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01/12/2014
10:19
IlFarmacistaOnline.it
Sito Web
La Rete della Asl 1 è ideata con l'obiettivo rendere più efficienti ed omogenee, sul territorio, prevenzione e
cura, portandole il più vicino possibile al luogo di residenza del paziente, con terapie personalizzate. Il primo
passo del progetto, da attuare entro il 2017, è stato istituire un'Unità semplice dipartimentale territoriale.
01 DIC - Nasce la Rete oncologica della Asl 1 (la prima in Regione) destinata a segnare una svolta sul
territorio in chiave anti-tumori: visite e controlli si sposteranno nel distretto sanitario e il paziente farà terapia a
casa (per lo più per via orale) e solo se necessario si ricorrerà all'ospedale. E' il nuovo corso, avviato 2 mesi
fa dalla Direzione aziendale della Asl 1, guidata dal Manager Giancarlo Silveri, incentrato su un nuovo
modello di assistenza oncologica, assicurata tramite un'azione integrata distretto-ospedale-Adi (assistenza
domiciliare) e hospice (cure palliative). Obiettivo: rendere più efficienti ed omogenee, sul territorio,
prevenzione e cura, portandole il più vicino possibile al luogo di residenza del paziente, con terapie
personalizzate. Il primo passo del progetto, da attuare compiutamente entro il 2017, è stato compiuto durante
lo scorso mese di ottobre. E' stata infatti istituita l'Unità semplice dipartimentale territoriale, coordinata dal
prof. Enrico Ricevuto. La neonata struttura, incaricata di dare un 'taglio' marcatamente territoriale
all'assistenza oncologica, è collocata all'interno dell'ospedale S. Salvatore. Nel primo mese di attività
(appunto, ottobre), l'Unità territoriale ha seguito 255 malati con tipi di cancro che hanno una più alta incidenza
(prevalentemente neoplasie gastrointestinali, della mammella, del polmone, genito-urinari e cerebrali). In
questa fase di avvio del progetto è stata analizzata la 'dispersione' territoriale dei 255 pazienti esaminati: la
metà è di L'Aquila e dintorni, il resto proviene dalla Marsica e da Sulmona, oltre che da altre ASL abruzzesi e
dal Lazio. Un quadro che segnala la necessità di introdurre un riequilibrio e dunque la necessità di
'redistribuire' l'utenza nelle aree di residenza, affidandola ai distretti sanitari. Per centrare tale obiettivo è
prevista l'attivazione di almeno un ambulatorio nelle diverse aree della provincia: L'Aquila, Marsica (nei
presìdi territoriali di assistenza di Tagliacozzo e Pescina) e Sulmona. Gli ambulatori, in cui si farà prevenzione
(visite e controlli) e verranno prescritti i percorsi terapeutici, avranno un oncologo e un infermiere dedicato,
che si occuperanno cioè di una determinata patologia tumorale. Una strategia in piena sintonia con i dati,
elaborati nel mese di 'osservazione', da cui si evince che sono due i tipi di neoplasie più diffusi- quelli del
colon retto e della mammella- su cui sviluppare il programma oncologico territoriale. Le terapie a domicilio
saranno possibili grazie ai cosiddetti farmaci 'intelligenti', prodotti biotecnologici (in forma di compresse),
creati in laboratorio e assunti per via orale. Le cure personalizzate sul paziente saranno possibili grazie a
diagnosi sul Dna (tramite biomarcatori), fatte con prelievo di sangue nei pazienti, già affetti dai vari tipi di
neoplasie o a rischio tumori. La nascita della rete oncologica si accompagnerà alla creazione di un registro
dei tumori che in regione attualmente non esiste.
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 02/12/2014
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Abruzzo. La nuova rete oncologica della Asl 1. Nel primo mese di attività
seguiti 255 pazienti
02/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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R SALUTE / PER SAPERNE DI PIÙ
Tutti curati
(lucia zambelli)
Tumori, aumentano i casi, le possibilità di cura e il costo. Per questo serve un'evoluzione del sistema
sanitario. Su questo si sono confrontati i primari oncologi, riuniti pochi giorni fa a Firenze per il congresso del
Cipomo (Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri) da cui è uscita una "Guida per la
costituzione di reti oncologiche generali". Tra le indicazioni: cure di qualità accessibili a tutti; integrazione di
diverse professionalità (chirurgia, oncologia medica, radioterapia, cure palliative, scienze infermieristiche,
psico-oncologia).
Tre i possibili modelli di rete oncologica individuati dal documento: CCC (Comprehensive Cancer Center), un
unico grande centro di eccellenza; H&S (Hub and Spoke), con strutture di primo livello collegate a centri di
maggiore specializzazione diagnostica o terapeutica; CCN (Cancer Care Network), che privilegiano
l'integrazione organizzativa senza però definire una chiara gerarchia, sebbene sia presente una
centralizzazione che regola e orienta l'offerta dei servizi, modello, secondo Cipomo, più indicato per l'Italia.
Dall'indagine di Cipomo sullo stato di realizzazione dei Dipartimenti oncologici in Italia, è emersa una forte
sperequazione tra Nord (48,4%), Centro (37,1%) e Sud (14,5%).
E il 72,7% degli oncologi intervistati ha riportato grandi difficoltà, se non impossibilità, a sviluppare un
dipartimento efficace. Solo il 30% gestisce l'allocazione dei fondi.
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Il Sole 24 Ore SanitÃ
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(tiratura:40000)
Tensione muscolare, conduttanza elettrica cutanea, temperatura periferica, respirazione toracica e
addominale, onde cerebrali, frequenza cardiaca: la tecnica del biofeedback, che rientra nella mind-body
medicine, consente di studiare l'interazione tra mente e corpo, fornendo il quadro completo della condizione
di stress in cui si trova il nostro organismo, per combattere ansia, cefalea di tipo tensivo ed emicrania,
disturbo dell'attenzione e iperattività, dolore cronico, ipertensione, asma, epilessia, sindrome di Raynaud
(cianosi delle dita), insonnia. Si tratta di una biorilevazione, effettuata con vari trasduttori (elettrodi, termistori,
altri sensori) applicati al paziente, che rilevano ed elaborano l'attività bioelettrica della funzione monitorata,
restituendola in tempo reale sotto forma di segnale, luminoso o sonoro, immediatamente percepibile. Con il
biofeedback si ricavano precise informazioni sulla nostra funzionalità biologica, particolarmente utili in caso di
sindrome generale di adattamento alle sollecitazioni dell'ambiente: registra il ritmo del respiro, la temperatura
cutanea, le onde cerebrali e l'attività elettrica delle pelle e dei muscoli. Attraverso la conoscenza del proprio
corpo, dei suoi punti di forza e delle sue carenze, ognuno, opportunamente guidato da uno specialista (in
genere uno psicoterapeuta), può operare su di sé i cambiamenti necessari per migliorare gradatamente la
qualità della vita e prevenire i disturbi dell'età, incrementando le prestazioni professionali, sportive o artistiche.
Durante le sedute, un efficace training di rilassamento con Emg-biofeedback produce una riduzione della
secrezione di ormoni dello stress come l'Acth e la prolattina. D.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Biofeedback, rilassamento guidato contro lo stress
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QN - Il Giorno - Milano
Pag. 24
(diffusione:69063, tiratura:107480)
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Trent'anni di lotta contro i tumoricon l'aiuto di settecento volontari
Le molte storie alla Lilt, sempre alla ricerca di nuovi collaboratori
SIMONA BALLATORE
di SIMONA BALLATORE MILANO OLTRE settecento volontari, con 700 storie, esperienze e motivazioni
diverse. Sono la forza della Lilt Milano, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. L'associazione ha
festeggiato il 30° anniversario della Giornata del Volontario e della scuola di formazione volontariato in
oncologia, la prima in Italia. Dietro ciascun volontario ci sono percorsi formativi, professionalità. «Mi sono
avvicinata alla Lilt quando mio figlio ha compiuto 15 anni e non aveva più bisogno della sua mamma, oggi ne
ha 45 sorride Antonietta Vinci, una delle pioniere, che dopo essersi occupata per anni dell'assistenza
domiciliare ai malati terminali ha preso servizio nell'hospice . Ero nel gruppo sperimentale, prima non esisteva
questo percorso di formazione che va portato sul palmo della mano. Nella terapia del dolore non è facile finire
il servizio e tirare giù la cler, senza lasciarsi coinvolgere. I primi due anni sono sempre la prova del fuoco, ma
se sono ancora qui è perché la scuola è seria e i pazienti ti danno tanto, e non è una frase fatta, quello che
ricevi è più di quello che fai. Affrontiamo situazioni familiari drammatiche, ma tocchiamo con mano la vita».
Marcella Balestri, ex professoressa di Storia del diritto romano all'Università di Milano, è entrata in
associazione lo scorso anno, presta servizio nell'ambulatorio di senologia radiologica. «LE MOTIVAZIONI
sono tante spiega sin dal liceo mi sono avvicinata al volontariato. È anche nel Dna dei miei genitori. Andando
avanti con gli anni, poi, ci sono tante realtà che suscitano interrogativi, come il grandissimo mistero della
sofferenza, devastante, ma che mette a nudo la grande dignità dell'uomo. Per tutta la vita non ho fatto altro
che parlare, giudicare, ho tenuto centinaia di esami, adesso mi accosto a persone che hanno necessità di
essere ascoltate. Non siamo soli in questo. Siamo seguiti benissimo, la formazione è fondamentale e anche
la selezione iniziale, per evitare che il volontario soffra. Ciascuno viene indirizzano nell'ambiente giusto. È
un'esperienza che consiglio ai giovani». Italo Moriondo, alpinista doc, è il capogruppo dei volontari che si
occupano di accompagnamento. «Lavoravo in una casa editrice racconta - quando mi hanno prepensionato
mi sono avvicinato alla Lilt. Non sono un tipo da pantofole, mi sono detto perché non approfittare del tempo
libero per fare qualcosa per gli altri?». Da 16 anni accompagna i pazienti nelle strutture ospedaliere.
«L'alpinismo mi aiutava a scaricare sottolinea -. Penso sempre a un bambino che portavo a Bosisio Parini, lo
accompagnavo, andavo ad arrampicare e lo riportavo a casa. Oggi è un ragazzo, ha recuperato parte della
sua vita. Le esperienze positive aiutano ad andare avanti». Un brutto giorno però Italo è stato catapultato dal
sedile dell'autista a quello del passeggero: «Sono stato sei mesi in ospedale, l'associazione mi è stata vicina,
sentivo un calore familiare. Quando ero a letto e guardavo il soffitto, con il bandierone della Lilt, mi sono
ripromesso: se metto le gambe fuori torno sull'ultima cima in cui sono stato, la Marmolada». E ad agosto era
lì, in vetta sventolava la sua bandiera. «Questa esperienza, di cui avrei fatto a meno, mi aiuta oggi con i
pazienti, quando sanno che abbiamo condiviso la stessa strada non mi vedono più come un estraneo».
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Quotidiano del Molise
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Sarà destinata ai malati di sclerosi multipla, sla, alzheimer, parkinson, anoressia e malattie degenerative
Cannabis a uso terapeutico, presentata la legge
Ciocca, Ioffredi e Monaco depositano la proposta: coltivazione e assunzione disciplinate da severe norme
Uso della cannabis per scopi terapeutici, anche il Molise adesso ha una proprosta di legge in merito. E' stata
infatti protocollata ieri mattina, presso l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, la proposta di legge sulle
"Disposizioni organizzative relative all'utilizzo di talune tipologie di farmaci nell'ambito del servizio sanitario
regionale" a firma dei consiglieri regionali Salvatore Ciocca (Per la Sinistra - Comunisti Italiani), Domenico
Ioffredi (Sinistra Ecologia Libertà) e Filippo Monaco (Costruire Democrazia). La proposta di legge intende
disciplinare, sotto il profilo organizzativo e procedurale, l'utilizzo dei farmaci cannabinoidi quale ausilio
terapeutico all'interno del servizio sanitario regionale; sono 10 al momento le Regioni italiane che hanno già
legiferato in materia riconoscendo l'efficacia farmacologica dei dispositivi farmaceutici indicati
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per le terapie palliative del dolore su pazienti oncologici, su
pazienti sieropositivi e/o affetti da Hiv, per i sintomi di patologie gravi come la sclerosi multipla e la Sla, per gli
effetti collaterali delle chemioterapie e delle radioterapie, per la cura del glaucoma, dell'epilessia, dello stress
post traumatico, dell'emicrania, della depressione, dei traumi cerebrali, delle malattie croniche intestinali,
dell'astenia, dell'anoressia, della sindrome bipolare, della sindrome di Tourette, della spasticità muscolare,
dell'artrite reumatoide e altre malattie infiammatorie e autoimmuni croniche, per l'asma bronchiale, per le
malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, la Còrea di Huntington e il morbo di Parkinson.
Nell'elaborazione di questa proposta di legge, i consiglieri Ciocca, Ioffredi e Monaco hanno inteso
condivisibile innanzitutto il riconoscimento del diritto di tutti i pazienti di vivere senza sofferenze inutili e di
ricevere cure adeguate rispetto ai problemi di salute e di relazione, rendendo quindi lo sviluppo delle cure
palliative e di fine vita tra le priorità dei servizi sanitari e sociosanitari. Di pari passo, a seguito delle
esperienze messe in campo in altre Regioni, si è inteso attivare - all'interno della proposta di legge in oggetto
- un percorso di ricerca e sperimentazione prevedendo progetti pilota di coltivazione a scopi terapeutici
attraverso la stipula di convenzioni con Enti e Soggetti autorizzati (i Ministeri della Difesa e della Salute, le
associazioni dei coltivatori diretti, l'Università degli Studi del Molise, gli istituti e/o i laboratori di ricerca). Come
è infatti noto, tale terapia farmacologica non è ancora presente nel mercato nazionale dei medicinali. I medici
che ritengono di dover sottoporre i propri pazienti a tale cura con derivati della cannabis possono richiederne
l'importazione dall'estero così come previsto dal Ministero della Salute il primo febbraio del 1997 (Modalità di
importazione di specialità medicinali registrate all'estero) oppure possono utilizzare le preparazioni magistrali
allestite in farmacia. Lo scorso 5 settembre, i Ministeri della Salute e della Difesa hanno sottoscritto una
apposita convenzione tesa alla coltivazione della cannabis terapeutica sotto la gestione diretta dello
stabilimento chimico militare di Firenze. Con la predisposizione di questo testo normativo, si regolano anche
in via amministrativa le funzioni dell'Azienda Sanitaria Locale finalizzate a coadiuvare gli assistiti, su richiesta
degli stessi, nella messa in atto delle procedure d'acquisto dei medicinali registrati all'estero come già stabilito
dal citato decreto ministeriale. Gli oneri di spesa sono a carico della struttura ospedaliera in coerenza con il
dettato dell'articolo 5 del decreto del Ministero della Sanità del 1 ottobre 1997 e in conformità alla normativa
sulle prestazioni ospedaliere. L'accollo di tali spese non comporta in ogni caso oneri aggiuntivi perché le
spese per tali tipologie di farmaci sono effettuate nei limiti del budget nazionale. Tale decreto infatti consente
di far gravare per intero tali oneri - così come per la generalità dei farmaci registrati all'estero - sul servizio
sanitario a fronte dell'acquisto richiesto da una struttura ospedaliera in ambito ospedaliero. Ciocca, Monaco e
Ioffredi
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Le cure palliative per alcuni malati sono l'unica possibilità di preservare una qualità della vita accettabile.
Ecco perché devono partire subito, non solo in fase terminale. E riguardare tutta la famiglia.
ni sono momenti, giorni, settimane che non possono essere spiegati. Sono quelli in cui il tempo si dilata e si
vive aspettando: che il dolore passi, che il tempo passi, che la pace arrivi. Sono i giorni dei malati terminali,
complessi da spiegare, difficili da vivere. Eppure a questi giorni un senso si deve dare. Lo ha capito anche lo
Stato, che - seppur tardi - ha sancito il diritto dei malati terminali alle cure palliative attraverso una legge
quadro, la n. 38 del 15 marzo 2010. Una legge all'avanguardia che definisce queste cure, le mette nero su
bianco, perché possano essere comprese da tutti per quello che sono: interventi per migliorare la qualità della
vita dei pazienti e delle loro famiglie che affrontano una malattia grave incurabile, attraverso il sollievo dalla
sofferenza e il trattamento del dolore. Quindi, per favore, non chiamiamole eutanasia. Non c'entra niente. Che
cosa sono Partiamo dal principio. Le cure palliative non sono solo farmaci, ma un insieme di interventi che
devono dare al paziente e ai suoi familiari l'aiuto di cui hanno bisogno. Questo vuoi dire: alleviare il dolore che
spesso si associa alle malattie gravi o incurabili (come il cancro, ma non solo); confortare dal punto di vista
psicologico e spirituale; sostenere il malato insieme a tutti quelli che gli stanno intorno e gli vogliono bene.
Quando? Durante la malattia, in prossimità della morte, nel lutto. Ecco perché si parla di cure palliative, dal
latino pallium, mantello, come una coperta intessuta proprio per proteggere una famiglia di persone; cure non
intese come una terapia che guarisce (purtroppo), ma piuttosto come atti che confortano il malato e le
persone che lo circondano. A chi spettano? I pazienti che possono riceverle sono quelli affetti da malattie
croniche, gravi, per le quali non esistono terapie oppure, se esistono, si sono rivelate inadeguate o inefficaci:
nella maggior parte dei casi si tratta di cancro, agli stadi terminali. Ma ve ne sono anche molte altre. Per
alleviare la sofferenza Anzitutto si pensa a questo: controllare, lenire il dolore fisico. Perché è proprio questo
che toglie dignità alla persona, la cambia, la spaventa, la imbnittisce. La legge 38 - tra l'altro una normativa
all'avanguardia, la sola in ambito europeo che garantisca l'accesso alle cure palliative - tutela il diritto del
cittadino alla terapia del dolore. In che cosa consiste? Anche in questo caso si tratta di un insieme di
interventi - differenti e definiti in base alle esigenze di ogni singolo malato - che servono a controllare il dolore
del paziente. Possono essere terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche o riabilitative,
singole o integrate tra loro in modo variabile: modulate, appunto, in base a quello di cui ha bisogno il malato.
In realtà alla terapia del dolore si ricorreva anche prima della legge del 2010, come ultima possibilità di
trattamento nella gestione dei malati terminali. Oggi però la legge 38 ha facilitato notevomente la prescrizione
dei farmaci, alleggerendo volutamente le incombenze burocratiche che gravavano sui medici e sui farmacisti.
E questo ha facilitato i pazienti nell'accesso alla terapia del dolore.
Misurare in modo preciso Per individuare e capire bene come affrontare il dolore, le legge impone l'obbligo
di rilevarne il grado, usando alcune scale di misura. Questa novità introdotta nella normativa serve proprio per
tutelare chi sta male. Sono molti gli studi infatti che hanno evidenziato che la valutazione esterna del dolore
(quella fatta da un medico o da un infermiere) sottostima spesso la sua reale intensità. A parte dunque i casi
di neonati o pazienti incapaci di esprimersi I per cui la valutazione esterna è l'unica possibile, per avere una
visione reale dell'esperienza dolorosa di un malato sono necessarie diverse valutazioni. I test che sono stati
creati con questo compito, usati negli ospedali, sono molti: esistono scale verbali, scale numeriche, scale che
prendono in considerazione più sintomi (stanchezza, depressione, ansia, inappetenza...). Esistono anche
sistemi di valutazione dedicati ai bambini (dai 3 agli 8 anni) con faccine dalle diverse espressioni oppure
scale basate sui numeri, per i più grandicelli che hanno acquisito il concetto di proporzionalità (il numero
cresce al crescere del dolore). Come le scale di valutazione, anche la terapia del dolore è fatta a "gradini": si
usano prima i farmaci ad azione inferiore e poi i farmaci più potenti; a volte si usa un solo farmaco, altre volte
si usano farmaci diversi, associati tra loro. In genere per il dolore lieve si utilizzano il paracetamolo o i FANS
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AIleggerire il dolore la cura che protegge
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(farmaci antinfiammatori non steroidei); per il dolore moderato si utilizzano gli oppioidi (chiamati anche
oppiacei) minori (per esempio la codeina o il tramadolo), associati o meno ad altri farmaci attivi sul dolore; per
il dolore moderato-severo si ricorre agli oppioidi maggiori (per esempio la morfina o la buprenorfina), associati
o meno ad altri farmaci.
Fin dall'inizio Subito: l'Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito che le cure palliative possono
essere iniziate fin da subito cioè, nel caso di cancro, in concomitanza con la chemioterapia o la radioterapia
per controllarne gli effetti indesiderati. Ma questo è un grande passo avanti rispetto al passato. E non è il
solo. La terapia del > dolore, garantita in ospedale, dev'essere garantita anche a domicilio. Come le cure
palliative, che vengono iniziate in ospedale e devono poter proseguite anche a casa. È questo un altro punto
messo a segno dalla legge 38, una normativa giuridicamente esaustiva, che disciplina anche l'assistenza
domiciliare o, in alternativa, quella residenziale nei cosiddetti hospice. In questo panorama, dunque, se
qualcosa va migliorato non riguarda il piano giuridico: quello che servirebbe è invece maggiore informazione,
più consapevolezza pubblica e una migliore preparazione dei medici. Sebbene il ministero della Salute
sottolinei nei suoi rapporti che l'uso dei farmaci nella terapia del dolore dal 2011 al 2013 è in aumento (del
48%), secondo il Libro Bianco di Aboutpharma (rivista di riferimento del settore) le diagnosi corrette e il
conseguente uso dei farmaci sembrano ancora piuttosto carenti. I Fans restano i medicinali più utilizzati, ma
spesso sbagliando. Insomma la sofferenza a volte è sottovaluta: la buona legge - da sola - non basta. A casa
propria Anche a casa. Una volta dimesso dall'ospedale, il paziente deve continuare a ricevere le cure di cui
ha bisogno. Lo legge lo dice, ma tra il dire e il fare, sappiamo passa un mare, fatto di problemi. Che variano di
regione in regione. Per proseguire le cure palliative a casa è necessario intessere una rete molto stretta, fatta
di collaborazione tra i medici dell'ospedale, il medico di famiglia e la famiglia stessa, che deve coordinare
l'assistenza. E si sa nella vita reale spesso le cose si complicano. Quando un paziente non ha chi lo può •
aiutare o l'impegno è troppo gravoso per la famiglia, o anche se la malattia è di difficile gestione, il inalato
dovrebbe aver diritto a un posto in un hospice. Si tratta di strutture residenziali dedicate al ricovero e alla
degenza dei malati che necessitano di cure palliative. Purtroppo il condizionale è d'obbligo, perché gli
hospice non sono distribuiti in modo omogeneo sul terriorio italiano. Secondo la Fedcp (Federazione Italiana
Cure Palliative) sono 230 le strutture presenti in Italia (per un totale di 2.524 posti letto): la maggioranza si
trova al Nord e al Centro; nel Sud e nelle Isole si trova solo il 16,2% di tutti i posti letto. La Lombardia è la
regione più fornita (65 strutture con 740 posti letto); segue il Lazio, con 26 strutture e 348 posti letto e l'Emilia
Romagna con 21 hospice e 276 posti letto. Ma non è solo questione di posti letto: esistono differenze tra
regione e regione nell'organizzazione dell'aspetto assistenziale. E in alcuni casi i livelli essenziali di
assistenza su cure palliative e terapia del dolore sono inadeguati (Lazio e Molise per esempio sono state
considerate regioni inadempienti secondo la rilevazione fatta dal ministero della Salute nel 2012). Per fortuna
c'è il volontariato. Grazie al no-profit Un ruolo essenziale nell'assistenza del malato terminale e della sua
famiglia è spesso svolto dalle organizzazioni non profit, che intervengono sia con operatori professionali
(retribuiti dalle organizzazioni stesse) sia con volontari. Come funzionano? «In Lombardia - ci spiega Giorgio
Trojsi, segretario generale di Vidas, una delle associazioni che fornisce assistenza completa e gratuita ai
malati terminali e alle loro famiglie - chi ha bisogno di assistenza riceve un elenco di enti accreditati con la
Regione e, secondo il principio di "libera scelta" il cittadino può scegliere a chi rivolgersi. Vidas riesce ad
attivare il percorso di cura in 24/48 ore, con una tempestività assoluta rispetto al bisogno». Ma non è così in
tutta Italia, purtroppo. In alcune regioni le organizzazioni non profit non operano integrando il servizio
sanitario pubblico, ma coprono letteralmente un vuoto assistenziale, che il servizio sanitario nazionale non
riesce a garantire. Per non parlare di territori in cui l'assistenza con le cure palliative è del tutto assente.
«L'azione di supplenza del mondo non profit però non può essere perpetua e limitata al "fare servizio"».
Secondo Trojsi «le organizzazioni del terzo settore devono svolgere contemporaneamente un'azione di
"advocacy" di denuncia, di difesa del diritto». È quello che cerca di fare anche la Federazione Cure Palliative
- l'ente a cui aderiscono 80 organizzazioni non profit attive in questo campo partecipando a tavoli istituzionali
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e promuovendo azioni di sensibilizzazione affinchè i diritti sanciti dalla legge, in particolare la legge 38/2010,
possano essere goduti da tutti i malati, senza distinzione di età e su tutto il territorio nazionale. «E non solo prosegue Trojsi - serve una semplificazione dei rapporti amministrativi e di controllo introdotti dall'ente
pubblico: così le risorse oggi necessarie per gestire e soddisfare le esigenze burocratiche di asl, regioni e
ministeri potrebbero essere destinate a migliorare ed estendere i servizi offerti. Questo impegno delle
organizzazioni non profit dovrebbe sempre essere presente, anche in altri ambiti. Ricordiamolo: sono un bene
prezioso. Perché le organizzazioni del Terzo Settore sono moltiplicatori di risorse attraverso l'attività di
fundraising che molte di loro svolgono. E - conclude Trojsi - il volontariato genera persone migliori, che
restano migliori anche fuori dall'organizzazione in cui operano, nella società in cui vivono».
L'assistenza può esser già neg
Oppiacei: i dubbi È vero che l'uso degli oppioidi per il No. Gli oppioidi sono farmaci ben conosciuti e non
influiscono sul tempo naturale di sopravvivenza dei malati che li assumono. Inoltre, controllando il sintomo
dolore, migliorano la qualità della vita del paziente e di riflesso anche quella dei suoi familiari.
denza e possono essere. questo tipo di malati è un evento rarissimo (0,03%). Gli oppioidi possono essere
utilizzati per qualunque malattia caratterizzata da dolore intenso e a qualunque età: innalzano la soglia
percettiva del dolore e influiscono positivamente sulla componente emotiva che lo accompagna. In pratica
alleviano il dolore e aiutano il malato a tollerarlo meglio: in dosi adeguate non alterano la coscienza.
È vero che ie cure palliative spnoriserNo. Sono rivolte alle persone affette da malattie, per le quali non
esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o risultano inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia
o di un prolungamento significativo della vita.
la strada insieme una bici-tandem con il malato e iniziare un percorso in cui ogni pedalata va fatta insieme
LE CURE PALLIATIVE SONO: "L'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia
alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di
base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti
specifici" (così le definisce la legge 38 del 2010)
Che cos'è l~ La sedazione pallia- tiva è un trattamento delle cure palliative: serve a trattare i sintomi del
paziente che si avvicina al momento della fine (dolore incontrollato, fame d'aria, delirio). I farmaci usati in
genere sono quelli della famiglia delle benzodiazepine, con azione sedativa e ipnotica, somministrati pervia
iniettiva (a volte insieme a farmaci come antidolorifici e ipnotici).
No. La sedazione Fonte:SICP, Società Italiana Cure Palliative palliativa non solo è un trattamento legittimo
sia sul piano etico-deontologico sia su quello legale, ma è anche un trattamento dovuto ai pazienti che hanno
diritto di conservare la loro dignità al termine della loro vita, quando presentano sintomi che non rispondono ai
consueti trattamenti. Il suo obiettivo è ridurre o abolire la percezione della sofferenza con farmaci sedativi non
letali: l'esito finale è la riduzione della vigilanza e della coscienza del paziente. L'eutanasia, invece, ha come
obiettivo provocare la morte del malato, utilizzando sostanze letali (per tipo e dosaggi). <^
contro i pregiudizi La sedazione palliativa usa farmaci sedativi, non letali, per ridurre la vigilanza
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La Stampa - Torino
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(diffusione:309253, tiratura:418328)
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il caso
La cannabis arriva in Regione
Andrea Rossi
I sostenitori della legalizzazione delle droghe leggere si rassegnino: non è (ancora) il loro momento. Per chi,
invece, da anni si batte perché l'Italia - come Austria, Canada, Finlandia, Germania, Israele, Paesi Bassi,
Portogallo e Spagna - autorizzi l'uso della cannabis a fini terapeutici, potremmo essere al dunque. Da ieri
giace in Regione una proposta di legge, presentata dal capogruppo di Sel Marco Grimaldi, per consentire
l'utilizzo della canapa a quei pazienti cui venga prescritto, in particolare nel campo oncologico.
Dopo il blitz in Comune (Torino è stata la prima città italiana a chiedere la liberalizzazione della marijuana)
Grimaldi - che nel frattempo s'è trasferito in Regione - ci riprova, stavolta con qualche probabilità di incidere.
La Regione, infatti, ha ben altre leve: in Toscana, Liguria, Sicilia e Veneto sono stati autorizzati i farmaci
cannabinoidi per la terapia del dolore e approvata la distribuzione in ospedale, farmacia e a domicilio.
Grimaldi ha radunato undici consiglieri del centrosinistra, tra Pd e Moderati, capitanati da Mario Giaccone
della lista Chiamparino, ex presidente dell'ordine dei farmacisti, e presentato una proposta di legge che, se
approvata, impegnerà la giunta di Sergio Chiamparino a procedere entro tre mesi.
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 04/12/2014
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Il Nuovo Quotidiano di Puglia - Lecce
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«L'obiettivo è curare in casa il paziente»
d Persino il programma di Rai 3 Report nella penultima puntata ne ha lodato l'impegno ed esaltato il ruolo. Un
ruolo che la dottoressa Rita Mellone, specializzata nelle cure palliative e responsabile dell'equipe Ant di
Lecce, rimarca con forza. E rilancia, alla luce anche del grande coinvolgimento seguito in città alla
trasmissione di Milena Gabanelli grazie alla quale decine di cittadini del Salento si sono avvicinati alla
fondazione proponendosi come volontari. Dottoressa Mellone, perché è importante sostenere l'Ant?
«Obiettivo primario di Ant è offrire l'ospedalizzazione a domicilio ai malati di tumore in maniera
completamente gratuita, curando il paziente nella propria casa con un'assistenza socio-sanitaria il più
possibile globale, sia per il malato sia per la sua famiglia». Le cure a domicilio quali vantaggi comportano?
«Enormi. Anche per il sistema sanitario nazionale. Basti dire che la presa in carico di un paziente da parte di
Ant comporta un costo di circa 2.000 euro - esclusi i farmaci che restano a carico del SSN - per una media di
132 giorni di assistenza a paziente. Tenendo conto che il costo di una giornata di degenza in una struttura
residenziale dedicata alle cure palliative è di circa 240 euro e quella di una giornata di ricovero in un ospedale
pubblico è di circa 780 euro, risulta evidente il risparmio che ne deriva». Per non parlare dei benefici e del
benessere globale per il malato. «È proprio così. Al lavoro dei sanitari si affianca un servizio socioassistenziale che prevede - sulla base delle risorse disponibili - visite specialistiche domiciliari, cure igieniche,
trasporto del paziente da casa all'ospedale per svolgere esami strumentali che non possono essere eseguiti
a domicilio». A.Nat.
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L'INTERVISTA
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Tema Farmacia - N.10 - novembre 2014
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TEMA DEL MESE Terapia del dolore
Chi conosce a legge 38?
Dal 2010 in Italia esiste la legge 38 sulle cure palliative e la terapia del dolore . Una legge importante che ha
dato il via ad una rivoluzione culturale, che dai dati recentemente pubblicati sembra faticare a realizzarsi. Nel
migliorare la sua concretizzazione un ruolo fondamentale è quello del farmacista.
Chiara Romeo
La legge 38 del 2010, sulle 'Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore' è
considerata sulla carta una delle migliori normative in tema di dolore cronico a livello mondiale. Rimane però
una grossa discrepanza tra ciò che viene definito sulla carta e quello che viene attuato per la cura concreta
dei malati. Un libro bianco fa il punto sulla situazione, mentre un'iniziativa in farmacia porta la legge
all'attenzione dei cittadini. • UNA FOTOGRAFIA A QUATTRO ANNI DALLA LEGGE II Libro Bianco sul dolore
cronico, recentemente presentato in occasione di un convegno sul dolore, fornisce per la prima volta una
fotografia della situazione italiana, attraverso i contributi di alcuni fra i massimi esperti sul tema, con stime dei
costi sociosanitari legati al dolore cronico e analisi degli elementi che ancora ostacolano l'appropriatezza
terapeutica. Dai numeri presentati emerge come il dolore cronico in Italia abbia un costo sociosanitario annuo
pari a 36,4 miliardi di euro, di cui 11,2 miliardi a carico del Servizio sanitario nazionale per tarmaci, ricoveri e
diagnostica e 25,2 miliardi di costi indiretti; un fenomeno che coinvolge 13 milioni di cittadini, di cui 8 milioni
sono direttamente a carico del Ssn. Interessanti, poi, i dati sulle vendite dei tarmaci: a fronte di una crescita
d'uso negli ultimi quattro anni di analgesici oppioidi, il confronto con le vendite di FANS è ancora sbilanciato a
favore di quest'ultimi. Nel 2013 i FANS hanno toccato quota 240 milioni di euro, contro i 179 degli oppioidi, di
cui 101 per quelli forti. Nel confronto tra i principali Paesi Europei, l'Italia si conferma così all'ultimo posto per
uso di oppioidi e al primo per impiego di FANS. Anche il dato sulla spesa pro-capite in oppioidi forti evidenzia
il ritardo del nostro Paese e le barriere culturali che ancora ostacolano l'impiego di questi tarmaci: 2,11 euro,
mentre in Germania, ad esempio, la stessa spesa sale a oltre 10 euro a cittadino, che è il valore più alto in
Europa. Viceversa la spesa pro-capite dei FANS in Italia risulta la più elevata, pari a 3,91 euro, a fronte di
1,82 euro nel Regno Unito. Un dato che colloca l'Italia all'ultimo posto in Europa per uso di oppioidi e primo
per uso dei Fans. "Ci sono segnali di fiducia per lo sviluppo della terapia del dolore nel nostro Paese"
commenta Guido Fanelli, presidente della commissione ministeriale Terapia del Dolore e Cure palliative
"Nell'ultimo anno c'è stato un aumento del 40% e si nota un decremento dell'uso dei Fans a favore degli
oppioidi. Ma, nonostante i grandi passi avanti fatti grazie alla legge 38/2010 ci sono ancora molte criticità. La
prima - sottolinea Fanelli - è che non c'è informazione, tra i pazienti nessuno conosce la legge 38. Poi c'è un
grande problema di formazione dei medici". Mentre per quanto riguarda il ruolo del farmacista, afferma
Fanelli, "il coinvolgimento del farmacista come parte importante per una corretta attuazione della Legge 38 è
un aspetto che mi sta particolarmente a cuore", e prosegue "Nelle fasi concitate che hanno portato alla
promulgazione della normativa sulla terapia del dolore e le cure palliative, abbiamo dimenticato una figura
che tutti noi riconosciamo basilare per il ruolo che svolge. Mi riferisco non solo al farmacista sui territorio, ma
anche al farmacista ospedaliero. Ho sempre affermato che la Legge rappresenti un punto di partenza,
sicuramente migliorabile in alcuni sui aspetti e questo è uno di quelli". • UN PROGETTO IN FARMACIA
L'associazione Vivere senza dolore onlus, per valorizzare la figura del farmacista nella gestione del dolore, ha
dato vita ad una iniziativa progetto dal nome Fa.&Do. - II farmacista come riferimento del cittadino con dolore
. "Sono particolarmente soddisfatta di essere riuscita ad attuare questo progetto, al quale pensavo da oltre
due anni", afferma Marta Gentili, Presidente dell'Associazione pazienti vivere senza dolore. "L'idea è nata da
una nostra indagine, condotta a pochi mesi dalla promulgazione della legge 38, nella quale emergeva la
difficoltà di reperimento dei tarmaci, pur a fronte della semplificazione della ricettazione, e della mancanza di
un ruolo attivo sanitario del farmacista: indicazione sulla prescrizione e uso del farmaco e supporto al
paziente." Non possiamo però ignorare, prosegue Gentili "che il farmacista è la figura di riferimento, accanto
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a quella del medico di famiglia, alla quale oltre il 40% degli italiani si rivolge per un consiglio in tema di salute.
Quindi, chi meglio può aiutare a diffondere una cultura sul tema dolore, la conoscenza della Legge 38 e tutto
quanto possa essere utile per migliorare la vita di chi soffre?" L'iniziativa dunque nasce, "per colmare una
lacuna importante: l'assenza del farmacista come figura coinvolta nel processo dì cura del dolore.
Considerando che in Italia, dati ufficiali riferiti all'anno 2013 parlano di oltre 3.200 abitanti per farmacia, con
un numero di battute di cassa medie pari a 150 scontrini al giorno. Se consideriamo, in base alle statistiche,
che 1 italiano su 4 soffre di dolore, questo vuoi dire che ogni giorno in farmacia entrano mediamente 37,5
persone con una problematica algica. Moltiplicato per 250 giorni medi lavorativi, in un anno il farmacista entra
in contatto più di 9.300 volte con persone colpite da una sintomatologia dolorosa." L'iniziativa si concretizza in
una attività formativa per i 300 farmacisti coinvolti; una informativa, indirizzata agli oltre 500.000 cittadini
afferenti alle farmacie aderenti e che vedrà la pianificazione di giornate dedicate, con un esperto a
disposizione pronto a rispondere a domande sul tema dolore; una parte digitale, attraverso la quale, grazie
all'impiego di strumenti tecnologici, verrà messa a disposizione dei clienti delle farmacie una serie di servizi e
di materiali di approfondimento. Non solo, il progetto prevede anche il coinvolgimento dei medici di famiglia i
cui pazienti gravitano intorno alle farmacie coinvolte. • FARMACISTI E GESTIONE DEL DOLORE II
farmacista oggi, nella gestione del dolore cronico ha "un ruolo di supporto del paziente fondamentale,
soprattutto nei casi in cui il medico non è ancora entrato in scena, per così dire" spiega Andrea Mandelli,
Presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti, FOFI. "Non si deve dimenticare, infatti, che buona
parte dell'automedicazione verte proprio sul trattamento di manifestazioni dolorose e che tra SOP e OTC
l'anno scorso erano in commercio oltre 400 confezioni differenti e che per volumi di vendita rappresentano
poco meno del 19% del totale: un medicinale su cinque che il farmacista dispensa per l'automedicazione è un
antidolorifico." Continua Mandelli: "è vero che spesso si tratta di manifestazioni acute, ma altrettanto spesso il
farmacista è in grado di individuare quando il cittadino passa a un consumo cronico e, di conseguenza,
raccomandargli il ricorso al medico. Anche quando c'è una prescrizione, il farmacista ha in molti casi una
funzione di educazione del paziente all'uso corretto del medicinale, di consulenza di fronte ai dubbi - e ai
timori - che possono sorgere in chi per la prima volta si vede prescrivere analgesici maggiori sui quali, è bene
non dimenticarlo, sussistono ancora concezioni errate o addirittura vere e proprie leggende metropolitane."
Una funzione educativa e di guida, dunque, dì rinforzo delle indicazioni del medico."Sicuramente in una
sanità che tende sempre più a deospedalizzare e con una assistenza sul territorio che diventa sempre più
importante per il Sistema sanitario nazionale, la farmacia ha e avrà un ruolo sempre più rilevante, anche in
termini di risparmio" afferma Annarosa Racca, Presidente Federfarma, "questo alla luce delle ricerche più
recenti, come quella presentata da Utifar, che confermano l'altissima fiducia dei cittadini nei confronti dei
farmacisti. Si stima che nel lavoro quotidiano del farmacista due ore siano dedicate all'ascolto e all'assistenza
al malato" E continua "per questo ritengo che si possa fare la differenza anche nella gestione del dolore. Con
una farmacia vicina a chi soffre, non solo nella gestione del farmaco, con la prevenzione di impieghi errati o
abusi dei tarmaci, ma anche con un ruolo sociale, essendo da sempre vicino al malato." Inoltre, aggiunge
Racca, come Federfama "abbiamo da sempre partecipato alla Giornata del Sollievo, promossa dalla
Fondazione Gigi Ghirotti, insieme al Ministero della Salute e Conferenza delle Regioni." Per il futuro quello
che farà la differenza è "la normativa dei servizi, che renderà il nostro ruolo sul territorio sempre più vicino ai
malati" aggiunge la presidente Racca "anche per quanto riguarda l'Assistenza Domiciliare Integrata che
permetterà la continuità assistenziale sul territorio". • LA LEGGE 38/2010 E I FARMACISTI "Come
Federfarma abbiamo contribuito alla stesura della Legge 38/2010, che fu una vera e propria rivoluzione
culturale con una grande semplificazione delle prescrizione e l'abolizione di tanti formalismi. Per i malati è
stato molto più semplice accedere alla terapia del dolore. Molti dei tarmaci prescritti per la terapia del dolore
necessitano solo della ricetta bianca." Nel momento della stesura, aggiunge Mandelli "La consulenza della
Federazione fu decisiva nel risolvere alcuni aspetti delle modalità di prescrizione e dispensazione degli
oppiacei, che ostacolavano la prescrizione degli analgesici oppiacei, a cominciare dal ricettario speciale, ma
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soprattutto creavano dei disagi al paziente e ai caregiver. Per esempio, l'inquadramento dei vizi formali nella
prescrizione: dall'entrata in vigore della Legge, il cittadino non deve più tornare dal medico nel caso che
questi abbia indicato, per esempio, un numero sbagliato di confezioni, ma l'errore potrà essere risolto
direttamente in farmacia. Il prossimo passo deve essere il riconoscimento che le prestazioni professionali
avanzate del farmacista di comunità vengano riconosciute nella convenzione che regola il rapporto tra
farmacie e servizio sanitario e trovino applicazione anche nell'assistenza a questi pazienti." • UN RUOLO
SEMPRE MAGGIORE In futuro il ruolo del farmacista potrebbe avere un peso maggiore "Innanzitutto dando
finalmente applicazione concreta alle parti più qualificanti della Legge sulla farmacia dei servizi." Prosegue
Mandelli "Ricordo che lì si prevede, infatti, la possibilità per il farmacista di comunità di preparare i medicinali
antidolorifici personalizzati su indicazione del medico, la sua partecipazione all'assistenza domiciliare
integrata. Ma soprattutto riconoscendo e dando spazio ai cosiddetti servizi cognitivi come il MUR, cioè la
revisione dell'uso dei medicinali che la Federazione ha organizzato con la Medway School of Pharmacy.
Questa prestazione professionale, che si applica a tutte le condizioni croniche, permette di valutare
l'aderenza del paziente alla prescrizione, di raccogliere elementi che possano indicare che il paziente ha
problemi a usare correttamente i medicinali, oppure a evidenziare possibili interazioni farmacologiche e altre
circostanze necessarie che è necessario riportare al medico e correggere. Insomma, sottolinea il presidente
FOFI "una presa in carico del paziente per quanto riguarda il rispetto delle cure prescritte e le condizioni che
lo favoriscono. L'assistenza al paziente affetto da dolore cronico è una delle situazioni in cui l'opera del
farmacista, accanto agli altri attori dell'assistenza, porterebbe significativi vantaggi soprattutto in termini di
qualità della vita." Conclude la Presidente Racca "È importante coinvolgere sempre più il farmacista nella
gestione della terapia del dolore e nella attuazione della Legge 38/2010, proprio perché le diverse normative
siano effettivamente concretizzate sul territorio e per migliorare le condizioni dei malati."
Cannabis a fini terapeutici II 18 settembre scorso è stato firmato, da parte dei ministri della Salute e della
Difesa, il protocollo di intesa che affida allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare la coltivazione della
cannabis a fini terapeutici. Le forniture alle farmacie del territorio ed ospedaliere, cominceranno non appena
le Regioni avranno definito le modalità distributive sulla base del protocollo terapeutico che un gruppo di
lavoro tecnico ha consegnato al Consiglio Superiore di Sanità il 30 settembre. "Le farmacie sono pronte ad
assicurare la disponibilità delle preparazioni con cannabis sulla base delle forniture che arriveranno dallo
Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Apprezziamo questa iniziativa che agevola l'accesso
alle cure palliative a diverse categorie di malati gravi, proseguendo in un percorso nel quale sono fortemente
impegnate anche le farmacie" commenta Annarosa Racca, Presidente Federfarma. Sul tema Guido Fanelli,
presidente della commissione ministeriale Terapia del Dolore e Cure palliative, giudica positiva l'apertura del
Governo, ma segnala come ancora "non viene prescritta, nonostante l'Italia sia uno dei sette Paesi al mondo
dove è ciò è possibile, e per giunta lo si può fare solo per poche patologie".
Foto: IL DOLORE CRONICO IN ITALIA HA UN COSTO SOCIOSANITARIO ANNUO PARI A 36,4 MILIARDI
DI EURO, DI CU111,2 MILIARDI A CARICO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Foto: È IMPORTANTE COINVOLGERE SEMPRE PIÙ IL FARMACISTA NELLA GESTIONE DELLA
TERAPIA DELDOLORE E NELLA ATTUAZIONE DELLA LEGGE 38/2010
04/12/2014
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Roma, 4 dicembre 2014 - La International Association for the Study of Pain (Iasp) e la European Pain
Federation (Efic) hanno scelto il dolore neuropatico come tema dell´anno mondiale contro il dolore 20142015. Cos'è il dolore neuropatico?1 Il dolore neuropatico è una forma di dolore provocata da una lesione o da
una disfunzione del sistema somatosensoriale, vale a dire quel sistema deputato alla ricezione, trasmissione
e interpretazione degli stimoli sensoriali o dolorosi che colpiscono il nostro corpo. Le lesioni o alterazioni
possono interessare il sistema nervoso centrale o periferico. · Il dolore neuropatico periferico è provocato da
una lesione localizzata a livello del sistema nervoso periferico. Questo tipo di dolore si può presentare come
Radicolopatia Lombare (sciatica), Nevralgia Post Erpetica (dolore persistente successivo all´eruzione
cutanea dell´Herpes Zoster), Neuropatia Diabetica, Neuropatia correlata all'Hiv, Dolore Neuropatico Post
Chirurgico. · Il dolore neuropatico centrale può essere causato da lesioni ischemiche, infiammatorie,
traumatiche o compressive a livello midollare o encefalico. · Il dolore neuropatico si manifesta con sensazioni
sgradevoli, quali bruciore e scosse elettriche, intorpidimento, deficit sensitivo e altre sensazioni molto difficili
da descrivere. Ad ogni modo, molte forme di dolore possono avere le caratteristiche del dolore neuropatico,
incluse le forme dovute a condizioni "non propriamente neuropatiche", quali, ad esempio, l'osteoartrite o il
dolore oncologico. · Lo specialista può attestare la presenza di dolore neuropatico riscontrando nel paziente il
verificarsi dei sintomi di una lesione nervosa quali riduzione o aumento della sensibilità, sensazioni alterate,
dolore in risposta a semplice tocco della cute. · I comuni analgesici antinfiammatori sono inefficaci nel
trattamento del dolore neuropatico. Esistono delle linee guide evidence-based specifiche per il trattamento di
questa condizione che raccomandano l'utilizzo di farmaci antiepilettici (ad es. Gabapentin e pregabalin),
antidepressivi (ad es. Amitriptilina o duloxetina), e/o preparazioni topiche insieme ad altri farmaci e trattamenti
non farmacologici. · Nonostante l'esistenza di molti farmaci efficaci e di linee guida per il trattamento del
dolore neuropatico, esistono evidenze, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, che suggeriscono che i
farmaci non sono ampiamente utilizzati e molti casi vengono trattati in maniera insufficiente o non trattati. ·
Inoltre, molti dei farmaci efficaci per il trattamento del dolore neuropatico non sono regolarmente disponibili in
molti paesi del mondo. · Una maggiore awareness verso il dolore neuropatico, sia tra i pazienti che tra gli
operatori sanitari, potrà portare a una più diffusa e migliore gestione dei pazienti affetti da dolore neuropatico.
Epidemiologia, impatto e prevenzione del dolore neuropatico2 Prevalenza e incidenza · Studi di popolazione,
condotti attraverso l'utilizzo di strumenti di screening riconosciuti, hanno dimostrato che il 7-8% degli adulti
soffrono di dolore cronico con caratteristiche di dolore neuropatico. · Secondo uno studio olandese,
l'incidenza (nuovi casi) del dolore neuropatico è di circa 8 casi per 1.000 persone-anno. · Uno studio condotto
in Germania ha dimostrato che il 37% dei pazienti affetti da lombalgia cronica soffrono in maniera
predominante di dolore neuropatico. La percentuale equivale al 14% delle donne e all'11% degli uomini
tedeschi. · Nel Regno Unito nel 26% delle persone con diabete è stato riscontrato dolore neuropatico
periferico. La percentuale, riportata su scala mondiale, fa riferimento a circa 47 milioni di individui, numero
che è destinato ad aumentare per via dell'incremento della prevalenza del diabete (pari al 2,8% nel 2000 e
stimata al 4,4% nel 2030). · Dei 33 milioni di individui con infezione da Hiv a livello globale, circa il 35% soffre
di dolore neuropatico, con una risposta modesta ai trattamenti standard. · Uno studio condotto in Norvegia ha
riscontrato che il 40% delle persone soffre di dolore persistente dopo un intervento chirurgico, di cui 1/4 è di
tipo neuropatico. Il dolore post chirurgico a carattere neuropatico risulta molto più severo e persistente del
dolore post chirurgico non neuropatico. · Circa il 20% (18,7 - 21,4%) delle persone malate di cancro soffrono
di dolore oncologico neuropatico, come risultato sia della patologia che del trattamento. L'incidenza
dell'Herpes Zoster nel corso della vita è di circa il 25%. Studi condotti negli Stati Uniti e in Olanda hanno
dimostrato che il 2,6% e il 10% rispettivamente, svilupperanno dolore cronico associato alla Nevralgia Post
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IL DOLORE NEUROPATICO
04/12/2014
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Erpetica. In Europa, degli oltre 1.7 milioni di nuovi casi/anno di Herpes Zoster, circa il 25%, pari a 425.000
persone, sviluppano la Nevralgia Post Erpetica3. Impatto · Il dolore neuropatico è generalmente più intenso
ed associato ad un peggior stato di salute rispetto al dolore non neuropatico. · La qualità di vita dei pazienti
con dolore neuropatico è peggiore rispetto ai pazienti affetti da depressione clinica, coronaropatia, recente
infarto miocardico, diabete mal gestito. La qualità di vita è maggiormente condizionata dalla severità del
dolore neuropatico, piuttosto che dalle cause sottostanti. · Uno studio condotto nel Regno Unito ha mostrato
che il 17% delle persone che ha sofferto di dolore neuropatico, ha raggiunto un punteggio, relativamente
all'indicatore qualità di vita, equivalente a "peggiore che la morte". Prevenzione · È possibile ridurre
l'incidenza, la prevalenza e l'impatto del dolore neuropatico intervenendo sui fattori di rischio generali e
specifici, e sui trattamenti dall'efficacia ampiamente riconosciuta. · I fattori di rischio generali sono gli stessi
del dolore cronico generico e includono: età adulta/anziana, sesso femminile, povertà, inattività fisica, lavori
manuali, con una crescente evidenza anche dell'incidenza di fattori genetici. Per la maggior parte si tratta di
fattori non modificabili, ma essi indicano il livello di rischio complessivo. · Fattori di rischio specifici includono
quelli che determinano il peggioramento delle condizioni sottostanti, insieme ai fattori che comportano
l'incremento del rischio di dolore neuropatico in presenza delle suddette condizioni. · Ad esempio, l'incidenza
del diabete potrebbe essere ridotta attraverso una maggiore attenzione all'alimentazione e all'esercizio fisico.
In presenza di diabete, l'attenzione verso un controllo ottimale della glicemia riduce l'esordio di dolore
neuropatico. · Allo stesso modo, una riduzione del ricorso alla chirurgia (ad esempio migliorando il regime
alimentare e l'attività fisica) ed in particolare alla chirurgia non necessaria, ridurrebbero l'incidenza del dolore
neuropatico post chirurgico. L'intervento chirurgico in giovane età è associato a una maggiore incidenza del
dolore neuropatico, ed è in corso uno studio che prende in considerazione gli effetti delle diverse tecniche
chirurgiche e per il sollievo dal dolore perioperatorio, e pone attenzione ai fattori psicologici. · La recente
introduzione in alcuni Paesi del vaccino contro l'Herpes Zoster aiuterà a ridurre l'incidenza della malattia e
della sua principale complicanza, la Nevralgia Post Erpetica. · I farmaci antiretrovirali innovativi per la cura
dell'Hiv potranno concorrere a ridurre l'incidenza del dolore neuropatico correlato alla malattia. Risulta
comunque fondamentale continuare nell'azione di prevenzione dell'Hiv. · Una maggiore awareness sul dolore
neuropatico (sia per i pazienti che per gli operatori sanitari) e l'accesso ad una prevenzione e a trattamenti
efficaci rappresentano i principali fattori per prevenire o ridurre l'incidenza, la prevalenza e l´impatto del dolore
neuropatico. L´invecchiamento della popolazione e il peso dell´Herpes Zoster in Italia L´invecchiamento
demografico in Europa Ø Popolazione europea di età superiore ai 50 anni[1]: § Nel 2010, 36,5% (183 milioni
di persone su 501 milioni in totale); § Nel 2020, 41,0% (circa 212 milioni di persone su 514 milioni in totale); §
Nel 2060, 48,5% (circa 251 milioni di persone su 517 milioni in totale). Ø Il 58% degli europei di età compresa
tra i 50 e i 64 anni lavora[2]; Ø Oltre il 90% degli adulti di età superiore ai 65 anni soffre di una patologia
cronica[3]. L´invecchiamento della popolazione rappresenta un fenomeno di ampia portata ed una questione
ineludibile che un sistema sanitario deve fronteggiare. In Italia, l´aspettativa di vita alla nascita nel 1920 si
attestava intorno ai 54 anni; chi nasce oggi si prevede possa vivere mediamente fino ad oltre 80 anni. E´
inoltre ragionevole ritenere che il trend di crescita dell´aspettativa di vita alla nascita prosegua anche nei
prossimi decenni. Nel 2050 più di un terzo della popolazione italiana avrà più di 65 anni; aumenterà la
prevalenza di alcune malattie croniche, come diabete, tumori, malattie cardiovascolari e malattie
neurodegenerative e saranno necessarie sempre maggiori risorse per garantire ai cittadini le migliori cure.
L´europa, e quindi tutti i Paesi della Comunità Europea, Italia compresa, in modo concertato, hanno studiato
una strategia univoca volta ad affrontare le emergenze descritte. Europa 2020 è la strategia decennale per la
crescita sviluppata dall´Unione Europea. Essa non mira soltanto a uscire dalla crisi che continua ad affliggere
l´economia di molti Paesi, ma si propone anche di colmare le lacune del nostro modello di crescita e creare le
condizioni per uno sviluppo sostenibile. Anche dal punto di vista socio-economico, l´attuale cambiamento
demografico porterà, nel 2050, ad avere 2 persone in attività lavorativa verso 1 pensionata (oggi il rapporto è
4 a 1) (grafico 1). Questo produrrà un impatto anche a livello di entrate fiscali. Nell´ambito delle attività
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europee, assume rilevanza il Progetto Innovativo Europeo (Eip) sull´Active and Healthy Ageing (Aha), volto
ad affrontare le sfide demografiche e che mira a: § aggiungere in Europa, in media, 2 anni di vita in buona
salute per tutti entro il 2020; § supportare la sostenibilità e l´efficienza del sistema sanitario e sociale nel
lungo termine; § migliorare la competitività dell´industria europea attraverso soluzioni innovative utilizzando
partnership pubblico-privato. Nel 2012 Eunethta, la rete europea per l´Hta, ha effettuato una valutazione del
vaccino anti Herpes Zoster, il primo progetto pilota per l´Hta indipendente di un vaccino. Tale valutazione ha
prodotto dei risultati contenuti in un report pubblicato nel settembre 2013 (
http://www.Eunethta.eu/outputs/first-pilot-rapid-assessment-zostavax-prevention-herpes-zoster ). Eunethta ha
riconosciuto[4]: ü un significativo carico delle patologie Herpes Zoster e Nevralgia Post Erpetica in Europa, la
loro morbi-mortalità e l´impatto sulla qualità della vita; ü il limite degli attuali trattamenti terapeutici per
l'Herpes Zoster e la Nevralgia Post Erpetica, in particolare la difficile gestione della Nevralgia Post Erpetica; ü
l'efficacia clinica e di real life del vaccino nella popolazione con età >50 anni. In Italia, il Centro nazionale per
la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) ha finanziato il progetto "Herpes Zoster: valutazione
dell'impatto sanitario e socio-economico e possibili strategie di vaccinazione nella popolazione adulta in Italia"
proposto dalla Regione Liguria e coordinato dal Prof. Giancarlo Icardi (Dipartimento di Scienze della Salute
dell'Università di Genova)[5]. La popolazione ultracinquantenne è altamente suscettibile alle malattie
prevenibili da vaccino. Tra le strategie di prevenzione, il vaccino rappresenta un elemento chiave e gioca un
ruolo importante nel favorire un invecchiamento attivo e in salute (Active and Healthy Ageing). La tutela della
salute del soggetto adulto e anziano, anche in assenza di fattori di rischio derivanti da patologie croniche
sottostanti, non può prescindere dagli interventi di prevenzione vaccinale diretti a ridurre i casi di malattia
prevenibili con la vaccinazione e l´impatto delle malattie sulla qualità di vita delle persone. Tra gli interventi
vaccinali per gli adulti e gli anziani assumono rilevanza la vaccinazione antinfluenzale e anti-pneumococcica,
i boosters vaccinali dell´adulto (tetano-pertosse-difterite) e la vaccinazione anti Herpes Zoster. L´herpes
Zoster in Italia § 1,7 milioni circa i nuovi casi di Herpes Zoster (Hz) ogni anno in Europa[6]; § Tra questi,
425.000 (il 25% circa) sviluppano la Nevralgia Post Herpetica (Phn); § Questi numeri sono destinati ad
aumentare, dal momento che sempre più persone raggiungono l´età in cui più frequentemente colpisce
l´Herpes Zoster. Si stima che circa 1 persona su 4 in Europa potrà manifestare un episodio di Herpes Zoster
nel corso della propria vita con un rischio medio di avere un episodio di Herpes Zoster di circa 23-30%[7],[8].
L'herpes Zoster colpisce fino alla metà di tutti gli adulti che vivono sino a 85 anni di età; 2 casi su 3 di Herpes
Zoster si manifestano in persone di oltre 50 anni di età[9],[10]. Circa il 90% dei pazienti affetti da Herpes
Zoster sono immunocompetenti. Diverse patologie croniche si associano ad un aumentato rischio di Herpes
Zoster, che in ogni caso aumenta con l'aumentare dell'età[11]. Pazienti con alcune patologie croniche, tra cui
il diabete, hanno un rischio di sviluppare Herpes Zoster maggiore di 1.8-8.4 volte rispetto ai pazienti con altre
patologie[12]. Queste condizioni possono modificare l´immunità cellulo-mediata specifica verso il Vzv e quindi
aumentare il rischio di Herpes Zoster. Il diabete è una delle condizioni che modifica la immunità cellulomediata e alcuni studi suggeriscono un aumento del rischio di Herpes Zoster in pazienti diabetici[13].
Numerose evidenze riportano anche un'associazione tra Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (Bpco) e
aumento del rischio di sviluppare Herpes Zoster, probabilmente a causa della infiammazione cronica[14]. In
Italia[15] si stimano circa 157.000 nuovi casi di Herpes Zoster ogni anno, assumendo un'incidenza annuale di
6,3 per 1.000 persone-anno (osservati nella popolazione immunocompetenti nel periodo 2003-2005) e che
rappresenta il 73% del numero totale di casi nella popolazione adulta.,8 Un recente studio, condotto
attraverso un network di medici di me-dicina generale, ha osservato che nel 20,6% e nel 9,2% dei pazienti con
Herpes Zoster, sebbene generalmente trattati precocemente entro le prime 72 ore dall'insorgenza dei sintomi,
era presente la Nevralgia Post Erpetica rispettivamente a 3 e 6 mesi[16].. Con l'aumentare dell'età, cresce
anche la gravità della patolo-gia; nel periodo 1999-2005 vi sono state 35.328 ospedalizzazioni per Herpes
Zoster (Sdo = Icd9-cm 053), e il 62% dei ricoveri è stato registrato in soggetti di età superiore a 65 anni, con
una durata media della degenza di 8 giorni e un totale di oltre 22 mila giornate di degenza all'anno[17]. Il
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costo dell´Herpes Zoster in Italia § I costi dell´Herpes Zoster non sono associati soltanto a cure e
ospedalizzazione. Dopo il primo manifestarsi della patologia, alcuni pazienti possono andare in pensione
anticipatamente o diventare sempre più dipendenti dal caregiver. § Il 58,6% degli europei di età compresa tra
i 50 ed i 64 anni, ed il 7,6% tra quelli di età compresa tra i 65 ed i 74 anni, hanno un´attività lavorativa; questo
significa che la perdita di produttività potenziale all´interno di questi gruppi è sostanziale[18]. § Il virus e le sue
complicanze sono responsabili di costi sanitari sostanziali e di costi indiretti, in termini di perdita di produttività
sia dei pazienti che dei familiari che se ne prendono cura. § C´è l´esigenza di un programma vaccinale paneuropeo che permetta di limitare l´impatto dell´Herpes Zoster. La prevenzione dell´Herpes Zoster negli
anziani può essere costo-efficace e rappresentare un´asse importante per la maggiore sostenibilità dei
Sistemi sanitari nelle società che invecchiano, permettendo non solo di ridurre i costi sul lungo periodo ma
anche di garantire alle persone anziane la possibilità di scegliere di continuare a dare il proprio contributo
sociale ed economico. Uno studio condotto in Italia19 mette in evidenza come, ogni anno, in Italia, sulla
popolazione 50+ (24,2 milioni di persone) si verifichino circa 157 mila casi di Herpes Zoster, registrando un
tasso di incidenza per l´Herpes Zoster di 6,3/1.000. Nello stesso studio è stata calcolata l´implicazione
economica, ovvero il budget impact a livello nazionale di Herpes Zoster e Nevralgia Post Erpetica. Tale
somma si attesta a circa 49 milioni di euro/anno20, comprendendo costi diretti (visite, cure, ospedalizzazioni)
e indiretti (perdita di produttività). Questi ultimi rappresentano circa 1/3 dei costi totali e quindi circa 15,4
milioni di euro/anno, i restanti 33,7 sono i costi diretti. Nell´ottica di migliorare la qualità della vita della
popolazione ultracinquantenne tramite la prevenzione delle malattie, e di evitare i costi derivanti da Herpes
Zoster e Nevralgia Post Erpetica, riprendendo le indicazioni del rapporto Eunethta (vedi par.3), anche in Italia,
come in altri Paesi europei, è stata effettuata un´analisi di costo-efficacia di una campagna vaccinale anti
Herpes Zoster rispetto all´attuale strategia terapeutica21 sulla popolazione italiana tra i 60 e i 79 anni di età. I
risultati dello studio dimostrano che l´intervento vaccinale anti Herpes Zoster risulta essere costo efficace, e
dunque un intervento sostenibile per il Sistema sanitario italiano. La disponibilità del vaccino rappresenta un
passo ulteriore verso una sanità proattiva verso gli anziani e più sostenibile di fronte all´invecchiamento della
società. [1]Fonte Eurostat. Active ageing and solidarity between generations. A statistical portrait of the
European Union 2012. Disponibile online: http://epp.Eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/product_d
etails/publication?p_product_code=ks-ep-11-001 ; 2013. [2] Fonte Eurostat, Employment rates in 2012,
European union :27 countries [3] Who active ageing : a policy framework. Who/nmh/nph/02.8. 2002 [4] Rea:
Relative Effectiveness Assessment focuses on 4 Hta domains, excluding economic considerations (nationally
performed) - * http://www.Eunethta.eu/news/pilot-rapid-assessment-zostavax-prevention-herpes-zosteravailable [5] http://www.Ccm-network.it/home.html [6] Pinchinat S, Cebrián-cuenca Am, Bricout H, Johnson
Rw. Similar herpes zoster incidence across Europe: results from a systematic literature review. Bmc Infect
Dis. 2013; 13:170. [7] Miller E, Marshall R, Vurdien J. Epidemiology, outcome and control of varicella-zoster
infection. Rev Med Microbiol. 1993;4:222-30 [8] Bowsher D. The lifetime occurrence of herpes zoster and
prevalence of post-herpetic neuralgia: A retrospective survey in an elderly population. Eur J Pain. 1999
Dec;3(4):335-42. [9] Johnson Rw et al. Postherpetic neuralgia: epidemiology, pathophysiology and
management. Expert Rev Neurother 2007;7:1581-1595. [10] Sentinelles. Annual reports (2007-2011) Disponibile online: http://websenti.B3e.jussieu.fr/sentiweb/?rub=39 [11] Hata A, Kuniyoshi M (2011) Risk of
Herpes zoster in patients with underlying diseases: a retrospective hospital-based cohort study. Infect 39:537544. [12] Hata A et al. Infect 2011. Chidiac C et al. [13] Guignard Ap et al. (2014) Risk of herpes zoster
among diabetics: a matched cohort study in a Us insurance claim database before introduction of vaccination,
1997-2006. Infection42: 729-735. [14] Ya-wen Yang et al. (2011) Risk of herpes zoster among patients with
chronic obstructive pulmonary disease: a population-based study. Cmaj 183. [15] Gialloreti Le et al.
Epidemiology and economic burden of herpes zoster and post-herpetic neuralgia in Italy: a retrospective
population-based study. Bmc Infectious Diseaes 2010 10:230 [16] Franco E, Perinetti E, Marchettini P, et al.
Proportion of post herpetic neuralgia among patients with herpes zoster in Italy - a multicenter prospective
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observational study (Heroes study). Eugms Venice 2-4 Oct 2013, Poster session. [17] Gabutti G, Serenelli C,
Cavallaro A, Ragni P. Herpes Zoster Associated Hospital Admissions in Italy: Review of the Hospital
Discharge Forms. Int J Environ Res Public Health, 2009; 6(9):2344-53. [18]Eurostat/lfs Employment rates by
sex, age and highest level of education attained (%). Disponibile online:
http://epp.Eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/
employment_social_policy_equality/equality/indicators_age 19Gialloreti et al, Epidemiology and economic
burden of herpes zoster and post-herpetic neuralgia In Italy: A retrospective, population-based Bmc Infectious
Diseases 2010, 10:230 http://www.Biomedcentral.com/1471-2334/10/230 . 20Panatto et al., Evaluation of the
economic burden of Herpes Zoster (Hz) infection A systematic literature review -Human Vaccines &
Immunotherapeutics 11:1, 1-18; January 2015; 2015 Landes Bioscience. 21Ruggeri M. Analisi di costoefficacia del vaccino contro l'herpes zoster e la nevralgia post erpetica in Italia. 6° Congresso Nazionale
Sihta. Bari 7-9 Novembre 2013. Comunicazione orale.
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QN - La Nazione - Firenze
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«Si vive spesso da immortali ma tutti dobbiamo morire»
LA MORTE garantisce la vita. Oppure viene in mente il capolavoro «Non ci resta che piangere» quando il
penitente ripete a Troisi «Ricordati che devi morire» e lui risponde «Si mo' moo segno». Un gesto
apotropaico, sempre quello, e poi via. Il tema è la morte e in cattedra può salire solo il dottor Piero Morino. Lui
e la sua equipe sono considerati gli angeli del sorriso'. L'ultimo sorriso, il più importante, quello che lascia in
chi ti vuol bene l'immagine del distacco. Immagine quasi sempre serena. «Perché non si muore di malattia,
ma per il solo fatto di essere mortali. Spesso si vive da immortali, ma tutti si muore anche se abbiamo paura
di morire». E' una frustata di realtà, quella del dottor Morino, ma una realtà non popolata dai mostri del fine
vita. «Quando le cure della malattia non sono più efficaci, i nostri 3 presidi a Firenze, propongono al malato
non più la cura della malattia, ma quella del paziente. Non più una medicina oggettiva, ma soggettiva: il
malato al centro con tutto quello che lo fa star male. Raccontando la verità sempre rispetto a quello che si
può fare e valutando se paziente e famiglia condividono». Poi aggiunge: «C'è sempre qualcosa da fare per
migliorare qualità e dignità della vita. C'è addirittura uno studio europeo che ha accertato come affiancare le
cure palliative riducendo quelle tradizionali in tempi precoci migliori la qualità e la durata della vita stessa». Il
dottor Morino è l'ideatore, l'organizzatore e il responsabile delle 4 unità cittadine di cure palliative nonché
responsabile dei 3 hospice di riferimento. Ma i suoi malati non sopravvivono mai. Non sente frustrazione?
«Non mi sono mai sentito tanto medico e tanto utile che non ora risponde -. Ho cominciato a seguire questo
settore dopo 20 anni da anestesista, quasi di nascosto e ho capito una cosa: non dobbiamo aver paura della
verità. E' un problema per chi la deve dire, chi la riceve esce dal dubbio, dall'incertezza. L'angoscia e la paura
del non detto scompaiono». Viene da pensare quanto sia vero il detto per il quale «il Signore non ti affida una
prova senza darti gli strumenti per superarla». Vengono anche in mente quei poveri vecchi che tentano di
strapparsi la maschera di ossigeno dal viso. A loro si legano le mani. Che tortura. E i colleghi di Morino che
gli chiedono: «Come è possibile che i nostri pazienti anche guariti ci fanno causa e i parenti di quelli che
muoiono con voi vi mandano ringraziamenti e lettere belle?». Sappiamo perché è così. Abbiamo visto chi
attendeva l'arrivo di una equipe dell'Ucpl: quando ha sentito il rumore della vettura delle ragazze' ha aperto il
viso in un sorriso di conforto. Bellissimo. E' il successo dei Lea, i livelli essenziali di assistenza previsti dalle
leggi regionali dal 2010 in poi. E dell'aiuto fondamentale di strutture come File che passa fisioterapisti e
psicologi alla struttura fiorentina, oltre a 5 medici pagati da loro e messi a disposizione di questa struttura
miracolosa, l'Ucpl di Firenze. E' un impegno, quello di File per circa 400mila euro l'anno. E anche del Calcit
che fornisce un altro medico. O della Lega Tumori Ant e Att che forniscono o loro personale, oppure portano
presidi importanti a domicilio. E poi ci sono i 3 hospice, quello delle Oblate a Careggi, di Torregalli e di San
Felice a Ema. I tempi di ingresso in struttura oggi sono di 3 giorni per l'85% delle richieste. amadore agostini
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La magia del dottor sorriso'«La verità è difficile per chi la dice»
07/12/2014
La Nuova Sardegna - Ed. nazionale
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«La morte è inevitabile, la sofferenza no»
«La morte è inevitabile, la sofferenza no»
Paola Virdis, anestesista sassarese, ha assistito più di mille pazienti terminali tra ospedale civile e assistenza
domiciliare
la linea di confine Davanti alla rassegnazione e all'angoscia sta a me dimostrare che il sonno è un rifugio
sicuro. Da cui si può essere risvegliati Nonostante il tema della dignità della morte sia molto attuale e i casi di
Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, ma anche il calvario di Giovanni Nuvoli e di Eluana Englaro (foto) abbiano
portato l'argomento all'attenzione dell'opinione pubblica, a tutt'oggi i Comuni con un registro dei testamenti
biologici sono pochissimi. 135 in tutta Italia, e una manciata in Sardegna. Tra questi la prima amministrazione
che ha fatto questa scelta di civiltà è stata Cagliari, nel lontano 2009. Alla quale hanno fatto seguito poi altre
città, tra le quali Tempio, Porto Torres, Capoterra, Ozieri, Serrenti. Ma in capoluoghi di Provincia come Nuoro,
Oristano e Sassari si organizzano dibattiti, si convocano consigli comunali con all'ordine del giorno il
testamento biologico, ma niente ancora è finito nero su bianco. Si tratta di un documento, redatto da una
persona in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende ricevere o rifiutare nell'eventualità
in cui dovesse trovarsi incapace di intendere e di volere. Si può scegliere anche se essere informato sulla
propria aspettativa di vita in caso di patologia incurabile. Con l'innalzamento dell'età media e i progressi della
medicina, capace di trascinare il decorso di malattie anche per diversi anni, il problema di come le persone
possano decidere per se stesse è sempre più urgente.di Luigi Soriga wSASSARI C'è una linea di confine
oltre la quale i medici non possono spingersi. È quel punto di non ritorno dove non si parla più di qualità della
vita, ma è più giusto parlare di qualità della morte. Le terapie hanno smesso di far effetto e il dolore è un
compagno di viaggio verso un capolinea imminente. Paola Virdis, 57 anni, da più di venti abita dall'altra parte
di questo pendio, dove l'esistenza ha scollinato e cambia improvvisamente inclinazione, rotolando giù per
sempre. E' una delle prime anestesiste ad essersi occupate di cure palliative e terapia del dolore. Ha una
lunghissima esperienza nell'assistenza domiciliare, presta servizio all'ospedale Civile di Sassari e fuori dalle
corsie fa volontariato reclutata dall'incessante passaparola delle famiglie. Il suo è un compito talmente
pervasivo che la differenza tra mestiere e missione col tempo sfuma: ormai Paola Virdis è una sorta di suora
laica votata ai moribondi. Non ha molto tempo e soprattutto energie per la vita sociale. Gli amici, per
prenderla in giro le dicono: «Quando vogliamo avere notizie di te, basta dare un'occhiata al giornale nella
pagina dei necrologi». Se si collezionassero i ringraziamenti, non basterebbe un libro. Ha i capelli ricci, gli
occhi grandi, azzurri e profondi, oltre i quali si percepisce l'abisso. Il suo è il lavoro più difficile del mondo:
rendere la discesa più dolce possibile, annacquare la sofferenza dei malati terminali sino al loro ultimo giorno.
Metadone, fentanyl, oppiacei, morfina. Per certi versi può sembrare buffo, ma la prima dose di sedativo lei
non la somministra con un'endovenosa o una pasticca, lo fa con le parole. Parla in maniera lenta e
rassicurante, è come se ti cullasse con le frasi, vien da abbandonarsi. «La comunicazione con i pazienti - dice
- è fondamentale. Non è vero che il medico deve essere distaccato, in queste situazioni estreme bisogna
stabilire empatia, solo così si può conquistare la fiducia del malato e dei suoi familiari». E quando si instaura
un dialogo sincero e il paziente posa il suo destino nelle mani del medico, allora immancabilmente tutti
chiedono di morire. «Questo avviene sempre. Perché ormai c'è la rassegnazione all'ineluttabile e l'angoscia
per le sofferenze. Allora sta a me fare un ulteriore passo avanti, dimostrargli che il dolore si può controllare, e
che il sonno è un rifugio sicuro». C'è ancora grande diffidenza verso la sedazione terminale, si tende a
confonderla con l'eutanasia. Invece è uno stato di incoscienza indotto, che non fa percepire il dolore e spesso
allunga la vita. E dal quale è possibile essere risvegliati. «Una volta mi è capitato un anziano, con un tumore
al cervello, in fase terminale. Il dolore era molto intenso, lui era cosciente e ha chiesto di essere
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«La morte è inevitabile, la sofferenza no» Paola Virdis, anestesista sassarese, ha assistito più di mille
pazienti terminali tra ospedale civile e assistenza domiciliare la linea di confine Davanti alla rassegnazione e
all'angoscia sta a me dimostrare che il sonno è un rifugio sicuro. Da cui si può essere risvegliati
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addormentato. Era il periodo di Natale, e la vigilia è rientrato anche il figlio che risiedeva lontano. Allora per
un giorno ho risvegliato il padre, ha pranzato e cenato con il figlio, prima di precipitare ancora nella sofferenza
e chiedere di essere nuovamente sedato. E se n'è andato serenamente tre giorni dopo». Paola Virdis ha
accompagnato alla morte più di mille persone, anche ragazzi e bambini. Non tutti riescono a reggere un
simile impatto emotivo, molti scappano, ci vuole un grande coraggio e forza. E bisogna essere disposti a
pagarne il prezzo. «Quando il cucciolo sta per morire, il branco si stringe a lui, cerca di proteggerlo. Non
accetta di lasciarlo andare. Sono situazioni difficilissime. Ancora di più con i bimbi. Perché loro, quando
soffrono, cercano ancora di più protezione, vogliono il contatto fisico, desiderano farsi amare». Non
realizzano cosa sia la morte e ti lacerano il cuore. Chi si dedica a loro con le cure palliative riesce a superare
tutto questo perché ha fatto un salto di qualità nell'approccio: la morte non è più una sconfitta, o qualcosa da
esorcizzare, ma un traguardo verso il quale traghettare in pace il paziente. Purtroppo spesso nelle strutture
sanitarie manca una cultura di questo tipo: si vedono pazienti sopportare le pene dell'inferno dopo un
intervento chirurgico, per la incomprensibile riluttanza a somministrare antalgici. La stessa Università non
forma i medici a gestire la vita sull'orlo del precipizio, quando ormai è una linea sospesa tra un monitor e il
nulla. Non esiste negli ospedali un protocollo delle terapie del dolore: il dosaggio e la scala dei farmaci viene
declinata secondo la sensibilità dei primari. Chi è fortunato non soffre, chi capita nel posto sbagliato rischia di
vivere l'agonia secondo dopo secondo. Quante volte si vedono nelle stanze delle persone abbandonate
dietro a gelidi paraventi, soli come un cane, con il rantolo che li porta via. Invece morire fasciati da una garza
d'affetto dovrebbe essere un diritto sacrosanto per tutti, con i parenti e le persone care che stringono la
mano. «Anche la sedazione terminale dovrebbe essere un diritto, anche per una questione di dignità».
Quando la vita non vita, sussulta, si dimena, sopravvive a se stessa con un filo d'aria. Allora è meglio
chiudere gli occhi e spegnere la coscienza. E far sì che la morte cali lieve e in silenzio, come un bambino che
si addormenta.
07/12/2014
La Nuova Sardegna - Ed. nazionale
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Arru: serve una rete per le cure palliative
Arru: serve una rete per le cure palliative
L'assessore regionale alla Sanità: «Solo così gli hospice potranno funzionare in maniera ottimale»
SASSARI Non ci sono solo persone che fanno da sentinelle tra la vita e la morte, dovrebbero esserci anche
luoghi posti lungo questa linea di confine. Si chiamano Hospice, e una legge che risale al lontano '99 li
disegna su tutto il territorio nazionale. In Sardegna, sulla carta, e anche sul sito del ministero della Salute, ne
compaiono otto: al Businco di Cagliari, alla Rsa Rosa dei Marganai di Iglesias, all'ospedale Zonchello di
Nuoro. Questi sono i centri che realmente operano nel territorio, gli altri sono strutture fantasma, che
all'assessorato regionale alla Sanità nemmeno risultano. Due a Olbia: Oncologia aziendale e Rsa Sole di
Gallura. Un hospice a Padru: Rsa smeralda. Uno a Sassari: Ras San Nicola. E infine l'ultimo a Vallermosa,
nella Fondazione San Randazzo. «Il panorama delle cure palliative nell'isola è completamente da rivedere dice l'assessore Luigi Arru - operano solo 3 hospice, e non possono funzionare nemmeno in maniera
ottimale, visto che la loro attività dovrebbe essere supportata da una rete che invece ancora non esiste». L'
hospice non è altro che una residenza per malati terminali, concepita come una via di mezzo tra l'ospedale e
la casa. Si tratta di un luogo d'accoglienza e ricovero temporaneo, nel quale il paziente viene accompagnato
nelle ultime fasi della sua vita con un appropriato sostegno medico, psicologico e spirituale affinché le viva
con dignità nel modo meno traumatico e doloroso possibile. Inteso come una sorta di prolungamento e
integrazione della propria dimora, l'hospice include anche il sostegno psicologico e sociale dei familiari del
paziente. E' un tipo di assistenza che va oltre all'aspetto puramente medico della prestazione, il traguardo
non è la guarigione fisica il "prendersi cura" della persona nel suo insieme. Per raggiungere questo obiettivo è
necessaria una vera e propria équipe composta da diverse professionalità: medico, psicologo, infermiere,
assistente sociale, assistente spirituale e volontario. «Da poco ero a Roma - prosegue l'assessore Arru proprio per discutere sulla realizzazione della rete locale di cure palliative. A questo proposito c'è anche un
finanziamento di oltre 4 milioni di euro per aprire nell'isola gli hospice contemplati dai parametri demografici e
tuttora inesistenti». Ci sono parecchie associazioni che si battono per tutelare i "diritti di fine vita". Una di
queste è la onlus Franco Mura, alla quale si rivolgono i parenti di numerosi malati terminali. «Ci sono ancora
molti pazienti ospedalizzati che lamentano il dolore - dice Enrico Mura - con picchi dell'80% su malati
oncologici. C'è un sottoutilizzo delle terapie analgesiche e talvolta una impreparazione del personale medico
ad affrontare certe situazioni. Il sollievo alla sofferenza e la vicinanza dei propri cari devono diventare un
diritto». (lu.so.)
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funzionare in maniera ottimale»