Il pronome loro nell`Italia centro-meridionale e la storia del sistema

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Il pronome loro nell`Italia centro-meridionale e la storia del sistema
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
e la storia del sistema pronominale romanzo*
1. Introduzione
Il progresso della ricerca, in linguistica storica come altrove, non è senza residui.
Questo articolo mira ad eliminarne uno.
Un esempio di progresso, in linguistica romanza, è l’acquisizione della certezza
che il proto-romanzo, nel suo complesso, dové conoscere una fase tricasuale in cui
il paradigma flessivo del nome e del pronome si attestò per un periodo consistente, fra la tarda età imperiale e l’alto Medioevo, lungo il percorso che condusse dal
sistema casuale latino a quello acasuale romanzo moderno. Un esempio di residuo
– quello che costituirà l’oggetto principale della nostra ricerca – è l’opinione vulgata secondo cui le forme pronominali del tipo loro nell’Italia centro-meridiona* Ringrazio Pier Marco Bertinetto, Pietro Dini, Luisa Ferretti Cuomo, Romano Lazzeroni, Ute
Limacher-Riebold, Pietro Maturi, Alberto Mioni, Max Pfister, Massimo Vai, Laura Vanelli,
Alberto Zamboni per avermi aiutato discutendo con me vari aspetti di questo lavoro, così come
ringrazio l’uditorio davanti al quale ho tenuto conferenze su questo tema nel maggio 2001 nelle
università di Udine e Padova ed alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Debbo inoltre a Vittorio
Formentin molti preziosi commenti ad una prima versione dello scritto: gran parte delle idee qui
sviluppate è nata da un costante colloquio scientifico con lui, ormai di lunga data. Debbo infine a
Pietro Beltrami l’accesso ai materiali informatici del TLIO, che hanno reso incomparabilmente più
spedito il lavoro di schedatura di testi antichi di cui, nei paragrafi seguenti, si presentano i risultati.
Per le principali tra le fonti antiche citate ho utilizzato le seguenti abbreviazioni. Romanesco:
Cronica = Cronica di Anonimo romano, ed. Porta 1979; Mir = Miracole de Roma, ed. Monaci
1915; StoTrRm = Storie de Troia et de Roma, ed. Monaci 1920. Napoletano: Bagni N = Bagni di
Pozzuoli, redazione N (ms. XIII-C-37 Bibl. Naz. Napoli), ed. Pèrcopo 1886; Bagni R = Bagni di
Pozzuoli, redazione R (ms. Rossiano 379, Bibl.Apost.Vaticana), ed. Pelaez 1928; LDestTr = «Libro de la destructione de Troya». Volgarizzamento napoletano trecentesco da Guido delle Colonne, ed. De Blasi 1986. Siciliano: Eneas = Istoria di Eneas (La istoria di Eneas vulgarizzata per
Angilu di Capua), ed. Folena 1956; SGreg = Libru de lu dialagu di Sanctu Gregoriu, ed. Santangelo 1933, Panvini 1989 (i rimandi alle pagine, per quest’opera, sono alla prima delle due
edizioni in quanto è quella inclusa nel corpus elettronico interrogato); Spos = Sposizione del
Vangelo della Passione secondo Matteo, ed. Palumbo 1954; ValMax = Libru di Valeriu Maximu
translatatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, ed. Ugolini 1967. Tutte le citazioni sono
corredate di sigla e numero di pagina (ed eventualmente di volume) dell’edizione citata.
Altre abbreviazioni utilizzate nel séguito sono, per le funzioni sintattiche, Obl = obliquo, OD =
oggetto diretto, OI = oggetto indiretto, RF = raddoppiamento fonosintattico, Sogg = soggetto;
oltre a queste, c. = carta, N = nota, v. = verso. Avverto inoltre che nel riportare dati dai dialetti
odierni tratti da lavori altrui ho rispettato le trascrizioni fornite nell’originale. In assenza di indicazione di fonte i dati dialettali provengono da mie inchieste sul campo e sono presentati in trascrizione fonetica IPA. Quanto infine alle forme latine, esse sono riportate in maiuscoletto se considerate come etimi di forme romanze o come espressioni riassuntive per il complesso dei loro esiti
romanzi, ma in corsivo se citate a documentazione del loro uso in latino, classico o medievale.
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le, laddove esse ricorrano nei volgari antichi come nei dialetti odierni, siano da
ascrivere in blocco ad influssi da settentrione, toscani o d’Oltralpe. Quest’opinione, divenuta vulgata attraverso il veicolo degli strumenti di riferimento principali
nel settore (in primis la Grammatica del Rohlfs e la sua lettura dei dati AIS), passa a sua volta in opere anche recenti in cui si analizza il sistema pluricasuale proto-romanzo (v. ad es. la citazione da Dardel 1999:43 al §2.4). Ma a ben vedere essa
ha il suo fondamento concettuale in una fase precedente della storia della ricerca:
una fase in cui, pur riconoscendo che questa o quella forma del nome o del pronome rimontano a casi diversi del latino, non si componevano tali risultanze specifiche in una visione organica relativa al sistema morfo-sintattico proto-romanzo.
Un tipico caso, dunque, in cui la messa a fuoco di singoli alberi (ad es. me o lui, cui
o loro) impediva la visione della foresta.
In questo studio intendo dunque riconsiderare la questione dell’origine delle
forme pronominali centro-meridionali del tipo loro, inserendola debitamente nel
contesto romanzo che le è proprio. E di una riconsiderazione si tratta – sia detto
senza artificio retorico – poiché il mosaico che i paragrafi seguenti comporranno
consiste di tessere tutte quante di per sé già note (attestazioni antiche e moderne
della forma pronominale in questione, nella loro conformazione fonetica e morfologica), con l’aggiunta di poche considerazioni nuove, specie sul fronte della sintassi (e del tutto elementari). Eppure da queste tessere sortirà un mosaico inedito, una riscrittura radicale di un capitolo di morfologia storica italo-romanza.
Il saggio è così articolato. Il §2 è dedicato all’introduzione di alcuni preliminari:
al riepilogo delle funzioni sintattiche di loro nell’italiano odierno (§2.1); ad un quadro delle continuazioni romanze di ill rum e delle interpretazioni correnti circa
il loro sviluppo (§2.2); alla presentazione dell’opinione ormai invalsa circa l’origine delle forme del tipo loro attestate dall’italo-romanzo (§2.3); infine, ad un’esemplificazione delle implicazioni che da quest’opinione vulgata si sono tratte
riguardo alle vicende del sistema pronominale su scala romanza (§2.4). Il §3 analizza gli argomenti che sostanziano l’interpretazione ricevuta, che vuole il tipo loro
non autoctono del Mezzogiorno d’Italia. Al §4 si presenta una prima ricognizione
della documentazione antica, che mostra come loro ricorra nei volgari centro-meridionali sin dalle prime attestazioni. Il §5, infine, che costituisce il nucleo principale del lavoro, presenta una sistematica confutazione dell’opinione corrente e
dimostra che, benché in molti casi siano effettivamente riconoscibili influssi esterni, ad essi non possono esser ridotte tutte le forme italiane centro-meridionali del
tipo loro. Permane un nucleo di dati ineliminabile, in base al quale si deve concludere che in realtà il lat. ill rum si è continuato popolarmente tra le varietà
romanze dell’Italia meridionale continentale.
Un’ultima premessa, relativa al metodo. Un’indagine così concepita comporta
che si prenda in esame una tipologia variegata di materiali e di elementi di prova:
tra le fonti primarie, procedendo a ritroso nel tempo, considereremo le varietà romanze odierne, letterarie e dialettali, i volgari antichi ed infine il latino tardo delle epigrafi d’età imperiale e delle carte alto-medievali. L’insieme di questi ambiti
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costituisce la base empirica per ogni indagine in linguistica diacronica romanza:
non se ne può trascurare alcuna componente, sotto pena di grave incompletezza1.
E come risulterà chiaro nel seguito, una considerazione approfondita di tutte queste categorie di elementi probatori costringe a rigettare l’opinione vulgata e conduce di necessità alle conclusioni che saranno tratte al §7.
2. Preliminari alla discussione
2.1 Classificazione sincronica: loro nell’italiano odierno
Il toscano, e quindi l’italiano standard odierno, conosce la forma pronominale loro
(⬍ ill rum) con le diverse funzioni riepilogate in (1):
(1) a. possessivo, III pers. plur.:
b. pronome personale (tonico), III pers. plur.;
b⬘. oggetto/obliquo:
b⬙. soggetto:
c. clitico OI, III pers. plur.:
casa loro, il loro libro
ho visto proprio loro
parlo a/di/con loro
vengono loro
chiedo loro
Gli usi in (1a) – pronome/aggettivo possessivo2 – e (1b) – pronome personale
tonico, con funzione di oggetto/obliquo ((1b⬘)) o di soggetto ((1b⬙)) – sono stabili
nel sistema sincronico dell’italiano standard (benché in diacronia siano insorti secondo passi successivi e distinti, di cui al §2.2): per il possessivo di III plur. loro è
l’unica forma disponibile nello standard, mentre per il pronome personale è più
largamente usato della forma concorrente essi, limitata allo scritto ed agli usi formali secondo un rapporto in parte parallelo a quello vigente alla III singolare fra
lui/lei ed egli/ella3.
L’uso oggettivo/obliquo di loro precede in diacronia quello soggettivo, documentato comunque, seppur parcamente, fin dai testi delle Origini (cf. oltre, N32),
che è stato a lungo proscritto, a partire dal Fortunio e dal Bembo, nella trattatistica grammaticale sull’italiano. Ma a parte quest’annosa questione, della quale qui
non ci occupiamo limitandoci a rimandare al riepilogo di D’Achille 1990:314s.,
1 Alla completezza bibliografica, invece, è impossibile aspirare vista l’enorme mole di lavoro
che una tradizione di ricerca priva di confronti, in linguistica storica, ha prodotto sullo sviluppo
diacronico latino-romanzo. Delle attestazioni e delle analisi del latino volgare, delle edizioni e dei
commenti linguistici a testi volgari medievali così come delle descrizioni e degli studi sui dialetti odierni e sulle lingue romanze letterarie ci serviremo, di necessità, per campioni.
2 Nel seguito ci riferiremo al loro nella funzione (1a) utilizzando la dizione di «(pronome)
possessivo», e tralasciando la differenza fra l’uso come vero e proprio pronome (il/la loro) e quello come determinante del nome (tradizionalmente, «aggettivo» possessivo: casa loro).
3 Questi ultimi tuttavia, a differenza di essi, sono ristretti alla funzione sintattica di soggetto:
*parlo a egli/ella. In tale funzione, per tutti e tre questi pronomi vale la restrizione dell’impossibilità di ricorrenza postverbale: *arriva egli/ella, *arrivano essi.
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loro ha la normale sintassi di un pronome e non si distingue in ciò dai restanti pronomi tonici delle altre persone.
Diversamente stanno le cose per quello che abbiamo etichettato in (1c) il «clitico» loro, che ha uno statuto particolare rispetto agli altri clitici pronominali oggetto, dai quali diverge per più caratteristiche sintattiche e prosodiche. Dal punto
di vista sintattico, esso ricorre nell’italiano odierno in posizione postverbale nei
tempi e modi in cui i restanti clitici figurano in proclisi (darò loro ascolto di contro
a ti/gli/vi darò ascolto); dal punto di vista prosodico esso è l’unico clitico bisillabo
e dunque dotato di accento autonomo e non costretto – per ragioni fonologiche –
a dipendere dall’accento del verbo4.
Questa sua devianza è senz’altro responsabile della tendenza dell’italiano odierno ad abbandonare loro generalizzando gli: la sostituzione, che corrisponde alla situazione vigente nella maggior parte delle varietà dialettali italiane5, è ammessa
nello standard nel nesso con altri clitici (gliene parlerò, accanto a ne parlerò loro)
ed è ormai generale nell’italiano colloquiale e sempre più si estende allo scritto ed
ai registri formali, anche nel contesto in cui quello di III plurale è l’unico clitico
(gli parlerò, per parlerò loro)6.
Anche in sede di analisi, lo statuto particolare del clitico loro è denso di conseguenze: esiste infatti una nutrita bibliografia in formale formale nella quale si passano in rassegna le proprietà che distinguono loro (nella funzione (1c)) dai restanti
clitici pronominali e se ne propone una spiegazione teorica (cf. ad es. Cardinaletti
1991, Cardinaletti/Starke 1999, Monachesi 1995: §5.2, 1999: cap. 5, Nespor
1999:872-75). Senza riprendere qui in dettaglio l’intricata questione, limitiamoci ad
un aspetto direttamente pertinente per la classificazione funzionale in (1a-c). E’
stato infatti recentemente argomentato che non si possa attribuire al loro la qualifica di «clitico». Così è nell’analisi di Monachesi 1999, che ha per presupposto l’equiparazione dei clitici pronominali italiani (tranne loro) a semplici affissi e del
loro, al contrario, ad una parola lessicalmente autonoma. La diversità di comportamento sintattico è dunque ricondotta ad un’opposizione lessicale, e quest’ultima
è a sua volta ridotta alla distinzione fonologico-prosodica fra monosillabi (atoni)
4 Analogo statuto particolare è proprio del continuatore di ill rum in altre aree romanze:
così «illorum è inserito, dal punto di vista sintattico, fra le forme atone, nel francese e nel provenzale, anche se la forma leur del francese, dal punto di vista fonetico, presenta un trattamento
tonico» (Lausberg 1971/II:158).
5 In Loporcaro 1995a:§3.2 si dà questa coincidenza per assolutamente generale in quanto non
si tiene conto del friulano, in cui invece il clitico OI di III plurale, ur, è distinto da quello di III
singolare, j: ad es. diséi-jur ‘dite loro’, se ur disés ‘se dicessi loro’ di contro a dîj ‘digli/dille’, tu j diséris ‘gli/le diresti’ (cf. Marchetti 21985:211s., Vanelli 1984:122-24).
6 Le due forme sono in concorrenza sin dalle primissime attestazioni del volgare toscano: già
il frammento fiorentino del 1211 ha infatti p(er) livre otto che i de(m)mo 14 accanto a ke de(m)mo
loro 1 (Castellani 1982:23, 25); nel frammento di registro lucchese del 1268 si ha che noi .ve. frari devemo i ‘. . . dobbiamo loro’ (Monaci 21955: n° 128.7), ecc. Questo i, come gli allotropi li, gli,
continua il latino ill s, venuto a coincidenza fonetica col singolare ill in seguito alla caduta di
-s (cf. Rohlfs 1966-69:§463; v. inoltre Sabatini 1985:158 per la secolare coesistenza di loro e gli
nell’italiano letterario antico e moderno).
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e polisillabi (dotati di accento lessicale proprio): «I have tried to relate the
affix/word status to the monosyllabic vs. bisyllabic distinction» (Monachesi
1999:132). Ciò significa, in fin dei conti, che se loro mostra le sue peculiari caratteristiche di distribuzione sintattica è per ragioni di natura esclusivamente fonologica.
L’erroneità di questa concezione si dimostra agevolmente. Monachesi
1999:119-28 enumera infatti minuziosamente le proprietà sintattiche per cui loro
diverge dagli altri clitici (a partire dalla posizione regolarmente postverbale). Resta tuttavia il fatto che loro si comporta come i clitici monosillabici rispetto ad alcuni test sintattici cruciali: non è infatti coordinabile con un sintagma preposizionale con la stessa relazione grammaticale (*Ho parlato loro ed a tuo zio), né può
ricorrere isolatamente, esaurendo un enunciato (– A chi l’hai dato? – *Loro)7.
Quest’ultimo dato, non menzionato da Monachesi, è decisivo. L’impossibilità di ricorrenza in isolamento, che contraddistingue uniformemente tutti i clitici, nel caso
del loro non può essere evidentemente spiegata sul piano meramente fonologico
visto che loro, diversamente da lo, la, gli ecc., è un bisillabo dotato di accento
proprio e non è dunque prosodicamente difettivo. Se ne deve dedurre che la particolarità di loro non è esaustivamente riconducibile alla prosodia: va invece
ricondotta a fattori prettamente sintattici. Dal che possiamo concludere che, pur
tenuto conto della singolarità di loro rispetto agli altri elementi del paradigma dei
clitici pronominali, è legittimo definirlo, sintatticamente, un clitico. Con questa
definizione opereremo dunque nelle pagine seguenti8.
Ciò detto quanto alla caratterizzazione sincronica, veniamo allo sviluppo diacronico di questi diversi loro, che ripercorriamo brevemente al §2.2.
7 Le due proposizioni diventano accettabili sostituendo un sintagma preposizionale che contenga l’omofono pronome tonico: Ho parlato a loro ed a tuo zio; – A chi l’hai dato? – A loro. A
parte l’omofonia, che costituisce la singolarità del loro, per questi aspetti del comportamento sintattico loro ha dunque le proprietà di un clitico.
8 Questa definizione presuppone una distinzione fra clitico fonologico e clitico sintattico, corrente negli studi di linguistica teorica a partire da Zwicky 1977 (cf. anche Berendsen 1986, Corver/Delfitto 1999:850 N18, Nespor 1999:872-75). Adottando questa distinzione, loro ((1c)) può
definirsi un clitico sintattico, non fonologico, mentre i rimanenti membri del paradigma delle particelle pronominali atone sono invece clitici sia fonologici che sintattici (clitici esclusivamente fonologici, non sintattici, sono ad es. gli ausiliari foneticamente ridotti dell’inglese: he’s gone). Una
terminologia alternativa è adottata da Cardinaletti/Starke 1999, che propongono di costituire
il loro in una classe strutturale autonoma di «pronomi deboli», all’interno di una classificazione
tripartita che li oppone da un lato ai pronomi forti (classe costituita da un sottoinsieme dei pronomi personali tonici: loro in (1b) è pronome forte, mentre sono deboli egli, ella, esso, essa) e dall’altro ai clitici. Per i nostri fini presenti questa risistemazione terminologica non è necessaria. Importante è che siano chiaramente distinte le tre categorie in (1a-c) (loro pronome/aggettivo possessivo, loro pronome personale tonico e loro clitico), di cui ci serviremo nel seguito a fini tassonomici.
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2.2. Diacronia: le radici proto-romanze dell’italiano loro
Se etimologicamente è chiaro che il tipo loro rimonta al lat. ill rum, discusso è invece il rapporto storico che intercorre fra loro possessivo ((1a)) e loro pronome
personale, tonico e atono ((1b-c)). Esponiamo dapprima la visione cui qui si aderisce, per poi esaminare al §2.4 alcune proposte alternative.
Delle diverse funzioni di loro distinte in (1a-c), la più antica è quella di pronome/aggettivo possessivo. Essa costituisce una diretta estensione dell’uso sintattico
del genitivo (da pater illorum ‘padre di coloro’ a padre loro)9, che già il latino classico contemplava come espressione grammaticalizzata (affidata al pl. ad eorum
come al singolare ad eius) del possessivo riferito a possessore di III persona distinto dal soggetto della frase principale. L’opposizione fra vident patrem suum ‘vedono il proprio padre’ (relazione di possesso riflessiva) e vident patrem eorum ‘vedono il padre loro’ (= di altri; relazione non riflessiva) è neutralizzata nelle lingue
romanze, ed alla perdita di questa opposizione viene tradizionalmente connessa
l’origine del possessivo loro10. A questa neutralizzazione si accompagna d’altronde – e può anzi averne costituito la spinta funzionale – l’acquisizione di una nuova opposizione fra il possessivo riferito a possessore di III singolare e di III plurale. Un’opposizione che, per la relazione riflessiva, manca al latino classico dove si
ha in entrambi i casi suus (v. ad es. TekavciÛ 1972:183, Lausberg 1971/II:157).
La perdita della distinzione classica fra suus ed illorum è direttamente documentata dal latino della tarda età imperiale, in cui illorum ricorre già nei contesti
sintattici che poi saranno propri dei suoi continuatori romanzi. Così ad es. in Lattanzio, Inst. 2,2,9: verentur ne omnis illorum religio inanis sit (cf. Väänänen
3
1981:124). Simmetricamente, anche suus invade il campo di illorum e di eius (ad
es. illuc quoque sua fama pervenerat, Hier., Vita Hil. 34; meritis suis gratias referre
volui, CIL IX 5417): evidentemente, si è di fronte ad una neutralizzazione che ha
per risultato al singolare la semplice generalizzazione di suus ed al plurale l’inizio
di una concorrenza fra due diverse forme per l’espressione della medesima funzione.
Con queste attestazioni latine collima la ricostruzione che è possibile condurre
in base alla diffusione areale degli esiti neolatini di ill rum in funzione di possessivo di III plurale. La Romània continua lo attesta compattamente: it. casa loro,
romancio (engad.) lur chesa, fr. leur maison, ant. prov. lor caza, cat. llur caza
9 Sulla connessione, sintattica e morfologica, delle due categorie (pronome personale al caso
genitivo e determinante possessivo) non c’è bisogno di diffondersi: in ambito indoeuropeo si ha
spesso piena coincidenza fra le espressioni formali delle due categorie funzionali: cf. in latino il
gen. mei, tui accanto al possessivo meus, tuus, in gotico il gen. meina, peina accanto al possessivo
meins, peins, ecc.
10 Cf. ad es. Bourciez 41946:102: «Vers la fin de l’Empire . . . on disait non seulement filii amant
suum patrem, mais plus généralement encore *filii amant illorum patrem». Lausberg 1971/II:157
postula una fase intermedia con coricorrenza sintagmatica (*sua casa ill rum), in cui ill rum
funge da specificazione aggiuntiva. Si tratta di un’ipotesi accessoria non indispensabile.
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(Lausberg 1971/II:157). Modernamente esso manca allo spagnolo e al portoghese, che mantengono in questa funzione il continuatore di suus: sp. su casa, port. a
sua casa. Ma all’ibero-romanzo medievale esso non era ignoto come mostra, per il
riojano del pieno sec. XI, la Glossa Silense 261: monstruose fingunt: qui tingen lures
faces (Menéndez-Pidal 101986:20). E non è che la prima delle numerose attestazioni spagnole medievali raccolte in Menéndez-Pidal (101986:346-7)11.
Fuori della Romània continua, l’uso di ill rum per la specificazione possessiva
si conserva anche nel rumeno (casa lor; v. §5.3) mentre il sardo attesta un possessivo di III plurale issòro, identico nel procedimento di formazione anche se diverso nel morfema di base, il quale è quello stesso ipse che si continua nel sardo come
isse ‘egli/lui’ e che ha dato origine all’art. deter. su ⬍ ipsum (sulla fonetica di issòro v. oltre il §5.4.1). La testimonianza di queste due aree romanze, periferiche e
precocemente isolate, è decisiva per attribuire una cronologia alta alla formazione di questo possessivo (ill rum con la variante ips rum) e per confermarne dunque l’attribuzione al latino parlato della piena età imperiale12.
Il loro in funzione di pronome personale oggettivo/obliquo e di clitico OI affonda le sue radici, diacronicamente, in una fase di transizione in cui la morfologia
(pro)nominale romanza si era assestata su di un sistema ridotto ma ancora pluricasuale, esito intermedio nel processo di semplificazione della declinazione latina.
Com’è noto, una flessione bicasuale nella morfologia del nome è direttamente
attestata dal gallo-romanzo antico e dal rumeno moderno.Al di fuori di queste due
tradizioni, gli argomenti per la postulazione di una fase pluricasuale sono d’ordine ricostruttivo: coesistenza di forme nominativali e accusativo-oblique (sarto/sartore, uomo/omine ecc.), persistenza residuale di un caso a sé per la specificazione
genitivale fissato in composizione (pettirosso). Da parte di molti, per lungo tempo,
si è teso a negare che la combinazione di questi diversi elementi di prova permettesse di postulare un sistema pluricasuale per il proto-romanzo in quanto tale. La
strategia argomentativa consisteva nell’escludere dalla portata del sistema pluricasuale questa o quell’area romanza. Per citare un solo caso esemplare, la ricogni11 Al pieno sec. XI data le glosse Díaz y Díaz 1978, rivedendo la datazione al secolo precedente del Menéndez-Pidal (cf. anche Hilty 1995-96, 2001:85 per una generale revisione della collocazione storico-culturale dei glossari riojani, entrambi secondo Hilty insorti sul terreno della
riforma cluniacense e dunque non anteriori agli ultimi decenni del sec. XI). Che il lures della
Glossa Silense 261 sia forma non avventizia ma ben acclimatata mostra, fra l’altro, l’accordo al
plurale (v. altri casi romanzi oltre, N44 e §5.3), segno di piena integrazione strutturale. Questo accordo ricorre normalmente anche nelle attestazioni successive del continuatore di ill rum (lur,
lure, lures e, più raramente, lor) riportate per l’aragonese dei secc. XI-XII in Menéndez-Pidal
101986:346-7: ad es. habent illores donnos a. 1063, de lures parentes a. 1097 ecc. Nel sec. XII la forma si trova in documenti di Castiglia, anche qui concordata: ad es. totos lures foros qui habent
scriptos en lur carta . . . et dono eis lures estremos de terminis istis in antea (Soria, a. 1143, da un
editto di Alfonso VII).
12 V. la ricapitolazione di Zamboni 1998a:103s. circa la dibattuta questione della «separazione» del sardo e del rumeno dalla restante area latino-romanza. Straka 1956:254s. indicava, rispettivamente, come termini cronologici il II e il III sec. d.C.
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zione delle carte latine medievali di Aebischer 1961 portava lo studioso a concludere che in Italia e nelle limitrofe aree alpine dai Grigioni al Friuli si fosse imposta molto presto per il plurale dei nomi della II declinazione un’unica forma in -is
(filiis), donde il plurale italiano figli. Tuttavia, tracce della persistenza di una flessione bicasuale si hanno in tutte queste aree: per i Grigioni, depone in tal senso la
conservazione in soprasilvano di una doppia forma dell’aggettivo m. sg. (il bab ei
buns, con -s nell’uso predicativo, di contro a il bien bab, nell’uso attributivo)13; per
il friulano, la coesistenza del plurale con palatalizzazione ([’na:s]/[’na:S] ‘naso,-i’,
[’an]/[’a ] ‘anno,-i’) e di quello sigmatico ([’fu:k]/[’fu:ks] ‘fuoco,-chi’, [’lo:f]/[’lo:fs]
‘lupo,-i’) testimonia la sopravvivenza di due forme di caso, con la successiva specializzazione per i nomi della II declinazione con tema in consonante coronale del
tipo ann ed altrove del tipo foc s (cf. Pellegrini 1975:118, Vanelli 1978).
Il dossier delle sopravvivenze di forme di caso distinte è andato via via ampliandosi14, tanto da render difficile ormai il revocare in dubbio l’attribuzione all’intero proto-romanzo di un sistema ancora pluricasuale nella flessione nominale
e pronominale. La scelta fra il modello bi- o tricasuale dipende dall’ammettere o
meno una distinzione fra obliquo (⬍ genitivo/dativo) e accusativo, questione che
può porsi per la flessione del nome, in quanto nell’ambito del pronome le prove di
una fase a più di due casi sono indubitabili15. Per il pronome personale ne fan fede
13 Accanto a questa opposizione, rifunzionalizzata per l’espressione di una nuova opposizione, resta il relitto costituito dalla doppia forma del nome divino: Roga Diu ‘prega Dio’ & Dieus
seigi ludaus ‘Dio sia lodato’. Sulla ricostruzione del sistema bicasuale romancio v. Schmid 1952,
Linder 1987:251s. (contra Liver 1997).
14 Citiamo ancora un caso eclatante, relativo all’Italia meridionale. Per essa si è a lungo teso
ad escludere la persistenza di un sistema di flessione casuale (cf. ad es. lo studio, basato sulle carte latine, di Sabatini 1965). Ebbene, per l’articolo e per il pronome personale e relativo, residui
di una distinzione flessiva, ancora funzionale in fase tardo-medievale, sono stati messi in luce da
Formentin 1994b, 1996 (v. subito oltre, N15 e §5.2).
15 L’ipotesi di una fase tricasuale comune all’intero proto-romanzo, per la quale va ricordato
in particolare il lavoro di Dardel 1964, è discussa a fondo in alcuni recenti contributi di Alberto
Zamboni 1998a-b, 2000:110s., cui si rimanda per una panoramica bibliografica su questa dibattutissima questione. Zamboni ipotizza anche nella morfologia nominale, per i sostantivi designanti esseri animati, paradigmi tricasuali come i seguenti:
(i)
Sogg
OD
Obl
filio(s)
latro
filiu
latrone
fili(o)
latroni
In area italiana meridionale, delle ipotesi ricostruttive sintetizzate qui in (i) e (2) ha offerto
una riprova documentaria Formentin 1994b, individuando tracce nella flessione dell’articolo e
del pronome personale di III singolare di un’opposizione in/de/cum ill /ips & ad illum/ipsum
nella lingua del volgarizzamento – tardo-trecentesco o del primo Quattrocento, probabilmente
lucano (v. oltre, la N45) – della Regola benedettina tràdito dal cod. cassin. 629, edito da Romano 1990. Pur in presenza di un’oscillazione fra -u ed -o finali, vi si registra una forte prevalen-
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le varietà romanze che conservano tuttora una distinzione di tre diverse forme, pur
con una distribuzione di volta in volta diversa delle funzioni loro spettanti. Così in
rumeno si hanno per il pronome tonico di I e II persona eu, tu (Sogg)/mie, ie
(OI)/(pe) mine, (pe) tine (OD e Obl) (cf. Pop 1948:199-201); in friulano si hanno
jo, tu (Sogg)/a mi, a ti (OI)/me, te (OD e Obl) (cf. Marchetti 41985:209)16. Anche
il sardo (cf. Wagner 1938-39:113-7) presenta ancora oggi per gli stessi pronomi tre
forme distinte. Ad esempio nel logudorese di Bonorva (SS) si hanno: [’dEO], [’tuE]
(Sogg)/[a ’m:iE], [a ’t:iE] OD e OI/[’mE], [’tE] (Obl) con in più, formate originariamente da queste ultime ma ormai fissate come forme autonome, [kum
’me:γuzu], [kun ’te:γuzu] per il comitativo17.
Limitando l’esemplificazione ai pronomi personali al singolare ed alla III plurale, si mostra schematicamente in (2) la composizione del sistema proto-romanzo. Esso comporta la confluenza delle forme di genitivo e dativo (originarie o insorte secondariamente per neoformazione analogica) a veicolare sincreticamente
l’unica funzione di obliquo erede di quelle in precedenza svolte dai casi non retti.
Per la III persona, il sincretismo porta al prevalere della forma dativale nel singolare e della genitivale nel plurale18:
za quantitativa delle forme d’articolo in -u in allu, de lu, con lu ecc., mentre la -o prevale
(26 casi contro 16) nel solo nesso con la preposizione in: ad es. i(n)nello psalmo (c. 1v48). Similmente, nel pronome di III persona si distingue con buona regolarità fra allo s(er)vicio lu qual
è ad isso co(m)mandato (c. 15v11-12) e sia (con)firmata i(n) esso la caritate (c. 16r41-42). L’assoluta mancanza di *ad esso (contro 12 ricorrenze di ad isso) porta Formentin 1994b:111 a
concludere che si abbia qui una continuazione di ad ipsum, con regolare innalzamento metafonetico, mentre esso usato per le restanti funzioni oblique deve rimontare, data l’assenza di
metafonia, ad ips . In altre parole, riguardando allo schema in (i), per l’OI ricorre qui il continuatore dell’accusativo latino (e proto-romanzo) (per l’OD mancano esempi), mentre il continuatore del caso obliquo proto-romanzo, di forma dativale/ablativale, è usato per l’espressione
delle funzioni oblique. Che proprio per l’OI si usi la forma accusativale non stupirà. Infatti,
accanto a varietà romanze che continuano la distribuzione proto-romanza in (2), come il friulano, ve ne sono altre, come il sardo, in cui alle funzioni di OD ed OI compete una medesima
espressione (v. subito oltre, a testo): in sardo, simmetricamente rispetto all’antico lucano, è la
forma dativale che si è estesa all’OD. Tale solidarietà fra queste due funzioni, in opposizione
alle restanti funzioni oblique, sembra più frequentemente osservabile nelle aree in cui l’OD
riceve marca preposizionale convergendo così formalmente con l’OI tonico, come accade sia in
Sardegna che nell’Italia meridionale.
16 Nell’Italia centro-meridionale un residuo di flessione tricasuale per il pronome di I e II singolare è segnalato per un dialetto della provincia di Roma in Loporcaro 2001a.
17 V. la discussione in proposito di Seidl 1995:48s., dove in particolare si respinge l’ipotesi
formulata da Dardel/Wüest 1993 che il sardo sia passato per una fase acasuale.
18 Il pronome soggettivo *ill è il classico ille rifatto su qu , mentre l’obliquo illu (su cui si
modella il femm. illae ) è il dativo ill rifatto su cu . Se lo schema può dirsi, strutturalmente, valido in generale, il riepilogo delle forme non è esaustivo. ipse, ad esempio, si continua nel sardo
isse e così ipsum nell’it. merid. isso e nel tosc. esso; parallelamente, al plurale, ips è presupposto
dall’it. essi ed ips s dal sardo (logud.) issos.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
57
(2)
I
II
III
VI
pers.
pers.
pers.
pers.
Sogg
Obl/OI
OD
eg
t
*ill
ill
m
t
illu /illae
ill rum
m
t
illum/illam
ill s/ill s
Non si largheggia, in (2), con gli asterischi in quanto le forme postclassiche impostesi nella funzione di obliquo in fase proto-romanza sono effettivamente documentate come dativi nel latino epigrafico d’età imperiale: ilei praeda rep[e]ns
(CIL VI 26011), sibi et ilei (Diehl 21961: n° 4554), ultimum illui spiritum ut exciperet (CIL X 2564)19.
Un semplice confronto delle varietà romanze che di questo schema mantengono tracce più cospicue, ovvero il gallo-romanzo antico ed il rumeno, permette di
motivare la ricostruzione del sistema tricasuale anche per le III persone, dove pure
nessuna varietà odierna ha mantenuto tre forme funzionalmente distinte. In antico francese la forma di cas régime lui funge tanto da OD quanto da OI ed Obl20:
cf. rispettivamente qui lui a grant torment occist ‘che con gran tormento lo (letter.
‘lui’) uccise’ (St. Léger 12), ele (= la terre) est tolue lui et son pere a tort ‘essa è sottratta a lui ed a suo padre a torto’ (Villehardouin 49,18), de lui ne desevrassent
‘non si fossero separati da lui’ (Al. 585). Per la funzione di soggetto si usa invece
il m./ele f.21.
Anche il rumeno conserva una declinazione bicasuale, insorta da una semplificazione del sistema in (2). Alla III persona lui m.sg./ei f.sg./lor pl. sono usati per
l’OI (ad es. lui îi place ‘a lui [lett. gli] piace’), nonché per l’espressione della determinazione genitivale (v. §5.3), mentre per l’OD si usano le stesse forme accusativali impiegate come soggetto con in più la marca preposizionale: pe el/ea/ei/ele. Le
due diverse neutralizzazioni, di obliquo/OI ed OD in gallo-romanzo e di OD e
19 La declinazione pronominale ha conosciuto in età imperiale nel latino parlato una sistematica fioritura di forme nuove di genitivo e dativo. Le forme in (2), infine impostesi per
l’espressione dell’obliquo in fase protoromanza, hanno origine da un humus morfologico di cui
testimoniano ancora ad es. il dat. femm. ipsei (Diehl 21961: n° 3702A e n° 4556) e i genitivi ipsuius
‘di lui’ (inpsuius in CIL III 2377, da Salona, in Dalmazia; ipsuius in CIL X 5939, dai dintorni di
Anagni), ipseius ‘di lei’ (CIL III 2240, da Salona; X 1528, da Napoli) e illeius ‘di lei’ (CIL VI
14484). Molte di queste forme – le cui attestazioni si concentrano soprattutto a Roma, in Italia
meridionale e in Dalmazia (come osserva Zamboni, in stampa:13) – sono prive di continuazioni
romanze; ma ad es. illeius è invocato da Thomas 1883:334 per spiegare la -s d’uscita dell’ant. prov.
l(i)eis, forma alternativa a l(i)ei attestata al cas régime del pronome femminile tonico di III persona (v. la rassegna dei pareri al proposito in Crescini 31926:79-80 N2).
20 Per il pl. lor v. oltre, §5.5.1.
21 Anche tosc. lui/lei/loro (e colui ecc.) si usano sia, ad es., come OI che come specificazione
genitivale, contraendo opposizione, almeno nel singolare, con egli/ella usati solo in funzione di
soggetto: rispuos’ io lui con vergognosa fronte (Inf. I, 81); più ti piace questa salute che la colui vittoria (Brunetto Latini, volgarizzamento dell’orazione Pro Ligario, in Segre/Marti 1959:181).
58
Michele Loporcaro
soggetto in daco-romanzo, garantiscono la ricostruzione di un’opposizione originariamente a tre termini, come si mostra in (2).
Dalla fase tricasuale protoromanza ha origine anche il loro clitico OI, limitato
alla Gallo-romània ed a parte dell’Italia centrale e settentrionale, che rappresenta
nient’altro che l’inserimento entro il paradigma sintattico dei clitici della forma di
obliquo plurale in (2). Nell’italiano dò loro o nel francese je leur donne si ha un diretto residuo dell’uso originario di ill rum, senza preposizione, come OI. Mentre
per il pronome tonico tale uso ha ceduto il passo a quello con segnacaso preposizionale, con la stessa o con altra forma pronominale (cf. l’opposizione fra it. lo dò
a loro e fr. je le donne à eux/elles), l’ill rum entrato nel paradigma dei clitici è rimasto immune da tale innovazione.
Se inoltre al singolare l’uscita dall’uso di lui, lei senza preposizione come espressione dell’OI ha determinato una chiara distinzione formale fra gli/le dò (clitico
OI) e dò a lui/lei (pron. tonico OI), per il loro la distinzione è affidata soltanto alla
presenza o assenza della preposizione, vista la peculiarità dello sviluppo prosodico del loro clitico di cui si è detto al §2.1 (v. la N4)22. Ne consegue che per la fase
antica, che conosce lui/lei come OI non preposizionale tonico, sussiste un’ambiguità oggettiva che permette ad es. di rubricare ke de(m)mo loro del frammento
fiorentino del 1211 (Castellani 1982:23) fra le occorrenze di loro obliquo tonico
(così il prospetto grammaticale di Monaci 21955:642), in quanto ricorrente in posizione postverbale. Pur tenendo presente questa riserva, per uniformità terminologica useremo nel seguito la dizione di «loro clitico» per tutte le occorrenze di
queste forme, pre- come postverbali, in funzione di OI senza preposizione.
2.3. Il problema: loro nell’Italia centro-meridionale
Nei dialetti italiani del Centro-meridione il paradigma di flessione pronominale
pluricasuale in (2) ha lasciato, in particolare alle III persone, meno tracce che nel
toscano, nell’italo-romanzo settentrionale e nel gallo-romanzo. Al singolare lui/lei
non ricorrono affatto nei dialetti, dove si hanno invece per il pronome di III singolare sia soggetto che oggetto/obliquo forme come isso, illu, iddu (e loro varianti fonetiche), che continuano ipsu(m), illu(m). Al plurale troviamo continuatori di
ill e di ips , ma abbiamo anche, ben documentata ab antiquo, la forma corrispondente all’italiano loro, che si trova in molti dialetti anche per il possessivo.
Il quadro dialettale quale si evince dalle carte AIS è il seguente. Nelle carte I 19
‘il loro zio, i loro zii’ e I 20 ‘la loro zia, le loro zie’ loro possessivo di III pl. risulta
attestato in 14 punti compresi fra l’Abruzzo (limite nord a Scanno, Pt. 656), il Salento settentrionale (fino ad Avetrana, Pt. 738) e la Calabria meridionale (l’estremo sud è a Conidoni di Briatico, Pt. 780). Il loro pronome personale è diffuso più
22 Si dànno tuttavia anche varietà in cui una riduzione fonetica si è effettivamente prodotta:
v. ad es. le forme ’ro, lo’ nei volgari antichi dell’Italia centrale o il friulano (j)ur, di cui al §6.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
59
capillarmente (18 punti), ma su di un’area che si spinge meno a sud. Come soggetto (c. VII 1253 ‘loro pure’) si estende da Palmoli (in Abruzzo, Pt. 658) ad Avetrana
e ad Oriolo (Pt. 745, appena a sud del confine calabro-lucano). Come obliquo (c.
VIII 1660 ‘peggio per loro’) è attestato in ben 38 punti, da Scanno fino ad Avetrana e ad Acri, sulla Sila cosentina (Pt. 762). Di loro in queste carte non si ha neppure
una singola attestazione, né come possessivo né come pronome personale, nell’intera Sicilia e negli estremi lembi meridionali della Calabria e del Salento.
Delle forme meridionali del tipo loro si esclude in genere l’autoctonia, supponendo che debbano esser giunte da Nord ai dialetti del Mezzogiorno. Il Rohlfs, nei
paragrafi della sua monumentale Grammatica dedicati al loro nelle diverse funzioni distinte in (1a-c), propone anzi una sorta di spostamento a catena. Quanto al
possessivo
L’uso della forma ‘loro’ (cal. luoru, luc. e tarant. lor@) è nell’Italia meridionale circoscritto ad
alcune zone, e proviene dalla lingua letteraria. L’espressione indigena è ‘suo’ o ‘di quelli’
(Rohlfs 1966-69:§429).
Ma a sua volta della forma corrispondente dello standard su base toscana si dice:
«Il loro usato dall’odierna lingua scolastica per la terza persona del plurale par dovuto ad influssi venuti di Francia o dal Settentrione» (Rohlfs 1966-69:§427). Parallelamente, per il possessivo di III plur. nel Settentrione si dice: «Nei testi antichi ‘loro’ non è frequente . . . Nei dialetti attuali, ‘loro’ non è popolare in nessun
luogo» (Rohlfs 1966-69:§428). Anche TekavciÛ 1972:182 osserva che
loro non è diventato popolare né nell’Italia settentrionale né in quella meridionale né nella
stessa Toscana: la maggioranza dei dialetti italiani conservano infatti i continuatori di suu.
E pur obiettando al Rohlfs che, vista la sicura autoctonia del rum. lor e del sardo
issòro,
il possessivo italiano loro . . . non deve essere necessariamente una voce di origine settentrionale o galloromanza; bensì può trattarsi di un’estensione funzionale del sostituto personale
alla funzione possessiva,
conclude comunque che
il suo avvento è posteriore, relativamente recente, e ciò spiega appunto perché loro non ha attecchito nei dialetti italiani.
Similmente riguardo alla funzione di pronome personale, registrando le forme
meridionali del tipo loro Rohlfs 1966-69:§440 commenta:
Solo qua e là [nel Sud] ha avuto successo la forma obliqua, per esempio tarantino lor@,
napoletano lloro, a Ischia ddor@, in provincia di Cosenza luoru o lur@. Le ultime due forme si
rivelano chiaramente un’importazione per il loro uo (ovvero u da uo).
60
Michele Loporcaro
E del loro in funzione di clitico OI ((1c)) dice infine:
La lingua letteraria s’è risolta per il gallicismo loro, che oggi di norma segue al verbo. (Rohlfs
1966-69:§463).
Insomma, il quadro cui si trova dinanzi chi consulti le grammatiche storiche di riferimento è quello di una forma che, in tutte le funzioni sintattiche in cui ricorre,
è sostanzialmente estranea al patrimonio ereditario del Meridione e che inoltre
può forse ritenersi d’importazione, almeno in alcune delle sue funzioni, anche in
Toscana e nell’Italia del Nord.
2.4 I dati dialettali italiani nel quadro romanzo e il rapporto storico fra loro
possessivo e loro pronome personale
E’ questa la visione riepilogativa che passa in opere, di sintesi generale o dedicate
a temi specifici, che considerano i dati italiani più da lungi. Valga come esempio la
breve rassegna seguente, che sarebbe agevolmente ampliabile:
Politzer 1952:66: «it is . . . well known that in Italy the generalization of loro for the written
standard language is of comparatively recent date, and that the older written language still used
suo quite frequently as the possessive pronoun for the plural also. What is even more important, the use of loro does not seem to be native to any of the Italian dialects . . . If forms like luoru or lor@ appear in Southern Italian they are direct borrowings from the standard language»
[con rimando al Rohlfs, ovviamente nell’edizione originale tedesca, Berna 1950, II: 145s.].
Togeby 1968:68: «Enfin, dans l’Italie du Sud, le datif est toujours a issi, a esse, le possessif suus:
abruzz. lu pajese sé ‘il loro paese’, et si loro s’y rencontre, il s’agit d’un emprunt à la langue
littéraire» [con rimando al Rohlfs].
Väänänen 31981:124: «En roman, suus est en partie remplacé par ill rum au pluriel, à savoir
en roumain et en gallo-roman, d’où il semble avoir pénétré en italien littéraire» [ancora con
rimando al Rohlfs].
Dardel 1999:43: «Illoru[m] en fonction de G ne se généralise que relativement tard; cela tient
sans doute à la concurrence de suus; c’est le cas en anc. FR (cf. Gamillscheg 1957:168); en IT
central, loro adnominal [= possessivo, M.L.] est attribué à une influence gallo-romane ou septentrionale; en IT septentrional, il est peu fréquent dans les textes anciens et n’est populaire
dans aucun des dialectes actuels; en IT méridional, il est circonscrit à quelques zones et provient de la langue littéraire».
Il risultato della panoramica rohlfsiana viene assunto dunque come presupposto
per lo sviluppo di analisi diacroniche, ricostruttive o fondate sulla prospezione documentaria, volte ad illuminare i vari aspetti del destino romanzo di ill rum. Ne
discutiamo qui due, esemplari, l’una, di Togeby 1968, condotta secondo la prospettiva retrospettiva, l’altra, di Politzer 1952, che è invece in prospettiva prospettica.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
61
Le due analisi condividono un assunto di fondo, radicalmente alternativo
rispetto alle coordinate strutturali, geolinguistiche e diacroniche fissate al §2.2:
l’uso di loro come possessivo sarebbe sviluppo autoctono soltanto all’estremo
orientale della Romània, in Dacia, e nella Gallo-romània (qui per giunta, secondo
Politzer 1952:71, per influsso del superstrato germanico). Tutte le restanti forme
del tipo loro attestate dall’ibero-romanzo antico, dal romancio e dall’italiano (certamente dall’italiano centro-meridionale, per il Politzer anche dal toscano) sarebbero secondarie, frutto di irradiazione dal francese.
Il Politzer, estendendo i risultati dello studio di Pei 1932:202-6, analizza le deviazioni dalla norma classica nell’uso dei possessivi suus/eius e suus/eorum nelle
carte latine di Francia fra i secc. VI e VIII e d’Italia (centrale e settentrionale) fra
i secc. VIII e IX. Ne risulta per le due aree un quadro sostanzialmente diverso. In
Francia suus al singolare ed eorum al plurale sono usati correttamente dove richiesti dalla norma classica. Dove invece questa richiede al singolare eius e al plurale suus si nota una progressiva espansione delle deviazioni: la percentuale di suus
per eius progredisce dal 73% del VI sec. (16 casi su 22 possibili) all’88% del sec.
VII (31/35) fino al 90% dell’VIII (27/30) ed una parallela ma simmetrica progressione si ha, nel plurale, per l’uso di eorum invece di suus, che arriva al 93%(28/30)
nel sec. VIII. In Toscana, al contrario, suus è stabile nel suo uso classico in ambo i
numeri e si estende progressivamente, al singolare ad invadere l’ambito funzionale di eius passando dal 9% nel sec. VIII (20 casi su 203) al 57% nell’ultimo decennio del sec. IX (34 su 60), ed al plurale ad invadere quello di eorum, passando
dall’8% (7/97) del sec. VIII al 64% del sec. IX. Le carte dell’Italia padana del sec.
VIII mostrano una situazione intermedia tra Francia e Toscana, con suus per eius
attestato su valori intermedi (16% = 8/50) ed eorum sostanzialmente stabile.
Il quadro è composto in modo inappuntabile e corrisponde effettivamente alla
distribuzione territoriale dei continuatori di suus e di ill rum (sostituitosi ad e rum) nelle varietà romanze popolari così come osservabili in fase storica, col prevalere del sistema son/leur in gallo-romanzo e del suo generalizzato in molte varietà italiane23. Sono queste ultime, con l’Ibero-romània, a rispecchiare secondo
Politzer 1952:70s «[t]he basic Romance trend». Se fra di esse, posteriormente,
prende piede anche loro ciò si deve ad influsso successivo del francese, il quale a
sua volta si sarebbe discostato già nell’alto Medioevo dalla tendenza panromanza
alla generalizzazione di suus per influsso dell’adstrato germanico: «Germanic iro
determined the use of illorum as the only plural possessive»24.
23 Politzer 1952:67 N12 dà esplicitamente un rilievo centrale al dato dialettale moderno,
osservando come l’idea tradizionale (v. sopra, §2.2) «that illorum replaced suus everywhere except in Spain», corrente nelle trattazioni sul latino tardo e da lui esemplificata con Grandgent
1907:§387, sia smentita dai progressi della geografia linguistica; in particolare – quanto all’Italia
– dalla pubblicazione dell’AIS.
24 Politzer 1952:71 propone anche che la vicinanza fonetica tra la forma germanica e il continuatore di e rum (che doveva suonare [’jo:ro]) possa aver giocato un certo ruolo e favorito,
oltre che l’estensione di questo ai danni di suus, anche la sua prolungata resistenza di fronte ad
ill rum poi impostosi. Da notare comunque che quest’ultimo «appears in documents, like no.
62
Michele Loporcaro
Quest’ipotesi ha per effetto di disgiungere la generalizzazione di ill rum nel
francese antico dalle attestazioni latine d’età imperiale viste al §2.2. Resta comunque il fatto che il rumeno lor deve rimontare direttamente al lat. ill rum. E
resta inoltre una discrepanza più generale fra il dato documentario alto-medievale che conduce Politzer 1952:70 a concludere che in Francia, già dal periodo
considerato, «eorum was the only plural possessive that was at all in popular use»,
e le attestazioni romanze successive. Il gallo-romanzo, dove pure ill rum è indubitabilmente prevalso, attesta – minoritariamente, certo, ma pur sempre attesta –
l’uso del continuatore di suus come possessivo di III plurale. Lo documentano gli
esempi antico-francesi radunati in Tobler 21906:92: ad es. il en ot deux biaus enfans . . . Li arcevesques de Ravenne et l’arcevesques de Maience erent si oncle par
la mere (Mousk. 20151). Lo stesso fenomeno si osserva anche in antico provenzale: cilh que de son peccat si vanto son ministre del diable (Sydrac, in Bartsch e
Koschwitz 61903:335.1; cf. Jensen 1990:§364). La medesima coesistenza, nel tempo e nello spazio, tra una forma largamente maggioritaria ed un’altra marginale
(ed eventualmente votata infine all’estinzione) è documentata per tutti i rami della tradizione romanza25. Certo, si può di volta in volta invocare il prestito dal francese, come si fa da molti ad es. per le forme consimili della penisola iberica (spagnolo medievale lur e catalano antico e moderno llur), ovvero, eventualmente, il
latinismo, cui si potrebbe pensare per gli esempi gallo-romanzi su citati26. Ma la
coesistenza appare troppo sistematica perché la si possa spiegare in tal modo. Si
è di fronte ad un fenomeno endemico: le due forme ill rum (che prende il posto
di e rum) e suus, anche una volta neutralizzatasi l’opposizione di cui erano in latino esponenti, hanno continuato a contendersi con alterne vicende il medesimo
ambito funzionale.
Disgiunge radicalmente il possessivo romanzo del tipo loro dal genitivo lat.
ill rum nel suo impiego di possessivo anche Togeby 1968:66-67 che propone «au
lieu de cette explication si simple . . . une beaucoup plus compliquée», il cui
«argument fondamental est d’ordre géographique»27. Assunta l’autoctonia di loro
soltanto in gallo-romanzo ed in daco-romanzo, Togeby constata che
[l]’emploi de illorum comme possessif n’apparait que là où l’on trouve également l’emploi de
illorum, illui, illaei comme datif tonique du pronom personnel.
86 [scil., della silloge di Tardif 1866], which may be considered as more closely representing the
popular language» (Pei 1932:206).
25 Per l’ibero-romanzo v. sopra, §2.2 N11 e oltre, §5.3. Esempi simili per l’italiano meridionale sono presentati al §4.2. Per la situazione del rumeno, dove le due espressioni del possessivo di
III persona sono rimaste sino ad oggi, si rimanda al §5.3.
26 Ma al contrario secondo Tobler 21906:92 tra lor e son – come anche tra le forme corrispondenti nei testi italiani antichi – non vi sarebbe né perfetta sovrapposizione né pura alternanza stilistica bensì specializzazione funzionale, in quanto il continuatore di suus, usato alla III
plurale, avrebbe valore distributivo mentre lor avrebbe piuttosto valore collettivo (v. anche
Jensen 1990:§364).
27 La spiegazione è ripresa anche in Togeby 1974:96s.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
63
Propone dunque che il loro possessivo sia sorto ex novo come secondaria estensione del loro pronome personale obliquo28. Per sostenere questo rapporto implicativo è necessario però scartare non solo le forme del tipo loro offerte dall’iberoromanzo, dal romancio e dai dialetti dell’Italia meridionale, per le quali s’invoca il
prestito, ma anche il sardo issòro, formazione morfologicamente parallela a loro
per la quale un prestito è fuori questione. Questo l’argomento addotto da Togeby
1968:68:
En sarde, où le datif atone est lis et le datif tonique issos, on a un pronom dit possessif issoro,
mais celui-ci s’emploie toujours dans le sens de de issos, non seulement avec un substantif: sa
domo issoro ‘leur maison’ (sa est l’article défini) = sa domo de issos, mais aussi après une préposition: infatt’issoro ‘dietro loro’ = infatt ’e issos (’e = de), et peut donc être considéré comme
un génitif.
Ma è evidente che questo argomento non permette in realtà di espellere il solo issoro dal sistema dei pronomi possessivi, per la semplice ragione che il medesimo
uso sintattico è proprio, in sardo, di tutte le forme del paradigma del possessivo:
si dice infatti (esempi dal logudorese di Bonorva, SS) [’fat:u ’meu/’Dou/
’zou/
’nostru/
’ostru/i’s:O:rO] ‘dietro a me/te/lui/noi/voi/loro’. L’unica conclusione possibile, se l’esperimento fosse legittimo, porterebbe ad asserire che il sardo non disponga, in blocco, della categoria del possessivo. Non è ovviamente così. Si tratta
semplicemente di uno di quei casi, attestati anche da altre lingue neolatine, in cui
il possessivo può ricorrere dove l’uso romanzo prevalente prevede invece un complemento genitivale col pronome personale retto da preposizione. Anche l’italiano contempla come variante più conservativa l’uso del possessivo in costrutti come
in vece mia/sua/loro = invece di me/di lei/di loro, o ancora in luogo suo/loro = in
luogo di lui/di loro29.
L’eliminazione del sardo issoro fallisce, dunque, e ciò falsifica l’implicazione su
cui si fonda la tesi del Togeby ed impedisce di ridurre l’origine del loro possessivo
al loro obliquo proto-romanzo. Infatti, resta dimostrato con certezza che almeno
il sardo continuò direttamente il genitivo del pronome personale già usato in latino in funzione di possessivo, estendendolo alla denotazione del possesso anche riflessivo e generalizzando la forma ips rum in luogo di e rum, in parallelo con l’imporsi di ipse/ips s e di ipsum come pronomi personali di III persona e come articolo determinativo.
Inoltre, non è affatto pacifico l’ulteriore presupposto delle analisi ora discusse
che vuole non originario il tipo loro nelle altre varietà romanze in cui esso ricorre solo come possessivo. Per lo spagnolo antico, si è detto al §2.2 N11 che lur si ha
28 Per la diacronia dell’italiano, sembra in linea con quest’assunto la posizione sopra ricordata (al §2.3) di TekavciÛ 1972:183: se loro è frutto di «un’estensione funzionale del sostituto personale alla funzione possessiva» di data «relativamente recente», deve trattarsi già del pronome
obliquo del sistema tricasuale proto-romanzo e non più del genitivo plurale del sistema latino.
29 Esempio illustre è il dantesco il padre/mio e de li altri miei miglior (Purg. XXVI, 98) ‘migliori
di me’.
64
Michele Loporcaro
sin dai più antichi testi riojani (sec. XI ex.): come il catalano llur, vi è chi lo ritiene di prestito (così Menéndez-Pidal 1952:258, per cui il lur ricorre in quei testi
«sin duda por extranjerismo», e così Politzer 1952:66, Togeby 1968:67). D’altronde proprio l’attestazione delle Glosse Silensi è fatta valere da Bourciez
4
1946:450s. per suggerire che questo lur «pourrait bien ne pas être un emprunt fait
au catalan et au provençal». Così anche García de Diego 31970:220: «Los documentos de la Rioja prueban que era allí un rasgo local». Per spiegare il vocalismo
u, irregolarità invocata per suggerire l’ascendenza provenzale dai fautori del prestito, è possibile postulare invece un *ill rum (Badia i Margarit 21984:306, 308),
che potrebbe dovere la sua vocale tonica ad un conguaglio analogico sul singolare
*illuius (v. Seidl 1995:48 N10), parte a sua volta di quella schiera di neoformazioni genitivali su cuius (continuatosi, quest’ultimo, nello sp. cuyo) di cui sopra,
alla N19.
Quanto al romancio, Gartner 1883:91 menziona laconicamente «das importirte illorum» senza argomentare. Va osservato però che il possessivo lur ricorre fin
dai primi testi: ad es. lur marieus che rende suos viros di I Cor. 14.35 nella traduzione soprasilvana (1648) degli Atti degli Apostoli di Luci Gabriel; o ancora cun
lur dunauns insemmel et lur infauns nella versione engadinese di Giachian Bifrun
(1560) (cf. Mourin 1964:217).
In conclusione, anche concedendo che si debba sospendere il giudizio su ibero
e reto-romanzo, in base alla testimonianza del sardo rimane comunque necessario
supporre lo schema tradizionale di derivazione diacronica esposto al §2.2, che
spinge a collocare più indietro nel tempo di quanto non facciano Politzer e Togeby,
ossia nel genitivo latino classico ill rum (ed ips rum), la radice comune dei due
usi romanzi di loro possessivo e pronome personale obliquo, poi venuti a divergere strutturalmente e geograficamente.
Conclusa dunque la discussione su queste ipotesi, relative alle vicende di ill rum su scala romanza e presupponenti la conclusione rohlfsiana circa la non autoctonia di questa forma nel Mezzogiorno d’Italia, torniamo a mettere a fuoco
quest’ultima questione, che è il nostro tema centrale.
3. Argomenti contro l’autoctonia di loro nel Mezzogiorno d’Italia
Analizziamo anzitutto la struttura logica dell’argomentazione volta a negare l’autoctonia di loro nel Centro-meridione così come ripercorsa al §2.3.
Il primo argomento è di ordine funzionale. Come si è visto, Rohlfs 1966-69:§427
dice del loro possessivo toscano che «par dovuto ad influssi venuti di Francia o dal
Settentrione». Traccia della situazione originaria sarebbe da riconoscere nel fatto
che «[l]’italiano antico non aveva ancor del tutto abbandonato il latino suus, cf. sí
aveano inviscate l’ale sue (Inf. 12, 144)». Il che sarebbe vero, a fortiori, per quanto
riguarda il loro possessivo dei dialetti meridionali: «L’uso della forma ‘loro’ (cal.
luoru, luc. e tarant. lor@) è nell’Italia meridionale circoscritto ad alcune zone, e pro-
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
65
viene dalla lingua letteraria. L’espressione indigena è ‘suo’ o ‘di quelli’» (Rohlfs
1966-69:§429).
Similmente, in funzione di pronome personale di III plurale, «[a] cominciar dal
Lazio, con parte dell’Umbria, nei dialetti centromeridionali (Campania, Abruzzi)
domina issi (femm. esse) . . .; più a mezzogiorno troviamo illi (femm. ille)» (Rohlfs
1966-69:§440), mentre il tipo loro, tanto come soggetto quanto come oggetto/obliquo, «è penetrato in alcune aree» secondariamente, irradiatovi da nord (Rohlfs
1966-69:§442).
Insomma, loro dev’essere avventizio perché per le funzioni che esso esprime vi
è già un’altra forma, sicuramente originaria ed autoctona: suum per il possessivo,
ips /ill per il pronome personale. E’ questo il presupposto generale che sottende
l’intera argomentazione, il presupposto di una necessaria corrispondenza biunivoca tra forma e funzione: un’eventuale incrinatura di tale corrispondenza non si potrebbe spiegare all’interno di un dato sistema ma richiederebbe che si invochino
apporti esterni (il prestito).
Di questa stessa dinamica sarebbe indizio anche la distribuzione non compatta,
nei dialetti, della forma loro («uso . . . circoscritto ad alcune zone», Rohlfs 196669:§429). All’argomento funzionale se ne aggiunge dunque uno ulteriore di natura geolinguistica.
Vi è infine un argomento formale, che è di ordine fonetico. Molto spesso i corrispettivi centro-meridionali del toscano loro presentano infatti un fonetismo
irregolare, che appare mal conciliabile con uno sviluppo di tradizione diretta. Queste perturbazioni sono invocate dal Rohlfs a favore dell’ipotesi del toscanismo
letterario:
Solo qua e là [nel Sud] ha avuto successo la forma obliqua, per esempio tarantino lor@,
napoletano lloro, a Ischia ddor@, in provincia di Cosenza luoru o lur@. Le ultime due forme
si rivelano chiaramente un’importazione per il loro uo (ovvero u da uo). (Rohlfs 196669:§440)
Si tratta di un argomento forte, visto che queste perturbazioni ricorrono nelle
varietà centro-meridionali in maniera sistematica. Se ne dà in (3a-d) un inventario schematico:
(3) a. -o finale, in luogo dell’attesa -u (area mediana);
b. vocale tonica come se da non metafonizzata (area mediana; alto Meridione: ad es. ant. napoletano);
c. vocale tonica come se da o non metafonizzata (alto Meridione: ad es. altamurano; Meridione estremo: ad es. ant. siciliano)30;
d. vocale tonica come se da o metafonizzata (Meridione estremo: diall. calabresi centro-settentrionali).
30 L’antico siciliano non conosce affatto metafonia: dunque, per quella varietà, la specificazione «o non metafonizzata» è ridondante.
66
Michele Loporcaro
Esemplifichiamo brevemente in (4) questo campionario d’irregolarità, suddivise
secondo le categorie (3a-d):
(4) a. le forme del tipo loro dell’Italia mediana: ad es. a Colonna (RM) [’lo:ro]
(*[’lu:ru]; cf. [’su:lu] ‘solo’, agg. m. s., di contro a [’so:la] ‘sola’, [’so:lo] avv.);
b. colonn. [’lo:ro] (v. (3a));
c. a Calvello (PZ) [’lOr@] (come [’kOr@] ‘cuore’ e diversamente da [’sol@] ‘sole’
e [’sul@] ‘solo’; cf. Gioscio 1985:62); ad Altamura (BA) [’lou
7r] (come [’kou
7r]
‘cuore’ e diversamente da [’sau
7l] ‘sole’ e [’sUu
7l] ‘solo’; cf. Loporcaro
1988:47, 72, 96); a Mattinata (FG) lór@ (come kór@ ‘cuore’ e diversamente
da sóul@ ‘sole’ e da nut@ ‘nodo’; cf. Granatiero 1987:55); a Ripalimosani
(CB) lòr@ (come kór@ ‘cuore’ e diversamente da só. l@ ‘sole’/‘solo’ e da sul@
‘soli’; cf. Minadeo 1955:108); a Catanzaro [’lO:ru] poss. come [’b:O:nu] ‘buono’, [’mO: u] ‘molle’ e diversamente da [’su:la] ‘sole’ (Caligiuri 1995-96:
40)
d. a Serrastretta (CZ), Pt. 771 dell’AIS, si ha l ru (con lo stesso esito di b nu ‘buono’).
Su queste irregolarità ritorneremo al §5.3.
4. La documentazione di loro nei volgari centro-meridionali antichi
Prima di passare a discutere in dettaglio i singoli argomenti riepilogati al §3,
affrontiamo una questione preliminare, di natura documentaria. Fra gli aspetti da
indagare, infatti, figura in prima linea la questione di qual sia la varietà dalla quale il Centro-meridione importò loro, di quando ciò sia accaduto e di quale tra le
funzioni sintattiche di loro (cf. (1a-c)), eventualmente, da tale importazione sia insorta. Bisognerà anzitutto verificare se una risposta a queste domande possa venire dallo scrutinio delle attestazioni antiche delle nostre varietà centro-meridionali. Nei due primi paragrafi di questa sezione, dunque, incominceremo col seguire a
ritroso, dal Quattrocento alle Origini, le attestazioni antiche di loro in due varietà
centro-meridionali ben documentate. Al §4.3 vedremo poi che l’ipotesi della non
autoctonia del loro centro-meridionale viene proposta anche in una versione diversa da quella del Rohlfs, che individua nel francese antico, anziché nel toscano
letterario, l’origine del prestito.
4.1 L’antico romanesco
Il romanesco rappresenta a questo proposito un ambito di osservazione propizio
in quanto è stato scrupolosamente indagato proprio per ricostruire modalità e cronologia della toscanizzazione sistematica cui è stato esposto. Ernst 1970:130
segnala il primo apparire di loro come pronome personale soggetto (i testi più an-
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
67
tichi hanno in questa funzione esclusivamente essi) soltanto per il romanesco del
pieno Quattrocento, già in via di toscanizzazione31.
Poiché nei testi più antichi non vi è traccia dell’uso di loro come pronome personale soggetto ((1b⬙)), si può a buon diritto attribuire quest’uso sintattico alla toscanizzazione quattrocentesca che ha modificato radicalmente la struttura del romanesco,
visto che loro come pronome soggetto è attestato in Toscana fin dal Duecento e conosce fra Tre e Quattrocento un incremento notevole (cf. D’Achille 1990:324-9)32.
Diversamente stanno le cose, d’altro canto, per il possessivo di III plurale. Qui,
osserva ancora Ernst 1970:129, loro è la forma regolarmente impiegata nel romanesco del Due e del Trecento, documentato dalle Miracole de Roma (= Mir), dalle Storie de Troja et de Roma (= StoTrRm) e dalla Cronica d’Anonimo romano.
Questa dunque la conclusione che se ne deve trarre, quanto alla questione della
autoctonia o meno di questa forma di possessivo:
Die Übereinstimmung sämtlicher Texte zeigt, dass loro im betrachteten Zeitraum in Rom heimisch gewesen ist; ob es dort früher importiert wurde, läßt sich nicht feststellen. (Ernst 1970:129)
In realtà, al quadro tracciato dallo Ernst è possibile apportare un piccolo ritocco.
Un riesame sistematico dei testi duecenteschi, condotto con il supporto della banca dati del TLIO-OVI, mostra infatti che loro, anche in funzione di pronome personale, era presente in romanesco sin dal Duecento33. Mentre le Miracole de Roma
attestano loro soltanto come possessivo (ad es. con loro vótora, Monaci
1915:565.5), le StoTrRm, nei due relatori non toscanizzati, presentano un quadro
differente34. Oltre all’uso possessivo, loro conosce infatti anche un impiego come
31 Si tratta dei bandi romani editi da Re 1928. Vi si legge ad es. et pachi li denari che loro sonno tenuti di pacare (9 ottobre 1447; cf. Re 1928:96).
32 Come esempio si può addurre per il Duecento: e loro sì nne deo[no] dare noi quello che lloro piacie (dal Libricciolo di crediti di Bene Bencivenni, a. 1275, in Castellani 1982:395). Boström
1972:52, rimarcando l’infrequenza nei primi secoli dell’uso del loro come soggetto, osserva come
le attestazioni da lui radunate si facciano numerose in fase quattrocentesca:ad es. avvegna che molti danni anche facessero loro all’altra parte loro nimica (dalla Cronica volgare di Anonimo
fiorentino dall’anno 1385 al 1409 già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di Elina Bellondi, Città di Castello 1915-18; Rerum Italicarum Scriptores, t. 27 – p.II, 137:31-32). Si è visto, al
§2.3, come il Rohlfs 1966-69:§427 riconduca il «loro usato dall'odierna lingua scolastica per la terza persona del plurale . . . ad influssi venuti di Francia o dal Settentrione». Più specificamente, Capano 1978:108 propone che in toscano l’uso soggettivo del loro sia un «prestito dal Nord dell’Italia»
d’epoca quattrocentesca, in base alla convinzione che al toscano delle origini tale uso fosse affatto sconosciuto. Le sia pur parche attestazioni di loro soggettivo nel fiorentino del Duecento ora ricordate permettono di rigettare quest’ipotesi come documentariamente infondata.
33 Nel paragrafo sui pronomi personali tonici oggettivi di Ernst 1970:129 manca una trattazione
dei pronomi di III plurale, mentre vi sono trattate, e debitamente esemplificate, tutte le altre persone.
34 Come d’uso nella bibliografia scientifica sul romanesco antico, tralascio qui dei tre relatori
delle Storie il codice riccardiano (R), fortemente toscanizzato (sul quale torneremo al §5.5.4,
(28)), traendo esempi soltanto dall’amburghese (A) e dal laurenziano (L), anche questi ultimi
non del tutto esenti da tracce di toscanizzazione (cf. Monaci 1920:lix, Ernst 1970:18) ma comunque nel complesso testimoni affidabili del romanesco del Duecento (v. in generale Monaci
1920:lix-lxii per la valutazione linguistica dei tre relatori delle Storie), come conferma nel nostro
caso specifico anche l’indagine sintattica di cui si riferisce più oltre, al §5.5.4, (27).
68
Michele Loporcaro
pronome personale obliquo, esclusivamente in dipendenza dalla preposizione
‘tra/fra’ (10 ricorrenze totali): infra loro L 70.22; 151.14; 176.15; 179.19; 305.18; A
53.22; enfra loro A 151.14; 179.18; 263.25; entre loro 305.17. Nessuno di questi
esempi può spiegarsi, ovviamente, per latinismo, il che vale anche per il seguente:
Et dixe tutto lo facto ad loro et lo facto ad tutti placke L 59.25. E’ questo l’unico caso
di loro ricorrente come OI, che comunque ne testimonia l’uso in tale funzione già
in fase duecentesca. A giudicare da questi esempi, come pronome personale loro
sembra ricorrere dapprima in due soli contesti sintattici, nei quali entra in concorrenza con essi. Quest’ultimo si trova invece in tutte le funzioni, soggettiva,
oggettiva e obliqua, come documentato dagli esempi in (5)35:
(5) a.
b.
c.
d.
Sogg.: essi non ce vennero, ma lassaro venire le femine L 87.23-4;
OD: Et li imperatori cognoscenno essi de tanta sapientia ke [. . .] Mir 34.5;
OI: Et fo dicto ad essi ka genti aveano guasto lo sacrificio L 84.19-20;
Obl: Ector e Eneas videro ke feriano così forte lo fratre, sì lo defesero da
essi [. . .] L 32.24-5; et iaceanosse con essi L 52.27.
Dunque loro si affianca ad essi, come variante minoritaria, per l’espressione della
relazione grammaticale di OI,come risulta dal confronto tra (5c) e il su citato Et dixe
tutto lo facto ad loro. Quanto all’impiego di loro come obliquo, esclusivamente in dipendenza da ‘tra/fra’, è curioso notare come in trecentotrentaquattro pagine di testo non si abbia neppure una singola ricorrenza di essi nello stesso contesto. Questa
distribuzione sembrerebbe prestarsi ad una lineare spiegazione interna,che non necessita la postulazione di un prestito: si ha qui infatti l’estensione di una forma etimologicamente genitivale ad un contesto (il sintagma preposizionale introdotto da
‘fra’) che con la specificazione genitivale ha una stretta parentela funzionale (cf. l’equivalenza fra i costrutti unus eorum, unus ex iis, unus inter eos).
Stando alla testimonianza resa da questi testi, dunque, si deve chiaramente distinguere tra il loro pron. soggetto (il tipo (1b⬙)), che nel romanesco compare solo
dal Quattrocento ed è da imputare a toscanismo, ed il loro possessivo e pron. personale oggetto/obliquo ((1a-b⬘)), per il quale il romanesco antico, sino a quando
ne possiamo seguire a ritroso la storia documentaria, non offre alcun indizio evidente di non autoctonia36.
4.2 L’antico napoletano
L’antico napoletano offre un quadro per molti aspetti simile. Risaliamo anche qui
nel tempo, prendendo le mosse dalla nitida illustrazione del napoletano quattrocentesco fornita da Formentin 1998:320s. nella sua edizione dei Ricordi di Loise
35 L’enumerazione in (5) è articolata distinguendo le funzioni sintattiche di soggetto, OD, OI
ed obliquo. Per l’OD non ricorrono esempi nelle StoTrRm; si supplisce in (5b) con uno dalle Miracole (v. Monaci 1915:577).
36 Di un loro clitico ((1c)) il romanesco antico non presenta traccia, come si dirà al §5.5.4.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
69
de Rosa. Nel napoletano del de Rosa, per l’espressione del pronome personale di
III plurale loro concorre con isse in tutte le funzioni sintattiche, non solo in quelle non soggettive ((6a-b)) ma anche nella funzione di soggetto ((7a-b))37:
(6) a. et dile che essano de fore et dale tienpo ad isse c. 41v26, nuy si(m)mo p(er)
tre fiate più de isse c. 70v15;
b. che lle legie ly ry le guastano et acconczano come piace ad loro c. 48v18, et
eo me le voglio mette in mano de lloro c. 16r20.
(7) a. isse la rengraciaro c. 5v25, isse le dissero c. 5v34, et isse cercaro licencia c.
53r14;
b. dove loro mandaro per lo prencepe et vene c. 8r7, loro respossero et dissero
c. 52r16, loro dissero de s c. 67v31.
Il loro è anche in questo testo l’espressione normale del possessivo di III plurale
(Formentin 1998:328): ad es. uno loro fa(m)meglio c. 2r32. Contro un totale di 50
occorrenze di loro (o sue varianti)38, si ha però in un caso alla III plur. il continuatore di suus: et quando forneva la robba soa andavano a mettere a ssaccho le case
dell’autre c. 47v5.
Per avere un’idea delle condizioni del napoletano del Trecento si può ricorrere
al più importante testo pervenutoci, il volgarizzamento dell’Historia destructionis
Troiae di Guido dalle Colonne (ed. De Blasi 1986; d’ora in poi abbreviato LDestTr)39. Nella porzione compresa fra il prologo ed il libro XXXI incluso, il testo del
ms. P presenta 844 occorrenze di l(l)oro40. Di queste, non ve n’è neppure una in
37 Sembra tuttavia che si abbia almeno un ambito di specializzazione funzionale. Entro sintagma pronominale in combinazione con altro determinante, ricorre esclusivamente loro, mai
isse: loro duy cc. 10r7, 38r20, 45v22; loro tre c. 49v31. Il che coincide, fra l’altro, con le condizioni
toscane: cf. D’Achille 1990:318.
38 Ricorre anche nelle varianti lloro c. 2r12, ecc. (10 volte), con geminata non dipendente da
raddoppiamento fonosintattico, su cui v. oltre, §5.4.3, e, con concordanza al plurale, lore (2 volte):
ad es. co llore dire c. 31v29 (v. oltre N44).
39 L’edizione è da leggere tenendo conto delle osservazioni testuali di Paradisi 1987. Il testo
è tràdito in due manoscritti, siglati P (it. 617 della BN parigina) ed O (Canoniciano 133 della Bodleian Library di Oxford). Il primo, più antico ed assunto a base dell’edizione, è stato esteso dal
copista Iohannes de Nicoscia entro il terzo quarto del sec. XIV (Sabatini 1975:270 N344; De Blasi 1986:17s.). La data di redazione originaria del volgarizzamento è da collocare presuntivamente entro la prima metà del secolo.
40 Sulla geminazione iniziale v. oltre, §5.4.3. La limitazione del corpus è suggerita dalla disomogeneità della porzione seguente del testo, nella quale in P non è reso direttamente l’originale
latino di Guido dalle Colonne bensì il volgarizzamento fiorentino di Filippo Ceffi (v. Carlesso
1980:236, De Blasi 1986:15s., 39s.), evidentemente per integrare una lacuna nella parte finale del
relatore del testo latino. Il materiale linguistico offerto dal ms. P per i libri seguenti, sino alla fine,
va dunque tenuto distinto in quanto a priori sospetto di presentare toscanismi diretti ed occasionali, mentre i materiali che andiamo radunando servono a decidere se il loro antico-napoletano debba ritenersi sì un toscanismo, ma di langue, ormai accolto entro la struttura del napoletano. La sintassi del loro nella «coda Ceffi» presenta in effetti una decisiva differenza, di cui
diremo al §5.5.3.
70
Michele Loporcaro
funzione di pronome personale soggetto. Come per il romanesco, avremo dunque
titolo per dire che quest’uso sintattico insorge soltanto nel Quattrocento e per
questa ragione cronologica sembra plausibile ricondurlo ad influsso del toscano;
un influsso non già direttamente sulla lingua dell’incolto Loise, bensì ormai penetrato a modificare, per questo aspetto, la struttura del napoletano dell’epoca.
E’ questo l’inizio di una coabitazione delle due forme (isse e lloro), la cui variazione libera il napoletano ha conservato per secoli. Ancora a fine Ottocento, Capozzoli 1889: 207 osserva che isse/esse, al pari di llore, si usa «sia da soggetto sia da
complemento», adducendo esempi letterari sei-settecenteschi (G.B. Basile, Pompeo Sarnelli); identico il quadro fornito nella settecentesca Grammatica napolitana di Francesco Oliva (cf. l’ed. Malato 1970:316). Più tardi, tuttavia, la descrizione di Altamura 1961:46-7 registra ancora, sì, la forma pronominale di III plurale
isse/esse, riportandola però in variazione libera con loro per la sola funzione sintattica di soggetto, non per le funzioni oggettivo-oblique: dunque isse/esse/loro
(sogg.) di contro a ’e loro, a loro, ’a loro ‘di/a/da loro’. Se questa descrizione corrisponde ad una situazione effettiva, si ha qui la traccia di una fase intermedia nel
declino di isse di III plurale, che si sarebbe prodotto attraverso una graduale restrizione dei contesti sintattici d’uso di questa forma pronominale di fronte all’incalzare di [’l:O:r@]. Si impone tuttavia una verifica delle scarne notizie di Altamura 1961, per ora – che io sappia – testis unus di quest’eventuale fase di transizione,
verifica da condurre attraverso lo scrutinio di testi napoletani della prima metà del
Novecento.
Il napoletano contemporaneo ha oggi generalizzato [’l:O:r@]: in un rapido sondaggio a Napoli (febbraio 2000), nessuna delle persone da me interrogate in diverse parti della città ha giudicato accettabile un *[’is:@ o ’s:an:@], corretto regolarmente in [’is:@ o ’s:A:p@] ‘egli lo sa’ o [’l:O:r@ o ’s:an:@] ‘essi lo sanno’41. Questa
situazione corrisponde a quella descritta da Bichelli 1974:124 e Bafile 1993:116,
dove forme del paradigma di IPSU(M) sono riportate soltanto per il singolare,
mentre per il plurale non si dà che il tipo loro.
Tornando al napoletano trecentesco, se l’uso di loro come pronome soggetto vi
è ancora sconosciuto, un discorso diverso va fatto riguardo alle restanti funzioni
sintattiche del loro. Nella lingua del LDestTr l(l)oro ricorre regolarmente sia come
pronome personale oggettivo ed obliquo sia come possessivo. Si riportano in (8) e
(9), rispettivamente, alcuni esempi:
(8) a. OD: per cosa che no a lloro troppo toccava da li quali se pottero bene astinire (LDestTr 176)42
b. OI: li quali a lloro pareano multo gran gentili huomini (LDestTr 56);
c. Obl: li quali tanto duramente combattero intre loro (LDestTr 66).
41 Ovviamente non è da escludere in linea di principio che l’originario [’
is:@] ⬍ips sussista tuttora in qualche recesso, diatopico o diastratico, della complessa realtà sociolinguistica napoletana.
42 L’oggetto diretto, qui rappresentato da un pronome personale, è preceduto da segnacaso
preposizionale (cf. oltre, §5.5.2-3 N96, N101).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
71
(9) poss.: a li loro Diey ben fo grata tanta perdenza (LDestTr 53); colle schere loro
ordenate intraro a la vattaglya (LDestTr 221).
La situazione documentata dal LDestTr corrisponde in sostanza a quella che
ritroviamo in altri testi napoletani e campani, letterari come documentari, se procediamo a ritroso nel tempo. Verso inizio Trecento, gli statuti dei disciplinati di
Maddaloni (v. l’ed. Matera/Schirru 1997; cf. inoltre Sabatini 1975:46, 49 e 236
N120) restituiscono le attestazioni seguenti (sei di possessivo, due di OI):
(10) a. poss.: sencza licencia deli loro || mas[tri] I 54s.; p(er)fine alu loro fine IV 49;
tutte chelle cose ch(e) so salute delle a(n)i(m)e loro IV 17; Et degiano corregere loro fratrelli IV 25; no(n) lu decano ali fratelle loro IV 28; p(er) reœœœ
œ
missione deli loro peccati IV 52;
b. OI: si a lloro pyace I 43; chi a lloro piace IV 6.
In funzione di possessivo di III plurale si ha soltanto loro, mentre come pronome
personale OI ((10b)) loro concorre con i(p)si ((11a) tre occorrenze in totale), che
è usato a sua volta, diversamente da loro, anche come soggetto ((11b)):
(11) a. OI: Et si ad | ip(s)i pare I 16s; se pare ad ip(s)i I 17; uno tresaurere ch[i] ||
piace ad | ip(s)i IV 4s.;
b. sogg.: aczò chi ip(s)i (et) | l’altre fratelle pregano Dio I 26s.
Pur nell’esiguità quantitativa delle attestazioni, un testo di ambito culturale, cronologico e geografico completamente diverso rispetto al LDestTr conferma dunque pienamente il quadro già da questo emerso quanto all’uso di loro.
Risaliamo ulteriormente nel tempo fino al napoletano del tardo Duecento. I
Bagni di Pozzuoli nella versione più antica e meno esposta a toscanizzazione (la
redaz. R, conservata dal ms. Vat. Ross. 379, ed. Pelaez 1928) non contengono alcuna occorrenza di loro. L’unico caso di possessivo di III plurale presenta suo, non
loro: li homine trovano sua disia v. 200. Ma sempre entro il Duecento, il Regimen
Sanitatis edito da Mussafia 1884 presenta invece quattro ricorrenze di loro, tutte
in funzione di possessivo: la loro sanetate v. 16, Per loro amore v. 19, amendi loro
affare v. 243, tucto lo loro effectu v. 409.
Insomma, anche fra i testi antico-napoletani (e più in generale campani) non si
riesce a documentare una fase in cui loro fosse ancora assente. Dunque anche per
Napoli, come già per Roma, la documentazione, che pure permette di fissare un
terminus post quem per l’apparizione di loro in funzione di pronome personale
soggetto, non offre invece alcuna traccia simile per il loro pronome personale non
soggettivo e per il loro possessivo43. In effetti, la più antica attestazione campana
sicuramente databile di quest’ultimo è nella scritta amalfitana del 1288 pubblicata da Sabatini 1962:18: isti carti debeno venire in manu et in potestate lora44.
Anche a Napoli non si riscontra nessun caso di loro clitico OI (v. oltre, §5.5.3).
La concordanza – qui per genere, altrove per numero – di questo possessivo è tutt’altro che
rara: per i volgari meridionali antichi v. Formentin 1993:22 N71 e le ulteriori indicazioni biblio43
44
72
Michele Loporcaro
4.3 La tesi della non autoctonia del loro: toscanismo o francesismo?
Proprio dall’attestazione della scritta amalfitana prende spunto Sabatini 1962:28
per contestare l’ipotesi rohlfsiana di una mutuazione del loro centro-meridionale
dall’italiano letterario. Egli osserva che «l’esempio si aggiunge ai molti altri forniti dai testi mediani e meridionali due-trecenteschi», fra i quali quelli romaneschi e
napoletani già ricordati ai §4.1-2. Ed ancora, in Italia centrale entro il sec. XIII, il
Ritmo su Sant’Alessio, v. 58: la lor vita contenendo (ed. Contini 1960,I:19); l’Elegia giudeo-italiana, ad es. v. 20: e d’emperiu loro foi caczato (e ancora ai v. 46, 71;
ed. Contini 1960,I:37s.); i Proverbia abruzzesi, v. 223: Multi malvasci peru[nu] per
la loro rickiça (ed. Ugolini 1959:79).
In generale questi testi si possono ben dire, per le loro caratteristiche culturali,
non sospetti di toscanizzazione. E’ così anche, come nota l’editrice, per il volgarizzamento tardo trecentesco o primo quattrocentesco della Regola benedettina (cf.
Romano 1990:180 e v. sopra la N15), in cui loro ricorre una volta come pronome
personale obliquo (sy alcuno de loro c. 13v33) e nove come possessivo (ad es. le
anime loro c. 40r19).45
In base dunque a questa documentazione così conclude Sabatini 1962:28s. N49:
Bisogna tener conto invece di codeste più antiche testimonianze che inducono a supporre una
mutuazione dal francese: com’è naturale più rapidamente e stabilmente acquisita alla lingua
scritta e scarsamente penetrata nei dialetti.
Il Sabatini riprende in questo il giudizio formulato circa l’antico siciliano da Bonfante 1962:204 il quale, constatato che loru (con le varianti lor/lur) è
la forma usuale nei testi siciliani antichi» ed è invece «del tutto sconosciuta ai dialetti siciliani moderni, sia nell’uso possessivo (il loro zio ecc.), sia nell’uso di pronome al nominativo plurale (anche loro ne ànno abbastanza), sia nell’obliquo (tanto peggio per loro),
conclude che «si tratta di un evidente gallicismo».
Di fronte al dato anche solo meramente cronologico, dunque, l’ipotesi che il loro
dei volgari meridionali antichi si debba, in toto ed ab origine, al toscano, risulta insostenibile. Resta in campo l’ipotesi del francesismo, che il Bonfante propone per
il siciliano ed il Sabatini estende al Meridione continentale46.
grafiche ivi riportate. Tra le lingue romanze odierne l’accordo è nel francese (leurs enfants), che
in fase medievale mostra per questo aspetto un’oscillazione: lor(s) (cf. Gamillscheg 1957:168).
Sull’antico spagnolo v. sopra, N11; per l’antico provenzale Jensen 1994:§278: ad es. totas lurs
molhers (Daurel et Beton 1134). Per il francoprovenzale odierno dalla carta AIS I 19 ‘il loro zio,
i loro zii’ si può citare al pl. per Sauze di Cesana (Pt. 150) ~urz
l
úʮkle, per Rochemolles (Pt. 140)
l ˛´ r˛iz úʮklH.
«
45 Sulla
collocazione geografica di questo testo in area lucana v. la discussione di Romano
1985:417 N38, Formentin 1994b:101s.
46 Questa posizione risulta in linea con quella che Rohlfs 1966-69:§427, Politzer 1952 ed altri ancora sostengono in relazione al toscano (v. §2.3-2.4).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
73
5. Per l’autoctonia del continuatore di ILLOÝRUM nel Centro-meridione d’Italia
In questa sezione presenteremo un riesame complessivo della questione. Dal quadro tradizionale possiamo ricavare alcuni punti fermi. E’ certo vero che in molti
dialetti del Mezzogiorno il corrispondente dell’it. loro non ricorre: «“Altrui” e
“loro” non sono del nostro uso . . . Ha lassate lu pajése sé’, Abbandonarono il loro
paese» (Finamore 1893:22). Ed è certo vero che qui e là, nei dialetti odierni e nei
volgari antichi, le forme del tipo loro si rivelano d’importazione in base ad indizi
fonetici. Infine, è anche vero che l’uso del tipo loro come pronome soggetto è ascrivibile, storicamente (v. §4.1-4.2), ad influsso toscano.
Ma da questi dati di fatto, indubitabili, non è legittimo concludere che sia così
ab origine e dappertutto. Se si considerano a fondo i dati disponibili, vi si scorge
un residuo ineliminabile che porta a concludere che ill rum (o, come vedremo,
una sua variante fonetica) si continuò per tradizione diretta, almeno in alcune delle varietà centro-meridionali continentali.
Per dimostrare questa tesi, l’argomentazione procederà come segue. Il §5.1 esamina la diffusione areale odierna delle nostre forme. Il §5.2 ci riporta indietro alla
fase di transizione fra il latino ed il proto-romanzo, ricostruendone alcuni aspetti
per noi rilevanti. Il §5.3 confuta l’argomento funzionale presupposto dall’ipotesi
tradizionale (sopra esplicitato al §3) ed il §5.4 discute la veste fonetica con cui i
pronomi del tipo loro si presentano, nei volgari antichi e nei dialetti odierni. Infine, il §5.5 aggiunge al quadro un’analisi puntuale dell’uso sintattico del loro così
come documentato dai testi antichi del Centro-meridione.
5.1 L’argomento areale
Che le forme meridionali del tipo loro oggi attestate nei dialetti siano tutte quante venute da nord (dal toscano letterario o, prima, dal gallo-romanzo) può esser
messo in dubbio, anzitutto, in base a considerazioni di natura areale. Si è visto
(§2.3) come la discontinuità geografica delle attestazioni di loro sia fatta valere
come argomento per sostenere che tale forma «non attecchì» nel latino parlato
dell’Italia meridionale, che non vi fu mai davvero popolare. In linea di principio,
tuttavia, una distribuzione non compatta territorialmente può anche essere indizio dell’obsolescenza di una forma in precedenza più diffusa. Quale delle due
interpretazioni sia quella corretta dev’essere deciso, di volta in volta, in base ad
argomenti indipendenti.
Il dato areale offre spunto, anzi, per un’altra considerazione, di segno opposto
rispetto a quelle tradizionalmente sviluppate al proposito. Si è descritta l’estensione geografica del loro che dagli Abruzzi e dalla Campania scende a toccare il
Salento settentrionale e il confine settentrionale della Calabria (loro pron. personale), spingendosi fino al Catanzarese (loro possessivo). Ma queste forme non ricorrono mai nei dialetti della Sicilia né in quelli dell’estremo lembo meridionale
74
Michele Loporcaro
della Calabria. Data l’ipotesi dell’importazione di loro, ciò appare in netto contrasto con la generale dinamica areale dei dialetti del Meridione d’Italia. Questa
vede infatti opporsi notoriamente, con buona sistematicità, una forma conservativa nell’alto Meridione ed una innovativa in Sicilia e Calabria del sud: v. ad es. capu
(f.)/testa ‘testa’, acu/agugghia ‘ago’, milu/pumu ‘mela’, uva/racina ‘uva’, suglia/lesina ‘lesina’, crai/dumani ‘domani’ e le molte altre coppie discusse nei lavori classici di Rohlfs 1933:58, 1962:253s., 1964 ecc.47
Se dunque il pronome loro nei dialetti meridionali si dovesse esclusivamente ad
influssi da settentrione, ci attenderemmo di trovarlo in primo luogo nei dialetti di
Sicilia, mentre al contrario «tale forma è del tutto sconosciuta ai dialetti siciliani
moderni» (Bonfante 1962:204).
La palese discrepanza di questa distribuzione geografica rispetto alle condizioni altrimenti generali deve istillare il dubbio che fra i loro del Meridione continentale almeno alcuni siano di tradizione ininterrotta e rappresentino la diretta
continuazione del latino ill rum, così come crai, capu ecc. dell’alto Meridione
continuano direttamente i latini cras, caput ecc. opponendosi ai settentrionalismi
impiantatisi in Sicilia a partire dall’età normanna. A questo strato più recente, per
la Sicilia, resterà possibile ascrivere il loru ricorrente nei testi letterari tre-quattrocenteschi48.
5.2 Il loro del Meridione e il sistema casuale proto-romanzo
Le ipotesi correnti circa il carattere avventizio di loro nel Meridione presentano
una diretta implicazione, che pure non sembra esser stata sinora espressamente
tematizzata. Esse richiedono infatti che si disgiungano nettamente i loro attestati
già in antico nel Meridione dalla vicenda proto-romanza ripercorsa al §2.2: non
avrebbero nessun legame diretto, questi loro, con quell’ill rum genitivale che assunse la funzione di possessivo già in latino e poi di pronome personale obliquo in
proto-romanzo. L’argomento, si è detto al §2.3, si appoggia sulla parallela assenza
nei dialetti del Meridione del pronome obliquo del tipo lui/lei, forma che al singolare fa da pendant a loro.
47 I proverbiali fiumi d’inchiostro sono stati versati su questa minor conservatività della Sicilia (e della Calabria del sud) rispetto al resto del Mezzogiorno e sul ruolo che il sostrato greco
prima e la neoromanizzazione in età normanna poi ha giocato nel determinare questa configurazione di isoglosse. Dei lavori citati del Rohlfs non è necessario accettare l’estremizzazione, laddove egli sostiene che il latino non si imponesse mai veramente in Sicilia come lingua dell’uso
popolare e che al greco ininterrottamente continuatosi sin dall’epoca magno-greca si sia direttamente sovrapposto l’arabo. Si può invece senz’altro accogliere l’istanza di realismo propugnata
da Vàrvaro 1979, 1981, che delinea per la Sicilia medievale il quadro di un perdurante plurilinguismo. Per un’equilibrata valutazione della discussione su conservatività e innovatività del siciliano v. Fanciullo 1991:46, 1993.
48 Su cui v. già il §4.3; v. inoltre le prove fonetiche e sintattiche discusse ai §5.4.1 e 5.5.2.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
75
In verità, nessuno dei propositori della non autoctonia del loro centro-meridionale si è impegnato ad argomentare che il Centro-meridione d’Italia fosse escluso
dal comune sviluppo proto-romanzo che portò alla fissazione degli obliqui lui/loro
entro un sistema casuale del tipo visto in (2). Eppure, una tale esclusione consegue logicamente se si proiettano direttamente sulla fase di formazione delle
varietà italo-romanze meridionali i dati dialettali moderni49.
Questa netta disgiunzione, da un lato dei loro moderni dall’ill rum antico e
dall’altro del Meridione d’Italia rispetto al resto della Romània, non trova però
conforto nei fatti. Consideriamo il caso del pronome lui, in cui la situazione odierna è ancor più univoca che per loro, mancando esso ovunque nel Meridione. Ebbene, sbaglierebbe chi da questo dato geolinguistico odierno deducesse che illu ,
al quale lui rimonta, non si sia imposto nel latino parlato dell’Italia meridionale,
per la semplice ragione che simili forme dativali poi continuatesi nell’obliquo proto-romanzo sono effettivamente attestate, nel latino epigrafico d’età imperiale, anche per l’Italia meridionale. Lo mostrano esempi come ultimum illui spiritum ut
exciperet (CIL X 2564, da Napoli).
Quest’aporia ha una spiegazione. L’origine prima delle formulazioni circa
l’estraneità dei tipi ill rum, illu ecc. al Meridione d’Italia, passate agli strumenti di riferimento, rimonta ad una fase della storia della ricerca in cui l’esistenza del
sistema tricasuale proto-romanzo non era stata ancora messa a fuoco pienamente
nelle sue implicazioni (v. §2.2). Ma se tale ipotesi – e le attestazioni latine tarde che
la suffragano – meritano credito, allora anche il Meridione d’Italia doveva disporre ancora in fase romanza di un ventaglio di forme quale quello sopra visto in (2).
Molte di queste, certamente, sono poi scomparse, ma una volta assunto questo diverso presupposto saremo preparati all’eventualità di poter riconoscere in forme
dialettali odierne o dei volgari antichi sopravvivenze isolate del sistema protoromanzo.
Possiamo in effetti collocare in questa luce alcuni dati in sé noti ma cui sinora
non si è attribuito il giusto valore in questo contesto. Si sa che anche il Meridione
presenta, nella morfologia pronominale, forme che si spiegano solo con la generalizzazione di un originario obliquo. Basti citare il sicil. (e calabr.) ku (kui) ‘chi?’,
pronome interrogativo sia in funzione di soggetto che di oggetto/obliquo (ad es.
calabr. cui èsti ‘chi è?’, a cui scrivisti ‘a chi hai scritto?’; cf. Rohlfs 1966-69:§489),
che è notoriamente un cu che in queste zone si è imposto, scalzandolo, sul qu che
49 Anche in un quadro generale quale quello di Dardel/Wüest 1993:45, che prevede una
netta scissione della Romània in fase antica in rapporto alla morfologia casuale e con particolare riguardo al sistema dei pronomi personali, si riconosce all’Italia, per intero, una posizione
intermedia: essa conobbe sia lo sviluppo cosiddetto del «primo ciclo», come Iberia, Sardegna e
Sicilia, che determinò un sistema di pronomi personali cui ill rum resta estraneo, sia quello cosiddetto del «secondo ciclo», proprio di Gallia e Dacia, caratterizzato fra l’altro appunto dalla penetrazione di ill rum entro la serie dei pronomi personali. I due «cicli», al centro dell’Impero, si
sarebbero sovrapposti. Dunque, dall’angolo visuale del proto-romanzo, appare comunque innegabile che ill rum si continui in Italia, anche agli occhi di chi, per il resto, propugna scissioni
nette (delle quali si veda la critica serrata sviluppata da Seidl 1995).
76
Michele Loporcaro
si continua altrove come forma unica dell’interrogativo (it. chi ecc.). Rohlfs 196669:§486 segnala la presenza di continuatori meridionali di cu anche nel paradigma
del pronome relativo: cf. crotonese cuni, relativo e interrogativo («incrocio di cui
e chine», da qu con -ne paragogico; cf. Rohlfs 1966-69:§489)50.
Ma perché una simile forma d’obliquo si continuasse, è necessario supporre che
ad essa competesse, in antico, una funzione. E tale funzione distinta è concepibile
solo come funzione sintattica, appunto, d’obliquo, all’interno di un sistema che
dové essere tricasuale. Queste forme superstiti di obliquo vanno infatti considerate accanto all’opposizione nominativo/non nominativo che nel Centro-meridione
continentale è attestata per il pronome relativo sino in fase tardo-medievale. Le
sue vestigia sono state recentemente messe in luce da Formentin 1996, che ha
mostrato come nei testi napoletani di età angioina (Bagni R, LDestTr) e, in parte,
ancora aragonese, nonché nei volgari antichi del resto della Campania, di Puglia,
di Lucania e di parte del Lazio persista una netta opposizione, prima del suo studio rimasta inavvertita, fra chi (soggetto) e che (oggetto/obliquo): ad es. dai Bagni
R chillo ba(n)gno chi recrea v. 92, chillo chi ne la state pate cotidiana v. 385 di contro a ad chille che la podagra multo à segnoreato v. 350, per bona experiencia che tu
ce troverray v. 430.
Sommando questo dato documentario all’argomento ricostruttivo ricavabile
dalla persistenza di forme derivanti da cu , e proiettando il quadro così ottenuto
sulla fase proto-romanza, ne risulta per l’italo-romanzo meridionale preletterario
un sistema tricasuale chi ⬍ qu nom. & cui ⬍ cu obl. & che ⬍ quem accus. (incontratosi con quid): ossia il medesimo sistema che può ben essere ascritto al protoromanzo in quanto tale.
Ne fanno fede l’opposizione (qui/que) conservata sino ad oggi dal francese,
l’analoga opposizione chi/che dei volgari antichi dell’Italia settentrionale (cf.
Rohlfs 1966-69:§486: Barsegapé a quilli qui án necessitá v. 1094, di contro a zo ke
tu imprometi v. 262, ed. Keller 1901:52, 37), la persistenza di cui accanto a che in
italiano. Inoltre, anche per il toscano duecentesco residui di distinzione funzionale fra che, poi prevalso, e chi segnala sempre Formentin 1996:165 (con rimando a
Schiaffini 1926:308); del resto, l’uso relativo assoluto (chi dorme non piglia pesci)
ha fissato il chi ⬍ qu . Inoltre, se rum. cine, port. quem, sp. quien rappresentano notoriamente la generalizzazione dell’accusativo quem, lo spagnolo antico ha ancora, solo in funzione di soggetto, anche qui (los homnes qui esta carta verán), che
cade in disuso nel sec. XIV (Menéndez-Pidal 1952:263).
Dunque, la documentazione di un’opposizione pluricasuale nelle forme del relativo restituita dalle lingue romanze in fase antica è troppo sistematica per poter
essere revocata in dubbio, come pure alcuni studiosi hanno proposto. Così Väänänen 1976:267, secondo cui il pronome relativo
50 Il crotonese odierno ha abbandonato questa forma, cui si è sostituito [ka]: ad es. [a ’
frε:s˰
ka m ’ε man’ča:t@’ε:r@’b:O:n˰] ‘la fresa (fetta di pane abbrustolito) che mi son mangiato era buona’ (cf. Turano 1995-96:102).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
77
a maintenu, ou reconstitué, – mais seulement dans une partie de la Romania, en l’espèce en
français – l’opposition de fonction sujet-régime [corsivi aggiunti].
Del dubbio così espresso dal Väänänen si hanno anche formulazioni più radicali.
De Poerck 1963:117 suppone infatti che il francese qui possa essere «une innovation sans lien nécessaire avec le latin qui». Ma la concordanza dei dati galloromanzi, ibero-romanzi e italo-romanzi settentrionali e meridionali impone invece
che si riconosca una continuità, in quanto non si vede come una simile opposizione avrebbe potuto esser restituita poligeneticamente in forme esattamente identiche51.
Tornando al pronome personale, altre tracce di una fase tricasuale per il Meridione d’Italia sono ricavabili da un testo romanzo di venerabile antichità, che presenta condizioni di osservabilità particolarmente favorevoli, non date altrove nella storia delle varietà meridionali. Si tratta delle «antichissime glosse salentine»
edite da Cuomo 1977, conservate da un manoscritto (il De Rossi 138, cod. 3173 della Biblioteca Palatina di Parma) paleograficamente databile entro il sec. XI (Cuomo 1977:188) e che riflette dal punto di vista culturale «una situazione non posteriore al X-XI secolo» (Cuomo 1977:228). Con questa collocazione cronologica, stabilita su base esterna, collima bene la generale facies linguistica delle glosse, che
contengono numerosi arcaismi fonetici (conservazione dei nessi con -l-, su cui v.
Cuomo 1977:216: ad es. in lu kunik(k)lu klusu ‘nel cunicolo chiuso’ [= grotta uso
cantina] 145, klaveka ‘chiavica’ 144, ecc.)52 e lessicali (pesklu ‘chiavistello’ 147 ⬍
pesclum/pessulum, ânaure (leve) ‘orecchini’ 76 ⬍ inaures, sene ‘senza’ 32 ⬍ sine,
latere ‘mattone’ 133 ⬍ later,-erem, gli ultimi due con riscontri soltanto nel sardo).
Sempre quanto al lessico, da notare la presenza di grecismi bizantini e l’assoluta
assenza di germanismi e, a fortiori, di gallicismi (Cuomo 1977:224): tutto converge
a consolidare le indicazioni cronologiche ora citate.
In questo quadro generale di arcaismo privo di riscontri fra la documentazione
volgare pervenutaci per il Meridione d’Italia, va collocato il frammento di sistema
pronominale ricostruibile in base alle glosse 61, 62 e 141, che riporto qui di seguito:
51 L’argomento principale per negare tale continuità è tratto dall’evoluzione dell’uso testimoniata dai testi basso-latini (cf. Herman 1963:125s., Väänänen 1976). Le risultanze degli spogli di questi testi sono state tuttavia, a mio parere, estremizzate. Dall’indagine di Väänänen
1976:272 risulta che tra i secoli IV-VI tendono a generalizzarsi come forme di relativo quod e que
(II fase dello sviluppo postclassico del sistema del relativo come ricostruito dallo studioso finlandese), cui si aggiungono tra i secc. VI-VIII (III fase) qua e, soprattutto in Italia, quid. Tuttavia,
da ciò non si deve di necessità dedurre che queste innovazioni abbiano del tutto scalzato i precedenti qui/quem, estesi al femminile dal II sec. d.C. (I fase). La coesistenza di più forme è perfettamente possibile, come dimostrano più varietà romanze, antiche come moderne: cf. ad es. per
il salentino quattrocentesco tucti quilli chi là erano c. 2v16 e coloro ca vivono gran tempo appresso
nuy c. 7r25 (dal Sidrac, ed. Sgrilli 1983:122s.); per il dialetto di Altamura [’li ’kau
7s@ čı/ka
sU’č:e:d@n@] ‘le cose che succedono’ (Loporcaro 1988:247).
52 Conclude Cuomo 1977:223 che «il sistema consonantico delle nostre glosse riflette una situazione da VIII-IX secolo».
78
Michele Loporcaro
(12) ille k i aveta ‘colui che abita’ 62 (o, causativo, ‘che dà abitazione’, interpretazione più vicina al testo ebraico);
ille k i am(m)aturane ‘quelle che maturano’ 61;
vukka l(l)ui vakante ‘la sua [= del pozzo] apertura vuota’ 141.
Le glosse 62 e 61 restituiscono un pronome dimostrativo (rispettivamente al masc.
sing. ed al femm. pl.) come antecedente di un pronome relativo. Date le condizioni fonetiche generali della lingua delle glosse, nelle quali «è mantenuta la distinzione fra -e e -i finali» (Cuomo 1977:211; ad es. litame 52, ligature 127, vulßente ‘girevole’ 135 di contro a fasuli salvateki 19, papavari 56, ecc.), si deve risalire rispettivamente al classico ille (senza influsso di qu ) e ad illae53. Questi due ille
omofoni, qui dimostrativi, dovevano esser coincidenti coi pronomi di III persona.
Per il singolare, i dialetti odierni del Salento hanno nelle due funzioni un continuatore dell’accus. illum: [’i : u] ‘egli, lui’ e, con riduzione fonetica, [ :u] ‘quello’ (agg. dimostr.) (cf. Rohlfs 1966-69:§437, 494). Le glosse riportate in (12) ci dicono che doveva sussistere, in antico, una forma nominativale (parallela al tosc. egli
o all’isse ⬍ ipse che si continua nel sardo logudorese). Ma ci dicono, soprattutto,
che accanto a continuatori di ille e di illum il salentino del pieno Medioevo conosceva inoltre anche il terzo membro di un sistema proto-romanzo tripartito quale sopra esemplificato in (2) (§2.2). E’ il l(l)ui della glossa 141, parafrasabile con
un possessivo ma da analizzare strutturalmente come un obliquo senza preposizione in funzione di determinazione genitivale54.
Sul piano formale si ha una perfetta corrispondenza fra quest’attestazione antico-salentina e i dati da altre tradizioni romanze che costituiscono prova diretta per
la ricostruzione di una comune fase pluricasuale, come il rumeno casa lui ‘casa
sua’, prietenul lui ‘il suo amico’55. I restanti materiali linguistici tràditi dalle glosse
53 Pare dunque da sciogliere la riserva espressa dall’editrice circa questa forma (cf. Cuomo
1977:218): «(61) ille (m. o femm. pl. . . .)». «Quelle che maturano» sono «erbe dolci» (ebr. ha-matòq,
Cuomo 1977:245), ed evidentemente il pronome riprende genere e numero del sostantivo romanzo omesso, corrispondente semanticamente al termine ebraico glossato (che è un collettivo).
54 L’editrice stampa (a p.264) l(l)ui come interpretazione della traslitterazione dell’ebraico
luw'ij, senza esplicitare il perché della geminazione, visto che il lamed dell’originale è traslitterato senza segno di raddoppiamento (daghe ), che invece è in genere presente altrove nella notazione della [ll] geminata (cf. Cuomo 1977:203). Con comunicazione per lettera del 30.10.2001 l’editrice sottolinea «che in altri quattro casi è possibile che la lamed senza daghe rappresenti la
geminata per punteggiatura parziale . . . si tratta di suffissi diminutivi che altrove presentano il
daghe ». Nell’attesa di una verifica autoptica del manoscritto, si può provvisoriamente concludere che, se effettivamente si avesse qui una geminata, questa attestazione andrebbe ad aggiungersi agli altri elementi di prova radunati al §5.4.3 che fanno fede della conservazione della
geminata nei continuatori meridionali di ill rum.
55 Anche l’italiano antico presenta residui di questa costruzione, in particolare col pronome
rafforzato colui/colei: muove dalla colui deità (Boccaccio, Ameto, ed. Quaglio 1964:690); per lo
colui consiglio (Decameron, ed. Branca 1976:135). Rohlfs 1966-69:§441 cita anche, dallo Straparola, il lui padre, la lei bellezza ecc., ma successivamente in questa costruzione si è inserita la
preposizione di a rendere analiticamente esplicita l’espressione della determinazione genitivale
(cf. Palermo 1998).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
79
nonché le generali condizioni italo-romanze permettono di escludere che si abbia
ancora, a quest’altezza cronologica, un organico sistema di flessione bicasuale nella morfologia del nome e del pronome quale quello attestato dal gallo-romanzo
antico o dal rumeno odierno. Piuttosto saremo di fronte alla fissazione di una forma residuale entro il solo sistema pronominale, come in ant. fr. Abel, vers le cui don
dameredex se regarda (Serm. poit. 66; cf. Tobler 1902:69) e come ancor oggi nell’italiano il cui parere.
Ma ai nostri fini è cruciale sottolineare che la persistenza di tale forma – pur
eventualmente con un ambito funzionale ristretto e modificato – è spiegabile soltanto se si ammette a) che anche queste varietà meridionali abbiano partecipato
del sistema proto-romanzo tricasuale; e b) che, anche in queste varietà, la forma b.
lat. illu assumesse la funzione morfosintattica di obliquo.
La spiegazione alternativa, per prestito dal Settentrione, in questo caso specifico non è disponibile poiché un toscanismo è fuori questione ed anche un influsso
gallo-romanzo sembra difficilmente postulabile. E’ vero che nella «seconda metà
dell’XI secolo» (Cuomo 1977:186), periodo al quale ci riporta la datazione su base
paleografica del codice, i Normanni arrivano nel Salento (dal 1063 Roberto il Guiscardo è padrone del Principato di Taranto). Tuttavia le nostre glosse, che rimandano ad una tradizione culturale e linguistica ben più antica, non presentano neppure una traccia di quei francesismi (ed anche, specificamente, normandismi; cf. ad
es. Aebischer 1938) che poi invece abbonderanno nei dialetti salentini56.
Non resta pertanto che riconnettere direttamente questo lui al b. lat. illu , esattamente come si fa per la Toscana, per l’Italia settentrionale o per la Francia.
L’unica differenza sta nel fatto che nel Meridione d’Italia questo lui, diversamente che in Toscana, al Nord ed oltralpe, non ha avuto ulteriore fortuna ed è infine
uscito ovunque dall’uso57.
Se dunque il salentino delle glosse presenta forme che permettono di ricostruire un sistema tricasuale per il pronome personale di III pers. singolare (ille sogg.,
illu obl. accanto all’illum oggetto diretto, ivi non attestato ma garantito dagli esiti salentini moderni), si potrà ben supporre che al latino tardo parlato in queste
zone, così come illu , non dovesse essere estraneo neppure ill rum.
V. ancora la valutazione degli apporti non latini al lessico delle glosse in Cuomo 1977:219s.
Quando questo articolo era già pronto per la stampa, ho potuto constatare che la rilevanza di questi esempi – il lat. illui da Napoli e il salentino l(l)ui delle glosse del sec. XI – per la questione del sistema pronominale proto-romanzo è sottolineata da Zamboni in stampa: 13, secondo cui la ricorrenza già nel latino dell’Italia meridionale, oltre che di Roma, di simili forme
innovative (v. sopra, alla N19) «non può non costituire un indizio del loro focolaio» [enfasi nell’originale]. A questo dossier meridionale sarà da aggiungere il neminui attestato in un’epigrafe
cristiana di Sicilia (sec. VI) dalla contrada Cozzo, in agro di Acate, su cui si legge neminui liceat
aperi a[r]ce ipatu, cioè ‘nemini liceat aperire arcae hypatum’ [= ‘il coperchio dell’arca’] (cf. Vàrvaro 1981:69, Leone 1986:387). E’ questo un bell’esempio dall’estremo Meridione della vitalità
del tipo morfologico di dativo calcato su cui (nella stessa serie del lui, conservatosi modernamente in tante varietà romanze), che contribuisce a rafforzare la convinzione che illu non possa dirsi estraneo ab origine al latino dell’Italia meridionale.
56
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Michele Loporcaro
5.3 Confutazione dell’argomento funzionale
Il quadro tracciato sinora, che implica per il proto-romanzo del Centro-meridione
l’esistenza della fase tricasuale e la sopravvivenza per tradizione diretta sino in
fase documentaria di almeno alcune delle forme pronominali di III persona originariamente oblique, offre spunto per sottoporre a revisione critica l’argomento
funzionale riassunto al §3, che sottende la visione tradizionale circa la non autoctonia del loro nel Meridione. Del presupposto su cui tale argomento poggia è facile
mostrare, in linea generale, l’inconsistenza: la compresenza di più forme per l’espressione di una stessa funzione così come, all’inverso, il sincretismo di più funzioni in un’unica forma appartengono al nòvero dei fatti linguistici oggettivamente riscontrabili tanto quanto la corrispondenza biunivoca.
Per restare ai pronomi personali, si pensi alla differenza osservabile, per l’italiano standard, tra I e II persona, da un lato, e III persona singolare nel rapporto tra
le coppie di forme in (13):
(13)
I
persona
II persona
III persona
soggetto
io
tu
egli/lui
oggetto/obliquo
me
te
lui
Nella I e II persona la corrispondenza è biunivoca, e tale è sempre stata ab origine, mentre alla III sin dai più antichi testi è documentata l’alternanza delle due forme per la stessa funzione sintattica di soggetto, sia pure con una differenziazione
d’uso fondata su fattori testuali (v. la discussione ed il riepilogo bibliografico in
D’Achille 1990:313s.).
Eppure il presupposto della biunivocità informa spesso opinioni divenute vulgate in morfologia storica romanza. In base alla stessa modalità argomentativa
Rohlfs 1966-69:§589 fa propria l’ipotesi tradizionale circa la non autoctonia, sempre nel Meridione, del futuro sintetico romanzo del tipo canterò, che si ritiene non
indigeno poiché in generale nei dialetti (odierni) del Meridione l’espressione del
futuro è demandata alla perifrasi avere + a/da + infinito. In Loporcaro 1999 si è dimostrato che l’ipotesi non regge, in quanto il futuro sintetico ha anche nel Meridione attestazioni antiche e moderne non riconducibili per ragioni formali, funzionali e storico-culturali ad influsso toscano.
Venendo al possessivo di III plurale, l’argomento della ricorrenza di espressioni alternative al loro («[l]’espressione indigena è ‘suo’ o ‘di quelli’», Rohlfs 196669:§429) non è in sé probante. Prendiamo a confronto il caso della Sardegna. Le
carte AIS I 19-20 presentano come maggioritario in logudorese e campidanese il
tipo nome + de ips s (de íssosai Pt. 938, 942, 949, 957, de íssos Pt. 943, de íssus Pt.
941, 967, 973, 985, de íssusPt. 990), che ricorre come unica risposta in ben dieci pun«ro
ti (su 18 totali). In altri tre punti questo tipo concorre con nome + ips rum (ins{Ý
«ru Pt. 963), il quale d’altro canto è in concorrenza con de γuddos
Pt. 947, 959, ns{Ý
œœ
«ro
‘di quelli’ al Pt. 954 e costituisce la risposta esclusiva solo in tre punti (iss{Ý
Pt.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
81
«ro Pt. 937, 955). Applicando lo stesso criterio quantitativo seguito dal
923, ins{Ý
Rohlfs per ill rum, se ne dovrebbe dedurre che il possessivo di III plurale d’origine genitivale (⬍ ips rum) non sia, in Sardegna, l’espressione autoctona ed originaria di questa funzione. Conclusione che è manifestamente assurda, perché non
si vede quale altra area della Romània potrebbe avervelo irradiato.
Ancor più specificamente, nel caso della forma loro è possibile dimostrare che
con essa è rimasta in concorrenza per secoli, in vaste zone della Romània, l’originaria espressione latina classica del possessivo di III plurale: il continuatore di
suus58. Si è già visto (§2.2) che in castigliano ed aragonese medievali lur coesiste,
nei testi dei secc. X-XII, con il su ⬍ su(u)m che infine ha prevalso. La stessa coesistenza si è documentata al §2.4 per il francese e l’occitanico medievali ed al §4.2
per l’antico napoletano, dove ha invece prevalso loro. A completare questa panoramica romanza si può citare il caso del rumeno. Questo ha mantenuto sino ad oggi
la possibilità di utilizzare, per esprimere il possesso alla III persona sg., un pronome obliquo (lui m./ei f.) in alternativa al possessivo s u: locuie te în casa sa o în
casa lui/ei ‘vive in casa sua’ (Lombard 1974:153; Pop 1948:124, 211, 372)59. La costruzione col pronome personale si estende progressivamente nella lingua parlata
(Iordan et al. 1967:134).
Nel rumeno del sec. XVI, inoltre, l’alternativa riguardava anche la III persona
plurale, dove potevano ricorrere sia il possessivo sâu sia il pronome personale obliquo lor(u) (cf. Meyer-Lübke 1900:90):
(14) în sfatul loru nu soseasc sufletul mieu i în adunarea loru nu fie slava mea, c
in m niia sa omorâr pre omu i în hr boriia sa cia orbitoare omorâr pre taore (Gaster 1891, I:35,26)
‘che la mia anima non segua i loro consigli, e che la mia gloria non si confonda nella loro compagnia, poiché nella loro collera hanno ucciso degli uomini
e nella loro leggerezza hanno accecato dei buoi’.
Nel rumeno odierno, al plurale, lor si è imposto come unica forma di possessivo e
s u è uscito dall’uso (ad es. ma ina lor ‘la loro auto’).
Per questo aspetto il rumeno conserva dunque oggi in statu nascenti, al singolare, ed ha conservato sino ad alcuni secoli fa al plurale la situazione proto-romanza presupposta da tutte le lingue neolatine, ossia la concorrenza delle due espressioni del possesso alla III persona, da un lato attraverso un possessivo ereditario e
dall’altro attraverso un pronome personale che esprime una specificazione genitivale.
58 Le due forme sono entrate in concorrenza per effetto della neutralizzazione dell’opposizione sussistente in latino classico (cf. §2.2). Un’analoga vicenda, si è ricordato al §5.2, ha interessato le diverse forme del relativo (chi, che, ca, cui) in molte varietà (italo-)romanze, dopo la
perdita delle opposizioni di caso originariamente presenti.
59 La coesistenza si ha fin dai primi testi del rumeno (cf. Meyer-Lübke 1900:90: mai naînte de
na terea lui vazú tat sâu un vis ‘prima della sua nascita suo padre fece un sogno’, C.B. I, 357,27)
dove continua direttamente condizioni basso-latine.
82
Michele Loporcaro
Anche il catalano presenta segni evidenti di questa concorrenza: se nella lingua
letteraria si ha oggi llur, «en la llengua medieval coexistia llur amb seu, aplicat a
diversos posseïdors» (cf. Badia i Margarit 21984:308, che cita ad es. pres son comiat tengueren son cami ‘preso commiato, si misero in viaggio’, dal Curial e Güelfa). Fra i due tipi c’è tuttora competizione, in quanto ai letterari llur fill, llurs amics
si contrappongono nel «catalano comune» parlato el seu fill, els seus amics (Badia
i Margarit 21984:309), costrutti con seu per la III plurale che hanno prevalso in
tutti i dialetti catalani ad eccezione del rossiglionese. In quest’ultimo il continuatore di *ill rum (variante di ill rum impostasi nell’ibero-romanzo) è rimasto vitale ed ha sviluppato un nuovo paradigma flessivo: [’̛urt] m.sg., [’̛urs] m.pl.,
[’̛ur@] f.sg., [’̛ur@s] f.pl. In alcuni vicini dialetti del catalano nord-orientale, d’altro canto, llur «no es conserva más que en expressions fetes, com casa llur . . ., i encara de manera vacil·lant» (Badia i Margarit 21984:309). Esso mostra dunque la
distribuzione tipica d’un arcaismo.
In conclusione, una considerazione attenta della documentazione disponibile
per i secoli passati permette di escludere una spaccatura netta, ab origine, fra aree
in cui come possessivo di III plurale s’impose ill rum ed aree rimaste a suus, quale potrebbe apparire da una ricognizione affrettata delle sole varietà standard
odierne. Possiamo quindi considerar dimostrata la fallacia dell’assunto per cui la
continuazione in un determinato sistema di suus per il possessivo di III plurale
escluderebbe automaticamente l’esistenza di ill rum con la medesima funzione.
Un assunto che appare dettato da una estremizzazione sul piano funzionale degli
argomenti geolinguistici (e neolinguistici) del tipo stigmatizzato da Clemente Merlo, quando egli respinge la conclusione di Bonfante 1953:57 N26 a proposito della
non autoctonia del tipo lessicale giorno nell’Italia meridionale. Tutte le forme del
tipo giorno sarebbero qui necessariamente di prestito, secondo il Bonfante, in
quanto i dialetti meridionali conoscono più generalmente per esprimere tale
nozione il continuatore di diem. Al che obietta, ineccepibilmente, Merlo 195556:186:
dies e diurnum [teømpus] vissero certo lungamente insieme nel parlar quotidiano e nulla vieta di pensare che, dei due vocaboli, nei vari dialetti, anche dentro breve spazio di terra, l’uno
o l’altro poi scomparisse e l’uno o l’altro sopravvivesse. Si crede generalmente che l’Italia settentrionale intera costituisca un’area compatta di «orbo» per ‘cieco’; a disilludere anche i più
convinti basterebbe un’inchiesta nella valle del Vedeggio, una delle valli del Sottoceneri ticinese. La voce per «cieco» è e|g, esito normale di caecus, nel paese di Riviera; è orb tutt’atœ
torno, anche nel paese di Bironico, poco lontano60.
Confutato così l’argomento funzionale su cui poggia l’interpretazione vulgata, passiamo ora in rassegna gli aspetti formali, fonetici (§5.4) e sintattici (§5.5), pertinenti
per la nostra questione.
60 V. qui sotto, alla N63, alcune delle forme meridionali addotte dal Merlo a riprova di questa
conclusione.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
83
5.4 Fonetica
Riconsideriamo anzitutto la veste fonetica con cui le forme del tipo loro si presentano nelle varietà centro-meridionali antiche e moderne.Al §5.4.1 vedremo che
non tutti i tratti fonetici di cui al §3, n°(3) devono in realtà considerarsi spie affidabili di non autoctonia. I §5.4.2 e 5.4.3 mostreranno poi che diverse tra le forme
centro-meridionali del tipo loro godono di proprietà fonetiche, sinora mai sistematicamente messe a fuoco, tali da rendere implausibile l’ipotesi che si tratti di
voci non di tradizione diretta.
5.4.1 La vocale tonica e quella d’uscita
Abbiamo riepilogato al §3, (3) le irregolarità nello sviluppo fonetico che possono
esser fatte valere come indizio di non autoctonia. Queste, tutte quante relative al
vocalismo, non hanno però tutte il medesimo statuto. Quanto a (3c-d), il ricorrere
di esiti come da o tonica, con o senza metafonesi, è un indizio consistente del carattere avventizio delle nostre forme. In alternativa, bisognerebbe postulare una
base *illóru(m), con o, totalmente ad hoc.
Una simile forma sarebbe immotivata in quanto priva di sostegno paradigmatico, diversamente ad es. dall’*ill rum postulabile in base alle continuazioni
ibero-romanze, che è fondato su di un conguaglio analogico con illuius, illu
(cf. sopra, §2.4). Né sembra possibile offrire, dell’insorgere d’un ipotetico *illóru(m), una spiegazione puramente fonetica ad es. secondo le linee tracciate da
Vineis 1984:4961. Vi si propone che, già dal latino arcaico, al sistema vocalico classico se ne affiancasse un altro, del tipo poi affermatosi nel romanzo ma all’epoca
marcato diastraticamente come varietà bassa del repertorio linguistico del latino di Roma, in cui la lunghezza vocalica fosse già regolata allofonicamente in
base alla struttura sillabica e le vocali distintivamente lunghe e brevi fossero ricategorizzate, rispettivamente, come distintivamente tese e rilassate. In base a
questa coesistenza il Vineis spiega deviazioni rispetto agli esiti attesi come quelle osservabili in it. fèsta, sp. fiesta ecc., dove le continuazioni romanze presuppongono *e
ø contro la attestata (cf. lat. f riae). Data una vocale originariamente breve e tesa in sillaba chiusa, sarebbe prevalsa qui la variante diastratica bassa, in cui la brevità implicava la lassità. Altra possibile occasione d’interferenza
tra i due sistemi diastraticamente compresenti è offerta dal caso in cui una vocale lunga e rilassata ricorresse in sillaba aperta. Il parlante, di fronte a una simile vocale,
poteva far leva sulla pronuncia, diciamo così, popolare e realizzarla . . . come breve, ma poteva altresì insistere sulla lunghezza, con la conseguente sua realizzazione in termini di tensione (Vineis 1984:49).
61 Cf. Loporcaro 1997:59-61 per una discussione di questa ipotesi e dei suoi precedenti nella
storia della ricerca.
84
Michele Loporcaro
Così sarebbe accaduto, ad es., per il lat. praeda, con la creazione di una variante
con * stabilizzatasi almeno nel latino di Gallia, teste il fr. proie (di contro all’it.
prèda, in cui si continua regolarmente ae tonico).
E’ chiaro tuttavia che il nostro ill rum, con vocale originariamente lunga in sillaba aperta, non rientra nelle due categorie strutturali individuate dal Vineis come
possibili sedi d’interferenza: in altre parole, né nel sistema classico né in quello poi
sviluppatosi neolatinamente – e neppure in un processo d’interferenza fra i due –
si può individuare un motivo fonetico per l’insorgere d’una variante con o (/’O/)62.
Postularla, d’altronde, non è necessario in quanto un [’lO:r@/-u] (o suoi sviluppi
ulteriori) si spiega benissimo dati i generali meccanismi di adattamento delle forme di prestito nei dialetti meridionali63. I dialetti del Meridione estremo hanno un
sistema pentavocalico nel quale ogni o di prestito, in assenza di alternative, è adattata necessariamente come /O/ ed è dunque equiparata all’esito autoctono del lat.
o. Nei testi siciliani antichi si ha dunque loru come bonu ⬍ bónu(m) e diversamente da sulu ⬍ s lu(m).
Tale esito, incompatibile con lo sviluppo indigeno di tonica (⬎ u), è attestato
massicciamente. Nei testi siciliani editi, databili entro il 1400, contenuti nel corpus
del TLIO ricorre 779 volte loru, 31 volte loro e 77 volte lor 64. Per contro, si hanno
quattro sole ricorrenze (tutte dal ValMax) del luru che ci si attenderebbe come sviluppo popolare e, accanto ad esse, ben 492 ricorrenze di lur (ad es., rispettivamente, et nassiu intra di luru la questiuni ValMax I 158 e la munita loru avuta di la lur
vinditta ValMax II 82). La fortissima prevalenza della forma apocopata lur spinge
a ritenere che in luru sia da vedere non già un’autoctona continuazione di ill rum
bensì un adattamento secondario, sorta di compromesso tra loru e lur (e in quest’ultimo, ricorrente prevalentemente come clitico o come possessivo anteposto, la
Ringrazio R. Lazzeroni per aver discusso con me questo punto.
E’ vero che si registrano altri casi di esito come da o per il Mezzogiorno, in forme dove il
toscano e il resto della Romània continuano regolarmente originario (⬍ u/ ). E’ il caso del napoletano [’jworn@], merid. estremo [’jOrnu], di contro al toscano giórno, fr. jour: anche qui si è tuttavia proposto di spiegare l’irregolarità con un prestito (dall’italiano letterario, per Rohlfs 196669:§146, Freund 1933:7 ecc. o dal gallo-romanzo, come argomentano per il siciliano antico Li
Gotti 1951:53, Bonfante 1953:57, Ambrosini 1977:57), anziché postulare un *diornu continuatosi in queste regioni, accanto al classico diurnu. Quest’ultimo, infatti, nonostante il parere contrario di Bonfante 1953:57 N26, ha lasciato alcune tracce nell’Italia meridionale; cf. la discussione di Merlo 1955-56:186, 1957:194, che adduce forme abruzzesi (chietino [’jurn@ a’r:et@] ‘l’altro
ieri’, [’jur:@] a Palena e Castiglione Casauria), campane ([’fa ’ urn@] ‘albeggia’, di contro a
[’jworn@] ‘giorno’ a Calitri, prov. AV) e calabresi settentrionali ([’jurnu]; cf. Rohlfs 196669:§126). Anche il siciliano antico attesta, sia pur molto più raramente del normale jornu, un jurnu, come segnala Ambrosini 1977:57 rimandando alle due occorrenze di tale forma nei documenti tardo-trecenteschi (a. 1380) editi in Lombardo 1969:64-65.
64 La forma loro presenta anche un vocalismo finale deviante. Interessante notare come 28
delle 31 ricorrenze si concentrino nel testo del SGreg e si inquadrino dunque nella diffusa irregolarità fonetica del siciliano di quel testo, sottoposto a torsione linguistica da parte del copista
calabrese settentrionale estensore del ms. Vitt. Em. 20 (v. §5.4.3 N88). Le restanti tre, una dal ValMax, una dalla Spos e una dall’Eneas, saranno imputabili a toscanismo.
62
63
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
85
u può forse doversi ad una riduzione fonetica di o dovuta alla ricorrenza in protonia sintattica).
Parallelamente si ha in calabrese centro-settentrionale [’luo
7ru], come [’b:uo
7nu]
e diversamente da [’su:lu]. Una volta adattata come /O/, la vocale di un loro di prestito è stata sottoposta alla metafonia, che in questi dialetti, diversamente che nel
resto dei territori meridionali che conoscono il fenomeno, è innescata anche da -u
secondario (⬍ - ) (cf. la panoramica di Maiden 1991:170); ad es. in [’uot:u] ⬍ oct ,
& o nei genelle I persone singolari del verbo ([’ uo
7̛:u] ‘voglio’, [’ ie7 :u] ‘vengo’)
rundi ([fa’čie7n:u] ‘facendo’).
Il [’
lou
7r] dell’altamurano si spiega allo stesso modo. Qui, come in generale nell’alto Meridione, il sistema fonematico è eptavocalico. Tuttavia, pur esistendo un
fonema /o/ opponentesi ad /O/, è sempre la vocale che continua la medio-bassa proto-romanza a ricorrere negli adattamenti di prestiti con vocale media: non si ha
dunque differenza tra ad es. [’sou
7t] ‘buono, quieto’, dall’it. sodo, e [fi’ou
7r] ‘fiore’,
adattamento della voce italiana, che affianca l’autoctono [’jUu
7r] ‘f. dell’albero da
frutto’ (Loporcaro 1988:47, 72, 96)65. Inoltre [’
lou
7r] (come in generale queste voci
di prestito; v. [’sou
7t], ora citato) non presenta metafonia, diversamente dal [’
luo
7ru]
calabrese centro-settentrionale, e ciò è vero in generale per le forme di prestito, visto che queste affluiscono con -o (se italianismi) e comunque non con quella -u originaria che, insieme ad -i, condiziona la metafonia in questa varietà. Le stesse condizioni vigono in molte altre parlate alto-meridionali con sistema eptavocalico.
Così a Mattinata (FG) con lór@, che ha esito coincidente con quello di o non
metafonizzata (ad es. kór@ ‘cuore’), si allineano i cultismi dót@ ‘dote’, amór@ ‘amore/umore’, i quali si sottraggono alla dittongazione che interessa invece gli esiti
autoctoni di non metafonizzata (ad. es. sòul@ ‘sole’; cf. Granatiero 1987:7, 55).
Se però consideriamo le prime due spie di non autoctonia enumerate in (3a-b)
(-o per -u nell’area mediana ed esito come da non metafonizzata, ivi e nell’alto
Meridione), il discorso è alquanto differente rispetto a quello ora sviluppato circa
(3c-d). Infatti, per le forme mediane come colonnese [’lo:ro] o alto-meridionali
come ant. napol. l(l)oro (con -o finale e vocale tonica non metafonizzata) è possibile offrire una spiegazione foneticamente ineccepibile. Il presupposto di tale spiegazione è la considerazione che esattamente la medesima irregolarità ricorre in
65 Che anche un sistema ricevente eptavocalico faccia confluire in un unico adattamento /o/
ed /O/ degli italianismi è in parte ascrivibile al fatto che il veicolo di diffusione dell’italiano fu in
larga misura lo scritto: si muove dunque dall’unico ⬍o⬎ grafemico, secondo quello stesso principio che, qui applicato a singole voci di prestito nei dialetti, ha anche operato generalmente nella
creazione delle pronunce italiane regionali fuor di Toscana. Un principio già enunciato da D’Ovidio 31895:192: «L’Italia non si appropriò se non il fiorentino scritto, e fin dove poteva senza sforzo o con isforzi tollerabili.». Accanto a questo fattore esterno vi è poi una tendenza strutturale
che fa della vocale medio-bassa l’elemento di default, e che è attestata anche dal toscano. Infatti, la medesima riduzione ad un unico fonema medio-basso indipendentemente dall’esatta qualità della vocale originaria si verifica, e si è sempre verificata, nell’assunzione dei prestiti in italiano, dai latinismi antichi dòte, erède fino all’ottocentesco stop e al novecentesco break (cf. ad es.
Serianni 2000:40s., che ricorda il motto miglioriniano «vocale incerta, vocale aperta»).
86
Michele Loporcaro
un’altra forma di possessivo d’origine genitivale, ossia il sardo logud. [i’s:O:rO],
campid. [in’sO:ru]: infatti, la mancata metafonesi in entrambi e la -o finale del logudorese non sono compatibili con l’ips rum da cui pure si deve partire. Wagner
1938-39:117-8 N2 suppone che un mai attestato *[i’s:o:ru] «si sia incrociato coll’it.
(tosc.) loro», importato sull’isola colla dominazione pisana. In precedenza il
Meyer-Lübke 1902:4 aveva invece pensato ad un influsso del siciliano loru, storicamente davvero poco verosimile («eine solche Entlehnung ist ganz unwahrscheinlich und würde isoliert dastehen», Wagner 1941:38). Successivamente,
Lausberg 1971/II:110 osserva che «[l]a -o finale . . . sembra essere una forma di parificazione al vocalismo in o dei plurali (n vu, n{vos . . .) e contemporaneamente
una trasformazione del corpo della parola sul modello del tipo paragogico di k{ro»
(‘cuore’, dal lat. cor con epitesi).
Tanto la spiegazione esterna del Wagner quanto quella analogica, interna del
Lausberg sono in sé plausibili. Esse presentano però alcuni non trascurabili svantaggi. Le forme pronominali di cui ci stiamo occupando sono sopravvivenze fossilizzate del genitivo plurale latino: parliamo dunque d’un ambito residuale della
morfologia pronominale romanza, al quale si può a priori attribuire un carattere
conservativo.66 E tuttavia, a stare alle ipotesi correnti, proprio in quest’ambito si
concentrerebbero con frequenza sospetta deviazioni singolari come prestiti e incroci, che in genere costituiscono eccezione e invece proprio qui dovrebbero rappresentar la norma. Sarebbe dunque auspicabile poter opporre una spiegazione
congiunta, che faccia riferimento a condizioni comuni già latine, alle spiegazioni sin
qui disponibili,che invece disgiungono la vicenda del sardo logud.[i’s:O:rO] dagli sviluppi continentali del Centro-meridione (ad es. lloro ant. napoletano) e postulano
eccezioni separate nonostante in ambo i casi ricorra la stessa apparente irregolarità.
Ed in effetti appare a portata di mano una tale spiegazione unitaria, che si basa
su di un altro dato indipendentemente noto. Il latino epigrafico d’Italia attesta infatti largamente una forma di genitivo in -oro, sia nel paradigma nominale che in
quello pronominale (v. rispettivamente le attestazioni in (15a-b), radunate da
Gaeng 1977:103-5)67:
66 Sono ben note le sopravvivenze genitivali nel lessico delle lingue romanze, come ad es. it.
Candelora, fr. Chandeleur, prov. Candelor, aprov. pascor ‘primavera’ ecc. Di una residua funzionalità morfosintattica di questi genitivi testimonia ancora l’afr. la gent paienur (Roland 2427), la
Geste Francor (Roland 1443) (cf. Elcock 1975:54). Anche la toponomastica offre numerosi fossili di genitivo plurale (Galloro, Paganoro, Poggio Santoro, Pago Barbaroro in Toscana, Romanore, Salviore, Cazzanore ⬍ cattian rum in Lombardia; cf. Pellegrini 1990:20), tutte irrilevanti per la nostra questione fonetica in quanto da aree in cui la differenza fra -u ed -o finali originarie non si ripercuote sulla tonica. Pure irrilevanti sono i toponimi ed antroponimi meridionali
come Santoro (ad es. Vico dei Santoro, Maratea; cf. Pellegrini 1990:20), che evidentemente rispecchiano il latino ecclesiastico sanct rum mantenendone, per via semidotta, la vocale tonica
mentre il fonetismo autoctono meridionale estremo richiederebbe, in una voce di tradizione diretta, *Santúru indipendentemente dalla vocale finale originaria.
67 V. ancora, più di recente, Gaeng 1990:119: «La forme du génitive [sic] en -oro, reflet ortographique de la prononciation de -orum/-oru, est parfaitement stable». Da aggiungere che il pri-
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
87
(15) a. nomi: annoro (cf. Diehl 21961:n° 2976B); misoro = ‘mensorum’ per mensum (cf. Diehl 21961, II: 438, n° 4578), a. 291 d. C.; mesero ‘id.’ CIL VI 2662,
amicus amicoro (Diehl 21961, II: 443, n° 4622), XVI kal. Octob. marturoro
(= ‘martyrorum’, per martyrum; ivi, I: 379, n° 1999a);
b. pronomi: quoro sun nominae (ivi, I: 418, n° 2133), quod . . . ficiant per man
(= ‘manos’) eoro (ivi, I: 379, n° 1948c).
E se gli esempi in (15) sono tutti da epigrafi urbane, questo genitivo è però documentato anche altrove nella Penisola (ad es. annoro CIL V 896 da Aquileia, ante
a. 300; annoro CIL XI 216 da Ravenna, ecc.) ed è stato importato anche in Sardegna, dove non può essere autoctono in quanto la sua uscita non è che una particolare manifestazione della generale confusione fonetica di -um ed -o, che in Sardegna non si è mai prodotta né in epoca latina né in fase romanza68. Il genitivo in
-oro, di cui le epigrafi isolane restituiscono tre attestazioni, deve dunque considerarsi alla stregua di «une variante figée, importée» (Herman 1985:188)69. Date queste circostanze, è possibile postulare un *ips ro in cui si sia imposta questa desinenza genitivale d’importazione, continuatosi poi regolarmente in [i’s:O:rO]70.
A questo punto, le irregolarità fonetiche del tipo (3a-b) dei loro centro-meridionali possono spiegarsi anch’esse semplicemente, supponendo che anche in queste forme pronominali si sia imposto lo stesso genitivo in -oro, irradiato da Roma
anche in zone come l’area mediana, in cui allo stesso modo che in Sardegna gli esiti di -um ed -o finali restano distinti. E’ dunque da un *ill ro che possiamo partire. Tale forma – va ribadito – dev’essere concepita come il prodotto della ricategorizzazione come -o di -u(m) finale originaria in uno specifico lessema. Si tratta
dunque d’un mutamento morfologico, se pur prodottosi col favore della confusione fonetica che il latino epigrafico ci attesta. Quest’ultima, comunque, non dové
giungere a completa fonologizzazione in epoca latina. Lo mostra l’esistenza della
mo esempio noto di genitivo in -oro è inciso sul sepolcro di L. Scipione, console dell’anno 259 a.
C.: duonoro optumo fuise uiro ‘bonorum optimum fuisse virum’, CIL I2/2, 9.
68 Cf. Wagner 1941:37-8 per il mantenimento di quest’opposizione nel sardo. Herman 1985 ha
inoltre mostrato che le epigrafi di Sardegna in età imperiale sono perfettamente in linea con gli
sviluppi romanzi successivi, in quanto gli scambi tra u ed o e tra i ed e, comuni altrove, qui si riscontrano esclusivamente entro morfemi flessivi, e sono da imputare a metaplasmo.
69 Si tratta sempre della forma anoro, ricorrente in due delle iscrizioni raccolte in Sotgiu 1961:
30, n° 33 e 141, n° 215. Si noti che questa forma importata non si fermò all’area costiera, più aperta agli influssi continentali (dal Sulcis provengono le due attestazioni nell’iscrizione n° 33), bensì arrivò sino all’interno dell’isola, come mostra la terza occorrenza, nell’iscrizione n° 215, rinvenuta presso un nuraghe in territorio di Macomer (cf. Sotgiu 1961:141).
70 V. Loporcaro 2001b per il dettaglio dell’argomentazione. Si richiamerà qui almeno una circostanza cruciale, ovvero che non sarebbe questo l’unico caso in cui si debba supporre un influsso del latino peninsulare sul latino di Sardegna, esplicatasi in età imperiale (secondo una generale dinamica ricostruita da Blasco Ferrer 1989). Al contrario, la stessa vicenda deve supporsi
per la I persona singolare del verbo essere, che ha in tutto il sardo una [O] tonica (logud. [’sOε],
campid. [’sOi7]; cf. Wagner 1938-39:161) che non si spiega a partire da sum dato che in sardo u ⬎
[u], e presuppone invece quel so attestato dal latino epigrafico fuor di Sardegna: ad es. hic so et
non so CIL X 2070 (e poi ancora CIL VI 9258, CIL XV 7181 ecc.).
88
Michele Loporcaro
metafonesi, a Roma e nel Centro-meridione, che presuppone il mantenimento della distinzione originaria fra -o ed -u(m).
Quanto a lungo tale distinzione si sia mantenuta, a Roma, è difficile dire. Certo
è che fin dalle prime attestazioni del volgare qui, diversamente che nella limitrofa
area mediana, l’esito delle due vocali è notato, come in Toscana, -o: cf. dereto e colo
palo dell’iscrizione di S. Clemente, sec. XI ex.; Castellani 21976:112. Ed il fatto che
dell’opposizione originaria resti diretta ripercussione nella metafonesi (di eøo, non
di e che invece a Roma non vi fu; v. oltre, la N80) non pare argomento sufficienœ
te per motivare la conclusione di Ernst 1970:64-65:
Ob mit demselben Zeichen auch wirklich derselbe Laut bezeichnet wurde, kann bezweifelt
werden, da das aus -u entstandene -o noch bis ins 16. Jh. hinein seine umlautende Wirkung
nicht verlor. Falls wir nicht sie bis ins 16. Jh. auftretenden tiempo, muorto etc. als Reliktformen
ansehen wollen – und das ist bei der für den gesprochenen Dialekt zu vermutenden Regelmäßigkeit . . . wohl nicht der Fall –, so haben wir uns dieses -o ⬍ -u als sehr geschlossen zu
denken71.
Questa supposizione si scontra con un’elementare circostanza oggettiva. Laddove
effettivamente mantenuta nella realizzazione fonetica, come ancor oggi nella zona
che inizia alle porte di Roma, tale distinzione è anche, fin dalle prime attestazioni,
notata per iscritto così come accade tuttora nelle grafie dialettali72. Se si dà credito – come si deve – al dato documentario, che ci dice che -o ed -u(m) appaiono neutralizzati nel volgare romanzo sviluppatosi a Roma, ciò non obbliga, beninteso, a
parlare per tiempo, muorto di «Reliktformen», termine che suggerisce un isolamento paradigmatico contrario alla regolarità (Regelmäßigkeit) osservata nei fatti. Semplicemente, la metafonia resiste, per tutto il romanesco di prima fase, come
processo bensì regolare, ma morfologizzato: dunque, del tutto vitale paradigmaticamente, anche se non più determinato fonologicamente73.
Quanto all’area mediana, qui invece la distinzione nel vocalismo finale perdura. Vediamo dunque quali conseguenze comporti l’ipotesi di una base *ill ro per
l’interpretazione dei dati a noi noti74. La più antica attestazione mediana di loro è
nella Carta Picena del 1193 (cf. Castellani 21976:201-7): ke la t(er)ra sia loro a
Seguono il parere di Ernst Macciocca 1982:76, Arcangeli 1994:113.
Ciò è vero, per inciso, anche in presenza di realizzazioni fonetiche che riducono l’evidenza
della distinzione. Per il dialetto di Ariccia Lorenzetti 1995:27 osserva un ravvicinamento fonetico che conduce le realizzazioni di /-o/ ([o u ]) ad avvicinarsi a quelle di /-u/, pur senza con esse
confondersi. La stessa dinamica fonetica si descrive per il dialetto di Colonna in Loporcaro
2001a:458 N2). Nondimeno, in entrambi i paesi, la scrittura dialettale nota graficamente l’opposizione -o & -u.
73 Sulla morfologizzazione della metafonesi, in particolare nei dialetti dell’Italia centrale, v. almeno Tuttle 1985, Maiden 1989.
74 TekavciÛ 1972:239 menziona la «forma illoru, probabilmente già /l ru/ o /l ro/ nel latino
tardo parlato» (un’altra simile formulazione si legge a p.182) senza però trarre dalla veste fonetica così postulata per questo pronome alcuna deduzione circa le apparenti irregolarità di sviluppo del sardo e dei dialetti italiani meridionali.
71
72
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
89
p(ro)p(r)ietate 1875. L’uscita in -o è compatibile con l’*ill ro ora postulato, visto
che l’esito di -um nella lingua del testo è reso senza eccezioni con -u: quistu, prossimu 10, unu 11, issu 12, impedimentu 13-14, resicu 14, tuctu 15. La -o di loro sarebbe anche compatibile, però, con l’ipotesi del francesismo, visto che -o si trova
in un probabile prestito, l’antroponimo Plandeo 10, 11, Plandideo 15, 17, per il quale Castellani 21976:204 propone un’ascendenza germanica (*b/prandi-deo, da
confrontare con aat. brant ‘brando’ e deo ‘servo’; dunque ‘guerriero’).
La forma loro rimane nei testi mediani più tardi (v. ad es. l’estratto dagli Annali di Spoleto di Parruccio Zambolini, del primo Quattrocento, antologizzato in
Migliorini/Folena 1953: 25-27), il che prova che comunque di una regolare continuazione di ill rum non si può parlare. Se non si vuol pensare al prestito,
bisogna invocare una ricategorizzazione morfologica76.
Scendendo al Meridione, un’evoluzione foneticamente regolare di *ill ro può
esser vista anche nell’ant. napoletano (l)loro, che non presenta l’esito metafonizzato atteso a partire da ill rum. Da quanto fin qui argomentato consegue l’ipotesi che ⬍o⬎ grafica di questa forma sia da leggere [o] (⬍ non metafonizzata) e
non [O]. Il napoletano odierno [’l:O:r@] sarebbe il frutto di una modificazione successiva, per la quale è possibile addurre paralleli77. Il napoletano antico attesta
viro/biro (O biro Dio 7, dall’epistola del Boccaccio, ed. Sabatini 1983:437; et è lo
viro, LDestTr 47). Si tratta di una regolare continuazione di v rum, che il napoletano non ha conservato sino in fase odierna, visto che ‘vero’ suona oggi [’vε:r@].
Gli stessi fattori che hanno determinato il napol. odierno [’vε:r@], con modificazione dell’antico [’vi:ro], possono aver concorso a modificare un antico [’l:o:ro] in
[’l:O:r@]78. Quanto alla individuazione di tali fattori, responsabili di questi abbassamenti vocalici, pensavo dapprima semplicemente ad influsso italiano. Ma una
miglior soluzione mi offre Vittorio Formentin79:
Per la sintassi, in Castellani 21976:203 N7 si intende questo loro come un possessivo («sia di
loro proprietà»), mentre Migliorini 1963:102 N2 lo qualifica di «pronome [scil. personale] obliquo», ravvisando dunque in questa attestazione un residuo del sistema tricasuale di cui al §2.2.
76 Ad esempio secondo le linee che mi suggerisce (lettera del 16 agosto 2001) Vittorio Formentin. La vocale d’uscita di loro è da confrontare, negli stessi testi mediani come ad es. i citati
Annali spoletini, con quella di forme come cento ⬍ centum, ecco ⬍ eccum, accomunate dal fatto di presentare in origine un’uscita -u(m) non corrispondente ad un autonomo morfema flessivo (diversamente da quanto avviene nella flessione nominale e aggettivale, sede precipua del
mantenimento di -u). Questo, scrive Formentin, «mi sembra un indizio importante a favore dell’ipotesi morfologica sull’opposizione mediana -u/-o, che va sotto il nome di Contini-Baldelli».
La postulazione di una base *ill ro è in linea con questa modalità di spiegazione, d’ordine
morfologico: semplicemente, suggerisce che un simile riassetto morfologico poté fissarsi – in casi
specifici – già in età imperiale.
77 Tale modificazione seriore non hanno subito alcuni dialetti vicini: rimane in questa forma
una vocale medio-alta a Monte di Procida (AIS Pt. 720), come mostrano le carte I 19-20 (u ts«@/a
ts«@ l «r@).
78 œPer il vocalismo finale, si ricordi che il napoletano dei primi secoli conservava ancora una
triplice distinzione fra /-o/, /-a/ ed /-@/ (esito di -i, -e) (cf. Formentin 1998:185-7).
79 Comunicazione per lettera del 19 maggio 2001.
75
90
Michele Loporcaro
a proposito del tipo nap. odierno è ’o vèro, mi chiedo se non sia possibile pensare a una spiegazione interna al sistema nap., trattandosi di un’espressione in cui l’agg. ricorre in una funzione semanticamente neutra; potremmo cioè pensare a una disattivazione della metafonia, e
a una conseguente apertura del timbro della tonica, in una forma invariabile, non inserita in
un paradigma flessivo (un fenomeno simile a quello che in Formentin 1998:139 N362, ho proposto di definire «antimetafonesi», che potrebbe spiegare l’apertura della tonica in avverbî
come cetto ‘zitto’ – ad es. stammo cetto (letter.‘stiamo zitto’) – o schetto ‘schitto, soltanto’); questa ipotesi potrebbe poi forse avanzarsi anche per dar conto della odierna o aperta di llòro,
che è appunto una forma invariabile.
5.4.2 Continuatori foneticamente regolari di ill rum
La possibilità che in alcune zone dell’alto Meridione si continui un *ill ro, con
desinenza modificata, tale da spiegare almeno alcune delle forme con vocale non
metafonizzata non esclude naturalmente che il classico ill rum sia anch’esso sopravvissuto. Ad es. il loro dell’antico romanesco può rimontare all’uno o all’altro,
visto che questa varietà sin dalle più antiche attestazioni neutralizza in -o lat. -o ed
-u(m) finali (cf. rispettivamente dereto e colo palo, nell’Iscrizione di San Clemente; Castellani 21976:111s.) e non presenta la metafonia di ed e bensì solo quelœ
la di o ed eø.80 D’altro canto, come ricorda Formentin 1994a:212 N177, «sono da
registrare qua e là continuatori foneticamente ineccepibili» di ill rum: ad es. il sorano lur@ (cf. Merlo 1920:145).
Altri casi paralleli possono essere raccolti in area calabrese settentrionale, vagliando più attentamente le forme che Rohlfs 1966-69:§440 rubrica in blocco
come foneticamente irregolari: «in provincia di Cosenza luoru o lur@. Le ultime
due forme si rivelano chiaramente un’importazione per il loro uo (ovvero u da
uo)». Ciò vale senz’altro, si è visto al §5.4.1, per le forme con dittongo, ma per quelle con monottongo, almeno in alcune varietà, è possibile dimostrare che non si tratta dell’ulteriore riduzione di un precedente luoru con dittongo bensì di continuazione regolare di ill rum. E’ così nel dialetto di Trebisacce (CS), in cui la nostra
forma, usata sia come pronome personale che come possessivo, suona [’ӧU:r@] (cf.
Pace 1993-94: 38, 53). La vocale tonica, una /U/ non tesa, corrisponde all’esito autoctono di u (siamo nell’area con vocalismo sardo) o di metafonizzata: cf. rispettivamente [’cU:d@] ‘chiudere’, [’rUt:@] ‘rotto’ e [n@’pU:t@] ‘nipoti’. Sul vocalismo di quest’area informa il classico saggio di Lausberg 1939:1-58:Trebisacce è fra
i punti ivi indagati, eppure lavori posteriori hanno precisato, rispetto al quadro del
Lausberg, alcuni particolari per noi importanti. Anzitutto nel vocalismo, come ha
notato Trumper 1980:268, questo dialetto tende a sviluppare un’opposizione, insolita per l’italo-romanzo, fra vocali alte tese e non tese (/u/ & /U/, /i/ & /i/). Mentre
le seconde continuano rispettivamente u ed metafonizzata e ĭ ed metafonizzata, le prime sono l’esito finale di un processo di monottongazione dei dittonghi metafonetici da o eøche a Trebisacce è ancora in corso. Qui, come mostra la de80 Così Ernst 1970:53-6 che si oppone all’autorevole parere in contrario di Merlo 1929-31:47.
V. la discussione e gli ulteriori esempi prodotti da Arcangeli 1994: 103 N18.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
91
scrizione di Pace 1993-94, la monottongazione /’u@
7/ /’i@
7/ ⬎ /’u/ /’
i/ è tuttora in via
di diffusione attraverso le generazioni, e vi si sentono sia [’ku:t@] che anche, nei
più anziani, [’ku@
7t@] ‘còlto’. Entrambi questi esiti di o, ad ogni modo, sono distinti
dalla /U/ che ricorre in [’ӧU:r@] ‘loro’, la quale dunque a sua volta non può spiegarsi
come sviluppo ulteriore del dittongo, secondo quanto proposto dal Rohlfs81.
Ne consegue che [’ӧU:r@] del trebisaccese deve ricondursi direttamente ad ill rum.
5.4.3 Laterale geminata iniziale
Come si è detto al §4.3.1, il pronome personale ed il possessivo di III plurale suonano oggi a Napoli [’l:O:r@] (cf. ad es. Bafile 1993:116), con una geminata iniziale
che non dipende dal contesto fonosintattico: dunque, non solo [’a ’l:O:r@] ‘a loro’
ma anche [’ε:r@n@ ’l:O:r@] ‘erano loro’82. Per il napoletano antico, dal Due al Quattrocento, questa circostanza è rimarcata da Formentin 1994a:47-48, che elenca
lloro tra le forme con ll- geminata lessicale83:
là ⬍ illac, loco ⬍ *illoco, loro ⬍ illorum . . . in napoletano, come in molti altri dialetti meridionali, conservano ll latino: la doppia compare in sintagmi come da llà, cha lloco, de lloro
(graficamente dalla, challoco, delloro), mentre non è normalmente rappresentata in sintagmi
del tipo torna là, essendo loco, la roba loro, così divisi già dagli amanuensi.
Ciò è importante per la discussione sull’autoctonia di loro, in quanto la conservazione della geminata sembra incompatibile con l’ipotesi del prestito. Ammettendo
che loro costituisca in antico napoletano un adattamento del francese lor, è davvero improbabile che i napoletani abbiano attribuito a questo prestito una geminata iniziale «ricordandosi» della quantità consonantica etimologica di ill rum.
Esemplifichiamo in dettaglio la situazione del napoletano trecentesco, basandoci nuovamente, come al §4.2, sul LDestTr ed analizzando la distribuzione di
81 Questa forma pronominale è sfuggita al Lausberg 1939:141, 144, che registra per tutta l’area tanto per il pronome personale che per il possessivo di III plurale soltanto l r(@), «dessen
Schriftsprachlichkeit man sich durchaus bewußt ist. Es hat denn auch nirgendwo erbwörtlichen
Vokalismus, vgl. kalabr. [luoru] usw.» (Lausberg 1939:§305 N2). Come si è visto, il trebisaccese
[’ӧU:r@] non può rientrare in questo quadro.
82 A vero dire, in molti saggi novecenteschi sul napoletano la notazione della geminazione è
omessa (loro in Altamura 1961:46-7, Bichelli 1974:124). Più esatta la notazione in opere di
grammatici dei secoli passati: lloro con geminata iniziale in Capozzoli 1889:207 e nella Grammatica napolitana di Francesco Oliva (iniziata nel 1728; cf. l’ed. Malato 1970:XVII e 316): «io, tu,
isso, nuje, vuje, isse, lloro». E’ appena il caso di notare che, come si vede dall’enumerazione delle forme pronominali ora citate, questa ll- geminata non dipende da raddoppiamento fonosintattico. Si confrontino, sempre dall’Oliva, le forme di OI «a nnuje, a buje, a lloro»: mentre nei pronomi di I e II plurale si registra il raddoppiamento fonosintattico, nel caso della III plurale questo si applica vacuamente, come accade per tutte le geminate iniziali lessicali.
83 Come ha dimostrato Formentin 1994a, la geminata dell’ant. nap. lloro è solidale, nell’ambito della famiglia dei continuatori di ille, con quelle conservate in lle (art. det. f. pl. e clitico OD
f. pl.) e llo (art. e clit. OD neutro)
92
Michele Loporcaro
⬍ll⬎ e ⬍l⬎ nelle 844 occorrenze di l(l)oro contenute fra il Prologo ed il libro
XXXI nella versione del ms. P (v. sopra, la N40 per la delimitazione del corpus). In
(16) si presentano i risultati, relativi al contesto dopo preposizione:
(16)
a (l)loro
co (l)loro
da (l)loro
de (l)loro
inde (l)loro84
intre (l)loro
⬍lloro⬎
144
40
20
96
3
20
⬍loro⬎
0
0
0
3
0
29
Le forme con ⬍ll⬎ geminata sono largamente maggioritarie. Esse ricorrono categoricamente non solo dopo monosillabi raddoppianti come a e co (a lloro 55, 56
ecc., co lloro 48, 50 ecc.) ma anche dopo da, certamente non raddoppiante in questa varietà85, e quasi categoricamente dopo de (96 de lloro, contro tre sole ricorrenze di de loro). Del sintagma inde lloro si hanno soltanto tre ricorrenze (47, 48,
56), tutte con la geminata, mentre solo nel caso di intre l(l)oro si ha una prevalenza delle forme con la scempia. La tabella (17) riporta i dati relativi alla posizione
dopo articolo determinativo (o dopo preposizione articolata):
(17)
lo (l)loro
la (l)loro
li (l)loro
le (l)loro
⬍lloro⬎
10
35
53
27
⬍loro⬎
3
10
15
11
Come già nel caso delle preposizioni, anche per gli articoli non si nota una differenza significativa nella ricorrenza di ⬍ll⬎/⬍l⬎ in l(l)oro dopo forme raddoppianti e non raddoppianti86. Più in generale, la forma lloro con la geminata si trova anche dopo parole non monosillabiche ed in contesti sintattici in cui il raddoppiamento fonosintattico nelle varietà italiane meridionali è escluso a priori
(dopo sostantivo, dopo infinito ecc.). In (18) si riporta una piccola scelta di esempi:
(18) li vute lloro 97 ‘i loro voti’, offerire lloro sacrificie 253, la gente lloro 254, li
mayuri lloro 255, lo sfortunio lloro 255, lo trademiento lloro 256.
84 «La selezione dell’allomorfo inde per ‘in’ davanti a lloro è un ulteriore indizio del carattere lessicalmente geminato della laterale iniziale» (Vittorio Formentin, comunicazione per lettera del 19 maggio 2001; v. la dimostrazione prodotta in Formentin 2001).
85 La preposizione da provoca raddoppiamento (ad es. da [m:]e) soltanto a Firenze ed in parte della Toscana, mentre in tutta l’Italia centro-meridionale il raddoppiamento dopo da non è mai
attestato per nessuna varietà in fase antica o moderna.
86 Per un elenco delle forme raddoppianti e non in napoletano antico v. Formentin 1995:56.
L’articolo determinativo femminile plurale ha mantenuto il potere raddoppiante in napoletano
odierno: [e ’f:em:@n@] ‘le donne’.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
93
Il quadro che emerge conferma dunque che lloro dell’antico napoletano aveva una
consonante geminata iniziale nella sua rappresentazione fonologica. Tale geminata si conserva nel dialetto urbano odierno ed ha lasciato traccia in altri dialetti
campani. A Monte di Procida (AIS Pt. 720), sia come possessivo che come pronome personale è registrato uno dd{Ý́r@ la cui geminata non sembra dipendere da raddoppiamento fonosintattico in quanto non ricorre solo in p@ dd{Ý́r@ ‘per loro’ (VIII
1660) ma anche in dd{Ý́r@ p r@ ‘loro pure’. La conservazione della geminazione è
però variabile, perché una l scempia ricorre in u tsÝ́
Ñ@l{ǿr@ (I 19). Di variabilità non
parla invece Freund 1933:70, che per l’ischitano riporta dd{r@ senz’altra indicazione, come unica forma di III plurale sia del pronome personale che del possessivo.
Se si passa ora a considerare il siciliano antico, è possibile notare una netta divergenza rispetto all’antico napoletano. Loru (o loro, o lor) dei testi siciliani tre e
quattrocenteschi non ricorre infatti mai con ll- geminata, se non in un unico
contesto. Prendiamo gli esempi in (19), dalla Sposizione della passione secondo
Matteo (a. 1373, v. ed. Palumbo 1954):
(19) a. dissi a lloru Spos I 71, 76, 154; pari a lloru I 72; darria a lloru I 155, inanti a
lloru II 18 ecc.
b. da loru I 33, I 155, I 161, II 55, II 144; intra loru I 140, II 172; di loru II 133,
II 195.
Il testo si presta bene all’illustrazione di questo fenomeno in quanto è tràdito in
testimone unico (Madrid, Bibl. nacional 109/ant. C-61). Ebbene, su un totale di 28
occorrenze di loru preceduto da a, ben 27 presentano geminazione della laterale87.
Per converso, fra le 131 occorrenze totali di loru in questo testo, nessun’altra presenta ll- se non quelle precedute da a. Tale situazione sembra generale, nel senso
che è a lloru l’unico sintagma in cui una geminazione viene notata nei testi siciliani antichi, letterari come documentari. Da quest’ultima categoria citiamo ad es.
quanti a lloru parrà dai Capitoli frumentari di Palermo (a. 1349; ed. Li Gotti
1951:42)88. Si noti che anche i testi siciliani antichi conservano la geminata in alcuni
87 L’unica eccezione è Et dissi a loru Pilatu (II 124). Ma si sa che la notazione del raddoppiamento fonosintattico, da parte dei copisti medievali, non è categorica.
88 Fra i maggiori testi letterari del Trecento siciliano, l’Eneas e il Valeriu Maximu (cf. rispettivamente le ed. Folena 1956 e Ugolini 1967) non presentano neppure un esempio di loru in sintagma preposizionale con a; ciò si deve al fatto, di pertinenza sintattica (v. §5.5.2), che in questi
testi loru non ricorre mai con funzione di pronome tonico OI o OD. Un altro importante testo
siciliano trecentesco, il Dialagu di Santu Gregoriu, volgarizzamento opera del frate messinese
Giovanni Campulu (1302-37), presenta oltre ad a lloru (SGreg 52, 104 due volte, 138 ecc.) anche
cu lloru (53), sì lloru dichìa (74), tutti spiegabili per raddoppiamento fonosintattico indotto dalle consonanti finali assimilatesi in cu ⬍ cum, sì ⬍ sic. Presenta inoltre lloru preceduto da III
persone singolari del verbo, nei contesti dixe lloru (88, 176), dixi lloru (123) ‘disse loro’. Anche in
questo caso si ha raddoppiamento fonosintattico, come ha mostrato Formentin 1995, che utilizza la ricorrenza sistematica – mai prima notata – di raddoppiamenti nella consonante iniziale dell’enclitica dopo III persone singolari e plurali come prova che l’intero manoscritto Vitt. Em. 20
della Biblioteca Nazionale di Roma, principale relatore del Dialagu, è interamente di mano ca-
94
Michele Loporcaro
derivati di ille; così in illà, illocu (cf. Li Gotti 1951:41, 43, 53 ecc.), corrispondenti
alle voci antico-napoletane sopra citate. Questa conservazione non concerne però
loru.
Concludendo, dal confronto delle condizioni fonetiche ora condotto emerge un
divario netto fra Napoli e la Sicilia: lloro antico napoletano aveva una geminata
iniziale che mal si spiega supponendo che tale forma pronominale sia di prestito.
Per loru ant. siciliano una simile spia fonetica non si dà.
Quanto al napoletano antico, prima di chiudere questo paragrafo resta da discutere un’ultima questione. Infatti, il LDestTr presenta, sempre con ll- geminata,
quattro occorrenze di lluy ‘lei’, che il genere femminile dichiara come sicuro francesismo: convenerriale de se spartire da lluy (LDestTr 222; traduzione di «ex ea privari continget»); la quale se clamava regina Pantasilea et era stata gran canoscente
et amica de Hector per la fama de la soa gran prodeze, et Hector non manco de lluy
(LDestTr 234); che nde era facto de lluy (259); a lluy era plu dura la vita che la morte (260)89. Scartato l’unico a lluy, restano gli altri tre esempi con geminata iniziale,
il che parrebbe incrinare il ragionamento ora condotto per lloro.
Non è così. Per chi voglia supporre che sia lluy che lloro siano in antico napoletano dei gallicismi, la presenza della geminata resta inspiegata. In particolare, mi
sembra da escludere che un loro di prestito debba la sua geminata all’accostamento con illo (cf. egli/loro in italiano, che non sono sentiti come connessi morfologicamente). Se invece lloro è di tradizione diretta, luy, importato dal francese in
un sistema con lloro preesistente, può averne subìto l’influsso analogico acquisendo la geminata90. Si tratta in entrambi i casi di pronomi di III persona (inizianti per
laterale) e fra i numeri della III persona le simmetrie strutturali (cf. it. esso/essi,
essa/esse, ant. egli/eglino) abbondano.
Conferma quest’ipotesi, mi pare, un’ulteriore circostanza. Lo stesso francesismo
lui si trova anche in siciliano antico: la gran tirannia/ki intra lui [= la Sicilia] è chavata (dalla Quaedam profetia, ed. Cusimano 1951-52, I:24)91. In siciliano, però, questo lui non ha ll- geminata, il che si spiega bene, data l’ipotesi ora esposta, visto che
labrese centro-settentrionale, diversamente da quanto si credeva in precedenza. Il raddoppiamento fonosintattico (= RF) dopo III persone singolari del verbo è infatti tuttora diffuso nella
metà settentrionale della Calabria, a partire dai parlari del Catanzarese rustico subito a nord del
capoluogo (cf. Rohlfs 1982, Loporcaro 1997:115s.), mentre il RF dopo III plurali resiste oggi soltanto in poche località silane (cf. Loporcaro 1995b). Proprio in relazione alle condizioni del RF,
dunque, il testo in questione andrà messo da parte se si vuole indagare la situazione fonetica del
siciliano antico.
89 Su questa forma antico-napoletana v. cf. De Blasi 1986:426, Formentin 1994a:212 N177, De
Blasi/Imperatore 1998:235.
90 Questa ll geminata nei pronomi di III persona gode di una certa fortuna ulteriore a Napoli. La si ritrova anche nelle forme collui, collei usate dai letterati della corte aragonese (cf.
gli esempi dall’Aloisio segnalati in Vitale 1986:24), che possono avere la geminata o per lo
stesso motivo analogico ora esposto o per raccostamento alla preposizione raddoppiante co ⬍
cum.
91 Su questa forma in siciliano antico cf. Bonfante 1962:205 N14, Ambrosini 1977:67.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
95
il loru dell’antico siciliano non ha neppure esso la geminata iniziale e non poteva
dunque dar luogo ad alcuna estensione analogica di ll-. E del resto, diversamente
che per il napoletano, indizi convergenti (v. §5.5.2) portano a ritenere che in siciliano anche loru, come lui, si debba effettivamente ab origine ad influsso galloromanzo.
5.4.4 Fonetica: bilancio
Traiamo dunque un bilancio dalle considerazioni fonetiche esposte in questa sezione. Alcune delle spie fonetiche di non autoctonia che possono essere invocate
a sostegno dell’ipotesi del prestito, in quanto incompatibili con una continuazione
fonetica regolare di ill rum (cf. (3a-b), §3), si rivelano non probanti se si ammette che alcune delle forme dell’alto Meridione continuino in realtà un allotropo con
uscita del genitivo in - ro. La stessa ipotesi permettte di render conto dei dati, altrimenti problematici, del sardo logudorese e campidanese. Accanto a questa forma in - ro si continuò però regolarmente anche ill rum, almeno in alcuni dialetti (così a Sora, nel basso Lazio, o a Trebisacce, in Calabria settentrionale). Anche
il consonantismo di alcune delle forme meridionali discusse è inconciliabile con l’ipotesi che si tratti di imprestiti: in questo senso parla la ll- geminata iniziale del napoletano o la dd- (⬍ ll) dell’ischitano e del procidano. Si noti che questi tratti fonetici, che depongono a favore dello sviluppo indigeno, possono esser colpiti selettivamente dall’influsso italianizzante. Così, se a Monte di Procida (AIS Pt. 720)
vacilla la quantità della consonante iniziale (e si ha l .r@ accanto a dd .r@), ad Ischia
è la vocale tonica di dd{r@ a subire una perturbazione, in quanto presenta l’esito
che sarebbe regolare per o non metafonetica (cf. Freund 1933:6), mentre la geminata iniziale resta salda.
Accanto ai tratti ora commentati, altri ve ne sono tuttavia che parlano decisamente per un influsso esterno. Nel Meridione continentale, alto come estremo, si
registrano forme senza geminata iniziale la cui vocale tonica, assimilabile agli esiti di o, è direttamente comparabile con quella che si riscontra negli adattamenti
di voci di prestito con /o/ (così è in altamurano). Questa situazione, in antico,
appare rispecchiata compattamente dai testi letterari e documentari siciliani tre e
quattrocenteschi: vi ricorre loru, con una o [O] incompatibile tanto con ill rum
quanto con *ill ro, e senza geminata iniziale. A favore di un’importazione
d’Oltralpe depone inoltre la ricorrenza nei testi antichi siciliani di forme foneticamente ridotte (lor e, più raramente, lur), direttamente sovrapponibili al modello gallo-romanzo (e coincidenti inoltre con la forma apocopata toscana):
l’apocope è estranea alla fonetica autoctona del siciliano come delle varietà del
Meridione continentale. E di tali forme apocopate non si ha infatti alcuna attestazione nei volgari antichi di Napoli o di Roma (v. l’inventario prodotto oltre, ai
§5.5.3-4).
In conclusione per la Sicilia, al contrario che per l’alto Meridione, manca ogni
traccia positiva di una continuazione autoctona delle nostre forme pronominali.
96
Michele Loporcaro
Vedremo al §5.5.2 che i risultati dello spoglio sintattico dei testi antichi confermano questa contrapposizione.
5.5 Sintassi
Abbiamo già esposto sopra (§4.1-4.2) alcune considerazioni circa l’uso sintattico
di loro nei testi meridionali antichi. In questa sezione approfondiremo l’esame delle condizioni sintattiche per ricavarne ulteriori elementi di valutazione riguardo
alla questione dell’autoctonia.
Prenderemo in esame due varietà meridionali riccamente attestate: l’antico
siciliano (§5.5.2) e l’antico napoletano (§5.5.3). Come termini di raffronto, per giudicare se l’uso sintattico del loro di queste varietà deponga o meno per il prestito,
terremo presente due altre varietà romanze: anzitutto il toscano, al quale come s’è
già visto è impossibile attribuire l’origine prima del loro meridionale (v. §2.3, §4)
ma che certamente ha poi esercitato il suo influsso sulle varietà meridionali, così
in generale come anche per questo aspetto specifico. L’altro dominio neolatino da
tenere in considerazione è quello gallo-romanzo. Ed iniziamo proprio richiamando brevemente gli usi sintattici dell’antico francese lor.
5.5.1. L’antico francese
In antico francese lor (varianti lour, lur) ha funzione di possessivo: lour anemes
(Alexis 605), enz en lur mains (Roland 93)92. Oltre che come possessivo, l’afr. lor
ricorre anche come clitico oggetto indiretto, nella quale funzione è esclusivo: or et
argent lur met tant en present (Roland 398) ‘(Orlando) regala loro tanto oro ed
argento’.
Passando ai pronomi personali tonici, possiamo brevemente richiamare il sistema bicasuale, che il gallo-romanzo in fase antica mostra ancora vitale nella flessione sia pronominale che nominale. Le forme del pronome tonico di III plurale
sono le seguenti:
(20)
cas sujet
cas régime
masch.
femm.
il
eles
els/eus
eles
lor
In questo quadro, lor non trova posto come forma soggettiva, mentre come cas
régime (assommante le funzioni sintattiche non soggettive di oggetto e di obli92 Gli esempi sono attinti alle numerose trattazioni disponibili di linguistica diacronica francese. V. in generale Gamillscheg 1957:178-82, Moignet 1973:37s., Rheinfelder 1967/II:129s.,
Togeby 1974: 102s.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
97
quo) esso può ricorrere in alternativa a els/eus, eles: Et sor ce mandent a vos comme a lor bon pere que vos a lor commandoiz vostre comandement (Villehardouin
106). L’uso di lor come cas régime tonico è destinato a cedere il passo alla generalizzazione delle forme accusativali evolutesi nel fr. mod. eux/elles: «lour ne
s’emploie pas comme régime prépositionnel après le XIIIe siècle» (Nyrop
1925:224). Da alcuni interpreti l’uso di lor in questa funzione è presentato come
marginale ab origine: così ad es. in Moignet 1973:37 o Togeby 1974:102, che non
lo riportano affatto nella tavola riassuntiva. Moignet 1973:39 avverte poi che «on
peut trouver lor dans l’emploi de eus»; Togeby 1974:103 che «il est très rare de
trouver lor en ancien français dans cet emploi original de cas oblique tonique»93.
Secondo altri interpreti, inoltre, vi fu sempre una distinzione d’uso in quanto lor,
«weak or conjunctive», si sarebbe opposto a eus/eles, «tonic or disjunctive» (Jensen 1990:§293). Un riesame della questione in base ai dati primari trascende i
limiti di questo lavoro. Si può tuttavia notare che l’entrata in competizione di lor
e di eus/eles per la funzione di pronome tonico al cas régime è il diretto e prevedibile risultato del passaggio dalla fase protoromanza tricasuale in (2) al sistema
bicasuale (20), storicamente attestato. Neutralizzata l’opposizione, s’instaura una
variazione tra forme ormai non più funzionalmente distinte. Esattamente lo
stesso si può pensare sia accaduto nelle altre aree della Romània, solo in data
più alta e con esiti alterni (generalizzazione ora della forma accusativale, ora
dell’obliqua).
Restando al gallo-romanzo, l’antico provenzale coincide coll’antico francese
nell’uso di lor (lur) come possessivo (lor chastels, Bertran de Born 6.29) e come
clitico OI (que Dieus lor o pot perdonar, Marcabruno 15.41), nonché nel non ammettere lor come soggetto, innovazione che fra le varietà romanze è limitata originariamente all’italiano centro-settentrionale (con l’inclusione del toscano; v.
§2.1). Inoltre in antico provenzale è normale la ricorrenza di lor accanto ad els/elas
come pronome tonico al cas régime (cf. Crescini 31926:77): ad es. er ab lor de Tholoza (Croisade Albigeoise 211.34), e de lor de la vila (ivi 183.21), assatz an trahit lor
(A. de Peguilhan 29.10)94.
Da quanto detto consegue che l’analisi sintattica mette a nostra disposizione
un elementare strumento diagnostico per sceverare fra le diverse ipotesi in campo circa i rapporti storici fra (l)loro centro-meridionale, loro toscano e lor antico-francese. Se ad esempio in una determinata varietà centro-meridionale antica
loro ricorre come soggetto (lo si è visto, in concreto, per il napoletano e per il romanesco del Quattrocento; v. §4.1-4.2), ciò potrà essere imputato a toscanismo,
non certo ad influsso gallo-romanzo. Se d’altro canto risultasse che in una determinata varietà meridionale loro fosse regolarmente escluso dalle funzioni di clitico, ciò parlerebbe a sfavore, per quella varietà, di una importazione da nord, in
93 Al contrario nello schema del sistema pronominale antico-francese di Dardel/Wüest
1993:41 figura solo lour ⬎ leur e mancano, certo per una svista, le forme accusativali.
94 La documentazione è attinta a Jensen 1994:§207, 218, 221, 237, 278.
98
Michele Loporcaro
quanto sia il toscano che il gallo-romanzo conoscono invece ab origine tale impiego.
Procediamo dunque alla verifica puntuale dell’uso sintattico del loro così come
fissato nei testi antichi centro-meridionali.
5.5.2 Il siciliano antico
Per il siciliano antico ho condotto una ricerca automatica delle forme pertinenti
contenute nel corpus del TLIO, che annovera (al 5 luglio 2001) 43 testi siciliani di
diverso genere ed estensione, dalla lirica al romanzo ai testi devozionali, agiografici e documentari. Dal punto di vista quantitativo, comunque, la parte del leone
fra le attestazioni reperite compete di gran lunga ai quattro testi letterari già menzionati al §5.4.3: SGreg, Eneas, ValMax e Spos, con l’aggiunta della Conquesta di
Sichilia di Simone da Lentini (1358). Il totale delle occorrenze reperite è presentato in (21), suddiviso per funzione sintattica secondo la classificazione proposta
in apertura (§2.1, n° (1)) e distinguendo inoltre la funzione di obliquo (preposizionale) da quella di OI e di OD95:
(21)
pron
poss
pronome personale tonico
clit
obl
oi
od
sogg
tot.
loru
loro
luru
lor
lur
502
19
0
46
400
167
6
4
2
12
38
2
0
0
5
3
0
0
0
7
1
0
0
0
1
68
4
0
29
67
779
31
4
77
492
tot.
967
191
45
10
2
168
1383
Ai fini dell’analisi sintattica possiamo anzitutto operare una duplice riduzione:
potremo conteggiare insieme, rispettivamente, loru, loro e lo sporadico luru, la cui
variazione fonetica non si correla con alcuna differenza sintattica ed è puramente
accidentale (v. sopra, §5.4.1 N64), e allo stesso modo lor e lur. Ottenute queste due
categorie, emerge un quadro ben definito. Entrambe, anzitutto, si usano prevalentemente in funzione di possessivo (loru/-o/luru 521 volte su 814 = 64%, lor/lur 446
volte su 569 = 78,3%), ma ciò non è rilevante in quanto discende da fattori indipendenti di frequenza testuale. Per inciso, ciò vale anche, nell’ambito del pronome
tonico, per la scarsissima incidenza quantitativa del pronome OD96. Come pronoSulla fonetica di queste forme v. sopra, §5.4.1 e 5.4.3.
Come del resto in italiano odierno, l’OD pronominale è molto più frequentemente espresso
da un clitico. Si ha il pronome tonico in casi in cui l’OD sia topicalizzato o oggetto di enfasi contrastiva. L’OD espresso da loru, come avviene in generale in siciliano antico per l’OD sia pronominale (non clitico) che nominale, può essere facoltativamente accompagnato da a: cf. con segna95
96
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
99
me tonico si usa prevalentemente la forma bisillaba di cui si contano 221 occorrenze contro 25 di lur e due sole di lor.
Tutte le forme in (21) – tranne luru – ricorrono anche in funzione di clitico OI,
con una chiara divergenza quantitativa. Restringendo il calcolo alle due funzioni
sintattiche di clitico e di pronome personale tonico, le forme ridotte monosillabiche sono impiegate come clitici nel 76,8% dei casi (96 su 125), mentre per quelle
bisillabe prevale statisticamente l’impiego come pronome tonico (221 su 293,
corrispondenti al 75,4%)97. Si offre in (22) una sintetica esemplificazione, da testi
letterari come documentari:
(22) a. sanctu Benedictu loru dixe SGreg 53, e commandau loru ki non lu divisseru dire SGreg 73, et narrai loru tucti kisti cosi Eneas 48, mandau loru unu
ventu ki li minau ad unu locu Eneas 126;
b. placimentu lor fu di consultari lu deu Apollu ValMax I 158, Dissi lor Scipio
ValMax II 116, cum li quali eu lor poza displachiri Eneas 8, tucti li cosi chi
lor bisugnavanu Eneas 26, quandu lor plachirà Capituli Disc. 798.
I dati in (22) sono d’importanza centrale per la nostra argomentazione. La ricorrenza della nostra forma pronominale – nelle sue varianti sia bisillabe che monosillabiche – come clitico OI ci dice infatti che il siciliano loru (e varianti; la specificazione sarà di qui in poi omessa) coincide nell’uso sintattico sia con l’antico
francese che col toscano. Si osservi inoltre che su un totale di 1383 occorrenze (248,
se ci si limita al pronome personale tonico escludendo il clitico e il possessivo) se
ne hanno due, una di loru e una di lur, in funzione di soggetto, il che potrebbe indicare una convergenza col toscano ed una divergenza rispetto all’antico francese
caso preposizionale Et eccu Iesu li ascuntrau a lloru, et dissili (Spos II 133); avia judicatu a loru
(SGreg 155), di contro a indussiru loru a dimandari Barraban (Spos II 63). Che il segnacaso per
l’oggetto diretto non sia di ricorrenza categorica neppure coi pronomi personali mostrano gli spogli sintattici di La Fauci 1991:388s., Sornicola 1997:69. Pertanto, in una varietà che conosca il marcamento preposizionale dell’OD, perdipiù facoltativo, possono crearsi numerosi spazi di ambiguità (v. la discussione di Sornicola 1997:73).Anzitutto, il sintagma a lloru può esprimere tanto un
OD quanto un OI. Nelle analisi dei dati il cui risultato è riportato in (21) si è assunto come criterio
decisivo quello di qual sia la costruzione del medesimo predicato reggente, come accertabile in
base a contesti non ambigui: per l’OD, dunque, le frasi passive o quelle attive in cui ricorrano clitici OD di III persona. L’ambiguità vale anche per la forma loru priva di segnacaso preposizionale.
Ad es. in lur amunianu li lur matri ValMax I 83 potrebbe esser contenuto, in teoria, tanto un OD
tonico quanto un clitico OI, così come in amunissi ad Augustu Cesar ValMax I 32 potrebbe vedersi, di per sé, tanto un OI quanto un OD con marca preposizionale. Ma che si tratti, in entrambi i
casi, di un OD è garantito da amunerulu ValMax I 31, lu amunissiru ValMax II 68, ecc.
97 La differenza non è certo tale da stupire. Le forme monosillabiche sono prosodicamente
ridotte e come tali candidate alla enclisi/proclisi. Anche come possessivi, esse ricorrono invariabilmente prima del nome (45 occorrenze su 45: ad es. sicundu lor gradu Eneas 91, li lor ornamenti
ValMax II 10, ecc.), in una posizione di protonia sintattica meno prominente prosodicamente di
quella a destra del sostantivo modificato, dove invece come possessivo si ha sempre la forma
bisillaba.
98 L’ultimo esempio è dai Capituli di la prima Cumpagna di la Disciplina di Palermu, del 1343,
editi da Branciforti 1953:3-26.
100
Michele Loporcaro
(cf. §5.5.1). Si tratta tuttavia di dati non solo quantitativamente sporadici ma anche
qualitativamente particolari, sui quali parrebbe azzardato fondare una conclusione in tal senso, poiché in entrambi i casi si tratta sì del soggetto, ma del soggetto di
un infinito. Inoltre, in uno (di condannarsi lur medemmi ValMax II 100) quest’infinito è quello di un riflessivo diretto, cosicché l’interpretazione di lur medemmi
come coreferente coll’OD non pare da escludere a priori99.
Passiamo ora ad applicare la medesima procedura d’inventario al napoletano
antico.
5.5.3 L’antico napoletano (e i dialetti meridionali odierni)
Ho condotto, con le stesse modalità di cui al paragrafo precedente, una schedatura del LDestTr che da solo costituisce un corpus sufficientemente ampio. Per le
ragioni ricordate al §4.2 N40, la schedatura mirante a determinare le condizioni
originarie del napoletano è stata dapprima limitata alle cc. 1-141v del ms. parigino,
corrispondenti al testo direttamente volgarizzato dal latino di Guido Giudice e
non sospetto d’influenza toscana. Si tratta dei dati in (23a). In (23b-c) sono invece
sintetizzati i dati offerti dalla «coda Ceffi» e dal ms. O, quest’ultimo spogliato solo
per la parte finale, a partire dal libro XXXII, edita in De Blasi 1986:269-319.
Il risultato di questo spoglio, quanto alla porzione schiettamente napoletana del
manoscritto parigino (sui dati in (23b-c) riverremo fra un istante), è già stato in
parte anticipato al §3.2, osservando come lloro non ricorra mai nel napoletano
trecentesco in funzione di pronome soggetto. In questa funzione si hanno nelle cc.
1-141v del ms. P illi (44 ricorrenze) e, ben più raramente, ipsi (4 ricorrenze: 3 ipsi
più un ipsy)100. Il quadro sistematico esposto in (23a) permette ora di aggiungere
alcune considerazioni ulteriori sulla sintassi di lloro in napoletano antico:
(23)
pron
poss
pronome personale tonico
clit
obl
oi
od
sogg
tot.
a. ms P.
501
224
117
2
0
0
844
b. Ceffi
c. ms. O
55
62
16
16
3
6
1
0
0
0
5
1
80
85
99 Questo l’altro esempio: Si non chi esti alcuna rigiuni a lu mundu, la quali tua mugleri poza
dari a li Truyani per loru habitari senza baptagla et spicialimenti hora ki sunnu intra di la nova
Troya Eneas 170.
100 Ad es., rispettivamente, et illi securamente descesero in terra 97 accanto a e chi ipsi fossero
cauti da lloro 244. Il conflitto fra i due tipi autoctoni per l’espressione del pronome personale tonico di III plurale è ben noto nei testi meridionali antichi. Nel napoletano ha prevalso infine ips ;
già nel Quattrocento esso è in concorrenza col continuatore di ill , come mi segnala l’amico V.
Formentin (lettera del 19 maggio 2001), «nel napoletanissimo Romanzo di Francia [inedito, nel
ms. Ital. 859 della parigina Bibliothèque nationale de France; cf. Sabatini 1975:183-87, 1992:555-
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
101
A parte rapporti quantitativi determinati da condizioni indipendenti di frequenza
testuale (come ad es. l’alta frequenza del possessivo o la bassa frequenza dell’OD
rappresentato da un pronome tonico; v. §5.5.2)101, è per noi di fondamentale im-
58], che è della prima metà del XV sec.» e soppianta invece del tutto ill , venendo già affiancato da l(l)oro anche come soggetto, nella lingua del De Rosa (cf. Formentin 1998:320s.; v. sopra,
§4.2). Nel napoletano trecentesco documentato dalla storia troiana, comunque, ips appare ancora fortemente minoritario. Curioso notare come un’impennata nella frequenza di quest’ultimo
si riscontri nella parte toscanizzata del ms. parigino: la «coda Ceffi» ha infatti 19 ipsi contro quattro illi. E’ questa, evidentemente, una resa del toscano essi di frequente ricorrenza nella prosa toscana del Trecento: v. ad es. Boström 1972:38, che rileva questo fatto in particolare per la lingua
del Decameron). Quanto al fatto che anche il ms. oxoniense presenti una prevalenza di ipsi su illi
(quattro a zero nella parte conclusiva edita in De Blasi 1986:269-319), bisogna sospendere il giudizio vista la natura composita della lingua di O (v. oltre, la N103).
101 In alcuni casi, l’ascrizione delle occorrenze riscontrate all’OD o all’OI può essere materia
di discussione. Si sono rubricati ad esempio come OI gli esempi seguenti:
(i) a. quillo magnifico prencepe Dyomede soccorse a lloro facendo dura resistentia contra
Pantasilea (235)
b. voleano favorire a lloro per quilli menaci chi le facea Pirro (263)
A favore dell’analisi qui adottata parla il fatto che i verbi latini corrispondenti (faveo e succurro) hanno entrambi costruzione dativale (e che il modello della costruzione dativale latina
debba indurre a cautela nelle schedature sintattiche relative a volgari meridionali antichi è sottolineato da Sornicola 1997:71s.). In ambo i casi, tuttavia, non può essere del tutto escluso che
ci si trovi di fronte alla costruzione innovativa con l’OD, infine prevalsa anche in toscano, visto
che l’OD può ricevere marca preposizionale. Il controllo documentario non è dirimente. Di favori(a)re si ha un’altra sola ricorrenza (e de alcuni altri ri chi favoriavano a Pirro 263), anch’essa
compatibile con entrambe le analisi in quanto a Pirro può essere tanto OI quanto OD con marca preposizionale. Di soccorrere si hanno 15 occorrenze. A parte una, ambigua, con clitico di II
persona (de ve soccorrere largamente 96), se ne hanno tre con clitico OI di III persona (ad es. che
le devesse soccorrere co la gente soa 163) ed un’altra con OI inanimato (cà non poteano soccorrere a la citate loro 74). Delle restanti dieci, in nove soccorrere regge un sintagma preposizionale
introdotto da a denotante essere umano, che può dunque essere analizzato come OI o OD (ad
es. soccorrendo ad Enea 172). In una, ad ogni modo, si ha un OD non preposizionale: devessero
toste soccorrere Hector (155).
Le due occorrenze rubricate in (23a) come OD sono anch’esse bisognevoli di discussione:
(ii) a. per cosa che no a lloro troppo toccava da li quali se pottero bene astinire (176)
b. mentre che queste quantetate de auro e de argiento se recoglyevano per li Troyani,
zoè per quella parte che nde toccava lloro (251)
In antico napoletano, come in toscano e nell’italiano standard, il verbo toccare ha anzitutto una costruzione transitiva, in accezione propria e traslata (‘riguardare’). Per entrambe troviamo altrove nel LDestTr esempi con OD con e senza marca preposizionale (cf. rispettivamente
(iiia-b)):
(iii) a. a quilli a chi toccava carnalemente (214)
b. che toccava illi e tutti li altri (117), quanta nde toccava co la morra de la spata soa
(146), avengadio che chesta cosa toche me principalemente, tocha perzò vuy medesmo in comune (94).
In (iiia) abbiamo senza dubbio un costrutto transitivo. Parallelamente, anche (iia) che può
essere reso ‘per cosa che non li riguardava troppo’, è interpretabile dunque come costrutto transitivo con OD preposizionale. D’altro canto, il testo non sembra offrire alcun esempio certo dell’uso intransitivo (inaccusativo) di toccare con OI. L’unico per il quale si può nutrire il dubbio è
102
Michele Loporcaro
portanza osservare come il testo autenticamente napoletano non presenti neppure
un caso di loro in funzione di clitico OI. Quest’uso sintattico, proprio del galloromanzo e del toscano e penetrato – nel Meridione – in Sicilia, appare quindi
totalmente estraneo al napoletano antico così come documentato dalle cc. 1-141v
del ms. P. Ma la tradizione del LDestTr offre un laboratorio ideale per constatare
in fieri, anche sul piano sintattico, quella toscanizzazione incipiente che gli studi
sull’argomento hanno di norma documentato in base a spie fonetiche e morfologiche102. In effetti, nella «coda Ceffi» la situazione si presenta diversa rispetto al
nucleo autenticamente napoletano del ms. parigino. Come si è mostrato in (23b),
su 80 ricorrenze totali si hanno 5 casi di loro clitico OI; anche la porzione corrispondente dell’oxoniense ((23c)) presenta un caso di loro clitico OI su un totale
di 85103. Questi gli esempi pertinenti:
proprio (iib), dove toccare vale ‘spettare’: se così fosse, data l’assenza della preposizione, sarebbe questo il solo esempio di l(l)oro in funzione di clitico OI. Per non costituire quest’unico esempio in eccezione isolata si può supporre, fino a prova contraria, che toccare abbia in napoletano
antico, in tutte le sue accezioni, costruzione transitiva. Si noti che altrove, per tutti i predicati la
cui costruzione con OI è indubbia, ricorre sempre senza alcuna eccezione a lloro, mai l(l)oro privo di preposizione (e interpretabile dunque come clitico). Ad esempio: commandare (commandao a lloro expressamente 227), dare (e dey a lloro cortese leciencia 149), dire (disse a lloro 248),
parlare (parlao a lloro in chesta maynera 135), petere (li Grieci peteano a lloro 248), respondere
(resposse a lloro 180) ecc. Si aggiunga inoltre che nel nostro toccava lloro (251) il pronome è direttamente preceduto dalla -a finale del verbo, la quale può bene avere assorbito per aplologia
grafica a preposizione.
102 V. ad es. per il napoletano a cavallo fra Due e Trecento la puntuale analisi prodotta da
Petrucci 1973:245s. della toscanizzazione intervenuta nella seconda redazione dei Bagni di
Pozzuoli (Bagni N, ed. Pèrcopo 1886), che segnala fra i tratti più indicativi l’apocope dopo sonorante (bon Bagni N 235, ben 555, ser 283, gran 538, ecc.) e la forma debole (el/’l) dell’articolo determinativo (ad es. Digesto el cibo 390, al viso 336). Entrambe le redazioni presentano inoltre il toscaneggiante -er- nel futuro di I coniugazione (ad es. laverray Bagni R 43, troverrai Bagni
N 568) che è ancora minoritario nella prima redazione rispetto all’autoctono -ar- di cui invece
non resta che un unico esempio nella seconda, toscanizzata: peccaray Bagni N378 (cf. lo spoglio
in Loporcaro 1999:74s.). Gli elementi toscaneggianti nel napoletano letterario d’età aragonese
sono analizzati nei lavori classici di Folena 1952:22s., Corti 1956:CXXIIIs.
103 La coloritura linguistica del ms. O costituisce un capitolo ancora da approfondire. Pur
assodato che P ed O «presentano fino a tutto il libro XXXI il medesimo volgarizzamento meridionale», dunque napoletano (Carlesso 1980:238), è evidente che la lingua di O presenta
incrostazioni successive. Formentin 2000:180 N10, rilevando in O la presenza di tratti meridionali antinapoletani come il tipo menzo ‘mezzo’, inclina a ritenerlo lucano. In base alle risultanze del presente lavoro, non a questo strato linguistico – anch’esso comunque altomeridionale – come non all’originale napoletano è possibile attribuire l’uso di loro come clitico OI in (24b). Si potrà invece pensare a quell’altro strato, anch’esso sovrappostosi al napoletano originario, che ha prodotto i toscanismi (e ipertoscanismi: ad es. le quosse [‘cose’] antigue,
c. 1r, nell’incipit) che vi si possono riscontrare. Da menzionare infine il fatto che secondo
Carlesso 1980:237-38 N34 O «presenta tratti siciliani grafici (ch per la palatale, ecc.), fonomorfologici e lessicali (p.es. applicari ‘arrivare’)»; come si è visto al §5.5.2, anche il siciliano antico conosce l’uso di loro clitico OI. Ma, si è detto, l’intera questione della lingua di O resta da
indagare.
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
103
(24) a. «coda Ceffi»: promettendo loro ferma perdonanza (278); E tutto questo
intrebeneva loro per la belleçe delle dicte polcelle (290); e lo re Acasto [. . .]
disse loro (302); e declarao loro inprimo la qualitate de la visione (309);
dedero loro la intrata (314);
b. ms. O: dede loro adosso (276).
Una simile costruzione sintattica del loro si deve certo a toscanismo. La sua totale assenza tra le oltre 700 occorrenze della parte schiettamente napoletana del
LDestTr assume, per contrasto, un valore probatorio ancor più forte.
Da questo scrutinio possiamo dunque trarre una conclusione particolare, di
ordine filologico, ed una generale, di ordine storico-linguistico. Sul primo fronte
l’analisi ora condotta permette di integrare la lista dei «residui toscanismi nella
“coda” Ceffi» messa insieme da De Blasi 1986:392s., che consiste di un tratto di
fonetica (l’assunzione dall’antigrafo di alcune dittongazioni di tipo toscano in forme in cui la fonetica napoletana richiede il monottongo: nuove menzogne 270, torriciuola 309, huomo 291) e di uno di morfologia (la desinenza -arono al perfetto
semplice della I coniug. – gloriarono 270, testificarono 270, ecc. – di contro ad -aro
regolarmente ricorrente nella porzione schiettamente napoletana: ad es. montaro
suso 56). Il tratto sintattico sopra messo in luce, ossia il ricorrere di loro in funzione di clitico OI, va dunque aggiunto a complemento di tale lista e potrà esser
tenuto presente, in futuro, per gli studi sulla toscanizzazione di testi antichi napoletani e in generale del Centro-meridione continentale. Questo perché – e con ciò
veniamo alla conclusione d’ordine generale – risulta dimostrata l’assoluta estraneità alla sintassi del Centro-meridione continentale del loro clitico OI proprio
invece del toscano e del gallo-romanzo.
Un’estraneità tuttora riscontrabile nei dialetti, come mostra il quadro sintetico
in (25)-(26), relativo al napoletano e ad una parlata pugliese ma corrispondente,
nell’assoluta inaccettabilità del tipo loro come clitico OI (cf. (25c), (26c)), a condizioni ancor oggi generali nel Centro-meridione:
(25) a. [’ste:v@n@’tantu ’b:εl:ε ’k:a:s@’l:O:r@]
Napoli
‘stavano tanto bene a casa [letter. ‘alle case’] loro’
b⬘. [v@’rεt:@m a ’l:O:r@ e n:O a ’b:u:j@], [ri
’ εt:@ ’tanta ’fat: a ’l:O:r@]
‘vedemmo loro, non voi’,
‘disse tante cose a loro’
b⬙. [’l:O:r@ nun č@’so b:@’nu:t a t:ru’wa]
‘loro non son venuti a trovarci’
c. [č@/l@ ri’ εt:@’tanta ’fat:@/*ri’ εt:@’l:O:r@’tanta ’fat:@]
‘disse loro tante cose’
(26) a. [la ’kølp@’je la ’lou
7r]
‘la colpa è loro’
b⬘. [po ’dOp:@ v@’dIb:@ ’lou
7r], [’ Ib:@ k@ ’l:ou
7r]
‘poi vidi loro’,
‘andai con loro’
Altamura (prov. BA)
104
Michele Loporcaro
b⬙. [s U p@’J:Orn@ ’lou
7r]
‘se lo presero loro’
c. [nǧ@ d@’čIb:@ na ’kau
7s/*d@’čIb:@’lou
7r na ’kau
7s]
‘dissi loro una cosa’
Condizioni che, come si è mostrato in (23), hanno radici antiche.
5.5.4 Il romanesco antico
Il discorso ora condotto per il napoletano può essere esattamente replicato per il
romanesco antico, attestato per il Duecento dalle Mir e dalle StoTrTm (nei due relatori non toscanizzati, A ed L; cf. N34) e per il Trecento dalla Cronica di Anonimo romano (ovvero di Bartolomeo di Iacovo da Valmontone, secondo la proposta
d’identificazione di Billanovich 1994). Bisognerà qui fare astrazione dall’intricata questione filologica relativa al valore di documentazione linguistica delle
attestazioni dalla Cronica, attinte all’ed. Porta 1979. La questione è nota: il testo
è trecentesco, ma tràdito in manoscritti di due secoli più tardi, sui quali l’editore
ha operato una «ricostruzione linguistica» applicando il criterio meccanico della
maggioranza stemmatica alle varianti linguistiche (dunque formali, non sostanziali)104.
Nel caso limitato della nostra particolarità sintattica, tuttavia, la Cronica – pur
disponibile in un testo critico fortemente problematico, e dunque per molti aspetti da trattare con cautela – presenta una situazione uniforme e perfettamente congruente con quella restituita dai testi romaneschi del Duecento. Sebbene dunque
le singole attestazioni debbano restare sub iudice, il dato quantitativo generale
sembra inequivocabile, come mostra la tabella (27), che suddivide per funzione
sintattica le 285 occorrenze totali di loro reperibili dall’interrogazione della banca
dati del TLIO:
(27)
Mir
StoTrRm A
StoTrRm L
Cronica
pron
poss
10
39
34
126
pronome personale tonico
clit
obl
oi
od
sogg
0
5
5
4
0
0
1
3
0
0
0
1
0
0
0
0
tot.
0
0
0
0
10
44
40
134
104 V. almeno la discussione di Pfister 1983. Vi si obietta che così facendo si «creano» delle
attestazioni di forme linguistiche prive di realtà storica, e dunque scarsamente utili come dati
primari ad es. a chi voglia redigere lessici storici o condurre altri studi di linguistica diacronica.
Né aiuta, nel nostro caso specifico, il regesto della varia lectio messo insieme dall’editore, che
fra i pronomi personali e possessivi omette la trattazione di quelli di III plurale (cf. Porta
1979:623-29).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
105
Anche al romanesco, come si vede, l’uso del loro come clitico OI è affatto sconosciuto105. Ma non serve andar lontano per trovarlo, come effetto di toscanizzazione, nel ms. R, il terzo relatore, fortemente toscanizzato, delle StoTrRm. Esso restituisce il quadro seguente:
(28)
StoTrRm R
pron
poss
29
pronome personale tonico
clit
obl
oi
od
sogg
16
2
1
0
tot.
9
57
Anche da questi spogli si possono trarre una conclusione particolare, relativa alla
lingua dell’Anonimo, ed una generale, circa la questione diacronica che ci interessa. Il risultato del nostro spoglio va ad ampliare le conoscenze sulla sintassi del
romanesco antico, perfezionando per questo aspetto il quadro offerto da Ernst
1970:130 (v. §4.1). Formentin 2002 ha recentemente mostrato che la Cronica presenta da un lato tratti innovativi (ad es. la legge Tobler-Mussafia comincia a soffrire
eccezioni), dall’altro tratti conservativi (la distribuzione degli ausiliari perfettivi
resta identica a quella duecentesca, mentre cambierà radicalmente col romanesco
di seconda fase). Quanto alla sintassi di loro, per la Cronica abbiamo di fronte un
caso del secondo tipo, e possiamo dunque considerare StoTrRm A, StoTrRm L e
la Cronica come testimoni concordi della situazione originaria del romanesco
antico. Questo è dunque da aggiungere al nòvero delle varietà centro-meridionali che presentano ab origine per loro una distribuzione sintattica non compatibile
coll’ipotesi del prestito o dell’influsso toscano (o gallo-romanzo).
5.5.5 Sintassi: bilancio
Il quadro che emerge dallo scrutinio sistematico dei testi antichi, limitato a Napoli, a Roma e alla Sicilia, è univoco. L’uso sintattico di loro in funzione di clitico è
strettamente limitato al volgare isolano. Questo dato sintattico, sin qui trascurato,
105 Per accertarlo è necessario scrutinare tutte le occorrenze e ci si trova di fronte, in alcuni
casi, ad una duplice possibilità d’interpretazione.Ad es. in Cronica 98 Non vaize loro reparo, dove
in teoria loro potrebbe essere clitico OI. Tuttavia, l’uso generale dell’Anonimo contempla regolarmente loro possessivo anteposto al nome e privo d’articolo (ad es. a loro castella 157, con tutto loro sfuorzo 170); che loro sia indubbiamente possessivo, in un costrutto perfettamente sovrapponibile a quello sopra citato come dubbio, è dimostrabile per la presenza del clitico OI di
III plurale li (⬍ ill s) in no·lli vaize loro defesa 112. Per converso, neppure un caso indubbio di
loro clitico OI è reperibile nell’intero testo della Cronica. Si noti anche qui l’estrema rarità di loro
come pronome tonico OD, dovuta a fattori generali di disposizione testuale dell’informazione
(cf. N96). Questo l’unico esempio: vengone a Verona [scil., gli ambasciatori veneziani vestiti di ricche e strane vesti]. Venivano trottanno l’uno dereto l’aitro como fussino miedici. Moita iente loro
trasse a vedere. Granne maraviglia se fao omo de così nova devisanza 40 ‘. . . molta gente (di Verona) accorse a vederli’.
106
Michele Loporcaro
converge perfettamente con le spie fonetiche analizzate nella sezione 5.4 a rafforzare la conclusione di Bonfante 1962:204: loru della letteratura siciliana tre e
quattrocentesca è un gallicismo. Perciò stesso, tuttavia, la constatazione di questa
opposizione fra Sicilia e Centro-meridione continentale osta a che si estenda tale
conclusione, ut sic, a varietà come l’antico napoletano o l’antico romanesco. Anche per la sintassi, come per la fonetica, queste ultime non dànno motivo di ritenere loro una forma importata.
6. Loro in Toscana e nell’Italia del nord
E veniamo in conclusione al toscano, che si è finora considerato soltanto per contrasto, quale centro irradiatore – vero o presunto – di elementi morfologici ed usi
sintattici non indigeni del Centro-meridione. Abbiamo detto, tuttavia, al §2.3 che
il Rohlfs tende a coinvolgere nel sospetto di non autoctonia anche il loro della lingua letteraria, almeno nelle sue funzioni di possessivo e di clitico OI, in base al
medesimo argomento funzionale fatto valere per il Meridione. Tanto la lingua letteraria antica quanto, ancor più capillarmente, i dialetti toscani presentano infatti,
per le funzioni (1a) e (1b), espressioni alternative: rispettivamente, suo («[l]’italiano antico non aveva ancor del tutto abbandonato il latino suus, cf. sí aveano inviscate l’ale sue (Inf. 12, 144)», Rohlfs 1966-69:§427) e gli (cf. Rohlfs 1966-69:§463).
L’accoglimento del loro in queste due funzioni sarebbe da imputare ad influsso
gallo-romanzo.
E’ facile dimostrare l’erroneità di questa interpretazione. Anche qui, come già
per il Centro-meridione, a fondamento dell’argomentazione sta una lettura del
quadro dialettale odierno fatta alla luce dell’argomento funzionale già confutato
al §5.3. Solo in quest’ottica, infatti, risulta comprensibile un’asserzione come la
seguente, palesemente condivisibile quanto alla situazione sincronica ma densa
d’implicazioni problematiche se automaticamente trasferita alla diacronia:
Il Manzoni muta il non toscano loro (per esempio chi darebbe lor retta?), nel rifacimento del
suo romanzo, in gli (chi gli darebbe retta?). (Rohlfs 1966-69:§463)
Che gli in questa funzione sia generale nei dialetti moderni è certo vero, com’è
vero che loro è stato al contrario certamente appoggiato, contro gli, dalla tradizione prescrittiva. Da ciò tuttavia non consegue affatto automaticamente che loro
possa dirsi ab origine «non toscano» (popolare) e «gallicismo» letterario: dimostrano anzi il contrario le attestazioni dai più antichi documenti volgari di Toscana. Per il clitico OI di III plurale, chi stese nel 1211 il conto fiorentino pervenutoci frammentario aveva a disposizione sia loro che (l)i: cf. i già citati che i de(m)mo
14 e ke de(m)mo loro 1 (Castellani 1982:23, 25). A quest’altezza cronologica, e in
questo contesto culturale, l’alternanza non può certo esser connotata – come poi
diverrà – in termini di letterarietà/popolarità. Allo stesso modo, per il possessivo
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
107
di III plurale, due forme per la medesima funzione aveva disponibili chi stese il
Breve di Montieri (Siena, a. 1219)106 e cancellò espungendolo lor per sostituirgli
sua nel passo seguente: sì iurano di tutto-l debito . . . pagarne la ⬍lor⬎ sua parte
(Castellani 1982:45; v. il facsimile alla tav. 21). La coesistenza, dunque, è indubitabile, e nulla costringe a pensare che l’una delle due forme debba essere avventizia.
Quanto alla fonetica, è appena il caso di notare che, a differenza che nel Meridione, nessuna spia tradisce il gallicismo nell’italiano (e toscano antico) loro. In
funzione di clitico OI, inoltre, ill rum si continua in alcuni volgari antichi di
Toscana, Umbria, Marche e Corsica nelle forme foneticamente ridotte lo’ e ’ro. Di
tali forme, ampiamente attestate, si dà un’esemplificazione in (29):
(29) a. lo’ (marchigiano): et poi lo’ facia multu gram propitiu v. 46, pur ket Deu lo’
desse alcuna rede v. 61 (ed. Contini 1960, I:19)
’ro (cortonese): apena l’avisar, lo’ fo nascoso (ed. Varanini et al. 1991,
I:191);
lo’ (senese): i quali lo’ diè Cione Bangnese posti in pagamento; di pisani che
lo’ demmo per vettura et per passaggio (ed. Astuti 1934:258, 287)
b. ’ro (aretino): e quando elli vene al primo ponto d’ariete, che ’ro va sopra
capo, hano la state . . . ; e quando elli ’ro se vene delongando da loro e vene
al cancro, hano lo verno, e questi so’ sei meisi; e quando elli se apressa a loro
e vene al primo ponto de libra, che ’ro va sopra capo, hano . . . (Restoro d’Arezzo, ed. Morino 1976:47);
’ro (còrso): Quale dato (et) pastinam(en)to ’ro dede, tale car(ta) ’ro testao
(a. 1248, ed. Stussi 1990:153)
Da notare, anzitutto, che il presunto modello di queste forme, l’afr. lor, non va soggetto entro il sistema d’origine a riduzioni fonetiche (v. sopra, N4) che pure sono
invece abbondantemente documentate per altri clitici (v. ad es. Rheinfelder
1967,II:131). Certo, non si può del tutto escludere che un lo’ sia insorto in Italia
centrale per ulteriore riduzione fonetica di un lor di prestito, e fors’anche che in
’ro l’aferesi si sia prodotta a partire da un loro, adattamento con vocale epitetica
di un lor importato. Tuttavia, questo castello di supposizioni è certamente più
oneroso dell’ammettere semplicemente, di fronte ad una diffrazione di esiti foneticamente ridotti parallela a quella che si riscontra per tutti gli altri clitici di tradizione diretta, che lo’ e ’ro siano continuazioni autoctone ed indipendenti del lat.
ill rum, divenuto l’obliquo plurale del sistema tricasuale in (2).
Anche in Italia settentrionale i dialetti moderni presentano generalmente per la
funzione di clitico OI di III plurale forme identiche a quelle ricorrenti al singolare,
così nelle varietà più innovative come in quelle più conservative e periferiche: ad es.
elpá . . . l a kumand{«w a tuč i s servitó.r da fa ym presa . . . elga dič ‘e il padre ha or106 Per la precisione, si tratta della seconda mano, la principale fra le tre individuate da Castellani 1982:41.
108
Michele Loporcaro
dinato a tutti i suoi servitori di sbrigarsi e ha detto loro’ [lett. ‘gli ha detto’] ecc.
(dialetto di Mesocco, cf. Keller 1941:288). Ma anche per l’italiano settentrionale i testi antichi conoscono in questa funzione anche lor, il che prova che il tipo ‘gli’ (o suoi
succedanei, come ‘ci’ nel caso citato) ha infine prevalso, né più né meno che nel
toscano, dopo esser stato lungamente in competizione col continuatore di ill rum107.
Una simile competizione, in Italia del Nord, è ancora in atto nel friulano dove
attualmente il clitico OI (j)ur (⬍ ill rum) «tende ad essere sostituito» da (g)i
(⬍ ill s), omofono del clitico OI di III singolare (Vanelli 1984:124)108. Anche in
questa forma friulana si nota, come nei volgari dell’Italia centrale visti in (29),
un’irregolare riduzione fonetica: j- iniziale, soggetto a cancellazione variabile109, è
il risultato di un’alterazione dello sviluppo regolare per cui la /l/ iniziale è passata
a /̛/ (e quindi a /j/) per via di conguagli analogici entro il sistema dei clitici e degli
articoli110. Si noti che il continuatore di ill rum mostra un alto grado d’integrazione sintattica e fonologica entro il sistema, in quanto la sua forma fonologica e
la sua distribuzione, diversamente che per l’italiano loro, sono in tutto parallele a
quelle dei restanti clitici oggetto: cf. ad es. se (j)ur disés ‘se dicessi loro’, dìsi-ur ‘dì
loro’, diséi-jur ‘dite loro’, disíʮ-jur ‘dicendo loro’, come che us disi ‘che vi dica’,
disíʮ-jus ‘dicendovi’, se ju cjalàssin ‘se li guardassimo’, cjalâ-ju ‘guardarli’, ecc. (cf.
Marchetti 41985:210-28)111. Anche qui, dunque, un eventuale sospetto di non autoctonia sarebbe del tutto immotivato.
107 Quest’ultimo ricorre infatti come clitico OI (oltre che come pronome personale e come
possessivo) nei testi antichi dei volgari settentrionali: ad es. Quando l’angelo lor ave dito La nascion de Jesu Christo (Barsegapè, ed. Keller 1901:43), eli lor domandà s’eli sè cavalieri aranti (Tristano veneto, ed. Donadello 1994:397).
108 Oltre che come clitico, ill rum si continua in friulano anche come possessivo e come pronome personale tonico (lôr), qui con sviluppo fonetico regolare (cf. Iliescu 1972:147, 150s.).
109 La grammatica di Marchetti 41985:210-28 riporta la forma con j- come esclusivamente ricorrente in enclisi. In un rapido sondaggio sul friulano (Udine, maggio 2001) ho però constatato
che per molti parlanti j- (o suoi succedanei fonetici, come [ǧ], secondo le zone) può ricorrere, in
questi clitici, anche in proclisi: ad es. udinese rustico [se (j)ur di’zεs] ‘se dicessi loro’ (devo
ringraziare per i dati gli studenti udinesi del corso di V. Formentin). Sulla cancellazione di j-, che
interessa in modo generalizzato le forme con j iniziale o intervocalica (ad es. (j)ùgn ‘giugno’,
(j)udissi ‘senno’, (j)udâ, (J)êsus, la(j)ù ‘laggiù’), cf. Castellani 1980:211.
110 Lo stesso esito mostra il clitico OD m. pl. /ju/, con /j/ da un precedente /̛/, che è stato
omofono di una forma di articolo det. m. pl. glu (= [̛u]) attestata in friulano antico. Quest’ultima coesisteva con gli, con regolare palatalizzazione da ill , e deve ritenersi secondo Vanelli
1998a:224-26 formata secondariamente per sovrapposizione alla forma del singolare lu del tratto di palatalità divenuto caratteristico del plurale (v. sopra, §2.2). Che una simile vicenda debba
supporsi anche per il clitico OI (j)ur mostra il fatto che i testi antichi conoscono in tale funzione
soltanto la forma lur (così ad es. il quaderno di Odorlico da Cividale, ca. 1360-70; cf. Vicario
1998:164) mentre (j)ur s’impone solo successivamente: cf. ad es. dut iur va been ‘tutto va loro
bene’ II 155, dai versi di Girolamo Biancone, ca. 1530-post 1585 (ed. Pellegrini 2000:218), nella
cui lingua lur non ricorre ormai più. Debbo a Laura Vanelli una discussione per me chiarificatrice su questi aspetti della storia del friulano.
111 Esso ricorre inoltre regolarmente entro nessi con altro clitico: cf. puàrtiural/puàrtiures ‘portalo/-le loro’, come puàrtimai ‘portameli’, e ur al vin puartât ‘l’abbiamo portato loro’ come t’al vin
puartât ‘te l’abbiamo portato’ (cf. Marchetti 41985:217-18).
Il pronome loro nell’Italia centro-meridionale
109
7. Conclusione
Tiriamo dunque le somme. Dalla discussione sin qui condotta emerge con chiarezza che il tipo ill rum (con le varianti fonetiche *ill rum, ibero-romanza, ed
*ill ro, italiana centro-meridionale) è radicato nell’intera Romània, dalla Dacia
all’Italia all’Iberia. Di fronte a questa diffusione areale s’impone la conclusione seguente. Nella sua funzione di possessivo esso va considerato diretta continuazione
del genitivo latino come possessivo di III persona, esteso già in età imperiale
all’espressione del possesso non riflessivo a far concorrenza a suus secondo modalità ancor oggi osservabili in catalano e attestate, per il passato, in tutte le tradizioni romanze, letterarie come dialettali. Nella funzione di pronome personale
esso origina direttamente dal sistema tricasuale proto-romanzo e, dopo il collasso
di questo, entra in concorrenza da un lato colle forme accusativali toniche (ill s/ill s), come si vede nel francese antico, dall’altro con la forma dativale atona
(ill s), come mostra la storia del toscano e dell’italiano settentrionale.
Questa concorrenza, sia per il possessivo che per il pronome personale tonico
ed atono, si è protratta per secoli con alterne vicende, ma secondo una dinamica
complessiva che è del tutto sistematica e che pare difficilmente conciliabile con l’opinione vulgata, la quale vuol limitare alla Gallia ed alla Dacia lo spazio geografico d’ininterrotta sopravvivenza di ill rum. Tale riduzione comporta la postulazione di molteplici episodi di prestito, l’un dall’altro indipendenti: dal francese in
catalano, dal catalano all’aragonese e al castigliano settentrionale; dal francese in
toscano, dal toscano all’italiano meridionale.
In particolare, il percorso su suolo italiano di questa presunta irradiazione è stato sottoposto qui a vaglio critico. A tale vaglio, la sintesi proposta nella grammatica rohlfsiana (v. sopra, §2.3) ed assurta poi a fondamento «oggettivo» per le discussioni successive (§2.4), non regge. Quanto al toscano, si erano levate già per
tempo autorevoli voci critiche: «¿Quién va a creer, por ejemplo, que ancora (§931),
medesimo (495), el pronombre loro (§427, 463) se tomaron de allende los Alpes?
¡Habría para creer que los franceses enseñaron a hablar a sus vecinos!» (Corominas 1956:176). E in effetti, che il loro toscano, possessivo e clitico, sia importato di
Gallia resta indimostrato, e che al toscano letterario si debbano in toto le forme
del tipo loro dei dialetti meridionali è dimostrabilmente falso, per ragioni tanto
storico-documentarie (§4) quanto strutturali (§5).
In luogo di questa visione indebitamente semplificatoria, si delinea un quadro
ben più complesso e purtuttavia coerente. L’analisi dei dati disponibili sui volgari
meridionali antichi e i dialetti moderni porta all’individuazione di tre strati sovrapposti, il più recente dei quali, rappresentato da forme come quelle citate in
(4c), attesta un influsso del toscano: ve ne sono prove fonetiche, discusse al §5.4.1,
e sintattiche (di cui ai §4.1-4.2). Il che non stupirà certo, poiché ad un influsso del
toscano (e poi dell’italiano standard) sono stati esposti tutti i settori della struttura dei nostri dialetti, dal Trecento ad oggi. Un secondo strato, più antico, documentato dall’ant. sicil. loru, corrisponde ad un influsso francese in età normanna.
110
Michele Loporcaro
Al di sotto di questi due sono però tuttora visibili, nel Centro-meridione continentale, le tracce di un primo e più antico strato, alla cui ricostruzione abbiamo
dedicato questo lavoro. In particolare, lloro dell’antico napoletano mostra una
fonetica ed una sintassi inconciliabili con il suo presunto carattere avventizio.
Questo fatto, così accertato, può essere bene inserito entro la generale dinamica romanza che ha visto l’espansione delle funzioni di ill rum, da un lato come
possessivo di III plurale e dall’altro in funzione di obliquo entro il sistema tricasuale proto-romanzo. Se oggi molti dialetti del Meridione ne sono privi, è perché
esso è successivamente scomparso cedendo ai suoi concorrenti così come, ancor
più generalmente, è scomparso quel lui che pure indubbiamente nell’italo-romanzo dell’Italia meridionale dové in origine esser presente (teste l’ultimum illui spiritum ut exciperet di CIL X 2564) e le cui ultime tracce si spingono fino al lui, obliquo in funzione di possessivo, attestato nel salentino del secolo XI.
Zurigo
Michele Loporcaro
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