Passauer, furono recuperati molti cocci in
ceramica ingobbiata graffita e dipinta del tipo rinascimentale (CIURLETTI,
1992).
123
DISTRIBUZIONE SUL TERRITORIO TRENTINO
DELLE
CERAMICHE
GREZZE
DEL
TIPO
<<PETTINATO>> E <<PASSAUER>>
Tullio Pasquali
Indubbiamente, i due schemi sulla diffusione nel Trentino della
ceramica grezza del tipo<<pettinata>> e del tipo <<Passauer>>,
non sono sicuramente completi. Però, a nostro avviso, è già un
passo in avanti per comprendere l'effettiva espansione
commerciale dei due prodotti, uno proveniente da sud (la
ceramica <<pettinata>>) e l'altro da nord (la ceramica di
<<Passauer>>).
Non si può neppure escludere che la ceramica <<pettinata>> sia
stata anche prodotta in botteghe locali. E' altrettanto probabile
che nel Trentino, tra il XIII secolo e i primi decenni del XV
secolo, la <<pettinata>> sia stata la terraglia più comune sia
sulla tavola che in cucina.
Con l'inizio del XV secolo, le ceramiche smaltate ed invetriate
provenienti soprattutto dal Veneto, divennero sempre più
comuni. Mentre da nord, arrivarono le ceramiche del tipo
<<Passauer>>, principalmente sotto forma di olle che andarono
a sostituire in cucina i tegami da fuoco in ceramica
<<pettinata>>.
Diffusione nel Trentino della ceramica tipo <<pettinata>>
(Fig.35)
1 - Castellalto: castello; recinto fortificato.
2 - Castel Ivano (Pasquali, 2002). *
3 - Castello di Castelnuovo (inedito).
4 - Covelo di Butistone o Covelo di Brenta (Vicenza) (inedito)
5 - Castel San Pietro (inedito).
6 - Castel Telvana (inedito).
7 - Borgo Valsugana (centro storico) (inedito).
8 - Castello di Savaro (Pasquali, 1981; p. 176, nn. 1-7). *
9 - Castel Brenta (inedito).
124
10 - Torre dei Sicconi (Cavada, Marzatico; 1987, p. 31, Tav. 1, nn.
11-12). *
11 - Viarago (canopi) (inedito).
12 - Civezzano (Chiesa di Santa Maria Assunta) (Ciurletti,
1992). *
13 - Castel Bosco (Pasquali, 1989; pp. 64-65, nn. 1-15). *
14 - Castel Roccabruna (Pasquali, Scartezzini, 1998; p. 151, n.
1). *
15 - Chiesa di S. Stefano (Ciurletti, Rizzi, 1996; p. 17). *
16 - Castel Belvedere (Pasquali, 2000; p. 29, n. 1). *
17 - Covelo del Rio Malo (Pasquali, 1980; p. 330, nn. 1-6). *
18 - Busa de la vecia Pempa (Vicenza) (Pasquali, 1980; p. 239,
nn. 1-6). *
19 - Trento: Porta Veronensis (pannello esplicativo); Convento
delle Clarisse (inedito).
20 - Monte Calisio (canopi) (inedito).
21 - Castel S. Gottardo (Pasquali, 1989; p. 29, nn. 3-6 e 8). *
22 - Castelletto di Tono (inedito).
23 - Castel S. Pietro (inedito) (Val di Non).
24 - Castel Flavon (inedito).
25 - Castel Valer (inedito).
26 - Castel Beseno (inedito).
27 - Castel Corno (Pasquali, Rauss, 1988; p. 84, fig. 3, nn. 3-4).
*
28 - Castello di Chizzola (Avanzini, 1986; p. 5, fig. 2, nn. 1-8). *
29 - Castel Saiori (Avanzini, 1986; p. 6, fig. 3, nn. 1-6 e p. 7, fig.
4, nn. 6-11). *
30 - Busa dei Preeri (AA.VV., 1994; p. 61, fig. 2, nn. 1-8 e p. 62,
fig. 3, nn. 9-16). *
31 - Dosso 3 (Avio) (AA.VV., 1995; p. 139, fig. 8, nn. 11-15 e p.
141, fig. 9, nn 16-21). *
32 - Dos del Maton (inedito).
33 - Coai di Borghetto (inedito).
34 - Grottina del Lago di Loppio (inedito).
35 - Castel Verde (inedito).
36 - Castel Penede (inedito).
125
37 - Nago (centro storico) (Pasquali, Rosà; 1997; p. 116, n. 3).
*
38 - Torre anonima di Nago-Torbole (AA.VV., 1992; p. 86, fig. 3, nn.
1-5). *
39 - Mastio di Torbole (inedito).
40 - Torbole (centro storico) (Pasquali, 1994; p. 88, nn. 1-3). *
41 - Riva del Garda (centro storico) (Odorizzi, Pasquali, 1994; p.
102, n. 1). *
42 - Eremitaggio di S. Paolo (inedito).
43 - Castel Drena (Antiquario di Castel Drena). *
44 - Terlago (centro storico) (inedito).
45 - Dosso di S. Valerio (Ciurletti, Cavada, 1979 ). *
L'asterisco individua le pubblicazioni che trattano l'argomento
(*).
126
Figg. 35 – La distribuzione della ceramica <<pettinata>> nel Trentino.
Diffusione nel Trentino della ceramica del tipo <<Passauer>>
(Fig. 36)
1 - Castellalto
2 - Castel Ivano
3 - Brogo Valsugana (centro storico) (inedito)
4 - Civezzano (Chiesa di Santa Maria Assunta) (Ciurletti,
1992). **
5 - Castel Roccabruna (Pasquali, Scartezzini, 1998; p. 152, nn.
2-5). **
6 - Covela di Carbonare (inedito).
7 - Trento (Convento delle Clarisse) (inedito).
8 - Mezzolombardo (centro storico) (Pasquali, 1994; p. 4, n 1).
** Mezzolombardo (Convento dei Francescani) (inedito).
9 - Castello di S. Gottardo (Pasquali, 1989; p. 29, fig. 3 nn. 79). **
10 - Castel Rovina (inedito).
11 -Castel Belasi (inedito).
12 - Castel Flavon (inedito).
13 - Castel Valer (inedito).
14 - Castel Beseno (Museo degli Usi e Costumi della Gente
Trentina).
15 - Castel Corno (Pasquali, Rauss, 1988; p. 107, fig. 13, nn. 106109). **
16 - Castel Penede (inedito).
17 - Eremitaggio di S. Paolo (inedito).
I due asterischi indicano le pubblicazioni che trattano
l'argomento (**).
127
Figg. 36 – La distribuzione della ceramica <<Passauer>> nel Trentino.
128
MONETE MEDIOEVALI RINVENUTE A
CASTELLALTO E DEPOSITATE AL MUSEO
CIVICO DI ROVERETO 92
Alessandro Gremes
Le monete ed il castello
Le monete qui di seguito proposte sono depositate preso il
Museo Civico di Rovereto e fanno parte della donazione
effettuata dallo scrivente nel 1989 (Inventario d'ingresso n.
1323/89). Questi reperti monetali sono stati rinvenuti in
superficie, tra il 1984 e il 1985, all'esterno dei ruderi, sul
versante Ovest del dosso, nella valle di San Nicolò.
Il ritrovamento di queste monete sul versante del dosso che dà
sulla valle di S. Nicolò può essere attribuito a vari fattori:
possono essere state smarrite sui pendii della valle; possono
esservi state gettate qualche secolo dopo la loro emissione, ossia
quando da tempo erano fuori corso e non più utilizzabili per
alcun tipo di scambio commerciale; altra ipotesi è che siano state
perse all'interno del castello e poi, assieme ad altri rifiuti, siano
state scaricate nella valle, che per secoli ha svolto la funzione di
discarica del castello.
Le monete coprono un tempo che va dal XIII al XVI secolo,
praticamente dal periodo della probabile nascita del castello al
momento di maggiore gloria dello stesso, sotto Francesco IV di
Castellalto <<Il Grande>>. Le sette unità monetali provengono
da ben cinque zecche, in particolare tre di esse (n. 4, n. 5, n. 6)
rappresentano la contea del Tirolo dal 1363 al 1490, dal Conte
Leopoldo III e IV, a Federico IV detto <<Tasca Vuota>>, al
Conte Sigismondo.
Tutte queste monete sono legate alla presenza fisica del castello,
alla vita che si svolgeva giorno dopo giorno e sono frutto di
normali scambi commerciali. In particolare il piccolo scodellato
92
Il presente lavoro è stato estrapolato da un mio precedente contributo
apparso sugli Annali dei Musei Civici di Rovereto. Vol. 8 (1992), pp.115134.
129
di Federico II di Svevia (n. 1) rappresenta la moneta veronese,
che all'epoca era sovrana in ogni tipo di rapporto commerciale
nel Triveneto. Numerosi sono i piccoli o denari scodellati di
Verona rinvenuti in zone castellane del Trentino, numericamente
superiori a monete di altre zecche della stessa epoca. Per la
distribuzione sul territorio trentino di queste monete veronesi 93,
proponiamo una tabella (vedi pagina 129) nella quale vengono
indicati i castelli ed il relativo numero di esemplari che vi sono
stati rinvenuti. L'uso delle monete della zecca di Verona a Telve
è infatti documentato in vari atti cartacei dell'epoca 94, ne
riportiamo alcuni passaggi:
- A. 1245 febbraio 1, Telve (<<in Teluo>>). Giovanni <<de
Coltine>> e sua figlia Martinella con suo marito Michele
vendono per 10 lire di denari veronesi, ad Almenico fu
Salomone di Telve l'affitto che percepivano da Obertinello di
Telve di Sopra e da Pecilla di Ronchi (<<de Ronquis>>).
- A. 1280 dicembre 15, Carzano (<<in Carcano>>). <<Millus q.
Rimbaldini>> di Carzano vende, per 4 lire e 8 soldi di denari
veronesi piccoli, a Sanzabriga (<<Cencabriga>>) di Carzano un
prato <<in montanea Fregi>> di Telve.
- A. 1286 marzo 17, <<in Castro de Alto>>. Guglielmo di Telve,
a titolo di livello, da rinnovare ogni 29 anni, investe
<<Adeletam>> vedova di Roberto di Ronchi, ricevente per se ed
i suoi figli Odorico e Bertoldo, un maso a Ronchi <<in hora que
dicitur a salla, ad modum et consuetudinem ronchatorum
Roncegni>>, verso affitto annuo a S. Michele di 2 staia di
frumento, 3 staia <silliginis>>, 3 staia di miglio, 13 soldi di
denari veronesi piccoli, un <<amesserum>>, 12 uova a Pasqua,
2 opere <<ad segandum>>, 2 opere <<a uinea>> e <<unum
fassum liminis>>.
93
Vengono riportati i piccoli veronesi di Federico II di Svevia rinvenuti nelle
fasi di ricerca in aree castellane trentine, e quelli depositati al Museo Civico
di Rovereto, facenti parte della donazione Gremes (inventario d'ingresso n.
1323/89).
94
CASETTI, 1961, pp. 760-767.
130
- 1293 marzo 8, Telve. Cristano <<q. domine Cene de
Ausugo>>, come procuratore di Martino giudice <<de
Migago>>, investe a titolo di livello perpetuo <<donec iste
mundus durabit>> Guglielmo fu donna Maria di Telve e sua
moglie Ravenna e Giovanni loro figlio con la moglie Franca, di
un campo arativo <<in campanea Telui, in hora qui dicitur ad
Pasquarum>>, di un vigneto in <<Voldona>> e di un fitto, verso
4 lire di denari veronesi a S. Michele.
- A. 1300 aprile 27, Rovereto (<<in villa Rouredi>>).
<<Guecele>> fu alberto di Telve annulla la vendita fatta, con
riserva della sua approvazione, dal suo procuratore Francesco fu
Zambonino giudice di Trento, non specificatamente autorizzato,
a ser Contolino <<Hosterio>> di Trento, di due prati nelle
pertinenze di Torcegno (<<Troncegni>>), detti <<pradya>>, di
due campi a Telve, detti <<toluer>>, per 180 lire di denari
veronesi piccoli.
Invece molto raro è il ritrovamento in zone castellane di monete
della zecca di Trento 95. Infatti da Castellalto proviene un solo
piccolo (n. 3) coniato sotto il Principe Vescovo di Trento Nicolò
Alreim da Bruna (1338-1347). La zecca di Trento, con l'elezione
di questo vescovo di origine boema, aveva ripreso la sua attività
coniando tre diversi tipi di moneta: il grosso, il quadrante ed il
piccolo. Le tre monete portavano per la prima volta l'effigie del
vescovo di fronte, il suo nome senza riferimento imperiale e
un'aquila.
Con documento del 1339, Giovanni di Lussemburgo, re di
Boemia, concedeva a Nicolò Alreim da Bruna ed ai suoi
successori nel Principato di Trento, l'aquila di San Venceslao,
95
Dal castello di Salorno (BZ) proviene un <<soldo da 12 denari>> del
vescovo Salomone (1173-1183), mentre due <<quadranti>> del vescovo
Nicolò Alreim da Bruna provengono rispettivamente dal castello di Beseno e
da Castel Corona in Val di Non. Queste tre monete sono conservate presso il
Museo Civico di Rovereto. Un altro <<quadrante>> del vescovo Nicolò
Alreim da Bruna è stato rinvenuto alla Torre dei Sicconi di Caldonazzo, ed è
depositato presso la Biblioteca Comunale di Caldonazzo.
131
contornata da fiammelle e con i colori giallo-azzuro della
Boemia, che ancora oggi formano lo stemma ed i colori della
città di Trento. Il piccolo di Castellalto è in pessimo stato di
conservazione, mancante di una parte di metallo, ma
riconoscibile dall'effigie mitrata del vescovo, e dal rovescio
anepigrafo con aquila; della leggenda mancano la croce,
eventuali simboli (mezzaluna o stelle) e la lettera <<N>>
(Nicolaus), mentre si distinguono le lettere <<EPS>>
(Episcopus) e <<T>> (Tridentinus). Le monete di Nicolò da
Bruna sono molto rare, sia per le novità apportate nel conio, sia
per la brevità del governo del vescovo.
I tre reperti monetali della zecca di Merano (n. 4, n, 5, n. 6)
confermano in certo qual modo la superiorità a quell'epoca dei
Conti del Tirolo, sul Trentino. Le monete di Merano già da
tempo circolavano per tutto il Triveneto, e nel 1306 gli aquilini
ed i tirolini di Merano vennero accettati come moneta buona
dall'autorità di Verona, che ne favorirono anche il corso 96. Sono
stati rinvenuti parecchi reperti monetali della zecca di Merano in
zone castellane trentine, proponiamo delle cartine illustrative
relative alla distribuzione sul territorio del Trentino, solo per i
tre quattrini rinvenuti a Casetellalto 97. Per i quattrini di
Leopoldo III e IV, (vedi pag. 131); per quelli di Federico IV a
pag. 130, in questa tabella vengono riportati i dati relativi a tutti
e due i quattrini di Federico IV, sia quelli con croce ed aquila,
che quelli con scudo + croce ed aquila sul rovescio; per
Sigismondo Conte a pag. 132.
Il quattrino di Federico IV (n. 5) reca sul diritto una croce
accompagnata da quattro rosette, monete simili sono state
ritrovate alla Torre Anonima di Nago-Torbole 98 ed a Castel
Vedro di Civezzano 99.
96
SACCOCCI, 1988, p. 354.
Vengono riportati i quattrini dei conti di Merano, Leopoldo III e IV,
Federico IV e Sigismondo, provenienti dalle ricerche in aree castellane
trentine, e quelli depositati presso il Museo Civico di Rovereto, facente parte
della donazione Gremes.
98
GREMES, 1993, p. 77.
99
PASQUALI, GREMES, 1992, pp. 102-104. La moneta è depositata presso
il Museo Civico di Rovereto, con n. di inventario: I 2768.
97
132
Le altre due monete, il soldino di Venezia del doge Francesco
Dandolo (n. 2) ed il quattrino di Ferrara di Alfonso I d'Este (n.
7), sono legate non solo al commercio ma anche agli eventi che
segnarono, spesso aspramente, la Valsugana, dai quali
Castellalto ne usì quasi sempre indenne. Fu occupato da
Ezzelino III da Romano nel XIII secolo e dagli Scaligeri nel
XIV. Seguì poi l'alleanza dei Castellalto con i Carrara di Padova,
resistette infine agli assalti delle truppe dei veneziani che nel
1400 più volte tentarono di infilarsi nella Valsugana.
133
Figg. 36 – La pagina è tratta integralmente da: Annali dei Musei Civici di
Rovereto, vol. 8, pag. 124, 1992.
134
Figg. 37 – La pagina è tratta integralmente da: Annali dei Musei Civici di
Rovereto, vol. 8, pag. 125, 1992.
135
Figg. 38 – La pagina è tratta integralmente da: Annali dei Musei Civici di
Rovereto, vol. 8, pag. 126, 1992.
136
Conclusioni
Questi reperti monetali, pur non provenienti da scavi
stratigrafici, sono ugualmente importanti per lo studio sulla
circolazione della moneta medioevale nel Trentino, in
particolare il rinvenimento del raro <<piccolo>> del principe
vescovo di Trento Nicolò Alreim da Bruna.
La pubblicazione di questi reperti dà anche la possibilità di
parlare dei ruderi del castello di Castellalto, della sua storia e
dell'importanza che ha avuto per secoli sulla vita quotidiana
degli abitanti di questa zona della Valsugana, nel bene e nel
male. Il brano che segue è tratto da un lavoro del Gorfer 100: <<
Nel 1793, il castello era ancora abitato. Aveva l'aspetto di un
massiccio palazzo turrito. S'ergeva solitario nella radura della
foresta di conifere e presentava i segni di una incombente
decadenza. Si sviluppava su due corpi di fabbrica principali di
tre piani aperti sulle corti interne e dominati dalla torre
cuspidata. Così lo raffigura il pittore Carlo Sartorelli di Telve
(+ 1808) nel quadro a olio dei santi Vito e Modesto, patrimonio
della chiesa parrocchiale di Telve.
Sembra che il castello fosse rimasto in buon stato anche dopo le
guerre napoleoniche. Secondo una tradizione popolare, ultimo
ad abitarvi fu il guardaboschi dei baroni Buffa. Da tempo in
abbandono, per la sua posizione appartata e di difficoltoso
accesso, la rovina sembra essere stata progressiva a seguito
della rimozione dei tetti e di elementi architettonici per essere
reimpiegati nel palazzo di Telve. Da allora il castello servì per
molto tempo da cava di materiali da fabbrica. Nel 1852
Agostino Perini scrive che <<esso conserva ancora le sue
muraglie>>. Nel 1903 Luigi Steinmayer parla di <<solo
ruderi>>. Due anni dopo Francesco Suster aggiunge che era
<<ormai prossimo a totale rovina>>.
I combattimenti che vi si svolsero nel giugno-agosto 1915, i
bombardamenti delle opposte artiglierie, italiane e austriache, e
il conseguente lungo deprecabile abbandono, fece il resto>>.
100
GORFER (op. cit.), p. 228.
137
In questi ultimi anni i ruderi del castello sono stati ripuliti dalla
vegetazione che li copriva. Sul lato ovest, verso la valle di S.
Nicolò, in alcuni tratti, la base delle mura è rialzata di qualche
decina di centimetri rispetto al terreno che presenta segni di
dilavamento e frane per tutto il versante della valle. Sullo stesso
versante del castello sono state tagliate delle piante di abete che
erano cresciute sui ruderi e che si erano incuneate fra le grosse
pietre dei bastioni, scomponendo la loro originale sistemazione.
Queste radici, una volta marcite, non potranno più sostenere le
pesanti pietre che inevitabilmente crolleranno con parte delle
mura verso valle.
E' auspicabile che le autorità competenti unitamente ai
proprietari del castello intervengano urgentemente, se non ad un
vero e proprio restauro, perlomeno ad un'azione conservativa dei
ruderi attuali.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare il Prof. Giovanni Gorini dell'Università di
Padova, Dipartimento di Scienze Antiche, Sez. di Archeologia,
per la lettura critica del dattiloscritto e per le indicazioni fornite
in fase di stesura del presente lavoro.
138
Distribuzione sul territorio Trentino dei piccoli di Verona di
Federico II di Svevia
Località provenienza
N. esemplari
Località provenienza N.
esemplari
______________________________________________________________
1) * Castel S. Hippolito
2) * Castel Tono
2
3) * Castel Sporo Rovina
1
4) * Castel S. Gottardo
5) * Castel Beseno
6) Castel Corno (1)
7) * Castel Drena
1
8) Castel Bosco (2)
1
3
9) * Castel Pergine
11
10) * Torre dei Sicconi (3)
1
11) * Castel Selva
2
3
4
1
12) * Castellalto
1
13) * Castenuovo
1
14) Castel Ivano (4)
3
15)
Castello di Strigno (5)
6
(*) Monete depositate al Museo Civico di Rovereto.
139
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
Gremes & Zanoni, 1989, pp. 123-135.
Gremes, 1989.
Garbari, 1987.
Gremes, 2002.
Moneta rinvenuta nelle adiacenze del castello, notizia inedita.
Distribuzione sul territorio Trentino dei quattrini di Merano di
Federico IV
Località provenienza
N. esemplari
Località provenienza
N.
esemplari
______________________________________________________________
1) * Castel Belasi
1
2) * Castel Corona
3) * Castel Sporo Rovina
4) Castel Corno (1)
5) * Castel Vedro
1
6) Castel Bosco (2)
1
8)
* Castellalto
2
1
1
9) * Castelnuovo
1
10) Castel Ivano (3)
3
11) Torre Anonima di
1
Nago-Torbole (4)
1
12) * Castel S. Barbara
140
1
7) * Castel Pergine
5
(*) Monete depositate al Museo Civico di Rovereto.
(1) Gremes & Zanoni, 1989 (op. cit.).
(2) Gremes, 1989 (op. cit.).
(3) Gremes, 2002 (op. cit.).
(4) Gremes, 1992.
Distribuzione sul territorio Trentino sei quattrini di Merano di
Leopoldo III e Leopoldo IV
Località provenienza
N. esemplari
Località provenienza
N.
esemplari
______________________________________________________________
1) * Castel S. Hippolito
2) * Castel Flavon
1
1
9) * Castel Pergine
4
1
10) * Torre dei Sicconi
141
3) * Castel Belsi
1
4) * Castel Sporo Rovina
5) * Castel S. Gottardo (1)
6) * Castel Monreale
2
7) * Castel Bosco
1
8) Castel Corno (2)
3
11) * Castel Selva
1
2
3
12) * Castellalto
13) Castel Ivano (3)
14 * Castel Drena
1
1
2
15) + Castel S. Barbara
1
(*) Monete depositate al Museo Civico di Rovereto.
(1) Una moneta è stata rinvenuta nelle fasi della ricerca del 1989. (Gremes,
1989).
(2) Grmes, 1991.
(3) Gremes, 2002 (op. cit.).
142
Distribuzione sul territorio Trentino dei quattrini di Merano di
Sigsmondo Conte
Località provenienza
N. esemplari
Località provenienza N. esemplari
______________________________________________________________
1) * Torre delle Visioni
2) Castel Corno (1)
3) Busa dei Preeri (2)
2
4) * Castel Vedro
1
3
2
5) * Castel Pergine
2
6) * Castellalto
1
7)
Castel Roccabruna (3)
1
(*) Monete depositate al Museo Civico di Rovereto.
(1) Gremes, 1991 (op. cit.); Gremes & Zanoni, 1989 (op. cit.).
(2) Gremes, 1992.
(3) Gremes, 1998.
143
Figg. 39 – Tabella cronologica tratta integralmente da: Annali dei Musei
Civici di Rovereto, vol. 8, pag. 133, 1992.
144
LA PICCOLA RACCOLTA DI ROBERTO SPAGOLLA 101
Tullio Pasquali
La piccola raccolta è composta da cinque oggetti metallici che
sono: una rotella con foro passante (Fig. , n. 1); una bolla (Fig. , n.
2); un anello (Fig. , n. 3); un sonaglio (Fig. , n. 4) ed un amo da
pesca (Fig. , n. 5).
Fig. 40 - Castellalto. Raccolta R. Spagolla. Reperti metallici
Pasquali, 2002).
101
(dis. di T.
Stando a Roberto Spagolla, tutti i materiali provengono dalle rovine di
Castellalto. Oggetti che furono consegnati allo scrivente in previsione di una
mostra .
145
Descrizione
La piccola rotella, in piombo fuso, dovrebbe essere il reperto più
"antico" (n. 1). L'oggetto è forse una fusaiola a forma biconica, con
largo foro passante, avente un decoro circolare in bassorilievo
costituito da otto rombi che sulle pareti formano dei doppi triangoli
equilateri. Rotelle simili vengono inquadrate da MARZATICO, in
un momento tardo della preistoria trentina che va dal VI al IV
secolo a. C. 102.
Di notevole interesse è la bolla plumbea, di forma ellissoidale con
piccola sporgenza a linguetta piatta (n. 2). La bolla presenta il dritto
contornato da dentelli e residui di lettere gotiche maiuscole non
perfettamente leggibili. A sinistra, lettera <L> o <E> ; sotto la
linguetta probabili lettere <A> e <I> (Fig. 40, n. 2; Fig. 41).
In centro campo, figura di cavaliere corazzato in sella ad un
destriero rampante verso destra. L'armato sostiene con la mano
destra uno stendardo a coda di rondine, e ha il capo protetto da un
elmo con gronde scendente posteriore. Sul rovescio: "bottone" con
croce greca e probabile <C>. Per alcuni dettagli dell'armatura,
siamo propensi a datare il reperto verso la metà del XV secolo 103.
Altrettanto interessante è l'anello in bronzo da dito, con residui di
doratura (n. 3). L'anello doveva servire come sigillo. Lo si può
arguire per l'ornato in bassorilievo, costituito da un notevole
costone perlinato di forma ovoidale avente nel campo centrale un
edificio merlato, di forma rettangolare, con due torri ai lati (Fig.
42). L'edificio merlato trova analogie architettoniche con dei sigilli
della fine del XIII secolo - inizi del XIV secolo, sui quali è
rappresentata sinteticamente la città di Padova 104.
Il sonaglio in bronzo è perfettamente integro e contiene ancora la
pallina in ferro che faceva da batocchio (n. 4). La semisfera
superiore porta una bella asola nastriforme e quella inferiore è
102
< Tale rotella che proviene da strutture di tipo retico, ascritte da Salzani al
V-IV secolo a. C.; tenendo conto anche delle indicazioni dei contesti più
meridionali e quelle di Magdalenska Gora di V secolo a. C. consentono di
inquadrare i nostri pezzi (trentini) fra il VI-IV secolo a. C. > (MARZATICO,
1997, p. 67, fig. 31 e 32).
103
Il cavaliere non porta in testa l'elmo <<pentolare>> in uso fino ai primi
decenni del XIV secolo, ma un elmo con lungo coppo spiovente che ricorda una
celata, in voga dopo la metà del XV secolo (BLAIR, 1979, pp.121-137).
104
ZAMPIERI, 1986, pp.26-29.
146
aperta da una fessura di forma ellissoidale. Anche per questo
oggetto la datazione è quello della vita del castello 105.
L'amo è privo di cruna, persa in antico; il ferro di sezione circolare,
termina con uncino cuspidato (n. 5). L'amo per la sua grandezza
doveva catturare pesci di una certa mole. La datazione è quella dei
due reperti precedenti 106.
Fig. 41 – Raccolta R. Spagolla.
La bolla plumbea. (Foto R. Carli,
2002)
Fig. 42 – Raccolta R. Spagolla.
L’anello in lega. (Foto R. Carli, 2002)
105
Frammenti di sonagli sono segnalati ad esempio: al Castello di S. Gottardo
(Mezzocorona) (GRAMOLA, PASQUALI, p. 81, fig. 2 n. 131), a Castel Corno
(Isera) (PASQUALI, RAUSS, 1989, p.61, fig. 4, n. 32) ed un sonaglio integro è
esposto nelle vetrine della piccola mostra permanente di Castel Ivano. Nella
storia dell'arte, il pittore fiammingo Pieter Bruegel detto il Vecchio (1525 circa 1569) nel suo famosissimo quadro << DANZA DI CONTADINI >> (datato
1568), ha dipinto un sonaglio identico al nostro, che è appeso con una cordicella,
al braccio sinistro di una bimba (ARPINO, BIANCONI, 1967, Tav. LXI).
106
Un amo molto simile è stato rinvenuto nell'Alto Polesine, in un contesto del
XV-XVI secolo (RIGOBELLO, 1986, p.121, Tav. XIV, n. 10). Nel Trentino,
ami così grandi sono stati recentemente recuperati in Val di Non e datati,
attraverso la ceramica, alla metà del XVII secolo (materiale inedito).
147
Considerazioni
La raccolta, sicuramente regalata da qualche collezionista a
Roberto Spagolla, è quantitativamente molto modesta, ma di
notevole interesse sia dal punto di vista storico che artistico, in
particolare per la bolla e l'anello.
148
PARTE QUARTA
PRESENTAZIONE
I reperti storici recuperati negli scavi del 1991 dall’Associazione
Castelli del Trentino sono sicuramente le uniche testimonianze
riguardanti la millenaria storia del Castello di Ivano; essi ci fanno
scoprire momenti di vita quotidiana reale ma non ricordata nei
grandi avvenimenti storici che in più occasioni hanno coinvolto sia
il Castello di Ivano che tutta la Valsugana Orientale. Gli oggetti
esposti nelle vetrine del piccolo museo riguardano sia le molte
angolazioni del quotidiano, sia i fatti d’arme che spesso facevano
parte della vita di tutti i giorni.
Fra le alte e maestose muraglie delle “Fosse” sembra di sentire
ancora le grida dei combattenti, quando le cuspidi di freccia
fischiavano fra i merli dei camminamenti di ronda, mentre i resti
di ostriche, le porcellane, i vetri decorati fanno immaginare gli
opulenti banchetti degli allegri signorotti. Le numerose monete, le
ceramiche e le molteplici stoviglie documentano che alla tavola dei
signori d’Ivano sedevano personaggi che rappresentarono nel loro
tempo sia la nobiltà mitteleuropea sia quella padana con tutti i
traffici che ne derivavano. Estremamente interessanti sono una
serie di mattonelle da stufa del gotico cortese. Esse dovevano
appartenere a delle stufe monumentali che nelle fredde notti
d’inverno riscaldavano con il loro tepore le dame ed i cavalieri del
castello intenti nei loro giochi di società. Purtroppo la stessa
sopravvivenza di Castel Ivano, inalterato nei secoli, è la causa
principale della scarsità dei ritrovamenti; i restauri e le modifiche
nel tempo hanno fatto sì che le testimonianze di quei momenti
gloriosi vadano perdute.
“ Il visitatore che fra corti ed androni entra nel piccolo museo ai
piedi del mastio antico si fermi un attimo ed ascolti, nel silenzio,
fra le mura possenti ed i vetusti bastioni sentirà il sussurro della
storia.” (BORTONDELLO, 1994).
Questo contributo letterario sul Castello di Ivano è una ulteriore
tappa e segno tangibile della collaborazione che da anni
caratterizza il rapporto tra l’Associazione “Castel Ivano Incontri “
e l’Associazione Castelli del Trentino. Un ringraziamento
personale e particolare a Tullio Pasquali, Cireneo della storia della
nostra terra.
149
Vito Bortondello, Associazione Castel Ivano Incontri
150
CASTELLO DI IVANO
LA RICERCA DI TESTIMONIANZE
MEDIOEVALI
Remo Carli
Vito Bortondello
Alessandro Gremes
Tullio Pasquali
Alfonso Scartezzini
151
Castel Ivano. Mattonella da stufa della fine del XIV secolo. (Foto di Ivana Mosna)
152
153
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
Tullio Pasquali
Dopo le varie rettifiche stradali il Castello di Ivano, sembra quasi
relegato in una zona periferica della Bassa Valsugana.
Fig. 1 – La freccia indica l’ubicazione di Castel Ivano. (C. T. G. Strigno)
154
Il castello è posto sul dosso di Ivano alle pendici del monte Lefre
(Fig. 1), situato sulla sinistra fluviale del Brenta, dove in antico era
a guardia di una viabilità stradale che stava il più possibile lontano
dal fondo valle 107. Ora spazia sul Brenta, sulla ferrovia e sul nero
solco d'asfalto della superstrada che si chiude ad imbuto proprio nei
pressi del quadrivio che porta anche al maniero. L'incredibile
strozzatura stradale fa sì che perfino l'automobilista più distratto
s'accorga della maestosa architettura di Castel Ivano. Per arrivare
all'ingresso del complesso castellano, sia chi proviene dal Veneto
che dalla Valle dell'Adige, deve seguire le indicazioni per Strigno.
Alla periferia del paese si attraversa sulla sinistra un largo ponte sul
torrente Chieppena, per risalire poi un breve tratto stradale per
raggiungere le poche case di Ivano dominate dal castello omonimo.
Castel Ivano è perfettamente integro, di proprietà della famiglia
Staudacher, e sede dell'Associazione <Castel Ivano Incontri>.
Fig. 2
La freccia indica
l’ubicazione di
Castel Ivano.
(Da : Atlas
Tyrolensis)
107
Per la formazione geomorfologica della Valsugana, tutti i centri maggiori
sono ubicati sulla sinistra idrografica del fiume Brenta, così pure i castelli che
tenevano sotto costante controllo la viabilità medioevale chiamata Via Paulina
(Gorfer, 1987, p. 277).
La strada ricalcava il tracciato romano ovvero la Claudia Augusta Altinate che
dal Veneto, passando attraverso la Valsugana orientale, arrivava nel cuore
dell'Europa (Pesavento Mattioli, 1977).
155
SINTESI STORICA
Tullio Pasquali
Il primo documento che menziona un signore di Ivano è del 1187;
in esso risulta che Jacopino de Yvano si trovava a Trento come
testimone. Nel secolo successivo, ben poco si sa dei signori di
Ivano, sembra che l'ultimo rampollo sia stato Theoaldo de Yvano
figlio di Giacomo, canonico di Trento che viene nominato in vari
documenti tra il 1288 e il 1315 108.
Nella prima metà del XIII secolo tutta la Valsugana, sia feltrina che
trentina, per 30 anni (1228-1259) fu amministrata dai ghibellini di
Ezzelino III da Romano, Signore della Marca Trevigiana, vicario
imperiale per l'imperatore Federico II di Svevia, genero
dell'imperatore 109. Dopo la morte di Ezzelino da Romano (1259), il
vescovo conte di Feltre tentava di ripristinare i suoi diritti sulla
Bassa Valsugana, trovando una fiera opposizione nel partito
ghibellino. E per affermare i suoi diritti, credette opportuno
nominare capitano generale Gherardo III da Camino, signore di
Treviso, per il Feltrino, la Bassa Valsugana e il Primiero 110.
Verso il 1296 ai signori di Ivano, subentravano nel feudo i da
Caldonazzo - Castelnuovo 111. Gli storici sono concordi nel
proporre la data del 1314 quale avvio effettivo del potere
giurisdizionale dei da Caldonazzo sulla signoria di Ivano.
Per tutto il XIV secolo la Valsugana inferiore passava da un
Signore all'altro (i da Camino, gli Scaligeri, i Tirolo, i da Carrara, i
duchi d'Austria). A loro volta anche i Castelnuovo di Ivano,
dovettero adeguarsi alle circostanze del momento. Ad esempio, nel
1322 quando la contea di Feltre fu occupata da Can Grande I della
Scala, Signore di Verona, sembra che Biagio I di IvanoCastelnuovo, abbia fatto dipingere l'emblema scaligero sulla
facciata sud del mastio del castel- lo 112. Nel 1360, Francesco da
Carrara, Signore di Padova, prese con la forza il castello,
vanamente difeso da Biagio II di Ivano. I padovani lo tennero fino
108
Per i da Ivano vedere: GORFER, 1987, pp. 279-281.
Per Ezzelino da Romano vedere: BRIDA. 1995, p. 25; GORFER, (op. cit.), p.
282.
110
Per Gherardo da Camino vedere: GORFER, (op. cit. ), p. 283.
111
GORFER, (op. cit.), pp. 281-282.
112
GORFER, (op. cit.) p. 284.
109
156
al 1373 ed in questo lasso di tempo fu dipinto sul mastio lo stemma
delle ruote rosse dei Carrara, tuttora presente 113.
I duchi d'Austria nel 1375 reintegrarono i Castelnuovo Caldonazzo nel Castello di Ivano.
Ai primi del XV secolo, sembra che i feudatari della Valsugana
feltrina (i Castelnuovo - Caldonazzo) accettassero una tacita
sudditanza veneziana. Questo spinse nel 1412 il duca Federico IV
d'Austria conte del Tirolo detto <<Tasca Vuota>> ad occupare
militarmente tutta la Valsugana. Anche il Castello di Ivano, difeso
da Siccone III, dopo una breve resistenza si arrese alle truppe
ducali 114. L'anno successivo il vescovo di Feltre, che era sia pure
solo nominalmente Signore della contea ecclesiastica di Feltre con
documento del 2 agosto 1413 dichiarava decaduti tutti i precedenti
diritti che le famiglie dei da Caldonazzo - Castelnuovo avevano sui
castelli della Valsugana inferiore e li trasferiva nella persona del
Duca Federico, conferendogli pieno diritto di giurisdizione. In
questo modo i da Ivano - Caldonazzo - Castelnuovo furono per
sempre spogliati dei loro beni 115.
Con il documento del 1413 la Valsugana feltrina, con il Tesino e
Primiero, entrava a far parte integrante della sfera egemonica di
Casa d'Austria. Nei castelli di Caldonazzo, Telvana e Ivano furono
insediati capitani del duca Federico. A Castel Ivano si susseguirono
un certo numero di capitani tirolesi fino al 1452 quando, Giacomo
Trapp, otteneva dal duca Federico il feudo pignoratizio di Ivano 116.
All'inizio del 1487, scoppiava la guerra tra Sigismondo il
Danaroso, arciduca d'Austria, conte del Tirolo e la Repubblica di
Venezia. Anche la Bassa Valsugana fu immediatamente coinvolta
dai Veneziani nella guerra. Il Castello di Ivano dopo una strenua
difesa da parte di Roberto Stamer, capitano di Barbara Trapp,
vedova di Giacomo, cedeva le armi all'esercito veneziano (7
113
ALMINI, 1988, p. 57.
Siccone III di Ivano, dopo la perdita del castello, si ritirò nella Torre Franca di
Mattarello, che aveva portato in dote la moglie Andrighetta di CastelbarcoGresta (BRIDA, p, 221, nota 119).
115
Il vescovo di Feltre Enrico de Scarampis, era arrivato appositamente a Merano
per sottoscrivere il documento (AUSSERER, 1916, p. 272; BRIDA, 1995, p.75;
BRIDA, 2000, p. 221 ).
116
Successivamente Giacomo Trapp comperava anche i castelli di Telvana e S.
Pietro (1456), di Caldonazzo (1461), di Beseno e Pietra (1470); moriva nel 1475.
114
157
agosto) 117. La guerra si concludeva lo stesso anno. La Serenissima
rimase nel castello di Ivano e nella sua giurisdizione per circa 4
anni, lasciando definitivamente i possedimenti presi con la guerra,
solo nel marzo 1491 118.
Successivamente, nel 1496, l'imperatore Massimiliano I, concedeva
il Castello di Ivano a Michele Wolkenstein-Rodeneck quale feudo
pignoratizio. Il castello fu restaurato, fortificato e affidato a
capitani tedeschi che amministravano l'importante feudo ai confini
con la Repubblica di Venezia 119. Nei primi decenni del XVI secolo
tutta la Valsugana veniva coinvolta nella <guerra rustica> (1525).
Nel corso della guerra, uno dei fatti più gravi, fu l'uccisione di
Giorgio Pucler o Pucher capitano di Castel Ivano. Il suo cadavere
fu appeso nella piazza di Strigno e il castello preso e saccheggiato
120
. La guerra rustica che aveva coinvolto gran parte del Trentino fu
soppressa con determinazione e poi tutto ritornò come prima. Circa
50 anni dopo (1574) la gente del feudo si recava tumultuosa nel
Castello di Ivano per protestare presso il capitano per le scarse
misure adottate contro la peste che dilagava nel Trentino e nel
Veneto.
Nel 1632 il castello veniva riscattato dall'arciduchessa Claudia de
Medici, vedova dell'arciduca Leopoldo V del Tirolo che lo affidò
prima a Giorgio Battista Aberti e poi a Marco Sigismondo
Francesco, barone di Welsperg. Quest’ultimo fu riconfermato nel
1649 da Ferdinando Carlo, figlio di Claudia de Medici, succeduto
nel 1646 al trono Asburgo-Tirolo alla morte della madre. Il
Welsperg era, inoltre, consigliere segreto dell'arciduca, capitano
generale dell'intera Valsugana feltrina e Primiero che erano feudi
117
Per il Castello di Ivano assediato e occupato dai Veneziani vedere: GORFER,
1987 (op. cit.), pp. 288-291; ALMINI, (op. cit.) pp.59-60.
118
Arbitro nella contesa tra Venezia e la Casa d'Austria, per il definitivo possesso
di Castel Ivano, fu la Santa Sede. Con bolla apostolica del 1491 febbraio 20,
marzo 9 i castelli di Ivano e Nomi vengono assegnati all'imperatore
Massimiliano I d'Austria, Principe del Tirolo. L'imperatore non riconsegnava il
Castello di Ivano ai Trapp. Sostituendoli con Leopoldo di Trautmansdorf in
qualità di capitano di Ivano (ONESTINGHEL, 1905-1906, p. 212, pp.240-243).
119
La giurisdizione di Ivano comprendeva i paesi di Ivano, Fracena, Villa di
Agnedo, Ospedaletto, Grigno, Strigno, Scurelle, Samone, Bieno e il Tesino
(ALMINI, (op. cit.), p.60).
120
Sull'uccisione di Pucler vedere: AUSSERER (op. cit.), p. 326 e nota 10;
GORFER (op. cit.) p. 293 e nota 49; ALMINI (op. cit.), pp. 60-62.
158
direttamente dipendenti dall'Impero (Fig. 2) 121.
Nel 1678
l'imperatore Leopoldo I concedeva a Gaudenzio Fortunato di
Wolkenstein-Trostburg, sempre in feudo pignoratizio, il Castello di
Ivano. I suoi eredi nel 1750 ricevettero dall'imperatrice Maria
Teresa il Castello di Ivano come feudo perpetuo di famiglia. Alla
fine del XVIII secolo sull'Europa soffiava il vento della
Rivoluzione Francese. Nel settembre 1796 i Francesi invadevano il
Trentino e dal 1797 al 1803 il Castello di Ivano veniva aggregato al
Circolo di Rovereto, poi a quello di Trento, conservando il potere
giudiziario fino al 1829, dopo di ché la sede fu portata a Strigno 122.
< Da quel momento
muta
l'importanza
storica del Castello di
Ivano, per tanti secoli
notevolmente presente
nelle vicende della
Valsugana, anche per
le
funzioni
giurisdizionali,
(…)
diventando
una
abitazione privata >
(Almini, 1988, p. 71).
Dopo quasi un secolo
di pace, con il conflitto
tra l'Impero Austro Ungarico e il Regno
d'Italia (1915-1918) il
Castello
di
Ivano
Fig. 3 - Veduta di Castel Ivano nel 1650.
subiva
notevoli
danni.
(Da : Codice Enipontano III.)
A guerra finita, Franz
Staudacher
veniva
chiamato dai conti
121
GORFER (op. cit.), p. 294.
Nel 1804 il Tesino ottenne un Giudizio proprio con sede a Castello Tesino. I
Bavaresi unirono la giudicata di Ivano e Tesino a quella distrettuale di Levico.
Con l'abolizione del decretata dal Governo Italico delle giurisdizioni feudali,
Ivano e Tesino furono unite alla <<Giudicata di pace>> di Borgo. La
restaurazione austriaca ridiede ai Wolkenstein la giudicatura patrimoniale, che
nel luglio 1829 fu trasferita a Strigno, avendo i Wolkenstein stessi rinunciata al
Governo (GORFER, (op. cit.) p. 298).
122
159
Wolkenstein per la
conduzione
del
castello.
Ancora nel 1921 il castello appariva con numerosi fori di granate,
con i tetti di scandole in più punti crollati il che fece decidere i
conti Wolkenstein di vendere la proprietà a Franz Staudacher il
quale iniziò un attento restauro.
Successivi danni furono arrecati durante la seconda guerra
mondiale dai bombardamenti aerei alleati alla ferrovia della
Valsugana. Nel 1983 un radicale restauro voluto da Vittorio
Staudacher fa diventare il Castello di Ivano uno dei più interessanti
complessi castellani del Trentino.
160
LE MOTIVAZIONI DELLA RICERCA
Vito Bortondello, Remo Carli. Alessandro Gremes, Tullio Pasquali
& Alfonso Scartezzini
Nel luglio del 1988 la neo costituita < Associazione Castelli del
Trentino > 123 portò a Castello di Ivano 124, i materiali rinvenuti tra
le rovine del Castello di S. Gottardo 125, in occasione della Mostra
d'Arte Estiva < Castel Ivano Incontri >
I reperti di S. Gottardo ebbero un notevole successo non solo di
pubblico, ma anche da parte degli studiosi del settore 126:
affermazione dovuta per la diversità e quantità degli oggetti esposti
e per i pannelli esplicativi, legati ai materiali più significativi.
Ancora in fase espositiva (luglio 1988), il professor Vittorio
Staudacher, proprietario del Castello di Ivano, chiedeva al direttivo
quali fossero le reali possibilità di rinvenimento, all'interno del
castello, di oggetti medioevali per poter allestire una mostra
permanente. Sulla base dei trascorsi storici del maniero si rispose
che, con tutta probabilità doveva essere presente del materiale
medioevale, ma che solo attraverso delle attente indagini si
123
Dopo le ricerche sulla Torre dei Sicconi (1986-1987) e quella al Castello di S.
Gottardo (1987-1988), il "gruppo di lavoro", si costituì il 2 luglio 1988 in <
Associazione Castelli del Trentino >.
124
A Castel Ivano è stato possibile presentare i materiali di S. Gottardo solo
grazie all'interessamento di uno degli scriventi (V. B.). La manifestazione del
1988 (dal 24 luglio al 4 settembre), consisteva in tre temi assai diverse fra loro,
con i seguenti titoli: Antinomie: le forme e lo spazio - Pittori dell'Ottocento
Trentino - Castel San Gottardo: Reperti. (Staudacher, Bortondello, 1994, pp. 4655).
125
Il Castello di S. Gottardo è situato in un notevole aggetto roccioso alla
periferia di Mezzocorona Le ricerche servirono per allestire una mostra tenuta
nel 1988 (aprile-maggio) in occasione del 950° anniversario della morte di San
Gottardo patrono di Mezzocorona. Le manifestazioni furono coordinate da
Leone Melchiori e organizzate dal Circolo Fotoamatori Rotaliano, con il
patrocinio del Consiglio Comunale di Mezzocorona. La mostra, dopo il Castello
di Ivano fu allestita a Coredo (Val di Non) nell'edificio medioevale di Casa
Marta (dal 10 settembre al 2 ottobre 1988).
Nel 1989 uscirono due monografie sul Castello di S. Gottardo dai seguenti titoli:
< Il Castello e l'Eremitaggio di S. Gottardo a Mezzocorona > e < Il Castello di S.
Gottardo a Mezzocorona. Ricerche >.
126
Tutto il materiale rinvenuto al Castello di S. Gottardo è depositato all'Ufficio
Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento.
161
potevano quantificare le varie presenze; inoltre si aggiungeva che
eventuali ricerche dovevano essere autorizzate dagli enti preposti.
Dopo vari incontri informali, prolungatisi per oltre due anni, si
concordava con il prof. Staudacher di effettuare delle ricerche
conoscitive nella primavera del 1991 127.
Le ricerche
L'Associazione Castelli del Trentino, essendo formata
esclusivamente da volontari ha operato solo nei giorni festivi.
Nel 1991 si fecero 18 giornate di ricerca, così suddivise: aprile, 3
giorni; maggio, 6 giorni; giugno, 2 giorni; settembre, 4 giorni;
ottobre, 1 giorno; novembre 2 giorni. Nel 1993 si fecero solo 3
interventi, effettuati nel mese di febbraio 128.
L'attività di indagine è stata suddivisa in più settori, in conseguenza
della morfologia del terreno (scarpate, strade, orti, parco) e delle
strutture architettoniche (androne, bastione, mastio, stalle, cascine).
Il lavoro di ricerca è stato svolto, soprattutto all'esterno del castello,
su una vastissima area, in gran parte con terreni assai accidentati.
Le prospezioni si sono svolte con il metodo elettromagnetico, che
permette l'individuazione immediata di residui metallici sepolti nel
sottosuolo.
Naturalmente siamo consci di aver indagato solo il 60% circa di
tutte le zone potenziali e che rimangono al presente da investigare i
cortili interni lastricati e le molte aiuole di contorno.
I settori
127
Il prof. Vittorio Staudacher, con lettera del 21 dicembre 1990 comunicava
all'Ufficio Beni Archeologici, che aveva l'intenzione di eseguire l'anno
successivo delle prospezioni aventi l'intento di individuare eventuali
documentazioni medioevali con l'aiuto della nostra Associazione (lettera
pervenuta all'Ufficio Archeologico il 15 gennaio 1991, prot. n° 201). La risposto
dell'Ufficio Beni Archeologici è in data 13 giugno 1991, prot. 201/91 C. 23. In
essa si consentiva di effettuare delle ricerche di superficie.
128
Sono intervenuti: Remo Carli, Walter Casagranda, Vito Bortondello, Stefano
Ferrari, Marco Gramola, Alessandro Gremes, Ivana Mosna, Lucia Paoli, Tullio
Pasquali, Claudio Pisetta, Alfonso Scartezzini e altre persone del luogo.
162
Settore 1 (1991): è la parte più settentrionale del recinto interno del
castello situato alla base della scarpata tenuta a giardino del
<Palazzo di là> (versante nord-ovest).
Materiali: ceramiche del XIX e XX secolo, frammenti di mattonelle
da stufa del XVI e XVII secolo, associato a residui bellici (19151918).
Osservazioni: probabile discarica del 1° conflitto mondiale.
Settore 2 (1991): zona A. E' la scarpata tenuta a giardino del
<Palazzo di là> (versante nord-est).
Zona B. è l'androne detto anche <fossato> che corre parallelo al
<Palazzo di là> e la cinta bastionata (versante est).
Materiali: zona A, altamente inquinato da materiale moderno e del
1° conflitto mondiale.
Zona B, materiale ceramico della metà del XVI secolo.
Osservazioni: zona B, probabile discarica di una cucina del XV –
XVI Sec. che doveva essere situata nel <Palazzo di là>.
Settore 3 (1991): zone A, B, C. E' la lunga scarpata esterna del
castello ricoperta da conifere che parte dall'attuale accesso e segue
la strada per Fracena (versante nord-est e est).
Materiali: recentissimi e del 1° conflitto mondiale. Alcune cuspidi
di freccia e monete del XV e XVI secolo.
Osservazioni: nel Medioevo la scarpata verso Ivano era il punto più
debole nel sistema difensivo del castello tenuto a difesa dalla cinta
bastionata.
Settore 3 (1991): zone D, E. E' il proseguimento della scarpata
precedente che diventa impervia, ricoperta da conifere, e delimitata
a valle dalla strada sterrata che raggiungeva i capannoni zootecnici
ora abbattuti (versante sud-est).
Materiali: recentissimi e del 1° conflitto mondiale. Ceramica del
tipo <pettinata>, ferri medioevali, alcune monete del XII e XV
secolo e residui di ceramiche grezze non classificabili.
Osservazioni: probabile discarica medioevale.
Settore 3 (1991): zone F, G. Si trovano a valle delle Zone D,
separate dalla strada sterrata che andava alle stalle (versante sudest).
163
Materiali: solo recente.
Osservazioni: discarica moderna.
Settore 4 (1991): zone A, B. Consiste in limitati pianori posti
all'esterno delle mura del castello , tenuti in parte ad orto (versante
sud).
Materiali: recenti molto abbondanti, medioevali assai scarsi .
Osservazioni: discarica fine XX secolo o del 1° conflitto mondiale.
Con il recupero di porcellane cinesi e maioliche del XVIII secolo.
Settore 4 (1991): zona C. Si tratta della ripidissima scarpata
rocciosa che parte dal terreno piano (Settore 4: Zona A, B) per
esaurirsi nel taglio della strada sterrata che raggiungeva gli stalloni
(versante sud).
Materiali: le presenze di materiali sia moderni che medioevali sono
insignificanti, associate a un notevole quantitativo di schegge di
bomba.
Osservazioni: la scarsità di materiali medioevali è giustificabile dal
terreno impervio e per tanto inaccessibile al sistema difensivo
(antemurale del XV secolo).
Settore 5 (1991): zona A. E' la scarpata esterna del parco del
castello tenuta a conifere (versante nord).
Materiali: la ferraglia del 1° conflitto mondiale è notevole, labili
sono le tracce medioevali, vi sono anche pochi residui di ceramica
grezza tipologicamente indefinita.
Osservazioni: siamo completamente all'esterno del castello.
Settore 5 (1991): zona B. E' il prosieguo della scarpata esterna del
parco del castello, tenuta a bosco (versante ovest).
Materiali: abbondanti del 1° conflitto mondiale, scarsi quelli
medioevali e ceramiche grezze indefinite.
Osservazioni: come sopra.
Settore 6 (1991): zona A, B. E' il prosieguo della scarpata esterna
del parco del castello ricoperta da fitto bosco (versante ovest).
Materiali: testimonianze dei capannoni zootecnici (stalle e porcili).
Osservazioni: la mancanza di materiali medioevali è giustificato
dalla distanza con la cortina murata del castello.
164
Cisterna (1991): grande cisterna della <corte interna> del castello.
Materiali: solo qualche frammento della fine del XVIII secolo.
Osservazioni: la mancanza di materiale sia rinascimentale che
moderno è spiegabile in questo modo: quando la cisterna perse la
sua funzione di serbatoio idrico, fu aperta una breccia per entrare
orizzontalmente, con accesso dal <cortile>. Eseguito il corridoio, la
cisterna fu riempita di terreno per poco più di 1 metro di altezza,
lavoro eseguito in brevissimo tempo, per poi ricavarne un
magazzino agricolo.
Settore 7 (1993): zone A, B. Sono una serie di ripide scarpate che
cadono verso Agnedo tenute a fitto bosco (versante sud e sud
ovest)
Materiali: ferraglia del 1° conflitto mondiale e ceramica molto
consunto del tipo grezzo.
Osservazioni: la mancanza di presenze medioevali è imputabile alla
notevole distanza con il castello.
Settore 7 (1993): zona C. Sono i resti di un muro legato a calce
posto poco più a valle della spianata, dove sorgeva il capannone
zootecnico (versante sud- ovest).
Materiali: moderno, del 1°conflitto mondiale e ceramica del tipo
<pettinata>.
Osservazioni: potrebbe trattarsi dei resti di una torretta medioevale,
dove nel 1° conflitto mondiale è stata ricavata una postazione,
successivamente livellata dalla discarica della stalla.
Settore 8 (1993): zone A, B. E' il tratto di parco che va dalla piscina
alla fontana d'Europa.
Materiali: moderno e del 1° conflitto mondiale.
Osservazioni: dopo il 1° conflitto mondiale tutto il settore indagato
è stato trasformato in terreno agricolo. Sembra che in fase di
dissodamento siano venuti alla luce molti resti di scheletri umani.
Settore 9 (1993): zona A. Sono le macerie di un piccolo edificio
situato a valle del Settore 7: zona B (versante sud).
Materiali: residui di intonaco.
Osservazioni: probabile cascina moderna d'uso agricolo.
165
166
OSSERVAZIONI SUI MATERIALI 129
Tullio Pasquali
I ferri medioevali
Le cuspidi di freccia recuperate vengono datate dal XIV al XVI
secolo (Fig. 3; nn. 1-12). La gran parte di esse, per la loro forma
massiccia, sono delle verrette, scagliate con la balestre ad arco
composito o d'acciaio.
Con tutta probabilità, una cuspide particolarmente grande, doveva
armare una picca. La datazione del ferro va dal XIV al XV secolo
(Fig. 4, n. 13).
129
La descrizione dei materiali è estremamente sintetica e non vuole essere un
preciso catalogo dei reperti recuperati ed esposti nelle vetrine del castello.
167
Fig. 4 - Castel Ivano - Reperti metallici (dis. di T. Pasquali).
Altri manufatti sono
alcuni
elementi
laminari
per
corazzatura (Fig. 4; n.
17) 130, che venivano
applicati a scaglie
sovrapposte
su
giacconi.
Queste
corazzature
furono
particolarmente diffuse
nel XIV secolo. Molti
sono anche i ferri di
varie forme ed uso, che
possiamo
definire
soltanto
medioevali,
come i chiodi fatti a
mano o le lesine (Fig.
4; n 14).
Non
mancano
i
frammenti di coltello,
fra tutti né illustriamo
solo due. Uno per la
sua fattura arcaica lo
datiamo tra il XII e il
XIV secolo (Fig. 4, n.
15),
l'altro,
più
"moderno", tra il XV e
il XVII secolo (Fig. 4,
n. 16) 131.
Fig. 5 - Castel Ivano - Reperti metallici (dis. di T.
Pasquali).
130
Elementi di corazzatura, identici a quelli di Ivano, sono stati recuperati in
molti castelli del Trentino, come ad esempio nel Castel S. Gottardo
(GRAMOLA, PASQUALI, 1989, p. 79, fig. 3) (PASQUALI, 1989, p.139).
131
Coltelli simili sono stati rinvenuti anche al Castello di S. Gottardo
(GRAMOLA. PASQUALI (op. cit.), p. 81, fig. 3).
168
Nei rinvenimenti basso medioevali sono abbastanza rari una staffa
(Fig. 5, n. 1) 132 ed uno sprone (Fig. 5, n. 2) 133, oggetti che
consideriamo coevi alle cuspidi di freccia.
Le ceramiche e i vetri medioevali
Per quanto riguarda i frammenti di ceramica, il recupero più
consistente è stato effettuato nell'androne (detto fossato), posto tra
le mura bastionate della fine del XV secolo e il complesso
architettonico medioevale del <Palazzo di là> (Settore 2: Zona B)
134
.
Per l'alta concentrazione di resti di pasto (ossa di animali e
ostriche) è molto probabile che nel <Palazzo di là>, tra il XV e il
XVI secolo, fosse attiva una cucina che scaricava i rifiuti e le
stoviglie rotte nel sottostante fossato.
I frammenti ceramici sono notevolmente abbondanti. La gran parte
dei cocci è riferibile a recipienti globulari con orlo estroflesso usati
in cucina, del tipo <Passauer> (Fig. 6; nn. 1-4) 135.
132
La staffa è leggermente scatolare, di forma trapezoidale, forgiata in unico
ferro. Il predellino, è ornato di festone rifinito a lima. Il largo traverso superiore,
porta lo stesso decoro e, sui due lati, ha un foro passante, per l'aggancio dello
staffile di sostegno pendente dalla sella. Le branche, essendo disuguali, ne fanno
una staffa per il piede sinistro. Alle nostre conoscenze sembra che la staffa di
Castello di Ivano, sia l'unico reperto di questo genere rinvenuto nel Trentino, il
ferro è già stato pubblicato nel 1996 (SEBESTA, 1996, p. 70 fig. 46).
133
Lo sprone è molto deformato: branche divelte a sezione semiovale, spezzate
alle due estremità, mancano i due occhi per l'attacco dei cinturini. Collo
rettangolare, tozzo e corto, con forchetta spaccata e priva di spronella. Sproni
molto simili, rinvenuti fuori provincia, vengono datati tra il XIV e il XV secolo
(SOGLIANI, 1995, p. 112, nn. 213-214).
134
Il prof. Staudacher nel giugno 1991 fece fare nel Settore 2: Zona B dei
profondi scassi alla ricerca di tubature rotte che compromettevano seriamente il
rifornimento idrico del castello. La trincea profonda mediamente 1 metro, aveva
per circa 50 cm. un terreno grigio con pochi resti di cultura materiale moderna,
da 50 a 70 cm il tubo dell'acqua, dai 70 ai 100 cm un terreno nero molto grasso
con ossa di animali e ostriche, associato a frammenti ceramici del tipo
<<Passauer>>, mattonelle da stufa del tipo gotico e ceramiche ingobbiate
graffite e dipinte sotto vetrina.
135
Per la ceramica del tipo <Passauer> vedere Castellalto.
169
Fig. 6 - Castel Ivano - Reperti ceramici del tipo <<Passauer>> riprodotti in scale diverse
(foto di I. Mosna).
Non scarseggiano le ceramiche di provenienza veneta, del tipo
ingobbiata graffito dipinto sotto vetrina, usate sulla tavola del
capitano di Castel Ivano (fig. 7; nn. 1-6) 136.
Sempre alla mensa del capitano non mancavano i bicchieri di vetro,
che avevano forme assai diverse fra di loro. I frammenti più
abbondanti sono quelli dei <Krautstrunk>, in voga nel mondo
Mitteleuropeo tra il XV e il XVI secolo, riconoscibili dai frantumi a
gocce applicate sulla superficie esterna (Fig. 8, nn. 1-2) 137; i calici,
136
Le ceramiche ingobbiate graffite dipinte sotto vetrina di Castel Ivano, hanno
tutte come colori il giallo ferraccia e il verde ramina.
Estremamente interessante è il frammento di scodella la cui decorazione
comprende una cornice a soggetto floreale corrente sulla tesa. Nel cavo, al centro
sopravvive parte di un cerbiatto accosciato, la cui testa è rivolta a destra su fondo
rotellato con rosetta (n. 1).
Va ricordato che il tema del cerbiatto, è caro alla simbologia amorosa
rinascimentale, come quello della coniglia gravida, del levriero, dell'unicorno e,
molte altre allegorie, che costituirono il repertorio più consueto per i vasellami
bene augurali donati per le nozze detti "gameli". Attraverso precisi confronti il
reperto di Ivano viene datato verso la fine del XV secolo (ERICANI, 1986, p.
165, nn. 113, 114; ERICANI, MARINI, 1990, p. 80 (in alto); MAGNANI,
MUNARINI, 1998, p.128, n. 119).
137
La forma "classica" dei <Krautstrunk> ricorda una botticella con delle grosse
gocce colate a caldo sulle pareti e poi rifinite a pinza. Bocca svasata con filo
colato attorno al collo, piede anulare dentellato con fondo cavo. Il colore del
vetro è quasi sempre nelle varie tonalità del verde. Tra i molti rinvenimenti
ricordiamo i seguenti castelli trentini: il Castello di S. Gottardo (PASQUALI,
1989, pp. 39-40; il Castel Corno (PASQUALI, RAUSS, 1991, p. 93); il Castel
Roccabruna (PASQUALI, SCARTEZZINI, 1998, p. 167, fig. 61-63), il
Castellalto (inedito), il Castel Drena ( vetrina N. 12) e il Castel Pènede di Nago
170
sono presenti attraverso alcuni steli a <balaustro> databili dal XVI
al XVII secolo (Fig. 8, n. 3) 138, i bicchieri apodi di forma
troncoconica, sono presenti attraverso dei frammenti di parete a
decoro geometrico vegetale, eseguite<a smeriglio>, con bulino
molto largo, databili dal XVI al XVII secolo (Fig. 8, n. 4).
(materiale inedito).
138
A Castello di Ivano come in altri contesti castellani la presenza di calici è
testimoniata soprattutto dagli steli, essendo la parte vetrosa più resistente all'urto.
Gli steli possono essere di varia forma, liscio o soffiato a stampo. I piedi possono
essere di forma tronco conica, oppure pieno ad andamento diritto o svasato. Le
coppe possono essere sia coniche che a semisfera, con corpo più o meno
espanso. Tra i molti frammenti di calici vogliamo ricordare quelli provenienti dal
Castello di S. Gottardo (PASQUALI, 1989 (op. cit.) p. 49, fig. 3) e quelli del
Castel Pènede (materiale inedito).
171
Fig. 7 - Castel Ivano - Reperti in ceramica graffita riprodotti in scale diverse
(foto di I. Mosna).
172
Le bottiglie di vetro sono documentate da molti frammenti, fra tutti,
evidenziamo solo il fondo panciuto a cono rientrante di una
bottiglia detta <angastara> 139, la quale era di notevole pregio per il
decoro di sottili righe ritorte in vetro lattimo "a filagrana", ottenute
con soffiatura a stampo. Il reperto è databile tra il XV e il XVI
secolo. (Fig. 8, n. 5).
139
A Venezia già nel 1279, bottiglie di questa forma, erano chiamate
<<ingrestare>>, poi <angesterae>, <engestariae>, <angastare>.
Il nome deriva dal greco <angos> o <angheion> = vaso, e <gastra>, forma
parallela di <gastèr> = a pancia, cioè vasi panciuti (GASPARETTO, 1986, p.
103).
Nel XIV secolo, Giovanni da Parma canonico di Trento, nella sua cronaca
menziona più volte una contenitore per il vino chiamato < ingestara> riferendosi
evidente alla bottiglia del tipo <angastara> (FOLGHERAITER, 1996, pp. 6061).
Per circa cent'anni (1460-1555) nelle Ultime Cene, moltissime bottiglie del
tipo<angastara> furono dipinte dai Baschenis (PASQUALI, 2001, pp. 12-20).
173
Fig. 8 - Castel Ivano - Reperti in vetro riprodotti in scale diverse (foto di I. Mosna).
Benché poco appariscenti, sono altrettanto interessanti i pezzettini
di vetro circolare e le piastrine triangolari di raccordo, che
documentano la presenza nel castello di finestre a vetrate piombate
sotto forma di dischi sovrapposti (Fig. 8; nn. 6-9).
Associati ai materiali fin qui illustrati, vi sono molti frammenti di
mattonelle da stufa, in ceramica invetriata. Le mattonelle più
interessanti hanno una forma rettangolare a <cassetta> con decori
in bassorilievo di tipo gotico cortese, che attraverso precisi
confronti vengono datate, dalla fine del XIV secolo alla metà del
secolo successivo 140.
Le ceramiche "moderne"
Da altri settori del castello provengono frammenti ceramici che
vanno dal XVII secolo a tutto il XX secolo (di notevole gusto
popolare, per i colori violenti, è la ceramica del tipo
<<Rivarotta>>). I soggetti possono essere floreali, antropomorfi o
zoomorfi; le forme dei recipienti sono in prevalenza delle grandi
scodelle a piede anulare, la loro datazione va dalla fine del XVIII
secolo alla metà del XIX secolo (Fig. 9; nn. 1-6) 141. Sono pure
presenti dei frammenti di maiolica datati al XVIII secolo,
riguardanti dei recipienti assai raffinati, del tipo <<alla Berain>> e
140
Le mattonelle più significative vengono tratta in un capitolo a parte.
La ceramica del tipo <Rivarotta> prende il nome da una fornace in località
Rivarotta, situata nei pressi di Bassano del Grappa e attiva fino nel XIX secolo.
La produzione testimonia un vasellame "povero" in cristallina, vale a dire
ingobbiato dipinto sotto vetrina. Le forme vascolari sono scodelle di varia
grandezza, più raramente piatti e boccali. Ceramiche d'uso quotidiano destinate
soprattutto alle classi meno abbienti e caratterizzate da ornati seriali dai colori
assai vivaci, i soggetti sono: frutti, uccelletti, sintetici crisantemi, rari paesaggi,
melagrane, elementi dinamici quali girandole, frulloni, spirali (MARINI, 1990,
pp.355-360).
Ceramiche molto simili a quelle di Castel Ivano sono state recentemente
recuperate nei pressi della chiesetta di S. Antonio Abate in località Terabi
(Viarago (Pergine)) (materiale inedito).
141
174
del tipo <<Roven>>, e alcuni cocci di porcellana originari
sicuramente dall'Estremo Oriente 142.
142
Le presenze di maioliche del XVIII secolo e di porcellane esotiche non sono
altro che le testimonianze dei sontuosi arredi che aveva il Castello di Ivano alla
fine del XIX secolo al tempo del conte Antonio Wolkenstein (GORFER, 1987,
pp. 300-301 e nota 64).
Vasellame che andò in pezzi nel 1915, quando il castello subì il primo
bombardamento austro-ungarico.
175
Fig. 9 - Castel Ivano - Reperti ceramici del tipo <<Rivarotta>> riprodotti in scale
diverse (foto di I. Mosna).
Le presenze del 1° conflitto mondiale
Le presenze belliche del 1° conflitto mondiale sono ovunque, sotto
forma di migliaia di schegge di bomba (forse anche della 2° guerra
mondiale), di pallettoni di piombo, di spezzoni di reticolato, di
caricatori vuoti, di cartucce, di bossoli e di qualche gavetta
sformata.
LE MATTONELLE DA STUFA RESTAURATE 143
Tullio Pasquali
La prima mattonella illustrata è di forma rettangolare a cassetta e
ne manca circa metà 144. Il decoro a bassorilievo raffigura, posti
frontalmente, un cavaliere e una dama. L'uomo è privo del capo, la
donna è mutile fino al busto. Le vesti sono notevolmente
drappeggiate, lui indossa un falsetto dalle larghe maniche, ai
fianchi cinturone, le gambe sono coperte da calzebrache, i piedi
calzano scarpe del tipo <poulain> (alla polacca). Lei porta un abito
fermato in vita da un nastro che scende per allargarsi in un'ampia e
gonfia gonna ( Fig. 10, nn. 1 e 1/A).
Benché le due figure non siano complete, il modellato è di squisita
fattura riferibile al gotico internazionale.
Il reperto n. 2 è l'unica mattonella a cassetta completamente
integrata ( Fig. 10, nn, 2 e 2/A) 145. Come nella precedente, l'ornato
è in bassorilievo: sotto una galleria ad archetti cuspidati a "gigli di
143
Nei vari settori del castello, sono stati recuperati circa 80 frammenti di
formelle. Il colore predominante è il verde scuro nelle varie tonalità, sempre
ricoperto da spessa vetrina incolore, pochissime sono invece le mattonelle di
colore giallo. I decori in gran parte in bassorilievo si possono suddividere in 8
temi base: 1 - Scene del gotico cortese; 2 - Floreale del gotico cortese; 3 Imitazione di broccati; 4 - Geometrico. 5 - Semisfere; 6 - Scalda pugno; 7 Araldico; 8 - Cornucopie e festoni di vario genere (cornici).
144
Gli otto reperti illustrati provengono dal Settore 2: Zona B; i reperti sono stati
restaurati da Guido Omezzoli.
145
La mattonella è già stata pubblicata (PASQUALI, 2002, pp. 115, 116).
176
Francia", due giovani cavalieri stanno duellando. Gli spadaccini
indossano falsetti fittamente pieghettati, dove fuoriescono delle
probabili corazzature a piccole placche che arrivano fino alle
ginocchia.
Hanno cinture pendenti sui fianchi, le gambe sono ricoperte da
calzebrache e, ai piedi, scarpe alla < poulain>. Sicuramente la
mattonella è stata plasmata dalla stessa bottega che ha prodotto la
mattonella n. 1 146.
Della terza mattonella a cassetta, è rimasto poco meno della metà
(Fig. 11, nn. 3 e 3/A). Il soggetto decorativo, sempre in rilievo,
consiste in un insieme di larghe foglie pennate dai contorni marcati.
La mattonella per la cornice, per la grandezza e per il colore che la
ricopre dovrebbe appartenere alla stessa fornace dei due reperti
precedenti.
146
Sempre dallo stesso settore e dalla stessa zona, provengono altri frammenti
con temi decorativi che potrebbero essere legati a quelli illustrati (un vecchio
panciuto, un probabile satiro e un'animale fantastico). Mattonelle del tipo
<gotico>, rinvenute in ricerche castellane, provengono da: il Castello di S.
Gottardo (PASQUALI, 1989, p. 38, n. 1), Castel Corno (PASQUALI, RAUSS,
1989, p. 59, fig. 3, n. 26) e Castel Roccabruna (PASQUALI, SCARTEZZINI,
1998, p. 164, nn. 54-57).
177
Fig. 10 - Castel Ivano - Mattonelle da stufa riprodotte in scale diverse (foto di: I. Mosna).
I decori delle tre mattonelle sono di alta qualità artistica, riferibile
al gusto del gotico cortese internazionale e databili tra la fine del
XIV secolo e la metà del secolo successivo 147.
147
I confronti più puntuali si hanno con l'abbigliamento dei vari personaggi
raffigurati negli affreschi della Sala dei Mesi di Torre Aquila nel Castello del
Buonconsiglio (Trento) (CASTELNUOVO, 1987; SEBESTA, 1996) e nei
dipinti parietali di Castel Ronco (Bolzano) (PROCHNO, 2000, p. 277-289).
178
Fig. 11 - Castel Ivano - Mattonelle da stufa riprodotte in scale diverse (foto di I. Mosna).
Il quarto reperto manca per circa metà (Fig. 11, n. 4). La forma
della mattonella è quadrata, completamente piana con l'ornato a
bassorilievo e il decoro ricorda una preziosa stoffa di broccato, con
intreccio a losanghe, avente ognuna in centro un fiore a quattro
petali ben separati 148. Il reperto, essendo proveniente dallo stesso
deposito delle mattonelle precedenti, viene considerato coevo.
148
Nei recuperi del Settore 2 vi sono altri frammenti con intrecci diversi che
ricordano sempre i broccati. Residui di mattonelle con decori <a broccato> sono
presenti nei rinvenimenti di Castel S. Gottardo (PASQUALI, 1989 (op. cit.), p
38, nn. 2-3) e di Castel Corno (PASQUALI, RAUSS, 1989 (op. cit.), p. 57, fig.
2. nn. 9, 10, 12). Una mattonella completamente integra, <a broccato> è stata
rinvenuta a Castel Roccabruna di Fornace (PASQUALI, SCARTEZZINI, 1998
(op. cit.), p. 165, fig. 59).
179
Fig. 12 - Castel Ivano - Mattonelle da stufa riprodotte in scale diverse (foto di
I. Mosna).
La quinta formella è anch'essa mancante per circa metà (Fig. 11, n.
5). Di forma rettangolare con decoro geometrico costituito da un
largo nastro svasato che fa da cornice. Sul breve ribasso, semisfera
centrale lievemente convessa con contorno rilevato. Il cerchio
raggiunge solo i lati più lunghi della mattonella. La sua datazione è
analoga a tutte le altre formelle 149.
Il sesto reperto, integrato per oltre metà, non appartiene alla
categoria delle formelle a cassetta con matrici elaborate. La sua
forma è quadrata, completamente cava, bocca svasata, orlo
ingrossato e fondo piatto (Fig. 12, n. 6) 150.
8
149
Mattonelle di questo genere sono presenti nella sala delle stufe di
Castelvecchio, (Museo Provinciale d'Arte (Castello del Buonconsiglio)). Si tratta
di una ricostruzione di una piccola stufa a torre, proveniente dalle Giuduicarie,
con mattonelle di vari soggetti di cui sette sono identiche a quelle di Ivano.
Mattonelle <a semisfera>, sono state recentemente recuperate nel restauro di
Castel Valer (materiale inedito) e altre simili a Rango (Giudicarie); queste
provengono dagli scarti di una antica fornace che produceva vasellame di vario
genere, tra la fine del XV secolo e la metà del XVI secolo (materiale inedito).
150
Il manufatto veniva modellato al tornio, come se fosse un vaso di forma
troncoconica. A lavoro finito l'orlo veniva ripiegato e schiacciato sui quattro lati,
trasformando il vaso, in una mattonella di forma quadrata completamente cava
(TIBOR, 1991, pp. 93-94).
180
Fig. 13 - Castel Ivano – Frammento di cornice di stufa a torre riprodotto in grandezza
naturale (foto di I. Mosna).
Per la profonda superficie incavata è detta anche <scalda pugno>
151
. Nel repertorio delle mattonelle da stufa, con tutta probabilità, è
una delle forme più arcaiche e più comuni in tutto il centro Europa
152
.
Il settimo frammento consiste in un residuo angolare, di cui è
rimasto poco meno di un terzo (Fig. 12, n. 7). L'ornato sempre in
bassorilievo, rappresenta su campo raso, cordoni intrecciati a
losanghe. Non si può escludere che l'angolare accompagnasse la
mattonella con decoro <a broccato> (n. 4).
L'ultimo reperto non è stato restaurato ( Fig. 13, n.8). Molto
probabilmente è un frammento di cornice a festoni, posta a
coronamento di una stufa a torre. Il modellato, in basso rilievo,
151
Per quanto riguarda il Trentino ricordiamo le mattonelle <scalda pugno>
rinvenute nel Castello di S. Gottardo (PASQUALI, 1989, p. 37); quelle del
Castel Corno (PASQUALI, RAUSS,1987, p. 37, fig. 3; p. 42, fig. 8, nn. 23-26;
p. 43, fig. 9, nn. 35-37)); quella di Carbonare di Folgaria (PASQUALI,
DALMERI, 2000, p. 118); i residui di Castellalto e quelle integre recuperate
nella fornace di Rango (vedere nota 7).
Mattonelle di questo genere sono presenti anche nella sala delle stufe di
Castelvecchio e troviamo interessante segnalare la stufa a torretta fatta da
mattonelle <scalda pugno> dell'Eremo di S. Lorenzo (Valsugana) (BERNARDI,
1986, p. 125). Pure in Alto Adige sono molte le stufe sia integre che ricostruite
che hanno solo delle mattonelle <<scalda pugno>> (BLUMEL, 1972, Tavola,
nn. 5-6)
152
In Germania la formella del tipo < scalda pugno> viene chiamata < panello a
scodella con imboccatura quadrata> (BLUMEL, 1972 (op. cit.) p.12, fig. b>; in
Austria <piastrella a catino> (KREMES, 1984, p. 285, fig. 5), mentre in Italia
<olla profonda> (CAPORILLI, 1986, p 56).
181
raffigura la testa di un putto, forse alato ("cherubino") 153. La
datazione proposta e quella delle altre mattonelle.
Concludendo, siamo certi che all'interno del Castello di Ivano dal
XIV al XX secolo le stufe ad <ole> 154 erano sicuramente parte
integrante dell'arredo di moltissime stanze 155. Per quanto riguarda
il piccolo lotto illustrato, lasciamo spazio alla fantasia,
immaginando che nel 1412 gli armigeri del duca Federico IV
d'Austria, scacciati i signori di Ivano Castelnuovo - Caldonazzo,
divelsero, a causa delle raffigurazioni allegoriche, una delle stufe
gotiche, che offendeva con il suo simbolismo, la sensibilità dei
nuovi signori.
Fig. 14 - Stufa a olle
nelle sale di
Castelvecchio.
153
Trento
Castello
del provengono 8 frammenti di cornucopia (esposti nelle
Dallo
stesso
livello
Buonconsiglio.
vetrine) che per il colore, lo spessore e l'altezza dovevano accompagnare la testa
del puto (Fig. 13, n. 8).
Nelle fornaci venete del XVI secolo, le teste di "cherubino", sono nei repertori
dei decori da eseguire sulle ceramiche ingobbiate graffite dipinte sotto vetrina
(BOJANI, 1979, (op. cit.) p.17, nn. 4,5; p. 20, n.9; RAVANELLI GUIDOTTI,
1991, n.117, n. 23; FEDRIZZI, PASQUALI, 1994, p. 109, n. 16).
154
Proponiamo di usare il termine dialettale <ola>, essendo una tipica
espressione trentina, con la quale si intendono le stufe fatte di mattonelle
invetriate.
155
In vari settori del castello sono stati raccolti 6 frammenti con residui di
imprese araldiche. Probabilmente vi è l'agnello pasquale "Agnus Dei" nelle armi
di Bressanone e nello stemma del Cardinale Cristoforo Madruzzo (1512-1568),
sicuro è invece lo stemma dei Wolkenstein Trosburg datata 1651, posto su una
mattonella integra proveniente dalla collezione Staudacher.
182
Fig. 15 - Castel Ivano.
Ricostruzione della
raffigurazione della
mattonella da stufa
rappresentata a pag. 142.
(Disegno di T. Pasquali).
183
LE MONETE
Alessandro Gremes
Estremamente diverse sono le monete rinvenute nel 1991 a Castello
di Ivano. Esse sono in gran parte medioevali ma non mancano
monete dei periodi successivi (Fig.17 n. 2) .
1
Fig. 16 - Castel Ivano – Quattrino tirolese di Federico IV (1406 – 1439). Diametro max.
mm, 15,52. (foto di A. Gremes).
2
Fig. 17 - Castel Ivano – Kreuzer di Leopoldo I (1665 – 1705). Diametro max. mm,
13,02. (foto di A. Gremes).
184
Le monete recuperate.
N. 3. Denari piccoli o scodellati, emessi sotto il dogato di
Sebastiano Ziani (1172-1178). Zecca di Venezia.
N. 4. Denari piccoli o scodellati, coniato dal Comune di Verona
sotto la dominazione di Federico II di Svevia (1218-1250). Zecca
di Verona.
N. 1. Probabile quattrino tirolese emesso nel periodo che va da
Leopoldo IV a Sigismondo (1365-1490). Zecca di Merano. Moneta
spezzata a metà
N. 1. Soldino con la stella dietro il doge, emesso da Antonio
Vernier (1382-1400). Zecca di Venezia.
N. 2. Quattrini da due denari, emessi sotto Francesco II da Carrara
detto "il novello" (1390-1404). Zecca di Padova.
N. 1. Denaro, emesso da Gian Galeazzo Visconti conte di virtù,
duca di Milano (1395-1402). Zecca di Milano.
N. 3. Quattrino con aquila e scudo austriaco emesso dal conte
Federico IV, detto "Tascavuota" (1406-1439). Zecca di Merano.
N.1. Quattrino con scudo austriaco, coniato sotto l'arciduca
Sigismondo, conte del Tirolo (1439-1490). Zecca di Hall.
N.1. Quattrino con scudo austriaco, coniato sotto l'arciduca
Sigismondo, conte del Tirolo (1439-1490). Zecca di Hall. Moneta
spezzata a metà.
N. 1. Kreuzer, coniato per la Slesia da l'imperatore Leopoldo I
(1665-1705). Zecca di Brieg.
N. 1. Probabile moneta francese del 1700. Zecca ?
N. 2 . 10 centesimi del 1866 di Vittorio Emanuele II, re d'Italia.
Zecca di Birmingham.
185
N. 1. 2 heller del 1899 di Francesco Giuseppe I, imperatore.
Zecca ?
N. 1. 1 heller del 1901 di Francesco Giuseppe I, imperatore.
Zecca ?.
N. 1. 1 heller del 1903 di Francesco Giuseppe I, imperatore.
Zecca ?
n. 1. 5 centesimi del 1939 di Vittorio Emanuele III, re e imperatore.
Zecca di Roma.
N. 1. 10 centesimi del 1939 di Vittorio Emanuele III, re e
imperatore. Zecca di Roma.
I reperti monetali medioevali
156
Le monete medioevali evidenziano una intensa attività
commerciale, probabilmente legata alla vita stessa del castello,
condizionata dal periodico susseguirsi di Principi e Signori, nel
possesso della Valsugana feltrina.
Sotto il profilo economico, le monete di Castel Ivano appartengono
alla cosiddetta, moneta <piccola> paragonabile alla nostra <moneta
spicciola>.
Tuttavia, per quanto riguarda la funzione di queste monetine, è
paragonabile a quelle dei nostri moderni centesimi di Euro. Il loro
valore reale non era in rapporto fisso con i pezzi di maggior valore
(la moneta <grossa>), costituita da esemplari d'oro e in buon
argento, ma variava a seconda delle circostanze economiche e
finanziarie, quasi sempre svalutandosi nei confronti degli esemplari
maggiori.
Concludendo vogliamo solo evidenziare la presenza dei 3 scodellati
veneziani coniati sotto il dogato di Sebastiano Ziani (1172-1178),
che indirettamente confermano l'esistenza di una struttura edificata
sulla collina di Ivano verso la fine del XII secolo, secondo la
156
Tutte le monete sono esposte nelle vetrine del castello.
186
tradizione che vuole che i Benedettini o i Templari avessero sul
dosso di Ivano una costruzione nel 1187.
187
IL MATERIALE MEDIOEVALE E RINASCIMENTALE
IN MOSTRA
Remo Carli & Tullio Pasquali
Come luogo espositivo permanente, il professor Vittorio
Staudacher, decideva di mettere a disposizione nel 1996, la
cantina situata accanto al basamento del mastio, con ingresso
attraverso il corridoio detto <del giudizio> e <delle prigioni> 157.
Si scelse di esporre, soprattutto quali premianti testimonianze
delle vicissitudini storiche del Castello di Ivano, i materiali
medioevali e rinascimentali.
I reperti, dopo un’ attenta pulizia e per alcuni il restauro
integrativo, sono stati catalogati e siglati con il riferimento del
luogo di rinvenimento (Settore e Zona).
I materiali sono stati suddivisi per tipologia; i ferri di qualsiasi
forma ed uso posti in una unica vetrina con i metalli in lega e le
monete. Per le ceramiche da cucina sia del tipo <pettinato> che
di <Passauer> in una unica bacheca, con altro tegame da fuoco
associato ai pochi frammenti di pietra ollare. Le ceramiche
ingobbiate graffite dipinte sotto vetrina, le ceramiche ingobbiate
e dipinte, le maioliche e i vetri in un'alta teca. Le mattonelle da
stufa a loro volta occupano ben due cristalliere.
Nell'allestimento generale abbiamo riscontrato notevoli
difficoltà nel valorizzare all'interno della stessa bacheca oggetti
molto piccoli (monete, spilli, fibbie, sonagli) accanto ad oggetti
molto più appariscenti (chiodi, punteruoli, coltelli, cuspidi di
freccia). Di qui la necessità di realizzare una serie di piani
diversi, rapportati alla tipologia e alla grandezza dei materiali 158.
Inoltre a tutti i reperti è stato posto accanto un talloncino dove si
legge una succinta descrizione (nome dell'oggetto, tecnica di
lavorazione e datazione).
157
Nel 1997 furono ordinate dal prof. Staudacher delle vetrine su misura e
concordato il restauro di alcune mattonelle. Nella primavera del 1998 si
eseguì l'allestimento delle vetrine; oltre agli scriventi, collaborarono Vito
Bortondello e Natalino Tonina.
158
Per costruire i vari piani si scelse di usare dei fogli di polistirolo di grana
molto compatta.
188
I supporti didattici all'esposizione, sono dati da una serie di
pannelli a temi ben distinti: 1° pannello. - La balestra L'armamento del balestriere - Le cuspidi scagliate con la balestra
di Castel Ivano. 2° pannello. - L'arco medioevale. 3° pannello. Origini e diffusione della ceramica ingobbiata graffita dipinta
sotto vetrina nel Basso Medioevo. 4° pannello. - La ceramica
ingobbiata graffita dipinta sotto vetrina di Castel Ivano. 5°
pannello. - La stufa ad <ole> - Le mattonelle da stufa di Castel
Ivano. 6° pannello. - Storia della monetazione nel medioevo - Le
monete medioevali rinvenute a Castel Ivano 159.
Certamente i materiali esposti sono solo una piccola e modesta
documentazione dei resti di cultura materiale, lasciati giorno
dopo giorno, dal lontano XII secolo (i denari veneziani del Doge
Sebastiano Ziani (1172-1178)) ad una ideale chiusura temporale
tra il XVI e il XVII secolo (le ceramiche graffite, i vetri da
tavolo, le ceramiche del tipo <Passauer>, le verrette da balestra
ed altro ancora).
Ora grazie alla lungimiranza del professor Staudacher, la piccola
raccolta è inserita nelle visite al castello (PASQUALI, 2000).
Fig. 17 – Veduta
attualePasquali,
del Castello.
I pannelli sono stati scritti da Alessandro Gremes e Tullio
le
fotografie dei materiali sono di Ivana Mosna.
159
189
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T. Pasquali - Le stoviglie da tavola dipinte nell'Ultima Cena
della Chiesa di S. Antonio Abate a Pelugo -. In: <Judicaria>. N.
46. Tione di Trento, 2001.
T. Pasquali – Frammenti ceramici, dal XV al XVII sec.,
recuperati tra le rovine di Castel Pénede -. In <La Giurisdizione
di Pénede> N. 18. Nago Torbole 2002.
T. Pasquali & G. Dalmeri - I frammenti di vasellame, dal 1400
al 1600 rinvenuto nel Riparo sottoroccia la Cogola (Carbonare
di Folgaria -. In: < La Giurisdizione di Pènede >. N. 14. Nago Torbole, 2000.
T. Pasquali & B. Rauss - I resti di cultura materiale rinvenuti a
Castel Corno (Vallagarina - Trentino Occidentale) - In: <
Annali dei Musei civici di Rovereto >. Vol. 3. Rovereto, 1987.
T. Pasquali & B. Rauss - I resti di cultura materiale rinvenuti
nelle parte bassa di Castel Corno e nelle zone limitrofe
(Vallagarina - Trentino Occidentale) -. In: < Annali dei Musei
civici di Rovereto >. Vol. 5 (1989). Rovereto, 1990.
207
T. Pasquali & B. Rauss - I materiali -. In: <Castel Corno in
mostra. Catalogo >. Isera, 1991.
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Franco Cosimo Panini. Modena, 1995.
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Estive dal 1982 al 1994 a Castel Ivano >. Centro culturale
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BIBLIOGRAFIA IN COMUNE
DI CASTEL BELVEDERE E CASTEL IVANO
C. Ausserer (traduzione in italiano di G. Maestrelli Anzilotti <
Persen - Pergine. Castello e Giurisdizione, i signori, i capitani,
gli amministratori e i signori pignoratizi con un'appendice sulle
miniere >. Vienna, 1915-1916. Edizione Associazione <Amici
della Storia>. Pergine, 1996.
A. Folgheraiter < I Danati della Peste. Tre secoli di stragi nel
Trentino (1348-1636) >. Curcu & Genovese. Trento, 1996.
A. Gremes - Le monete -. < Castelbosco, Ricerche >. Biblioteca
Comunale "G. B. Borsieri" di Civezzano. Civezzano, 1989.
BIBLIOGRAFIA IN COMUNE
DI CASTELALTO E CASTEL IVANO
Gramola & Pasquali - I metalli rinvenuti nel Castello di S:
Gottardo e nelle zone adiacenti e periferiche - In: < Il Castello
di S. Gottardo a Mezzocorona. Ricerche >. Circolo Fotoamatori
Rotaliano. Mezzocorona, 1989.
A. Gremes - Le monete - In: <Castelbosco. Ricerche >.
Biblioteca Comunale "G. B. Borsieri" di Civezzano. Civezzano,
1989.
A. Gremes - Le monete rinvenute al Castello di S. Gottardo - In:
< Il Castello di S. Gottardo a Mezzocorona. Ricerche >.
Fotoamatori Rotaliano. Mezzocorona, 1989.
A. Gremes - Le monete provenienti dalla Torre Anonima di
Nago - Torbole -. In: < Annali dei Musei civici di Rovereto >.
Vol. 8 (1992). Rovereto, 1993.
A. Gremes - Monete medioevali rinvenute al castello di
Castellalto nel Comune di Telve (Trento) e depositate al Museo
210
civico di Rovereto -. In: < Annali dei Musei civici di Rovereto >.
Vol. 8 (1992). Rovereto, 1993.
A. Gremes & L. Zanoni - Le monete rinvenute a Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale -. In: < Annali dei Musei
civici di Rovereto >. Vol. 4. Rovereto, 1988.
T. Pasquali (a cura di) < Il Castello di S. Gottardo a
Mezzocorona.
Ricerche
>.
Fotoamatori
Rotaliano.
Mezzocorona, 1989. * - **
T. Pasquali & A. Scartezzini - Le ceramiche e i vetri rinvenuti a
Castel Roccabruna -. In: N. Forenza & M. Libardi (a cura di) <
Il Castello Roccabruna a Fornace >. Edizione Associazione
<<Amici della Storia>>. Pergine, 1998. * - **
211
INDICE
INTRODUZIONE
di Tullio Pasquali
pag. 3
PARTE PRIMA
BIBLIOGRAFIA DELL'ASSOCIAZIONE
di Tullio Pasquali
Anno 1987
Torre dei Sicconi.
Storia di un castello medioevale (1201-1385).
Momenti del passato di Caldonazzo.
pag. 6
pag. 8
Anno 1989
Il Castello di S. Gottardo a Mezzocorona. Ricerche.
pag. 8
Castelbosco. Ricerche.
pag. 9
Un segno a protezione dell'uomo e del territorio:
gli elementi del dettaglio del paesaggio
e gli ex voto di Caldonazzo.
pag. 10
Anno 1990
La Magnifica Corte di Caldonazzo. Castello Trapp.
pag. 12
Anno 1991
Castel Corno in mostra. Ricerche.
pag. 12
Castel Corno in mostra. Catalogo.
pag. 13
La Val di Cembra in età preromana.
Dai cacciatori mesolitici dei Lagorai al mondo retico
14
Anno 1998
Il Castello Roccabruna a Fornace.
212
pag.
pag. 15
ANNALI DEI MUSEI CIVICI DI ROVERETO
pag. 19
Anno 1985
Bersaglio di Mori. Dati e ricerche.
pag. 19
Anno 1986
Ceramiche medioevali non invetriate
da due Castelli della Bassa Val Lagarina,
Castello di Chizzola e Castel Sajori.
pag. 19
Una sepoltura eneolitica ai piedi
del torrione medioevale di Castel Corno.
Nella zona del Bersaglio di Mori.
pag. 19
Anno 1987
Note su Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 20
I resti di cultura materiale rinvenuti a Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 20
Anno 1988
Ritrovamenti di materiali litici in località <<Longariva>>
(Comune di Rovereto - Trento).
pag. 20
Note su Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale) II Parte.
pag. 20
I rinvenimenti di cultura materiale rinvenuti
nella zona bassa di Caste Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 21
Castel Corno - Analisi della Fauna.
pag. 21
Le monete rinvenute a Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 21
Anno 1990
Note su Castel Corno
213
(Vallagarina - Trentino Occidentale. III Parte.
pag. 21
I resti di cultura materiale rinvenuti nella zona
bassa di Castel Corno e nelle zone limitrofe
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
Due acciarini per fuoco da Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 22
pag. 22
Anno 1991
Le monete rinvenute nella parte bassa di Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 22
Reperti metallici con simboli araldici provenienti da
Castel Corno (Isera - Vallagarina - Trentino Occidentale).
22
Anno 1992
Studi e ricerche alla Busa dei Preeri
(Comune di Avio - Trentino).
pag. 23
I resti di cultura materiale provenienti dalla Busa
dei Preeri (Comune di Avio - Trentino).
pag. 23
Le monete medievali rinvenute alla Busa dei Preeri
(Comune di Avio - Trentino).
pag. 23
Anno 1993
Ritrovamenti archeologici tardomedievali presso i
ruderi di una torre anonima nel Comune di
Nago-Torbole (Trento).
pag. 23
Busa dei Preeri (Avio). Notizie preliminari sulla
campagna di ricerche effettuate dal 3 al 9 agosto 1992. pag. 24
Monete medievali rinvenute al castello di Castellalto
nel comune di Telve (Trento) e depositate al
Museo Civico di Rovereto).
Anno 1994
Considerazioni sui materiali e sulla fauna proveniente
214
pag. 24
pag.
dal settore 3 della Busa dei Preeri
(Comune di Avio - Trentino).
pag. 24
Un rosario dai materiali archeologici della
<<Busa dei Preeri>> (Comune di Avio - Trentino).
Prime ipotesi di studio.
pag. 25
Anno 1995
Le pietre focaie della Busa dei Preeri
(Vallagarina - Trentino meridionale):
un insieme di reperti litici di epoca medioevale (XIII). pag. 25
Studi sui materiali rinvenuti nei settori 2 e 2 A
della Busa dei Preeri (Comune di Avio Trentino).
pag. 25
Ritrovamenti occasionali di reperti archeologici
provenienti dalla parte bassa di Castel Corno
(Vallagarina - Trentino Occidentale).
pag. 26
Le monete rinvenute nei pressi del passo di Ballino (TN).
26
Anno 1996
Antropizzazione bassomedioevale nella fascia
pedemontana, sulla destra del fiume Adige,
tra il comune di Avio e il territorio veronese
(Ricerche 1993-1994).
pag. 26
Anno 1998
Borghetto sull'Adige (Comune di Avio. Trentino).
Notizie preliminari sulle ricerche effettuate nel 1994
e 1995 in località Coai di Borghetto e Dos edl Maton.
pag. 27
PARTE SECONDA
PRESENTAZIONE
di Sergio Anesi
pag. 28
215
pag.
CONSIDERAZIONI SULLA COSTRUZIONE
E SULLA DISTRUZIONE DI CASTEL
BELVEDERE DI PINE' CON APPUNTI
SU ALCUNI RINVENIMENTI
DI CULTURA MATERIALE
di Tullio Pasquali
pag. 30
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
pag. 32
SINTESI STORICA
pag. 34
LE MOTIVAZIONI DELLA RICERCA
pag. 35
IL CASTELLO DI BELVEDERE DI PINE'
NEI SECOLI XI E XII
pag. 36
Il primo documento.
pag. 36
Il paesaggio.
pag. 36
La nascita di Castel Belvedere.
pag. 38
Il sistema difensivo all'esterno del castello.
pag. 42
Considerazioni.
pag. 45
LA SCOMPARSA DI CASTEL BELVEDERE.
META' DEL SECOLO XIV
pag. 47
Il documento del 18 aprile 1357.
pag. 47
Nel 1349 l'Alta Valsugana viene occupata dai da Carrara.
48
Sette anni di dominazione padovana (1349-1356).
pag. 53
Le forze del Brandeburgo riconquistano
l'Alta Valsugana (1356).
pag. 54
216
pag.
1357: la Comunità pinetana riscatta la propria libertà.
56
pag.
IL RINVENIMENTO DI FERRI
MEDIOEVALI A CASTEL BELVEDERE
pag. 59
Dopo oltre sei secoli.
pag. 59
Alcune note sull'arco medievale.
pag. 60
Qualche considerazione sulla balestra
con l'arco composito.
pag. 61
TESTIMONIANZE DI VITA QUOTIDIANA
pag. 63
Oggetti di ceramica e di metallo.
I materiali.
pag. 63
pag. 65
Le ceramiche.
pag. 65
I metalli.
pag. 66
Un probabile momento di vita quotidiana.
pag. 67
PARTE TERZA
PRESENTAZIONE
di Franco Rigon
pag. 69
I RILIEVI DI CASTELLALTO. ANNI 1991-1992
di Remo Carli, Alessandro Gremes, Tullio Pasquali,
Alfonso Scartezzini
pag. 70
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
di Alessandro Gremes, Tullio Pasquali
pag. 72
SINTESI STORICA
di Alessandro Gremes, Tullio Pasquali
pag. 74
217
LE MOTIVAZIONI DEI RILIEVI
di Remo Carli, Alessandro Gremes, Tullio Pasquali,
Alfonso Scartezzini
pag. 78
I RILIEVI
di Remo Carli - Alfonso Scartezzini
pag. 81
Nota introduttiva.
pag. 81
La planimetria di Otto Piper.
pag. 82
Descrizione.
pag. 82
Lo studio del Piper visto da Gorfer.
pag. 84
Rilievi (1991-1992).
pag. 85
Ingresso.
<<Corte d'ingresso>>.
pag. 85
pag. 88
Portico detto <<scuderia o sala delle guardie>>.
pag. 88
Portico di destra o <<androne>>.
pag. 93
<<Portalino gotico>>.
pag. 94
<<Portalino della torre>>.
pag. 97
Cappella o <<Crocifisso>>.
pag. 98
Le stanze sopra la <<Cappella><
pag. 100
Muro angolare verso la valletta di S. Nicolò.
pag. 101
Tratto di cortina ovest, verso la valletta di S. Nicolò.
102
Pavimento sopra <<la scuderia o sala delle guardie>>
(secondo piano).
218
pag.
pag. 103
La chiesetta.
pag. 103
L'ANTIMURALE DI CALTELLALTO
di Remo Carli, Tullio Pasquali
pag. 105
LE CERAMICHE AD IMPASTO GREZZO
DI CASTELLALTO
Tullio Pasquali
pag. 107
Ceramica ad impasto grezzo, priva di rivestimento
impermeabilizzante, del tipo <<pettinata>>.
pag. 107.
Il vasellame in ceramica del tipo <<pettinata>>
di Castellalto.
pag. 108
Ceramica ad impasto grezzo, priva di rivestimento
impermeabilizzante, del tipo <<Passauer>>.
pag. 112
Il vasellame in ceramica del tipo <Passauer>
di Castellalto.
pag. 113
DISTRIBUZIONE SUL TERRITORIO
TRENTINO DELLE CERAMICHE
GREZZE DEL TIPO <<PETTINATO>>
E DI <<PASSAUER>>
di Tullio Pasquali
pag. 116
Diffusione nel Trentino della ceramica
del tipo <<pettinata>>.
pag. 116
Diffusione nel Trentino della ceramica
del tipo <<Passauer>>.
pag. 119
MONETE MEDIEVALI RINVENUTE
A CASTELLALTO E DEPOSITATE
AL MUSEO CIVICO DI ROVERETO
di Alessandro Gremes
Le monete ed il castello.
pag. 121
pag. 121
219
Descrizione delle monete.
pag. 126
Conclusioni.
pag. 129
Ringraziamenti.
pag. 130
Distribuzione sul territorio Trentino dei piccoli
di Verona di Fedrico II di Svevia.
pag. 131
Distribuzione sul territorio Trentino dei quattrini
di Merano di Federico IV.
pag. 132
Distribuzione sul territorio Trentino dei quattrini
di Merano di Leopoldo III e di Leopoldo IV.
pag. 133
Distribuzione sul territorio Trentino dei quattrini
di Merano di Sigismondo Conte.
pag. 134
Tabella cronologica.
pag. 135
LA PICCOLA RACCOLTA
DI ROBERTO SPAGOLLA
di Tullio Pasquali
pag. 136
Descrizioni.
pag. 137
Conclusioni.
pag. 139
PARTE QUARTA
PRESENTAZIONE
di Vito Bortondello
pag. 140
CASTELLO DI IVANO
LA RICERCA DI TESTIMONIANZE MEDIEVALI pag. 141
di Remo Carli, Vito Bortondello, Alessandro Gremes,
Tullio Pasquali, Alfonso Scartezzini
INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO
220
pag. 143
Di Tullio Pasquali
SINTESI STORICA
di Tullio Pasquali
pag. 145
LE MOTIVAZIONI DELLA RICERCA
pag. 150
di Vito Bortondello, Remo Carli, Alessandro Gremes,
Tullio Pasquali, Alfonso Scartezzini
Le ricerche.
pag. 151
I settori.
pag. 151
OSSERVAZIONI SUI MATERIALI
di Tullio Pasquali
pag. 155
I ferri medioevali.
pag. 155
Le ceramiche e i vetri medioevali.
pag. 157
Le ceramiche "moderne".
pag. 161
Le presenze del 1° conflitto mondiale.
pag. 162
LE MATTONELLA DA STUFA RESTAURATE
di Tullio Pasquali
pag. 163
LE MONETE
di Alessandro Gremes
pag. 170
Le monete recuperate.
pag. 171
I reperti monetali medioevali.
pag. 172
IL MATERIALE MEDIOEVALE
E RINASCIMENTALE IN MOSTRA
di Remo Carli, Tullio Pasquali
pag. 173
BIBLIOGRAFIA GENERALE
pag. 175
221
Bibliografia di Castel Belvedere.
pag. 175
Bibliografia di Castellalto.
pag. 180
Bibliografia di Castel Ivano.
pag. 186
Bibliografia in comune di Castel
Belvedere e Castel Ivano.
pag. 191
Bibliografia in comune di Castellalto e Castel Ivano.
191
222
pag.