Giacomo Leopardi, Zibaldone Entrate in un giardino

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Giacomo Leopardi, Zibaldone Entrate in un giardino
Giacomo Leopardi, Zibaldone
Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite
stagione dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del
patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di souffrance, qual individuo più, qual meno.
Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio
è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. [4176]Il dolce mele non si
fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre
delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio,
quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato
dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell'altro ha
più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti.
Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido,
troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi;
l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi
una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio
peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte
viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le
stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile,
va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando
membra sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna. 19. Aprile. 1826.). Certamente queste piante
vivono; alcune perchè le loro infermità non sono mortali, altre perchè ancora con malattie mortali,
le piante, e gli animali altresì, possono durare a vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta
copia di vita all'entrare in questo giardino ci rallegra l'anima, e di qui è che questo ci pare essere un
soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale
(luogo ben più deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri [4177]sentono, o vogliamo dire,
sentissero, certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l'essere.
(Bologna. 22. Apr. 1826. Zibaldone)
XXIII
CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Ho accennato in classe alla difficoltà con cui la scienza è giunta ad ammettere la
presenza di sensibilità e sentimenti nel mondo animale. Ovviamente la ragione di
questo fatto è facilmente intuibile: se si riconoscono sentimenti agli animali, li si
rende simili all'uomo e pertanto si debbono legittimare i loro diritti, come quelli
alla vita e a non ricevere trattamenti disumani, che contrastano con molte
pratiche di allevamento e sfruttamento.
Avevo parlato anche di come questa idea di un animale, macchina-istintuale e
per niente razionale o affettivo fosse da relegare all'Ottocento e ai primi del
Novecento... Ho peccato però di ottimismo: pare che il dibattito arrivi ai nostri
giorni, anche se alcuni importanti documenti, sottoscritti da uomini di scienza,
cominciano a riconoscere l'errore tanto a lungo commesso. A riprova di ciò vi
allego il seguente articolo:
Gli animali hanno una coscienza
di Marinella Meroni
Tutti gli esseri viventi sono coscienti e consapevoli Già nel 1986 Konrad Lorenz, etologo di
fama mondiale, dichiarò “Sono pienamente convinto che gli animali abbiano una
coscienza. L’uomo non è il solo ad avere una vita interiore soggettiva, ma è troppo
presuntuoso per ammetterlo. Inoltre, il fatto che gli animali abbiano una coscienza ‘solleva
dei problemi’. Forse l’uomo ha paura, perché riconoscendo una vita interiore agli animali
sarebbe costretto a inorridire per il modo in cui li tratta”. Oggi la scienza lo conferma:
eminenti scienziati internazionali (ricercatori cognitivi, neurofarmacologi, neurofisiologi,
neuroanatomisti e neuroscienziati computazionali) hanno sottoscritto un atto ufficiale,
la“Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza” nella quale confermano che “gli esseri
viventi sono coscienti e consapevoli allo stesso livello degli esseri umani”.
La dichiarazione è stata firmata in presenza di Stephen Hawking, matematico, fisico e
cosmologo, fra i più importanti del mondo, noto per gli studi sui buchi neri. L’elenco
comprende tutti i mammiferi, uccelli, invertebrati, insetti. Ma cos’è la coscienza? Il termine
deriva dal latino Cum-scire, cioè “sapere insieme”: l’uomo ha 3 centri indipendenti chiamati
“centro intellettivo”,”motore-istintivo”e “emozionale”, posti nel cervello. La coscienza indica
lo stato di sintonia tra i 3 centri, che permette la consapevolezza di sé, delle proprie azioni
e scopi, dei rapporti con il mondo esterno, dei sentimenti, capacità di valutare i valori
morali, ravvedersi, pentirsi, etc. Queste facoltà non sono più considerate doti uniche
dell’uomo, ma di tutte le creature! Un aspetto molto interessante rilevato dagli studiosi è
che la coscienza emerge anche negli animali che sono molto differenti dagli umani,
compresi quelli che si sono sviluppati su percorsi evolutivi differenti, come uccelli, insetti e
cefalopodi (polipi, seppie, calamari), in quanto l’assenza di neocorteccia cerebrale non
impedisce ad un essere vivente di provare stati affettivi.
Scrivono gli scienziati: “Prove convergenti indicano che gli animali hanno substrati
neuroanatomici, neurochimici e neurofisiologici di stati di coscienza, insieme alla capacità
di esibire comportamenti intenzionali, di provare stati affettivi e di sognare come l’uomo,
incluso il sonno Rem. Di conseguenza l’evidenza scientifica indica che gli umani non sono
gli unici a possedere i substrati neurologici che generano coscienza”. E’ una rivoluzione
scientifica e morale nei confronti degli animali!
Test scientifici hanno rivelato prove di coscienza commoventi: animali che si soffermano e
ascoltano brani musicali, elefanti che si aiutano per risolvere problemi, scimpanzé che
insegnano ai giovani a fare arnesi, polpi in grado di pianificare, uccelli che sognano come
noi, gazze che dimostrano eclatanti analogie con gli umani. Grandi scimmie, delfini e
elefanti inoltre si riconoscono nello specchio, mentre i pappagalli africani grigi hanno livelli
di coscienza simili a quelli umani. La ricerca sulla coscienza è in rapida evoluzione, e ciò
richiede una rivalutazione periodica dei preconcetti espressi in questo settore.
Dichiara l’istituto di ricerca della coscienza Umberto di Grazia “Questa scoperta
rappresenta un grande e importante cambiamento, la scienza sta realizzando che tutta la
vita è interconnessa e interdipendente, e che gli umani non sono gli unici esseri coscienti
del pianeta”. Gli animali sono consapevoli nello stesso modo in cui lo siamo noi e ciò
comporterà la necessità di rivedere le nostre responsabilità morali nei loro confronti.
Articolo di Marinella Meroni
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