storia della letteratura inglese
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Franco Marucci STORIA DELLA LETTERATURA INGLESE DAL 1922 AL 2000 VOLUME V TOMO II DAL SECONDO ANTEGUERRA AL 2000 LE LETTERE INDICE DEL VOLUME QUINTO dal 1922 al 2000 Tomo II DAL SECONDO ANTEGUERRA AL 2000 p. 15 21 § 1. La letteratura inglese dal secondo anteguerra al 2000. 2. Dalla ricostruzione alla desocializzazione. Parte prima Gli scrittori contro i totalitarismi 27 3-12. AUDEN. (§ 3. La meteora spenta. Militanza e disimpegno nel capofila del trentismo, p. 27. § 4. Il teatro cabaret, p. 36. § 5. Il solipsismo ermetico scosso dal richiamo all’azione, p. 47. § 6. La lirica entro il 1939, p. 54. § 7. L’emigrato dalle isole, p. 59. § 8. L’età postbellica dell’ansia, p. 61. § 9. Poesie sciolte fino al 1957, p. 67. § 10. Il saggismo, p. 69. § 11. Il canzoniere del sorpassato, p. 72. § 12. I libretti operistici, p. 73). 77 13-14. ISHERWOOD. (§ 13. Le saghe berlinesi, p. 77. § 14. La dolorosa e dubbiosa consapevolezza della diversità, p. 83). 87 15-16. SPENDER. (§ 15. L’imperiosa domanda: «perché scrivo?», p. 87. § 16. L’eroismo romantico tra le due guerre, p. 90). 93 17-18. MACNEICE. (§ 17. Il fiancheggiatore senza tessera, esistenzialista disilluso, p. 93. § 18. I calendari autunnali, p. 98). 104 19-20. DAY LEWIS. (§ 19. Inni e cori del proletariato in marcia, p. 104. § 20. Poesie del deflusso, p. 111). 113 21-29. ORWELL. (§ 21. La salvaguardia dell’integrità intellettuale, p.113. § 22. Evoluzione del pensiero politico ed estetico orwelliano, p. 125. § 23. I reportages, p. 132. § 24. Burmese Days. Reietti in Birmania, p. 139. § 25. A Clergyman’s Daughter, p. 142. § 26. Keep the Aspidistra Flying. Lo scrittore dentro e fuori la politica, p. 144. § 27. Coming Up for Air. L’edonismo piccolo borghese prende coscienza, p. 147. § 28. Animal Farm. Lo stalinismo smascherato, p. 149. § 29. Nineteen Eighty-Four. L’ultimo uomo, l’ultimo umanista, p. 153). 8 INDICE p. 161 164 § 30. CAUDWELL. 31. T. E. LAWRENCE. Parte seconda Il romanzo dopo il modernismo 169 32-36. HUXLEY. (§ 32. Il contrappasso dell’evoluzionismo, p. 169. § 33. La gioventù bruciata degli anni Venti, p. 174. § 34. Brave New World. Dio scalzato da Ford, p. 188. § 35. Il distacco atarassico dal mondo e dalla storia, p. 192. § 36. Immaginazioni distopiche del domani, p. 196). 198 37-40. BOWEN. (§ 37. Malie irlandesi, p. 198. § 38. I sordi drammi dell’adolescenza sognante, p. 202. § 39. Gelo e allucinazione prima e durante la guerra, p. 206. § 40. Memorie e nostalgie dell’infanzia, p. 208). 210 41-43. GREEN. (§ 41. L’idiosincratico camaleontismo di un modernista ausiliario, p. 210. § 42. Primi esperimenti nel genere documentario e fantastico, p. 215. § 43. Satire, parodie e burlesche di microcosmi chiusi, p. 219). 223 44. 228 45-48. HARTLEY. WAUGH. (§ 45. La farsa del mondo irredento, p. 228. § 46. La deflagrazione della vis comica, p. 233. § 47. Brideshead Revisited. Il tiro alla fune, p. 238. § 48. Tiri burloni del fine carriera, p. 242). 247 49-55. GREENE. (§ 49. Il braccio di ferro con il Creatore, p. 247. § 50. Dalla parte di Giuda, p. 253. § 51. Brighton Rock. Il santo satanico, p. 258. § 52. The Power and the Glory. La teologia del ladrone pentito, p. 262. § 53. The Heart of the Matter. Il giudice giudicato, p. 267. § 54. Romanzi di spionaggio e di esotismo, p. 271. § 55. Il fattore umano, p. 275). 279 56-57. SNOW. (§ 56. La callida junctura tra umanesimo e scienza, p. 279. § 57. Strangers and Brothers. Gli intrighi della politica e della vita accademica, p. 284). 289 58-61. POWELL. (§ 58. Le comiche dell’impotenza e del potere, p. 289. §§ 59-61. A Dance to the Music of Time. [§ 59. Alti intrattenimenti per un’intellighenzia rilassata, p. 295. § 60. Splendori e miserie della borghesia, p. 302. § 61. Ascesa e caduta dell’arrivista, p. 305]). 308 62. CARY. 315 63. LOWRY. 318 64-67. DURRELL. (§ 64. Il mitografo delle città secolari, p. 318. § 65. La fuga di Prospero, p. 321. § 66. Il quartetto di Alessandria, p. 323. § 67. Il postludio di Avignone, p. 328). INDICE p. 332 9 § 68. Narratori minori fra le due guerre. Parte terza La poesia fino agli anni Ottanta 341 69-73. DYLAN THOMAS. (§ 69. «Prigioniero in una torre di parole», p. 341. § 70. Le allucinazioni della genesi, p. 346. § 71. The Map of Love, p. 352. § 72. La fede capovolta, p. 353. § 73. Le prose e il dramma per voci Under Milk Wood, p. 357). 362 74. Surrealisti e neoapocalittici. 368 75. Il Movement «and after». 372 76-77. LARKIN. (§ 76. Romanzi di esordio e prime poesie, p. 372. § 77. Il miniatore squisito, p. 377). 383 78-80. GUNN. (§ 78. La celebrazione dell’entropia, p. 383. § 79. La stasi e il moto, p. 386. § 80. Gunn «on the road», p. 390). 392 81. JENNINGS. DAVIE. 394 82. EMPSON. 397 83. RICHARDS. LEAVIS. 398 84. TOMLINSON. 401 85. BETJEMAN. 405 86-91. TED HUGHES. (§ 86. La forza della natura, p. 405. § 87. Autobiografismo e mitopoiesi, p. 408. § 88. I bestiari, p. 414. § 89. Crow, p. 419. § 90. Diari della vita di fattoria e di stalla, p. 421. § 91. Raccolte e poesie sui pesci e sui fiori, p. 424). 426 92-96. HILL. (§ 92. Dopo la caduta, p. 426. § 93. Le riserve della parola votiva, p. 431. § 94. I Mercian Hymns, p. 435. § 95. Tenebrae e The Mystery of the Charity of Charles Péguy, p. 436. § 96. Divagazioni polimorfe e ventriloque sulla storia irredenta, p. 438). Parte quarta Le letterature regionali 443 97. MUIR. 448 98. MACDIARMID. 453 99. Il Rinascimento scozzese. 10 INDICE p. 456 460 § 100. La poesia irlandese dopo Yeats. 101. La poesia gallese. Parte quinta Il teatro dell’assurdo, arrabbiato e politico 465 102-104. COWARD. (§ 102. La fatua borghesia allo specchio, p. 465. § 103. La terna delle commedie matrimoniali, p. 466. § 104. Operette e drammi onirici, p. 469). 470 105-112. BECKETT. (§ 105. Stazioni di un’antropologia negativa, p. 470. § 106. L’arte della matematica, p. 479. § 107. Le eroicomiche di Belacqua, p. 483. § 108. La trilogia, p. 491. § 109. Watt, p. 504. § 110. La quadrilogia dell’assurdo, p. 510. § 111. Il teatro multimediale e minimalista, p. 521. § 112. Le prose «brevi» e le mirlitonnades, p. 526). 532 113. SIMPSON. NICHOLS. 532 114. Gli arrabbiati e la rivoluzione teatrale degli anni Cinquanta. 537 115. KINGSLEY AMIS. 539 116. SILLITOE. 544 117. Altri romanzieri arrabbiati. 546 118-119. OSBORNE. (§ 118. Vituperio e rimpianto in Look Back in Anger, p. 546. § 119. Drammi ripetitivi del primattore, p. 549). 553 120. 554 121-124. DELANEY. JELLICOE. PINTER. (§ 121. Atmosfere e risonanze postbeckettiane, p. 554. § 122. Protezione e aggressione dell’apolide, p. 559. § 123. I doppi fondi della memoria, p. 563. § 124. I cortometraggi, p. 567). 568 125-126. WESKER. (§ 125. La fiaccola semispenta del socialismo, p. 568. § 126. Drammi posteriori di un ebreo marginalizzato, p. 572). 576 127-129. ARDEN. (§ 127. Ambivalenze a scena aperta, p. 576. § 128. Il sestetto dei drammi maggiori, p. 578. § 129. Coproduzioni di teatro politico fuori dai circuiti, p. 583). 585 130-134. BOND. (§ 130. Predicazioni della non-violenza?, p. 585. § 131. Estremismo iconoclasta nel primo Bond, p. 588. § 132. Favole esotiche sul tema del potere, p. 592. § 133. Le sfide mancate della storia, p. 595. § 134. La sussistenza dell’umano nel futuro postatomico, p. 598). INDICE p. 601 11 § 135. ORTON. 603 136. SHAFFER. 605 137. BEHAN. Parte sesta I contemporanei 611 138-139. WILSON. (§ 138. Velleità e insipienze dei quadri dirigenti, p. 611. § 139. The Old Men at the Zoo, un apologo grottesco, p. 617). 622 140-144. GOLDING. (§§ 140-141. Le parabole della primitività [§ 140. Lord of the Flies, p. 622. § 141. The Inheritors e Pincher Martin, p. 629]. § 142. The Spire. Il diavolo nella cattedrale, p. 633. § 143. Fantasticherie e satire di transizione, p. 636. § 144. La fine dell’ancien régime, p. 638). 642 145. 643 146-150. RHYS. MURDOCH. (§ 146. L’inchiesta sull’intelligibilità del reale, p. 643. § 147. Casistiche della dipendenza psichica, p. 648. § 148. The Red and the Green e la rilettura dell’eroismo irlandese, p. 654. § 149. L’amore infedele, p. 659. § 150. Studi estremi del carisma intellettuale, p. 666). 671 151-156. SPARK. (§ 151. Capricci diabolici e piani criminosi di un dio romanziere, p. 671. § 152. Le intrusioni vocali dell’ultraterreno nel quotidiano, p. 677. § 153. Gli anni di grazia della signorina Muriel Spark, p. 680. § 154. I gialli teologici, p. 687. § 155. Divertissements grotteschi e neogotici, p. 693. § 156. Divagazioni dell’ultima ora, p. 697). 699 157-164. LESSING. (§ 157. Le madonne laiche di una romanziera senza fedi, p. 699. § 158. Cercarsi, ma non trovarsi. La saga formativa di Martha Quest, p. 705. § 159. The Golden Notebook. I quaderni di una comunista disillusa, p. 712. § 160. Discese nell’onirico e riemersioni nel reale nei romanzi dopo il 1962, p. 714. § 161. Canopus in Argo. Divertimento e inquietudine nel ciclo fantascientifico, p. 716. § 162. The Diaries of Jane Somers. Il mutuo soccorso femminile, p. 720. § 163. Il decesso della cellula familiare, p. 723. § 164. In principio era la donna. Romanzi dei primi anni Duemila, p. 727). 733 165. BERGER. 734 166. BROOKNER. 735 167-175. FOWLES. (§ 167. Declinazioni metanarrative di un esistenzialismo negativo, p. 735. § 168. L’ultimo discepolo di Eraclito, p. 739. § 169. The Collector. Il gioco con la «tempesta», p. 741. § 170. The Magus. La sostanza di cui sono fatti i sogni, p. 743. § 171. The French Lieutenant’s Woman. Uno straniato ca- 12 INDICE leidoscopio del vittorianesimo, p. 746. § 172. The Ebony Tower, p. 749. § 173. Daniel Martin, p. 750. § 174. Mantissa. Anamnesi postmoderna dell’ispirazione, p. 751. § 175. A Maggot. Una ricostruzione storico-inventiva del milieu settecentesco, p. 752). p. 754 759 § 176. BURGESS. 177-182. CARTER. (§ 177. Gioco fantastico e utopie rifondatrici, p. 759. § 178. Il malessere, la rabbia, la psicosi della classe sessantottina, p. 763. § 179. Il dittico dei romanzi della controcreazione, p. 771. § 180. La donna sadiana, p. 775. § 181. I racconti, p. 778. § 182. Ultimi capricci, p. 779). 781 183. BARNES. 784 184. RUSHDIE. KUREISHI. 789 185. MCEWAN. 795 186. GRAHAM SWIFT. 800 187. MARTIN AMIS. 805 188. ISHIGURO. MO. 810 189. Altri romanzieri postmoderni. 815 190-193. HEANEY. (§ 190. La nostalgia della vanga, p. 815. § 191. Lo scavo delle stratigrafie, p. 819. § 192. Raccolte degli anni Ottanta, p. 822. § 193. La «macchina rimembrante», p. 824). 827 194. MAHON. MULDOON. 830 195. HARRISON. 833 196. La poesia inglese oggi. 836 197. FRIEL. MCGAHERN. BANVILLE. 840 198-206. STOPPARD. (§ 198. Il teatro dei vasi comunicanti e del bibliofilo, p. 840. § 199. Shakespeare il catalizzatore, p. 845. § 200. The Real Inspector Hound. Il fuoco delle reversibilità drammatiche, p. 847. § 201. I radiodrammi, p. 848. § 202. Il matrimonio della farsa e delle idee, p. 850. § 203. I drammi impegnati, p. 853. § 204. The Real Thing. Le relazioni pericolose, p. 854. § 205. Storia e fantaletteratura, p. 855. § 206. La trilogia dei prodromi della rivoluzione bolscevica, p. 858). 859 207. AYCKBOURN. 863 208. GRAY. 864 209. GRIFFITHS. EDGAR. INDICE p. 865 § 210. HARE. BRENTON. 867 211. HOWARD BARKER. 868 212. CHURCHILL. 870 213. FRAYN. 871 214. ALAN BENNETT. 872 215. HAMPTON. Indici 875 897 Indice dei nomi Indice analitico 13 PARTE PRIMA GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI § 3. Auden*. I. La meteora spenta. Militanza e disimpegno nel capofila del trentismo. Il decennio letterario 1930-1940 è dominato da Wystan Hugh AUDEN (19071973), che sovrasta ogni altra figura operante in Inghilterra nel campo drammatico e poetico – senza dunque toccare il romanzo – con la sola e possibile eccezione di Dylan Thomas, come lui esordiente e ancora più precoce in quel decennio, e di D. H. Lawrence. Questa sovranità e questo primato possono essere lievemente ritoc- * The Complete Works of W. H. Auden, 6 voll., a cura di E. MENDELSON, Princeton 1989(Plays and Other Dramatic Writings, 1927-1938, 1989; Libretti and Other Dramatic Writings, 1939-1973, 1993; Prose and Travel Books in Prose and Verse: Volume I, 1926-1938, 1997; Prose, Volume II: 1939-1948, 2002; Prose, Volume III: 1949-1955, 2008). Per la poesia le edizioni di riferimento sono Collected Poems, a cura di E. MENDELSON, London 1976, 1991, 2007, che contiene le revisioni finali di Auden, e The English Auden: Poems, Essays, and Dramatic Writings, 1927-1939, a cura dello stesso, London 1977, che ristampa le poesie nella prima versione pubblicata. Juvenilia: Poems 1922-1928, è a cura di K. BUCKNELL, Princeton 2003. BIOGRAFIA. C. OSBORNE, W. H. Auden: The Life of a Poet, London 1980; H. CARPENTER, W. H. Auden: A Biography, London 1981; T. CLARK, Wystan and Chester: A Personal Memoir of W. H. Auden and Chester Kallman, London 1995. CRITICA. F. SCARFE, Auden and After: The Liberation of Poetry 1930-1941, London 1942, e W. H. Auden, Monaco 1949; R. HOGGART, Auden: An Introductory Essay, London 1951; J. WARREN BEACH, The Making of the Auden Canon, Minneapolis 1957; M. K. SPEARS, The Poetry of W. H. Auden: The Disenchanted Island, New York e Oxford 1963, 1968, e, a cura, Auden: A Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs 1964; B. EVERETT, Auden, Edinburgh e London 1964; J. G. BLAIR, The Poetic Art of W. H. Auden, Princeton 1965; F. BINNI, Saggio su Auden, Milano 1967, e «Wystan Hugh Auden», in CAB, vol. II, 235-321 (il secondo saggio, che rifonde il primo, è farraginoso e ripetitivo, per quanto ricco di utili informazioni e rilievi critici); J. REPLOGLE, Auden’s Poetry, London 1969 (centrato sulle discontinuità concettuali, stilistiche, di voce e di genere, collegate a un’antitesi presunta tra «Poeta» e «Antipoeta»); A. SERPIERI, «Lo specchio e il caos», in Hopkins-Eliot-Auden. Saggi sul parallelismo poetico, Bologna 1969, 165208 (ottimo medaglione d’insieme); G. W. BAHLKE, The Later Auden: From «New Year Letter» to «About the House», New Brunswick 1970, e, a cura, Critical Essays on W. H. Auden, Boston 1991; J. FULLER, A Reader’s Guide to W. H. Auden, London 1970, e W. H. Auden: A Commentary, London 1998; F. DUCHÊNE, The Case of the Helmeted Airman: A Study of W. H. Auden’s Poetry, London 1972; F. BUELL, W. H. Auden as a Social Poet, Ithaca e London 1973; Auden: A Tribute, a cura di S. SPENDER, London 1975; E. MENDELSON, Early Auden, New York 1981, 1983, e 28 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI cati e ridimensionati se si pensa che agli inizi degli anni Trenta Yeats pubblicava le sue ultime raccolte, che Eliot si dibatteva in una delicata fase di ripensamento della sua arte, che Beckett drammaturgo non era ancora nato, e che Beckett romanziere e poeta era ancora in gestazione. Addirittura prima di precisare la portata intrinseca e individuale dell’avvento letterario di Auden, va premessa quella storica e collettiva. Con la sua personalità carismatica Auden dette infatti vita a un movimento e a una generazione che si suole denominare il trentismo, che può essere risolto e scomposto in quattro aspetti e concetti principali. Dopo ripetuti e cronici isolazionismi, o velleitari ed effimeri sodalizi, rinasceva in Inghilterra una forma di cultura associata, con un gruppo di affiatati poeti e intellettuali dagli intenti comuni – eppur obiettivamente critici nei confronti l’uno dell’altro – quale non era più esistito sin dai tempi del primo romanticismo: un cenacolo che sentiva infatti zampillare in sé il senso gioioso e fruttuoso del comporre assieme, come per Wordsworth e Coleridge, e che coltivava l’abitudine antica della dedica, delle composizioni scritte «a» e «per»1. Attorno all’astro centrale, Auden, in quel decennio gravitarono soprattutto tre scrittori satelliti, Christopher Isherwood, Stephen Spender e Louis MacNeice; e seguendo un’orbita di poco più larga Cecil Day Lewis e Edward Upward. Questo drappello costituiva una formazione ed espressione letteraria totalmente e radicatamente inglese, e lo si deve ben rimarcare guardando al fatto che si era costituito sin dai banchi delle scuole pubbliche e all’università di Oxford, dove i quattro rampolli della media borghesia agiata erano stati a studiare. Studente universitario a Oxford, Auden impressionava appunto i compagni per il suo fare pontificale, la facondia inesauribile, le pose da Wilde, e la volubilità. Era quindi una filiazione, l’ultima, del prolificissimo sistema educativo britannico, lad- Later Auden, New York 1999 (studi del più autorevole critico e conoscitore di Auden, debitori del metodo di lettura trasversale di J. Hillis Miller); D. MITCHELL, Britten and Auden in the Thirties: The Year 1936, London 1981; G. T. WRIGHT, W. H. Auden, Boston 1981; E. CALLAN, Auden: A Carnival of Intellect, New York e Oxford 1983; CRHE, a cura di J. HAFFENDEN, London 1983; S. SMITH, W. H. Auden, Oxford 1985, e Auden, Plymouth 1997, anche curatore di The Cambridge Companion to W. H. Auden, Cambridge 2004; L. MCDIARMID, Auden’s Apologies for Poetry, Princeton 1990; J. R. BOLY, Reading Auden: The Returns of Caliban, Ithaca 1991; M. O’NEILL e G. REEVES, Auden, MacNeice, Spender: The Thirties Poetry, Houndmills 1992, 6-34, 85-115, 145-180 e passim; A. HECHT, The Hidden Law: The Poetry of W. H. Auden, Cambridge 1993; C. DELL’AVERSANO, The Silent Passage: itinerario poetico di W. H. Auden, Pisa 1994; R. DAVENPORTHINES, Auden, London 1995; M. BRYANT, Auden and Documentary in the 1930s, Charlottesville e London 1997; A. JACOBS, What Became of Wystan: Change and Continuity in Auden’s Poetry, Fayetteville 1998; R. EMIG, W. H. Auden: Towards a Postmodern Poetics, London 1999; A. MYERS e R. FORSYTHE, W. H. Auden: Pennine Poet, Nenthead 1999; The Poetry of W. H. Auden: A Reader’s Guide to Essential Criticism, a cura di P. HENDON, Cambridge 2000; P. E. FIRCHOW, W. H. Auden: Contexts for Poetry, Newark 2002; A. KIRSCH, Auden and Christianity, New Haven 2005; T. SHARPE, W. H. Auden, London 2007. 1 HYN 85. Questa compattezza non va esagerata, e capita di leggere boutades «negazioniste» occasionali, come quella di PRESS 1965, 24 (libro su MacNeice cit. nella Bibliografia di questo poeta, § 17.1), cioè che non è attestato che mai i quattro poeti si incontrassero insieme e sedessero a discutere fra loro nella stessa stanza. È vero che dal quartetto base restava sistematicamente escluso MacNeice. §§ 3-12. AUDEN 29 dove la scena letteraria immediatamente precedente registrava sodalizi molto blandi e tardivi come quello di Eliot, Pound e Joyce, e gli scrittori del momento erano o americani emigrati (Eliot, Pound), o irlandesi che si portavano addosso marchi storici e razziali estranei e persino antiinglesi (Yeats, Joyce), uno scrittore spasmodico e sradicato come Lawrence, o un altro fenomeno isolato come Virginia Woolf. Il secondo e il terzo dato sono che il trentismo audeniano si proponeva un’ennesima rifondazione dell’arte letteraria come strumento rivoluzionario; il quarto e ultimo è l’omosessualità che, oltre alla passione letteraria, legava e cementava strenuamente il gruppo, e che dovette essere celata e mimetizzata a lungo da tutti i suoi componenti2. 2. Come molti coetanei, Auden subì il fascino della propaganda fascista di Mosley, e credeva nell’avvento messianico di un uomo forte. Sono un mito, e una autoproiezione, che affiorano lungo tutta l’opera e hanno riferimenti reali e immaginari, il primo dei quali è sicuramente quel salvatore carismatico che risponde al nome di T. E. Lawrence. Come in molti poeti operanti nei primi anni del secolo – si pensi alla dichiarazione di intenti di Dylan Thomas3 – a Freud si attribuiva un valore rivoluzionario che poteva risultare complementare a quello di Marx. Auden auspicava anzitutto una rivoluzione puramente psichica, la liberazione della personalità, soprattutto dei sensi, e dai cappi della repressione religiosa, cioè la liberazione dell’es. Solo dopo il viaggio a Berlino del 1929, la rivoluzione fu da lui intesa nel suo significato più squisitamente politico, senza però mai dimenticare il sottosenso freudiano. Il trait d’union, fino a un certo e confuso punto, è anche la filosofia dell’inconscio, solo parzialmente freudiana, dell’altro Lawrence, D. H. Ma Auden e compagni scelsero puntualmente l’antidoto del fascismo. Nel 1922 Auden ricordava di aver perso la fede e insieme di aver cominciato a scrivere poesie grazie all’incitamento di un compagno di scuola, Robert Medley4. Durante lo sciopero generale del 1926 prese le difese dei sindacati e dette prova per la prima volta di un impegno politico. La poesia di Auden esordiente descrive in alcuni suoi momenti, senza filtri simbolici e reti allusive, la desolazione dei poveri e la depressione del 1929; il suo teatro illustra provocatoriamente la futilità dell’esistenza borghese, la confusione del mondo moderno, le sue convenzioni e i suoi pregiudizi. L’impegno nel dramma e nel cinema fu abbracciato per meglio veicolare un impulso trasformativo della società. Il marxismo sempre giovanilmente intellettualistico e velleitario dei trentisti si sarebbe però definitivamente squagliato dopo la stipula del patto russotedesco del 1939, e sarebbe stato abiurato più tangibilmente dopo il trasferimento di Auden in America. Non sono Auden e gli altri trentisti a insidiare il primato di Orwell come unico scrittore socialista di grido, sia pur dissidente, dell’anteguerra. Coerente al suo sostegno ideologico alla causa repubbli2 Auden e Isherwood furono amanti sino al 1939; solo MacNeice non era omosessuale; Spender lo fu anche se si sposò due volte. 3 «La mia poesia […] è la registrazione del mio sforzo personale per emergere dall’oscurità a qualche barlume di luce» (cit. nella biografia thomasiana FITZGIBBON 19702, 151-152, elencata in Bibliografia in § 69.1). 4 A Medley, che divenne un pittore, si deve l’aver per primo suscitato in Auden l’inclinazione omosessuale. Era addebitata da Auden alla lunga assenza da casa del padre, partito in guerra tra il 1914 e il 1918; così come il vizio del fumo era ricollegato al troppo precoce svezzamento dal seno materno (OSBORNE 1980, 44). 30 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI cana Auden era sceso in Spagna nel gennaio del 1937 con il proposito di fare il guidatore di ambulanze5, ma testimone dello spettacolo delle chiese ridotte in macerie era rientrato in patria disilluso, avendo però scritto quella che è stata giudicata la più intensa poesia di un inglese suscitata da quel conflitto. Il risvolto della militanza erano la resistenza e l’indecisione, coperte dall’autoincitamento. Auden non fu mai iscritto al Partito comunista inglese, e lo stesso Orwell considerava nel 1938 Auden e Spender «dei bolscevichi da salotto»6 – le sue bestie nere – e in particolare Auden un «Kipling senza fegato»7. Già l’Auden marxista inglese aspirava, pressappoco come Yeats, alla rifondazione di un ordine patriarcale, umanistico e illuministico. Un’ultima cartina di tornasole delle sue caute coordinate ideologiche si ricava da un questionario molto tardo, rivolto ai poeti circa la guerra americana nel Vietnam: Auden protestò che i poeti ne dovessero, chissà perché, sapere più dei comuni cittadini, ché anche loro leggevano i fatti della politica sui giornali. In realtà la risposta di Auden è anticomunista, e a favore di una pace negoziata; e gli americani dovevano rimanere in Vietnam fin tanto che non fosse stata stipulata. Scrisse pure una poesia contro l’invasione sovietica di Praga. L’impegno politico non aveva mai del resto inficiato le ragioni dell’arte per l’arte. Auden esordiente è un poeta per e di poeti, che impasta echi e provenienze disparate e stratificate. Il tirocinio è un transito e un attraversamento di strati, o un’incorporazione di dosi che devono essere metabolizzate: fasi distinte di assorbimento, che vengono appunto assunte e come risputate. Nativo di York, era terzogenito di un medico e di una ex infermiera, e la famiglia si trasferì a Birmingham perché il padre divenne funzionario della scuola medica militare e professore di Igiene all’università; pertanto i primi scenari che gli rimasero impressi sono i vittoriani distretti minerari di quella famigerata zona centrale dell’Inghilterra. Da piccolo leggeva avidamente trattatelli e pubblicazioni di carattere scientifico, geologico, minerario, e, fino ai sedici anni, voleva fare l’ingegnere minerario. La biblioteca di casa abbondava però anche di libri di fiabe e di poesie giocose. Disse di aver ricevuto l’impulso poetico dall’antologia Come Hither di de la Mare, nel 1923. Hopkins era stato rivelato al grande pubblico nel 1918, quindi in un’età audeniana decisamente ricettiva; ma non erano meno influenti Owen con i suoi esperimenti sulla pararima, Hardy con la sua varietà formale e stanzaica, l’antica poesia allitterativa anglosassone, e al polo opposto i ritmi del vaudeville e del blues. A Oxford Auden scoprì T. S. Eliot, che scalzò Hardy e Edward Thomas nelle sue simpatie. A quel tempo riteneva che la poesia dovesse essere clinica e austera, lontana dalle passioni dell’uomo comune. In un altro piccolo manifesto appoggiava un’arte che fosse disposizione di parole in un pattern, con i sentimenti e le idee relegate alla sola funzione di occasioni. Davanti alle raccolte del 1930 e del 1933 MacNeice rilevava che era una poesia camaleontica, derivata dai metafisici e dalla «musica delle idee» di Eliot, dalla varietà estrema dei ritmi, delle misure, dei toni: solenne e scanzonata, drammatica e umoristica. Divenne subito prammatico esaltare o deprecare l’oscurità 5 In realtà i suoi compiti si ridussero a quello di annunciatore radiofonico di programmi in inglese destinati ai soli connazionali combattenti. 6 OCE I, 347. 7 Un giudizio in seguito ritrattato. §§ 3-12. AUDEN 31 audeniana, lamentando che le doti autentiche del poeta non giungessero ad ultimare il prodotto, e che Auden si intestardisse in un associazionismo strano e strambo. L’insidiosità del primo Auden deriva naturalmente dall’assenza di contestualizzazione, un vizio in sé comune a quasi tutti i poeti del suo tempo; inoltre dalla deissi vuota – qui, questo, quello, ma dove e come e quando? – o dalla sigla o spesso dal kenning (i «figli del mare», ovverosia i pesci), o anche dai riferimenti volutamente e necessariamente cifrati all’amore omosessuale8, e ai gerghi studenteschi oxfordiani. Il discorso valutativo che prendeva forma a caldo era il solito britannico: quello che, dettato dal gusto, si limitava a catalogare come efficaci, vigorosi, riusciti certi versi estrapolati a scapito di altri, trattando il poeta come un musicista che si può lodare o biasimare per i puri suoni che produce. Un simile frammentismo poteva giustificarsi perché discendeva dal modo in cui le liriche audeniane erano messe assieme, con materiali a volte di scarto di composizioni sottoposte agli amici, e da loro sfrondate. 3. La diatriba critica ancora in corso riguarda il secondo Auden. Se abbiamo definito Auden il poeta che dà il la a un decennio, è, implicitamente, perché i decenni successivi non sono dunque più di Auden. Dopo esordi tanto promettenti la comunità dei lettori e degli studiosi si aspettava qualcosa di più e di diverso. È un poeta non raro che ha attinto il suo picco, in quantità e qualità, molto precocemente; o che, in una stima più ampia, cessa con il 1957, con un dopo di piccoli resti insignificanti. Se ne accorgevano gli amici, che sapeva rivestire tutto di poesia, intesa come involucro metrico e prosodico e versi rimati o assonanti di bellissima fattura; e che lasciato a se stesso non aveva gran che da dire. Per cui il difetto di Auden è di non aver trovato strada facendo un suo definito, marcato, personale universo concettuale trasfuso in metafore e simboli inediti e tutti suoi. È indubbiamente poca cosa dire che Auden è il paladino dell’amore spiritualizzato contro l’odio (un verso troppo retorico proclamava che «dobbiamo amarci l’un l’altro o morire»9), che la sua poesia è la critica della hybris e l’elogio dell’umiltà, o che un suo bordone è che l’arte non basta e «non fa accadere le cose». Il suo vizio è quindi la debolezza concettuale, è la scarsità delle idee10. Sono anche spesso idee scarsamente interessanti, che non ci catturano o riscaldano, e nonostante tutto vengono 8 Le abitudini sessuali di Auden fanno pensare a uno iato controllato, in realtà alquanto sconcertante, tra un appetito bestiale e famelico irresistibile e la sfera posata e controllata dell’agire artistico: due sfere non comunicanti. Il promiscuo Auden era un cacciatore di muscolosi fanciulli, e faceva collezione di conquiste nei luoghi e nelle occasioni più varie. Come raccontava lo psichiatra Layard (cit. in CARPENTER 1981, 90), «a Wystan piaceva un po’ essere anche frustato». Questa reciproca separazione tra corpo e mente viene fatta risalire ed acquisire (da MENDELSON 1983, 65 e 216-217) ai e dai nove mesi berlinesi del 1929. L’esame dei taccuini e delle lettere, ancora a quel tempo non pubblicate, consente a MENDELSON 1983, che ne fa largo uso, di scoprire e illuminare alcuni nessi interni alle liriche. Auden, in particolare, vi esplicitava il rovello della sua omosessualità, e appunto le liriche entro il 1933 occultano anche questa corda. 9 Verso di chiusura di una stanza ripudiata di una delle poesie audeniane ripudiate, September 1, 1939, la data dello scoppio della guerra (questo contorsionismo è abituale in Auden, come diremo). Un’altra breve lirica ripudiata, ma presente nelle antologie, Petition [Preghiera], del 1929, chiede a Dio, tra l’umoristico e il patetico, una palingenesi universale, riassunta però nel facile esergo dickensiano di un «cambiamento del cuore». 10 La «mancanza» in Auden di «una salda ideologia» era risultata nel 1930 a T. S. Eliot, che aggiungeva che se uno scrittore difettava di «convinzioni etiche e religiose» anche la tecnica ne viene danneggiata (cit. in CARPENTER 1981, 137). 32 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI elaborate con una soffocante prolissità11. Fino all’infatuazione per Kierkegaard, Auden ricava queste idee da pensatori di secondo piano, marginali e poco accreditati, e giustamente tali, uscendo in tal modo dal circuito della fruizione generale12. In definitiva, escludendo l’enorme promessa del decennio d’oro, la successiva reflective poetry di Auden non esalta13, e i poemi lunghi sono quasi un fiasco: dobbiamo perciò cercare la sua vena migliore nel song, o nella poesiola arguta ma vigile e spoglia nelle immagini, spesso lievemente assurde e incongrue, dove la fantasia audeniana, la sua vena degli accostamenti, è sotto controllo, e dove la linea del pensiero non sovrasta né è troppo cervellotica. Dunque dove il fluire del discorso è piano, non incagliato dalla divagazione erudita. La mancanza improvvisa di inventiva traspare innegabile intanto nei cosiddetti poemi lunghi posteriori al 1940, allorché Auden non può nascondere il bisogno di appoggiarsi allo spunto preesistente, venutagli a mancare un’idea originale (non così, anzi tutto il contrario era stato agli esordi). Nel 1939 Auden aveva celebrato Yeats defunto, ma gli mancava e continuava a mancargli, da antiromantico, il piglio visionario yeatsiano, apocalittico e profetico, e quindi la poesia della visione; gli mancava anche un mito personale magari appoggiato a qualcuno degli antichi, di Elena o di Ulisse14; da piccolo era affascinato dal mito norreno15, ma senza che riverberi se non epidermicamente sulla pagina. Auden si trasferì in America nel 1939 insieme a Isherwood, e fu arruolato nel servizio strategico americano con il grado puramente fittizio di maggiore: nell’autunno 1945 era già di ritorno negli Stati Uniti dalla Germania. Nel 1946 divenne cittadino americano, compiendo il tragitto opposto rispetto a James e a Eliot16. Fu un passo giudicato emblematico di una resa ideologica, di un vile disimpegno politico, e ancora Orwell gli rimproverava nel 1943 che stesse «guardandosi l’ombelico in America». Poco prima Auden si era riflesso nell’alter ego M. F. Ransom del dramma The Ascent of F 6. Questo eroe che fallisce e soccombe è un mistico diviso tra la hybris solipsistica e l’attività socialmente utile, e che per di più non ha ancora domato un feroce complesso edipico. Auden si scompone così, e si legge, in una serie di dualismi. Il primo è quello della nazionalità, ed è la scansione tra un Auden inglese e un Auden americano. Il varco del 1939 cade perciò alla metà quasi esatta della sua vita, anche se non della sua carriera. Questa data segna anche la demarcazione tra 11 Azzeccato il giudizio del recensore R. MAYNE (CRHE 449), che Auden talvolta «complexifi[es] simplicity» [«complica quel che è semplice»]. 12 Oltre a Freud, a Lawrence, a Marx e a Groddeck, Auden, come diremo, subì l’influenza di Layard e di Gerald Heard. 13 Anzi, la parola «bore» [«noia»] e l’aggettivo «boring» compaiono con indipendente puntualità nei giudizi di alcuni più o meno famosi lettori storici: Edith Sitwell, E. A. White, Evelyn Waugh, P. Dickinson (citt. in CARPENTER 1981, 137, 189, 247, 348). Auden medesimo, nella poesia The Cave of Making [La caverna della creazione] (1964), si augurava di diventare, o forse credeva già di essere, un Goethe «minore e atlantico», «sciocco» come tutti i poeti, e «at times a bore» [«qualche volta una noia»]. In tempi recenti il solo Derek Walcott insiste in un ricordo sulla «tremenda intelligenza dietro la poesia» di Auden (cit. nell’articolo di Jenkins discusso sotto in nota 34). 14 Come nota anche SERPIERI 1969, 168-169 e 170, dove si parla di «ripugnanza per i miti personali». 15 Auden credeva di avere ascendenti norreni, e che il suo cognome, invero non comunissimo in inglese, fosse la contaminazione di uno scandinavo. 16 Auden guarda all’isola, a molte isole, e le oppone al continente, una costante interna all’opera, e alla biografia. §§ 3-12. AUDEN 33 Auden comunista ateo prima del 1939, e Auden credente e spiritualista dopo. Prima aveva accarezzato un progetto che si chiude con la partenza: il progetto di una letteratura militante, comunista e rivoluzionaria e al tempo stesso assoluta e artistica. Se si scende di un livello si percepiscono altri dualismi interni all’opera scritta. Auden è poeta e drammaturgo, e da poeta scrive poesie che furono da lui stesso raccolte, in due volumi, come brevi e lunghe. Come drammaturgo lavora solo e in coppia, e a lavori autonomi e ad altri servili, come librettista. Non va dimenticata la mediazione in questo campo, della musica e del melodramma, con le sue collaborazioni con Britten, le traduzioni in inglese di alcuni libretti mozartiani e il suo servizio in due opere capitali del melodramma del Novecento, di Stravinskij e di Henze. 4. Accanto all’Auden che scrive e pubblica in fieri, un altro Auden rivedeva a distanza la propria opera formando un canone parallelo, e suddividendo il suo canone breve in quattro stagioni che raddoppiano il detto dualismo17. Etichettando come «collected» le due edizioni delle poesie, brevi e lunghe, nel 1947 e nel 1957, si dimostrava già precocemente pronto al disarmo. Nel 1956 rientrò in Inghilterra per assumere il posto di professore di poesia a Oxford, tenuto fino al 1961. Nell’ultimo decennio visse tra New York e l’Europa (Italia, Ischia, e Austria18) secondo un ritmo ormai divenuto quello dei grandi vittoriani ricchi, inverni di lavoro in patria, estati nell’ameno sud italiano. Aveva ormai assunto le fattezze inconfondibili, per il grande pubblico, di un grosso elefante rugoso, o di un piccolo Budda dalla pelle scavata e dalle dita ingiallite, con le unghie nere e morsicate fino alla radice, che non si curava del vestiario e dell’igiene personale, e si presentava in pubblico calzando consunte pantofole di feltro. Avendo aderito ufficialmente alla Chiesa anglicana, andava regolarmente in chiesa la domenica nel paesino austriaco dove si era stabilito, facendo di necessità virtù e frequentando perciò le chiese cattoliche, ma andando alle messe che si celebravano senza la predica. Il suo credo era elastico ed irenico, senza vedere la sua omosessualità praticata, e dalla Chiesa a quel tempo condannata, come un ostacolo o una colpa. Fumatore indefesso, fu un giorno trovato morto di infarto nella colonica di Kirchstetten. L’anno del riavvicinamento alla fede è il 1940, ma fu un processo graduale e oltretutto un’accettazione ipotetica: spesso anche solo il recupero e l’uso di una serie di miti paralleli per veicolare determinate emozioni. Nacque dal ripudio di quell’umanesimo liberale che dispiaceva anche a Eliot e lo lasciava deluso. Il concetto dell’ansia, su cui s’impernia la sua teologia personale, era spiegato da Auden in senso sia psicanalitico che esistenzialistico, con Freud (ansia circa il proprio passato e i propri genitori) e con Kierkegaard (ansia come senso del rapporto tra sé e Dio)19. L’ansia cambia 17 REPLOGLE 1969, cap. II, formula la tesi di un Auden discontinuo e contraddittorio, Poeta e Antipoeta, un’antitesi tutt’altro che felice e applicata troppo meccanicamente. Sono due volti di uno stesso poeta, il primo sublimante, il secondo satirico, e che tutto mette in burla. È una discontinuità tra solennità e autoparodia. Anche la prosa rivelerebbe la spaccatura tra Poeta e Antipoeta (ibid., 176). 18 La colonica di Kirchstetten fu comprata nel 1958 con i proventi del premio Feltrinelli, non essendo andato in porto l’acquisto di una casa a Ischia per l’esosità della richiesta. 19 Auden è stato curatore di un’edizione di scritti di Kierkegaard. REPLOGLE 1969 cerca troppo disinvoltamente di dimostrare che da Marx a Kierkegaard il passaggio era consequenziale e indolore: il secondo condivideva l’analisi dell’alienazione umana, ma vi aggiungeva Dio. 34 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI di segno, da malattia a disagio che conduce alla scelta, ed è dunque l’insicurezza dell’uomo e un periodo di crisi foriera di un esito20. Il complemento dell’ansia è una triade di concetti teologici oppositivi, Eros, Logos, e Agape. Ripartendo da Yeats, l’agape non nega la carne ma la pone in equilibrio con il corpo, e si oppone al logos che è solo spirito. Ma anche Sant’Agostino soccorre, dove subentra la casistica della città, che è sana e insana, città agapica e città egotistica. Questa serie di istanze ideologiche e teologiche venne trasferita in poesia in termini astratti ed euristici, non già scaturendo da una magari prepotente folgorazione personale, da un dissidio intimo, drammatico, riferito sia pure in tranquillità. Auden ne era conscio, e precisava di non essere attratto dalla maniera mistica di Eliot e di Hopkins, che sciorinavano impavidi i loro crucci21. Non era mai stato del resto poeta e scrittore angoscioso e arrovellato. Non lo si coglie mai gridare, stracciarsi le vesti, nemmeno da giovane. La sua stance non è del lirico e nemmeno del simbolista22. Mancava a lui, diceva Spender23, la reale «esperienza dalla quale scrivere». In questa poesia di idee i corollari sono il discorso sui limiti dell’arte nei confronti della vita, e l’inefficacia ultima dell’arte nel cambiare le sorti del mondo, il bordone che accomuna le numerose liriche di necrologio, e che ha come risvolto la negazione della magia taumaturgica dell’arte. Il ridimensionamento dell’uomo come signore del creato non riceve quelle trattazioni apocalittiche che si trovano in Beckett, ma natura animata e inanimata procedono in progressione asintotica senza incontrarsi, anzi nella reciproca indifferenza, un tema in vista nelle odi medesime sui grandi defunti, alla cui morte la natura assiste impassibile24. Meno dolente e macerato di Matthew Arnold, con Arnold Auden condivide un messaggio tollerante, liberale, europeista, che perciò esalta l’amore non romanticamente egocentrico ma sinonimo di amicizia. Destino incrociato, chiastico, per concludere, tra i due maggiori coetanei, Auden e Beckett, di cui il secondo muove dal turgore barocco alla secchezza telegrafica e scarna, mentre il primo parte dalle poesie spoglie, paratattiche degli esordi verso il verso stracarico e fastoso – anch’esso, soprattutto esso, barocco – del dopo 1939. Gradatamente questo Auden espansivo e discorsivo viene ad assomigliare al secondo Browning, non essendogli estraneo un quadro mentale erudito, peregrino, raccogliticcio, in forma di schegge scelte un po’ a casaccio. Non indagava Browning le relazioni tra amore umano e divino, tra corpo e spirito, tra sesso e sublimazione? E, come Browning, Auden sapeva sempre, in attimi di eccezione, scrivere la lirica immacolata, il piccolo capolavoro tardivo25. Il suo clima ideale, il suo tempo di elezione sono, dopo il 1940, e al di sotto dello sperimentalismo metrico, quelli augustani. Lo proclamano la predilezione per il wit, per le 20 Viene cioè risemantizzato in senso spirituale e religioso il concetto della «frontiera», di cui diremo (SPEARS 1963, 185). 21 Cit. in SPEARS 1963, 334. 22 SERPIERI 1969 insisteva che è l’allegoria l’area nella quale Auden si muove, anziché quella del simbolo e del simbolismo, o del modernismo o del metodo archetipico. Come in Eliot, Serpieri scorge nel secondo Auden, l’Auden convertito, l’avvento di una «nuova maniera allegorica». 23 CRHE 342. Lo ha riecheggiato DUCHÊNE 1972, 14, quando dice di un poeta che «si ritrae costantemente dall’esperienza». 24 BAHLKE 1970, 18. 25 Raramente Browning si trova evocato a proposito di Auden: lo fa Herbert Read nel tributo a lui dedicato, riportato in CRHE 272-273. §§ 3-12. AUDEN 35 forme brachilogiche del dire, per l’assenza pur non sempre rispettata di diffusione. Ama l’aforisma, il giro di pensiero allusivo e perciò oscuro; predilige l’epitaffio, e scrive encomi come i grandi del Settecento. È naturalmente facile trovargli questa ascendenza, mista ad altre inconciliabili, perché Auden è un trasformista impastatore di disparate esperienze. Praz coglieva nel segno quando, dopo aver aderito all’opinione batesoniana che è il «nostro Keats, il nostro Pope, il nostro Donne»26, trovava che l’alter ego più azzeccato è Pope. Ritorna a farsi udire, con Auden, quella vena pseudosettecentesca che è il verse essay, vena riflessiva confermata dai suoi amori maturi e senili, Goethe e la tradizione filosofica germanica, e Byron. Cosicché il contrassegno dell’arte del secondo Auden è una sia pure altissima occasionalità. È un grande giullare che sa tutto rivestire in poesia purché gli si dia un significato: per trovargli un corrispettivo italiano, un poeta come un Monti. O è un re Mida che tutto quello che tocca diventa oro, cioè poesia in versi di eccelsa finitezza e soprattutto varietà formale27. 5. È comprensibile che le prime monografie critiche, stese quando Auden era ancora in vita, fossero esegesi e commentari. Danno perciò nell’arido, nel catalogico, nella «cruda parafrasi»28 di poesia dopo poesia. Questo tipo di approccio è istruttivo: libri come quelli di Spears del 1963, di Fuller del 1970, e di Mendelson del 1981, si rivelano indispensabili per la quantità delle informazioni, per lo scioglimento di piccoli enigmi e per la delucidazione di riferimenti culti ed eruditi; ma mostrano insieme quanto arrampicata e tormentosa, fantasiosa e fastidiosa sia la ricerca audeniana di presunti, arcani e sottilissimi concetti. La sfida della poesia di idee29 è sempre ardua da vincere, e se si riduce in prosa la poesia audeniana posteriore al 1939 si colleziona da ogni singolo esemplare una serie di assiomi contorti, poco verificabili e soprattutto poco originali. O si avverte come una discrepanza tra la loro esiguità o superficialità, e l’abilità del verso, lo spumeggiare delle parole, delle perifrasi, dei tropi. Davanti alle accanite parafrasi degli esegeti non si sa se è il critico o il poeta che ha sottoscritto tale raffica di sofismi ripetuti; e si ha l’impressione e l’evocazione di quel «critico per critici» la cui analisi, rilevava Auden stesso, «è di tanto più complicata e difficile dell’opera stessa»30. Come disse Desmond MacCarthy31, in Auden si percepisce «il suggerimento di qualche sbalorditivo significato che si liquefà quando è esaminato». Soprattutto quello tardo, o secondo, americano, dei poemi lunghi, è stato così oggetto di esaltazioni deliranti quanto di stroncature micidiali. Incomponibile è il disaccordo su The Age of Anxiety, reputato da John Bayley come un capolavoro, e da Randall Jarrell come l’opera peggiore scritta da Auden da venti anni a quella parte32. E Thom Gunn spostava il bersaglio su Homage to Clio33. Già a quella data, 1969, Auden risultava un 26 PSL 683. Questa abilità gli fu riconosciuta da C. JAMES (cit. in CARPENTER 1981, 421). 28 SPEARS 1963, 223. 29 REPLOGLE 1969, nel suo cap. I, analizza appunto la poesia di Auden come «serbatoio di idee» (90). 30 The Dyer’s Hand, 49. Anche MENDELSON 1983, che solitamente spiega e parafrasa tutto, deve in qualche caso alzare bandiera bianca, e addebitare l’impotenza esplicativa alle confusioni del poeta (cfr. 139140 nota †). 31 CRHE 336. 32 Riferito da SPEARS 1963, 239. 33 SPEARS 1963, 327. 27 36 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI classico lontano su cui aleggiava un dibattito ormai accademico. Perciò stesso i certificati di morte del poeta si sono succeduti a un ritmo costante, cioè ad ogni nuova opera che usciva fin dal 1939. Auden è diventato però negli ultimi decenni il poeta rappresentativo di una coterie, quella degli omosessuali. L’omosessualità di Auden è un capitolo soppresso, da Auden medesimo che mai la ostenta34, e che gli studiosi del gender vanno riaprendo, con la solita deformazione di assumerla come la chiave di volta, unica e rivelatrice, del mondo del poeta. È sicuramente il poeta di riferimento di questa microcomunità internazionale35. Auden in America e per l’America induce però a formulare un bilancio più variegato. La terza e la quarta stagione audeniana inventano un piccolo genere poetico senza veri precedenti, che fu studiato e adottato entusiasticamente dai poeti americani più giovani: la conversazione in versi, o quello stile poetico a metà strada tra il registro prosastico e poetico, fatto di autoironia e di una trasandatezza altamente formalizzata: la voce di un Berryman o di un Lowell36. Questo stile «sprezzatura», che a Auden riesce quasi sempre bene, è però anche prolisso, e soprattutto trabocca di riferimenti privati e incidentali che non possono essere goduti e condivisi, e a volte se non sempre più spesso esula in digressioni fini a se stesse. § 4. Auden. II. Il teatro cabaret. Riguardo al primo Auden, e al suo metodo compositivo e costruttivo, si ricavano ed enucleano due osservazioni da inserire qui in via preliminare. Auden fa parodia della parodia, in quanto accetta il metodo giustappositivo, congegnato a iati temporali, e soprattutto contestuali, della Waste Land: compone collages o puzzles che essendo tali svuotano la seriosità e la tragicità dell’analogo metodo eliotiano. Sono più orizzontali di quelli, anche e soprattutto verticali, di Eliot. In senso musicale la segmentazione interna dei primi drammi, certo in un progressivo decrescendo, risponde non al legato o al cromatico nelle scansioni fra i movimenti, ma al diatonico e allo staccato. Il lettore o deve disperare di scoprire una chiave che lega gli episodi e le sezioni, o ingegnarsi di trovarla, alla fine forse dicendosi che non esiste, o che «l’assenza di una chiave è la chiave stessa»37. 34 I lettori disinformati o ingenui provano l’universalità della poesia d’amore ed erotica audeniana grazie anche alla possibilità della lingua inglese di non distinguere il genere degli aggettivi, e di non sciogliere in una certa misura l’ambiguità o l’ambivalenza maschile-femminile. Le liriche d’amore di Auden erano infatti nate e pensate da esperienze omosessuali, e come rivela CARPENTER 1981, 76 nota 1, Auden appose il nome degli ispiratori e dedicatari dei suoi songs d’amore nella copia delle poesie del 1934 donata a Chester Kallman. N. JENKINS, Historical as Munich: Auden at 100: Who Is He Now?, «TLS», 9.2.2007, 12-15, brillantemente rivela che la lirica Lay your sleeping head, my love [Adagia la tua testa assopita, mio amore] mimetizza il nome dell’«amore», Michael Yates, un allievo tredicenne di cui Auden ventiseienne si era innamorato, in un tessuto di echi e imprestiti dalla lirica yeatsiana A Prayer for My Son, giocando sull’omofonia tra Yates e Yeats, sul fatto che anche il figlio di Yeats si chiamava Michael, e sull’affetto paterno che lui stesso nutriva per il fanciullo. 35 In tempi recenti Auden è tornato sugli scudi per il grande pubblico grazie alla recita di una sua simpatica composizione in lode di un amico morto nel film umoristico inglese Quattro matrimoni e un funerale. Non sapremmo dire se è un indice di universalità la presenza costante e capillare di Auden nell’ambito odierno della musica pop e «synthpop», discussa nel succitato articolo di N. Jenkins. 36 MENDELSON 1983, 202, individua invece un altro vezzo che si trasferì alla poesia americana per un paio di decenni, dagli anni Trenta ai Cinquanta: la connessione di fatti emotivi con «aspetti eterogenei del mondo delle città e degli eserciti», in pratica similitudini del tipo di quella del «talento come un’uniforme». 37 MENDELSON 1983, 10. §§ 3-12. AUDEN 37 Tale diagnosi vale pari pari per The Orators. L’altra considerazione è l’intercambiabilità dei pezzi separati che spesso confluiscono e si inseriscono in compagini testuali radicalmente differenti. Auden le componeva prima. Le possibili spiegazioni sono: o regna il caos in queste compagini alternative, oppure tutto il materiale testuale del fermento degli ultimi anni Venti e primi Trenta discende da una misteriosa ma profonda unità di ispirazione, e vi si parla di un solo e unico tema. Auden dimostra in fondo che la terra era sempre desolata anche dieci anni dopo, o solo sei, e che è desolata per la stessa esatta diagnosi di Eliot, l’assenza di vero amore. L’imagery è bellica, il topos della contrapposizione tra due schieramenti, ma è anche un’estensione della gara sportiva. Non per nulla i due «lati» che possono vincere e perdere in Paid on Both Sides sono in quel dramma contrassegnati dai colori, da una specie di maglia o casacca che li distingue in scena, scena nella quale tra le more del dramma si parla anche del rugby e di cronache e fatti sportivi. Nei drammi è sempre la madre il motore dello scatto motorio e spesso anche vendicativo e cruento del protagonista, e basta solo nominarla. Agisce allora una dipendenza psichica dalla madre che vale per Nower, vale per Ransom, vale per l’uccisore di Grimm in tre drammi audeniani. Sennonché Eliot è rituale, solenne, liturgico, profetico, mistico; Auden semiserio: gioca, scherza o scherza tragicamente. L’isotopia dominante si è detta appunto spesso dell’allarme, di una preparazione all’attacco, di uno scontro imminente. È l’isotopia militare dello spionaggio, dell’imboscata, a percorrere queste prove in lungo e in largo. Epperò era un clima filtrato, non vissuto ovviamente da professionista in prima persona: era come un’epopea fanciullesca, una specie di guardia e ladri, o guerra dei bottoni: un rifacimento o una risonanza del mito Mortmere di cui diremo, o delle epopee contemporanee, dei libri di guerra, delle memorie dei militari; e, mutatis mutandis, Gondal e Angria delle sorelle Brontë messe insieme. L’amore è soggetto, dice Auden, a una «maledizione ancestrale» che equivale anche al peso dei morti. È l’amore esistenzialistico diviso contro se stesso, che ripete il sesso ma senza unione. Può divenire catarsi solo nella morte, ma senza i sovratoni della poesia religiosa eliotiana, senza cioè alcuna mistica o ultraterrena rigenerazione. 2. In parallelo con la poesia pura, i primi passi di Auden si muovono infatti nell’area dello spettacolo e della parola comunicata, agita e condivisa. La sua ambizione, agli inizi degli anni Trenta, era quella di recuperare la dimensione anzitutto sociale del dramma, e anche quella rituale, grazie alla quale si poteva intervenire più efficacemente sullo spettatore e l’uomo comune. È il dramma la prima vocazione, se non la vocazione tout court di Auden per tutto il decennio 1930-1940 e oltre, a giudicare dall’evoluzione almeno semidrammatica sua ultima. E all’attività drammatica va data la precedenza nel nostro esame cronologico, anche perché le edizioni poetiche includono, avendole sradicate dal loro contesto drammatico dove hanno quella precisa funzione che diremo, alcune se non svariate di quelle piccole arie o canzoni e canzoncine poetiche affidate ai personaggi interni, e che lette come poesie a sé stanti detengono un’oscurità ancora maggiore. Si trattò di un’attività intensa e febbrile, portata avanti da subito in collaborazione con Isherwood, la quale certamente condusse a pochi prodotti veramente levigati e finiti, e anche a poche rappresentazioni sulla scena, ma che sprizza di una vena di effervescente festosità linguistica, e mette in campo freschissime trovate sceniche. La stringa serrata di I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI 38 questi numeri rivelò un drammaturgo di razza che esibisce qui tutta la sua stoffa. Anzi, come risultò a qualche acuto lettore in tempo reale, Auden in prosa – e in prosa sono parti dei drammi e quasi tutto The Orators – supera Auden poeta38. Ma fu tutto sommato una spinta che si bruciò in meno di un decennio. Sparate tutte le sue cartucce entro i primi anni Trenta, Auden avrebbe diluito la sua vena innovatrice e dissacrante nei libretti servili per le opere liriche. Talune di quelle soluzioni guidano diritto a Beckett, che le avrebbe forse indipendentemente elaborate, ma venti anni dopo. Poté essere definito acerbo, e «trascurabile» nella storia del teatro moderno39, solo appunto in una data nella quale non era ancora detonata la deflagrazione beckettiana. Concepito e varato alla fine degli anni Venti, si assestava in un vuoto o in un vortice drammatico concentrico di tipo conservatore. Auden stesso riassumeva il dramma del suo tempo in tre tipi, il «romantico finto Tudor», col che intendeva forse il dramma storico con personaggi in panni regali; il «cosmico-filosofico» e lo sfinito «dramma altomusicale da camera», equivalente insomma alla drawing room comedy. Il teatro che tentava di edificare lui stesso è un teatro sciarada, in uno zigzag di scarti stilistici che possono svariare dal serio al comico al grottesco, e nel susseguirsi di forme spurie come il mimo, la pantomima, il balletto, il numero da musical, e di lì veramente sconfinare nello stralunato e quindi nell’assurdo. Eliot lavorava sui medesimi binari con il solo frammento aristofanesco Sweeney Agonistes. Tale fermento può essere così letto e collocato entro la dicitura lata di un teatro in versi: ma nulla vi è di più distante, per il tono burlesco e beffardo, dal grande autore di teatro «poetico» ancora vivente, Yeats, o dal futuro Eliot; e nulla delle tentazioni del teatro Noh. La commedia audeniana è radicalmente inglese, e trasporta in scena il grottesco della tradizione vignettistica e caricaturale vittoriana, calcando però la mano in modo più esplicito e franco sulle perversioni e la stupidità della borghesia agiata. Dietro, perciò, si può ravvisare e rintracciare – quando i personaggi parlano o cantano in apparentemente facili strofe eufoniche, dalle rime maccheroniche o giocose, soprattutto baciate, e su catene logiche strampalate o ludiche – la tradizione operettistica di Gilbert e Sullivan. Auden ne è il diretto discendente e imitatore, e aggrava soltanto una satira politica che agiva anche, sia pur mimetizzata, in quella fonte40. 3. Ora però, questa tecnica drammatica era anche per combinazione quasi la stessa, pur avendo una funzione straniante assai maggiore, del teatro epico brechtiano, che nel 1928 era stato assorbito di prima mano dai due giovani inglesi, Auden e Isherwood, a Berlino. La spezzatura in scene ed episodi irrelati e chiusi si deve alla lezione brechtiana, quella che prescrive che «ogni scena esiste in se stessa». Nella misura in cui questi o molti di questi drammi sono abortiti, o non sono stati pubblicati e sono rimasti incompiuti e manoscritti, Auden poté reincludere parti intere e intere trame collaterali entro altri drammi, in una sorta di rifacimento e reimpasto permanente. La sua drammaturgia è una specie di testo unico in progress, dal canovaccio di base invariato e con integrazioni decise strada facendo. La «scena del riformatorio» è per esempio rieseguita varie volte, segno che 38 39 40 CRHE 161-162, e 164. HOGGART 1951, 74. IV, § 286. §§ 3-12. AUDEN 39 era sentita, con la sua commedia farsesca e l’esibizione smaccata delle ipocrisie educative; come lo è il mondo della miniera, degli operai, delle proteste, degli scioperi e degli sfruttatori minerari, che sono anche adulteri amatori di mogli di loro impiegati. Persino troppa è la carne al fuoco, perché Auden fa convergere su una stessa ribalta scenica le aree che gli stanno più a cuore: il suo dramma deve ambientarsi nel distretto minerario, dove i lavoratori vivono in condizioni di fame; ma è uno scenario che interagisce con quello della scuola e delle istituzioni, per bersagliare la borghesia che lo sostiene. Ma i detentori del potere costituito, le figure pubbliche, espongono a loro volta in scena un loro privato laido, viscido e schifoso: alti ufficiali parlano con la erre moscia e adescano fanciulli dai quali pretendono turpi prestazioni; direttori scolastici si invaghiscono di fanciulle che sono però scolari travestiti. Anche la giustizia è corrotta, e per combinazione l’integrità morale è incarnata in un vescovo che viene però arrestato perché creduto un adescatore di fanciulle. Auden lavora al dramma come a un copione cinematografico, e così concepirà anche alcuni dei suoi poemi lunghi, riusando per esempio la voce fuori campo. Tutti hanno una struttura a quadri, con un’invisibile macchina da presa che si sposta dall’uno all’altro. Una simile costruzione drammatica può aver risentito del cinema episodico in auge nell’apogeo del muto, o del romanzone vittoriano a puntate, congegnato partendo da poli e strati di intreccio completamente scollati l’uno dall’altro, che con abilità dickensiana vengono gradualmente avvicinati e suturati. Una seconda saga tematica riguarda il fantapolitico confronto armato tra Ostnia e Westland, alias Russia e Germania, la prima retta da un imperatore, la seconda da un «Leader» che, Auden vuol sconfessarlo vanamente, è Hitler, ormai sceso sul piede di guerra. Perciò stesso dietro si può avvertire l’eco del tardo Shaw. 4. Il soffio immaginoso e suggestivissimo di Paid on Both Sides41, uscito nel 1930 sul «Criterion» di Eliot – il flusso liberamente associativo dei cori e dei monologhi, arie come sospese e solo vagamente e lontanamente legate al dato scenico, e soprattutto intessute sul rapporto tra il presente e il passato, e sul peso irredimibile e al tempo stesso auspicabilmente redimibile della maledizione atavica – si sarebbero trasmessi e trasfusi all’Eliot medesimo che aveva, in pectore, The Rock e soprattutto Four Quartets. Non è peregrina l’ipotesi di questo assorbimento o echeggiamento, tenuto conto della capacità eliotiana di metabolizzare influenze disparate e anche momentanee, e della sua poesia come, per programma, mosaico di echi. Per altro verso le soluzioni cabarettistiche di questo dramma sono vicine a quelle adottate dallo stesso Eliot nei suoi due monconi drammatici di Sweeney Agonistes42. Il travaso o il semplice contatto tra questa sciarada e le prime poesie di Auden poté essere meglio constatato perché l’una e le altre figuravano nella stessa edizione del 1930. Tale edizione costituì dunque il primo, provocatorio banco di prova per il poeta e drammaturgo esordiente, e indirettamente una verifica delle tendenze, coraggiose o pavide, della critica contemporanea. Al giudizio positivo di Empson43 fece riscontro il fermo dissenso di Leavis, che giudicava rescisso il rapporto fiduciario tra emittente e utente, 41 Perdite da ambo le parti. Nell’interludio natalizio di Auden, che è comunque un sogno come diremo, i grugniti di una spia sono «prodotti da strumenti da jazz», e le battute sono anche in rima da canzonetta. Eliot mimetizzò un’evidente infatuazione se non folgorazione per il lavoro di Auden con atteggiamenti di ambigua se non contraddittoria cautela; ma nonostante la «riluttanza» (si legga tutta la nota * di MENDELSON 1983, 32) pubblicò Paid on Both Sides sul «Criterion» che dirigeva. 43 CRHE 78-80. 42 40 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI poiché la poesia aveva cessato, con Auden, di comunicare al lettore comune ed era divenuta esperienza privata44. Paid on Both Sides è invero un primo, proibitivo exploit audeniano, davanti al quale l’esegeta e l’interprete debbono in più punti dichiararsi vinti e proclamare la resa: è possibile in altre parole squadrare il testo in larga sintesi, ma il dettaglio tantalizza e sfugge. È un’inesauribile deflagrazione caleidoscopica e anche cacofonica di sequenze drammatiche che si riversano le une nelle altre con iati violenti quanto al taglio scenico e drammaturgico, e introdotte da didascalie ironiche, perché invariabilmente ridotte e schematiche, spesso anche ingannevoli o perversamente ellittiche, perché intese a potenziare l’imbarazzo del lettore che tenti di decifrare la diegesi scenica. Il registro svaria nella gamma quasi totale delle possibilità drammatiche: i dialoghi possono essere di brutale, spiccia concretezza e di immediata capacità relazionale e comunicativa, e guidare subito all’azione: essere dunque sprazzi di puro teatro verista; ma si alternano non solo con il soliloquio, o con l’intervento del coro ripristinato dal teatro classico, e quindi con una parola statica ed evocativa, declamata e solenne, ma anche con il roteare delle pantomime, dei battibecchi, delle scene burlesche e dei giochi verbali. Nei brani in versi Auden è già un funambolo, siano essi in metro libero o in rime esatte o semirime o pararime. Qui la sintassi è dislocata, il filo logico e contestuale zigzagante, la grammatica stessa difettosa, persino erronea, addirittura volutamente primitiva45. Le oscillazioni paurose e smaccate di questo testo si devono al fatto che Auden, che aveva solo ventuno anni, sapeva da un lato oggettivare e assolutizzare il suo fermento esistenziale, e dall’altro no: ne viene al dramma un’acerbità evidente unita a supremi momenti di distanziamento. Fonti, suggestioni e rimuginamenti disparati, raccolti da letture caotiche, sono affastellati e fusi assieme senza distendersi in un significato articolato, benché magari poeticamente compresso. Auden viveva un tempestoso momento di subbuglio che sapeva miracolosamente, e sia pure intermittentemente, oggettivare e raffreddare sulla pagina. Era impegnato a recidere un complesso di Edipo che aveva coscientizzato da solo e anche con l’aiuto di terapie psicanalitiche. Correggeva Freud perché vedeva nella madre la trasmissione dell’odio, e quindi l’impedimento ad attingere l’amore, amore tout court e amore eterosessuale; correggeva Freud soprattutto perché non credeva nelle capacità terapeutiche dell’anamnesi, bensì nella cancellazione del passato, e che il superamento dell’odio e la «guarigione» provenissero piuttosto dalla sazietà. 5. Questa geografia privata è transcodificata nell’azione del dramma. La brevissima sciarada propone in scena senza pause, in un clima surreale o si potrebbe dire preassurdo, due fazioni che si danno battaglia non solo a parole, e si inseguono, si spiano e si tendono agguati per uccidersi, vendicarsi, eliminarsi. Si dice assurdo perché la scena è divisa se non divisionistica, e anticipa le riduzioni dell’apparato scenico e le stilizzazioni dei personaggi a cui Beckett sarebbe approdato venti anni dopo come minimo. È un divisionismo vicino ad esempio a quello del primo dramma ripudiato di Beckett, dove comunque il conflitto è tra uno, il figlio, e tutti, la famiglia e la società46. I membri dei due «partiti ostili» si riconoscono in Auden per il diverso colore dei bracciali («arm-bands»); e due personaggi minori hanno i preveggenti nomi beckettiani di Bo e Po. Questo antidramma fa entrare in scena il coro, ma Auden punta in realtà allo stridore della battuta, ché i personaggi sanno passare dal linguaggio pratico e operativo, dall’ordine e dall’intenzione dell’atto, a oasi di riflessione da cui, in un visibilissimo sbalzo, escono ex abrupto 44 CRHE 88-91 e 100-101. Un terzo intervento di Leavis, alla riedizione del 1934 delle poesie, fu più blando, ma ancora più polemico verso Empson (CRHE 140-143). Anche nel 1936 Leavis si scagliava contro l’immaturità, l’incertezza di propositi, l’«irresponsabilità» di Auden (CRHE 222-225). Tale accusa sarebbe stata ripetuta da E. WILSON (CRHE 232-235), notando però nel 1937 la perdita del marchio personale e del vigore delle prime poesie nella raccolta Look, Stranger! Wilson avrebbe però più tardi sposato in toto la causa di Auden (cfr. CRHE 406-411). 45 Cfr. MENDELSON 1983, 42 nota†, sulla parafrasi del v. 1305 del Beowulf nel titolo del dramma. 46 § 110.3 e nota 126. §§ 3-12. AUDEN 41 dalla loro bocca frasi poetiche alate, suggestive, ellittiche47. Sennonché, anche nella sfera del linguaggio operativo, i personaggi parlano a dispaccio o a telegramma, e non solo il lettore ma gli stessi attori in scena stentano a capire. Dalla cura con cui anche il linguaggio quotidiano è architettato, e dai tours de force delle parti in versi, si ha la prova di un’operazione in larga misura o prevalentemente formale. Il senso della suspense che gira a vuoto, e di cui non si capisce l’esatta natura, è appunto un clima metafisico assoluto e inspiegabile. Auden vuole evocare un’atmosfera, ed è lo stesso gusto di polizieschi irreali del tipo del classico di Buchan, The Thirty-Nine Steps. Le scaramucce verbali dei due gruppi, con il ricorso dei termini tipici dello spionaggio e della guerriglia, spiegano anche il parallelo ricorso di termini e situazioni analoghe nella prima poesia di Auden, il cui contrassegno protratto è il ricorso semiserio alla metafora dell’inquadramento militare, tratta dai racconti ancora freschi di guerra e dall’esperienza di un sistema scolastico britannico strutturato su quello spirito. La sciarada romanza e quindi rende più comprensibili gli aneddoti più secchi delle poesie. La parabola interna è l’impossibile superamento della legge della vendetta atavica, e insieme l’impossibilità dell’avvento di una giurisdizione dell’amore, anche se dall’emergenza alla lunga insostenibile, e dal senso della rivalità, scaturisce l’invocazione della pace (un membro delle due fazioni decide infatti di partire per le colonie)48. Il clou è l’agguato teso al caporione di una fazione da parte della fazione avversa: essendosi dato convegno con una donna, questi sfugge ma è alla fine raggiunto e ucciso. Una spia è catturata e subito giustiziata dal protagonista Nower, che compiuto l’atto prova improvviso il bisogno di sottrarsi al determinismo della vendetta. Il processo contro la spia è un episodio faceto e surreale, essendo il giudice Babbo Natale ed essendo soprattutto l’imputato miracolosamente tornato in vita benché ferito, tanto da richiedere l’entrata in scena di un farsesco dottore. Auden nel testo pubblicato soppresse una didascalia che avvertiva che questo interludio natalizio era da intendersi come un sogno di Nower che si addormenta, e sogno che poteva e doveva essere interpretato come l’accettazione da parte sua della legge dell’amore che vince sull’odio e la vendetta49. Cosa è dunque l’interludio? È un sogno dal valore pubblico e privato, o per meglio dire un incubo in cui viene recitato l’esorcismo della guerra. Paid on Both Sides è allora e perciò anche l’esorcismo della guerra tout court e della Grande guerra. Non per nulla la fazione di destra ha come nome tedesco Lintzgarth, e tra i commilitoni figurano un Kurt e uno Zeppel, a cui basterà aggiungere un -in per evocare il terrore dei bombardamenti aerei. Dall’incubo della guerra si poteva uscire facendone tabula rasa, e ripartendo da zero con una totale cancellazione o rimozione del passato. Ma prima, o in contemporanea, Auden rivolge a se stesso, mediante l’ermafroditico Uomo-Donna, il rimprovero di un amore malato, come si addebiterà anche in The Orators, malato perché il suo oggetto è ambiguo e anche anfibio, indeciso come gender, e quindi sterile e inconcludente. Dopo cambi di scena di meteorica subitaneità, la guerricciola, sedata 47 L’aria di esordio della madre di John Nower è ulteriormente un calco di The Leaden Echo and the Golden Echo di Hopkins. 48 MENDELSON 1983, 47, impone inconsapevolmente al lavoro di Auden lo schema eliotiano degli assai più tardi Four Quartets quando individua il tema come lo «entrapment of time» [«la trappola del tempo»], e le «costrizioni psicologiche trasmesse, come dire geneticamente, dal passato» (cfr. in Eliot lo «enchainment of past and future» [«concatenamento del passato con il futuro»] e il «release from the inner / And outer compulsion» [«liberazione dalla costrizione / Interiore ed esterna»] nel primo quartetto). I due poeti concordano nella diagnosi, anche se danno un significato per ora diverso alla terapia, che la maledizione si vince con l’amore. 49 MENDELSON 1983, 49-53. La tirata dell’Uomo-Donna è un astruso rimprovero contro una sessualità sterile e sbagliata che Auden avrebbe rivolto a se stesso riconoscendosi in Nower; più chiaro, durante questo sogno, è il valore simbolico, e cioè terapeutico, dell’estrazione di un enorme dente dal corpo della spia, che subito dopo fraternizza con Nower piantando con lui un albero; dopodiché Nower, apparentemente guarito, sale a cavallo per andare a chiedere la mano della figlia del nemico. Dunque sul piano privato Auden discuteva e auspicava la ricomposizione della sua personalità, che doveva partire dalla recisione, o, psicanaliticamente, dalla rimozione, del passato. 42 I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI dalle nozze dei figli dei rivali (una parodia di Romeo and Juliet svolta in clima da cabaret), è riaperta dall’omicidio dello sposo. L’epilogo è un fallimento sia sul piano individuale e personale, dell’uomo Auden riflesso in Nower (il cui nome addita o allude confusamente a un che di nuovo50), sia sul piano storico. In altre parole la maledizione dell’odio imperversava ancora nel 1928-1930, in patria e fuori. 6. In The Enemies of a Bishop, or Die When I Say When51 (scritto da Auden e Isherwood nel 1929, ma mai pubblicato e quindi neanche rappresentato, e rivisto senza completarlo l’anno seguente; ma quasi tutti gli interludi poetici dello «spettro» furono poi inclusi nelle poesie del 193052), le varie pedine drammatiche, le cui mosse trasudano un erotismo represso debordante e malsano53, vengono fatte convergere in una trama concentrica o in una rete di relazioni reciproche che si tessono in larga parte nell’interno di un hotel. Il direttore di una miniera, in lotta con il suo doppio e di chiara fonte stevensoniana54 (perché crede di distruggere lo spettro ma uccide se stesso), è pazzo d’amore per la moglie del suo vice, mentre il fratello, un bersaglio satirico di stampo dickensiano nella sua losca untuosità55, dirige un riformatorio e si è invaghito di una fanciulla che si rivela per un suo allievo, fuggito con lo stratagemma di un travestimento femminile; all’hotel due incettatori di schiavi per il mercato americano tentano di rapire questo stesso ragazzo, mentre un colonnello cerca di indurre un altro a frustarlo. Un detective di ruolo femminile sbroglia la situazione, ma arrestando l’unico innocente. Tale eroe morale è un vescovo di nome Law, che incarna Homer Lane, uno psichiatra che Auden considerava un profeta e guaritore, e che era effettivamente il direttore di un riformatorio e un pedagogo di idee avanzate, come la necessità di «liberare» i malati favorendo l’espressione dei loro istinti56. Il conflitto allegorico interno è espresso dai nomi, Law, il vescovo, e Wright, il detective, che significano «legge» e «diritto». Non più di un pannello drammatico, benché fosse salutato come pionieristico per l’abbattimento della barriera tra palcoscenico e platea e per far salire in scena membri del pubblico, è The Dance of Death57, commissionato da R. Doone per il Group Theatre58 e rappresentato nel 1934 e nel 1935. È l’allegoria del decesso della borghesia recitato nelle forme del cabaret e della pantomima. 7. The Chase59 (1934), del solo Auden, fu rielaborato come The Dog Beneath the Skin60 da Auden e Isherwood, e divenne in quella forma il primo dei due più noti 50 MENDELSON 1983, 49, collega il nome del protagonista a «now», intendendo che Nower vuole vivere ora e non più nel passato, è l’uomo del qui e ora e pronto ad operare e a trasformare; ma la suggestione onomastica non cambia. Se si privilegia questa pista la pronuncia del nome, che potrebbe essere tanto ['nouə] che ['nauə], è la seconda. 51 I nemici del vescovo, o muori quando lo dirò io. 52 Questo spettro sarebbe diventato Nick Shadow in The Rake’s Progress stravinskijano. 53 Lo stesso denunciato in The Orators. 54 Anche se l’idea è stata detta ricavata più direttamente da un film tedesco del 1926 (MENDELSON, introd. al vol. III delle opere, XVIII). 55 I ricorsi verbali permettono di identificare questo direttore del riformatorio come la voce che parla agli studenti radunati nella prima parte di The Orators: entrambi arringano gli allievi contro i «rotters» [«mascalzoni»] e gli «slackers» [«fannulloni»]. 56 Lane era allievo di John Layard, la cui idea era che i desideri nell’uomo fossero naturali e da assecondare, e che peccato significava solo disobbedienza alla «natura interiore», e la malattia aveva un’origine psicosomatica. 57 La danza della morte. 58 Non certo una «piccola, semidilettantesca formazione teatrale londinese» (M. D’AMICO, Dieci secoli di teatro inglese 970-1980, Milano 19872, 369), bensì un’iniziativa di notevole importanza, nata per portare in scena e far conoscere il fermento drammatico inglese degli anni Trenta. 59 L’inseguimento. 60 Il cane sotto la pelle, che echeggia variandolo un verso dell’eliotiana Whispers of Immortality. Si attribuiscono la parti in prosa a Isherwood, in versi a Auden. Il dramma ebbe vari finali, di cui non possiamo rendere conto, come frutto di un vivace scambio di idee tra i due coautori, come si può leggere in MENDELSON 1983, 277-280. Ci riferiamo qui al testo riportato nel volume dei drammi a cura dello stesso Mendelson.
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