1.2. Parlamentarismo dualista e parlamentarismo
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1.2. Parlamentarismo dualista e parlamentarismo
1. Le forme di governo dello Stato liberale 127 1.2. Parlamentarismo dualista e parlamentarismo monista La forma di governo parlamentare si è affermata nello Stato liberale attraverso un lento processo storico, al di là delle previsioni formali dei documenti costituzionali. Essa ha conosciuto due fasi distinte. Il sistema parlamentare delle origini era un parlamentarismo dualista, dotato dei seguenti caratteri: a) il potere esecutivo era ripartito tra il Capo dello Stato e il Governo (esecutivo bicefalo); b) il Governo doveva avere una doppia fiducia, quella del Re e quella del Parlamento; c) a garanzia dell’equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, al Capo dello Stato era riconosciuto il potere di scioglimento anticipato del Parlamento, che fungeva da contrappeso alla responsabilità politica del Governo. Questo sistema si è affermato nell’Inghilterra del XVIII secolo e poi, nel corso dell’800, anche in altri Paesi dell’Europa continentale, sempre per via di un’evoluzione storica che ha preso le mosse dalla monarchia costituzionale. Ciò è avvenuto anche in Italia, dove ben presto si è proceduto ad un’interpretazione in chiave parlamentare dualistica dello Statuto Albertino. Il dualismo rifletteva ancora quell’equilibrio sociale che era stato tipico già della monarchia costituzionale: da una parte, il monarca, che costituiva il punto di riferimento delle classi aristocratiche, e dall’altra parte il Parlamento, che rappresentava gli interessi della borghesia. Questo equilibrio però si è progressivamente modificato a vantaggio della classe borghese, che ha preteso di incarnare gli interessi dell’intera nazione ed ha avuto la forza politica di circoscrivere notevolmente il ruolo del Re a favore del Parlamento, legando sempre più il Governo a quest’ultimo. Questa seconda fase ha visto l’affermazione del parlamentarismo monista, in cui il Governo ha un rapporto di fiducia esclusivamente con il Parlamento ed il Capo dello Stato è relegato in un ruolo di garanzia, e perciò assolutamente estraneo al circuito di decisione politica. Il principale strumento attraverso cui si è realizzata questa trasformazione del ruolo del Capo dello Stato è la controfirma (→ § V.4.3). Essa – che originariamente era nata come attestazione da parte di un ministro della volontà manifestata dal monarca – ha assunto la funzione di trasferire al Governo, controfirmante, la responsabilità politica per gli atti del Capo dello Stato; infine ha comportato l’assunzione, da parte del Governo, del potere sostanziale di determinare il contenuto dell’atto che soltanto formalmente è rimasto imputato al Capo dello Stato. Il parlamentarismo è diventato, così, monista, perché il potere di direzione politica si è concentrato nel sistema Parlamento-Governo, intimamente legati grazie al rapporto di fiducia (→ § IV.3.1). Questa evoluzione si è verificata in tutti i sistemi costituzionali, ma spesso ha avuto varianti diverse. Per esempio, in Gran Bretagna è prevalso il ruolo di direzione politica del Governo, che in un sistema bipartitico ha potuto avvalersi della forza derivante dall’appoggio di una salda maggioranza parlamentare. In Francia invece, nella III Repubblica, è prevalso il ruolo dell’Assemblea, con Governi resi deboli dalla frammentazione politica che determinava continui cambiamenti di maggioranza. Il potere di scioglimento anticipato dell’Assemblea non bastava a riequilibrare il siste- 128 IV. Forme di governo ma, perché, per adottare il decreto di scioglimento, occorreva la controfirma; questa però non veniva apposta dal Governo, poiché i numerosi partiti della maggioranza non si mettevano d’accordo. L’AMBIGUA PARLAMENTARIZZAZIONE DELLO STATUTO ALBERTINO Lo Statuto Albertino (1848) prevedeva una forma di governo appartenente al tipo della monarchia costituzionale: il Re era il titolare del potere esecutivo, i ministri erano suoi collaboratori, non esisteva un organo collegiale Consiglio dei ministri con proprie competenze. Vero è che già nel 1848 il decreto, che nominava il conte Balbo Presidente del Consiglio dei ministri, implicitamente riconosceva l’esistenza di questa figura; si trattava però di un collaboratore del Re, privo di effettiva rilevanza autonoma. Tale sistema costituzionale si trasformò, attraverso una progressiva evoluzione, in sistema parlamentare. Un ruolo importante giocò l’esperienza di Cavour (4 novembre 1852-6 giugno 1861), che, grazie al “connubio” con Rattazzi, riuscì nell’intento di creare una maggioranza parlamentare; da questa egli traeva una forza politica che gli permetteva di assumere una certa autonomia dal Re, cui comunque restava legato da un rapporto di fiducia. I successori di Cavour si sforzarono di mantenere questa autonomia, attraverso la formazione di una maggioranza parlamentare capace di controbilanciare l’autorità del monarca. Ma la costruzione della maggioranza parlamentare fu sempre un grande problema nella storia costituzionale italiana del XIX secolo. Diversamente da quanto era avvenuto in Inghilterra, il corpo elettorale non era nelle condizioni di scegliere il partito maggioritario, il cui leader assumeva la carica di Primo ministro e basava la sua forza sul sostegno indiscusso della maggioranza. Piuttosto, fin dai tempi del “connubio”, si fece luogo alla formazione di coalizioni risultanti da elementi tratti da diversi gruppi politici e disposti a collaborare con il Presidente del Consiglio. La tendenza ebbe la sua massima affermazione con la confluenza della destra e della sinistra in un’unica formazione parlamentare di centro, durante i Governi presieduti da De Pretis (1876-1887). Tutto ciò dava luogo ad esiti ambigui: da una parte, si rafforzavano l’autonomia del Governo e la forza del Presidente del Consiglio (che era il creatore della sua maggioranza); dall’altra, però, da maggioranze composite, prive di radici ideali e spesso basate su accordi clientelari con i singoli parlamentari, derivavano la precarietà e la fragilità della base parlamentare del Governo. Perciò, se nei periodi in cui la maggioranza aveva una certa solidità (per es. con Giolitti) il ruolo del Re restava circoscritto, in fasi di maggiore precarietà della maggioranza, questo ruolo si espandeva, facendo ritornare l’idea del Re capo del potere esecutivo: fino alla fine del XIX secolo il sovrano interveniva sempre nella formazione dei Governi, scegliendo i titolari del ministero della guerra e talora anche quelli degli esteri; alcuni Presidenti del Consiglio, come Crispi, si appoggiarono sempre al Re; nella decisione di entrare in guerra nel 1915, probabilmente fu molto forte l’influenza del “partito di corte”, ecc. Per questi motivi, la parlamentarizzazione dello Statuto Albertino conservò sempre margini di ambiguità. 2. LE FORME DI GOVERNO NELLA DEMOCRAZIA PLURALISTA ED IL SISTEMA DEI PARTITI Nello Stato di democrazia pluralista, il funzionamento della forma di governo è influenzato dalla presenza di una pluralità di partiti e gruppi organizzati, che costituiscono l’elemento maggiormente caratterizzante questa forma di stato. Più esattamente, il funzionamento ed il rendimento di una forma di governo non possono essere considerati come esclusiva conseguenza delle regole costituzionali e legali che la ri- 2. Le forme di governo nella democrazia pluralista ed il sistema dei partiti 129 guardano, perché il concreto operare delle istituzioni è condizionato dalle caratteristiche del sistema politico. La “forma” di governo designa la struttura formale dei meccanismi di esercizio del potere politico, ma il concreto assetto del sistema politico condiziona il funzionamento di tali meccanismi; con la conseguenza che la stessa forma di governo, operante in rapporto a sistemi politici diversi, ha funzionamenti essi stessi differenti. Anche l’interpretazione delle disposizioni costituzionali sulla forma di governo è condizionata dai caratteri del sistema dei partiti, che diventa perciò indispensabile per ricostruire il significato e la portata delle norme costituzionali. Lo stesso sistema dei partiti produce comportamenti costanti dei soggetti politici e dei titolari di organi costituzionali, che danno vita a regole convenzionali le quali integrano e arricchiscono la disciplina costituzionale. Quest’ultima infatti difficilmente (e certamente non lo fa in Italia) può predisporre un disegno completo dell’assetto e del funzionamento della forma di governo, ma piuttosto si limita ad indicare una “cornice”, i limiti giuridici nel cui ambito i soggetti politici e gli organi costituzionali possono instaurare diversi tipi di relazioni (perciò si usa dire che le norme costituzionali sulla forma di governo sono a fattispecie aperta). I contenuti di queste relazioni dipendono soprattutto dai caratteri del sistema politico, oltre che dalla cultura politica propria del contesto in cui si sviluppano. Quando parliamo di sistema dei partiti, intendiamo riferirci essenzialmente al numero di partiti ed al tipo di rapporto che si instaura tra di essi. In particolare, la Scienza politica ha classificato i sistemi politici tenendo conto non solo del numero dei partiti, ma anche del tipo di raggruppamenti realizzabili tra di loro, ossia del potenziale di coalizione e di condizionamento di ciascun partito, che è connesso alla rispettiva ideologia. Esistono, infatti, sistemi politici i cui partiti hanno ampie distanze ideologiche tra di loro, come avviene nelle società ancora attraversate da profonde divisioni sociali, ideologiche, ecc. Quando è molto elevata la distanza ideologica tra i partiti, e particolarmente tra quelli che costituiscono le “ali estreme” del sistema, si dice che il sistema politico è ideologicamente polarizzato. In questo caso, diminuiscono le possibilità di aggregazione tra i partiti, e addirittura ve ne sono alcuni che non possono essere aggregati in nessuna coalizione in quanto percepiti, per la loro ideologia, come partiti nemici dell’ordinamento democratico (partiti antisistema). Pertanto il sistema funziona basandosi su una molteplicità di poli politici (sistema multipolare). In questo caso, a livello elettorale, difficilmente può operare la regola di maggioranza per la formazione del Parlamento e del Governo (→ § II.4), in quanto i radicali antagonismi tra i partiti esporrebbero quelli che perdono le elezioni al rischio che i partiti vincitori utilizzino lo Stato per eliminarli 6 . Diversa è la situazione in quei sistemi politici in cui le distanze ideologiche tra i partiti sono ridotte, con la conseguenza che ciascuno di essi ha un elevato potenziale di coalizione. In questo caso, anche se il sistema è pluripartitico, esso finisce per imperniarsi su due poli (sistema bipolare). Di conseguenza, la competizione elettorale è vissuta come competizione tra due poli politici tra loro alternativi. Quindi, dalle elezioni emerge con chiarezza la coalizione di partiti che ottiene la maggioranza e che pertanto esprimerà il Governo. Perciò, il sistema bipolare può avere modalità di funzionamento simili a quelle di un sistema bipartitico, in cui, esistendo due soli partiti 130 IV. Forme di governo (l’esempio classico è la Gran Bretagna con i conservatori ed i laburisti), le elezioni diventano una competizione tra due forze alternative, – ciascuna delle quali aspira a conquistare la maggioranza parlamentare ed a fare sì che il proprio leader assuma la guida del Governo –. L’assenza di radicali contrapposizioni ideologiche, poi, fa sì che il partito, che assume il controllo del potere di governo, non utilizzerà tale potere per eliminare gli avversari politici, ma si sottoporrà alle critiche di questi e, nell’intervallo prestabilito, al giudizio del corpo elettorale. Occorre aggiungere che, se il sistema dei partiti condiziona il funzionamento della forma di governo, parimenti la forma di governo, e quindi le regole formali che ne definiscono la struttura, influenzano l’assetto del sistema dei partiti. Infatti, il sistema politico vive, opera, si articola e si modifica intorno ad una determinata struttura formale che ne costituisce lo “scheletro”, da cui i soggetti politici non possono in alcun modo prescindere. Perciò, tra forma di governo e sistema politico, esiste un rapporto di condizionamento reciproco. Le principali forme di governo che esistono nelle democrazie pluraliste sono tre: il sistema parlamentare; il sistema presidenziale; il sistema semipresidenziale. Il primo è di gran lunga il più diffuso, soprattutto in Europa: siccome però la stessa “forma” (ossia l’insieme delle regole costituzionali) è pressoché eguale in tutti i sistemi parlamentari, essi si differenziano essenzialmente per la diversità del loro sistema politico. Il sistema presidenziale è tipicamente (per non dire esclusivamente) quello degli Stati Uniti d’America. Il sistema semipresidenziale è tipicamente (e forse esclusivamente) quello francese. 3. IL SISTEMA PARLAMENTARE E LE SUE VARIANTI 3.1. Forma di governo parlamentare e razionalizzazione del potere La forma di governo parlamentare si caratterizza per l’esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento: il primo costituisce emanazione permanente del secondo, il quale può costringerlo alle dimissioni votandogli contro la sfiducia. Se il Parlamento è bicamerale, occorre distinguere i sistemi costituzionali in cui la sfiducia può essere votata da ciascuna Camera (così in Italia), da quelli in cui il rapporto di fiducia intercorre con una sola Camera, la “Camera politica” (così in Germania). Le Costituzioni del secondo dopoguerra hanno cercato di evitare che questo sistema desse luogo ad un’eccessiva instabilità e debolezza dei Governi, esposti costantemente al rischio di perdere la fiducia parlamentare. Questo è un rischio tipico dei sistemi parlamentari, che ne ha facilitato la crisi: l’avvento dello Stato totalitario in Europa, tra le due guerre mondiali, si è avuto proprio a seguito di tale crisi, principalmente determinata dalla frammentazione politica e dall’assenza di solide basi parlamentari dei Governi, sempre più deboli ed instabili. Dall’esigenza di contrastare questi pericoli ha preso corpo la tendenza alla razio- 3. Il sistema parlamentare e le sue varianti 131 nalizzazione del parlamentarismo, già nata nel periodo tra le due guerre mondiali, sviluppatasi in Europa soprattutto nel secondo dopoguerra (Francia 1946, Italia 1948, Repubblica federale tedesca 1949, Danimarca 1953) e ripresa dai testi costituzionali più recenti (Svezia 1975, Belgio 1994, Grecia 1975, Spagna 1978). Con tale espressione si indica la tendenza a tradurre in disposizioni costituzionali scritte le regole sul funzionamento del sistema parlamentare che, come si è visto, si erano già imposte in via di prassi negli Stati in cui questa forma di governo è sorta ed è riuscita a mantenersi funzionante. Con il ciclo costituzionale che si apre nel secondo dopoguerra, la razionalizzazione del parlamentarismo ha avuto come obiettivo prevalente quello di garantire la stabilità del Governo e la sua capacità di realizzare l’indirizzo politico prescelto, nell’ambito di un sistema costituzionale che comunque tutela le minoranze politiche. La Costituzione italiana prevede una forma di governo parlamentare a debole razionalizzazione (→ § V.1). Rispetto agli schemi del parlamentarismo ottocentesco, i costituenti hanno innovato soprattutto attraverso la previsione di un Presidente della Repubblica titolare di poteri propri e di una Corte costituzionale al cui sindacato è sottoposto l’esercizio della funzione legislativa. Invece, l’esempio probabilmente più significativo della tendenza razionalizzatrice è offerto dalla Costituzione tedesca del 1949; essa ha previsto una specie di parlamentarismo che attribuisce particolare risalto al ruolo del capo del Governo, chiamato Cancelliere federale. Per questa ragione tale forma di governo è spesso detta “cancellierato”. In particolare, è previsto che il Cancelliere federale sia eletto senza dibattito dalla Camera politica (il Bundestag) su proposta del Presidente federale, a maggioranza dei suoi membri. Se il candidato non ottiene questa maggioranza, la Camera può eleggere un altro Cancelliere nei quattordici giorni successivi; decorso tale termine è eletto colui che ottiene il maggior numero di voti; ma se questi non raggiunge la maggioranza assoluta, il Presidente federale (cioè il Capo dello Stato) deve scegliere se nominarlo o sciogliere la Camera. Attraverso questa disciplina si mira a raggiungere i seguenti obiettivi: creare un Governo in cui sia assicurata la preminenza del Cancelliere, dotato della legittimazione derivante dall’elezione parlamentare (che non riguarda gli altri membri del Governo); consentire, ove nessuno sia eletto a maggioranza assoluta, la formazione di un Governo, sebbene minoritario, rimettendo al Capo dello Stato la scelta se mantenere in carica o sciogliere il Parlamento. Inoltre, una volta eletto, il Cancelliere è titolare di importanti poteri, tra cui quello di determinare le “direttive” della politica del Governo, assumendosene la responsabilità. Ma l’istituto più noto della forma di governo tedesca è la sfiducia costruttiva, in base alla quale la Camera politica può votare la sfiducia al Cancelliere solamente se contestualmente elegge, a maggioranza assoluta, un successore. In questo modo, si vorrebbero evitare le crisi al buio, cioè quelle crisi di Governo che si aprono senza che le forze politiche abbiano scelto la soluzione da dare alla crisi, e cioè senza che abbiano scelto il Governo che deve sostituire quello colpito da sfiducia. In virtù della predetta disciplina costituzionale, perciò, un Governo può essere rimosso solo se i partiti ed il Parlamento ne hanno pronto un altro con cui sostituirlo. 132 IV. Forme di governo LA “SFIDUCIA COSTRUTTIVA” SERVE DAVVERO? La sfiducia costruttiva è stata azionata solamente due volte, nel 1972 e nel 1982. Nel primo caso la mozione non venne approvata, mentre nel secondo caso la sua approvazione, a causa del passaggio dei liberali da una coalizione ad un’altra, non apparve all’opinione pubblica sufficiente ad attribuire al nuovo Cancelliere una piena legittimazione politica. Pertanto, ricorrendo ad un espediente, poco tempo dopo si procedette allo scioglimento anticipato della Camera in modo tale che potesse essere direttamente il corpo elettorale a giudicare il cambio di maggioranza, fornendo con il voto una più forte legittimazione politica al Cancelliere. Per comprendere questa vicenda, occorre tenere conto di come, al di là di quanto previsto dal documento costituzionale, la prassi politica tedesca ha visto l’affermazione di un sistema politico bipolare che ha determinato competizioni elettorali caratterizzate dalla contrapposizione tra due coalizioni alternative. Anche se giuridicamente l’elettore vota per i candidati al Parlamento, di fatto egli sa chi sarà il Cancelliere, nel caso di vittoria elettorale della coalizione a cui appartiene il partito per il cui candidato ha votato. C’è quindi una sostanziale investitura popolare del Cancelliere, che ne rafforza considerevolmente l’autorevolezza. In Italia, dove spesso si propone di introdurre la “sfiducia costruttiva”, si dimenticano due fattori. Il primo è che nessun Governo è mai caduto a causa di una mozione di sfiducia (→ § V.1.7), per cui qualsiasi regola puntasse a disciplinarla restrittivamente sarebbe di per sé (cioè, senza toccare diversi altri meccanismi) del tutto inutile. Il secondo è che la sfiducia costruttiva è già prevista da trent’anni in alcuni Statuti regionali: se ne è mai accorto nessuno? 3.2. Parlamentarismo maggioritario e parlamentarismo compromissorio Per comprendere il funzionamento della forma di governo e differenziare le diverse specie di parlamentarismo, non è sufficiente fermarsi all’esame delle modalità di razionalizzazione sancite dai testi costituzionali, ma bisogna indagare la complessiva logica di funzionamento del sistema, che discende dall’interazione tra la disciplina costituzionale e le caratteristiche del sistema politico. In questa prospettiva, la distinzione fondamentale è quella tra parlamentarismo maggioritario e parlamentarismo compromissorio 6 . A) Il parlamentarismo maggioritario (o a prevalenza del Governo) si caratterizza per la presenza di un sistema politico bipolare (→ § IV.2), con due partiti o due “poli”, ciascuno formato da più partiti, fra loro alternativi. In questo modo, le elezioni permettono di dare vita ad una maggioranza politica, il cui leader va ad assumere la carica di Primo ministro (o Cancelliere o Presidente del Consiglio: la terminologia costituzionale varia per indicare il Capo del Governo); pertanto il Primo ministro gode della forte legittimazione politica che deriva dall’investitura popolare ed il Governo ha il sostegno di una maggioranza politica che, di regola, lo sostiene per tutta la durata della legislatura (si parla, infatti, di Governo di legislatura). È importante sottolineare come, in questi sistemi, l’elettore formalmente non vota per il Primo ministro, ma per i candidati al Parlamento nel suo collegio elettorale. In realtà, poiché ciascun partito (nei sistemi bipartitici) o ciascuna coalizione (nei sistemi bipolari) si presenta alla competizione elettorale con un leader che assumerà, nel caso di vittoria del partito o della coalizione, la carica di Primo ministro, l’elettore sa che, votando per il candidato al Parlamento di un partito o di una coalizione, esprime la sua preferenza per la persona che dovrà assumere la carica di Primo ministro. Anzi, la personalizza- 3. Il sistema parlamentare e le sue varianti 133 zione della vita politica e la stessa dinamica bipolare del sistema fanno sì che la preferenza a favore del leader del partito o della coalizione sia prevalente rispetto a quella per il candidato al Parlamento, con la conseguenza che, di fatto, l’elettore si comporta come se votasse direttamente per il Primo ministro. Il Governo dispone dell’appoggio della maggioranza, che può dirigere per ottenere l’approvazione parlamentare dei disegni di legge che propone (perciò si indica spesso il Governo come il “comitato direttivo” del Parlamento). Al partito od alla coalizione di partiti che costituisce la maggioranza politica, si contrappone il partito o la coalizione di partiti di minoranza, che costituisce l’opposizione parlamentare. Quest’ultima si caratterizza in quanto esercita un controllo politico sul Governo e sulla maggioranza, al fine di poterne prendere il posto nelle successive elezioni. Perciò il sistema si contraddistingue per la pratica politica dell’alternanza ciclica dei partiti nei ruoli di maggioranza e di opposizione. La funzione di opposizione trova un fondamento normativo in regole consuetudinarie e nei regolamenti parlamentari; in Gran Bretagna è istituzionalizzata a tal punto da dare vita ad un Gabinetto ombra (Shadow Cabinet), contrapposto a quello governativo, in cui siedono il leader e i membri più influenti del partito di opposizione, destinati a diventare rispettivamente Primo ministro e ministri, nel caso in cui alle successive elezioni si realizzi l’alternanza 6 . LA “LADY DI FERRO” VINCE LE ELEZIONI MA PERDE IL GOVERNO Mrs. Thatcher è stata Primo Ministro in Gran Bretagna per lungo tempo e, per la fermezza con cui ha applicato la dottrina del partito conservatore, si è guadagnata l’appellativo di “Lady di ferro”. Nel 1990 il partito conservatore non riconfermò Margaret Thatcher leader del partito, sostituendola con John Major. Di fronte a questa clamorosa manifestazione di sfiducia del proprio partito, la Thatcher si dimise da Primo ministro e la Regina nominò al suo posto Major. La “Lady di ferro” aveva guidato il suo partito alla vittoria in tre elezioni generali e ancora non aveva perduto un’elezione: eppure, per la decisione del suo partito, fu costretta ad abbandonare il Governo, indipendentemente da un qualche pronunciamento del corpo elettorale. La vicenda si è ripetuta nel 2007 con il Primo Ministro laburista Tony Blair, artefice del successo elettorale del suo partito (dopo diciotto anni di opposizione) nelle elezioni del 1997, nel 2001 e nel 2005. A seguito della perdita di consenso nel Paese, soprattutto a causa del giudizio negativo sull’intervento militare in IRAQ a fianco degli Stati Uniti, Blair è stato sostituito da Gordon Brown alla guida del partito laburista e subito dopo la Regina ha nominato quest’ultimo Primo ministro al posto del dimissionario Blair. Come si concilia tale episodio con i principi del parlamentarismo maggioritario, che vogliono affidata al corpo elettorale la sostanziale investitura del Primo ministro? In realtà, l’episodio era coerente con le regole della forma di governo britannica, che è fondamentalmente basata sul ruolo dei partiti, per cui la forza del Primo ministro deriva dal fatto di essere il leader del partito maggioritario. È lo stesso partito, scelto dagli elettori per governare, che poi sarà giudicato da questi in termini di responsabilità politica alle prossime elezioni (perciò si parla di responsible party government). In ciò si rivela la differenza politica fondamentale tra parlamentarismo maggioritario e presidenzialismo statunitense. In entrambi i sistemi si assiste alla concentrazione del potere di indirizzo politico in capo al vertice dell’esecutivo (Primo ministro e Presidente); ma, mentre nel secondo gli elettori votano direttamente per le persone dei candidati alla Presidenza, nel primo la competizione elettorale è pur sempre una competizione tra partiti contrapposti, e le persone che si propongono come candidati alla carica di Primo ministro lo fanno in quanto sono i leader dei due partiti alternativi. 134 IV. Forme di governo Il parlamentarismo maggioritario è diffuso in numerosi Paesi, tra cui Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Germania, Svezia, Spagna. Esso può funzionare in presenza di una cultura politica omogenea, che pertanto può consentire una democrazia maggioritaria (→ § II.4). Diversa è la situazione nelle società divise da fratture profonde, di tipo prevalentemente ideologico, nelle quali, per evitare l’esplosione violenta dei conflitti e la prevalenza di tendenze disgregatrici, deve essere ricercato l’accordo tra le parti politiche sull’indirizzo politico e sulle sue realizzazioni. In tale tipo di democrazia, si è adottata una forma di governo parlamentare diversa, che prende il nome di parlamentarismo a prevalenza del Parlamento e che può arrivare a essere un parlamentarismo compromissorio. B) Il parlamentarismo a prevalenza del Parlamento è caratterizzato da un sistema politico che opera seguendo un modulo multipolare, in presenza di numerosi partiti tra cui esistono profonde differenze ideologiche e, quindi, reciproca sfiducia. Le elezioni non consentono all’elettore di scegliere né la maggioranza né il Governo. Piuttosto sono i partiti, dopo le elezioni, a concludere accordi attraverso cui si forma la maggioranza politica e si individuano la composizione del Governo e la persona che dovrà assumere la carica di Primo ministro. Il Governo può contenere esponenti di tutti i partiti che fanno parte della maggioranza (Governo di coalizione), oppure può avere l’appoggio esterno dei partiti che gli votano la fiducia, mentre i ministri provengono da un solo partito. In ogni caso, la stabilità del Governo dipende dal mantenimento degli accordi tra i partiti della maggioranza, ciascuno dei quali ha un potere di pressione e di ricatto; se gli accordi vengono meno, si apre la crisi di Governo. Questo tipo di sistema parlamentare si caratterizza, quindi, per la debolezza e l’instabilità del Governo. Cresce invece il ruolo del Parlamento, perché il Governo, per mantenere la fiducia, è portato a contrattare con i gruppi presenti nello stesso Parlamento il contenuto delle leggi. In certi sistemi, poi, la procedura parlamentare è regolata in modo tale da favorire la ricerca del compromesso tra maggioranza e minoranza 6 Attraverso il compromesso parlamentare, partiti espressione di ideologie in radicale contrasto possono coesistere pacificamente e, a lungo andare, costruire, poco alla volta, quella fiducia reciproca che inizialmente non esisteva. In questo caso il sistema può essere denominato parlamentarismo compromissorio, ed ha funzionato in alcuni Paesi europei come Belgio, Olanda, Danimarca e per certi versi Italia (anche se oggi appare largamente recessivo di fronte alle spinte al rafforzamento del Governo ed alla fine del conflitto ideologico). Il parlamentarismo compromissorio comporta la garanzia del pluripartitismo e la competizione fra i partiti durante la campagna elettorale; le elezioni servono a contare il consenso di cui ciascun partito gode nel Paese e, quindi, ad individuarne la forza politica. Dopo le elezioni però i partiti tendono all’accordo compromissorio sull’indirizzo politico e sulle leggi, sicché manca una vera e propria opposizione; il Parlamento è la sede privilegiata della ricerca del compromesso. In talune ipotesi, infine, la necessità di fare fronte a situazioni eccezionali ha portato alla formazione di coalizioni che inglobano tutti i partiti, anche in sistemi in cui normalmente è conosciuta la dialettica maggioranza-opposizione. La grande coalizione si è formata in Germania (1966-1969 e nell’attuale legislatura); in Austria (1949-1966 e 1987-1999); in Belgio (1946-1965); in Danimarca (1945-1971) e in Olanda (1946-1967).