VOCI E SGUARDI NEI RACCONTI DI INIZIAZIONE DELLA NUOVA
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VOCI E SGUARDI NEI RACCONTI DI INIZIAZIONE DELLA NUOVA
TATJANA PERUŠKO VOCI E SGUARDI NEI RACCONTI DI INIZIAZIONE DELLA NUOVA NARRATIVA ITALIANA Tra le principali caratteristiche della cosidetta "giovane narrativa italiana", il gruppo di scrittori e scrittrici non sempre accomunabili sotto un netto divisore poetico, è da segnalare la diffusione della narrativa d'infanzia, non necessariamente dedicata al pubblico giovanile come lo era invece il primo romanzo di Enrico Brizzi o di altri esordienti nell'ambito del progetto tondelliano intitolato “Under 25”. Si tratta di opere che, pur richiamando il genere del romanzo di formazione, lo smentiscono: strutturalmente - perchè la narrazione della formazione sentimentale, sociale o morale dei personaggi avviene nell’ambito di uno o piu racconti distinti, e tematicamente - perchè i loro protagonisti, invece di raggiungere la maturità o l’inserimento sociale, raggiungono prevalentemente la morte. L’educazione sentimentale e sociale assume spesso nella narrativa italiana contemporanea la forma dell’iniziazione. Per esempio, il primo e controverso romanzo di Simona Vinci Dei bambini non si sa niente tratta l'iniziazione sessuale che si trasforma gradualmente in iniziazione alla patologia sessuale, alla perversione, alla morte. L'iniziazione raccontata da Tiziano Scarpa nel racconto antologico Madrigale è sentimentale ed esistenziale nel senso lato della parola, ma l'atteggiamento dell'autore è parodico sia rispetto al vero e proprio bildungsroman che rispetto a certe canoniche iniziazioni nella letteratura italiana. I personaggi infantili di Niccolò Ammaniti nel suo romanzo Io non ho paura sono sottoposti all'iniziazione morale, particolare perchè conseguita tramite l'immedesimazione del protagonista con gli eroi massmediatici, l’unica possibile in un mondo in cui i valori tradizionali sono dispersi. Un simile appiglio ideologico-morale è proposto da Aldo Nove, sia nel romanzo di iniziazione sentimentale, Amore mio infinito, sia nei racconti che disegnano diverse tappe dell'iniziazione sentimental-esistenziale del narratore autodiegetico, nella raccolta La più grande balena morta della Lombardia. 116 I testi che mi propongo di affrontare sono costruiti in modo che la narrazione delle esperienze infantili sia affidata alla voce del narratore autodiegetico (il protagonista diventato adulto), ma condotta da un punto di vista prevalentemente infantile (prevale la focalizzazione interna). Dal punto di vista narratologico1, la scelta della persona grammaticale rappresenta un aspetto importante della narrazione e altrettanto importante risulta il "carattere" del narratore, della voce narrante. La voce narrante è uno degli elementi principali nella costruzione del racconto. Da questo punto di vista il fatto che la storia viene raccontata da una voce adulta, ma che essa, raccontandola, assume il punto di vista infantile, è certamente decisiva per lo sviluppo del racconto. Perciò mi propongo di osservare in che misura la focalizzazione interna infantile agisce sull'enunciato, sul linguaggio della narrazione, e in che misura determina la voce narrante. Simona Vinci: voci e sguardi di adulti e bambini Il romanzo Dei bambini non si sa niente è un romanzo breve, raccontato da un narratore eterodiegetico che alterna l’onniscienza con la focalizzazione interna, accordando il proprio sguardo con quello dei personaggi infantili e adolescenziali, soprattutto con lo sguardo di Martina, la protagonista-testimone della vicenda. Ma la voce del narratore extra- ed eterodiegetico, non si adatta alla focalizzazione; semmai, va segnalata una "contaminazione" focalizzante in direzione opposta nel romanzo. La voce narrante, anche quando esprime quello che vedono e sentono i protagonisti minorenni, mantiene prevalentemente il punto di vista extradiegetico, che giustifica l’uso delle delicate perifrasi di tutta una serie di concetti appartenenti al campo semantico del sesso: 1 Vedi il recente compendio narratologico di H. Porter Abbott (2003). 117 A Matteo era successo la prima volta che si era chinato tra le cosce aperte delle due bambine per guardare la Cosa da vicino. All'inizio c'era rimasto male. Era molto diverso da come se l'immaginava, sulle fotografie faceva un'impressione diversa. Da vicino, quell'architettura misteriosa di carne che si chiudeva e si apriva con fessure e buchini nascosti e avvallamenti e curve e rigonfiamenti, a strati, gli era sembrata mostruosa. (...) I corpi non sono come le stanze, non restano quasi mai tracce evidenti del passaggio di qualcuno, però è la stessa cosa, anche senza lividi, o ferite, resta l'odore attaccato, il sudore mescolato, i segni dei baci, il sesso che si gonfia (Vinci 1997:64) Si tratta, nel romanzo della Vinci, di una precisa scelta stilisticolinguistica motivata dal contrasto che si vuole ottenere tra l'innocenza e ingenuità originaria dei piccoli protagonisti e la brutalità dei loro atti. La detta opposizione si manifesta anche come il contrasto tra il dire e il fare: quando a metà del romanzo, questo gruppo dei bambini che dedicano il loro tempo libero alle sperimentazioni sessuali che raggiungono l'estremo, il dolore e la morte, gioca facendo una lezione sulle parole sconce, il loro atteggiamento oscilla dall'assoluta ripugnanza femminile all'ingenua provocazione maschile (ivi:81-82). Il linguaggio assume in questo caso la funzione del rappresentante della parte infantile dei personaggi-bambini, portando contemporaneamente in maggior risalto la perversione dei loro atti strumentalizzati dagli adulti. Altrove invece l’autrice segnala la differenza tra l’istinto, ossia le reazioni meccaniche del corpo stimolato e la loro verbalizzazione richiesta dal tentativo di “insegnare il proprio corpo a qualcuno”(ivi:92). Le cose e i gesti che “non avevano nessun nome, invece, mentre li spiegavano agli altri, diventavano costruzioni sensate” (ibidem). In questo afflusso del senso, positivo nel senso propedeutico, il linguaggio può diventare lo strumento di forza: lo dimostrano le tappe successive della loro sperimentazione. Simili intenzioni stanno alla base della sostenuta e callibrata delicatezza con cui la voce narrante descrive gli atti sessuali espliciti: un linguaggio allusivo, perfirastico e spesso poetico serve certamente 118 ad aumentare il contrasto, ma riesce pure a creare un'atmosfera trasognata in cui il male e lo “schifo” che "c'erano semplicemente" possono coesistere con il bello, cioè istintivo della loro esperienza. Molto più interessante dal punto di vista narratologico, anche se l’evento narrato riguarda il trauma infantile e non tanto i riti o atti iniziatici, mi sembra il racconto In viaggio con le scarpe rosse2 della Vinci. La narrazione è affidata a due voci distinte. La prima appartiene alla madre e la seconda a un “io” doppio, plurivoco, delle due gemelle tredicenni che la madre italiana ha avuto nel suo primo matrimonio con un italiano. È il racconto di un trauma famigliare narrato in forma del flaschback allusivo, realizzato tramite le osservazioni delle voci narranti durante il comune viaggio in aereo che da Grecia vola per l’Italia. Il racconto è strutturato come un susseguirsi delle due narrazioni e due esperienze diverse, che rivelano al lettore i particolari tragici di un quadro di famiglia. Ogni capitoletto del racconto aggiunge nuove informazioni sulla vita di famiglia che precedeva il viaggio.Anche se le voci appartengono alla madre e alle due figlie gemelle, la loro narrazione mette sempre più a fuoco la figura della terza figlia, avuta con il padre greco. È la piccola Miou che ha quattro anni e che nel racconto non “smette mai di piangere”. Il culmine dei ricordi è segnato dall'evento chiave, dalla morte del padre di Miou. Siccome la madre ignora le circostanze di questo fatto tragico, la loro esposizione è affidata alle due gemelle. Ma l’evento centrale rappresenta un culmine ormai superato, attenuato dalla struttura frammentaria della narrazione e trasformato in ricordo e trauma - ne è la testimonianza il “ritornello” del racconto, il pianto ostentato della piccola sorellastra, che interseca le due narrazioni. L'alternarsi delle due voci (la seconda delle quali è in realtà una doppia voce, in quanto racconta in prima persona plurale) non è accompagnato da segnali paratestuali. Il racconto è diviso in molti capitoli brevi e il passaggio dalla voce della madre a quella delle due gemelle non è graficamente segnato. Il lettore però può notare facilmente due linguaggi diversi, due modi di esprimersi diversi: rassegnato e meditativo quello della madre, lessicalmente e sintaticamente regressivo quello delle due gemelle. 2 Pubblicato nella raccolta In tutti i sensi come l'amore, Einaudi, Torino,1999. 119 Il marito della mamma non è nostro padre. Però è il padre di Miou. Nostro padre era italiano anche lui, poi un giorno ha lasciato la mamma e si è messo con un’altra ragazza. Noi eravamo ancora piccole. Non ci ricordiamo niente. Lui adesso abita lontano. Non lo sappiamo dove. Forse ha fatto degli altri bambini. A noi non interessa. Andremo in una scuola nuova dove vanno anche i nostri cugini. Ci compreremo dei rollerblade e faremo la permanente. Sono belli i capelli ricci. Ricci come quelli di Miou. Sono l’unica cosa bella che ha. Guardo dall’oblò cercando di non sporgermi troppo in avanti per non far cadere Miou dalle ginocchia. Adesso si vede solo mare. Mare azzurro cupo e verde smeraldo: due zone alternate che non si mescolano ma si stagliano nette l’una contro l’altra. Penso che più mare metto tra me e quella città, più il dolore si allontanerà. Tutti i ricordi voleranno via come i brandelli di nuvole che restano dietro l’aereo, dopo che il suo muso aguzzo le ha sfondate, passandoci in mezzo incurante. Brandelli di nuvole. Vapore. (Vinci 1999:188-189) Si tratta, nella narrazione delle gemelle, di un’ulteriore semplificazione rispetto alla brevità e semplicità sintattica che distingue il discorso narrativo di Simona Vinci. È in atto, in questo caso, un impoverimento dovuto alla descrittività “regressiva” e al tono prevalentemente dichiarativo, tipici del linguaggio infantile a metà strada tra scritto e parlato. Quando il discorso degli adulti prevale, "contamindo" il loro linguaggio infantile, il prestito viene marcato: Gli strilli di Miou sono acuti e strazianti come il suono delle sirene, come i colpi di clacson giù in strada. Sono asciutti e secchi, senza lacrime. Piange asciutto, Miou. Come la disperazione nera. Noi abbiamo tredici anni, e Miou soltanto quattro. Che ne sa Miou della disperazione nera che noi leggiamo nei libri di scuola dove si parla della guerra? Ma questo discorso non c'entra niente: se Miou è troppo piccola, mica è colpa sua (ivi:184-186)3. A differenza delle espressioni metaforico-liricizzanti della madre, ("Brandelli di nuvole. Vapore".), la disperazione nera delle gemelle ha bisogno di essere spiegata, contestualizzata e deliricizzata. 3 120 In questo caso, la marcazione del prestito effettua il cambiamento semantico e stilistico del discorso: la presunta espressione metaforica si trasforma in citazione e i due registri (adulto e infantile) rimangono distinti. Tiziano Scarpa: la voce della maturità linguistica Diverso è invece il caso del racconto Madrigale4 di Tiziano Scarpa. Per quanto si tratti di un "resoconto" dell’iniziazione al mondo degli adulti, il racconto è strutturato con il dominio completo del narratore autodiegetico (un io adulto che racconta la propria iniziazione) rispetto al personaggio raccontato (il suo alter-ego infantile). Lo scostamento tra le due istanze è esplicito, a cominciare dalle caratteristiche paratestuali: il racconto è diviso in capitoli, ognuno segnato da una lettera dell'alfabeto, da "a" a "zeta", e indietro, da "zeta" a "a". Questo ricorrere all'alfabeto dilata il campo dell'iniziazione esistenziale in direzione linguistica, la quale è introdotta già dall'ambientazione scolastica del racconto e dallo specifico problema linguistico del protagonista: la balbuzie. L'iniziazione esistenziale è condotta sui vari settori reciprocamente collegati. Quello dell’iniziazione sessuale (la quale riguarda però non il protagonista bambino, ma il rapporto tra madre e padre) si riflette a sua volta, in maniera particolarmente significattiva su quello linguistico, ossia, sul tema della lotta personale del protagonista bambino contro la balbuzie. I due settori sono topologicamente accomunati: i rapporti sessuali dei genitori (durante uno di essi è stato concepito il protagonista) hanno luogo sulla lavatrice Rex, e in più, essi avvengono di regola durante il programma di centrifuga. Sarà la stessa lavatrice centrifugante il campo di battaglia dove il protagonista lotterà contro la balbuzie, cogliendo le parole d'amore dei genitori e cercando di riprodurle non balbettando: 4 Pubblicato in Scarpa 1998. 121 La centrifuga sbrigava due mansioni opposte, di volta in volta sbriciolava le parole nella bocca di mia madre e le reincollava nella mia bocca. Ogni volta che si univa in matrimonio con Attilio, mia madre pronunciava spezzoni di parole fracassate dai sussulti della lavatrice Rex, "no nve ni rmi de ntros chi zza mia ddo ssoa tti lios chi zza mia ddo sso sì co sì". Io li stavo ad ascoltare di nascosto, e quando giungeva il mio momento mi accoccolavo in perfetta solitudine contro il fianco della lavatrice, raccoglievo quei brandelli di parole sbranate a morsi da mia madre (Scarpa 1998:59) L'iniziazione linguistica incorpora quella sessuale in quanto le parole della madre, divisa, non solo topologicamente ma anche freudianamente 5 tra il padre e il figlio, oscillano tra due corpi e linguaggi maschili, tra la parola fertile, inseminante del primo - il padre che alla fine del racconto ammutolisce (questo fatto è narrato in prolessi all'inizio del racconto), e la parola balbuziente dell'ultimo - il figlio che infine accetta la propria maturazione con rassegnazione, essendo essa accompagnata da una serie di perdite. Il settore dell’iniziazione linguistica è accompagnato altrettanto da quello sentimentale, dal momento in cui il protagonista si propone di restituire la dignità alla piu sgraziata e umiliata tra le allieve della sua classe: la strabica e mocciosa Margherita Mardegàn. Combattendo contro quel "groviglio di sillabe" che formano il suo nome, il protagonista riuscirà a produrre una balbuziente espressione d'amore, accompagnata dal simbolico gesto d'amore rivolto al fazzolettino sporco della Mardegàn, con cui egli dimostrerà di non ripudiare la sua impurità né la sua umiliazione. La trasformazione della Mardegàn da una che “si mette continuamente a posto ma a posto non si sente mai”, a una che riesce, grazie appunto all’intervento cavalleresco del protagonista, ad inserirsi nel sistema sociale della 5 Lo testimoniano gli interventi narratoriali inseriti dopo ogni uso dell'aggettivo possessivo "mia" in copia con "madre": Attilio ci ha sistemato mia (dillo con parole tue) Attilio ci ha sistemato sopra mia madre"; "E anche mia (non prendertela sempre cosi a cuore) anche mia madre smonta dalla centrifuga tutta spiegazzata e stazzonata"; "…per raffigurare di persona la posizione di mia (considerala una sequenza di parole qualsiasi) la posizione di mia madre… (ivi:53) 122 classe, a trovarvi il proprio posto, ha l’importanza decisiva per il protagonista. La sua entrata nel mondo della funzionalità linguistica e cioè della collettività, è segnata da una serie di sottoprodotti negativi: Margherita Mardegàn cessa di essere l’oggetto del suo amore stilnovistico-cavalleresco, il protagonista abbandona il proprio nome a favore dello pseudonimo (Romolo Rex, che evoca il nome della lavatrice), ed entra nel mondo dell'emicrania, la metafora della sua adolescenziale "cognizione del dolore". Invece di rappresentare il “paradiso terrestre”, tanto bramato all’inizio della lotta iniziatica, il mondo della normalità linguistica e sociale si associa al dolore, alle rinunce e perdite. A cominciare dall’organizzazione sia grafica che temporale, il racconto di Scarpa è caratterizzato dall'egemonia assoluta di un io narratore rispetto all’io personaggio. Essa è evidente soprattutto nella elaborata rettoricità del discorso che evoca gli avvenimenti dell’infanzia: Gli occhiali vorrebbero risucchiarle lo sguardo fuori dal tunnel e spingerlo avanti dritto, fino a sbatterlo sul viso sfegetato della maestra Fornasièr, ma le pupille di Margherita scartano dal binario e deragliano chissà dove, oltre la cattedra e la lavagna, oltre l’orizzonte della carta geografica e della parete, là dove le rette parallele si ingarbugliano e gli arcobaleni si imbullonano al mondo, e il tic delle palpebre di Margherita strizza gli occhi all’infinito in persona. (ivi:65-66) La struttura analessica del racconto e il carattere linguistico della maturazione psicologico-sociale giustificano la scelta enunciativa dell’autore: ormai raggiunta la maturità corrispondente all’entrata del protagonista nel “mondo del mal di testa” e alla liberazione dalla balbuzie, il protagonista non ha più possibilità di ricuperare il proprio idioletto infantile per raccontare le tappe del suo progresso/decesso. 123 Niccolò Ammaniti: il realismo psicologico della narrazione Nel romanzo Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, il tempo della narrazione e il tempo narrato si distinguono chiaramente: distinguiamo un Michele Amitrano adulto - il narratore autodiegetico della storia, e un Michele Amitrano novenne - il personaggio. Ce lo fa notare il narratore stesso, quando all'inizio del romanzo commenta le proprie capacità conoscitive all’età di nove anni: Non avevo l'idea di quanto faceva caldo, uno a nove anni, di gradi centigradi se ne intende poco, ma sapevo che non era normale. Quella maledetta estate del 1978 è rimasta famosa come una delle piu calde del secolo. Da piccolo, sognavo sempre i mostri. E anche ora, da adulto, ogni tanto, mi capita, ma non riesco piu a fregarli, oppure quando commenta alcuni elementi della storia: Perchè lo chiamavamo il Teschio, non me lo ricordo. (Ammaniti 2001:6, 7, 118) Il narratore ammanitiano si presenta come un narratore attendibile: le sue informazioni su altri personaggi e su se stesso non sono da mettere in dubbio. Il suo modo di raccontare si presenta come realistico6 - se per il realismo intendiamo le tecniche della rappresentazione determinate da un particolare "effetto di realtà"7 e da un atteggiamento verosimile dei personaggi8. La storia 6Tenendo conto della fondamentale irriducibilità del testo letterario alla referenzialità, cioè alla rappresentazione mimetica della realtà extratestuale. 7Questo termine barthesiano si riferisce alla collocazione della trama in un contesto che ha riscontri nella realtà fisica, che coincide con le coordinate geografico-temporali del mondo reale dell'autore – lettore. Inoltre, in questo tipo di testi, il tempo degli eventi è accuratamente determinato e l’universo della trama è descritto in modo che si stabilisca un'isotopia referenziale, o più precisamente, un'illusione della referenzialità. 8Quest’ultimo si basa sulla nozione che il lettore o la sua collettività hanno della psicologia umana. Le recenti teorie del mimetismo ribadiscono che i testi realistici 124 ammanitiana avviene durante “quella maledetta estate del 1978”, ad Acqua Traverse, un piccolo borgo sperduto, inventato ma perfettamente verosimile, grazie alla sua ambientazione spaziale, temporale e sociale. Altrettanto è verosimile l'atteggiamento dei suoi personaggi: le fondamenta dell’iniziazione morale di cui sarà protagonista il personaggio ammanitiano sono presenti già nell’atteggiamento morale che egli assume di fronte ad altri compagni di gioco all'inizio del romanzo. Il punto temporale dal quale il narratore espone il suo enunciato nel romanzo, appartiene al suo periodo adulto. Il narratore autodiegetico di questo romanzo di formazione non è un bambino9: il narratore si distingue dal personaggio - lui stesso da piccolo - per l'esperienza accresciuta, per la maggior consapevolezza o semplicemente perchè sa "come era andata a finire la storia". Ciò nonostante, la narrazione di questo narratore autodiegetico è altrettanto focalizzata su quell'altro "io", sul personaggio del bambino novenne. Quindi, l'effetto di realtà in questo caso deve adattarsi alle specifiche circostanze della realtà infantile. Il realismo nel romanzo ammanitiano si adatta alla particolare visuale percettiva del personaggio infantile che guarda e giudica il mondo degli adulti diventatogli improvvisamente estraneo sia per la sua incomprensibilità che per l'errosione morale che vi è avvenuta. A questa particolare angolatura sono dovute alcune descrizioni grottesche e stranianti nel romanzo: "Erano seduti a tavola. (...) Fumavano. Avevano le facce rosse e stanche e gli occhi piccoli piccoli"10. sono quelli che ri-presentano la realtà finzionale che riflette iconologicamente la nostra immagine o la nostra concezione di cosa sia “reale”. Essa provviene dai cliché, della prevedibilità del logico e verosimile. (v. Fludernik 2002) 9 Si tratta di una situazione molto frequente nei testi autodiegetici di stampo biografico/diaristico (vedi per esempio La coscienza di Zeno di Svevo). 10 Ibidem, p. 87. 125 "Sergio Matera era magro. Con la testa pelata. Sopra le orecchie gli crescevano dei capelli giallastri e radi che teneva raccolti in una coda. Aveva il naso lungo, gli occhi infossati e la barba, bianca, di almeno un paio di giorni, gli macchiava le guance incavate. Le sopracciglia lunghe e biondicce sembravano ciuffi di peli incollati sulla fronte. Il collo era grinzoso, a chiazze, come se glielo avessero sbiancato con la candeggina. Indossava un completo azzurro e una camicia di seta marrone. Un paio di occhiali d'oro gli poggiavano sulla pelata lucida. E una catena d'oro con un sole spuntava fra i peli del petto. Al polso portava un orologio d'oro massiccio (ivi:88) La descrizione caricaturale, talvolta fumettistica dei personaggi adulti fa parte dello straniamento prodotto dallo sguardo infantile, incline a fantasticizzare il reale e a deformare i lineamenti degli antagonisti. Essa quindi non solo non compromette l'attendibilità del narratore, bensì, paradossalmente, le contribuisce, essendo egli un narratore per definizione inesperto e soggettivo nel giudicare gli altri. In altre parole, il narratore infantile è attendibile anche - o appunto perchè il suo sguardo è straniante, e questo rientra tra i suoi tratti fondamentali. Ciò nonostante, spostando la nostra attenzione dallo sguardo alla voce del narratore, osserviamo come il punto di vista del narratore di regola sopprime la presenza linguistica del personaggio, ossia dell'alter ego infantile. Ammaniti ha scelto un linguaggio narrativo normalizzato, standardizzato. Chi parla nel romanzo è un adulto e il suo idioletto puo vantare qualche episodica "trasgressione" linguistica tipica del parlato, insufficente per evocare l'idioletto infantile vero e proprio: Nunzio non era un pazzo cattivo, ma io non lo potevo guardare. Avevo paura che mi mischiava la sua follia. Nunzio si strapava i capelli con le mani e se li mangiava. In testa era tutto buchi e croste e sbavava. Sua madre gli metteva un cappello e i guanti così non si strappava i capelli, ma lui aveva cominciato a mordersi a sangue le braccia. Alla fine lo avevano preso e lo avevano portato al manicomio. Io ero stato felice. (ivi:71) 126 Oppure: Forse io e lui eravamo gemelli. Eravamo alti uguale e sembrava che avevamo la stessa età. (ivi:72) Sono questi i momenti in cui lo sguardo infantile agisce maggiormente sull'istanza narrante, provocando un lieve abbassamento linguistico. Eccetto questi casi isolati, il narratore non valica i confini di una narrazione "realistica", che però non tende al mimetismo linguistico. Aldo Nove: lo sperimentalismo linguistico delle memorie infantili La soluzione linguistico-narrativa di Ammaniti risulta “standardizzante” soprattutto se la paragoniamo alla voce narrante nei racconti recenti di Aldo Nove. Recensendo la raccolta intitolata La più grande balena morta della Lombardia, M. Belpoliti osserva: "Rare sono le apparizioni dei romanzi d'infanzia nella nostra letteratura. Non dei romanzi che raccontano quell'età della vita, ma proprio dei racconti che usano le parole dell'infanzia per narrarla" (Belpoliti 2004). Nata dalla distinzione chatmaniana tra la storia e il discorso, la sua osservazione implica che il racconto dell’infanzia non comporta necessariamente l’uso del linguaggio infantile. Anzi, i casi esaminati (escluso il racconto citato della Vinci) ne sono la miglior conferma, perchè nonostante la tematizzazione dell’infanzia e la scelta dei bambini come protagonisti del racconto, la narrazione è affidata al narratore adulto che usa il linguaggio “adulto” per narrare la propria esperienza infantile. Singolare nella raccolta di Nove sembra appunto la concordanza tra la narrazione affidata al narratore autodiegetico, focalizzata prevalentemente sul punto di vista del protagonista (un bambino di circa dieci anni, dal nome Anto) e un enunciato che si adegua al punto di vista del protagonista mimetizzandone il linguaggio infantile. Questi tre elementi - la scelta della prima persona grammaticale per l'istanza narrante, la focalizzazione interna sull'alter ego infantile del narratore e la scelta del linguaggio 127 (idioletto) del narratore che è determinata appunto dalla focalizzazione interna – costituiscono la principale novità dei racconti di Nove. Il narratore adulto in Nove palesa raramente la propria posizione temporale e conoscitiva. Lo fa in maniera sporadica nei commenti metanarrativi: "Ma non divaghiamo adesso"11, in alcuni commenti diegetici: "Pioveva forte, avevo dieci anni e una tremenda voglia di rinascere in un mondo diverso da questo" (Nove 2004:26), oppure quando durante la descrizione di quanto è avvenuto “a dicembre del 1974 a Viggiù” gli “sfugge” il riferimento alla propria contemporaneità: Nel cielo c'erano strisce colorate di tutti i tipi, frammenti di magma incandescente srotolati come all'interno di quelle palline di gomma da un euro che ci sono nei grandi centri commerciali di tutto il mondo, nelle macchinette assieme alle palline con il cuoricino o quelle con la carta da gioco, e anche il cielo faceva un effetto come di cinemascope, di mancanza totale di infinito12. Altrove prevale nel discorso narrativo la regressione infantile che accompagna la dominante focalizzazione interna sul personaggiobambino. I critici13 hanno già rilevato questo suo tentativo di ricostruire un parlato infantile, sottolineando la forte presenza delle espressioni deittiche (soprattutto spaziali e temporali come, ad esempio, gli avverbi "questo", "ora" "quello" ecc.), l'assenza (in certi passi quasi assoluta) della punteggiatura e un generale impoverimento lessicale e sintattico. A questi esempi vanno aggiunte più gravi “lesioni” grammaticali, come per esempio nel racconto L’elastico dell’angelo custode, dove accanto la mancanza della punteggiatura nei singoli frammenti e la conseguente asintatticità del discorso, troviamo esempi di sgrammaticatura più grave, tipica del parlato infantile: Aldo Nove, da Un giornalino del terrore, in Nove 2004:25. Da Una vera mancanza d’infinito, in Nove 2004:19. 13 Ibidem. Sono da vedere pure: Cortellessa 2004; Guglielmi 2004. 11 12 128 Comunque quella notte dovevo arrangiarmi da solo con il mio problema del pediatra enuresi, ma quello che è successo non lo racconto perchè mi vergogno troppo ho detto a Andrea a Corrado e loro mi hanno detto non vale. (…) E l’angelo custode mi ha detto un’idea (…) Era un elastico azzuro e c’era. (Nove 2004:66) Oppure, altrove: Il maniaco di via del Roncolino è incominciato verso luglio 1976 avveva i capelli rossi ed era molto basso…”14 Ugualmente ho pensato quando nello spazio si ferisce da solo se hanno ragione mia nonna e la vecchia cavallo Superman si mette delle erbe che gli consentono un controllo delle città del mondo senza la sciatica o il fuoco di Sant’Antonio”15. In tutti gli esempi citati troviamo espedienti usati in funzione di mimesi linguistica, atti a "riprodurre" il pensiero e linguaggio di un novenne nella finzione narrativa. Ma accanto alla mimesi del linguaggio infantile, il discorso narrativo di Nove appare spesso determinato da un'organizzazione lirica del discorso narrativo che comprende: - ripetizioni anaforiche: Quel gatto lo aveva già visto. /Era sbagliato./ Era un gatto tutto spelacchiato. /Era un gatto magrissimo. /Si capiva che doveva morire. /Se era una trasmissione lo toglievano. /Se era una macchina lo rottamavano. /Se era un amico lo scacciavano dall’oratorio16. Da Due fatti del luglio, in Nove 2004:93. Da Superman e il fuoco di Sant’Antonio, in Nove 2004:125. 16 Da Il gatto orrendo, in Nove 2004:52-53. L'uso dell'anafora è molto diffuso nei racconti della Balena, talvolta racconti interi sono strutturati a modo che prevalga l'rganizzazione anaforica: è il caso del racconto La ciminiera. Si vedano altrettanto i racconti Ufo, Zia Nella, Alla fine di Diabolik. 14 15 129 - l'introduzione delle rime nel discorso narrativo nel quale i nessi logico-temporali sono gia sciolti, resi instabili dalla mancanza della punteggiatura: E anche il mondo del padre di Dio è esploso e anche Dio a giocare con il pentolino del tempo ha tirato fuori la materia dalla scatola l’energia ha scaldato i gas cosmici ha accelerato le particelle elettroni e protoni dappertutto sono esplosi andando alla deriva progressiva attraverso i millenni nascevano galassie a precipizio e nell’orbita di una stella io ruotavo dentro mia madre crescevo inconsapevole di tutto attraversato da migliaia di fotoni in via Buzzi Leone 36 a Viggiù in provincia di Varese vicino alla Svizzera mia mamma secerneva ossitocina / nella cervice uterina”17. - sezioni narrative o interi componimenti strutturati per asindeto o polisindeto: Dentro la scatola c’era l’universo da scaldare e dei piccoli cristalli di sale con dentro i pianeti e le aurore e il pentolino del tempo col fuoco, e i raggi di luce. / E Dio li ha presi tutti per giocare ma Dio non era capace. / Ed è esploso tutto all’inizio ci fu l’Incendio Universale”18. In quest'ultimo caso non si tratta di un „polisindetonismo“ infantile semplice. La sintassi polisindetonica è motivata pure dal riferimento al linguaggio biblico in corrispondenza con il tema del racconto che in forma di mito parodico descrive la genesi del mondo umano e quello del protagonista. Similmente, nel micro-racconto Grande religione occidentale, la struttura - prima polisindetica e poi asindetica - dei due capitoli finali19 fa parte dell'organizzazione lirica Da Il Piccolo Chimico Universale, in Nove 2004:91. Ivi: 90. 19“Il silenzio si ingrandisce, è pieno come un uovo della storia di Gesù Cristo, il sole, è rosso. Dal rosso del sole escono tutti i giorni che devono ancora arrivare dopo la morte, se devono arrivare, come un’esplosione di pianeti, quando suonano le campane, e quello che le nuvole portano via. Le nuvole portano via tutto, c’è un pettirosso, io ho un fazzoletto che mi ha regalato mia nonna, passo veloce pensando alle cose normali”. (Ivi: 92) 17 18 130 che fuoriesce dalla semplice ricostruzione di un episodio d'infanzia, dando voce a un'istanza lirica extradiegetica. Esempi di questo genere non sono rari nella raccolta di Nove e si intrecciano con molta naturalezza con il parlato infantile che domina nella narrazione. Ciò si spiega con il fatto che il parlato infantile stesso non è frutto della semplice mimesi linguistica, bensì risultato dello sperimentalismo linguistico di tipo regressivo tipico di quest'autore che con i suoi primi racconti si era già inserito in una marcata tradizione italiana neo- e post-neoavanguardistica della cosidetta narrazione con "visione ridotta" o "visione dal basso"20. Già nei racconti di Superwoobinda, preferendo ridurre la letterarietà del discorso narrativo, Nove ha usato un linguaggio ridotto, piuttosto orientato verso il basso che verso la pluralità linguistica. Il punto di vista basso, anzi bassissimo (in corrispondenza con il "pensiero debolissimo" incarnato dai suoi personaggi) era determinato in Superwoobinda dalla patologia del quotidiano italiano. Già per questi primi racconti, è stato osservato che "in realtà ciò che appare spontaneo, naïf, effimero o peggio ancora (...) distratto, incolto, popolaresco, è invece frutto di un'attenzione calibratissima, maniacale, liricheggiante verso i meccanismi della scrittura" (Michelone 1998). Nove è riuscito a tradurre “a livello di sintassi e di lessico” un suo giudizio drastico “su quest’umanità senza spessore, individualità, cultura, senza memoria né creatività, risucchiata nelle sabbie mobili dello sperpero, nel vortice della volgarità televisiva… (Senardi 2000:249)21. La regressione linguistica programmata e ricercata di Aldo Nove, si è dimostrata rappresentativa per la “giovane” narrativa italiana degli anni novanta: 20 Vedi il testo “programmatico” di Renato Barilli (Gruppo 1965). Questo di Fulvio Senardi è uno dei primi saggi critici sulla giovane narrativa italiana, che non si limita a valorizzare complessivamente il fenomeno del gruppo, bensì offre un'accurata analisi dello stile narrativo dei singoli autori, soprattutto Covacich e Nove. Il criterio dell'imperativo etico che il critico impone alla letteratura determina le sue scelte e spiega in parte il sorprendente giudizio negativo sul primo romanzo di T. Scarpa, Occhi sulla Graticola (vedi Senardi 2000:220). 21 131 In realtà, a un’analisi approfondita scopriamo che si tratta di una lingua che possiede un codice molto rigoroso; tutt’altro che afasica, anche ricca e con una sua complessità, che rispecchia una fase diversa, nuova appunto, della storia della lingua italiana. È una neolingua che corrisponde a una neo-televisione propria dei giovani e non solo. È una lingua che ha una bulimia della parola (tante, a volte troppe) e un’anoressia della sintassi (quasi azzerata) (Mondello in Mascheroni 2004). La sintassi “anoressica” di Nove, motivata nella prima raccolta dall’immersione nei rifiuti linguistici, perfettamente idonei a rappresentare ed esprimere le zone basse di una realtà degradata, colonizzata dai media, nella sua recente versione infantile si apre ad altri generi del discorso. Nonostante il fatto che il narratore assuma prevalentemente il punto di vista infantile, nei racconti della Balena è facile identificare la mente organizzatore dell'autore implicito che costruisce, taglia, collega, aggiunge frammenti di cronaca giornalistica o ne imita le formule tipiche22, inserisce versi delle canzoni, cita trasmissioni televisive, messaggi promozionali – estraniando, tramite questi riferimenti intermediali e merceologici, il "materiale della memoria". Nonostante lo stranimento, dovuto sia alla ricostruzione dello sguardo infantile, sia alla ripresa dei contenuti e linguaggi di una nuova realtà che nei decenni successivi si è impadronita non solo del piccolo mondo viggiuiano bensi dell’Italia intera, il protagonista di Nove riesce ad esprimere giudizi su certi fenomeni televisivi e massmediatici. Lo fa dal punto di vista di un novenne, appena iniziato, insieme alla societa italiana intera, al mondo della futura ipnosi televisiva. Mentre il tempo della narrazione (quella di "un euro"), appartiene all'età dei simulacrum e della iperrealtà23, segnata dalla presenza cronica, endemica e virale del media nella realtà, nel tempo narrato il virus è appena cominciato a diffondersi. Il fanciullo di Nove subisce i primi effetti conoscitivi dell’iniziazione alla futura iperrealtà. Se dei telegiornali e dei 22 Per il riferimento alla cronaca nera vedi tra l’altro: Omino Bialetti, Il mondo della droga, La figurina. 23 Sono i termini di J. Baudrillard (1988, in trad. croata Simulakre i simulacije, in "Quorum" 6 (1990), 2-3(30) ; str. 550-566). 132 documentari si può ancora apprezzare la funzione informativa (in quanto fanno conoscere l’olocausto, i bambini del Biafra, Madre Teresa di Calcutta ed altro), bisogna altrettanto essere in grado di riconoscerne gli intenti ideologici (come quando il piccolo spettatore viene avvertito del Male impersonato in certi personaggi “diabolici” come Enzo Tortora o Toni Negri24). Anche quando il fanciullino novenne cade vittima della propaganda ideologica trasmessagli dallo schermo (“Io sapevo che Minniti diceva sempre delle palle ma quella notte non riuscivo a dormire mi sembrava di vedere alla finestra Toni Negri“ (Nove 2004:15)) o dichiara la propria incomprensione riguardo alle leggi dell’universo (“E non ho mai capito perchè quel giorno hanno arrestato Enzo Tortora, non ho mai capito cosa sono tutti questi mondi che ha detto l’extraterrestre, e l’esistenza delle persone nel mio paese, e negli altri paesi della Terra“(ivi:18)), l’atto stesso della loro messa in scena dal narratore adulto è segno della sua presa di coscienza, espressa con valenze programmatiche nella dichiarazione che chiude simbolicamente la raccolta ed è dedicata al tema della guerra: In mezzo c’era una strega che diceva che era la luce della gloria, era la luce della libertà e della vita, della pace ma quella era una strega che non capiva niente, e le usciva il sangue della bocca ma solo io capivo. /Lei era un vortice da dove venivano i pensieri di tutte le guerre, e dove tutti i pensieri della guerra finiscono. /Lei era più potente di Dio. /E diceva di essere Dio. /E che esisteva da sempre. / E che esisterà per sempre perchè. / Prima che finisse mi sono svegliato. / Prima che mi svegliassi ho capito. / Di non dire mai ai grandi. / Quello che i bambini sognano. /E le streghe. / Che per sempre. / Al posto di Dio. / Prendono il suo nome. / E dicono. (Nove 2004:177) La dimensione politica è esplicita nei racconti su questi due personaggi storici, protagonisti della vita politica italiana degli anni ’70 e ’80. 24 133 Anche quando, immedesimandosi con il piccolo mondo viggiuano, richiama il "primitivismo" del fanciullino pascoliano25 che con il suo "linguaggio nativo"26, ingenuo, dice sempre quello che vede come lo vede27, la voce del piccolo protagonista della Balena si appropria di una nuova dimensione: la sua condizione infantile gli permette non solo di percepire, nella sua irazzionalità, il mondo degli adulti in modo alternativo, ma di esprimerne giudizi e stroncature in forma di un discorso asintattico. Nuovo si dimostra altrettanto il "modus operandi" percettivo e poetico del fanciullino viggiuano. L'unione tra la "visione dal basso" e lo "sguardo lirico" o "sublimato" nei racconti della Balena, possono riportarci alla pascoliana teoria della condizione infantile della poesia. È interessante osservare che, se il modo di vedere le cose deve essere quello del fanciullino, affinchè tutti possano riconoscerlo e praticarlo - quindi, un punto in cui vengono cancellati tutti gli elementi che differenziano le persone adulte - questo divisore comune nel fanciullino di Nove è diventato appunto il filtro massmediatico rappresentato dalla sineddoche televisiva28. In altre parole, il racconto dell'iniziazione esistenziale è filtrato prevalentemente dai ricordi massmediatici, soprattutto quelli televisivi, dell’infanzia. La mitologia viggiuiana inizia con la fine di un mondo paradossalmente preadamiano, nel quale lo Zoo di Como e il piccolo protagonista-narratore esistevano già, e allo stesso tempo segna l'inizio di un mondo di ricordi personali (scaturito da quel "nulla assoluto"), rivisitato tramite la filtrazione massmediatica. Oltre a trovare29 “la poesia in ciò che lo circonda”(Pascoli 1946:17), il fanciullino di Nove la trova nelle nuove forme dell’esistenza: spettacolari, “schermiche”, rituali, più reali della realta stessa. Egli si meraviglia e stupisce vedendo, "come per la prima volta", sia la realtà Agli echi pascoliani e leopardiani nei racconti della Balena hanno già accennato i primi recensori del libro (v. Mascheroni 2004). 26 V. Pascoli, Il fanciullino, in Pascoli 1946:15. 27 Ibidem 28Altri media che determinano la percezione e il discorso del protagonista sono i fumetti, la musica pop, i giochini, i giornalini, le riviste porno. 29Il concetto è pascoliano, il suo uso oggi è puramente metaforico. 25 134 che gli è circostante, che la rappresentazione massmediatica30 di essa, che nel “corso dei decenni”31 avrà rivelato le proprie capacità demiurgiche. Le memorie d’infanzia del narratore della Balena risalgono ai tempi quando l’iperrealtà era ancora in forma embrionale32. Amando ciò che “infantilmente” critica33, Aldo Nove ha prodotto un testo poetico-narrativo in cui la meraviglia del fanciullino sa di grottesco e di deforme, il suo stupore e la sua curiosità producono paradossi e la sua prodigiosità è camuffata dall'irrazionalità. 30Perciò il narratore formula un'epigramma che si basa sul paragone esistenzialemassmediatico: “Perchè la vita era come un cartone animato in una videocassetta guardata troppe volte ma non si poteva togliere dalla tele essendo vita reale” (Nove 2004:19). 31Vedi il capitolo Mio nonno nel racconto Sardegna Sardegna, dove si racconta appunto dell’apparizione dei primi televisori nel paese del nonno (Nove 2004:9). 32 “(…) una volta gli uomini credevano che qualcosa fosse vero perchè era apparso sui giornali o in televisione; oggi sappiamo quasi tutti che i media non trasmettono informazioni e la 'verità, che questa non è la loro funzione, ma che invece trasmettono mostri semantici dalle cento teste, fatti di informazioni, divertimento, ideologia, pubblicità, politica, pregiudizi culturali, singoli interessi, ecc“ (Roško 2002:154 (traduzione di chi scrive)). 33Si tratta dell’atteggiamento tipico per questo autore di fronte alle diverse forme della contemporaneità, come il consumismo o il teleidiotismo, gia verificatosi soprattutto nei racconti della Superwoobinda. 135 Bibliografia Ammaniti Baudrillard 2001 1988 Belpoliti 2004 Cortellessa 2004 Fludernik 2002 Gruppo Guglielmi 1965 2004 Mascheroni 2004 Michelone Nove 1998 2004 Pascoli 1946 Porter Habbott 2003 Roško 2002 Scarpa Senardi Vinci 1998 2000 1997 136 N. Ammaniti, Io non ho paura, Torino J. Baudrillard, Selected writings, Polity Press, Cambridge, Oxford, 1988 M. Belpoliti, "Bella prova del Nove", L’Espresso, 12 Aprile 2004 A. Cortellessa, “Infanzia negromantica nel cosmo di Viggiù”, Alias, supplemento de il manifesto, 27 Marzo 2004 M. Fludernik, Towards a "natural" narratology, London; New York, Routledge Gruppo 63 - Il romanzo sperimentale, Milano A. Guglielmi, “Gli orfani di Nove fra luci e strappi”, TuttoLibri, supplemento de La Stampa, 10 Aprile 2004. L. Mascheroni, “Cannibali” e dintorni: il telescrittore ha fatto storia”, Il Giornale, 14 Febbraio 2004. G. Michelone, "Bollettino '900", 1998 A. Nove, La più grande balena morta della Lombardia, Torino G. Pascoli, Prose, Milano H. Porter Abbott, The Cambridge introduction to narrative, Cambridge University Press Z. Roško, Paranoidnije od ljubavi, zabavnije od zla (Più paranoide dell'amore, più divertente del male), 2002 T. Scarpa, Amore ®, Torino F. Senardi, Gli specchi di Narciso, Roma S. Vinci, Dei bambini non si sa niente, Torino