Bibliografia: Il fenomeno del populismo

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Bibliografia: Il fenomeno del populismo
ISC - Istituto di Studi sul Capitalismo
Bibliografia: Il fenomeno del populismo
ANDERSON Benedict, L'imaginaire national. Réflexions sur l'origine et l'essor du nationalisme. LA DECOUVERTE.
PARIS. 2006, pag 215 Euro 8.5, Poche; traduzione di Pierre-Emmanuel DAUZAT. ['E' un classico della storiografia
anglosassone. Benedict Anderson studia il sorgere del sentimento nazionale e mostra che l'adesione alla idea di sovranità
nazionale non ha niente di naturale. Le società tradizionali erano incapaci di concepirla, quale che fosse la forza del loro
attaccamento etnico o territoriale. L'autore analizza i fattori storici la cui congiunzione, come quella dell' emergere del
capitalismo mercantile e dell' invenzione della stampa, ha permesso la nascita di queste singolari "comunità immaginate"
che sono le nazioni. Il libro è stato tradotto in molte lingue. Secondo il recensore, nella linea del marxismo della scuola di
Francoforte, questa teoria del nazionalismo come artefatto, è pienamente attuale. Benedict Anderson insegna relazioni
internazionali nell'Università Cornell, Stati Uniti ('Associate Director of Government and Asian Studies')'] [ISC Newsletter N°
76] ISCNS76GRAF
ASKOLOVITCH Claude, Voyage au bout de la France. Le Front national tel qu'il est. GRASSET. PARIS. 1999, pag 344
FF 128, rec BREHIER Thierry. ['L'autore è un giornalista a 'Marianne'. Ha studiato sul campo per tre anni l'ambiente del
Fronte nazionale e nel volume riporta molte testimonianze. La visione sul terreno conferma le analisi di laboratorio di
Nonna MAYER. Ci sono due FN uno populista, di Jean-Marie Le Pen, uno ideologico, che mira a mettere in pratica le
sue teorie, che si riconosce in Bruno Megret. Il divorzio tra i due non è stato semplicemente pronunciato per
incompatibilità di carattere'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BADIOU Alain BOURDIEU Pierre BUTLER Judith DIDI-HUBERMAN Georges KHIARI Sadri RANCIERE Jacques, Che
cos'è un popolo? DERIVE APPRODI. ROMA. 2014, pag 118 Euro 11.0, rec ESPOSITO Roberto. ['Il popolo delle
primarie, il popolo della sinistra, il popolo italiano, il popolo delle piazze in rivolta. Difficilmente un termine politico è
suscettibile di connotazioni così diverse. Già Pierre Rosanvallon, del resto, in un saggio sulle forme di rappresentanza
democratica, aveva dichiarato il popolo 'introvabile'. Né il popolo-opinione né il popolo-nazione né il popolo-emozione
riescono a fornire risposte adeguate al malessere che sale dal fondo oscuro delle nostre democrazie. Ma è un punto
cieco che ci riguarda tutti. Da qualche tempo immersi in una riflessione critica sui caratteri del populismo, è come se
avessimo dimenticato il concetto da cui esso proviene, portandone dentro tutte le contraddizioni. E dunque, "Che cos'è
un popolo?" E il titolo di un pamphlet appena tradotto da Derive Approdi, firmato da sei rinomati intellettuali come Badiou,
Bourdieu, Butler, Didi - Huberman, Khiari e Rancière. Alla base delle difficoltà a definire il popolo, c'è un'antinomia che lo
caratterizza da sempre. Esso contiene al proprio interno due poli non sovrapponibili, e anzi per certi versi contrastanti da un lato la totalità degli individui di un organismo politico e dall'altro la sua parte esclusa. Questo secondo elemento espresso soprattutto nell'aggettivo 'popolare' - non soltanto non coincide col primo, col popolo titolare della sovranità, ma
ne costituisce una potenziale minaccia interna. Come è stato ricordato anche da Agamben ("Che cos'è un popolo", in
"Mezzi senza fine", Bollati) tale dialettica non riguarda solo le nostre democrazie, ma coinvolge fin dall'origine le
istituzioni occidentali. Se in Grecia il demos indica al medesimo tempo l'insieme dei cittadini dotati di diritti politici e i ceti
più bassi della scala sociale, a Roma la stessa dialettica è riconoscibile nel rapporto tra populus e plebs - dove questa è
contemporaneamente parte e resto escluso del primo. Machiavelli spesso non distingue tra popolo e moltitudine, mentre
Hobbes li contrappone: a differenza della moltitudine, un popolo è tale solo quando è unificato da un sovrano. Con la
Rivoluzione francese il popolo, identificato con la nazione, diventa esso stesso il titolare della sovranità, così da eliminare
ogni differenza tra gli individui. Il problema che abbiamo di fronte, non soltanto in Occidente, come dimostrano le recenti
rivolte nei paesi arabi e orientali, è che tutte le parti in conflitto dichiarano di rappresentare, e anzi di costituire, il popolo
contro le altre. Cosicché, come è stato sostenuto sia a destra che a sinistra, a definire un popolo non sono tanto coloro
che ne fanno parte, quanto quelli che ne vengono tenuti fuori'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BALDASSARRI Marco MELEGARI Diego a cura, Populismo e democrazia radicale. In dialogo con Ernesto Laclau.
OMBRE CORTE. VERONA. 2012, pag 320 Euro 25.0, collana Culture rec Michele SPANO. ['Le opere di Ernesto Laclau
(un classico di quello che, nel jargon accademico, si chiama postmarxismo) sono state tradotte nel nostro paese con un
ritardo consistente rispetto alle loro originali date di pubblicazione. Lentamente gli editori vanno accorgendosi del rilievo
che le categorie forgiate dal filosofo argentino (ma da molti anni in Inghilterra) hanno avuto e hanno nel dibattito pubblico
e nella conversazione accademica. Si sono potuti così finalmente leggere in italiano 'Egemonia e strategia socialista'
(scritto a quattro mani con Chantal Mouffe, il Melangolo, 2011), e 'La ragione populista' (Laterza, 2008). Questa raccolta
di saggi, cui si accompagna una lunga e articolata intervista dei curatori allo stesso Laclau, vale come un'introduzione ai
nodi centrali della sua riflessione: si va dall'egemonia al populismo, dal significante-vuoto alla democrazia radicale. Un
regesto, insomma, dei loci classici laclauiani, criticamente illustrato da brillanti e autorevoli filosofi e teorici politici italiani
(da Sandro Chignola a Ida Dominijanni, da Geminello Preterossi a Sandro Mezzadra). Il vertice ottico da cui guardare a
quel bizzarro impasto di lacanismo e gramscismo che alimenta la riflessione di Laclau è, in questo caso, il concetto di
popolo e quello, correlato, di populismo. Sottratto alla sua dimensione "totalitaria", "plebiscitaria" o fatalmente
"antipolitica", il populismo di Laclau intrattiene, al contrario, un rapporto cruciale con la democrazia; ne è anzi il motore,
almeno quando si accetti di pensare quest' ultima come il teatro di quella inesausta lotta per l'egemonia in cui parti
diverse e contrapposte si contendono lo spazio dell' universale e il "riempimento" di quel significante-vuoto che permette
ogni dinamica sociale. Marco Baldassari insegna Storia delle istituzioni politiche europee presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell' Università di Parma. E ricercatore del Centro studi movimenti di Parma. Con Diego Melegari ha curato La
rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68 (Manifestolibri, 2008). Diego Melegari è assegnista di
ricerca presso il Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche dell' Università di Bologna e membro
del Centro studi movimenti di Parma. E autore di diversi articoli sulla filosofia francese contemporanea e sul marxismo
degli anni Sessanta e Settanta'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BARBERIS Mauro FERRAJOLI Luigi, Dei diritti e delle garanzie. Conversazioni con Mauro Barberis. MULINO.
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BOLOGNA. 2013, pag 192 Euro 15.0, rec FIORI Simonetta. ['Questo ultimo prezioso libro-intervista di Luigi Ferrajoi con
Mauro Barberis, filosofo del diritto altrettanto competente, contiene giudizi originali sulla crisi della politica e della
democrazia, di cui il tema della giustizia è parte essenziale. A cominciare dal 'populismo penale' in voga nel dibattito
pubblico ("Dei diritti e delle garanzie", il Mulino). Professor Ferrajoli, che cos'è il populismo giudiziario? «E il
protagonismo dei pubblici ministeri poi passati alla politica. Sono rimasto colpito dall'esibizionismo e dal settarismo di
alcuni magistrati, sia durante i processi che in campagna elettorale. Ho proposto anche una sorta di codice deontologico
che richiama ai principi di sobrietà e riservatezza, oltre che al dubbio come costume intellettuale e morale. Temo molto
quando il magistrato inquirente è portato a vedere nella conferma in giudizio delle ipotesi accusatorie una condizione
della propria credibilità professionale. Cesare Beccaria lo chiamava 'il processo offensivo', nel quale il giudice anziché
essere un 'indifferente ricercatore del vero' diviene 'nemico del reo'». Lei sottolinea il carattere 'terribile' del potere
giudiziario. «Sì, carattere 'terribile' e 'odioso', dicevano Montesquieu e Condorcet. E il potere dell'uomo sull'uomo, capace
di rovinare la vita delle persone. Purtroppo i titolari di questo potere possono cedere alla tentazione di ostentarlo. Cosa
sbagliatissima. Quanto più questo potere diventa rilevante, tanto più si richiede una sua soggezione alla legge e al
principio di imparzialità. Un obbligo che è a sua volta fonte di legittimazione del potere giudiziario». Il populismo penale, le
fa notare Barberis, è di fatto l'opposto del garantismo. «Sì, in realtà l'opposto del garantismo è il dispotismo giudiziario, che
è presente in tutte le forme di diritto penale con scarse garanzie, in particolare caratterizzate - come avviene in Italia - da
una legalità dissestata». (...)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BARITONO Raffaella, Le Leadership Politiche. RICERCHE DI STORIA POLITICA - MULINO. BOLOGNA. N 3 SPECIALE. 2002, sip, rec IGNAZI Piero. ['Il problema della leadership da sempre affascina gli studiosi, dall'antica Grecia
a Max Weber, passando per Machiavelli e quant'altri. A questo tema è dedicato l'ultimo numero di Ricerche di Storia
Politica curato da Raffaella Baritono. Il contributo di Max Weber sulle forme di legittimazione del potere e su quella
peculiare forma che è il potere carismatico, potere individuale per eccellenza (nonostante Paolo Pombeni, nella sua
introduzione, lo ritenga attribuibile anche a un' entità collettiva come la Chiesa Cattolica), è l'inevitabile punto di partenza
di ogni riflessione. Proprio in rapporto al carisma si sviluppa il saggio di Loris Zanatta dedicato al suo intreccio con il
populismo sudamericano. É dal 'mix tra l'anchilosi delle istituzioni democratico - rappresentative e la persistenza di un
radicato immaginario sociale olistico che troviamo le origini delle affermazioni del carisma' di Perón, e di tutti gli altri.
Populismo e leadership carismatica in America Latina 'viaggiano accompagnati'. Perché il mito del popolo, quell'essenza
mistica e salvifica che purifica dalla politica politicante e dall'arroganza dell'establishment, ha una potenza disgregante
sull'ordine liberale. E in questa disgregazione si inserisce l'appello del leader populista traboccante di riferimenti alla
révolucion così come a una perduta e agognata solidarietà organica della comunità nazionale. Con la conseguenza di
espiantare la democrazia liberale. Diversa, e con una ben più radicale opposizione alla democrazia, è l' esperienza
hitleriana. Maurizio Ricciardi, in un contributo magistrale per sintesi e acume, ripercorre la formazione del potere
personale di Hitler sottolineando la progressività con la quale si afferma il suo dominio personale, tanto che solo nel 1939
diventa ufficialmente Führer. In questo processo, suggerisce Ricciardi, si fondono tratti carismatici e costruzione legalerazionale del potere, soprattutto laddove 'il discorso giuridico (...) s'incarica di determinare l'assenza di limiti alla sua
podestà'. Ma le leadership non sono sempre in contrasto genetico con la democrazia. I casi di De Gaulle, Togliatti,
Adenauer e Brandt o De Gasperi illustrati nel volume vogliono dimostrarlo. É soprattutto peculiare il caso di De Gasperi,
leader schivo e tutt'altro che affascinante. Piero Craveri, nel ritratto che gli dedica, non esita infatti a definirlo 'un alieno',
'una figura poco amata', 'un enigma tra i cattolici stessi'; insomma, una 'leadership atipica', 'dai tratti peculiari': come, del
resto, è tuttora il nostro sistema politico'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BERTA Giuseppe, Eclisse della socialdemocrazia. IL MULINO. BOLOGNA. 2009, pag 135 Euro 10, rec Danilo
BRESCHI. ['G. Berta cerca di rendere ragione del perché la socialdemocrazia sia uscita travolta prima dalla
globalizzazione e poi dalla sua crisi. Il compiersi definitivo della globalizzazione a seguito del crollo dell'impero sovietico
ha messo in crisi lo stato-nazione. Non scompare come istituzione, e la crisi finanziaria del 2008 ne ha ribadito la
funzionalità di regolatore economico e riequilibratore sociale, per quanto consentano le sue leve fiscali. Lo stato-nazione
appare però comunità di taglia troppo grande per le domande di cittadini carenti di dimensioni comunitarie e politicoassociative che siano alla loro portata, che siano cioè attivabili democraticamente. Di qui l'emergere del peso politico del
territorio, inteso come spazio circoscritto e riconoscibile sulla base delle tradizioni municipali e regionali che hanno
costituito l'identità istituzionale per molti secoli; in certi casi, fino a Ottocento inoltrato. Qui viene vista una delle ragioni del
declino del centrosinistra europeo, poco avvezzo alla 'Gemeinschaft'. E si spiega il successo delle destre radicali e
populiste in tutta Europa. I cittadini, non più dentro classi, e senza sindacati veri, si rinchiudono nello spazio fisico del
territorio. Giuseppe Berta insegna Storia contemporanea nell'Università Bocconi di Milano. E' stato fra i fondatori
dell'ASSI, Associazione di Storia e Studi sull'Impresa, di cui ha ricoperto la presidenza fra il 2001 e il 2003. E' stato
responsabile dell'Archivio storico Fiat dal 1996 al 2002. E' editorialista de "La Stampa" di Torino'] [ISC Newsletter N° 76]
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BIORCIO Roberto, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo. LATERZA. ROMA-BARI. 2010, pag
XVII-177 Euro 18.0, rec Francesco TUCCARI. [La tesi fondamentale del libro è che la Lega appartiene "a due famiglie di
formazioni politiche che si sono affermate nei paesi europei: i partiti etno-regionalisti, da un lato, e i partiti populisti,
dall'altro". Questa doppia fisionomia avrebbe consentito l'adattamento alle diverse opportunità offerte dalla politica
italiana: dapprima nel 1992, durante la "prima ondata" di espansione, mobilitando soprattutto l'antipolitica e le crescenti
tensioni della "gente" contro un sistema dei partiti ormai al collasso; poi, nel 1996, durante la sua "seconda ondata" di
espansione, cercando di sottrarsi alla logica bipolare e rimarcando la propria identità con l'"invenzione" e l' "indipendenza"
della "Padania"; infine, dal 2008 in poi, durante la sua "terza ondata" di espansione, "ricollocandosi nella coalizione di
centrodestra per riconquistare un ruolo politico nelle istituzioni politiche locali e nazionali" e per accreditarsi a Roma
come "il principale imprenditore politico della questione settentrionale". Il tutto, giocando le due carte vincenti del suo
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radicamento sul territorio e della sua capacità di utilizzare le paure della popolazione di fronte alle sfide della
globalizzazione, dell'immigrazione, della criminalità, dell'islamismo e del terrorismo. Due carte che, in molti casi,
avrebbero permesso alla Lega di sostituirsi ai partiti di sinistra tra l'elettorato popolare e operaio, al Nord e oltre il Nord.
Per Biorcio, l'obiettivo politico di fondo della Lega sarebbe quello di farsi carico della "questione settentrionale",
utilizzando per questo varie scelte tattiche - federalismo, indipendenza, secessione, devolution - di volta in volta diverse
e adattate alle circostanze. Nelle sue ultime evoluzioni il Carroccio si proporrebbe ormai come "un partito in grado di
offrire una rappresentanza politica a tutto il Nord, all'interno di uno Stato nazionale, che non mette più in discussione in
quanto tale". La Padania rimarrebbe "un riferimento ideale". Ma in realtà i leghisti eserciterebbero ormai soltanto "il ruolo
di rappresentanti e mediatori degli interessi del Nord a Roma". Roberto Biorcio è docente di Scienza politica presso la
Facoltà di Sociologia dell' Università degli Studi di Milano-Bicocca. Svolge attività di ricerca sulla partecipazione politica, le
trasformazioni della democrazia, le culture politiche, i partiti, le associazioni e i movimenti sociali. E' autore di numerose
pubblicazioni, tra cui 'La Padania promessa. La storia, le idee e la logica d'azione della Lega Nord' (Il Saggiatore 1997) e
'Sociologia politica. Partiti, movimenti sociali e partecipazione'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BOBBIO Norberto a cura di MANNI Franco, Liberalismo e democrazia. SIMONELLI. MILANO. 2006 1ª ediz. 1985, pag
159 Ç 10, introduzione del curatore bibliografia sitografia note rec Cesare PIANCIOLA. ['Si tratta di una riedizione del
testo, ormai esaurito, pubblicato nel 1985 da Franco Angeli. Per il curatore, il libro va considerato come un basic book da
diffondere nelle scuole e nelle università per la formazione delle giovani generazioni. La nuova edizione si predispone a
questo scopo corredandosi di un'introduzione per la contestualizzazione storica e teorica, di sobrie annotazioni e di una
bibliografia aggiornata con le opere sull'argomento uscite dopo il 1983, con attenzione anche ai siti Internet utilizzabili. Il
curatore sottolinea alcuni "luoghi comuni" che il libro di Bobbio aiuta a dissolvere: la confusione tra liberalismo e
democrazia (che rispondono a domande diverse ed eterogenee: come viene limitato il potere? e chi detiene la sovranità?,
sicché storicamente possono esserci tirannie delle maggioranze, populismi autoritari, "democrazie popolari"
perfettamente illiberali, così come regimi liberali oligarchici e antidemocratici); la sovrapposizione tra liberalismo e
liberismo, spesso identificati e accomunati negativamente sia nella tradizione di sinistra che in quella di destra; lo
scivolamento dal rifiuto del populismo a un elitismo antidemocratico che è più diffuso tra gli intellettuali di quanto non si
sia disposti ad ammettere. Al recensore invece non convince la visione della continuità tra il pensiero etico-politico di
Bobbio e quello di Croce, fatta dal curatore, che poi in nota non si dilunga nello spiegare il duro giudizio di Bobbio, che si
trova in 'Politica e cultura' (1955): "Chi volesse oggi capire il liberalismo non mi sentirei di mandarlo a scuola da Croce"']
[ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
BONOMI Aldo, Sotto la pelle dello Stato. Rancore, cura, operosità. FELTRINELLI. MILANO. 2010, pag 192 Euro 14, rec
DE RITA Giuseppe. ['Nella palude. La fase attuale della politica italiana potrebbe essere efficacemente riassunta così: da
una parte il populismo di territorio di marca leghista, dall'altra il populismo del sogno berlusconiano. Nel mezzo una sorta
di populismo giustizialista, marcato dai segni inquietanti dell'invidia sociale. Il tratto comune di questi fenomeni sta nel
rinserrarsi cieco nei propri egoismi territoriali, nelle invidie di vicinato, nel gossip televisivo. Mai come ora c'è stato
bisogno di politica, in grado di ripensare i comportamenti collettivi nel contesto di spaesamento prodotto dalla
globalizzazione. Rancore, cura, operosità sono metafore sociali che indicano i modi differenti in cui i soggetti si
relazionano di fronte alle difficili sfide poste dalla vita quotidiana. C'è un grave pericolo che bisogna evitare: la saldatura
politica tra la "comunità del rancore", con le sue paure già quotate da tempo al mercato della politica, e le preoccupazioni e
le angustie degli "operosi" che pur con mille difficoltà fanno impresa nella globalizzazione. Solo coniugando insieme la
"comunità di cura" figlia del welfare e fatta di operatori, medici, insegnanti, impresa sociale, volontariato, che
quotidianamente si impegnano sul territorio per produrre inclusione sociale, con il mondo degli "operosi" si potrà costruire
una società aperta. Sta in questo corno la sfida della fase attuale. 'Pur essendo stato partecipe per molti anni del percorso
intellettuale di Aldo Bonomi, sociologo, ho letto con nuovo interesse il suo ultimo libro, pubblicato da Feltrinelli con il titolo
"Sotto la pelle dello Stato". E mi sono trovato a domandarmi il perché di tale nuovo interesse. In fondo so tutto delle
convinzioni dell'autore sul valore del territorio, sulle dinamiche dell'egoismo localistico, sull'intreccio fra radicamento nei
luoghi e impegno sui flussi globali, sulla centralità del capitalismo personale, figlio del postfordismo, sulla crisi della società
di mezzo e dei soggetti collettivi in essa operanti, sulla non-nascita (o sul fallimento) di una neoborghesia nazionale, sul
pericoloso scivolamento delle masse verso l'essere moltitudine e conseguentemente del potere verso il populismo. Sono
tematiche che Bonomi ha approfondito con grande accanimento professionale e che fa bene a metterle in sequenza
ordinata. Ed anche convincente visto che ad ogni verifica su quei percorsi di analisi e di riflessione ha sempre avuto
ragione lui, spesso anche in rabbioso contrasto con le forze politiche a lui vicine, che parlano molto di territorio, di
populismo, di post fordismo e quant'altro, ma non si comportano di conseguenza. Il fatto è che, contrariamente a loro,
egli questa società l'ha abitata nel profondo, prima ancora di pensarla e descriverla. Non basterebbe comunque questo
riassunto di cose viste dal di dentro, e non con pensieri di sorvolo, per suscitare il senso di nuovo (di nuovo anche per
me) avvertibile in quest'ultimo lungo racconto, un senso di nuovo che sorge da tre constatazioni. La prima è che dalle
riflessioni di Bonomi esce con chiarezza che l'Italia «si è fatta da sé», senza alcun riferimento a paradigmi predefiniti. Ce
ne son stati proposti tanti di paradigmi in questi 150 anni di unità politica, dal patriottismo risorgimentale al nazionalismo
fascista, dal liberalismo nazionale, ottocentesco allo statalismo del secondo dopoguerra, dal comunismo al
berlusconismo, con una continua rincorsa della politica a progetti e disegni sempre vanificati dai comportamenti dei tanti
nostri soggetti economici e sociali, la cui vitalità ha via via cambiato questo Paese, ha in fondo creato un modello. La
seconda constatazione è molto politica: non c'è dialettica fra l' Italia che fa da sé, con tutti gli impulsi positivi e tutti i
rancori che in essa si esprimono, e chi fa politica in termini sempre più autoreferenziali. Spesso mi ritrovo a domandarmi
perché la politica non riesca ad incorporare nella sua azione tutte le suggestioni che Bonomi impone da anni e che
ripete in questo libro, e mi rispondo che il torto non è dell'inascoltato raccontatore degli eventi ma nella sordità ormai
cronica di chi dovrebbe ascoltarli e decifrarli. E la terza conseguente constatazione è che il disallineamento fra realtà
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sociale e pensiero politico porta ad una crescente tentazione della società a disegnarsi ulteriori traguardi, a far da sola; è
una tentazione che spesso aleggia ai vertici di alcune rappresentanze sociali (basta pensare ad alcune dichiarazioni di
Emma Marcegaglia nelle ultime settimane) ma che più ancora si avverte mettendo l'orecchio a terra, sulle dinamiche
territoriali emergenti. E in questo Bonomi, specialmente nell'ultimo capitolo del libro, è molto chiaro: la società tende ad
organizzarsi in termini comunitari, a svilupparsi «assumendo come luoghi del pensare e dell'agire le parole chiave del
territorio e della comunità»; si tratti di fronteggiare le comunità del rancore, disattivandone i meccanismi più perfidi del
rattrappimento aggressivo; si tratti di sviluppare le comunità di cura che si vanno moltiplicando in una solidarietà che si fa
sempre più tessuto sociale; si tratti di accompagnare le tante antiche e nuove comunità operose che restano il vero
patrimonio socioeconomico dell' Italia di oggi. (...)' (dalla recensione). Bibliografia: 'Ethnos e demos. Dal leghismo al
populismo', a cura di Aldo Bonomi e Pier Paolo Poggio, MIMESIS. MILANO. 1995, pag 335 Lit 30 mila' [Saggi presentati
al Congresso 'Ethnos e Demos' tenutosi a Milano nel 1993] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF BURUMA Ian,
Assassinio ad Amsterdam. I limiti della tolleranza e il caso Theo Van Gogh. EINAUDI. TORINO. 2007, pag 233 Euro
14,50, rec Stefano LEVI DELLA TORRE. ['Il 14 novembre 2004 un islamista di origine marocchina uccideva in una
strada di Amsterdam Theo Van Gogh, reo in quanto regista di 'Submission', un film che denunciava l'oppressione delle
donne nell'Islam. Nel corpo della sua vittima l'assassino aveva piantato con un coltello una lettera che era un messaggio
di morte per Ayaan Hirsi Ali, transfuga dalla Somalia e dall'Islam, autrice della sceneggiatura. Di qui muove l'autore per
indagare sulle trasformazioni e sui contrasti indotti in Olanda (e in Europa) dall'immigrazione. "Pian piano, quasi senza
che nessuno se ne accorgesse, i vecchi quartieri operai olandesi si trasformarono in 'città paraboliche' collegate al
Marocco, alla Turchia e al Medioriente dalle televisioni via satellite e da Internet". L'assassinio di Van Gogh è il segnale
di un equilibrio che s'incrina: le tradizionali libertà olandesi di opinione e di critica d'improvviso esposte a un pericolo
mortale: è "l'atmosfera minacciosa che ribolle sotto la calma di superficie e che può tutt'a un tratto prorompere in atti di
violenza insensata". L'autore dedica un lungo capitolo al fenomeno Pim Fortuyn - a cui Van Gogh stava dedicando un
film nei giorni in cui fu ucciso - anch'egli ucciso "per ragioni di principio" da un certo Van Der Graaf, animalista fanatico.
Si tratta di una figura non facilmente annoverabile nella destra populista, come quella di Le Pen o Haider o la Lega Nord
in Italia. "Io non odio l'islam - dichiarava Fortuyn - lo trovo una cultura arretrata. ... Non ho nessuna voglia di dover
riconquistare un'altra volta da capo l'emancipazione di uomini e donne". La sua esibita omosessualità, invece di
ostacolarlo presso il pubblico conservatore, gli conferiva al contrario un'aura eccentrica che contrastava con il
perbenismo della politica ufficiale. Europeismo e multiculturalismo erano per lui roba da politicanti: era uno "spacciatore
di nostalgia", un "maestro del kitsch emozionale", e le emozioni che suscitava "erano precisamente quelle dei tifosi del
calcio". Era in un certo senso un campione dell''antipolitica', che più che un programma proponeva se stesso. Carisma
mediatico e personalizzazione della politica avvicinano il caso Fortuyn al caso Berlusconi, figure capaci di rappresentare,
nella propria retorica vittimistica, le più corrive propensioni al vittimismo ("siamo invasi dagli immigrati; siamo tartassati
dai politici..."); figure capaci di sedurre le folle su due lati: in facciata, presentandosi come cavalieri audaci e spregiudicati
da cui ci si può attendere protezione e salvezza, ma che sul retro si presentano con il volto del perseguitato a causa della
propria stessa eccezionaiità. Ciò che "quella gente aspettava era un politico sufficientemente, grossolano da dar voce alle
loro ansie". L'autore incrocia così due crisi, quella indotta dall'immigrazione e quella interna alla democrazia nella sua
deriva populistica. La sua indagine mette in luce, in particolare, una dispersione della sinistra: da sinistra erano partiti tutti
i personaggi principali (da Fortuyn a Van Gogh, dal suo assassino Bouyeri ad Ayaan Hirsi Ali), per approdare alla fine su
sponde ben diverse. Ayaan Hirsi Ali e l'assassino di Van Gogh, Mohammed Bouyeri, emergono come casi esemplari:
I'una che fugge dall'islam per abbracciare un illuminismo battagliero e intransigente, l'altro che all'islam ritorna e lo
assume nella sua forma più fondamentalistica; l'uno che finisce in prigione per assassinio, l'altra che è sotto minaccia di
morte, ed è tradita dal centro e dalla sinistra, che trovano imbarazzante per il "dialogo tra culture" la sua posizione
intransigente sui diritti umani, e traggono pretesto da un' irregolarità burocratica per privarla del permesso di soggiorno
costringendola a riparare negli Stati Uniti, accolta dai repubblicani'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
CAPOZZI Eugenio, Partitocrazia. Il «regime» italiano e i suoi critici. GUIDA. NAPOLI. 2009, pag 168 Euro 11.0, rec
Danilo BRESCHI. ['E' nella condanna dell'invadenza dei partiti di massa e delle loro nomenclature, sperimentate per la
prima volta tra il "biennio rosso" e dittatura fascista, che risiede l'attitudine "antipolitica" della cultura politica italiana.
L'autore vede molta corrispondenza con l'effettiva storia italiana nelle critiche, ora lucide analisi ora demagogiche
invettive, dei vari Roberto Lucifero, Arturo Labriola, Guglielmo Giannini, Giuseppe Maranini, Panfilo Gentile e molti altri.
E' un filone marginale che però ha sedimentato elementi di un discorso pubblico fattosi poi comune sentire fino a
diventare opinione diffusa e trasversalmente condivisa, a destra e a sinistra, come ha dimostrato l'ondata antipolitica
esplosa con Tangentopoli e mai più fermatasi. Eugenio Capozzi è professore associato confermato di storia
contemporanea presso la facoltà di lettere dell'Università degli Studi di Napoli "Suor Orsola Benincasa"'] [ISC Newsletter N°
76] ISCNS76GRAF
CASTRONOVO Valerio, Piazze e caserme. I dilemmi dell' America Latina. LATERZA. BARI. 2008, pag 439 Euro 20.0,
rec RIZZO Renato. ['Gigante multiforme, l'America Latina: un labirinto di entità nazionali e regionali che, nei sogni di Simón
Bolívar, doveva diventare una grande federazione di stati analoga a quella creata da George Washington e che non ha,
invece, saputo sviluppare quest'identità attorno ai due assi fondamentali su cui ruota l'«elica» d'un comune Dna: la stessa
lingua - ad esclusione del Brasile - e la stessa fede religiosa. Anche se, oggi, il sogno sembra riaffacciarsi nelle parole di
qualche tribunizio epigono del «libertador». Scorrendo gli ultimi cent'anni di questo continente, due elementi s'intrecciano
senza conoscere linee di frontiere: un sentore di caserme e le urla di piazze in tumulto. Due simboli che Valerio
Castronovo ha preso a paradigma nel suo affresco sui «dilemmi dell'America Latina dal Novecento a oggi» e che
raccontano «il protagonismo eversivo degli uomini in divisa» e «il massimalismo demagogico d'una estrema sinistra
radicale o d'una estrema destra giustizialista». Una carrellata sugli stati e sugli anni ci consegnano immagini e nomi
altamente evocativi: l'ascesa e la caduta di Perón nell' Argentina dei descamisados; le alterne fortune della destra di
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«caudillo» più o meno longevi; il divampare della rivoluzione cubana con la fine di Batista, il sergente che volle farsi
satrapo, e l'ascesa di Castro. Un rincorrersi di fotogrammi in bianco e nero: il fervore rivoluzionario del «Che» e la sua
morte che l'ha consegnato alla storia e a un mito diventato istantanea da souvenir. E i movimenti di estrema sinistra che
hanno marchiato le cronache di stagioni tra euforia e terrore: sandinisti e «contras» in Nicaragua, i Tupamaros in
Uruguay, i Montoneros d'Argentina, le Farc colombiane, la mistica maoista di Sendero luminoso. A svettare, tra le tante
immagini, quella d'un uomo ucciso nel suo palazzo di presidente del Cile: Salvador Allende. Flash potenti, a illuminare
frammenti d'una storia che, tra sussulti e assestamenti, s'è incamminata verso un processo di «consolidamento ed
estensione delle istituzioni democratiche». Una sempre più netta cesura con il passato se si pensa che «nei primi Anni
Ottanta solo in tre Paesi - Messico, Venezuela e Colombia - si svolgevano libere elezioni». Oggi il continente cammina
sul crinale di nuovi equilibri geopolitici con due uomini a disputarsi la leadership: Chávez, il colonnello-presidente con
kefiah al collo che ha afferrato, nel Venezuela gonfio di petrolio, la bandiera d'un castrismo ormai esangue «per
coniugarlo con promesse d'un nuovo socialismo e istanze no global»; Lula, il sindacalista della rivoluzione senza
rivoluzione brasiliana che, dopo un mandato tra luci e ombre, si è riproposto nel 2006 dicendo: «Solo Dio avrebbe potuto
cambiare la faccia del Paese in quattro anni». Sei persone su dieci hanno creduto nella «strategia riformista» con la
quale si contrappone alla «strategia autoritario - giustizialista» del caudillo di Caracas. I due hanno fatto un tratto di
strada insieme, poi Lula ha scelto altri compagni assumendo «la guida, nell'ambito del Wto, dei Paesi dell'emisfero
australe che premono per l'apertura ai loro prodotti dei mercati della Ue e del Nordamerica» oltre a stringere accordi
economici con India e Cina. Chávez si presenta proclamando «solo Gesù è il mio capo» e cerca d'attrarre altri stati nel
suo sogno bolivariano (e Naomi Campbell nel suo sogno personale): è in sintonia con Bolivia ed Ecuador, cerca seguito
in Perù e in Messico. Il continente che è stato, per decenni, il «cortile di casa degli Usa» riuscirà a tornare padrone del
proprio futuro senza farsi costringere da mani forti a «proiezioni avventuristiche»? (...)'] [ISC Newsletter N° 76]
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CHASTEEN John Charles, Born in blood and fire. A concise history of Latin America, 3d ed. W.W. NORTON. NEW
YORK. 2011, pag 374 $44.95, cartine foto glossario time line ringraziamenti. ['Il volume approccia un tema tanto vasto
identificando la genesi dell' America Latina nella conquista e colonizzazione dei nativi americani e esaminando i temi
comuni della regione come la diversità razziale, il nazionalismo, la religione e la cultura. Organizzato cronologicamente,
esamina temi come la ribellione coloniale, il populismo, la teologia della liberazione, la violenza criminale e il
neoliberismo attraverso lenti multinazionali. Contiene numerose cartine e foto in bianco e nero. Questa terza edizione
contiene numerosi aggiornamenti e ampliamenti delle sezioni su colonialismo, nazionalismo, immigrazione e recenti
sviluppi politici. John Charles Chasteen (1955) è associate professor all'University of North Carolina, Chapel Hill. E' noto
per la sua apprezzata traduzione della storia dell'America Latina di Tulio Halperín Donghi (Historia de América Latina,
1970, trad. it. Storia dell' America Latina, Einaudi, 1972). E' anche autore di 'Heroes on Horseback: The Life and Times
of the Last Gaucho Caudillos' (University of New Mexico Press, c1995)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
CHIARAMONTI Gabriella a cura, Tra innovazioni e continuità. L'America Latina nel nuovo millennio. CLEUP. PADOVA.
2009, pag 228 Euro 17,00, indice dei nomi. ['Presidenti democraticamente eletti, tra loro molto diversi ma spesso definiti
'di sinistra'; nuovi soggetti che si affacciano sulla scena politica; una crescita economica sostenuta e diffusa, inflazione
contenuta, debito in calo; crescente autonomia internazionale. L'America Latina nei primi anni del nuovo millennio
presenta un panorama variegato, caratterizzato da importanti novità, cui si affianca però il riemergere o il permanere di
antichi problemi. Sono ricomparse ben note tentazioni populiste, continuano a esistere forti sperequazioni economiche e
sociali. Nonostante tutto, ancor oggi un latino-americano su tre è povero. Su questi temi indagano i saggi contenuti nel
volume (che riunisce gli atti della Giornata di studi sull'America Latina svoltasi presso l'Università di Padova nel marzo del
2008), offrendo un importante contributo alla comprensione di portata, limiti, prospettive di questo pachacuti
(rinnovamento, ritorno) latino-americano. Dal testo: "[...] il populismo d' oggi ha l'aria del déjà-vu; anzi, talvolta più che
l'aria: si pensi, per dire, alla rete di esercizi commerciali a prezzi calmierati e sussidi statali creati da Hugo Chavez per
combattere l'inflazione, copiati da quelli fondati un tempo dalla Fondazione Eva Perón; o agli aiuti venezuelani ai poveri
statunitensi, implicita allusione alla superiorità spirituale del suo regime nei confronti del materialismo di Wall Street, un
classico del nazionalismo latino-americano d'ogni epoca e tendenza e anch'essi spudorate imitazioni di quanto fatto da
Eva Perón nel lontano 1949. E si potrebbe continuare, sottolineando gli aspetti arcaici del populismo latinoamericano
contemporaneo, col suo massiccio ricorso al nepotismo, come in Nicaragua, alla creazione di identità essenzializzate ed
escludenti, come in Bolivia, all'autoritarismo "in nome del popolo", come in Ecuador, al più sfacciato uso di parte dei beni
pubblici, come in Venezuela, alla corruzione dilagante e così via. Sennonché tali fenomeni non sono affatto appannaggio
esclusivo dei governi populisti o tendenzialmente tali, come non lo è il costume di accentrare i processi decisionali
finendo per indebolire il già fragile e malfermo tessuto istituzionale delle democrazie latino-americane". Gabriella
Chiaramonti insegna Storia dell'America Latina nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova. Si occupa
prevalentemente di storia politica e istituzionale dei paesi andini, in particolare del Perù'] [ISC Newsletter N° 76]
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CLOGG Richard a cura, Greece, 1981 - 1989: The Populist Decade. MACMILLAN PRESS. LONDON. 1993, pag 194 £
40.0, rec James PETTIFER, St Antony's College, Univ Oxford. ['I saggi del libro si incentrano sul Pasok (partito socialista
panellenico) durante il periodo al potere dal 1981 al 1989. Gli scritti sono di John O. Iatrides (rapporti Usa con governo
Pasok), Thanos Veremis (difesa e politica di sicurezza), Theodore A. Coulumbis (politica estera), Christos LyrintzisS
(Pasok come governo), Susannah Verney (Pasok e CEE), P. Nikiforos Diamandouros (politica e cultura in Grecia, 197491). Clogg introduce il volume con il saggio 'il fenomeno Pasok'. Secondo il recensore, molto interessanti sono i saggi
sulla politica estera e la sicurezza ed il saggio percettivo sulle relazioni greco-turche di Van Coufoudakis'] [ISC
Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
CORBETTA Piergiorgio GUALMINI Elisabetta a cura, Il partito Grillo. MULINO. BOLOGNA. 2013, pag 242 Euro 16.0,
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introduzione di GUALMINI Elisabetta rec COLLEVECCHIO Barbara. ['Con l'aiuto dell'Istituto Cattaneo, il lettore potrà
scoprire le ragioni del successo del M5s e potrà quindi, alla vigilia delle prossime elezioni politiche, su cui Grillo si sforza
quotidianamente di mettere un'ipoteca, inquadrare bene il movimento e la sua organizzazione dentro e fuori la rete, il
rapporto tra la base e il condottiero-blogger, le relazioni tra eletti e militanti, l'uso delle tecnologie informatiche e della
«web democracy»". Questo si legge nella prefazione del libro ricerca "Il partito di Grillo" di Piergiorgio Corbetta,
professore ordinario di Metodologia della ricerca sociale nell'Università di Bologna e di Elisabetta Gualmini, professore
ordinario di Scienza politica nell' Università di Bologna. L'Istituto Cattaneo è storicamente, una delle prime (e ancora oggi
una delle poche) think tank italiane. Chi sono gli elettori del movimento 5 Stelle? I voti che prende il movimento sono
principalmente sottratti alla sinistra, l'enfasi sui temi ecologisti e sulla partecipazione diretta costituisce punti di contatto
con la green wave degli anni '80 che fu catalogata nella sinistra libertaria. Molti hanno parlato di Grillo-Leghismo per la
somiglianza delle invettive di Grillo a quelle di Bossi, accostamento valido secondo gli autori poiché evocato dallo stesso
Grillo quando afferma che il suo movimento sta riempiendo spazi che in altri contesti sono stati occupati da movimenti di
estrema destra. Questi sentimenti antiestablishment non sono però un tratto esclusivo delle destre populiste ma tipiche
anche della sinistra libertaria già citata. Questione giovani: solo il 6,5% dei votanti per Grillo ha oltre i 64 anni il picco di
consensi è nella fascia di età tra 35 e 44 anni: preferenze attorno al 30% primo partito prima del Pd. Questione regionale:
Nord: 22,7% ; Sud 21,10, Centro 20,2; Istruzione: il 16,4% scuola dell'obbligo; 27,3 diploma; 23,7 laurea. Secondo gli
autori il fatto che il movimento sia molto più votato da chi ha un'istruzione media più che elevata sembra avvicinarli
all'elettorato di stampo populista. Occupazione: 26,8 disoccupati; 25,3 studenti; 29,5 operai ; 28,5 dipendenti privati; 27,4
liberi professionisti. Non c'è un profilo sociale ben definito solo la categoria delle casalinghe si attesta come meno
recettiva alle istanze del movimento. Gli autori definiscono il M5S: "movimento pigliatutti" in grado di raccogliere consensi
diffusi in tutte le categorie occupazionali. Religione: 25,8 non credenti; 24,4 credenti non praticanti, 15, 3 praticanti
assidui. Il movimento raccoglie inoltre più elettori maschi che donne, dato spiegabile come divario digitale tra uomini e
donne come dimostrato da una ricerca di Sartori del 2006. Altro dato: gli elettori tipici del M5S sono cittadini attivi cioè
che tendono a partecipare ad associazioni sociali di volontariato ma soprattutto attività sportive. Nonostante però la grande
presenza di tematiche ambientaliste, la ricerca rivela una bassa partecipazione degli elettori del M5S ad associazioni
ambientaliste. Antipolitica? La maggioranza dei voti del M5S viene, secondo la ricerca dagli ex elettori del centrosinistra
infatti è temuto principalmente dai partiti di quest'area. Dati: il 34,5 proviene dal Pd-Idv; il 33,8 da Pdl-Lega: il 5,1% da
Udc e il 14,2 dal non voto'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
CORRALES Javier PENFOLD Michael, Dragon in the Tropics: Hugo Chávez and the Political Economy of Revolution in
Venezuela. BROOKINGS INSTITUTION PRESS. WASHINGTON. 2010, pag 195 $22.95, rec Richard FEINBERG.
['Chavez è salito al potere non a causa di riforme di mercato neoliberali e decomposizione politica, ma piuttosto per il
contrario: l'economia del paese, statalista e fondata sul petrolio, e precedenti aperture democratiche hanno portato al
chavismo. Di particolare interesse nel volume è la storia di come Chavez abbia prosciugato di capitali quella che una
volta era una superba compagnia petrolifera di Stato per finanziare il suo programma sociale e la sua ambiziosa politica
estera. Altrettanto interessante è la storia di come abbia abilmente manipolato la sua generosità internazionale ed appeal
verso la sinistra radicale della regione per far tacere le critiche esterne al suo governo. E' probabile, predicono gli autori,
che Chàvez sosterrà il suo regime sempre più trincerato, finché un'opposizione più unita possa costruire ponti per i
moderati del regime che temono un futuro caos. Javier Corrales è professore di scienze politiche all' Amherst College ed
è autore di 'Presidents Without Parties: The Politics of Economic Reform in Argentina and Venezuela in the 1990s' (Penn
State Press, 2002). Michael Penfold è professore di economia politica e ex preside dell'Instituto de Estudios Superiores
de Administracion in Caracas e autore di 'Dos Tradiciones,Un Conflicto: El Futuro de la Descentralización' (Debate 2009)]
[ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
CREECH Joe, Righteous Indignation: Religion and the Populist Revolution. UNIVERSITY OF ILLINOIS PRESS.
URBANA AND CHICAGO. 2006, pag XXX-232 $60.00 paper $25.00, rec Catherine McNICOL, Stock Connecticut
College. ['Creech ricorda l'intenso dibattito storiografico di cui è stato oggetto il populismo: quei farmers radicali erano
proto-progressisti, come hanno cercato di mostrare Vann Woodward e Lawrence Goodwyn o furono gli arrabbiati antiintellettuali e anti-modernisti dipinti da Richard Hofstadter? Per l'autore il populismo può essere visto tanto liberale che
conservatore perché fu fortemente influenzato dal protestantesimo, che di per sé fu già un movimento tanto retrogrado
che innovatore. L'importanza di tale influenza spiegherebbe ad es. la contraddizione della figura di William Jennings
Bryan, il grande "commoner diventato fondamentalista", persecutore dell'insegnante evoluzionista John T. Scopes. Molti
leader populisti erano pastori o attivi nelle congregazioni. In particolare l'autore mostra come alcuni gruppi evangelici
della Nord Carolina, chiamati restorazionisti, furono particolarmente propensi ad abbracciare il messaggio populista,
associandolo ad una concezione dell'organizzazione della chiesa meno centralizzata. Cyrus Thompson, leader laico
metodista, ad es. sollecitava i suoi concittadini della Nord Carolina a vedere che "come la chiesa può perdere lo spirito
della sua testa e accettare la signoria di Costantino o Mammona (la ricchezza)... così una repubblica può essere rapinata
dei frutti della democrazia e i suoi cittadini... diventare schiavi della concentrazione della ricchiezza e del potere"'] [ISC
Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
DAL-LAGO Alessandro, Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica. EDIZIONI CRONOPIO. NAPOLI. 2013, pag
150 Euro 10.62, Collana Rasoi. ['Con l'ascesa e il successo di Beppe Grillo alle elezioni del 23 e 24 febbraio 2013 è
avvenuto qualcosa di inaudito (e non solo in Italia): il prepotente ingresso della rete nella scena politica. Naturalmente, la
rete era già una dimensione politica ampiamente sfruttata da anni (si pensi solo alla vittoria elettorale di Obama nel 2008).
Ma con Grillo si assiste all'invenzione e al successo di un partito-sito, che considera il movimento un'emanazione del
blog www.beppegrillo.it. Il saggio ricostruisce il fenomeno Grillo a partire dalle sue idee, dalla struttura del suo
movimento. Intervista. 'Professor Dal Lago intanto rappresentano un terzo dell'elettorato italiano. Come ha fatto un
movimento, virtuale, a raggiungere quota 25 per cento? «Perché il lavoro che hanno fatto è stato molto ignorato. L'anno
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precedente erano arrivati al 6-7 per cento, sembravano una novità, non lo erano affatto. Il blog di Grillo esiste da sette
anni e il Movimento, in questo lasso di tempo, ha raccolto il disagio e la protesta ovunque. Il secondo motivo è che
avviene tutto a livello di opinione e l'opinione è ormai disincarnata. Noi a Genova non sappiamo se esistono, non ci
sono». Secondo lei questo è il motivo per cui il M5S ha sfondato a livello nazionale e non locale? «A livello locale non è
un movimento a contatto col mondo reale. L'elettorato locale segue più le persone». Lei parla del grillismo come di un
populismo paranoico, a tratti pericoloso. Cosa la spaventa? «Personalmente rispetto gli elettori e gli attivisti, il mio
problema non sono loro. In generale è questa ideologia basata sulla rete, unico sistema, totalizzante. Mi fa paura.
Perché è uno strumento di comunicazione e in quanto tale è manipolabile. I casi Assange o Snowden ci dicono che la
rete è gestita da grandi multinazionali che impongono con i loro algoritmi ciò che vogliono. L'idea che uno si possa
esprimere solo cliccando (da qui il titolo del libro) è folle. Il secondo motivo è il modo in cui la ditta Casaleggio-Grillo
gestisce il movimento: comunque la si pensi in 150 sono stati eletti in Parlamento e non possono prendere ordini da chi li
vincola sul mandato. Tra l'altro, e nessuno lo dice, è anticostituzionale». In pratica il problema sono Grillo e Casaleggio, i
due non leader. «Un problema non formale, ma sostanziale, chi comanda? Due extraparlamentari che impongono la
logica del clic a centinaia di parlamentari». Ci spiega perché l'anomalia Grillo è tutta italiana? 'I pirati', movimento simile
ai 5Stelle, in Germania non governano. «Perché in Italia c'è un'estrema fragilità del sistema. Tangentopoli ha sfasciato la
struttura politica e anche partitica, ha costretto il Pci a trasformarsi e poi c'è stato Berlusconi, altra anomalia tutta italiana.
Anche in Francia dove la situazione politica è vivace, il sistema è più stabile». Questione di legge elettorale? «Piuttosto
di cultura del sistema politico. Pensiamo alla Lega, per anni si è discusso di secessione e sembrava un'ipotesi
pericolososissima, ora è arrivato Grillo. L'Italia è un paese instabile in cui il sistema della rappresentanza non rinnovato è
crollato. E siamo al punto di partenza. Ora abbiamo il Movimento 5 Stelle, che non reggerà a lungo, il Pd che non si
capisce cosa sia, il Pdl al collasso». La sua conclusione, amara, da uomo di sinistra è che, scusi il gioco di parole, è tutta
colpa della sinistra. «La sinistra ha fatto una serie incalcolabile di errori, il culmine del delirio si è toccato quando i
partitelli comunisti sono confluiti al seguito di Ingroia, de Magistris e Di Pietro. Cioé tre ex procuratori. Per me è
inconcepibile». E come se lo spiega? «A sinistra dopo Mani pulite il principio generatore di tutto, pensato da gente
risentita e intellettuali fatui, è stato la giustizia assoluta. Una vera tragedia». A chi si riferisce? «A chi ragiona in manette.
Personaggi come Travaglio e Flores d'Arcais sono una iattura per la sinistra. A Piazza Pulita ho ascoltato il giovane
giornalista del Fatto, Ferruccio Sansa, invocare le manette per gli evasori. (...) Secondo lei Renzi può capeggiare la nuova
sinistra? «Il personaggio sembra una via di mezzo tra Giamburrasca e Chance il giardiniere di Oltre il giardino. Farà
carriera perché è abile. Ma è una specie di Sgarbi, non è il mio modello». Quindi l'Italia è senza speranza? «No e lo sa
perché? Perché le politiche fondamentali non appartengono più alla sfera nazionale ma a quella europea e la Germania
domina. L'Ue ha aperto trenta procedure di infrazione e se non si agisce pagheremo un sacco di soldi. Ma alla fine ci
terranno in piedi loro». (...)' (intervista con Simona Brandolini, 13.11.2013) (Corr Mezz)] [ISC Newsletter N° 76]
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DE LA TORRE Carlos ARNSON Cynthia J. a cura, Latin American Populism in the Twenty-first Century. THE JOHNS
HOPKINS UNIVERSITY PRESS - WOODROW WILSON CENTER PRESS. WASHINGTON - BALTIMORE. 2013, pag
XII-398 $30.00, rec Arturo CRUZ, Jr. ['Nel corso del 1900, la maggioranza dei paesi dell' America Latina svilupparono
economie di mercato e democrazie rappresentative. Tuttavia, in alcuni di essi le promesse di società liberale non
corrisposero all' ampiezza della domanda dei cittadini, provocando la richiesta di democrazie più rappresentative e di
Stati più attivi nella produzione e distribuzione di beni e servizi. I leader latinoamericani, tra cui Hugo Chávez in
Venezuela, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, i Kirchner in Argentina e perfino Alvaro Uribe in Colombia
salirono tutti al potere in parte con la promessa di essere più efficaci e giusti nella mediazione tra le richieste dei cittadini
e le risorse statali. Chávez agì così generosamente con i suoi sostenitori che le risorse dei proventi petroliferi si
rivelarono inadeguate a coprire i costi crescenti. Morales, dal canto suo, pure condivise le risorse con i suoi sostenitori,
ma riuscì a mantenere una disciplina di spesa, traendo vantaggio dagli alti prezzi dei beni esportati. Il volume di De la
Torre e Arnson affronta queste varietà di populismi, concludendo con un ampio saggo dei curatori sulla continuità di questo
fenomeno politico durevole in America Latina. Carlos de la Torre è direttore di studi internazionali e professore di
sociologia nell'Università del Kentucky, Lexington. Pubblicazioni: Populist seduction in Latin America, Ohio University
Press, Athens 2010; Populist seduction in Latin America : the Ecuadorian experience, Ohio University Center for
International Studies, 2000. Cynthia J. Arnson è direttrice del Latin American Program al Wilson Center'] [ISC Newsletter
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DELEERSNIJDER Henri, Populisme: vieilles pratiques, nouveaux visages. L. PIRE. BRUXELLES. 2006, pag 127 Euro
15, Voix de la mémoire. ['Il libro è uno stato dei luoghi del nazional-populismo attuale così come un saggio delle sue
tipologie, dal populismo identitario, al populismo protestatario fino al telepopulismo. Il Vecchio Continente da qualche
decennio ha dovuto fare i conti con fenomeni populistici guidati da leader più o meno carismatici che con un linguaggio
politico che si richiama al mito del popolo hanno rimesso in causa la rappresentatività democratica, demonizzato
l'immigrazione e rifiutato la costruzione europea. Il fenomeno non è nuovo. Si è già visto con Boulanger, Degrelle, Peron,
Poujade, Le Pen, fino ai telepopulisti di oggi. L'autore mostra pure che oggi c'è anche una certa sinistra della gauche che
vuole riappropriarsi del concetto polisemico di "populismo" per reintrodurre in esso la dimensione progressista delle sue
origini. Henri Deleersnijder è professore di storia (Università di Liegi). E' anche autore di due opere in cui denuncia il
negazionismo. Giornalista, ha scritto nel 2005 un articolo intitolato "La dérive populiste en Europe centrale et orientale"
(rivista Hermès (coordonné par Pascal Durand et Marc Lits, CNRS Editions, n° 42, 2005)'] [ISC Newsletter N° 76]
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DEPUSSE' Jean CASUBOLO Antoine, Coluche, l'accident. EDITIONS PRIVE'. PARIS. 2006, pag 227 Euro 18.0.
['L'attore comico Coluche (Parigi, 28 ottobre 1944 - Opio, 19 giugno 1986) se ne andava in moto in una strada
dell'interno della regione di Cannes quando un camion improvvisamente gli si è parato davanti. All'indomani del dramma
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nessuno ha consultato i testimoni e i giornali si sono accontentati di riprendere le informazioni diffuse da AFP. Coluche
andava a 60 all'ora in una strada dritta. Il camion arrivava in senso inverso praticamente a passo d'uomo e all'ultimo
momento ha svoltato a sinistra. Molte questioni si pongono su questo incidente. I due autori sono giornalisti. Casubolo
(49 anni) è anche documentarista. Il giorno della morte di Coluche, Depussé si è recato sul luogo dell'incidente per
indagare sulle circostanze e recuperare testimonianze. Jean Depussé dopo aver condotto le sue ricerche ha deciso di
mettere al corrente Antonio Casubolo che ha continuato l'inchiesta. L'opera rivela certe incoerenze nell'indagine delle
autorità e solleva l'ipotesi della presenza sul posto dei servizi (enseignements généraux). Jean Depussé ha dedicato la
sua vita a questa inchiesta. E' morto nel 2006 qualche settimana dopo la pubblicazione di questo libro! Coluche nel 1980
annunciò pubblicamente di volersi candidare alle elezioni presidenziali francesi del 1981. Tutti pensavano stesse
scherzando; abbandonò il progetto a causa delle forti tensioni che alcuni sondaggi a lui favorevoli avevano scatenato. In
tale occasione, il suo collaboratore René Gorlin fu assassinato, ed egli ricevette anche delle minacce. Per questo
motivo, nell'aprile del 1981, annunciò il suo ritiro dalla candidatura']
DERBER Charles, Corporation Nation: How Corporations Are Taking over Our Lives and What We Can Do About It. ST.
MARTIN PRESS. NY 2000, pag 384 $ 14, introduzione di Ralf NADER. ['Charles Derber è professore di sociologia ed
economia politica all'Università di Boston. L'autore sembra sempre essere alla ricerca di collegamenti e di grandi temi. In
'The Wilding of America' (1996), il più recente dei suoi sette libri pubblicati, confronta gli adolescenti che compiono azioni
di teppismo selvaggio nei parchi pubblici ai grandi baroni-ladri di fine secolo e a coloro che per far funzionare le aziende
sfruttano la manodopera notte e giorno. In 'Wilding' ha egualmente anticipato l'attacco che oggi lancia all'America
corporativa e all'abuso di potere e la richiesta di un capitalismo più virtuoso. Oggi smaschera la "mistica della
corporazione" e dimostra come i grandi gruppi influenzano eccessivamente attraverso il lobbismo la politica pubblica. Ma
invece di denunciare semplicemente questi eccessi, Derber arriva ad enunciare un programma politico 'contro il potere
delle corporations ma a favore del business'. Sostiene una sorta di 'populismo globale' e suggerisce di associarsi a quei
movimenti che si sono posti alla guida nella lotta "per il trasferimento del potere dalle grandi società ai cittadini".
Bibliografia di C. Derber: 'Money, Murder, and the American Dream. Wilding from Wall Street to Main Street'. Faber and
Faber, London, 1992; 'The Wilding of America: How Greed and Violence Are Eroding Our Nation's Character', St.
Martin's Press, New York, 1995 pag 192 $ 23; 'What's Left? Radical Politics in the Post-Communist Era', Umass Press,
Amhurst, 1995 (this book was a collaborative effort between sociologist Charles Derber and four of his graduate
students: Karen Marie Ferroggiaro, Jacqueline A. Ortiz, Cassie Schwerner, and James A. Vela-McConnell)'] [ISC
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DI-TELLA Torcuato S., Peron and the Unions: The Early Years. INSTITUTE OF LATIN AMERICAN STUDIES. LONDON.
2001, pag IV 63 £ 5.0. ['Il libro studia i rapporti tra Peron e il movimento sindacale nei primi anni cruciali del peronismo
(1945-1946). Se gli storici concordano sul fatto che la maggioranza della classe operaia sostenne Peron, il sostegno e il
coinvolgimento della leadership dei sindacati è stato molto dibattuto dalla storiografia. Di-Tella conclude che la grande
maggioranza dell'establishment sindacale rimase all' opposizione nel regime peronista e che l' organizzazione autonoma
della classe operaia fu per conseguenza rimpiazzata da una autoritaria e mobilitazionista. Lo studio è basato su una
dettagliata ricerca prosopografica. Bibliografia: Torcuato S. Di Tella, Tra caudillos e partiti politici. La mobilitazione
sociale in America Latina. Feltrinelli, 1992'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
DORNA Alexandre, Le populisme. PUF. PARIS. 1999, pag 128 Euro 6.0, Collana 'Que sais-je?'. ['E' un tentativo
sintetico di risalire alle fonti intellettuali e storiche di un fenomeno che si manifesta in modo ricorrente e carismatico nella
società contemporanea. Con il termine "populismo" si intendono in genere quelle formule politiche che usano come
principale termine di riferimento il popolo, considerato come aggregato sociale omogeneo e come depositario esclusivo
di valori positivi, particolari e permanenti. Il tema del ricorso al popolo si presenta nella cultura europea all'epoca del
romanticismo, quando filosofi come Johann Gottfried Herder e scrittori come Friedrich Schiller, animati da forte interesse
nei confronti della cultura popolare, identificarono nel "popolo" il principale depositario dei costumi e delle tradizioni della
nazione. Nel corso dell'Ottocento molti uomini politici - per esempio Giuseppe Mazzini e Lajos Kossuth - coniugarono
l'impegno nazionalista con l'appello al popolo. Ma una vera e propria ideologia populista prese forma solo nella seconda
metà del secolo, nella Russia slavofila e nell'America rurale. I populisti russi affermarono l'identità slava della nazione,
incompatibile con i modelli occidentali filocapitalisti, auspicando, sia pure in un contesto necessariamente
industrializzato, un ritorno alle forme di organizzazione economiche comunitarie tradizionali. I populisti americani, invece,
che nel 1896 sfiorarono la vittoria nelle presidenziali con il candidato democratico populista William Jennings Bryan, si
opponevano alle forme di modernizzazione finanziario-industriali perseguite dalla grande impresa e appoggiate dal
governo, proponendo il ritorno a una democrazia agraria di stampo jacksoniano, fondata sull'etica del lavoro e sull'onestà
delle masse. Spunti populisti si ritrovano in molte altre esperienze del XX secolo, come per esempio nel nasserismo,
nello Sinn Fein irlandese, nel repubblicanesimo messicano, nel peronismo. Per certi versi rientra nella categoria lo
stesso nazionalsocialismo. Bibliografia: - Alexandre Dorna, 'Psychologies politiques', Dunod, 1990, a cura, con Rodolphe
Ghiglione'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
DORNA Alexandre, De l'âme et de la cité. Crise, populisme, charisme et machiavélisme. L'HARMATTAN. PARIS. 2004,
pag 276 Euro 25.0. ['Questo libro è lo sguardo di uno psicologo della politica, per meglio apprendere gli atti civici, senza
rinunciare ai rigori del metodo analitico, facendo della critica un utensile di diagnostica e una marcia trasversale. L'autore
esplicita i fondamenti e i giochi di questa nuova disciplina e passa in rivista la malattia democratica e le sue implicazioni
ideologiche: social-liberalismo, populismo, neo-fascismo, comunitarismo, machiavellismo, carisma, scientismo. Traccia
una riflessione sulle elites e l'impresa delle oligarchie. Bibliografia: - Alexandre Dorna, Le populisme. PUF. PARIS. 1999
pag 128 FF 42 Euro 6 , Collana 'Que sais-je?; - Stephane Baumont Alexandre Dorna, a cura, Les grandes figures du
radicalisme. Les radicaux dans le siecle 1901-2001. EDITIONS PRIVAT. PARIS. 2001 Euro 25.6; - Alexandre Dorna,
Michel Niqueux, a cura, Le peuple, coeur de la nation?: images du peuple, visages du populisme (XIX-XX siecle). L'
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HARMATTAN. PARIS. 2004 pag 247 Euro 21.2] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
D'ORSI Angelo a cura, Gli ismi della politica. 52 voci per ascoltare il presente. VIELLA. ROMA. 2010, pag 512 Euro
28,00, abbreviazioni indice dei nomi note sugli autori rec Daniele ROCCA. ['I contributi, a cura di ricercatori in gran parte
attivi presso l'università di Torino, considerano anche i tentativi di applicazione, nella storia, delle varie teorie e rivolgono
pertanto molta attenzione all'evoluzione delle forme istituzionali. La voce 'Populismo' è a cura di Francesca Chiarotto e
Duncan McDonnell (p. 373-382). La presentazione del volume è di Angelo d'Orsi (p. VII-XI)'] [ISC Newsletter N° 76]
ISCNS76GRAF
ECO Umberto, A passo di gambero - Guerre calde e populismo mediatico. BOMPIANI. MILANO. 2006, pag 364 Euro
17.50. ['"I tempi sono oscuri, i costumi corrotti, e anche il diritto alla critica viene indicato al furor popolare. Pubblico
pertanto questi scritti all'insegna di quella antipatia positiva che rivendico" (Umberto Eco). In concomitanza con le
prossime elezioni politiche, la voce di Umberto Eco compare sullo scenario politico italiano con una raccolta di saggi
dedicati alla società del presente e al nostro Paese. Gli scritti di questo libro sono apparsi tra inizio 2000 e fine 2005, negli
anni dell'11 settembre, delle guerre in Afghanistan e in Iraq, dell'instaurazione in Italia di un regime di populismo
mediatico. Leggendoli ci si accorge che sin dalla fine dello scorso millennio si sono verificati drammatici passi all'indietro.
Dopo la caduta del Muro di Berlino si erano dovuti riesumare gli atlanti del 1914, e da tempo le nostre famiglie
ospitavano di nuovo servi di colore, come in "Via col vento". A poco a poco col videoregistratore si è passati dalla
televisione al cinematografo, con Internet e le pay-tv Meucci l'ha avuta vinta su Marconi (telegrafia con i fili) e ora l'i-Pod
ha reinventato la radio. Terminata la Guerra Fredda, abbiamo avuto con l'Afghanistan e l'Iraq il ritorno alla Guerra Calda;
riesumando il Grande Gioco kiplinghiano, si è tornati allo scontro tra Islam e Cristianità, compresi gli Assassini suicidi del
Veglio della Montagna, e al grido di "mamma li turchi!" È risorto il fantasma del Pericolo Giallo, è stata riaperta la
polemica antidarwiniana del XIX secolo, abbiamo di nuovo l'antisemitismo e i fascisti (per quanto molto post, ma alcuni
sono ancora gli stessi) al governo, si è riaperto il contenzioso post-cavouriano tra Chiesa e Stato. Sembra quasi che la
Storia, affannata per i balzi fatti nei due millenni precedenti, si riavvoltoli su se stessa, marciando velocemente a passo di
gambero. Questo libro non propone tanto di tornare a marciare in avanti, quanto di arrestare almeno un poco questo
moto retrogrado'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
EDWARDS Lee, Goldwater: The Man Who Made A Revolution. REGNERY. NY. 1995, pag 572 $ 30.0, rec LIND
Michael. ['Secondo il recensore, Lind, la lunga marcia verso la 'rivoluzione repubblicana' del novembre 1994 di Newt
Gingrich comincia nel 1955 quando William F. Buckley jr fonda la 'National Review' come veicolo per i conservatori che
si oppongono all'ortodossia liberale allora dominante. Cristalizzandosi attorno a 'NR' e a organizzazioni come 'Young
American for Freedom' (YAF) il movimento conservatore acquisisce forza all'interno del GOP per arrivare alla nomination
di Barry Goldwater in occasione delle presidenziali del 1964. Pur se questi verrà sconfitto da Lyndon Johnson, i
conservatori rafforzano le loro posizioni all'interno del GOP per poi passare il testimone a Ronald Reagan che alla
Convention del 1964 già galvanizza i partigiani della destra. La disfatta di Goldwater segna l'inizio del riallineamento
dell'ordine politico americano. Persa la nomination nel 1976 che grazie ai moderati va a Gerald Ford, i conservatori
scalano il potere nel 1980 con la 'rivoluzione reaganiana'. Alcuni intellettuali che partecipano alla fondazione di 'NR' sono
pure collegati al Senatore Joe McCarthy che lo stesso Goldwater ha appoggiato fortemente (1). Perfino più importante è
il ritorno della teoria negletta del regionalismo nella politica USA. Ora con le elezioni del 1994 si dimostra valido quello
che Kevin Phillips e altri analisti politici hanno detto per anni, ovvero che il fattore chiave nelle vittorie repubblicane a
Presidenziali e Congresso è stata la conversione elettorale del Sud bianco al GOP cominciata con Eisenhower nel 1952.
Andando ancora indietro, con il tentativo fallito di F.D. Roosevelt di purgare il Partito Democratico dai conservatori del
Sud nelle elezioni midterm del 1938 comincia l'era della 'coalizione conservatrice' di Repubblicani e Democratici del Sud
che domina il Congresso dal 1939 al 1958. E inaugura mezzo secolo in cui sempre più elettori del Sud si separano dalla
coalizione democratica nelle elezioni presidenziali. Non solo votano per il GOP, ma per candidati indipendenti come il
'Dixiecrat' Strom Thurmond nel 1948 e George Wallace nel 1968. Goldwater è dunque un episodio del riallineamento del
Sud, in cui il GOP sfrutta il risentimento dei bianchi del Sud contro la legislazione sui diritti civili e la promozione
economica dei neri e cavalca il populismo bianco del Sud (2). L'autore, Edwards assieme a Goldberg, da giovani furono
supporters di Goldwater. Oggi Edwards (1995), insegna politica alla Catholic University of America, Washington. Rimane
nel movimento conservatore come Direttore anziano di 'The World and I' pubblicazione della Chiesa unificata del Rev.
Sun Myung Moon. E' autore di una biografia di Reagan'] [Note: (1) Buckley e suo cognato Brent Bozell pubblicarono nel
1954 'McCarthy and His Enemies' una difesa del Senatore contro i suoi critici; (2) per l'influenza di Wallace su Nixon e
altri si può vedere il libro di Dan T. Carter, 'The Politics of Rage: George Wallace, the Origins of the New Conservatism
and the Transformation of American Politics', Simon & Schuster, 1995] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
ENDERS Armelle, Histoire du Bresil au XX siecle. COMPLEXE. BRUXELLES. 1997, pag 288 FF 120, rec JOUINEAU
Sophie. ['E' la storia recente del solo paese lusofono d'America Latina dopo il processo originale di indipendenza che ha
condotto a una monarchia, alla costruzione dello Stato nazionale, al passaggio da una economia agro-esportatrice ad
una industriale. Un posto importante è riservato allo studio del populismo come metodo di governo. Nei cinque capitoli
del libro l'autore vuole ricostruire il processo storico che ha portato il paese all'ordine politico attuale. Il volume presenta
utili appendici: glossario, cronologia, sigle, indici, bibliografia. Armelle Enders è specialista del mondo lusofono. Ha
pubblicato pure: 'Histoire de l'Afrique lusophone', Editions Chandeigne, Paris, 1995'] [ISC Newsletter N° 76]
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FORMISANO Ronald P., For the people: American populist movements from the Revolution to the 1850s. UNIVERSITY
OF NORTH CAROLINA PRESS. CHAPEL HILL. 2008, , pag VIII-315 $37.50 rec Matteo BATTISTINI. ['Il periodo della
storia americana compreso tra la guerra di indipendenza e la guerra civile è segnato dal continuo emergere di movimenti
populisti. Dopo aver ricostruito la vicenda dei "regulators" della Carolina precedente la rivoluzione, l' esperienza della
"Shays' Rebellion" che anticipava la stesura della costituzione federale, il movimento delle società democratichehttp://www.isc-studyofcapitalism.org/jmla
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repubblicane e la famosa "Wiskey Rebellion" della prima metà degli anni 1790, l'autore sposta l'attenzione dopo la crisi
economica del 1819, quando il diverso contesto sociale ed economico determinato dalla rivoluzione del mercato vedeva
la partecipazione di artigiani e lavoratori salariati a diversi movimenti populisti. In conclusione, viene presa in
considerazione l'insurrezione del Rhode Island, la cosiddetta "Dorr War", che negli anni 1840 impose temporaneamente
la "People's Constitution" contro l'antiquata costituzione dello Stato che limitava il suffragio in base al censo. Per l'autore
la contraddittorietà e la complessità del fenomeno populista non possono essere comprese se esso viene relegato al
campo dell'irrazionale. In questa visione le parole e le azioni di determinati gruppi sociali sarebbero figlie dell'impazienza
e dell'ignoranza popolare, mentre le elite politiche e sociali sarebbero caratterizzate da un agire pragmatico e razionale.
Formisano invece vede la specificità del populismo nella sua stessa ragione politica, cioè nell'affermazione rivoluzionaria
della sovranità popolare. Se la sovranità popolare è una finzione e la democrazia può essere realizzata solo attraverso la
rappresentanza, il fenomeno del populismo può essere letto come storia degli sforzi successivi di portare la realtà in
conformità con la finzione, esercitando direttamente il potere politico. Il secondo e il terzo capitolo esaminano come la
costituzione federale rispondesse all'esigenza di risolvere questa contraddizione positivamente, cioè in un ordine
positivo, attraverso la definizione di procedure costituzionali della rappresentanza entro le quali l'azione politica poteva
avere luogo legittimamente. Ma la ratifica della costituzione non avrebbe svolto questo compito una volta per tutte. Con
la condanna e la repressione delle pratiche insurrezionali che segnavano la repubblica sul finire del 1700, la formazione
dell'opposizione legale e il primo sistema dei partiti svolgevano la funzione di restringere l'ambito d'azione politica dei
movimenti populisti dentro la cornice costituzionale e statale. Prima che stratagemma retorico per consolidare il rapporto
tra leader e popolo, come pure è stato, il populismo va considerato in riferimento ai diversi movimenti che emergevano
quando determinati gruppi sociali vedevano intaccati i loro valori e interessi. Ronald P. Formisano è William T. Bryan
Chair di Storia americana all'Università del Kentucky. Ha pubblicato tra l'altro: 'The Birth of Mass Political Parties:
Michigan 1827-1861 (Princeton Un. Press, 1971)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
FRASER Steven, Every Man a Speculator. A History of Wall Street in American Life. HARPER-COLLINS. NEW YORK.
2005, pag XXIII-752 $29.95, rec Bruce J. SCHULMAN, professore di storia alla Boston University. ['Più che come
istituzione finanziaria, all'autore interessa la Wall Street come "finestra nell'anima degli americani". Scopo del lavoro è di
indagare "come Wall Street sia entrata nella vita delle generazioni passate e di quelle tuttora viventi". La narrazione parte
dagli anni di formazione della repubblica. Con poche eccezioni, prima della guerra civile Wall Street e il mondo che
rappresentava erano visti con sospetto e disprezzo, ritenuta covo di truffatori, speculatori e stranieri (più che un sentore
di antisemitismo sta sotto questa diffidenza). Thomas Jefferson descrisse New York come "una cloaca di tutte le
depravazioni della natura umana". Scrittori e libellisti dell' età di Jackson odiarono Wall Street ancora di più. Nella
seconda metà del 1800, in un modo che Fraser definisce "una peculiare forma americana di idolatria", lo speculatore, il
succhiasangue truffatore dell'America di Jackson diventò un eroe, allo stesso tempo innovatore e buon cittadino, un
mutamento di opinioni che in parte rifletteva l'apprezzamento del ruolo di Wall Street nell'emergere degli USA come
potenza economica, il suo riconoscimento di "sala macchine del corporate capitalism" - forza motrice della costruzione di
ferrovie, fabbriche e fonderie. Alla fine del 1800 ancora una volta i brokers di New York e i banchieri divennero il
bersaglio di populisti (che allo stesso tempo guardavano al futuro del moderno stato regolatore e al passato delle
vecchie inquietudini su religione, sesso, denaro e razza) e "vecchi soldi" di aristocratici (che videro la decomposizione
della civiltà in quel selvaggio guadagnare e spendere). "In una società di ebrei e broker - disse Henry Adams - io non ho
posto". Suo fratello Brooks, voce della lamentela del patriziato, stigmatizzava "i corrotti, effeminati, imbroglioni, bugiardi
ebrei, rappresentati da J. P. Morgan e dalla banda che ha manovrato il nostro paese in questi ultimi quattro anni". Fu
comunque l'epoca nella quale Wall Street per la prima volta nella sua esistenza entrò nel regno della rispettabilità
borghese. Fu una legittimità dovuta al ruolo cruciale nel finanziamento delle sempre più numerose public companies e
come forma di investimento dei risparmi di una quota crescente di popolazione. Entrò nel senso comune l'idea che il
rischio potesse essere razionale e che una società stabile potesse fondarsi sulla speculazione. La crisi del 1929 e la
grande depressione abbatterono di colpo tutto questo capitale culturale accumulato da Wall Street. Il mezzo secolo che
va dal 1930 al 1980 è per Fraser quello dell'oblio di Wall Street, malgrado il ruolo dei finanzieri americani nella
costruzione dell'ordine internazionale del dopoguerra (nel Piano Marshall, nel Fondo Monetario e la Banca mondiale). La
"rivoluzione reaganiana" vide la nascita della "nazione di azionisti". L'autore in genere plaude alla "democratizzazione"
del mercato avvenuta nel corso dell'ultimo quarto di secolo; lamenta però il rischio di perdita dei diritti da parte dei
lavoratori americani - 410 mila investitori in azioni in luogo di attivisti sindacali - e soprattutto la disuguaglianza nella
distribuzione della ricchezza e del reddito'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
FRENCH John D., The Brazilian Workers' ABC: Class Conflict and Alliances in Modern Sao Paulo. UNIV NORTH
CAROLINA PRESS. CHAPEL HILL. 1992, pag 378, $ 50, rec WELCH Cliff. ['La 'Labor History' latina-americana è un
campo di studi in crescita e l'autore è uno dei suoi più attivi membri (1). Il libro entra nel dibattito storiografico ponendosi
su una linea revisionista della Labor History brasiliana. Secondo le interpretazioni dominanti soltanto dagli anni 1970
sono comparsi in Brasile dei leaders della classe operaia come prodotto di una sviluppo organizzativo e democratico dei
sindacati. Prima le Unions ed i loro membri erano manipolati dall'alto da politici populisti e funzionari conniventi chiamati
'pelegos'. French avversa questa impostazione: i leaders sindacali usarono lo Stato per trarre vantaggi per i lavoratori
molto prima del 1970. Con ciò non vuol negare la presenza di corruzione e violenza nelle strutture sindacali. Ma nella
regione di San Paolo (2) alcuni capi sindacali decorosi hanno lottato per migliorare la condizione operaia nonostante le
crisi dei vari governi. L'attività sindacale è proseguita anche dopo la fallita rivolta nazionale del 1935. Dal 1937 al 1945,
periodo nel quale vari studiosi hanno riscontrato un aumento della repressione anti-operaia sotto il regime corporativista
di 'Estado Novo', l'autore dimostra che ci furono interventi dello Stato a favore degli operai nel loro conflitto con gli
imprenditori. Il regime cercò di diluire lo scontro di classe puntando sulla risoluzione individuale delle dispute di lavoro
piuttosto che sulle azioni collettive. Ma il governo ostacolò le azioni arbitrarie del padronato (sistema di giustizia del
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lavoro). Riguardo al fenomeno del populismo brasiliano, secondo l'opinione dominante, un leader populista come Getulio
Vargas (1883-1954) sottopose i sindacati al controllo dello Stato e consolidò il supporto elettorale tra le masse urbane
attraverso appelli paternalistici e populistici. Secondo French comunque ci furono anche qui alcuni benefici concreti per i
lavoratori. Vargas, salito alla presidenza nel 1950 instaurando una repubblica populista (3), introdusse il sistema di
giustizia del lavoro ed estese i diritti elettorali. Note: (1) Ha organizzato Conferenze, gruppi di studio, ha pubblicato
bibliografie e notizie- stampa ('Latin America Labor News'). Il recensore fa parte del gruppo di giovani autori 'allevato' da
French; (2) nei suburbi industriali di Santo André, Sao Bernardo do Campo e Sao Caetano, che compongono la sigla
ABC del titolo; (3) il populismo, secondo French, più che brasiliano è un fenomeno sudamericano. E' il prodotto del
rapporto tra la politica e lo sviluppo socio-economico del paese. E' una risposta variabile a delle forze storiche tra cui vi è
il conflitto di classe'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GEIFMAN Anna, La mort sera ton dieu: du nihilisme russe au terrorisme islamique. TABLE RONDE. PARIS. 2005, pag
192 Euro 17, traduzione di François AVENIOTE. ['Secondo la Geifman è il terrorismo russo ad aver aperto la via al terrore
assoluto. Ci sarebbe un filo che collega il populismo russo, Nechaev, Lenin, Stalin, il "totalitarismo bolscevico" alla
rivoluzione islamica: il nichilismo. Ideologie e pratiche, teorie e immaginari, materialismi e teologie, alleanze con la
criminalità e tecniche di uccisione di massa: la stessa pulsione suicida presente all' inizio del XX secolo si ritrova all'alba
del XXI. In entrambi i casi, l'autrice vi vede un tentativo di imporre una nuova religione dell'umanità. Nata in URSS, la
Geifman vive attualmente negli Stati Uniti. E' specialista dei movimenti rivoluzionari, insegna storia contemporanea alla
Boston University'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GENOVESE Rino, Che cos'è il berlusconismo. La democrazia deformata e il caso italiano. MANIFESTOLIBRI. ROMA.
2011, pag 146 Euro 16.0, rec Giovanni SCIROCCO. ['Rino Genovese, ricercatore di filosofia alla Normale di Pisa, tenta
un un esame in chiave neo-marxista del populismo berlusconiano (in questo senso va intesa anche la dedica a Giulio
Bollati). La tesi di fondo è che il berlusconsmo - in merito a un paese già di per sé storicamente caratterizzato dalla
debolezza dell'identità nazionale e dai ritardi della politica - sia la forma specifica di una più generale deformazione della
democrazia e della fine dell'autonomia della politica. Si tratterebbe quindi dell'ennesimo episodio della gobettiana
"autobiografia della nazione", stavolta in chiave familistico-mediatica e di sovrapposizione continua tra pubblico e privato,
triste epifenomeno di un paese senza rivoluzione e senza modernizzazione. L'autore come alternativa propone non la
semplice difesa, ma la realizzazione della Costituzione, l'ampliamento e il rafforzamento dei diritti di cittadinanza, in un
quadro di entità statali sovranazionali in grado di controllare i processi dell'economia e di "unificare l'Europa in senso
finalmente federale e politico". Un programma da affidare a un partito socialdemocratico degno di questo nome. Rino
Genovese, filosofo, ricercatore alla Normale di Pisa, ha pubblicato, tra l'altro, 'La tribù occidentale. Per una nuova teoria
critica' (Bollati Boringhieri, 1995), 'Convivenze difficili. L'Occidente tra declino e utopia' (Feltrinelli, 2005)'] [ISC Newsletter
N° 76] ISCNS76GRAF
GENTILE Sara, Il populismo nelle democrazie contemporanee. ANGELI. MILANO. 2008, pag 126 Euro 15, rec
MONTEFIORI Stefano. ['Il Front National sembra per adesso sconfitto, costretto persino a disfarsi dei «gioielli della
corona», come li ha definiti il suo capo carismatico Jean Marie Le Pen: il «Paquebot», cioè la grande sede di 5.000 metri
quadrati nel parco di Saint Cloud alle porte di Parigi, e addirittura la Peugeot 605 blindata di Le Pen, venduta pochi giorni
fa su eBay per 20 mila euro. Il trionfo di Nicolas Sarkozy alle presidenziali del 2007, ottenuto grazie anche alla conquista
dei voti dell' estrema destra, ha tolto per la prima volta il terreno sotto i piedi del Front National, che fino allora era
sembrato una presenza insopprimibile della politica francese. Nel saggio "Il populismo nelle democrazie contemporanee.
Il caso del Front National di Jean Marie Le Pen", la studiosa Sara Gentile traccia la storia di un movimento unico per
importanza e radicamento nella società, ma non dissimile da altri (la Gentile cita il partito di Haider in Austria o la Lega
Nord in Italia) per la capacità di sfruttare le tendenze populistiche in atto nell' Europa contemporanea. Questa capacità di
rivolgersi demagogicamente al popolo è ben delineata nelle parti del libro dedicate al problema dello straniero e della
personificazione del nemico, della mondializzazione vista come l'ultimo anello del complotto planetario contro «il popolo
francese». + proprio grazie alle sue risorse populiste che Le Pen riuscì a superare la scissione di Bruno Mégret (legato a
una concezione borghese e tradizionalmente conservatrice) per presentarsi alle elezioni del 2002 convincendo le classi
popolari e operaie. Nacque così il clamoroso passaggio al secondo turno ai danni del socialista Jospin, e il mito dell'
«invincibilità» del lepenismo'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GENTILE Sara, Populismo e istituzioni: la presidenza Sarkozy. FRANCO ANGELI. MILANO. 2013, pag 150 Euro 17.0,
Collana Politica - Studi. ['L'emergere dei populismi nell'Europa degli anni Ottanta si situa in uno scenario sociopolitico
particolare che si può sinteticamente definire crisi della modernità. Le democrazie contemporanee sono impigliate in
problemi e contraddizioni che si manifestano a vari livelli, da quello economico a quello più specificamente politico. In
tale contesto si sviluppano movimenti e partiti populisti con tratti simili e specificità legate ai contesti nazionali. L'esempio
francese del Front National di Jean Marie Le Pen è un caso emblematico per importanza, consistenza e durata; ma ad
esso si affiancano quello italiano (Lega Nord e Forza Italia), quello austriaco, quello olandese, quello finlandese, quello
belga ed altri. Il populismo fa leva su alcuni concetti base: appello al popolo, nel duplice senso protestatario
(componente anti-sistemica) e identitario (celebrazione dell'etnia), lotta all'immigrazione, acceso nazionalismo sfociante
nella xenofobia. La presidenza Sarkozy rappresenta un'esperienza interessante sotto vari aspetti, ponendosi al culmine
di una fase significativa della vita politica francese e della storia della destra moderata. Sarkozy oscilla fra continuità e
mutamento, facendo della 'rupture' l'asse attorno a cui si avvolge il suo progetto politico. Divenuto presidente, si è mosso
sulla scia di un riflesso bonapartista e ha utilizzato molti temi del discorso populista sui problemi della sicurezza,
dell'immigrazione, dell'identità nazionale, realizzando così una sorta di istituzionalizzazione delle proposte populiste,
ripulite dei tratti più estremisti e inaccettabili. La lotta all'immigrazione, l'idea di un'identità nazionale statica e pura,
l'esclusione dello straniero come minaccia alla grandezza nazionale sono stati ripresi dalla Destra di governo francese
all'insegna di un modello di società chiusa, più moderna ed efficiente, ma fondata sull'ordine e sull'autorità. Sara Gentile
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ISC - Istituto di Studi sul Capitalismo
insegna Scienza politica e Analisi del linguaggio politico presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Catania.
Negli ultimi anni ha concentrato il suo interesse di ricerca sull'analisi del potere, in specie quello carismatico, e sul
sistema semi-presidenziale francese, dalla sua nascita alle evoluzioni attuali. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: 'Capo
carismatico e democrazia: il caso De Gaulle', Franco Angeli, 1998; 'Mitterrand, il monarca repubblicano', Franco Angeli,
2000; 'Il populismo nelle democrazie contemporanee. Il caso del Front National di J.M. Le Pen', Franco Angeli, 2008. Ha
collaborato con le riviste "Teoria Politica", "Comunicazione Politica", "Rivista delle Politiche Sociali"'] [ISC Newsletter N°
76] ISCNS76GRAF
GERRING John, Party Ideologies in America, 1828-1996. CUP. CAMBRIDGE. 1998, pag 338 sip, rec TESTI Arnaldo.
['Non è vero, sostiene Gerring, che tra i partiti americani non ci sia una differenza sostanziale, che i partiti non abbiano
ideologie e che vivano di solo pragmatismo, di politica degli interessi e di elezioni. Gerring, che insegna scienze politiche
alla Boston University, ricostruisce proprio la storia delle ideologie dei due partiti principali e del come si sono
contrapposte e del perché sono cambiate nel corso di due secoli. Per la tradizione repubblicana (che comprende anche
il vecchio partito Whig della prima metà dell'Ottocento), la svolta avvenne negli anni 1920-30. Prima di allora, durante la
loro epoca 'nazionale', i repubblicani erano nazionalisti, statalisti e protezionisti, vedevano il governo, in particolare quello
federale, come un potente strumento di crescita del paese. Dopo di allora, e fino ad oggi, sono diventati campioni di un
liberalismo negativo e decentralizzante che ritiene che il governo, in particolare quello federale, sia il problema, non la
soluzione (come disse Ronald Reagan). E' questa la loro epoca 'neoliberale'. Riguardo al partito democratico, per tutto
l'Ottocento, nella loro epoca jeffersoniana, i democratici furono il partito dei diritti degli stati e del governo limitato. Fra il
1896 e gli anni 1950-60, nella loro epoca 'populista' promossero invece l'intervento statale governativo per regolare il
mercato, redistribuire ricchezza e tenere sotto controllo i monopoli. Nell'ultimo mezzo secolo hanno operato uno
spostamento di fiducia dallo Stato al mercato, e dalle politiche sociali di redistribuzione alle politiche dei diritti delle
minoranze: è questa l'epoca post-populista e 'universalista' (rappresentata da Jimmy Carter e Bill Clinton)'] [ISC
Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GIACHETTI Diego, Berlusconi e il berlusconismo. ARTERIGERE. VARESE. 2010, pag 184 Euro 10.8, rec Nino DEAMICIS. ['Avvicinandosi al compimento del suo ventennio, il fenomeno Berlusconi entra nello spazio della riflessione
storica, dopo aver tenuto banco in quello dell'analisi politica. In sintesi la tesi dell'autore, non nuova ma svolta con
dovizia di particolari e documentata con lo spoglio delle più acute e recenti analisi politologiche della stampa italiana, è
che l'eccesso di personalizzazione, a cui spesso l'opposizione ha fatto ricorso, vuoi demonizzandolo vuoi confidando
nell'intervento risolutore della magistratura, ha rafforzato il protagonismo del personaggio e favorito il suo radicamento
nella società italiana, nuocendo a quanti, dal 1993 a oggi, hanno impegnato le loro energie nel contrastarlo. In questa
deriva personalistica risiede uno dei limiti principali dell'antiberlusconismo, che spesso si è ridotto a un discorso eticopolitico. Su un piano storico, più che il fascismo, impropriamente evocato, a Berlusconi, e al berlusconismo, mutatis
mutandis, si addice meglio la categoria del bonapartismo, di cui molti suoi caratteri (il populismo, la deriva plebiscitaria, la
leadership personale, la iperpersonalizzazione della politica e la sua spettacolarizzazione), potenziati dai media,
sembrano incarnare l'essenza. La sua fenomenologia, da ascrivere più alla gobettiana autobiografia della nazione che
alla parentesi dello spirito di crociana memoria, ha origine nella "morte della politica come contrapposizione di idee",
terreno da cui dovrebbero ripartire quanti non hanno intenzione di morire berlusconiani, e in particolare la sinistra.
Essendo un prodotto sociale, al cui successo ha aperto la strada il tracollo delle culture politiche e ideali del movimento
operaio, la via maestra per rimontarlo non può che essere tentata a partire da un progetto in cui si investa "concretamente
e a fondo in una nuova idea di società"'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GIANNINI Massimo, Lo statista. Il ventennio berlusconiano tra fascismo e populismo. BALDINI CASTOLDI DALAI.
MILANO. 2008, pag 280 Euro 17.0, rec DA EMPOLI Giuliano. ['In "Lo statista", il vice-direttore di Repubblica Massimo
Giannini prende Berlusconi sul serio, senza ridurlo né al rappresentante di una congiura plutocratica globale (come fa
Simone), né alla solita macchietta tratteggiata da Berselli. Per Giannini - che riprende la lezione di Renzo De Felice - le
radici del berlusconismo affondano nella storia politica italiana. Ma, con le ultime elezioni, il berlusconismo-movimento si
è fatto Stato, coagulando un blocco sociale vasto e compatto. L'analisi è dichiaratamente di parte e non sempre
condivisibile, ma risulta stimolante perché, anziché tirare in ballo ipotetiche mutazioni genetiche irreversibili, Giannini
resta sul terreno della politica. Per l'autore di "Lo statista", Berlusconi è un avversario, ma rimane pur sempre un
fenomeno politico, che sul terreno politico vince e su quel terreno può eventualmente essere sconfitto'] [ISC Newsletter N°
76] ISCNS76GRAF
GIOVANNINI Eva, Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi. MARSILIO. VENEZIA. 2015, pag 208 Euro 16,00, rec
Ilaria ROMANO. ['«L'Europa del 2015 è percorsa da un'onda di partiti populisti che non solo non correggono e non
indirizzano certe spinte dal basso verso l'alto - come una politica degna di questo nome dovrebbe fare - ma, al contrario,
le alimentano fino quasi a capovolgerne la direzione, soffiando, dall'alto verso il basso, sul malcontento popolare. Sono i
professionisti della paura e del pessimismo che stanno incassando i dividendi di un'Europa debole e impoverita,
schiacciata da anni di recessione economica e terrorizzata dall'assedio di "migranti-invasori"». L'analisi di Eva
Giovannini, giornalista inviata prima di Piazzapulita e poi di Ballarò, parte da una riflessione che lega il ritorno e il
successo dei nazionalismi europei alla crisi, alla recessione, all'impoverimento della classe media e all'incapacità
dell'istituzione Europa di far fronte alle sfide del nuovo millennio - in politica estera prima di tutto, ma anche in termini di
misure interne condivise per il rilancio dell'economia, la gestione dell'immigrazione, e di un sistema di welfare. Il libro è
un viaggio attraverso sei paesi europei ed altrettanti fenomeni nazionalisti: Alba Dorata in Grecia, Pegida in Germania,
Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, United Kingdom Independence Party nel Regno Unito e Lega in Italia. E la
storia di un filo conduttore transnazionale raccontata attraverso le testimonianze raccolte fra i leader di queste formazioni
come fra la gente comune, in un anno che per le nuove destre ha segnato vittorie importanti, e la consacrazione in un
quadro politico dove il lessico del populismo, della xenofobia e delle compiante sovranità nazionali torna a fare presa su
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un elettorato stanco e ormai sempre più lontano dalle urne. Eva Giovannini (Livorno, 1980), giornalista professionista, ha
collaborato con «Il Tirreno» e «Affari & Finanza» («la Repubblica»). Ha lavorato per alcuni programmi Tv'] [ISC
Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GOLDIN Ian KUTARNA Chris, Age of Discovery. Navigating the Risks and Rewards of Our New Renaissance.
BLOOMSBURY PUBLISHING. LONDRA. 2016, pag 304 £ 17.09, rec TETT Gillian. ['Cinque secoli fa Gerolamo
Savonarola convinse un gruppo di suoi sostenitori a bruciare libri e oggetti nel centro di Firenze in segno di protesta
contro l'ordine globale moderno. Questo "falò delle vanità" è poco noto ad elettori e politici occidentali. Ed è un peccato,
perchè è utile per dare un senso a ciò che sta accadendo con la politica USA o con la Brexit. Gli autori rilevano che non è
la prima volta che la globalizzazione ha diviso la società. Non è la prima volta che il cambiamento tecnologico ha
provocato ineguaglianza nei redditi, tensioni sociali, xenofobia ed estremismo ideologico. Se si guarda al Rinascimento
europeo è possibile vedere infiniti parallelismi con l'età moderna. Gli autori sostengono che dovremmo chiamare la nostra
epoca come un "secondo Rinascimento" perchè è segnato dalla stessa miscela impetuosa di innovazione intellettuale,
commercio, migrazioni e tensioni sociali, già visti cinque secoli fa. Per evidenziare questi parallelismi gli autori individuano
diversi temi quali la protesta politica, l'immigrazione e le tensioni sui confini. Prima del XV secolo, i cambiamenti politici
ed economici in Europa avevano segnato un ritmo regolare, ma non certo straordinario. Tuttavia, poco tempo prima che
nascessero uomini come Savonarola, il commercio per terra e per mare era cresciuto in modo da rimodellare le società
medievali in modo così drastico come la globalizzazione ha cambiato la nostra società. Città come Venezia e Firenze
crebbero di importanza. Nasceva la ricca classe dei mercanti. Flussi di migranti si stabilivano in zone nuove e mecenati
consentivano il fiorire delle arti e delle innovazioni intellettuali. Questa era produsse uomini come Leonardo da Vinci e
Copernico. Ma crescita economica ed innovazioni avevano un lato oscuro. Poichè diversi paesi e regioni si trovarono
legati strettamente ad altri, furono esposti a nuove minacce quali le pandemie o le distruzioni nella catena di
approvvigionamento (le vie marittime). Allora, come adesso, i più colpiti furono i lavoratori non qualificati: una nuova
concorrenza fra diverse regioni e all'interno della stessa regione, insieme alle migrazioni, portarono al "crollo dei salari
reali degli strati inferiori", con un'accentuarsi delle ineguaglianze. Gli autori rilevano che "fra il 1480 ed il 1562 il salario di
una bambinaia restò fermo, mentre nello stesso periodo il prezzo dei beni necessari per vivere aumentava del 150%". Si
scatenarono proteste, estremismi ideologici e rivolte. Anche oggi: quando Donald Trump parla contro la globalizzazione,
riecheggia la rabbia populista espressa da Savonarola. Si possono trarre lezioni importanti. Innanzi tutto nessuno deve
sorprendersi che la globalizzazione produca l'affermarsi del populismo. Era già capitato prima. In secondo luogo, non si
deve credere che durerà per sempre. Alla fine le società si adattano. La terza lezione è che gli individui e le società hanno
necessità di essere intelligenti e bene organizzate per affermarsi come "vincitori" in un nuovo rinascimento. La gente ha
bisogno di assumersi dei rischi. Deve essere aperta a nuove idee. Si devono sostenere le arti, accogliere gli immigrati e
raccogliersi intorno a città dinamiche. Si dovrebbe creare una rete di sicurezza sociale per i più deboli. Ma soprattutto i
vincitori devono guardare avanti e non ritirarsi nell'apatia o in fantasie riguardo al passato. "In un periodo in cui occorre
agire, noi invece esitiamo". Il genio della globalizzazione non può essere ricacciato dentro la bottiglia. Ian Goldin dirige la
Oxford Martin School all'Università di Boston. Nel periodo 2003-2006 è stato vice presidente della World Bank.
Precedentemente era stato amministratore delegato alla Bank of Southern Africa e consulente del presidente Nelson
Mandela. Chris Kutarna è ricercatore alla Oxford Martin School all'Università di Boston. E' stato consulente al Boston
Consulting Group. E' attualmente impegnato in progetti in Asia, Nord America ed Europa'] [ISC Newsletter N° 76]
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GRAZIOLI Stefano, Nel nome della «gente». BOROLI. NOVARA. 2005, pag 222 Euro 19.0, rec RIZZO Aldo. ['Il
«populismo» nacque nella Russia dell'Ottocento (narodnicestvo, da narod, popolo), come movimento in difesa dei ceti
più poveri, contro lo zarismo ma anche contro l'incipiente capitalismo. In un certo senso, spianò la strada al comunismo,
finché Lenin non lo soppiantò. Ma si diffuse nel secolo scorso, e ancor più nella sua seconda metà, in Occidente, molto
anche in Europa, dove oggi conosce una sua relativa, ma importante e inquietante, rifioritura, chiamiamola così. E allora
chi sono oggi i populisti europei, coloro che pretendono di parlare "nel nome della «gente»", contro i partiti e le formule
politiche tradizionali? Qual è la loro ideologia, se ne esiste una, buona per tutti? A queste domande risponde un libro
interessante e utile, molto ben documentato, di Stefano Grazioli, un giornalista che lavora soprattutto in Svizzera e in
Austria, due paesi scossi in buona misura da movimenti populisti. E forse questo ha indotto Grazioli ad allargare il suo
sguardo all'intero fenomeno nell'intera Europa, classificandolo in tre blocchi e analizzandolo nei suoi distinti contesti
nazionali. Il primo blocco è quello dei «nostalgici», di chi sogna il ritorno storico di una destra autoritaria, pur prendendo
qualche distanza, e a volte nemmeno quella, dalle devastanti esperienze degli anni Trenta e Quaranta (va però detto che
il populismo, anche nelle sue forme radicali, è cosa in sé diversa dal totalitarismo nazifascista: anche chi non rinnega,
come dovrebbe, quel passato non lo ritiene riproponibile). In questo blocco troviamo l'austriaco Jörg Haider, il belga Filip
Dewinter, il francese Jean-Marie Le Pen, con i loro partiti ipernazionalisti e xenofobi, i tedeschi Rolf Schlierer, Gerhard
Frey e Udo Voigt, questi ultimi solitamente, ma approssimativamente, definiti neonazisti. Il secondo blocco è quello degli
«ex comunisti», personaggi dell'Europa post-sovietica che si fanno interpreti del disagio e a volte dello sconcerto o della
delusione di ceti sociali di fronte al drastico cambio di regime o di sistema. Sono molti, dal capostipite russo Vladimir
Zhirinovski al bielorusso Aleksandr Lukascenko, al polacco Andrei Lepper, al ceco Miroslav Gladek, al rumeno Cornelius
Tudor, allo slovacco Vladimir Meciar. Infine, nel terzo blocco, i «ribelli», liberisti e antiglobalizzatori, contrari al fisco e
all'immigrazione, ossessionati dall'«identità nazionale» (Pia Kjaersgaard in Danimarca, Carl Ivan Hagen in Norvegia, lo
sfortunato Pim Fortuyn in Olanda, il miliardario svizzero Christoph Blocher, lo stesso Umberto Bossi in Italia, pur se con
connotati in parte diversi). Se questi, e altri, sono i populisti europei, si può parlare di una loro «visione» comune? Dopo
aver raccontato le loro singole storie e descritto i rispettivi contesti nazionali, l'autore giunge, correttamente, a due
conclusioni. Di comune c'è un metodo o «stile», il salto delle usuali mediazioni sociopolitiche, per chiedere direttamente
un consenso alla «gente». La colpa di questa preoccupante tendenza (che altera, pur senza sovvertirle, le regole della
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democrazia rappresentativa) è anche di sistemi democratici chiusi in una loro, spesso ambigua, logica di potere, sordi
alle voci, giuste o sbagliate, della società'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
GRIFFITHS David B., Populism in the Western United States, 1890-1900. Vol 1,2. THE EDWIN MELLEN PRESS.
LEWISTON. 1992, pag 783 $ 50+40. ['L'autore ha scritto una storia dettagliata del populismo - come movimento
ideologico, politico e sociale - della parte occidentale degli USA tra il 1890 ed il 1900. Sulla base di varie fonti, Griffiths ha
individuato le origini del populismo nel movimento anti-monopolio, ha quindi analizzato le differenze del populismo tra i
vari Stati dell'Ovest ed i rapporti con la classe operaia e il movimento laburista. In seguito si sofferma sui più importanti
leaders del movimento e sulle loro idee. Viene dedicata attenzione anche alla questione dell'antisemitismo e delle
donne'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
HABERER Erich, Jews and revolution in nineteenth-century Russia. CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS. CAMBRIDGE.
1995, pag XV 346 £ 40, rec GUTWEIN Daniel. ['In questo studio erudito Haberer sviluppa un'interpretazione revisionista
del ruolo degli ebrei nel movimento rivoluzionario russo, in particolare durante la fase populista della 'Zemlia i Volia' e
'Narodnaia Volia' degli anni 1870 e 1880. Secondo l'autore questo ruolo è stato sottovalutato dalla storiografia
tradizionale la quale afferma che: 1. Diversamente da quanto avvenne poi per il marxismo e l'internazionalismo
proletario, i rivoluzionari ebrei non furono attratti da un populismo russo che si trascinava un bagaglio di tradizionalismo
rurale e di ruralismo anarchico. 2. La partecipazione degli ebrei al movimento populista si collocò negli anni 1870 intorno
al 4%, peso non superiore a quello degli ebrei nella società. 3. Gli ebrei nel populismo furono dei "tecnici della rivoluzione"
(logistica e attività clandestina) e non ebbero influenza sull'ideologia e sulla linea politica del movimento. 4. Gli ebrei che
scelsero questa causa abbandonarono il giudaismo. Divennero ebrei senza fede, socialisti cosmopoliti e assimilazionisti
russificati non influenzati dalla religione ebraica. Al contrario, sulla base di risultanze empiriche (tra cui lo studio di molti
dati biografici) l'autore valuta all'8% la partecipazione degli ebrei nel movimento. Valore che raggiunse il 20% negli anni
1880. Inoltre gli ebrei non furono solo "tecnici" ma pure "generali" della rivoluzione. Essi occuparono posizioni di rilievo
nelle 'Zemlia i Volia' e 'Narodnaia Volia' e nell'elaborazione ideologica, politica, strategica e tattica. Secondo Haberer
molti di questi ebrei erano ardenti 'maskilim', seguaci degli 'haskalah', la versione ebrea dell'illuminismo, nutriti dalla
'Weltanschauung' occidentale basata sul costituzionalismo, sui diritti civili ed umani, ed erano delusi dalle riforme di
Alessandro II. Essi ebbero certamente riserve riguardo al credo populista, data la sua natura specificatamente russa, e
l'idealizzazione dei contadini. Per questo tennero una posizione duplice: criticarono i principi ma solidarizzarono con la
minoranza oppressa. Essi si diedero una spiegazione delle simpatie pro-pogroms dei circoli populisti negli anni 1880: la
videro come un errore di concezione di coloro che consideravano il pogrom come l'araldo della rivolta contadina contro il
sistema. Dunque gli ebrei nel movimento si occuparono di politica ed ideologia ed ebbero simpatia per i valori occidentali
e la socialdemocrazia tedesca. Secondo il recensore, la revisione quantitativa può essere fondata, ma
l'argomento maskilic ha bisogno di ulteriori dimostrazioni'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
HAIR William Ivy, The Kingfish and his Realm. The Life and Times of Huey P. Long. LOUISIANA STATE UNIV. 1991,
sip, rec LEMANN Nicholas. ['Hair, seppure allievo di T. Harry Williams - autore di una classica, autorevole dettagliata
biografia su Long scritta nel 1969 e considerata di riferimento - alla Louisiana State University, rigetta l'interpretazione
giudicata comprensiva di Williams. Hair vede Long come un uomo politico della post-Ricostruzione che facilmente
cedeva alla corruzione, al dispotismo, alla violenza e al razzismo'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
HALL Stuart, Le populisme autoritaire. AMSTERDAM. PARIS. 2008, pag 208 Euro 13.0. ['Nato nel 1932 a Kingston in
Giamaica, Stuart Hall è una figura importante del filone 'cultural studies' in Gran Bretagna e uno dei teorici del
multiculturalismo. E' professore emerito alla Open University. In Inghilterra si è passati dal concetto di 'Rule Britannia!'
(Albione, governo dell'impero) al concetto di marketing politico (Cool Britannia!) (l'Inghilterra 'sympa' di 'Trainspotting e
David Beckham sotto l'egida di Tony Blair). Tra queste due fasi si è avuta Margaret Thatcher. Ma per l'autore, il New
Labour è "il thatcherismo dal volto umano", il "populismo autoritario". Potenza della destra e impotenza della sinistra ai
tempi del thatcherismo e del blairismo. Hall propone qui una selezione di articoli scritti alla fine degli anni 1970 e l'inizio
degli anni 1990 apparsi sulle riviste 'Marxism Today' e 'New Left Review' (di cui fu il cofondatore). Analizza i capisaldi del
thatcherismo, ideologia neoliberale alleata al "buon senso" del droghiere (tu consumi, tu paghi) e smembramento
sistematico dello stato assistenziale. Ricorda anche le aporie della socialdemocrazia che si fa eleggere su rivendicazioni
delle classi popolari e poi le tradisce una volta eletta, ricorda il terreno della recessione degli anni 1970 su cui nasce il
thatcherismo sempre favorevole al populismo autoritario (metodo shock per le soluzioni a breve termine, privatizzazione,
sganciamento dello stato, con miasmi sicuritari). Ma la vera vittoria della Thatcher fu quella della mentalità: fare assimilare
all'elettore l'ineluttabilità del mercato (per via della redditività dell'impresa privata), l'assurdità del sociale (la società è un
aggregato incoerente di individualità) e l'inefficienza del settore pubblico. Per l'autore il Welfare State fu il maggiore
successo del Labour. La missione storica del New Labour è stata quella di finire l'opera di smantellamento della
Thatcher'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
HERMET Guy, Les populismes dans le monde. Une histoire sociologique. FAYARD. PARIGI. 2001, pag 480 Euro 25.95.
['Guy Hermet riconosce la difficoltà della definizione del termine. Procedendo per esclusione, sono identificate come
populiste le forze politiche che promettono di riavvicinare il popolo al potere sopprimendo la distanza tra ''desideri
personali e collettivi dalla loro realizzazione''. E se un tempo così si mobilitavano i poveri contro i ricchi, oggi spesso si
mobilitano i ceti intermedi in opposizione sia ai nuovi venuti, sia alla cultura dominante. Secondo l'autore, tali fenomeni
sono caratterizzati dal rifiuto dei meccanismi di mediazione e discussione, talvolta anche delle forme più elementari di
realismo, quindi da estrema contraddittorietà, e, spesso, da fugacità. Alla fine del libro vengono proposte sette tipologie di
populismo, cinque di destra e due di sinistra. Quelle di destra sarebbero: il qualunquismo antifiscale scandinavo; il
nazionalpopulismo che riecheggia i vecchi fascismi, in modo esplicito (Le Pen) o implicito (Haider); il separatismo etnico
(Vlaams Blok, Bossi); il populismo che chiama a raccolta interessi corporativi (Alleanza Nazionale); il ''neopopulismo
mediatico'' basato sull' ''uso intensivo delle moderne tecniche di comunicazione di massa'' (Berlusconi). Tra quelle di
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sinistra annovera il populismo anti-globalizzazione di José Bové e lo zapatismo del subcomandante Marcos'] [ISC
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HOCKENOS Paul, Free to Hate. The Rise of the Right in Post- Communist Eastern Europe. ROUTLEDGE. LONDON.
1994, pag 332 £ 18.0, rec JUDT Tony. ['Le popolazioni dell'Est Europa per questioni di geografia e di storia hanno
forgiato lingua, storia e frontiere territoriali, una a spese dell'altra. Prima della Grande guerra erano accorpate in grandi
imperi che frantumandosi hanno dato luogo a nuovi Stati fragili, loro stessi microcosmo di unità multinazionali da cui sono
stati strappati. Con la parziale eccezione della Cecoslovacchia, questi paesi sono caduti nelle mani di governi autoritari e
populisti che hanno contribuito alle tempeste economiche e politiche generatesi nel continente tra le due guerre. Durante
il nazismo sono caduti vittima dell'occupazione o divenuti alleati riluttanti (o tutte e due le cose). Dopo la Seconda guerra
mondiale si è imposta la geopolitica con la creazione della sfera d'influenza dell'URSS. Ancora una volta liberati dalla
'prigione delle nazioni', gli Stati dell'Europa Centrale ed Orientale si sono trovati di fronte un altro onere, quello di
liberalizzare i loro sistemi politici e le loro economie per ricongiungersi all'Europa. Ma quattro anni dopo la caduta della
'cortina di ferro' ovunque si osservano fenomeni politici quali nazionalismo, antisemitismo, razzismo, xenofobia,
populismo e autoritarismo in competizione tra loro. L'autore, giornalista con una lunga esperienza in Est Europa, svolge
una dettagliata analisi della politica delle formazioni di destra descrivendone le peculiarità rispetto ad altre situazioni.
L'antisemitismo per es. è universale in Est Europa, qualche volta in forma violenta e programmatica, altre volte come tic
linguistico. I 'regimi comunisti' una volta proibivano l'aperto antisemitismo e negavano la sua presenza, ma tacitamente
lo incoraggiavano ribattezzandolo 'anti-sionismo'. Ciò consentiva di sfruttare in modo occulto l'endemico pregiudizio locale
e ciò venne ad essi utile quando si volle eliminare la sopra-rappresentazione di ebrei nella leadership comunista del
Secondo dopoguerra. Con le purghe di stalinisti come Ana Pauker o Rudolf Slansky i loro compagni non ebrei potevano
ingraziarsi Mosca e la popolazione locale (1)(2). Note: (1) questi ebrei soffrirono il fato delle precedenti generazioni di
'ebrei di Corte' vulnerabili per i capricci dei re e facile obiettivo dell'odio popolare, reale o costruito; (2) Oggi un ruolo
significativo nell'estremismo è giocato dalla ex-nomenklatura che si è riciclata come nazionalismo - etnico nostalgico
(come i loro nonni da collabora- zionisti si trasformarono in comunisti dopo il 1945)'] [ISC Newsletter N° 76]
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ISRAEL Jonathan, Revolutionary Ideas: An Intellectual History of the French Revolution from The Rights of Man to
Robespierre PRINCETON UNIVERSITY PRESS. NJ. 2014, pag 888 $ 40.00, rec KELLY Duncan. ['Secondo questo
considerevole nuovo studio della rivoluzione francese, ciò che quegli eventi davvero hanno mostrato è il potere motivante
delle idee nel guidare e trasformare gli eventi. Secondo l'autore si trattò di tre rivoluzioni in una volta sola. Le idee di
uguaglianza politica, di anticlericalismo e di moderno repubblicanesimo motivarono i pensatori illuministi radicali quali
Condorcet e Thomas Paine, mentre si scontrarono con gli illuministi moderati a favore della monarchia costituzionale
rappresentati dalle fazioni a favore del re (i Foglianti) e dai sostenitori della aristocrazia come Lafayette. Tutti si
opponevano al populismo autoritario di Robespierre che, secondo l'autore, prefigura il moderno fascismo. In questo libro
l'autore sviluppa un tema già affrontato nel suo libro del 1995 "The Dutch Republic: its Rise, Greatness and Fall" in cui,
quello che chiama "illuminismo radicale" inizia intorno agli anni 1640-1650 quando i repubblicani olandesi cominciano a
sostenere che l'autogoverno e la libertà di espressione richiedono l'eliminazione dell'autorità religiosa. In particolare l'autore
affronta il modo in cui il filosofo Spinoza diede a queste idee una forma sostenibile filosoficamente. Secondo l'autore
l'illuminismo radicale deve essere liberato dal relativismo politico travestito da postmodernismo accademico. E vuole
salvare la rivoluzione francese dalle generazioni di storici marxisti che la vedono solo come conflitto di classe e dai
liberali revisionisti che considerano la logica del terrore iscritta fin dall'inizio nel catechismo rivoluzionario. Termina il libro
con la frase: "L'illuminismo radicale da solo ha offerto un insieme di valori sufficientemente universali, laici ed egualitari
da poter mettere in moto un'emancipazione generale basata sulla ragione, la libertà di pensiero e la democrazia." L'autore
è professore di storia a Princeton. La recensione è di Duncan Kelly che insegna all'Università di Cambridge'] [ISC
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JANKE Igor, Viktor Orban. Ein Stürmer in der Politik. SCHENK VERLAG. PASSAU. 2014, pag 344 Euro 19,90. ['Chi è
Viktor Orban veramente? Un politico realista o un populista? Un riformatore o un ribelle? Un demone o un eroe? Con
queste domande il giornalista polacco Igor Janke, che già ha intervistato Obama, si è recato a Budapest per realizzare un'
intervista con il primo ministro ungherese. Ha incontrato amici e nemici giurati di Orban e ha avuto più volte lunghi
colloqui con lui. Questo libro, che ha avuto già grande successo in Polonia, ha origine da quegli incontri. Secondo i suoi
critici, a Igor Janke è riuscito un ritratto realistico di questo politico appassionato di calcio, nel quale certo non mancano i
toni critici. Igor Janke, nato a Zagan nel 1967, è un giornalista politico. E' attualmente presidente del think tank
indipendente Instytut Wolnoci e tiene un blog politico. E' stato redattore capo dell' agenzia di stampa polacca PAP e
collaboratore della BBC'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
KAZIN Michael, The Populist Persuasion: An American History. BASIC BOOKS. NY. 1995, pag 352 $ 24.0. ['Kazin è
docente di storia presso la American University (Washington) (1995) e redattore della rivista liberale di politica e cultura
ebraica 'Tikkun'. E' collaboratore del 'Washington Post' e del settimanale di sinistra 'The Nation' (1). In questo nuovo
libro traccia la storia del populismo come costante della storia politica americana. Il libro studia il ruolo del populismo nel
movimento socialista e operaio americano della 'Progressive Era', il proibizionismo e le crociate alla radio del religioso
Charles Coughlin. Dopo la Seconda guerra mondiale, il populismo passa da sinistra a destra. La guerra fredda comincia
con Joseph McCarthy mentre la 'nuova sinistra' non riesce a parlare con genuinità dato il suo retroterra 'middle-class'.
George Wallace e Ronald Reagan si fanno interpreti delle ansietà delle masse sulla questione della razza e delle tasse. In
una società in declino, il populismo diviene un 'linguaggio dei pusillanimi'. E a parere dell'autore gli intellettuali di sinistra
devono fare i conti con questo fenomeno. [(1) ha scritto 'Barons of Labor: The San Francisco Building Trades and Union
Power in the Progressive Era'. ILLINOIS UP. 1987 (storia dello sviluppo dei sindacati edili negli anni Venti di fronte alla
aggressività delle imprese e all'ostilità del clima politico)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
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KELLER Morton, America's Three Regimes: A New Political History. OXFORD UNIVERSITY PRESS. NEW YORK.
2007, pag 384 $28.00, rec W.R. MEAD. ['L'autore suddivide la storia degli Stati Uniti in tre fasi caratterizzate da tre
distinti regimi. Un sistema "deferente-repubblicano" avrebbe caratterizzato la vita politica americana dal tardo periodo
coloniale agli anni 1820; seguì un sistema "partito-democratico" e quindi uno "populista-burocratico". Per il recensore,
W.R. Mead, questa nuova periodizzazione è in realtà meno radicale di quanto non suggerisca il nome. Tuttavia, la
descrizione di Keller dei sistemi politici e l'integrazione di una narrazione ben costruita e scorrevole con un potente
modello analitico è in grado di stimolare specialisti e interessare i lettori americani e non come utile e accessibile
introduzione alla storia della politica negli USA'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
KOTKIN Joel, The New Class Conflict. TELOS PRESS PUBLISHING. CANDOR, NY. 2014, pag 230 $29.95, prefazione
di Fred SIEGEL rec Walter Russell MEAD. ['L'autore sostiene che un' alleanza tra le élite iper-ricche della Silicon Valley
e di Wall Street e quella che chiama l'intellighentsia ("clerisy") dei professionisti della classe medio-alta sta portando la
classe media americana sull orlo del precipizio. La classe media, sostiene l'autore, dipende da cose come energia a
basso costo, industria pesante, regole di gestione del suolo che favoriscano alloggi alle singole famiglie (single-family
housing), politiche di pianificazione regionale che riducano i costi di proprietà della casa e controlli ai confini più efficaci
per proteggere i lavoratori non qualificati dalla competizione sul salario. Queste politiche sono un anatema per gli attivisti
del cambiamento climatico, i conservazionisti e i "nuovi urbanisti" (che vedono un revival dei centri urbani densi come
una buona politica sociale e ambientale). Kotkin prevede aspri conflitti politici tra populisti e ambientalisti, e se l'autore
avesse ragione, anche solo in parte, ci attendono tempi interessanti. Il populismo è sempre stato una delle forze motrici
della politica USA, ma, come ci ricorda Kotkin, né la sinistra liberal, né la destra del Tea Party catturano pienamente le
aspirazioni populiste.Joel Kotkin è Roger Hobbs Distinguished Fellow in Studi Urbani alla Chapman University, Orange,
California, e Executive Editor del sito web New Geography. E' stato editorialista del New York Times, giornalista
finanziario di KTTV, ottenendo il premio Golden Mic, ed editor per la West Coast di Inc. Magazine. Recentemente ha
scritto 'The Next Hundred Million: America in 2050' (Penguin Press, 2010)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
KUPCHAN Charles, The End of the American Era: U.S. Foreign Policy After the Cold War. ALFRED KNOPF. NEW
YORK. 2002, pag 368 $27.95. ['Secondo l'autore un mondo unipolare è insostenibile. Due sono i fattori che stanno
rispingendo il mondo verso il multipolarismo. Il primo è il sorgere dell'Europa. L'altro è il declino del sostegno
dell'opinione pubblica americana alla politica internazionalista, il che rende sempre più difficile per gli USA onorare gli
impegni e sopportare il peso del mantenimento dell'attuale ordine internazionale. Kupchan analizza l'impatto della cultura
politica americana nella strategia globale; ritiene che la crescente influenza del populismo vecchio stile radicato al Sud e
all'Ovest, diffidente verso pericolosi coinvolgimenti internazionali, alimenterà l'abbandono americano dagli scenari
internazionali'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
LACLAU Ernesto, a cura di TARIZZO Davide, La ragione populista. LATERZA. ROMA-BARI. 2008, pag XXXIII 265 Euro
20.0, rec Daniele ROCCA. ['L'autore, intellettuale argentino "post-marxista", docente a Essex e Northwestern, offre al
lettore una sorta di compendio del suo pensiero sui rapporti tra democrazia, populismo e dinamiche di formazione delle
identità collettive. Ritiene che la categoria del populismo sia stata vittima, in molti autori, di una sistematica "denigrazione
etica". Giunge quindi in primo luogo a individuare nel populismo una "logica sociale" e una vera dimensione della cultura
politica, come spiega anche il curatore nell'introduzione. Ricostruendo il dibattito di fine Ottocento su delinquenza,
patologia e psicologia della folla, Laclau passa inoltre al vaglio le posizioni di Le Bon, Taine, Tarde, McDougall e Freud, il
quale elaborò l'idea di "identificazione", giudicata cruciale per capire le dinamiche del populismo e la sua conversione
delle "domande democratiche", di impronta egemonica, in "domande popolari", di sfida a questa stessa egemonia:
questo perché il populismo, nota l'autore, nascendo da un investimento affettivo volto a colmare un vuoto politico,
prevede la divisione della scena sociale in due fronti contrapposti, un "noi" e un "loro", con il primo a fare della lotta il
contenuto stesso della propria protesta. Nell'ultima parte viene proposta una una casistica storica di "incroci" tra
democrazia e populismo: dalla vicenda italiana della Lega Nord - la cui ascesa è esaminata sullo sfondo della crisi del
Partito Comunista Italiano e del crollo simultaneo della Democrazia Cristiana, all'inizio degli anni 1990 - ai regimi
populistici dell'America Latina, da Perón a Vargas. Ernesto Laclau insegna Teoria politica all' Università di Essex (UK) ed è
Distinguished Professor for Humanities and Rhetorical Studies alla Northwestern University (Chicago, USA). Nel corso
degli ultimi trent'anni ha elaborato (anche in collaborazione con Chantal Mouffe) un originale ripensamento delle
fondamentali categorie della filosofia di ispirazione socialista, sostituendo la classica nozione di lotta di classe con le
nozioni di antagonismo sociale e di democrazia radicale. Questo è il suo primo libro tradotto in Italia. Davide Tarizzo
(1966) ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Ermeneutica filosofica presso l'Università di Torino e lavora
attualmente presso l'Università di Salerno. E autore di diversi saggi sul pensiero di Lacan, Foucault, Heidegger, Deleuze e
altri. Ha pubblicato i libri 'Il desiderio dell'interpretazione. Lacan e la questione dell'essere' (Napoli 1998), 'Il pensiero
libero. La filosofia francese dopo lo strutturalismo' (Milano 2003) e 'Introduzione a Lacan' (Roma-Bari 2003). Ha tradotto
in italiano opere di Deleuze, Derrida, Nancy, Badiou, Cavell, Arendt, Minkowski, Fedida'] [ISC Newsletter N° 76]
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LASCH Christopher, Le seul et vrai paradis. CLIMATS. CASTELNAU LE LEZ. 2003, Euro 30.0. ['Christopher Lasch,
storico americano, è morto nel 1994. Questo libro è pubblicato nella collana 'Sisyphe' diretta da Jean-Claude Michea,
che ha pubblicato altre opere dell'autore di 'La revolte des elites' e 'La culture du narcissisme'. Michea è a sua volta
autore nel 1999 di un pamphlet contro l'insegnamento: 'L'Enseignement de l'ignorance et ses conditions modernes'.
Oggi sta per pubblicare sempre per la Climats un'opera sul liberalismo e socialismo: 'Impasse Adam Smith', testo che
partecipa direttamente al dibattito attorno ai "neo-reazionari". Lasch, che è citato da coloro che si occupano della
separazione destra-sinistra, tra cui Daniel Lindenberg, si è sempre interessato ai movimenti popolari e alla stratificazione
della classe media. Partendo dalla constatazione che "le vecchie ideologie politiche hanno perduto la loro capacità di
spiegare gli avvenimenti e di ispirare agli uomini e donne una linea d'azione coerente", mostra qui come un certo
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"populismo", ovvero i valori della piccola borghesia americana disprezzata tanto dalle elites di sinistra che di destra, è
stato il miglior paravento contro le derive dell'economia liberale e il miraggio del consumismo. Partendo dalla propria
esperienza di giovane militante contro la guerra del Vietnam, poi di universitario di sinistra, e di genitore, cerca di
comprendere "se la sinistra e la destra non sono giunte a condividere troppo le stesse convinzioni fondamentali, tra le
quali una fede nell'aspetto desiderabile e inevitabile dello sviluppo tecnico ed economico". I movimenti popolari emersi a
partire dal XVIII secolo in America e in Europa ebbero per principale obbiettivo quello di opporsi agli effetti distruttori del
progresso. L'America, grazie al senso del limite delle frazioni più modeste della classe media, seppe un tempo
premunirsi contro i miraggi della sovrabbondanza illimitata. Questa piccola borghesia tanto disprezzata, ma in parte
immunizzata contro l'attuale consumismo, è portatrice di una eredità che per l'autore bisogna riscoprire. Questa fu la
tradizione del radicalismo plebeo. Leo Strauss ha mostrato che non era necessario essere progressista per essere
democratico. L'ipotesi di Lasch è che è possibile essere sia l'uno che l'altro. I movimenti autenticamente democratici dal
XVIII al XIX secolo si costituirono in opposizione diretta a una direzione della storia alla quale non credevano'] [ISC
Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
LASCH Christopher, La cultura del narcisismo. BOMPIANI. MILANO. 2001, pag 304 Euro 7.75, rec FERRARI
Pierangelo. ['Christopher Lasch, sociologo e storico statunitense, prematuramente scomparso nel 1994, è uno dei dodici
maestri irregolari proposti da Filippo La Porta. La sua opera più importante, che intendo collocare nella mia ideale
biblioteca del PD, è un saggio sociologico del 1979, che gli ha dato fama mondiale: "La cultura del narcisismo". "In
questo saggio - leggiamo nella quarta di copertina del tascabile Bompiani - Christopher Lasch offre una severa e
corrosiva analisi dei modelli culturali dominanti nella società americana dagli anni Settanta in avanti, condizionata da un
individualismo esasperato che si diffonde a livelli di massa e trasforma stili e comportamenti della vita quotidiana. La
diffusa caduta della tensione politica, l'esasperata pratica dell'autocoscienza, il culto del corpo, l'ossessione della
vecchiaia e della morte, la liberalizzazione sessuale sono le manifestazioni più importanti dell'edonismo statunitense". Ci
sono intellettuali che, più di altri, hanno indagato e descritto i cambiamenti del costume in quell'epoca che va
simbolicamente dal 1968 al 1989, che è all'origine del mondo contemporaneo. Le strutture sociali, culturali e politiche
delle società occidentali si sono ridefinite in quel ventennio. Per capire noi stessi e la società in cui viviamo dobbiamo
tornare lì e leggere autori come Lasch. Non è una scelta snobistica, è un'esigenza pratica se vogliamo possedere una
coscienza critica del nostro presente. Pierangelo Ferrari è Parlamentare del Partito Democratico alla Camera dei
Deputati (2001). Lasch, teorico del populismo, si è spento nel 1994 nella sua casa di Pittsford. Filosofo, grande
fustigatore dei progressisti e dello Stato sociale, aveva lanciato con il suo ultimo saggio, "The true and only heaven:
progress and its critics", l'idea di un nuovo populismo, "molto piu' radicale di ciò che oggi passa per radicalismo".
Accusato di maschilismo e razzismo, Lasch era comunque diventato il paladino dei ceti medi e dei piccoli imprenditori']
[ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
LENDVAI Paul, Hungary: Between Democracy and Authoritarianism. COLUMBIA UNIVERSITY PRESS. NEW YORK.
2012, pag 288 $35.0, rec Robert LEGVOLD. ['La vittoria elettorale di Viktor Orbán nel 2010, scrive Lendvai, "ha posto
fine alla democrazia liberale esistente in Ungheria dal 1990 ed ha spianato la strada ad un'autocrazia populista". Orbán
sarebbe evoluto da leader dinamico in un nazionalista calcolatore ripiegato sulla chiusura delle opzioni democratiche e
pronto a sfruttare sentimenti antisemiti e anti-rom. Sebbene le accuse di Orban siano rivolte soprattutto contro l'attuale
premier ungherese, chiarisce che corruzione e sconsideratezza nell'economia dei precedenti governi hanno avuto la loro
parte nel degrado del paese. Non sorprende che la valutazione di Lendvai abbia sollevato un po' della polvere che
copriva l'Ungheria. Paul Lendvai (1929) è un giornalista austriaco di origini ungheresi che ha lavorato come
corrispondente per il Financial Times per oltre vent'anni. Tra le sue pubblicazioni: 'Inside Austria: new challenges, old
demons', Columbia University Press, c2010; 'One day that shook the Communist world: the 1956 Hungarian uprising and
its legacy', Princeton University Press, 2008'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
LIEVEN Anatol, America Right or Wrong: An Anatomy of American Nationalism. OXFORD UNIVERSITY PRESS. NEW
YORK. 2004, pag 288 $30.00, rec Walter Russell MEAD. ['Lieven fa le usuali critiche alla cultura nazionalista religiosa e
populista dell'America. Ma anche il "Credo americano" - il liberale e tollerante internazionalismo che da forma alla
genericamente laica fede civica degli americani non fondamentalisti, non anti-darwiniani - colpisce l'autore come una
preoccupante forma di universalismo messianico. A partire dall'11 settembre 2001, una perversa sintesi di queste due
anime avrebbe caratterizzato la risposta americana al terrorismo: lo scandalizzato, populista nazionalismo delle masse,
di stampo jacksoniano, si sarebbe fuso con il wilsonismo messianico per sostenere G.W. Bush e i neoconservatori.
Storico, saggista e giornalista, laureato a Cambridge, Anatol Lieven si occupa di affari internazionali e attualmente è
senior associate del Carnegie Endowment di Washington. Ha vissuto in India, Pakistan, Afghanistan, ex Unione
Sovietica e Paesi dell' Est, in qualità di corrispondente del Financial Times, del Times e di altre prestigiose testate. Già
editor per l' International Institute for Strategic Studies di Londra, ha collaborato anche con la London Review of Books.
Come scrittore ha vinto il George Orwell Prize for Political Writing. Traduzione italiana: 'Giusto o sbagliato è l'America.
Anatomia del nazionalismo americano', Sperling & Kupfer, Milano, 2005'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
LIGUORI Guido VOZA Pasquale a cura, Dizionario gramsciano 1926-1937. CAROCCI. ROMA. 2009, pag 918 Euro
85.0. ['Contiene oltre 600 voci relative ad altrettanti concetti o parole impiegati da Gramsci nelle Lettere e nei Quaderni
del carcere. Nel Dizionario si trovano esclusivamente parole che Gramsci ha effettivamente usato, non concetti o
argomenti che pure sono importanti ma che non corrispondono a una specifica parola gramsciana. Il Dizionario consta di
oltre 600 voci, ciascuna delle quali ricostruisce l'evoluzione della parola o del concetto considerato, ne richiama le
occorrenze più significative, ne sintetizza il senso collocandolo all'interno di un ambito di discorso più vasto. Le voci
principali sono completate da una essenziale nota bibliografica che rimanda alla bibliografia finale dei testi citati. La voce
"populismo" è a cura di Domenico Mezzina'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MACLEAN Nancy K., Behind the Mask of Chivalry: The Making of the Second Ku Klux Klan. OUP. OXFORD, NY. 1994,
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pag 320 $ 27.5. ['L'autrice insegna storia alla Northwestern University. In questo libro ricostruisce la storia del Klan che
divenne negli anni '20 "il più forte movimento di estrema destra che l'America abbia mai prodotto". Nel periodo seguente
la Prima guerra mondiale la supremazia del maschio bianco cristiano fu sfidata dalla resistenza del lavoratore nero, dalla
nascita del movimento femminista e dall'incertezza economica. Analizzando un tipico Klan locale a Clarke County, Ga.,
la Maclean individua i suoi membri come elementi della 'middle class' economicamente fragili e insicuri che si ritrovavano
nel "populismo reazionario" del gruppo: un mix di fondamentalismo protestante, individualismo anti-statalista, anticomunismo e anti-capitalismo alla Wall Street. L'autrice descrive gli sforzi del Klan per rafforzare la moralità sociale
combattendo alcol, gioco d'azzardo e prostituzione. E mette in evidenza come i membri del gruppo usassero l'odio
razziale contro neri, ebrei e immigrati per il timore del cambiamento. Contrariamente all'opinione di altri autori, sostiene
che il Klan era violento. Il gruppo declinò alla fine del decennio: il miglioramento dell'economia, il calo degli sforzi del
movimento sindacale e dei neri attenuò i timori degli attivisti del gruppo. Poi un forte movimento operaio negli anni Trenta
impedì il ritorno del Klan'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MAMERE Noel, Sarkozy, mode d'emploi: stratégies d'un bluffeur. RAMSAY. PARIS. 2006, pag 190 Euro 16.0. ['Il
sindaco di Bègles e deputato verde della Gironda mostra perché l'effetto Sarkozy, che funziona bene per i francesi
delusi dalla politica, è una bolla. Smonta i mezzi e gli obiettivi di quello che considera un marketing politico. "E' un
seduttore professionale. (...) Il suo obiettivo è arrivare alla carica suprema. Il suo sogno di sempre: diventare presidente
della Repubblica. A vent'anni già lo confessava ai suoi amici. Adesso, passata la cinquantina, non è mai stato così vicino
al Santo Graal. Per arrivarci - secondo Mamere - tutti i mezzi sono buoni. La demagogia, la stigmatizzazione,
l'ostentazione". L'uomo ha senza dubbio idee, progetti, strategia e charme. Proprio per questo è pericoloso - dicono. E
per ipnotizzare i francesi, annuncia giorno dopo giorno cosa cambierà grazie a lui. Maneggia il linguaggio e la società dello
spettacolo con maestria. Soggetti sono la criminalità, il raddoppio delle pene, la giustizia, le discriminazioni, la sicurezza,
la questione delle religioni nel paese. Banlieuses, Corsica ecc. su questi e altri dossiers, Sarkozy rivisita il populismo. Ma
l'«effetto Sarkozy» secondo Mamere è una bolla. Le leggi che fa votare dalla sua maggioranza sono liberticide, ma, sotto
il mantello di (false) evidenze, i suoi progetti lo sono ancor di più. Per l'autore è il rappresentante di una destra dura che
si ispria ai metodi dei tre B, Bush, Blair, Berlusconi'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MANCINI Paolo, Il post partito. La fine delle grandi narrazioni. IL MULINO. BOLOGNA. 2015, pag 150 Euro 13,00,
riferimenti bibliografici. ['Come spiega Mancini, c'è stato sempre un rapporto stretto, quasi un'identità di sangue, tra le
forme della comunicazione e quelle della democrazia moderna. Questa è stata il prodotto prima di sistemi postali più
efficienti, poi della sempre maggiore diffusione su larga scala dell'informazione giornalistica grazie al telegrafo, quindi
alla radio e alla televisione, fino al web 2.0 di oggi. All'età del giornalismo corrisponde il primo sistema dei partiti:
organizzazioni a cui si accedeva per censo, o per identità sociale, e di cui si poteva far parte solo se si aveva un certo
grado di scolarizzazione (di qui l'insistenza, prima di Marx e poi di Lenin, la cui ombra lunga si proietta su tutti i partiti del
XIX e XX secolo, sulla necessità di trasformare i "semplici lavoratori" in intellettuali, gli operai in agitatori, propagandisti e
collaboratori della stampa di partito). Alla combinazione di scolarizzazione di massa, diffusione dei giornali di
informazione e di partito, nonché a traumi storici quali le trincee della prima guerra mondiale e le turbolenze socialiste e
fasciste, Mancini fa corrispondere la nascita dei moderni partiti di massa, che per tutto il 1900 furono società nella società,
universi identitari, l'equivalente politico delle rivelazioni religiose. Oggi, consumata in pochi anni anche la parabola dei
partiti televisivi, è iniziata l'era del "post partito": il partito liquido, fondato su appartenenze volatili, che nasce sul web come in Italia il Movimento 5 Stelle - e si fonda su un'adesione stretta ai bisogni immediati (e alle idiosincrasie
"antipolitiche") dei cittadini. Per l'autore, l'appello al popolo, guardato con sospetto dai nostalgici dei vecchi partiti, oggi è
un organo di senso, mentre l'abbondanza di informazioni (anche tossiche) che sfrecciano attraverso la Rete, insieme alla
possibilità (anche illusoria) di interagire con le decisioni del leader, non impoverisce ma arricchisce la democrazia:
"Spesso si è portati - scrive - a idealizzare, di fronte ai problemi di oggi, pratiche del passato anch'esse non solo carenti,
ma addirittura peggiori, riguardo a un corretto funzionamento democratico, di quelle che oggi si vogliono demonizzare". Il
volume contiene il capitolo (IV): 'Critica della critica del populismo'. Paolo Mancini è professore ordinario di Sociologia
della comunicazione nell' Università di Perugia. Ha pubblicato per Laterza «Modelli di giornalismo» (con D. Allin, 2004),
«Manuale di comunicazione pubblica» (2006), «Elogio della lottizzazione» (2009)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MATTEUCCI Nicola a cura, Sul Sessantotto. RUBBETTINO. SOVERIA MANNELLI. 2008, pag 108 Euro 14.0,
presentazione di Gaetano QUAGLIARIELLO rec BELARDELLI Giovanni. ['I saggi di Nicola Matteucci sulla rivolta
studentesca di fine anni Sessanta (ora ripubblicati da Rubbettino con il titolo "Sul Sessantotto", a cura di Roberto Pertici,
presentazione di Gaetano Quagliariello) valgono, da soli, più di gran parte di ciò che si è finora scritto su quegli eventi. E'
vero che Matteucci scriveva a caldo, a ridosso dei fatti, ciò che spesso costituisce un ostacolo per la loro comprensione;
ma è vero anche che riusciva ad andare oltre i punti di vista - l'uno simpatetico - nostalgico, l'altro banalmente critico che da quarant'anni risultano prevalenti ogni volta che, almeno in Italia, si parla e si scrive di Sessantotto. Per Matteucci
la rivolta studentesca non fu, o meglio non fu soprattutto, un semplice episodio di una grande rivoluzione esplosa in tutto
il mondo, da Berkeley a Parigi, da Berlino a Praga. Il Sessantotto italiano, che molti cercavano erroneamente di spiegare
appiattendosi su ciò che proclamavano i protagonisti nei loro slogan, giornali, opuscoli, andava considerato una forma di
«insorgenza populista» da ricollegare a dinamiche profonde del Paese. Con questa espressione - contenuta in un saggio
pubblicato nel 1970 sulla rivista «Il Mulino» - Matteucci cercava di definire un insieme di manifestazioni politiche nutrite di
idee semplici, di passioni elementari, che superavano la tradizionale distinzione tra conservatori e progressisti e si
accompagnavano a una forte propensione attivistica (e potenzialmente violenta). Si trattava di un fenomeno non inedito
nella storia del Paese: nel 1914-15 l'interventismo era stato appunto una forma di «insorgenza populista», che aveva
coagulato forze di diversa provenienza, di destra e di sinistra, in una comune condanna dell'Italia liberale; qualche anno
dopo lo era stato anche il fascismo di sinistra, con la sua esaltazione di una «nazione proletaria» in guerra contro le
«demoplutocrazie». Rispetto a quegli antecedenti, il Sessantotto interpretato come «insorgenza populista» si
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caratterizzava anche per un elemento nuovo: un «cattolicesimo progressista» fortemente orientato a sinistra sulla base
dell'incontro tra la «mistica dell'operaio» di matrice marxista-comunista e la «mistica del povero». Non a caso il
movimento degli studenti teneva in grande considerazione la "Lettera a una professoressa" di don Milani (Bibliografia),
che contrapponeva alla cultura dei «signori» la verità e la cultura dei «poveri». (...)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
McMATH Robert, American Populism: A Social History, 1877 - 1900. HILL & WANG. NY. 1993, pag 245 $ 18.10, rec
YARDLEY Jonathan. [Il populismo americano fu un breve ma intenso e influente movimento sorto con rivendicazioni
specifiche in aree specifiche del paese. Con esso si chiedeva una tassazione graduale dei redditi, la nazionalizzazione
delle ferrovie, le elezioni popolari dei senatori, e si rivendicava la semplice idea chiamata 'producerism' secondo cui i
prodotti del lavoro appartengono ai lavoratori che li producono (produttori). Il populismo appare sulla scena americana
agli inizi del decennio 1890. Fu essenzialmente un movimento di agricoltori cresciuto in 'isole' di protesta separate tra
loro nel Sud e West degli USA. I sostenitori del movimento erano schierati contro gli odiati trusts monopolistici del NordEst. Il populismo americano rientra nel contesto della storia sociale rurale'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MENY Yves SUREL Yves, Populismo e democrazia. MULINO. BOLOGNA. 2001, pag 312 Euro 18.0, rec PAJETTA
Giovanna. ['Bestia nera di ogni establishment che teme la sua abilità a inserirsi nelle pieghe delle loro crisi, etichettato e
snobbato come fenomeno ambiguo ed effimero da tanta parte della sociologia politica, il populismo è in realtà destinato a
diventare uno scomodo, ma stabile compagno di strada dei nostri tempi. Soprattutto in Europa, dove movimenti e partiti
populisti sono spuntati come funghi negli anni Novanta, dilagando dalla Francia di Le Pen o l'Austria di Jorge Haider, alla
Svizzera e persino a Paesi scandinavi come la Svezia e la Norvegia. Fino ad affacciarsi ora nelle stanze della Comunità
europea, dove potrebbe incrinare, se non rompere, il delicato meccanismo del processo di integrazione del continente.
Se è vero che, come sostengono Yves Meny e Yves Surel, il populismo è sì una realtà composita e differenziata, ma dietro
la sua natura ibrida e sfuggente si cela un "nocciolo duro" ideologico. Uscito in Francia un anno fa, e subito usato da
molti per lanciare un grido d'allarme contro la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi e della sua Casa delle libertà, 'Par le
peuple, pour le peuple' cerca innanzitutto di sfatare molti luoghi comuni. A partire da quello che trasforma il "populismo"
in semplice sinonimo dei movimenti di destra. A differenza di questi ultimi, infatti, nell'ossessivo appello al "popolo" e alla
sua sovranità c'è il richiamo, e l'accettazione, del cuore della democrazia, di quel 'We, the people' con cui si apre ad
esempio la Costituzione americana. Così come la rivendicazione di forme di partecipazione diretta, o la polemica contro
l'impasto crescente di costituzionalismo e procedure formali, appartiene anche a movimenti nati, a partire dagli anni
Settanta, nell'alveo della sinistra. 'Siamo condannati a convivere con il populismo' insomma, per dirla con i due sociologi
della politica francesi, anche per la crisi strisciante delle elites democratiche europee. Nel cui cuore ora Le Pen o Haider
portano il sogno ideologico di una "comunità" in cui, accanto al "demos" di sempre, cresce l'"ethnos", e il "popolo" invece
di farsi "cittadino" si fa "nazione". E poco importa se per alcuni questa assuma l'aspetto della nostalgia per la "grandeur"
francese e per altri quello della neonata 'Padania'. Perché la minaccia della globalizzazione o del "mondialismo", come
la chiamano sia il leader della Lega che quello del Front National, spinge oggi persino il secessionista Bossi a riscoprire
le virtù degli stati nazione. Divenuti per l'occasione baluardo di quel localismo così caratteristico del populismo europeo.
Ma le differenze tra le realtà cresciute nel nostro continente e il "prototipo" originale, il populismo americano, vivo e vegeto
già a fine ottocento, non si fermano qui. Al contrario delle numerose esperienze d'oltreoceano infatti il populismo europeo
ha saputo dare vita a movimenti e organizzazioni stabili e durature. 'Partiti di militanti' più che partiti di massa, ma capaci
comunque di inserirsi con successo nell'arena politica ed elettorale. Fino a varcare, come è successo in Austria e in
Italia, le porte dei palazzi del potere nazionale. Certo, l'esperienza di governo non ha finora portato bene ai partiti
populisti. Dai quasi due anni di coalizione con i popolari, Jorge Haider ha avuto in dono in realtà un netto calo elettorale,
ripetutosi in tutte le consultazioni locali. Un prezzo che Umberto Bossi ha pagato ancor prima di varcare la soglia di
palazzo Chigi, visto che la Lega è scesa sotto la soglia del 4% (e, secondo i sondaggi, oggi va ancora peggio). Ma
sarebbe un errore pensare che alla cattiva sorte dei suoi partiti corrisponda un declino del populismo. O quantomeno
delle sue idee. Come ricordano più volte Meny e Surel, fu proprio Jacques Chirac, nel 1995, a usare toni e slogan
populisti nella sua campagna elettorale. Silvio Berlusconi ha seguito il suo esempio, con successo, nel maggio scorso']
[ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MERKER Nicolao, Il sangue e la terra: due secoli di idee sulla nazione. EDITORI RIUNITI. ROMA. 2001, pag 261 Lit 30
mila, bibliografia indice dei nomi, Collana Il cerchio. ['La nazione è una comunità tenuta insieme da vincoli di sangue, o
l'appartenenza a essa è mediata da legami culturali? Già agli inizi dell'Ottocento, all'idea di nazione come luogo di
esercizio dei diritti universali di cittadinanza consolidatasi attraverso l'esperienza della Rivoluzione francese comincia a
contrapporsi la nazione concepita come collettività riservata ai membri di un'unica stirpe. Nasce cosí quel populismo etnico
che darà vita all'ideologia «del sangue e della terra», con le sue conseguenze estreme di odio razziale. Il 'sangue e la
terra' ricostruisce lo sviluppo di queste concezioni, i loro rapporti con il succedersi delle vicende storiche e delle realtà
socioeconomiche, attraverso le loro diverse incarnazioni: dalle mitizzazioni etniche del romanticismo alle ideologie
risorgimentali dello Stato nazionale; dai modelli di Stato plurinazionale alle dottrine irrazionalistiche e al loro rapporto con
le moderne politiche di potenza; dall'idea di nazione come realtà storico-culturale che accomuna positivisti, liberali e
socialisti alle attuali derive etnopopuliste. Nicolao Merker, professore ordinario di storia della filosofia moderna
all'università «La Sapienza» di Roma, ha curato numerose edizioni italiane di classici dell'illuminismo e dell'idealismo
tedeschi, nonché di Marx e di Engels. È autore tra l'altro di 'Karl Marx' (1983), 'L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing'
(1989), 'Introduzione a Lessing' (1991), 'La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar' (1993), e 'Il socialismo
vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti' (1996). Ha diretto inoltre una Storia della filosofia in tre volumi
pubblicata nel 1982 e piú volte ristampata'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MILZA Pierre, Europa estrema. Il radicalismo di destra dal 1945 ad oggi. CAROCCI. ROMA. 2003, pag 488 ? 28.90, note
bibliografia indice dei nomi; Collana Storia Contemporanea. ['Secondo Milza l'allarme sulla diffusione del radicalismo di
destra spesso sottovaluta la durata e la diffusione continentale del fenomeno, che sarebbe invece, nella sua variante
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populista oppure in quella più propriamente fascista, un elemento permanente della vita politica e sociale europea dalla
fine della seconda guerra mondiale. Indice: Introduzione; 1. 1945: l'ombra delle svastiche; 2. Prime resurrezioni (1945inizio degli anni cinquanta); 3. Poujadismo e neofascismo in Francia alla fine dei regimi coloniali; 4. Il neofascismo in
Italia: dagli inizi degli anni cinquanta alla fine degli anni settanta; 5. Le principali correnti di estrema destra nell'Europa dei
trenta gloriosi; 6. I falsari della storia: revisionisti e negazionisti; 7. Le nuove destre in Europa; 8. Francia: emersione e
radicamento del nazional-populismo; 9. Italia: dal MSI ad Alleanza nazionale; 10. L'Europa del Sud; 11. Europa
settentrionale ed Europa occidentale (dopo il 1980); 12. Austria e Svizzera; 13. L'Europa dell'Est; Conclusioni'] [ISC
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MILZA Pierre, Napoleon III: le populisme couronné. PERRIN. PARIS. 2004, pag 696 Euro 21.0, rec Michele MARCHI.
['La biografia politica del giovane Luigi Napoleone e tutta la sua formazione culturale e intellettuale avvengono all'interno
dell'universo simbolico del bonapartismo, che il giovane cercherà di rendere una vera e articolata dottrina ideologica con il
testo 'Des idées napoléoniennes' del 1839. In questo tentativo di teorizzare un legame tra legge e ordine da un lato e
giacobinismo rivoluzionario dall'altro, Milza trova la chiave per demolire la vulgata che vorrebbe definire Napoleone e il
suo Secondo Impero un accidente della storia. Se quindi per Milza il cesarismo autoritario tipico del bonapartismo va
tenuto separato dall'evoluzione repubblicana che vivrà la Francia della III Repubblica, il richiamo continuo all'autorità della
sovranità popolare (anche se mediata attraverso la figura del capo carismatico) e il rifiuto completo e totale per i corpi
intermedi, sono visti come attributi che inseriscono a pieno titolo il bonapartismo di Luigi Napoleone nel percorso di
evoluzione che la Francia vive dal 1789 in avanti. L'autore ricorda da un lato il ruolo di modernizzazione svolto dal
regime, con l'ottica centralizzatrice del giacobinismo statalista messa al servizio della crescita economica e dello sviluppo
nell'ambito dei diritti sociali. Dall'altro vede come nel caso del Secondo Impero, a differenza che per molte altre forme di
dittatura, si vada verso una progressiva liberalizzazione, piuttosto che verso una radicalizzazione degli elementi
liberticidi. Tale notazione conduce poi l'autore a ricercare la matrice populista presente nel Secondo Impero, da
rintracciare nell'evoluzione delle destre autoritarie dell'Europa contemporanea'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
MONGIN Olivier, L'apres 1989. Les nouveaux langages du politique. HACHETTE. PARIS. 1998, pag 264 FF 98, rec
COURTOIS Gerard. ['O. Mongin, Direttore della rivista 'Esprit', e Joël Roman, redattore capo di 'Esprit', in un dibattito
sulla rivista (Esprit, n° 244 luglio 1998) attaccano il "populismo politico" professato attualmente da Pierre Bourdieu e
anticipato dal suo "populismo teorico". Criticano la "connivenza tra i media e l'impresa di Bourdieu" e la sua funzione più
direttamente politica: far saltare tutte le mediazioni politiche, associative, sindacali, istituzionali attraverso le quali si
organizza e si diversifica la vita pubblica. E' qui a parere dei due autori "il fondo del populismo: far crollare tutte le
possibilità di mediazione immediata con un popolo unificato da questo fantasma". A parere di Mongin occorre restaurare
l'idea stessa di "mediazione politica". E questa idea emerge dalla sua ultima opera che dalla caduta del muro di Berlino
nel 1989 intende comprendere perché i grandi avvenimenti che si sono succeduti invece di inaugurare l'apoteosi della
democrazia hanno lasciato spazio a una "ideologia dell' impotenza politica", dell'"esaurimento dello Stato" e di "fine della
storia". Tutto concorre nella nuova fase a tale esaurimento: la frammentazione spaziale crescente, il divorzio tra sviluppo
economico e democrazia, l'irruzione nel linguaggio politico della retorica 'identitaria' e del 'tutto-economico',
l'esaurimento dei meccanismi d'integrazione civica attraverso la Repubblica e il lavoro, la rappresentazione politica
attraverso una "democrazia di opinione" troppo spesso confusa con la "democrazia diretta". Infine l'autore individua una
sovrapposizione specifica per la Francia di due esaurimenti storici: la fine del "ciclo lungo della democrazia (1789-1989)"
e lo scioglimento del "ciclo corto" della modernizzazione autoritaria sotto la Quinta Repubblica. Bibliografia: Olivier
Mongin, 'La peur du vide. Essai sur les passions democratiques'. Seuil, Paris, 1991; Olivier Mongin, 'Paul Ricoeur', Seuil,
Paris, 1994 pag 272, FF 150'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
NIQUEUX Michel DORNA Alexandre a cura, Le peuple, coeur de la nation. Images du peuple, visages du populisme
(XIX-XX siecle). L' HARMATTAN. PARIS. 2004, pag 247 Euro 21.2, indici, 'Psicologia politica'. ['Il 'Populismo' è un
"programma politico o movimento che esalta le persone comuni, normalmente in contrapposizione alle elites. Il
populismo combina elementi di destra e di sinistra e si oppone, nei suoi proclami, ai grandi interessi industriali e
finanziari del paese. Ma è anche ostile all'establishment socialista e ai partiti laburisti. Negli USA il termine fu applicato al
programma del 'Populist movement' degli anni 1890" (Enc. Brit.). I temi trattati in questo volume passano dal populismo
russo del XIX secolo al populismo protestatario o identitario dell'Europa d'oggi, dalle rappresentazioni letterarie del
popolo alla sua strumentalizzazione politica: c'è una grande varietà di immagini del popolo e di tipologie del populismo. Gli
autori di questa raccolta mostrano le costanti e le varianti di questo fenomeno politico nello spazio e nel tempo, nella
letteratura e nel discorso politico. A. Dorna è fondatore e presidente dell'Association française de psychologie politique']
[ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
NOCERA Raffaele TRENTO Angelo, America Latina, un secolo di storia. Dalla rivoluzione messicana a oggi. CAROCCI.
ROMA. 2013, pag 274 Euro 19, bibliografia indice dei nomi rec Daniele ROCCA. ['La Storia dell'America Latina
contemporanea di Loris Zanatta (Laterza, 2010) e questo volume, opera di specialisti in studi latinoamericani attivi
presso l'ateneo di Napoli, sono forse i migliori contributi recenti alla ricostruzione della parabola novecentesca di un
continente che, per le analogie fra i percorsi dei singoli stati, ha talvolta indotto a offrirne sintesi frettolose. La visione
d'insieme che qui se ne offre non cade invece in questi tranelli. Molto più completa di quanto appaia dal suo indice dei
nomi, caratterizzato da varie lacune, permette di seguire molteplici fili rossi che si snodano lungo più di un secolo, dal
precoce sfruttamento di lavoratori africani (che prese avvio per la scarsa fiducia degli europei immigrati nell'operosità degli
autoctoni) alle ingerenze americane; proprio in tale ottica, queste furono sempre viste di buon occhio da grandi
proprietari terrieri, da molti industriali e dall'alto clero, fino al mortifero contagio dell'autoritarismo militare fra gli anni
sessanta e settanta, sostenuto da Washington. Vengono ben approfonditi alcuni passaggi cruciali, come la rivoluzione
messicana; parallelamente al resto, si affronta inoltre la storia culturale di queste nazioni, assai variegata, soprattutto sul
piano letterario. La bibliografia è non solo ricchissima di suggerimenti, ma anche indispensabile a chiunque voglia
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ampliare le proprie conoscenze in merito. Indice: Premessa 1. Tra violenza, staticità e dipendenza: il XIX secolo La
dissoluzione del dominio coloniale Il retaggio delle lotte d'indipendenza L'organizzazione dello Stato, i modelli
costituzionali e l'esercizio del potere Le formazioni politiche ottocentesche L'affermazione dell'economia di esportazione
e il problema della manodopera Gran Bretagna e Stati Uniti di fronte all'America Latina Gli intellettuali e l'identità nazionale
2. I primi fermenti di contestazione: 1900-28 Un'economia indifesa Accenni di incrinature Tra vecchio e nuovo:
meccanismi elettorali e partiti storici I nuovi partiti: la sponda interclassista I primi passi del movimento operaio La
Rivoluzione messicana Le occupazioni militari statunitensi e la guerriglia di Sandino Modernità e rivoluzione 3. L'irruzione
del nazionalismo: 1929-45 Il 1929 e la crisi del modello liberista Il panamericanesimo negli anni Trenta Il 1929 e la crisi
del modello liberale L'affiorare del populismo Le soluzioni riformiste La svolta dei partiti comunisti La Seconda guerra
mondiale L'effervescenza culturale 4. Tra guerra fredda e sbocchi rivoluzionari: 1946-69 I fattori internazionali I fattori
interni Populismi e democrazie Il propagarsi dell'autoritarismo Conflittualità sociale, sovvertimento e insurrezioni La
Rivoluzione cubana e le guerriglie L'affermazione delle lettere americane 5. Dalle tenebre dittatoriali alle transizioni
democratiche: 1970-89 L'autoritarismo diffuso La breve stagione cilena La dittatura militare brasiliana Gli epigoni del
Brasile Il ruolo della Chiesa Le esperienze militari riformiste L'America centrale tra rivoluzione e repressione Il ritorno dei
militari in caserma Il debito estero L'arduo percorso democratico Dopo il boom: l'ideologia, il pop, l'orrore 6. Il cammino
verso nuovi modelli: 1990-2010 Il quadro economico La lenta integrazione I tormentati anni novanta La sinistra radicale e
la rinascita dei movimenti indigeni La sinistra riformista La destra al potere La nuova proiezione internazionale Quale
democrazia? Dopo la tempesta Bibliografia Indice dei nomi. Raffaele Nocera insegna Storia dell' America Latina
nell'Università di Napoli "L' Orientale". Pubblicazioni: Stati Uniti e America Latina dal 1823 a oggi, Carocci, 2009. Angelo
Trento è stato docente di Storia dell'America Latina nell'Università di Napoli "L'Orientale"'] [ISC Newsletter N° 76]
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OPPENHEIMER Andres, Saving the Americas: The Dangerous Decline of Latin America and What the US Must Do.
RANDOM HOUSE. NEW YORK. 2007, pag 300 $24.95, rec Richard FEINBERG. ['Oppenheimer, colummnist del Miami
Herald e decano dei giornalisti con base negli USA specialisti dell'America Latina, dipinge ritratti derisori dell'attuale
gruppo di populisti autocratici della regione. Egli contrappone un'America Latina "accecata dall'ideologia e ossessionata
dal passato" con storie fortunate di globalizzazione - Cina, Repubblica Ceca, Irlanda, Polonia - e sollecita la sua regione
(è di origine argentina) a saltare sul treno della globalizzazione. Rifiutando il pessimismo culturale, l'autore pone la sua
fiducia in una leadership progressista e lungimirante che possa rapidamente ribaltare la situazione di quei paesi:
aspirando a standard globali, attraendo capitali internazionali, impegnandosi nella qualità dell'istruzione. Dall'altra parte
teme gli interessi sacralizzati e le elites compiacenti e vageggia l'idea di una "Comunità delle Americhe" stile Comunità
Europea nella quale un gruppo di pasei latinoamericani che condividono le stesse idee si legherebbero con regole
comuni di buon comportamento'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
OWENSBY Brian P., Intimate Ironies: Modernity and the Making of Middle-Class Lives in Brazil. STANFORD
UNIVERSITY PRESS. STANFORD. 1999, pag 334 $ 35.0, rec LEVINE Robert M.. ['Molti studiosi hanno descritto il
Brasile del 1800 come privo di middle class e nel secolo successivo, una volta formatasi, venne identificata con i
proprietari terrieri. Ma la classe media è stata in realtà poco studiata. Owensby, dell'University of Virginia, cerca di colmare
il vuoto. E' la nascita di una forte immigrazione europea a far emergere una classe media brasiliana specie dopo
l'abolizione della schiavitù avvenuta nel 1888. Solo con la rivoluzione del 1930 la classe media riceve però attenzione.
Getulio Vargas con il suo programma di riforme amministrative e di modernizzazione aumentò il ruolo del governo e dello
Stato e così facendo creò migliaia di nuovi impieghi burocratici. Anche il settore dei servizi crebbe (bancari, insegnanti,
impiegati, notai ecc.) soprattutto nelle grandi e medie città. Ma il ritmo di crescita dei redditi di questi strati sociali non
stette al passo con il costo della vita. Dopo il 1945 e specie dopo il 1950, i leaders populisti scavalcarono la classe media
per rivolgersi alla classe operaia specializzata controllata dai sindacati a sua volta controllati dai governativi. Due decadi
dopo la middle class si rivoltò contro il populismo e appoggiò la dittatura militare imposta nel 1964 e mantenuta fino al
1985'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
PIERONI Alfredo, Austria infelix: grandezza e decadenza della dolce Vienna dall'impero asburgico a Haider. RIZZOLI.
MILANO. 2000, pag 263 Lit 15 mila, Già pubblicato nel 1983 con il titolo 'La gaia apocalisse', ora aggiornato con un breve
capitolo su Jörg HAIDER; Collana BUR indice nomi. ['Dai giorni felici di Maria Teresa a quelli del crollo dell'AustriaUngheria; dalle dolci musiche di Strauss alla rivoluzione di Freud; dalle orazioni pubbliche di Karl Kraus all'Anschluss
nazista; dalla piccola Austria neutrale a quella inquietante di Jorg Haider'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
PIZZITOLA Louis, Hearst Over Hollywood: Power, Passion, and Propaganda on the Movies. COLUMBIA UN.PR. NEW
YORK. 2002, pag 540 $34.95, rec Pennee BENDER. ['Questa biografia è incentrata sul ruolo di Hearst come produttore,
e mostra come il suo crescente impegno nella nascente industria cinematografica si intrecciasse con i suoi interessi
nell'editoria. Il carattere della stampa quotidiana di Hearst, che dava grande risalto ai casi umani, alle vicende sportive e
alla cronaca rosa, e le sue riviste che pubblicavano racconti a puntate fornivano la materia prima per le sceneggiature,
oltre ad essere utilizzate per la promozione dei film. Ma soprattutto è esaminato l'utilizzo della filmografia come veicolo di
propaganda. Le posizioni di Hearst mutavano repentinamente insieme al mutare delle alleanze nella produzione di film;
passò dal populismo anti-trust negli anni 1910, alla posizione filotedesca contro l'intervento nella Prima guerra mondiale,
all'isolazionismo negli anni 1930, alle crociate anticomuniste negli anni 1940'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
PLOMB Fabrice POGLIA MILETI Francesca, Les salariés dans la tourmente. Restructurations et montée du populisme
de droite. EDITIONS L'HARMATTAN. PARIS. 2016, pag 226 Euro 22.0, Coll. Questions sociologiques. ['Il populismo
radicale si avvantaggia della crisi? In questo libro di carattere sociologico si esplora il mondo del lavoro per giungere al
centro delle ragioni che hanno modificato la sua visione del mondo che, per certi aspetti, presenta delle affinità con i
programmi della destra radicale. Attraverso interviste approfondite con i lavoratori dipendenti in settori economici e
industriali in grande trasformazione i ricercatori hanno svelato gli effetti poco noti delle "nuove organizzazioni del lavoro".
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Fabrice Plomb, sociologue, Dr en Sciences humaines, Maître d'enseignement et de recherche, Université de Fribourg.
Autore di 'Socialisation économique et pratiques financières des jeunes: questions de sociologie', 2015, con Henchoz,
Caroline; Plomb, Fabrice; Poglia Mileti, Francesca e Schultheis, Franz'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
POLI Bernard, Histoire des doctrines politiques aux Etats- Unis. PUF. PARIS. 1994, pag 128 FF 40, Collana Que saisje? rec BONRAISIN Anne. ['Il libro ricostruisce le origini coloniali del pensiero politico americano: l'ispirazione biblica, che
si traduce nel puritanesimo, e l'impatto della filosofia illuministica. La dichiarazione di Indipendenza (1776) segna la
rottura definitiva con la Gran Bretagna. Tesi dell'autore è che tale indipendenza non è solo una situazione di fatto ma
pure di diritto. La prima costituzione si avrà nel 1781. Essa non regola però i problemi della Confederazione. La
Costituzione successiva (1787) inventa il principio del federalismo. I dibattiti sull'adozione della Costituzione
contribuiscono alla formazione dei partiti: si vengono a raggruppare i federalisti e gli anti-federalisti. I primi attorno ad
Alexander Hamilton sviluppano gli obiettivi politico-economici. I secondi formano il partito "democratico-repubblicano" ed
il loro capo è Thomas Jefferson. Essi mettono al centro dei loro programmi l'uomo e la sua fioritura. Di fatto ricercano la
formula del 'buon governo'. E' solo all'inizio del XIX secolo che i politici americani cercano di rispondere alla questione
fondamentale della definizione e del ruolo di un governo federale. E' in questo periodo che si sviluppa l'idea
fondamentale di nazionalità americana. La vita politica USA è dominata da due dottrine: quella dell'espansione,
nazionalista e unificatrice, e quella della secessione, 'sezionalista' e separatista. Con la guerra civile si scontrano i
partigiani e gli oppositori della schiavitù. Ma oltre alla questione del diritto alla libertà per tutti gli uomini c'è quella
dell'applicazione del diritto federale a tutti gli Stati. Dopo la guerra si afferma il liberalismo politico ed economico.
Parallelamente si generano movimenti di protesta come la rivolta agraria e il populismo. Con la fine del XIX secolo gli
USA entrano in una fase d'equilibrio. Attraverso un movimento progressista uomini come Theodore Roosevelt e
Woodrow Wilson cercano di trovare delle soluzioni riformistiche. Tra le due guerre c'è il New Deal di F.D. Roosevelt che
promuove un certo interventismo. Il libro affronta pure le posizioni politiche del secondo dopoguerra'] [ISC Newsletter N°
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POMBENI Paolo, La ragione e la passione. Le forme della politica nell'Europa contemporanea. IL MULINO. BOLOGNA.
2010, pag 715 Euro 42.0, rec Daniele ROCCA. ['Il volume contiene il capitolo (XII): 'Il populismo: pilastro e tarlo del
costituzionalismo occidentale'. Fin dalle prime pagine di questo suo cospicuo lavoro, dove confluisce materiale
pubblicato dal 1986 in poi, Pombeni inquadra l'attuale come una fase di transizione dai tratti non meglio definiti. Quel che
si può individuare costante, nella storia politica occidentale, è la trasformazione della ragione, presente al momento di
fondare i partiti, in passione, che li rende punti di riferimento e baricentri di intere esistenze, con tutto ciò che ne
consegue. Nell'Ottocento, ad esempio, essendo rivoluzionaria la radice del costituzionalismo, ciò che era legato ai partiti
fu dai costituzionalisti criticamente ricondotto a principi di contrapposizione. Proprio all'evolversi del dibattito intorno al
rapporto fra partito, consenso, istituzioni, l'autore dedica il proprio percorso, toccando il modello inglese come quello
francese, le concezioni di Bluntschli come quelle di Joseph Chamberlain o Kirchheimer, ma anche le dottrine affermatesi
nella pratica politica italiana, dal trasformismo, inteso come pragmatico tentativo di fondare una vasta base liberale in
parlamento, al fascismo, che non riuscì né volle delimitare i confini delle proprie istituzioni e dei propri organismi.
Nell'ultima parte si affrontano il tema weberiano della leadership carismatica e il populismo, dall'autore accostato
all'esigenza riformatrice di un ritorno all'ecclesia dopo la progressiva corruzione degli ideali partitici, e identificato, quindi,
come "pilastro e tarlo del costituzionalismo occidentale". Paolo Pombeni è nato a Bolzano il 10 settembre 1948
attualmente insegna all'Università di Bologna nella Facoltà di Scienze Politiche, tenendo i corsi di "Storia dei Sistemi politici
europei" (laurea triennale) e "Storia dell'ordine internazionale nel 900" (laurea magistrale). E' direttore del Centro Studi
per il progetto Europeo (Bologna), Istituto di Studi Avanzati 2010-2012 (Università di Bologna), Istituto Storico ItaloGermanico (Fondazione Bruno Kessler - Trento). I suoi principali campi di ricerca riguardano la storia politica del XIX e
XX secolo in Europa. Ha fondato ed è nella direzione della Rivista "Ricerche di Storia Politica" (Il Mulino, Bologna), dirige
l'edizione critica degli Scritti e discorsi politici di Alcide De Gasperi. Tra le sue recenti pubblicazioni: 'Il primo De Gasperi.
Formazione e apprendistato di un politico di professione 1881-1918', Bologna, il Mulino, 2007'] [ISC Newsletter N° 76]
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POMPEJANO Daniele, Storia dell'America Latina. BRUNO MONDADORI. MILANO. 2012, pag 307 Euro 21,00, rec
Valerio GIANNATTASIO. ['Suddiviso in cinque parti, volume di Pompejano copre l'ampio arco cronologico che va dalla
metà del 1400 sino ai giorni nostri, privilegiando 1800 e 1900. La prima parte descrive lo scenario dal periodo precolombiano sino al XVII secolo; la seconda, la difficile transizione alle indipendenze e l'avvio dei nuovi Stati sovrani; la
terza sezione si sofferma, invece, sulla lenta affermazione dello Stato-nazione di tipo europeo sino alla crisi del 1929; la
quarta ci restituisce il difficile cammino percorso tra gli anni 1930 e 1950, con il susseguirsi di esperienze democratiche,
populismi, regimi militari e rivoluzioni; l'ultima, infine, analizza le più recenti esperienze delle «dittature burocratico /
istituzionali» e il ritorno alla democrazia per arrivare alle sfide del nuovo millennio. L'autore intende mettere in risalto la
lunga durata del processo storico dalla quale sono scaturiti i percorsi che hanno condotto alla dimensione attuale dei
paesi del subcontinente, facendo puntualmente emergere tanto i fattori sociali ed etnici, quanto quelli politico-istituzionali.
Particolare enfasi viene data al ruolo dello Stato-nazione che risulta protagonista del periodo post-indipendenza,
partendo da un ruolo minimo in epoca conservatrice, per passare a uno normativo nell'età liberale e poi alla massima
compenetrazione (anche economica) con la società nell'epoca dei populismi e dei regimi impostisi a cavallo della seconda
guerra mondiale, per giungere viceversa a una estrema diminutio nella fase ultraliberista degli anni 1980-1990. Le
dinamiche politiche si intrecciano con quelle economiche, sia durante la fase coloniale sia successivamente, rimarcando
i cicli internazionali e l'inserimento dell'area latinoamericana nel circuito commerciale e finanziario mondiale,
evidenziando altresì gli effetti spesso deleteri di tale situazione, fino a descrivere il trionfo del neoliberismo e i gravi
problemi del debito pubblico nell'ultima parte del 1900. Chiaro è l'intento di illustrare le singole traiettorie senza ricorrere
a eccessive generalizzazioni; anzi è proprio attraverso i casi nazionali che Pompejano desidera far emergere similitudini,
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sincronie e divergenze. Ciononostante rileviamo che per il lettore meno esperto può risultare ostico comprendere alcune
tematiche ricorrenti - pensiamo ad esempio al caudillismo o al modello economico basato sulle esportazioni del settore
primario - senza che se ne siano tracciate le linee generali e spesso comuni ai vari paesi del subcontinente. Allo stesso
modo appare forse un po' ridotto lo spazio dedicato a temi di rilievo come, per citarne due, l'emigrazione e l'uso della
violenza repressiva durante i regimi autoritari degli anni 1970-1980. Infine, pur comprendendo le sempre più stringenti
esigenze editoriali non possiamo non segnalare una certa esiguità della bibliografia di riferimento. Daniele Pompejano,
professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali (SUS) dell' Università di Messina. Già docente di
Storia e istituzioni dell'AmericaLatina presso l'Università Statale di Milano (1992-2005) e la Facoltà di Lettere dell'Università
di Palermo (2006-2012)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
POSTEL Charles, The Populist Vision. OUP - OXFORD UNIVERSITY PRESS. OXFORD, NEW YORK. 2008, pag 412
£14.99, rec Ferdinando FASCE. ['Postel, allievo di Leon Litwack, grande storico della schiavitù e della Ricostruzione,
propone un'interpretazione innovativa del movimento sociale e politico del populismo, basata sulla prima vera indagine
con materiali inediti distribuiti sull'intero territorio nazionale, dal Midwest, all'Ovest, al Sud. Innanzitutto propone una
critica della visione prevalente nelle tesi del lavoro pionieristico di Lawrence Goodwyn (Democratic Promise, OUP,
1976), che inaugurò una ricca stagione di ricerca sul tema. Goodwyn ed altri (come Robert McMath) vedevano il
populismo come alternativa radicale e democratica al capitalismo delle corporations, fondata sulla difesa e il rilancio della
tradizione repubblicana, in una chiave cooperativa e di controllo dal basso. L'autore vi contrappone una visione
"modernista", mostrando quanto fosse cruciale per i farmers l'idea e la pratica di un'organizzazione efficiente capace di
tenere testa alle grandi imprese: un'organizzazione strutturata, per dirla con un portavoce del movimento, "in maniera
altrettanto intelligente e solida della Standard Oil". Essa si incarnò nelle esperienze di coordinamento economico delle
Farmers' Alliances, sulla quale fu costruito il tentativo di agire in campo politico, lo spirito di intrapresa e la capacità di
sviluppare e adottare nuove tecniche accumulata da quegli strati rurali in sede economica. C'è poi un'attenzione
assolutamente inedita al ruolo svolto dalle donne, che nell'universo populista trovano spazi di azione pubblica senza
precedenti nei quali battersi per una donna "migliore" e più "moderna", istruita ed armata del diritto di voto. In merito alla
questione razziale, più studiata, ma nel volume oggetto di analisi particolarmente accurata, l'autore riconduce i populisti
agli stigmi e alle stanchezze della loro epoca, mostrando come la messa in discussione dell'establishment politico
sudista da loro praticata aprì oggettivamente spazi sino ad allora impensati per i neri, ma anche come i populisti bianchi
raramente varcarono la "linea del colore". In merito poi alla religione, pur sottolineando che i "populisti erano più spesso
nati in case protestanti che non il contrario", sottolinea che essi "tendevano a evitare l'attaccamento alla lettera bibilica
nella loro ricerca di una cosmologia adatta all'età della scienza". Svolge infine un'analisi delle relazioni con il mondo del
lavoro industriale e i sindacati, che radica sul terreno concreto della composizione di classe, mostrando come la
solidarietà farmers-lavoratori industriali fosse cementata, per settori quali i minatori o i ferrovieri, della loro stessa
estrazione rurale. Charles Postel insegna nel Dipartimento di Storia della California State University, Sacramento'] [ISC
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RASMUSSEN Scott SCHOEN Doug, Mad as Hell: How the Tea Party Movement Is Fundamentally Remaking Our TwoParty System. HARPER. NEW YORK. 2010, pag 328 $27.99, rec Walter Russell MEAD. ['Due noti sondaggisti, uno
(Rasmussen) associato con il Partito repubblicano e l'altro (Schoen) noto per il suo lavoro con i democratici, cercano di
misurarsi con l'intensità e le implicazioni della sempre maggiore disillusione degli americani nei confronti della loro
leadership politica e intellettuale. Il libro esamina il populismo tanto di destra che di sinistra negli Stati Uniti di oggi. Il
movimento del Tea Party sarebbe l'ultima e più drammatica illustrazione del malessere degli elettori, ma gli elettori ci
ricordano del populismo di orientamento di sinistra che fu la forza motrice della politica americana nella fase calante
dell'amministrazione George W. Bush. Mentre il populismo di destra è chiaramente più attivo in questa stagione politica,
il populismo di sinistra è una forza che nessun Democratico può ignorare. Gli autori cercano di misurare la distanza tra
quello che definiscono il "mainstream Americans" e "la classe politica". Si apprende ad esempio che nell'aprile 2009, il
19% della classe politica credeva che "l'aumento delle tasse avrebbe fatto male all'economia", mentre il 74% del
mainstream Americans era di quell'idea. Il 61% della classe politica credeva che i salvataggi finanziari fossero una buona
idea; il 59% del mainstream pensava che non lo fossero. Gli autori ritengono che la rabbia populista sia più che un
fenomeno passeggero; credono che un'importante ondata di cambiamento politico storico stia prendendo forma. Scott
Rasmussen, presidente di Rasmussen Reports, è un sondaggista indipendente dal 1994 ed è frequentemente ospite di
Fox News e di altre importanti organi di informazione. Douglas Schoen è un sondaggista e analista politico, partner con
Mark Penn e Michael Berland della Penn, Schoen & Berland'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
RIKER William H., Liberalismo contro populismo. COMUNITA'. MILANO. 1996, pag 313 Lit 52.0, traduzione dall'inglese
di Daniela GIANNELLI; edizione originaria 1982 rec Marco MOTTA. ['In quest'opera, che è un classico della teoria
politica contemporanea, Riker analizza il rapporto che intercorre tra procedure e principi democratici. In particolare si
mettono a confronto due concezioni dominanti del pensiero democratico: la concezione populista e quella liberale. Il
tema affrontato è di massima attualità. L'analisi dell'autore è dettagliatissima e si avvale degli strumenti teorici messi a
punto dalla teoria politica "positiva". La prospettiva di fondo è interna al modello della scelta razionale, che viene
sviluppata secondo la metodologia della teoria dei giochi, che Riker è stato tra i primi ad applicare a problemi di filosofia
politica, sfruttandone appieno il potenziale esplicativo (v. 'The Theory of Political Coalition' del 1962). I risultati cui giunge
l'autore dimostrano che il voto, per essere giustificabile dal punto di vista democratico, deve essere equo e dotato di
senso, vale a dire deve consentire una libera ed eguale partecipazione e deve generare scelte collettive riconducibili alle
preferenze individuali. Riker dimostra che sia la regola della maggioranza semplice in un sistema bipartitico, sia i metodi
di voto che operano su più alternative, non soddisfano contemporaneamente i due criteri precedenti (l'equità e la
riconducibilità alle scelte individuali). Alla luce di questi risultati sconfortanti si scopre come la prospettiva populista,
secondo la quale il principio di maggioranza traduce la "volontà popolare" in legge, è fondamentalmente non adeguata dal
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punto di vista della scelta razionale. La prospettiva liberale propone una interpretazione diversa: il voto è soltanto un
mezzo per rimuovere dalla carica i governanti sgraditi. Secondo Riker, grazie ad una definizione minimale del voto, come
quella liberale, è possibile superare il vaglio della teoria della scelta sociale. Tuttavia, la prospettiva liberale non è esente
da problemi e per superare i problemi di equità deve presupporre, affinchè le elezioni siano significative, una cornice di
garanzie costituzionali, la cui giustificazione rischia di ricadere nelle contraddizioni legate alle procedure di voto
democratico sulle quali naufraga il populismo'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
RIOUX Jean-Pierre a cura; scritti di Pierre-André TAGUIEFF Marc LAZAR Nicolas WERTH Pierre MILZA Paolo
POMBENI Jean-Jacques BECKER Pierre AYÇOBERRY Pierre MELANDRI Jean-Louis MARGOLIN Guy HERMET Rémy
LEVEAU Michel WINOCK e altri, Les populismes. PERRIN. PARIS. 2007, pag 436 Euro 10.5, Collection: Tempus. ['Il
populismo non appartiene solo al passato. E' un fatto d'attualità. Gli storici che collaborano a questo volume (PierreAndré Taguieff, Marc Lazar, Nicolas Werth, Pierre Milza, Paolo Pombeni, Jean-Jacques Becker, Pierre Ayçoberry, Pierre
Melandri, Jean-Louis Margolin, Guy Hermet, Rémy Leveau, Michel Winock tra gli altri) hanno il merito di definire,
circoscrivere e sostanziare il concetto un po' fumoso di populismo in un quadro di storia comparata, non solo in Francia e
in Europa ma anche in America del Nord e del Sud, come in terra d' Islam. Indice. Le peuple à l'inconditionnel; Le
populisme et la science politique; Populisme et nationalisme; Typologie des populismes en Europe; Les populismes
français; L'opinion publique : un populisme ?; Le populisme culturel; La version allemande; Mussolini entre fascisme et
populisme; Du populisme à gauche : les cas français et italiens; L'appel au petit peuple selon Staline; De Vargas à Collor,
visage du populisme brésilien; Les populismes latino-américains; La rhétorique populiste aux Etats Unis; Les quasipopulisme d'Asie du Sud-Est; Islamisme et populisme'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
ROCKWELL Llewellyn N. a cura, The Irrepressible Rothbard. The Rothbard-Rockwell Report. Essays of Murray N.
Rothbard. CENTER FOR LIBERTARIAN STUDIES. BURLINGAME, CA. 2000, pag 432 $ 30.0, prefazione di Jo Ann B.
ROTHBARD cit BORGOGNONE Giovanni. ['Gli intellettuali americani erano divisi in una pluralità di orientamenti
inconciliabili. Tra chi si definiva 'libertario', ad esempio, vi era l'isolazionista Murray Rothbard, che rimproverava agli excomunisti approdati al libertarismo, come Frank S. Meyer, di appoggiare l'attivismo degli Stati Uniti nella politica
internazionale e di favorirne dunque l'imperialismo. Lo storico ed economista libertario Murray N. Rothbard (1926-1995)
stupiva molti per la sua genialità. Una volta il filosofo David Gordon si chiese se sotto il suo nome non ci fossero quattro o
cinque scrittori di genio. Giornalista, critico culturale, osservatore politico, organizzatore di movimenti, queste attività
rappresentarono solo una frazione del tempo di lavoro di Rothbard. I suoi articoli combinavano economia libertaria e
antigovernativa, isolazionismo anti-guerra, e una visione dissidente e reazionaria che vedeva nel governo un pericolo da
cui difendersi. Difese i gruppi di destra legati alla terra contro gli ambientalisti, i cittadini contro gli arraffoni, gli
isolazionisti contro gli imperialisti, i paleoconservatori contro i neo-conservatori, i populisti contro i partiti tradizionali, i
teorici della cospirazione anti-New World Order contro l'establishment, i nazionalisti contro i pianificatori internazionalisti,
i diritti degli Stati contro i centralisti libertari, i diritti dei cristiani contro la propria leadership'] [ISC Newsletter N° 76]
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ROTH Philip, Le Complot contre l'Amérique. GALLIMARD. PARIS. 2006, pag 476 Euro 22.0, traduzione dall' inglese di
Josée KAMOUN rec DIOT Jacqueline. ['E se, nel 1940, F.D. Roosevelt non avesse ottenuto il suo terzo mandato? Se
Lindbergh fosse stato eletto presidente al suo posto? Se gli Stati Uniti diventati pro-nazisti e antisemiti, avessero scelto
una politica isolazionista, a quali pressioni sarebbe stata sottoposta la comunità ebraica americana? Quale sarebbe stata
la sua reazione? Philip Roth fa prendere alla storia degli Stati Uniti tra il 1939 e il 1942 un corso diverso dalla realtà, ma
questa parentesi che apre nella storia si basa su cose molto reali. Roth mescola abilmente verità e finzione tanto che le
informazioni bibliografiche e cronologiche allegate al romanzo sono molto utili al lettore francese per familiarizzarsi con le
realtà storiche americane. L'autore utilizza in questa operazione anche i suoi ricordi d'infanzia, quando descrive nel
dettaglio la vita quotidiana delle famiglie ebree americane negli anni 1940. I personaggi escono fuori dal suo passato, la
memoria alimenta l'immaginazione, e il suo quadro di un'America sulla via di cadere in mano al populismo e ai demoni
dell'antisemitismo guadagna in forza e verosimiglianza. Con grande talento di romanziere, Roth descrive la condizione
difficile delle minoranze, la manovre sordide dei politici, la violenza del razzismo, le famiglie divise, le derive paranoiche.
Attraverso gli occhi di Philip Roth, bambino ebreo di dieci anni, si assiste alla deriva di un paese intero. Ciascun epidodio
è visto come un assalto inesorabile di "quella malattia infantile e banale che si chiama 'perché non è più come una
volta'": il complotto contro l'America, quello fittizio degli ebrei contro la nazione americana; quello, reale del mondo adulto
contro l'infanzia. Bibliografia: - Philip Roth, Patrimonio. Una storia vera. EINAUDI. TORINO. 2007 pag 188 euro 16.50
traduzione di Vincenzo Mantovani; - 'Pastorale americaine'. GALLIMARD. PARIS. 1999'] [ISC Newsletter N° 76]
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SALOMONI Antonella, Il lavoro del pensiero. Il contadino Timofej Bondarev e lo scrittore Lev Tolstoj (1885-1898). NAME.
GENOVA. 2001, pag 220 Euro 16.5, appendice: ediz. di riferimento dell'operetta 'Esaltazione dellagricoltore', riveduta da
Tolstòj per la stampa. ['E' la conversione all' ebraismo di Bondarev (1820-1898), servo della gleba, deportato in un
villaggio siberiano; suoi commenti biblici; la sua «eversiva» corrispondenza con Tolstoij. Nella Russia d'antico regime, un
servo della gleba, Timofèj M. Bòndarev (1820-1898), ripudiato il cristianesimo per l'ebraismo e assunto il nome di Davìd
Abràmovic, venne deportato in un villaggio siberiano, nel quale visse fino alla morte. Commentatore etico-sociale della
Bibbia, compose un libro per ricordare che i mali del mondo derivano dal fatto ch'è stata infranta la "legge originaria"
dell'umanità terrena: "Mangerai il pane col sudore del tuo volto" (Genesi 3:19). Bòndarev venne scoperto da alcuni populisti
in esilio e considerato uno di quegli "intellettuali del popolo" che sono incapaci di fermare il "lavoro del pensiero" e
arrivano a formulare "domande maledette", ponendosi in qualche modo al di fuori del proprio ambiente e trasformandosi
addirittura in "rinnegati". Lev N. Tolstòj ne fu colpito e attivò con Bòndarev uno scambio epistolare. L'autore di 'Resurrezione'
trovò espresse, nel filosofo contadino, alcune delle sue stesse idee sulla religione e il lavoro. Ottenuto il manoscritto
sull''Esaltazione dell'agricoltore', malgrado fosse consapevole che lo schema "giudaico" della legge adottato da Davìd
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Abràmovic era in conflitto con il suo "evangelismo" integrale, Tolstòj lo mise in forma per la stampa, ma la pubblicazione,
dopo il frammento apparso in una rivista progressista, fu bloccata dalla censura. Tolstòj lo fece allora tradurre in francese
e l'affidò, insieme alla sua prefazione, all'editore Flammarion, presso il quale uscì come 'Le travail selon la Bible'. In
assenza di un'edizione russa, questa versione del libro di Bòndarev rielaborato da Tolstòj, messo qui in appendice, funge
da testo di riferimento della eversiva relazione tra lo "scrittore" e il "contadino". In un'informativa ad Alessandro III il
ministro degli interni aveva fatto notare che l'articolo del contadino, se non era di mano dello stesso scrittore, come
parecchi indizi sembravano suggerire, faceva parte della cultura del tostovstv o perché esortava le classi superiori ad
accettare l'idea che ogni membro della società deve nutrirsi di ciò che produce con le proprie mani. Antonella Salomoni è
professore a contratto di storia sociale all'università di Siena. È autrice di molti volumi tra cui 'Lenin e la rivoluzione russa',
Firenze, Giunti, 1993; 'Il pensiero religioso e politico di Tolstoj in Italia (1886-1910)', Firenze, Olschki, 1996; 'Il pane
quotidiano: ideologia e congiuntura nella Russia Sovietica (1917-1921)', Bologna, Il Mulino, 2001; 'Nazionalità ebraica e
cittadinanza sovietica (1917-1948)', Bologna, Pàtron, 2001] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
SALVATI Mariuccia, Cittadini e governanti. La leadership nella storia dell'Italia contemporanea. LATERZA. BARI. 1997,
pag 156 Lit 28 mila, rec PASQUINO Gianfranco. ['Secondo la Salvati gli Stati-nazione si sono costruiti attraverso
processi di formazione, selezione e ricambio delle elites di governo rappresentativo della società. Il populismo, rapporto
non mediato tra un leader che promette e le masse che si illudono, è una "scorciatoia di fronte al mancato
funzionamento delle istituzioni pubbliche". Con adeguati riferimenti a Gran Bretagna, Francia e Germania, l'autrice
dimostra che le classi dirigenti che hanno avuto successo, oltre a beneficiare dell'alternanza, godevano di
rappresentanza territoriale e sociale. L'antidoto al populismo, il cui messaggio trasversale confonde classi, interessi,
prospettive politiche, è la valorizzazione delle elite locali e della loro capacità di rappresentare interessi autonomistici.
All'estero si è formata un'elite virtuosa locale capace di collaborare a livello nazionale. In UK, l'unitarietà delle elites
politiche di vertice era garantita dalla frequenza delle stesse università. In Francia le 'Grandes Ecoles' hanno fatto
altrettanto. In Italia, i partiti, PCI, DC ecc, hanno tentato di plasmare una classe politica nazionale sottovalutando le
esigenze locali. E' stato il populismo mussoliniano a far leva su elite rappresentative localmente'] [ISC Newsletter N° 76]
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SANTARELLI Enzo, Profilo del berlusconismo. DATANEWS. ROMA. 2002, pag 76 Euro 7.0, bibliografia appendice con
documenti e articoli di vari autori rec TUSSI Tiziano. ['L'ultimo scritto di Enzo Santarelli, un pamphlet rapido e tranciante,
ci porta nel cuore del fenomeno del berlusconismo. L'autore traccia un profilo di Berlusconi cercando di evidenziare le
leve più significative sulle quali egli fa e ha fatto forza per giungere al suo attuale status politico. I veloci capitoli danno un
quadro storico del fenomeno, risalendo al momento craxiano ed al formarsi dell'impero mediatico che gli ha permesso
un'ascesa politica fulminea. Tutti gli ingredienti della stessa sono presenti come dati. Il rapporto con Fini e Bossi, le
titubanze di parte della sinistra, D'Alema, verso questa nuovo fenomeno politico. L'autore tenta anche di chiarire gli
obiettivi culturali di Berlusconi e li trova in una miscela, a volte contraddittoria, che tocca punti quali la difesa del
liberismo, della classe dei nuovi ricchi, dei capitalisti ultra moderni, ed infine di un populismo molto confuso ma
ammaliatore per molti italiani. Una sponda non indifferente, anche se non sempre pacificata è indicata nel Corriere della
Sera, il Corrierone, il giornale che potrebbe dire di sé - nei secoli fedele - al potere. Forza Italia è giudicata un partito
senza idee, una scatola vuota, ma avvolta in una bella carta lucida con un bel fiocco che la tiene assieme. L'appendice
del volumetto riporta una serie di discorsi e di lettere, indirizzate allo stesso Santarelli, che illustrano bene, come un
passo del discorso di Saverio Borrelli, alcuni momenti di resistenza alla forza perversa del berlusconismo'] [ISC
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SANTORO Giuliano, Un Grillo qualunque. Il Movimento 5 Stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani.
CASTELVECCHI. MILANO. 2012, pag 180 Euro 16.0, rec BOLINO Francesca. ['Crisi globale, impoverimento
democratico e svuotamento della funzione dei partiti tradizionali: sono le condizioni dentro le quali si sviluppa il
Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Uno strano animale anfibio, che affonda il suo corpo nel linguaggio della televisione,
dal quale proviene il suo leader, e nella sfera della rete telematica, nella quale si muovono, lavorano e si riproducono i
nuovi elettori. Per comprendere l'ideologia di riferimento del comico genovese bisogna infatti partire dai due uomini che
lo hanno segnato: il patron di 'Striscia la notizia' Antonio Ricci, e il guru telematico Gianroberto Casaleggio. E proprio nel
massiccio utilizzo della rete che si fonda quella che i grillini stessi chiamano "una nuova forma di democrazia". Alla luce
del terremoto politico che ha portato il Movimento 5 Stelle a conquistare diverse "poltrone" è necessario dunque capire
quali proposte porti avanti questo temuto nuovo soggetto politico, quali interessi difenda davvero e chi al suo interno
prenda le decisioni che contano. Questo è il primo libro che indaga il successo dell'antipartito fondato da Beppe Grillo,
svelandone i meccanismi di comunicazione e i codici linguistici che l'hanno portato alla ribalta. Un testo che spiega
come, al tempo stesso, il grillismo possa essere classificato sotto la forma di "populismo digitale", rappresentando non
una soluzione ma l'ennesima mutazione genetica dei mali che da anni affliggono il sistema democratico'] [ISC Newsletter
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SARGENT Lyman Tower, Extremism in America. A reader. NEW YORK UNIVERSITY PRESS. NY. 1996, pag 385 £
15.0, rec KING Desmond CARRETTO Ennio. ['Gli scritti selezionati da Sargent provengono in maggior misura
dall'estrema destra piuttosto che dall'estrema sinistra. Tra i principali gruppi che compongono il filone del razzismo
americano c'è il Ku Klux Klan, un'organizzazione nata a Pulaski, Tennessee, nel 1866. Essa fu galvanizzata negli anni
successivi alla guerra civile americana dal War Reconstruction Programme quando i neri americani ottennero incarichi
pubblici in molti Stati del Sud. E si rivitalizzò negli anni 1920 quando ci fu un'impetuosa migrazione di massa dal Sud alle
città del Nord. Oltre al razzismo, all'odio verso i neri, il KKK era ferocemente anti-cattolico in quanto, secondo queste
posizioni, l'insegnamento cattolico avrebbe indotto ogni cattolico americano ad avere più considerazione per il Vaticano
che per il proprio paese. All'estrema destra vi sono poi i gruppi ariani che sostengono la 'purezza razziale', i nazisti
americani ecc. Infine ci sono i gruppi oltranzisti religiosi. Per es. l'American Christian Defense League, nata nel 1964,
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propaganda un virulento antisemitismo. C'è anche spazio per il Populist Party che chiede una riforma del Welfare.
Sargent, sociologo, ha scandagliato ottomila gruppi e gruppuscoli'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
SARUBBI Andrea (1971), Una lega qualunque. Dal populismo di Giannini a quello di Bossi. ARMANDO. ROMA. 1995,
pag 256 Lit 32 mila. ['Riferimenti al tema del populismo in Italia compaiono anche nel libro di Antonio Panebianco,
'L'Italia che non c'è', Rizzoli, 1994, pag 344, Lit 28 mila'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
TAGGART Paul, con una nota di Massimo CROSTI, Il populismo. CITTA' APERTA. TROINA, ENNA. 2002, pag 228
Euro 13.0, rec Giovanni BORGOGNONE. ['Per Taggart - Università del Sussex - il populismo è un concetto che sfugge ad
una schematizzazione. Tenta comunque di individuarne alcuni caratteri generali, come l'ostilità verso la politica
rappresentativa, l'idealizzazione dell'heartland (la "terra patria") e la mancanza di "valori profondi". Il populismo, afferma,
"è una celebrazione episodica, anti-politica, senz'anima e camaleontica della terra patria, che serve per fronteggiare una
crisi". Ripercorre alcune delle parabole populiste, negli USA (dal People's Party a Ross Perot), in Russia (i narodniki), in
America Latina (Vargas e Peron), in Canada (il Social Credit), fino ai "nuovi partiti populisti dell'Eurupa Occidentale" (dal
Front National di Le Pen a Forza Italia). E', secondo l'autore, un fenomeno che in ogni caso sorge come "reazione al
liberalismo", essendo avverso alla tutela delle minoranze e ostile verso la politica rappresentativa'] [ISC Newsletter N° 76]
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TAGUIEFF Pierre-André, L'illusione populista. Dall'arcaico al mediatico. BRUNO MONDADORI. MILANO. 2003, pag
231 ? 20.50, rec Gianfranco PASQUINO, SESSI Frediano. ['Politologo e storico delle idee, noto in Italia per i suoi studi
fondamentali intorno al pregiudizio, Pierre-André Taguieff ci offre un'acuta analisi del «populismo», posto in primo piano
in questi ultimi anni, a causa dell'irruzione in molti paesi dell'Europa di partiti e movimenti antisistema, incarnati per lo più
da figure di salvatori o vendicatori, capaci di sedurre per la loro forza provocatoria. Per l'autore, lo stile populista
costituisce in realtà una delle tendenze della democrazia d'opinione, illusione pericolosa comune sia alla «destra» che alla
«sinistra» di governo. L'autore compie un'ampia ricognizione, densamente documentata, delle manifestazioni del
populismo. Distingue tra due tipi di populismi: 1. Il populismo protestatario si caratterizzerebbe per l'attacco alle "elites al
potere", siano esse politiche, economiche o culturali; il principale strumento di una democrazia populista sarebbe il
referendum, in particolare quello di iniziativa popolare. 2. Il populismo identitario il cui campione tipico è individuato in
Jean-Marie Le Pen. Taguieff distingue anche tra estrema destra neo-fascista, che riecheggia le tematiche del fascismo,
e i movimenti "dell'estrema destra postindustriale" (o nuova destra) "che esprimono e sfruttano le paure e le angosce
provocate nei cittadini dell'Europa occidentale dalla mondializzazione e dalla costruzione europea, sullo sfondo di una
protesta antifiscale e di un sentimento di insicurezza alimentato dalla xenofobia antiimmigrati". Berlusconi è visto con
tutte le caratteristiche del populismo classico'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
TARCHI Marco, L'Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi. IL MULINO. BOLOGNA. 2003, pag 208 ? 12.0, rec
Gianfranco PASQUINO. ['Il populismo è un fenomeno che in Italia ha sempre avuto radici profonde e che, dopo aver
conosciuto l'apogeo in epoca fascista, si è ripresentato nel dopoguerra nelle forme più varie. Questo libro ripercorre e
spiega le manifestazioni in un arco di tempo che va dal 1944 al 2003, con un uso rigoroso del concetto di populismo,
lontano dalle polemiche della retorica giornalistica o dal battibecco fazioso. Per Tarchi l'Italia è un laboratorio di
populismo. Qui il populismo ha avuto lunga vita e differenti estrinsecazioni: dal Fronte dell'Uomo Qualunque di Guglielmo
Giannini alla Lega Nord di Bossi, dall'affermazione di Berlusconi alle esternazioni di Antonio Di Pietro, fino alle
manifestazioni dei girotondi. Il populismo di Di Pietro sarebbe "populismo demagogico", mentre quello di Berlusconi
sarebbe "virtuoso". Marco Tarchi insegna Scienza della politica nell'Università di Firenze'] [ISC Newsletter N° 76]
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TARCHI Marco, L'Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo. MULINO. BOLOGNA. 2015, pag 384 Euro 20.0.
['«Quale percorso ha condotto la politica italiana, dopo quasi settant'anni di esperienza democratica repubblicana, a
impregnarsi di una dose così forte di populismo?» Guglielmo Giannini e Umberto Bossi, Achille Lauro e Antonio Di Pietro,
le campagne della Lega e del Msi della prima segreteria di Fini contro l'immigrazione e le esternazioni di Cossiga, la
rivolta di Reggio Calabria e gli show televisivi di Berlusconi, i referendum radicali contro il finanziamento pubblico dei
partiti e i girotondi capeggiati da Nanni Moretti, per finire - momentaneamente - con Beppe Grillo ossessionato dagli
zombie e dal «tutti a casa»: che cosa accomuna eventi e personaggi così disparati? In varia misura discendono tutti dal
populismo, che in Italia ha avuto radici profonde e, dopo aver conosciuto un primo momento di fulgore, in epoca fascista,
si è continuamente ripresentato nel dopoguerra sotto svariate spoglie. Un libro per capire come quella che era
considerata una pericolosa patologia possa diventare una componente connaturata ai regimi democratici. Marco Tarchi
insegna Scienza della politica nell' Università di Firenze. Con il Mulino ha pubblicato: «La rivoluzione legale. Identità
collettive e crollo della democrazia in Italia e Germania» (1993) e «Dal Msi ad An. Organizzazione e strategie» (1997)']
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TODOROV Tzvetan, Les ennemis intimes de la démocratie. ROBERT LAFFONT. PARIS. 2012, pag 270 Euro 20.30. ['«I
nemici più pericolosi della democrazia, al giorno d'oggi, non sono più quelli che ne minacciavano l'esistenza una volta, il
fascismo e il comunismo, né i diversi gruppi estremisti e terroristici del nostro tempo, che possono ferirla ma non farla
morire», dice il professor Tzvetan Todorov, l'intellettuale bulgaro, ma francese di elezione, che a gennaio ha pubblicato il
saggio "Les ennemis intimes de la démocratie" (Editions Robert Laffont). Chi sono allora, professore, i nuovi nemici della
democrazia nel mondo? «I nuovi nemici sono piuttosto figli della democrazia stessa, perversioni dei suoi principi. Nel mio
libro ne considero tre: il messianesimo politico, l'ultra-liberismo e il populismo xenofobo. Li definisco «intimi» nel senso
della prossimità che hanno con la democrazia. Avanzano sotto apparenze democratiche, ma ogni volta spingono un'idea
democratica fino al parossismo». Come possiamo affrontarli e combatterli? «In quanto figli della democrazia sono difficili
da combattere; spesso non sono nemmeno percepiti come nemici. Si deve prendere coscienza del pericolo che
rappresentano e cercare di ridurre la loro influenza. Non sono invincibili». (...)' (dall'intervista all'autore di Alberto
Papuzzi)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
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TODOROV Tzvetan, I nemici intimi della democrazia. GARZANTI. MILANO. 2012, pag 252 Euro 16,40, traduzione di
LANA Emanuele TODOROV intervistato da GAMBARO Fabio. ['«Popolo, libertà e progresso sono fondamenti della
democrazia, che però, quando alimentano populismo, ultraliberalismo e messianismo, possono diventare una minaccia
per la democrazia stessa». E' questo il grido d'allarme lanciato da Tzvetan Todorov nel suo nuovo saggio, "I nemici intimi
della democrazia" (Garzanti): alternando prospettiva storica e riflessione teorica, analizza minuziosamente le derive e le
contraddizioni che rischiano di minare dall'interno il funzionamento del nostro sistema politico. Lo studioso francese di
origine bulgara parte dalla constatazione che oggi la democrazia non rischia più di essere rimessa in discussione dai
suoi tradizionali nemici esterni, vale a dire il fascismo o il comunismo. «Anche se dopo l'11 settembre, c'è chi ha cercato
di trasformare l'islam in un nemico globale della democrazia, in realtà per i sistemi democratici le minacce esterne non
sono più un pericolo reale», spiega Todorov. «Oggi, i veri pericoli provengono dall'interno della democrazia stessa, da
quelli che ho chiamato "nemici intimi", forme di perversione o di stravolgimento di alcuni dei suoi principi di base. Il
populismo, l'ultraliberalismo o il messianismo non sono il contrario di ciò cui aspira la democrazia, ma il risultato della
dismisura di alcuni elementi - popolo, libertà e progresso - che la costituiscono. Tale dismisura è diventata possibile
perché, soprattutto nel XX secolo, sono venute meno le limitazioni reciproche cui questi elementi erano sottoposti»']
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TRANFAGLIA Nicola, La transizione italiana. Storia di un decennio. GARZANTI LIBRI. MILANO. 2003, pag 200 ? 13,50,
rec Leonardo PAGGI. ['L'autore cerca di individuare, nelle culture e nelle mentalità politiche, gli elementi che contribuirono
a caratterizzare, insieme agli eventi contingenti, i passaggi chiave e l'esito della transizione politica degli anni 1990.
Secondo Tranfaglia il Pci non riesce a realizzare compiutamente la sua svolta, perché non coglie il nodo della crisi del
sistema politico italiano e permane nell'incomprensione dell'evoluzione del rapporto tra politica e società; dietro la resa dei
conti ideologica, che si consuma sul terreno delle affiliazioni internazionali, riaffiorano antichi abiti politici; la Bicamerale
sarebbe fallita per aver tentato di riproporre un modello di autosufficienza degli apparati di partito, visto per la prima volta
ai tempi del compromesso storico e che già allora aveva fatto velo alle grandi trasformazioni della democrazia italiana.
L'autore analizza il berlusconismo come particolare forma di populismo; esso avrebbe creato una "sintesi di governo"
che non si limita a veicolare le inquietudini provocate dalla mondializzazione ma ingloberebbe ampie zone di elettorato
protetto e tradizionalmente moderato. Inoltre Berlusconi rappresenterebbe una sintesi complessa di populismo e
videopolitca ("telepopulismo"), un'analisi ancora tutta da compiere'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
TREAN Claire, Le paradoxe iranien. R. LAFFONT. PARIS. 2006, pag 267 Euro 18.0 ['Strano paese l'Iran. Gli iraniani
aspirano all'integrazione nel mondo moderno. Le ragazze sono istruite, i giovani (oltre il 60 % della popolazione ha meno
di 25 anni) si allontanano dalle pratiche religiose e si orientano verso gli stili di vita occidentali. Tuttavia la società iraniana
ha dato, con il voto, la presidenza ad un estremista islamico, eletto su una piattaforma populista. Ahmadinejad ha saputo
sfruttare il malcontento sociale e il discredito verso un clero corrotto. Ha rinnovato l'ambizione della rivoluzione
khomeinista di fare dell'Iran il campione della lotta contro le ingerenze straniere e della contestazione dell'ordine
occidentale. La maggior parte dei suoi compatrioti non aderisce ai suoi slogans anti-occidentali e anti-israeliani ma è
d'accordo sul dossier nucleare. Gli iraniani non sopportano che si voglia impedire di accedere alla tecnologia moderna.
Su questo punto - il diritto alle conoscenze nucleari - il consenso è totale in Iran. Il regime sfrutta questo appoggio per
arrivare alla bomba atomica piuttosto che alla produzione di elettricità. Claire Trean fa la storia e la geopolitica di questa
regione del pianeta in cui il confronto può anche portare ad una crisi aperta. In sostanza si tratta di una presentazione
storica e geopolitica dell'Iran, di una descrizione della politica del presidente Ahmadinejad, in particolare nel dominio
dell'energia nucleare. Di un'analisi del consenso e sostegno della popolazione, giovane, istruita e desiderosa di aprirsi
alle mode occidentali, al capo di stato populista e conservatore'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
TURGENEV Ivan S., Terra vergine. GARZANTI. MILANO. 2001 ediz orig 1876, pag 298 Lit 16 mila, introduzione di
Gabriella SCHIAFFINO prefazione di Fausto MALCOVATI traduzione dal russo di Laura SALMON rec VALLE Roberto.
['E' l' ultimo romanzo di Turgenev. Si occupa del periodo della svolta populista dell'intelligencija russa quale epoca della
'idealizzazione' e della esaltazione sentimentale del popolo russo succeduta alla liberazione dei servi della gleba.
Quest'epoca fu caratterizzata dal sorgere di un movimento rivoluzionario guidato da "uomini nuovi" che in un primo
momento, scelsero l' "andata al popolo" (che raggiunse il suo apice nel 1874), una crociata volta a diffondere il verbo
rivoluzionario tra le masse diseredate. Ma il tentativo di mobilitare le masse contadine da parte di centinaia di studenti e
intellettuali non riuscì. Ciò rinfocolò nei populisti l'odio per l'autocrazia, inducendoli a scegliere, a partire dalla seconda metà
degli anni settanta, lo strumento del terrorismo. Turgenev ricostruisce intorno a questa vicenda storica il "romanzo di un
fallimento": Tale fallimento assume le "fisionomie in veloce mutamento di uomini russi dello strato colto". Queste
fisionomie idealtipiche sono il compimento dell'indagine dello scrittore sul mutamento antropologico della Russia
ottocentesca. Questa indagine aveva scoperto due nuovi tipi sociali: gli "uomini superflui" (con il loro velleitario idealismo,
nel romanzo d'esordio 'Rudin') e i "nichilisti" (con la loro negazione iconoclasta dei valori tradizionali in 'Padri e figli'. I tre
rivoluzionari narodniki protagonisti di 'Terra vergine' - Nezdanov, Marianna, Markelov, sono, invece, dei 'romantici del
realismo' che tentano di superare con l'azione l'impasse ideologica ed esistenziale sia degli uomini superflui (anime belle
paralizzate dall'ideale), sia dei nichilisti (assolutisti del nulla e della pandistruzione). Ma il vero uomo nuovo per Turgenev
è il personaggio Solomin, un uomo del popolo che in Inghilterra ha sperimentato le meraviglie dell'industrialismo e che
dirige un cotonificio. Solomin è un "uomo d'azione all'americana" un uomo utile "grigio" e "monocolore" ma forte e
intelligente, che non assume la posa dell'eroe. Per lui la rivoluzione è trasformare la Russia in un paese civile e
sviluppato'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
VANELLA FERRERO REGIS Luis C., Peròn e l'Italia. Peròn e il giustizialismo tra destra e sinistra. M&B PUBLISHING.
MILANO. 2002, pag 141 Euro 10.0, bibliografia rec Francesco CASSATA. ['Viene ricostruita l'idea del peronismo nel
corso del dibattito ideologico-politico italiano. Negli anni 1940 il termine per la sinistra è sinonimo di fascismo, ma già a
metà degli anni 1950, a fronte della politica anticlericale di Peron e del crescente mito di Evita, le posizioni si differenziano:
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alla simpatia di comunisti e socialisti, mediata dall'anticlericalismo e antiamericanismo, si affianca l'ostilità del "Mondo" per
il corporativismo e il dirigismo del regime. Negli anni della contestazione poi, una parte della sinistra italiana (Lotta
Continua) è affascinata dalle esperienze dei montoneros e dal 'movimentismo' del peronismo, vedendoci un embrione
della coscienza operaia, una sorta di fase adolescenziale del movimento di massa, un populismo e "bonapartismo
progressista". Negli ultimi termini l'utilizzo del termine si fa disinvolto e funzionale alla polemica politica; peronisti
diventano, di volta in volta, Craxi, Di Pietro, Berlusconi, Fini, Buttiglione; il peronismo si traduce, nella vulgata italiana, in
un'ideologia stracciona, ma vincente. Il volume è corredato di un'antologia e di una densa bibliografia su Peron'] [ISC
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WHITE Richard D., Kingfish: The Reign of Huey P. Long. RANDOM HOUSE. NEW YORK. 2006 CAT 2016, pag 400 $
14.0. ['Dall'istante in cui prese ufficio come governatore nel 1928 fino al giorno del suo assassinio nel 1935, Huey Long
ebbe un controllo quasi dittatoriale dello stato della Louisiana. Era un uomo dalla smisurata ambizione e dalla spietata
vendicatività. Long orchestrava le elezioni, ingaggiando al suo servizio migliaia di persone e dispiegando la milizia dello
Stato come forza di polizia personale. Paradossalmente, come governatore prima e senatore poi, egli fece molto di più
per la povera gente, per i non istruiti, di tutti i suoi predecessori. Long era uno scandaloso demagogo o un visionario
carismatico? Nella sua biografia, l'autore segue la carriera controversa di Huey Long che si è dispiegata nell'età della
Grande Depressione e che gli ha dato slancio e notorietà. Dopo un'infanzia svoltasi in un'ambiente povero e degradato,
Huey Long sente che è destinato al potere ma il suo problema è come arrivarci velocemente per soddisfare il suo
appetito insaziabile. Con astuzia e rudezza, nel 1928, sbaraglia i suoi avversari in occasione della corsa al
governatorato. Dopo di che esercita il potere con una presa d'acciaio. La stampa lo attacca brutalmente, le compagnie
petrolifere cercano la sua rovina dopo una controversa misura fiscale ('oil processing tax'), ma Long ha dalla sua
'l'adorazione' del popolo. Nel 1930 ottiene il seggio di senatore e niente e nessuno sembra capace di fermarlo. F.D.
Roosevelt lo ritiene uno degli uomini più pericolosi del paese. Long organizza un movimento radicale per ridistribuire
denaro attraverso la sua 'Share Our Wealth Society', lascia il Partito democratico, e inizia un 'gospel' populistico che
promette pensioni per tutti, una settimana di lavoro accorciata, e un gran numero di college frequentabili gratuitamente.
Gli strati più poveri della popolazione della Louisiana lo venerano per via della costruzione di migliaia di chilometri di
strade, di fondi per le scuole, ospedali e università. Le sue battute oltraggiose in Senato gli fanno guadagnare una notorietà
in tutta l'America. Nel 1935, nonostante le investigazioni contro di lui per corruzione annuncia il lancio della sua
candidatura per la presidenza degli Stati Uniti. Ma l'8 settembre dello stesso anno Long viene assassinato nei corridoi
del Campidoglio di Baton Rouge da Carl Weiss nonostante la sua guardia del corpo. Bibliografia: - Williams Harry T.,
Huey Long, Vintage, 1981, pag 944 (è considerata la biografia di riferimento); - Hair William Ivy, The Kingfish and his
Realm. The Life and Times of Huey P. Long. LOUISIANA STATE UNIV. 1991 (allievo di Williams, non concorda con la
sua biografia considerata troppo comprensiva nei confronti di Long)'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
WIEVIORKA Michel, La democratie a l'epreuve. Nationalisme, populisme, ethnicité. LA DECOUVERTE. PARIS. 1993,
pag 180 Euro 17.0, Collection: Cahiers libres rec ARENILLA Louis. ['Nei conflitti odierni si usano ripetutamente e a volte
impropriamente termini come nazionalismo, populismo ed etnicità. L'autore cerca una migliore definizione di questi
termini. Intanto ritiene insufficiente un approccio puramente storico. Poi c'è uno spazio teorico in cui questi concetti
vanno posti: per es. Wieviorka parla di 'spazio bipolare' del nazionalismo che si muove tra un nazionalismo politico ed
uno culturale. C'è un nazionalismo aperto ed uno chiuso. C'è un nazionalismo che accoglie la modernità ed un altro
differenzialista che la rifiuta. Allo stesso modo, l'etnicità si muove tra tre poli: individualismo-valori universali,
comunitarismo e soggettività degli attori. Il problema è complesso: il nazionalismo può associarsi alla xenofobia, al
razzismo, all'antisemitismo, all'antimodernismo. L'etnicità si muove tra un individualismo che cerca accesso alla
cittadinanza e un comunitarismo che può sfociare in integralismo e settarismo. Per l'autore, i mutamenti che stiamo
vivendo possono essere considerati come un processo in cui è messa in discussione la capacità di conciliare l'economia e
la cultura: la prima opera su scala planetaria, l'altra è rinchiusa in gruppi particolari. A suo parere la soluzione può essere
proprio l'etnicità. Le società non si possono più dividere tra universalismo e differenzialismo ma devono ricercare le modalità
di una articolazione concreta e pragmatica prima che teorica. Riabilita quindi la realtà etnica precisandone i contorni e
identificandola come una forza di vita e di sintesi. Wieviorka (1946) è Direttore di studi alla EHESS. Dirige i 'Cahiers
internationaux de sociologie' (1993). E' autore di molte opere tra cui: 'Societés et terrorisme', Fayard, 1988'] [ISC
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WIEVIORKA Michel, Le Front national entre extremisme, populisme et démocratie. EDITIONS DE LA MAISON DES
SCIENCES DE L'HOMME. PARIS. 2013, pag 88 Euro 9.0, Fmsh Editions. ['Il Front National era estremista alla nascita:
fino a che punto lo è ancora? E' generalmente considerato populista: merita pienamente questa etichetta? Capace di
parlare con un certo successo in nome dei "dimenticati" e degli "invisibili" e così di riferirsi ad alcune categorie sociali,
l'FN non è solo una forza nazionalista. Spinto dalla paura dell'Islam, sembra ansioso di riavvicinarsi agli ebrei e ad
allontanarsi dal suo pesante passato antisemita, ma non è qui profondamente ambivalente? I suoi recenti successi
politici disegnano una mappa della Francia inedita, in cui le città, ma anche le "banlieues" dette "difficili" prendono le
distanze da questo partito mentre fasce intere del suo elettorato vivono nelle aree suburbane (zones périurbaines),
questa tendenza è destinata a rafforzarsi? Ricostruendo la storia di questo partito, l'opera di Wieviorka risponde a queste
ed altre questioni mettendo a disposizione del lettore conoscenze precise, documentate e aggiornate. E per
comprendere il radicamento duraturo di tale formazione politica, essa stessa in cambiamento, l'autore analizza le
trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali della Francia. Michel Wieviorka est sociologue, directeur d'études
à l'EHESS, et Administrateur de la FMSH. Il a présidé l'Association Internationale de Sociologie (2006-2010) et dirigé le
CADIS de 1993 à 2009'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
WINOCK Michel, Histoire de l'Extreme Droite en France. SEUIL. PARIS. 2015, pag 336 Euro 8.8, Points histoire rec
FERENCZI Thomas. ['L'estrema destra in Francia si è abbeverata ad una triplice fonte: la tradizione controhttp://www.isc-studyofcapitalism.org/jmla
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rivoluzionaria, il nazional-populismo ed il fascismo. Dal 1789 fino a Vichy, queste diverse componenti si sono succedute
prima di fondersi e di produrre, attraverso il 'poujadismo' e l' OAS, negli anni 1980, il Fronte Nazionale (FN) di Le Pen.
Storici e politologi affrontano qui l'analisi storica di questa galassia. Salvo gli anni di Vichy, l'estrema destra non ha mai
governato in Francia. Winock ritrova i primi 'impulsi di collera' nelle campagne durante la Rivoluzione francese (1792-93)
che rafforzano i tentativi armati della contro-rivoluzione prima di trovare in Burke, De Maistre e Louis De Bonald teorici
del pensiero reazionario e per la difesa della religione. C. Prochasson, P. Birnbaum e Winock trattano rispettivamente il
'boulangismo', l''affaire Dreyfus' e l' 'Action Francais'. Qui appaiono due dimensioni nuove: il populismo e il nazionalismo.
C'e' una lotta contro 'l'universalismo repubblicano' che trova il suo principale fondamento in un cattolicesimo trincerato
dietro il rifiuto della modernità. Infine l'Action Francaise di Charles Maurras inventa un innesto originale: quello della controrivoluzione sul nazionalismo. Tra le due guerre il fascismo francese era meno marginale di quanto creduto - sostiene
Pierre Milza a proposito di una vecchia polemica con Zeev Sternhell. Il PPF di Jacques Doriot era il solo vero partito di
massa di questa tendenza. Jean Pierre Azema affronta gli anni di Vichy che hanno anche portato a una 'rivoluzione
culturale' col rifiuto dell'individualismo e dell'egualitarismo, valori associati alla Repubblica. Questo periodo è un
riferimento per l'estrema destra che dopo una parentesi e la fiammata del poujadismo rialza la testa. Secondo Pascal
Perrineau, l'elettorato del FN, pur differente nella sua composizione dall'estrema destra tradizionale, si sviluppa in una
fase di crisi economica e di mutamento urbano agitando temi quali il razzismo, l'antisemitismo e l'odio per l'altro'] [ISC
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WOODWARD C. Vann, America immaginata. IL SAGGIATORE. MILANO. 1993, pag 174 Lit 18 mila, rec CELLINO
Andrea. ['Woodward prende in considerazione le idee, le fantasie, i pregiudizi del Vecchio Mondo nei confronti del
Nuovo. E' un inedito ritratto dell'America vista dagli europei negli ultimi due secoli. All'inizio gli scritti europei erano limitati
all'ambito scientifico. I grandi illuministi si impegnarono in una disputa sulla superiorità o meno del nuovo continente
rispetto al vecchio in materia di geologia, flora, fauna e popolazione (indigeni dipinti come ignoranti e pericolosi pagani o
come incarnazione del 'buon selvaggio). Nel XIX secolo l'interesse si sposta alla società, istituzioni e cultura degli europeiamericani. Di volta in volta l'America diventa esempio di democrazia e libertà, di materialismo e conformismo, di civiltà e
apertura intellettuale, di anti-intellettualismo e di volgarità. Il diritto alla ricerca della felicità sancito dalla Costituzione veniva
visto o come incitamento al gretto materialismo e al guadagno ad ogni costo o ad una pragmatica e produttiva
aspirazione al benessere. Mentre gli intellettuali liberali del XIX secolo vedevano realizzato in USA il loro modello, i
conservatori paventavano il populismo e la "tirannia" della maggioranza che avrebbe portato l'"americanizzazione". Con
il XX secolo il concetto di "americanizzazione" diventa più compiuto. Per le moderne elites intellettuali europee il termine
riassume gli aspetti più spiacevoli della società tecnologica e della cultura di massa. L'autore considera anche le posizioni
degli intellettuali e scrittori russi'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
ZANATTA Loris, Il populismo. CAROCCI. ROMA. 2013, pag 166 Euro 14.0, rec Danilo BRESCHI. ['Il libro è il frutto di
uno studio ventennale dei fenomeni populistici, con precedenti ricerche condotte dall'autore sia sull'America Latina sia
sull'Europa mediterranea, anzi "latina", termine qui prediletto come chiave di ricerca. Con "civiltà latina", o "mondo latino",
si intende uno "spazio storico", assai eterogeneo e mutevole nelle varie epoche e da luogo a luogo, che comunque
presenta un comun denominatore, un humus "dove fiorisce più rigogliosa la pianta populista". Esperienze analoghe
vissute tra America Latina ed Europa mediterranea sono, ad esempio, la cristianità cattolica e l'essere rimasti periferici
rispetto ai processi storici e culturali che hanno favorito la modernizzazione occidentale, dalla Riforma all'illuminismo,
dalla rivoluzione industriale a quella costituzionale. Ciò spiegherebbe come mai nei paesi anglosassoni il populismo sia
fenomeno sì ricorrente ma non endemico né destabilizzante, semmai corroborante. Una sorta di antidoto alle inevitabili
disfunzioni di ogni sistema democratico costituzionale, ma mai una "visione alternativa del mondo". Zanatta legge il
populismo come sotterranea mentalità neotribale che, nei momenti di crisi prodotti dai processi di modernizzazione, quali
industrializzazione, urbanizzazione e secolarizzazione, riemerge e vede una via di uscita o di salvezza nel richiamo al
popolo inteso come comunità indivisa e virtuosa. Oscilla tra un passato mitizzato e un futuro di riscatto e, a seconda
dell'intensità di quel richiamo, può convivere, pur faticosamente, con gli istituti della democrazia rappresentativa, oppure
degenerare. Un fenomeno metamorfico, ombra della democrazia. Loris Zanatta (Forlì, 1962) è Professore associato
confermato nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna, sede di Forlì. Ha al suo attivo molte pubblicazioni
tra cui: 'Dallo Stato liberale alla Nazione Cattolica. Chiesa ed Esercito nelle origini del peronismo. 1930-1943', Milano,
1996; 'Storia Contemporanea dell'America Latina', Laterza, Roma-Bari, 2010; 'Il populismo: una moda o un concetto?',
«Ricerche di Storia Politica», a. VII, n. 3, 2004'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
ZINGALES Luigi, A Capitalism for the People: Recapturing the Lost Genius of American Prosperity. BASIC BOOKS.
NEW YORK. 2012, pag 336 $27.99, rec Walter Russell MEAD. ['Zingales fornisce una piacevole ed utile guida alla storia
di come i salvataggi del governo americano delle imprese di Wall Street hanno fatto scoccare una resistenza populista
sia nella destra che nella sinistra dello spettro politico. Ritiene che la regulatory capture - quando gli interessi delle
imprese e i lobbisti esercitano un'influenza indebita sugli apparati burocratici e le strutture legali concepiti per sorvegliarli stia creando esattamente il tipo di capitalismo clientelare (crony capitalism) che ha già scatenato le maggiori ondate
populiste della precedente storia americana. Con un'occhio preoccupato all'America Latina, dove i leader populisti antimercato hanno condotto molti paesi in gravi difficoltà, Zingales argomenta che un populismo pro-mercato può aiutare a
sostenere la ripresa economica negli USA e invoca politiche che alimentino un senso di trasparenza e incoraggino il
sostegno pubblico per il capitalismo e il libero mercato. A volte, la discussione politica sembra essere disarticolata e
l'entusiasmo dell'autore per la teoria economica lo porta di tanto in tanto a digressioni. Ma, nel complesso, si tratta di un
importante e accattivante sguardo ad alcune delle più importanti questioni che oggi gli USA affrontano. Luigi Zingales
(Padova, 8 febbraio 1963) è Robert C. McCormack professor of Entrepreneurship and Finance presso la University of
Chicago Booth School of Business. E' membro di numerosi think tank e centri di ricerca americani ed europei, in passato
ha collaborato con l'ONU in tema di microfinanza ed ha diretto la American Finance Association. E' editorialista per il
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Sole 24 Ore e ha una rubrica sul settimanale L'Espresso'] [ISC Newsletter N° 76] ISCNS76GRAF
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