Circolare Informativa n. 9/2001 Alle Società consorziate Roma, 27

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Circolare Informativa n. 9/2001 Alle Società consorziate Roma, 27
Circolare Informativa n. 9/2001
Alle Società consorziate
Roma, 27 aprile 2001
Rif.: 720.5 - 400
Oggetto:
Riforma della disciplina fiscale dei contratti di assicurazione D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47
SOMMARIO
1. PREMESSA......................................................................................... ................................................................... 2
2. CONTRATTI ASSICURATIVI – GENERALITÀ ...................................................................................................... 3
2.1
POLIZZE CHE GENERANO ONERI DETRAIBILI (CASI MORTE, DI INVALIDITÀ PERMANENTE E DI NON
AUTOSUFFICIENZA)
....................................................................................................................................5
2.1.1
Assicurazioni caso morte - Detraibilità del premio.......................................................................... 6
2.1.2
Garanzie accessorie nei contratti caso morte (temporanee e a vita intera) .................................... 8
2.1.3
Assicurazioni caso morte, invalidità. Regime fiscale dei rendimenti .................................................
2.1.4
Regime fiscale delle prestazioni per il caso di non autosufficienza. ............................................. 10
finanziari compresi nei capitali e rendite corrisposti....................................................................... 9
3. POLIZZE PREVIDENZIALI.............................................................................. ..................................................... 13
3.1
RENDITE PREVIDENZIALI ........................................................................................................................... 14
3.2
ALTRE RENDITE .......................................................................................................................................18
4. POLIZZE FINANZIARIE – GENERALITÀ............ ................................................................................................ 20
4.1
PRESTAZIONI IN CAPITALE ........................................................................................................................ 20
4.2
PRESTAZIONI IN FORMA DI RENDITA ........................................................................................................... 23
4.3
TASSAZIONE DEI RENDIMENTI FINANZIARI IMPLICITI NELLE PRESTAZIONI CASO MORTE................................... 24
5. POLIZZE MISTE ....................................................................................................................................................25
6. DISCIPLINA TRANSITORIA - “TRASFORMAZIONE” DI POLIZZE STIPULATE PRIMA DEL 1.1.2001 ........... 25
7. IMPOSTA SULLE ASSICURAZIONI ....................... .............................................................................................29
1.
Premessa
Come già ricordato nella ns. Circolare informativa n. 1 del c.a., cui si rinvia per i
caratteri generali della riforma, il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47 (1), emanato in base
alla delega conferita al Governo dall’art.3, della L.13 maggio 1999, n. 133, ha
operato
una
radicale
revisione
della
disciplina
fiscale
della
previdenza
complementare e dei contratti di assicurazione, disciplina che è stata integrata e
corretta dal decreto legislativo approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 15
marzo 2001 e in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Le istruzioni per
“una corretta e uniforme applicazione della normativa” sono state emanate dal
Ministero delle Finanze – Agenzia delle entrate – con la Circolare 20 marzo 2001, n.
29/E, dove la materia delle assicurazioni è trattata nel capitolo III, cui si riferiscono i
paragrafi di seguito citati.
Tale normativa ha profondamente riformato non solo il regime fiscale della
previdenza complementare ma anche quello dei contratti di assicurazione,
particolarmente di quelli sulla vita, compresi i contratti di capitalizzazione. Per tali
contratti è stato operato il coordinamento, da un lato, con la disciplina della
previdenza complementare, inserendo fra le forme individuali di previdenza quelle
attuate mediante contratti di assicurazione, e, dall’altro, con il sistema di tassazione
delle gestioni personali di portafoglio, con estensione dell’applicazione del c.d.
“equalizzatore” al fine di rendere la tassazione dei rendimenti compresi nei capitali
corrisposti equivalente a quella che sarebbe derivata se i suddetti redditi avessero
subito la tassazione per maturazione. Il beneficio fiscale della detrazione di imposta
di cui all’art. 13-bis, comma 1, lett. f) del TUIR è stato limitato ai soli contratti aventi
ad oggetto l’assicurazione del rischio morte, di invalidità permanente e di quello, di
nuova configurazione, di non autosufficienza. Di nuova configurazione sono anche
le polizze che garantiscono le rendite c.d. “previdenziali”, dove la base imponibile è
stata limitata al rendimento maturato, ricondotto fra i redditi di capitale e assoggettato
ad imposta sostitutiva del 12,5%. Sempre in conformità a quanto previsto dalla
delega, per i suddetti contratti di assicurazione sulla vita è stata prevista l’esenzione
dall’imposta sulle assicurazioni, precedentemente dovuta nella misura del 2,5% sui
1
Nella presente Circolare, per economia espositiva, il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, sarà citato come
D.Lgs. n. 47; il T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, sarà citato come TUIR; il D.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, come DPR n. 600 e il D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, come D.Lgs. n. 124. Nel prosieguo della
trattazione si terrà conto delle modifiche che saranno apportate dallo schema di decreto correttivo, che
si ritiene non dovrebbe subire rilevanti modificazioni quantomeno con riguardo alle norme pubblicate
sulla stampa specializzata.
2
premi riscossi dalla compagnia, con diritto di rivalsa nei confronti degli assicurati. E’
stato inoltre predisposto un articolato regime transitorio volto a mantenere per i
contratti già in essere il regime fiscale previgente.
L’ampiezza delle modifiche e la notevole diversità degli istituti oggetto della nuova
disciplina introdotta dal citato decreto n. 47/2000 ha consigliato di dividerne la
trattazione con due Circolari informative, una (n. 1/2001) per la materia previdenziale
e la presente, dedicata al nuovo regime fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita
diversi da quelli rientranti nell’ambito di applicazione della previdenza complementare
di cui al D.Lgs. 23 aprile 1993, n. 124.
2.
Contratti assicurativi – Generalità
La tendenziale omologazione del trattamento fiscale dei contratti di assicurazione, e
prevalentemente di quelli riconducibili al ramo vita, a quello delle gestioni finanziarie,
determina, nell’ambito della riforma, una serie di problemi di ordine sistematico.
Il nuovo regime fiscale delle assicurazioni è, infatti, caratterizzato da una notevole
diversità dei presupposti dei vari regimi impositivi, costituiti talvolta da elementi
strutturali del contratto, costituiti dai rischi assicurati e dalle prestazioni erogate e, in
altri casi, dalla funzione che il contratto assume rispetto all’interesse del contraente,
e cioè di quello di precostituirsi una rendita, al fine di disporre di sufficienti mezzi
economici in epoche nelle quali, presumibilmente, questi potrebbero essere
inadeguati o, alternativamente, di investire capitali per un periodo prefissato e di
ritrarre da essi un rendimento.
La classificazione delle polizze relative al ramo vita si presenta, quindi, non sempre
netta in termini giuridici e, comunque, non coincidente con le prassi contrattuali in
atto, prassi contrattuali che a loro volta non riflettono contratti tipici ma
un’articolazione della pattuizione intorno ad elementi, costituiti fondamentalmente o
dal rischio demografico ovvero dall’accantonamento di capitali e della loro gestione
ad opera delle imprese assicuratrici. Il sistema fiscale distingue il trattamento delle
polizze essenzialmente in relazione alle finalità della prestazione assicurata ai
beneficiari, attribuendo in qualche caso rilevanza ad elementi che non incidono sulla
3
struttura del contratto, ma possono costituire una possibile facoltà delle parti. In linea
di massima fra le polizze si possono distinguere:
a) quelle a copertura del rischio morte ovvero dei rischi di invalidità permanente
non inferiore al 5% e di “non autosufficienza” nel compimento degli atti della
vita quotidiana, che sono le sole a consentire la detrazione dei relativi premi
nei modi precedentemente previsti per le assicurazioni sulla vita.
Tali
contratti sono disciplinati dal combinato disposto dell’art. 13-bis e dall’art.6,
comma 2, Tuir;
b) quelle che svolgono funzione previdenziale, in quanto assicurano in caso di
sopravvivenza dell’assicurato una prestazione in forma di rendita vitalizia non
riscattabile dopo l’inizio della sua erogazione. Dette polizze sono disciplinate
dal combinato disposto dell’art.41, comma 1, lett.g-quinquies) e dell’art. 42,
comma 4-ter, Tuir, e non è consentita la deduzione o la detrazione dei premi;
c) quelle attuate nell’ambito e nelle forme previste dall’art.9-ter del D.Lgs. n. 124
(previdenziali complementari) per il cui trattamento fiscale si fa rinvio alla
parte IV della citata Circ. n. 1/2001;
d) quelle qualificabili come finanziarie, fra le quali vanno tipicamente annoverati i
contratti di capitalizzazione che prevedono alla scadenza del contratto il
pagamento di un capitale ovvero le polizze che prevedono l’erogazione di un
capitale alla scadenza di un termine o al verificarsi di eventi, quale la
sopravvivenza ad una determinata data, la cui entità può talvolta dipendere
dal valore di un indice azionario o da altro valore di riferimento (ad es. index e
unit linked). Esse sono disciplinate dall’art. 41, comma 1, lett. g-quater), e dal
correlato art.42, comma 4, TUIR. Non si tratta in tal caso di una vera e
propria categoria di polizze, quanto di contratti assicurativi correlati, in
genere, a una funzione essenzialmente finanziaria, ancorchè spesso
congiunti a forme assicurative rientranti nelle tipologie di cui alla lett. a). Per
tali contratti il trattamento fiscale dei premi è quello della indeducibilità e della
indetraibilità, mentre le prestazioni caso vita sono soggette a imposizione sul
rendimento con criteri analoghi a quelli validi per le rendite finanziarie;
e) un’ulteriore categoria potrebbe essere astrattamente individuata nella
fattispecie di cui all’art. 47, comma 1, lett.h), Tuir, in cui, ove esistessero,
dovrebbero rientrare i contratti di rendita vitalizia riscattabile dopo l’inizio della
sua erogazione. Per tali contratti il regime fiscale sarebbe penalizzante in
4
quanto non potrebbero beneficiare della detrazione dei premi e le rate di
rendita sarebbero integralmente assoggettabili ad Irpef ( 2).
.
Non rappresentano ai fini fiscali una categoria a sé stante le c.d. polizze “miste”, cioè
quelle che prevedono la copertura di più rischi aventi un regime fiscale differenziato;
per tali polizze, il regime fiscale è condizionato dalla ripartizione del premio unitario
tra i vari rischi coperti, nel senso che per ogni quota di premio è prevista
l’applicazione del regime fiscale tipico (cfr. art.13, comma 2, D.Lgs. n. 47).
Anche per la loro estrema sinteticità, dalle singole disposizioni non emerge tuttavia
sempre chiaramente l’impianto sistematico sopra delineato, di modo che sono
prevedibili non poche difficoltà applicative, specie in relazione alle diverse tipologie
contrattuali o soprattutto al regime transitorio.
2.1
Polizze che generano oneri detraibili (casi morte, di invalidità
permanente e di non autosufficienza)
Con le modifiche apportate dall’art. 13 del Decreto in esame all’art. 13-bis, comma 1,
lett. f), TUIR, è stata riformulata la disciplina in materia di detrazioni dall’IRPEF per
oneri costituiti da premi assicurativi sulla vita relativi a contratti di capitalizzazione.
Secondo la disciplina previgente, i premi di assicurazione sulla vita davano diritto ad
una detrazione pari al 19% su un importo massimo di premi di lire 2,5 milioni, senza
che rilevasse lo specifico rischio coperto, a condizione che il contratto di
assicurazione avesse una durata non inferiore a 5 anni dalla sua stipulazione e non
consentisse la concessione di prestiti durante tale periodo minimo di durata; in caso
di riscatto dell’assicurazione nel corso del quinquennio, i premi per i quali si fosse
goduto della detrazione erano soggetti a tassazione separata con la stessa aliquota
con cui si fosse operata la detrazione, previo assoggettamento da parte della
compagnia di assicurazione a ritenuta d’acconto, con l’aliquota relativa al primo
scaglione di reddito (art. 11 TUIR), della parte delle somme retrocesse
corrispondente ai premi riscossi ed effettivamente portati in detrazione.
2
Sull’individuazione di questa categoria residuale vd. anche Gabriele Escalar “Alcune brevi notazioni
sulla decorrenza del nuovo regime fiscale dei contratti assicurativi”, in Rivista della previdenza, n.
2/2001.
5
In base alla nuova disciplina, la detrazione del 19% (sempre su un importo massimo
di premi di lire 2,5 milioni) spetta ora solo per i contratti di assicurazione sulla vita
“aventi per oggetto il rischio di morte”, per quelli a copertura del rischio di invalidità
non inferiore al 5% e per quelli aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel
compimento degli atti della vita quotidiana, che restano gli unici contratti di
assicurazione per i quali permane un trattamento agevolativo in ragione dell’evento
dedotto in polizza. Nella Circolare ministeriale (par. 1.4) è stato precisato che ove
nel contratto di assicurazione sia prevista una franchigia (quando cioè la polizza sia
finalizzata a garantire un risarcimento anche in caso di invalidità inferiore al limite
percentuale previsto dalla legge), la detrazione sarà riconosciuta limitatamente alla
quota del premio afferente il rischio di invalidità non inferiore al 5%. Va rilevato che
l’importo massimo cui commisurare la detrazione d’imposta deve comprendere non
solo i premi direttamente versati a fronte delle polizze stipulate a partire dal 1°
gennaio 2001, ma anche i premi in relazione ai quali il datore di lavoro ha effettuato
la detrazione in sede di ritenute; inoltre si devono computare in tale importo i premi
relativi ai contratti di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni stipulati entro il 31
dicembre 2000, per i quale permane il regime previgente, e quelli relativi ai familiari
fiscalmente a carico.
Relativamente a tali contratti è stato peraltro eliminato il requisito della durata minima
quinquennale del rapporto e, conseguentemente, il recupero a tassazione della
detrazione in caso di durata del rapporto inferiore a tale termine, in quanto l’evento
dedotto è ora di puro rischio e non può di conseguenza prestarsi ad arbitraggi fiscali.
2.1.1 Assicurazioni caso morte - Detraibilità del premio
Tra le assicurazioni per il caso morte rientrano (3):
•
il contratto di assicurazione “temporanea caso morte”, che prevede il
pagamento di un capitale se l’assicurato muore entro il termine stabilito dal
contratto. Questo contratto non consente al contraente la facoltà di riscatto;
•
il contratto assicurativo “a vita intera” che prevede il pagamento di un capitale
alla data di decesso dell’assicurato in qualunque momento essa avvenga.
Questo prodotto non ha una scadenza prefissata e, differentemente dalla
polizza temporanea caso morte, consente la facoltà di riscattare la polizza,
3
Cfr. per tutti, A. DONATI, G. VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni,
Giuffré editore, pag. 187.
6
acquisendo la riserva matematica accantonata dalla compagnia in funzione
dei premi incassati.
Secondo la nuova disciplina, si deve ritenere che diano sempre titolo alla detrazione,
ex art. 13-bis, i premi corrisposti a fronte dell’assicurazione temporanea, dove il
premio pagato va a copertura del rischio morte del periodo - di regola annuale - in cui
viene fatto il versamento, senza possibilità di riscatto.
Si dubita invece che i premi relativi ai contratti di assicurazione vita intera diano
diritto alla detrazione per l’intero importo, al pari di quelli versati per l’assicurazione
temporanea. Nonostante sia comune ad essi la finalità, prettamente assicurativoprevidenziale, di procurare al o ai beneficiari, sempre diversi dall’assicurato stesso,
una prestazione (in capitale o in rendita) alla morte dell’assicurato, sussistono fra i
due tipi di contratto talune differenze in ordine alla composizione del premio, premio
che nella polizza vita intera è composto da una quota che va a copertura del rischio
caso morte dell’anno in cui viene effettuato il versamento (come nella polizza
temporanea caso morte) e da una quota che serve a coprire il rischio morte nel
periodo in cui il contraente non verserà più premi, e in ordine alla facoltà di riscatto,
che è strutturale nelle polizze vita intera.
Si potrebbe osservare che tale facoltà (cfr. l’art. 1925 c.c.) non modifica, in senso
finanziario, la causa negoziale del contratto, in quanto il “riscatto”, presupponendo,
oltre alla certezza della prestazione assicurativa, anche la costituzione della riserva
matematica, non costituisce altro che un caso di risoluzione anticipata del contratto,
come tale inidonea ad alterare l’aleatorietà della polizza.
D’altro canto, non
sembrano rilevare, al riguardo, eventuali caratterizzazioni delle polizze caso morte in
senso “finanziario” (come nel caso di polizze Unit linked a vita intera), in quanto, pur
essendo la somma attribuita in caso di riscatto, ovvero al verificarsi dell’evento
morte, collegata al valore corrente degli strumenti finanziari in cui vengono investiti i
premi della polizza, l’evento dedotto è sempre lo stesso.
In base a tali considerazioni sarebbe stato quindi del tutto coerente una disciplina
che, pur mantenendo il regime di detraibilità e di non tassazione della prestazione in
caso di morte, prevedesse il recupero dell’imposta in caso di riscatto. Considerando
peraltro che una tale previsione non è nemmeno indirettamente desumibile dalla
disposizione e che talune polizze, pur prevedendo come evento la morte, con la
facoltà dell’esercizio del riscatto garantiscono una prestazione in capitale al pari delle
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polizze qualificabili come finanziarie, si deve condividere l’orientamento prudenziale
assunto dall’ANIA nella Circolare n. 164 del 2000 e confermato dal Ministero nella
citata Circolare n. 29 del 20 marzo 2001 (par. 1.2.), giusta il quale nelle polizze caso
morte a vita intera, la previsione del riscatto determina la natura “mista” della polizza
(4). Ne conseguirebbe che il diritto alla detrazione sussiste solo per la parte di premio
riferibile al caso morte, mentre l’altra parte confluisce nel regime ordinario delle
polizze finanziarie. Da tale configurazione discende l’obbligo della compagnia di
assicurazione di individuare nella polizza stessa la quota di premio riferibile al caso
morte che dà diritto alla detrazione. La individuazione deve essere operata in base
agli elementi attuariali da essa valutati e deve essere indicata in valore assoluto o in
percentuale del premio complessivo, sia nella polizza che nelle comunicazioni
annuali all’assicurato. Il Ministero ha precisato che nel caso di polizze in cui non è
possibile individuare nettamente le quote di premio a causa della varietà delle
condizioni che regolano la copertura del rischio, ad esempio nel caso di
indicizzazione dei premi e nel caso di polizze di gruppo, è consentito individuare la
quota parte di premio per cui spetta la detrazione d’imposta “in modo forfetario, sulla
base di dati obiettivi desunti dall’esperienza del portafoglio assicurativo”.
2.1.2 Garanzie accessorie nei contratti caso morte (temporanee e a vita intera)
Come noto, nella prassi contrattuale le assicurazioni sulla vita prevedono spesso
garanzie accessorie quali, ad esempio, quelle per infortuni e per malattia.
Tali
pattuizioni non costituiscono contratti autonomi, ma elementi integrativi del contratto,
per cui esse sono attratte nel regime civilistico delle polizze cui accedono.
Fermo restando il diritto alla detrazione per la quota di premio riferibile alla polizza
“principale” caso morte, quello delle quote relative alle garanzie accessorie è
strettamente dipendente dalla natura del rischio oggetto di copertura. In particolare,
ove si verta sul rischio di invalidità permanente (ma non di semplice inabilità, cioè di
invalidità temporanea) conseguente a malattia, si realizza la fattispecie di cui al citato
art. 13-bis TUIR, con detraibilità dell’onere (nel rispetto del “plafond” complessivo di
2,5 milioni); qualora, invece, il rischio coperto sia quello di spese relative a cure
mediche per malattia, sia pur grave, senza che ai fini della prestazione dedotta rilevi
l’eventuale effetto invalidante, la polizza accessoria sarebbe da ascrivere al ramo
4
La polizza mista è quella che prevede il pagamento al beneficiario di un capitale sia in caso di
sopravvivenza dell’assicurato alla scadenza del contratto sia in caso di morte dello stesso nel corso
della durata del contratto .
8
“danni”, senza diritto a detrazione, con necessità di distinguere la quota di premio,
secondo quanto detto nel precedente paragrafo.
Qualora, in relazione ai rischi coperti, i premi siano soggetti al medesimo regime
fiscale – come nel caso di assicurazione per invalidità abbinata alla polizza caso
morte – del decreto, tale distinzione non è necessaria, giusta l’art. 13, comma 2.
2.1.3 Assicurazioni caso morte, invalidità. Regime fiscale dei rendimenti finanziari
compresi nei capitali e rendite corrisposti
Il regime dei capitali rivenienti da forme di assicurazione caso morte e da invalidità
permanente non è stato espressamente disciplinato, e resta pertanto quello di cui
agli artt. 34, ultimo comma, del DPR n. 601/73 e art. 6, comma 2, TUIR, e cioè quello
della non imponibilità in capo ai beneficiari dei rendimenti maturati sui capitali, in
ragione della natura intrinsecamente risarcitoria delle somme erogate a fronte del
verificarsi dell’evento assicurato. Dalla Relazione governativa al D.Lgs. n. 47 e dalla
Circolare n. 29 (par. 1.4, dove si fa genericamente riferimento ai “redditi conseguiti”),
emerge inoltre come tale regime di non imponibilità debba riconoscersi anche alle
rendite erogate per l’evento di invalidità permanente o di morte, in vista della loro
natura parimenti risarcitoria, di modo che esse non costituiscono una componente di
reddito in capo al beneficiario.
Nel caso di rendite erogate per il caso morte la stessa Circolare non distingue nella
prestazione risarcitoria erogata al beneficiario, diverso dall’assicurato, la quota
astrattamente riferibile al rendimento finanziario maturato sulle rendite nel corso della
loro erogazione, di modo che si deve ritenere che anche tale quota sia soggetta a
regime di non imponibilità.
Considerando, infatti, che l’art. 6 del TUIR esclude dal novero dei redditi le
prestazioni aventi natura istituzionalmente risarcitoria in ragione dell’evento dedotto
in contratto, ancorchè a fronte di perdite di redditi, non sembra che tale esclusione
possa essere solo parziale in dipendenza di elementi che abbiano condizionato il
regime di detrazione dei premi (ad es., premi riferibili all’invalidità inferiore al 5%) o
che determinino l’entità della prestazione (ad es. i rendimenti attribuiti dalla impresa
assicuratrice). In ambedue i casi i presupposti dell’art. 6 restano immutati, nè sembra
prevista una scomposizione delle somme erogate unitariamente in componenti
riferibile all’una o l’altra circostanza. La norma di cui all’art. 41, lett. g-quinquies) fa,
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in particolare, riferimento al rendimento delle rendite vitalizie aventi funzione
previdenziale, rendite che non sono imponibili in virtù della specifica e autonoma
disposizione dell’art. 47, comma 1, lett. h) e non di quella, a carattere generale (ma
speciale, quanto alla non tassabilità dei risarcimenti), di cui all’art. 6, TUIR. Si può
quindi dubitare che tali rendimenti acquisiscano autonoma rilevanza fiscale nel
contesto della prestazione risarcitoria.
Nel caso di esercizio della facoltà di riscatto della polizza vita intera la differenza fra
l’importo dei premi versati e l’importo della prestazione costituisce invece reddito di
capitale, ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. g-quater), TUIR, da assoggettare ad
imposta sostitutiva di cui all’art. 26-ter, comma 1, DPR n.600/73, con l’applicazione
del c.d. “equalizzatore” (cfr. par. 4.1). Per quanto riguarda la determinazione della
base imponibile, la circolare (par.1.3) ha precisato, confermando l’orientamento
ANIA, che la quota di premi da dedurre dall’importo della prestazione è quella che
non riguarda il rischio per il caso morte, quota per la quale si è beneficiato della
detraibilità e, come accennato, non si può verificare alcuna decadenza dal diritto alla
detrazione.
2.1.4 Regime fiscale delle prestazioni per il caso di non autosufficienza
L’art. 13-bis, comma 1, lett. f), del TUIR, come modificato dall’art. 13, comma 1, lett.
b), del D.Lgs. n. 47, prevede che i requisiti dei contratti che assicurano il rischio di
non autosufficienza nel compimento in modo autonomo degli atti della vita
quotidiana, devono essere stabiliti con decreto del Ministro delle Finanze, sentito
l’ISVAP, decreto che dovrà individuare gli eventi e le condizioni di polizza meritevoli
del regime fiscale agevolato.
Il decreto 22 dicembre 2000, conseguentemente emanato (G.U. 303 del 30 dicembre
2000), ha stabilito che lo stato di non autosufficienza ricorre in caso di incapacità di
svolgere, anche solo in parte, uno o più atti indicati nel decreto stesso, quali, ad
esempio, assunzione degli alimenti, deambulazione ecc. I contratti che assicurano
tali rischi possono essere stipulati sia nell’ambito delle assicurazioni sulla vita, sia
nell’ambito di quelle per malattia. Per i contratti stipulati nell’ambito dei contratti sulla
vita, la copertura assicurativa può essere differita a data successiva a quella di
stipula del contratto, ma deve essere garantita per l’intera vita dell’assicurato. Nel
caso, invece, di stipula di polizza malattia, il contratto deve prevedere una durata di
10 anni con rinnovo, obbligatorio per la compagnia, al termine di ogni dieci anni; per
10
le polizze collettive stipulate dal datore di lavoro, la copertura del rischio deve avere
una durata almeno pari alla durata del rapporto di lavoro dell’assicurato.
Le
condizioni di polizza devono prevedere la possibilità di recesso del contraente e
quella di riduzione della prestazione assicurativa, quest’ultima, presumibilmente, nei
casi in cui venga sospeso o ridotto nell’ammontare il pagamento dei premi.
Il
recesso non è mai consentito all’impresa che può, invece, riservarsi il diritto di
variare, ad intervalli non inferiori a 5 anni, l’importo dei premi in base all’evoluzione
dei dati attuariali riferita all’intera collettività relativi agli eventi dedotti in raffronto alla
intera collettività.
Le polizze che prevedano il riscatto sono trattate fiscalmente come polizze miste;
pertanto, l’importo del premio afferente il rischio di non autosufficienza, che darà
diritto alla detrazione d’imposta, deve essere indicato in polizza distintamente dalla
quota restante, per la quale non spetterà alcuna detrazione.
Il regime fiscale dei premi delle polizze stipulate dal datore di lavoro si ricava dai
principi generali di determinazione di reddito di lavoro dipendente relativi ai contributi
e ai premi versati dal datore di lavoro al fine di garantire prestazioni assistenziali ai
propri dipendenti.
Alla luce dei chiarimenti in materia contenuti nella circolare
ministeriale n.55/1999, si deve ritenere che se il versamento del premio discende
dall’adempimento di un obbligo assunto nel contratto individuale o collettivo, o
previsto in accordi o regolamenti aziendali, il premio concorrerà a formare il reddito di
lavoro dipendente come “fringe benefit”.
Se invece dal contratto, accordo o
regolamento emerge che la prestazione è da erogare al lavoratore al verificarsi di un
rischio indicato nello stesso contratto o accordo aziendale, l’assicurazione di tali
rischi “risponde solo all’interesse esclusivo del datore di lavoro” (che si garantisce
una copertura finanziaria per pagamenti futuri tramite la polizza assicurativa) e
pertanto non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente. In ambedue i casi si
tratta di spese deducibili dal reddito di impresa del datore di lavoro.
Circa le prestazioni erogabili, il decreto distingue le polizze malattia da quelle di
rendita vitalizia. Nelle prime, la prestazione può consistere nel risarcimento, anche
parziale, del costo di assistenza, ovvero in una o più prestazioni in natura. Nelle
seconde, la prestazione è liquidata sotto forma di rendita, vitalizia o temporanea,
quest’ultima però condizionata all’esistenza in vita dell’assicurato. Tuttavia, il
contraente può richiedere la liquidazione della prestazione in forma capitale per un
importo non superiore al 30% del valore attuale della rendita o comunque per l’intero,
11
qualora l’importo annuo della rendita risulti inferiore al 50% dell’assegno sociale di
cui all’art.3, commi 6 e 7, della L. n.335/95 (per il 2001, l’assegno sociale è pari a lire
8.592.350 annui). Come confermato dalla citata Circolare ministeriale (par. 1.5), per
le polizze rientranti nell’ambito di applicazione della previdenza complementare si
deve ritenere che l’importo della rendita da confrontare con il 50% dell’assegno
sociale sia quello riferibile alla quota della prestazione non acquisibile in capitale, e
cioè quello parametrato al 70% del montante totale.
Tuttavia tale previsione non sembra produrre conseguenze concrete, in quanto non è
prevista una modificazione del regime fiscale ordinario della prestazione, che, in
dipendenza dell’evento verificatosi, assolve sempre ad una funzione risarcitoria
anche nel caso di erogazione in capitale superiore al 30% del valore attuale della
rendita.
Sotto il profilo fiscale, infatti, le prestazioni riferibili a tali polizze, sia in capitale che in
rendita (temporanea o vitalizia), beneficiano del regime di non imponibilità di cui
all’art. 6, comma 2, TUIR. In particolare, per le rendite vitalizie, l’esclusione da
imposizione riguarda sia la quota di esse riferibile ai premi (sia con detrazione che
senza) sia quella riferibile al rendimento finanziario maturato nella fase di
erogazione, che avrebbe astrattamente natura di reddito di capitale ex art. 41,
comma 1, lett. g-quinquies), TUIR. Infatti, l’esclusione da imposizione ai sensi
dell’art. 6, c. 2, deve riconoscersi in base al principio – avente carattere di specialità
e quindi prevalente sulla categoria reddituale del provento - espressamente
confermato dal Ministero delle finanze (vedasi ad es. circ. n. 326/1997), secondo cui
non sono in ogni caso soggetti a tassazione gli indennizzi volti a risarcire il danno
emergente e comunque la invalidità permanente del soggetto, mentre quelli diretti a
compensare il lucro cessante, cioè alla perdita di redditi, sono tassati secondo il
regime proprio della categoria di tali redditi. Nelle rendite erogate a fronte della
copertura del rischio di non autosufficienza lo stesso Ministero non dubita della loro
natura di risarcimento di un danno emergente individuale (nella specie, invalidità
permanente), non essendo loro attribuibile una funzione sostitutiva o integrativa di
eventuali redditi, mentre gli elementi che generano la non autosufficienza riflettono,
nella sostanza, l’invalidità permanente del contribuente.
Qualora, nella fase di differimento, il beneficiario si avvalga della facoltà di riscatto,
gli eventuali rendimenti finanziari devono essere assoggettati ad imposta ai sensi
dell’art. 41, comma 1, lettera g-quater), TUIR.
12
Va, infine, ricordato che il decreto consente l’inserimento di tali polizze in forme di
previdenza individuale o collettiva di cui al D.Lgs. n. 124/1993; nel caso in cui
nell’ambito di tale previdenza fosse prevista una copertura accessoria per il rischio di
non autosufficienza, il premio ad essa riferito dovrà essere tenuto distinto dal
contributo o premio “previdenziale”, in quanto soggetto a detrazione e non a
deduzione, mentre le prestazioni sono soggette al regime di non imponibilità sopra
descritto.
3.
Polizze previdenziali
Come sopra accennato in via generale con riguardo al sistema delineato dal
legislatore delegato, il trattamento fiscale delle prestazioni assicurative consistenti in
una rendita è diverso a seconda dei tempi e delle modalità di fruizione della rendita
stessa.
Per quanto concerne le rendite non rientranti nel regime fiscale della previdenza
complementare, ricordiamo che la disciplina ante riforma stabiliva che le rendite,
vitalizie o a tempo determinato, costituite a titolo oneroso (quali quelle assicurative),
costituivano redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e erano imponibili per il
60% dell’ammontare lordo percepito nel periodo d’imposta (cfr. l’art. 48-bis, comma
1, lett. c, TUIR).
La nuova disciplina applicabile ai contratti stipulati (o modificati) dal 1° gennaio 2001,
distingue invece tra:
a)
rendite, vitalizie o a tempo determinato, aventi funzione previdenziale, che
devono essere distinte da quelle previdenziali complementari, rientranti
nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n.124;
b)
altre rendite, costituite a titolo oneroso, non aventi la suddetta funzione.
I premi versati per tali contratti di assicurazione, aventi o meno funzione
previdenziale, che prevedono il pagamento di rendite vitalizie o a tempo determinato,
non danno diritto ad alcuna deduzione o detrazione. E’ invece diverso il trattamento
delle due tipologie di prestazione assicurativa, di seguito esposto.
13
3.1
Rendite previdenziali
L’art. 47, TUIR, che disciplina i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente,
stabilisce al comma 1, lett. h), che “le rendite aventi funzione previdenziale sono
quelle derivanti da contratti di assicurazione sulla vita … che non consentano il
riscatto della rendita successivamente all’inizio della erogazione”. In caso contrario,
quindi, tali rendite non sono imponibili a tale titolo.
Data la tassatività della
disposizione rientrano fra quelle aventi “funzione previdenziale”, ex art. 47, comma 1,
lett. h), del TUIR, anche le polizze di rendita che prevedano la facoltà di riscatto nel
periodo di differimento, essendo espressamente escluse da tale qualificazione solo
quelle
nelle
quali
il
riscatto
sia
esercitabile
“successivamente
all’inizio
dell’erogazione” della rendita. A tali fini è irrilevante il profilo tecnico della polizza e il
rischio dell’investimento; ne consegue che rientrano fra quelle previdenziali anche le
polizze Unit linked, purché si tratti di polizze che prevedano la costituzione di una
rendita vitalizia differita e anche se, nel periodo di differimento, ma, come detto,
prima dell’inizio dell’erogazione, consentano al contraente di riscattare la polizza,
ottenendo una prestazione in forma di capitale.
Ancorchè l’art. 47, comma 1, lett. h), come sostituito dall’art. 13, comma 1, lett. d),
del D.Lgs. n. 47, menzioni le rendite vitalizie e quelle a tempo determinato, non
differenziandole ai fini della qualificazione come rendite aventi funzione previdenziale
(caratterizzate dal divieto di riscatto nella fase dell’erogazione), la formulazione
letterale della lett. c-quinquies), dell’art. 41, comma 1, del TUIR (art. 10, comma 3,
lett. c). D.Lgs. n. 47) indica come redditi di capitale solo i rendimenti riferibili alle
rendite vitalizie aventi funzione previdenziale. Tale limitazione deve essere però
interpretata alla luce di quanto illustrato nella circolare ministeriale, dove è specificato
che costituiscono redditi di capitali ”quelli derivanti dai rendimenti delle rendite aventi
funzione previdenziale”, senza fare quindi nessuna distinzione tra rendite vitalizie o a
tempo determinato.
Conseguentemente, appare ragionevole ritenere che, ai fini
fiscali, per “rendita vitalizia” deve necessariamente intendersi non quella da erogare
fino alla morte del titolare, ma quella la cui erogazione è influenzata da eventi
attinenti la vita umana, compresa la premorienza. In tal modo si ricomprendono nel
novero delle rendite vitalizie anche quelle il cui periodo di erogazione é
predeterminato, ma l’entità della prestazione è pur sempre funzione dell’effetto
demografico, nel senso che l’erogazione della rendita è condizionata all’esistenza in
vita del beneficiario (salva l’opzione per la reversibilità).
D’altronde, ove, l’art. 41,
c.1, lett. g-quinquies), fosse interpretato nel senso della tassatività dell’indicazione ivi
14
contenuta, emergerebbe un evidente difetto di coordinamento fra le disposizioni, non
rinvenendosi nel sistema la ratio della esclusione di tali rendite da quelle aventi
funzione previdenziale.
Infatti, essendo la funzione previdenziale della polizza
subordinata al verificarsi di due condizioni, quella di essere stipulata da una impresa
di assicurazioni e di non consentire il riscatto successivamente all’inizio
dell’erogazione, tali condizioni non sono incompatibili con una rendita a tempo
determinato nè presuppongono il carattere vitalizio della rendita, nel senso civilistico
del termine. La esclusione di tali polizze da quelle previdenziali comporterebbe,
infatti, ferma restando la tassazione dei rendimenti con l’imposta sostitutiva, la
tassazione della parte di rendita, corrispondente al capitale versato senza alcun
beneficio fiscale (né sotto forma di detrazione, né sotto forma di deduzione), come
reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, al pari delle rendite diverse da quelle
previdenziali, in contrasto con il già citato principio affermato nella Relazione di
accompagnamento al D.Lgs. n. 47, in base al quale non è tassabile “ …. - per vera e
propria mancanza di materia imponibile - la parte della corrispondente alla
restituzione del capitale versato”.
Tuttavia, ferma restando la non imponibilità delle rendite quale reddito assimilato a
quello di lavoro dipendente, per queste polizze, sia nel periodo di accumulo che in
quello di erogazione, sono invece imponibili – quali redditi di capitale - i rendimenti
finanziari maturati sui capitali gestiti dall’impresa assicuratrice. Come tali essi sono
soggetti al regime impositivo tipico di tali gestioni, e cioè ad un’imposta sostitutiva
con l’aliquota del 12,5%, che dunque rappresenta l’unica forma di tassazione del
rendimento applicata dall’impresa assicurativa.
L’esclusione delle rendite della specie dall’ambito di applicazione dell’art. 47 del
TUIR o di altre forme di imposizione deriva dall’esigenza di non incorrere in una
evidente duplicazione d’imposta.
Da un lato, infatti, una parte della rendita
costituisce restituzione del capitale, versato senza alcuna agevolazione fiscale, né in
termini di detrazione, né di deducibilità. In tal senso la Relazione al D.Lgs. n. 47 (sub
art. 13) riconosce che “i rendimenti maturati sui versamenti fino al momento di
erogazione della rendita sono tassati con gli stessi criteri e le stesse aliquote delle
altre rendite finanziarie. La rendita è tassabile solo per la parte corrispondente ai
rendimenti finanziari maturati, non essendo tassabile - per vera e propria mancanza
di materia imponibile - la parte della rendita corrispondente alla restituzione del
capitale versato”.
15
Dall’altra parte, come parimenti rilevato dalla sopratrascritta Relazione, non è
ulteriormente imponibile la componente riferibile ai rendimenti finanziari maturati,
che, per effetto della nuova lettera g-quinquies), dell’art. 41, comma 1 del TUIR
(inserita dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 47), sono assoggettati all’imposta
sostitutiva quali redditi di capitale, sia durante la fase c.d. di “accumulo” (e quindi,
ove le rendite siano differite, anche prima dell’effettiva erogazione, senza che rilevi la
circostanza che il premio versato sia unico o ricorrente), sia in quella di erogazione.
Va al riguardo rilevato che mentre nel testo originario del decreto la base imponibile
dell’imposta sostitutiva nelle due fasi negoziali (differimento ed erogazione) era
individuata unitariamente dall’art. 42, comma 4-ter, TUIR, nei “rendimenti maturati nel
periodo d’imposta riferibili al valore attuale delle rendite erogate o in via di
costituzione al termine di ciascun periodo d’imposta”, a seguito delle correzioni
apportate al decreto n. 47 le due fattispecie sono state distinte.
Di conseguenza, l’art. 42, comma 4-ter, come sopra modificato, contempla solo i
rendimenti maturati nella fase di erogazione delle rendite vitalizie aventi funzione
previdenziale e delle rendite erogate dai Fondi pensione, di cui all’art. 41, comma 1,
lett. g-quinquies). Per tali redditi, la base imponibile si determina come “differenza tra
l’importo di ciascuna rata di rendita ………..e quello della corrispondente rata
calcolata senza tener conto dei rendimenti finanziari”. Vale a dire che il rendimento
deve essere determinato come differenza tra la rendita in erogazione e quella teorica
determinata unicamente sulla base della vita media residua al momento dell’accesso
della polizza, e cioè ricalcolando la rendita a tasso zero.
Ai sensi dell’art. 26-ter, comma 2, del DPR n. 600, tali rendimenti sono soggetti ad
una “imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura prevista dall’art. 7 del
D.Lgs. n. 461/1997” (che, come noto, reca la disciplina del cd. risparmio gestito) e
quindi con l’aliquota del 12,5%, imposta che va versata entro il sedicesimo giorno del
secondo mese successivo a quello in cui è stata applicata.
Per quanto concerne invece la determinazione del rendimento nella fase di
differimento della rendita, il nuovo comma 2-bis dell’art. 13 del D.Lgs. n. 47 stabilisce
che le imprese di assicurazione applicano l’imposta sostitutiva del 12,5% sul risultato
netto maturato in ciascun periodo d’imposta, determinato ai sensi dell’art.14-bis,
commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. n. 124, che, come noto, determina il rendimento delle
forme individuali di previdenza complementare, attuate mediante contratti di
16
assicurazione (art. 9-ter del D.Lgs. n. 124), “sottraendo dal valore attuale della
rendita in via di costituzione, calcolato al termine di ciascun anno solare, ovvero alla
data di accesso alla prestazione, diminuito dei premi versati nell’anno, il valore
attuale della rendita stessa all’inizio dell’anno”. In merito al valore attuale della
rendita, possono soccorrere i chiarimenti forniti dal Ministero delle finanze per il caso
analogo di determinazione del valore attuale della rendita per il calcolo del
rendimento da assoggettare ad imposta sostitutiva dell’11% nei nuovi fondi pensione
in regime di prestazioni definite. In tale sede, è stato specificato che, tenuto conto
del fatto che le imprese di assicurazione attribuiscono i rendimenti maturati dalla
gestione soltanto in occasione delle ricorrenze annuali delle polizze, che possono
ricadere in qualsiasi giorno dell’anno, il valore attuale della rendita deve calcolato alla
ricorrenza annuale della polizza. Tuttavia, nel caso in cui al termine dell’anno solare
siano noti tutti gli elementi per determinare il valore effettivo della polizza, il valore
attuale della rendita andrà determinato con riferimento all’anno solare e non
all’anniversario della polizza. A titolo esemplificativo, la circolare riporta nell’ambito
di questa fattispecie le polizze in cui il valore della prestazione è espresso in quote o
parti e cioè quelle Unit linked nelle quali il valore delle quote o delle parti è
oggettivamente determinabile al termine di ciascun anno solare.
Sempre in tema di applicazione della imposta sostitutiva, il richiamo al comma 2
dell’art. 14-bis del D.Lgs. n. 124 consente, inoltre, di computare il risultato negativo di
un periodo in diminuzione di quello della gestione dei periodi successivi per l’intero
importo che trova in essi capienza e senza limiti temporali. A seguito del richiamo
operato dal comma 2-bis all’art. 14-bis, sono parimenti applicabili alla fattispecie le
disposizioni in materia di versamento e dichiarazione dell’imposta sostitutiva; in
particolare, il versamento va effettuato entro il 16 febbraio di ciascun anno. Per le
modalità di dichiarazione di tale imposta sostitutiva, si deve, a nostro avviso,
applicare la norma residuale dell’art. 14, comma 6, ultimo periodo, del D. Lgs.
124/1993,
in
base
alla
quale
la
dichiarazione
deve
essere
presentata
contestualmente alla dichiarazione dei redditi dell’impresa di assicurazione.
Nel caso in cui le rendite siano erogate da imprese di assicurazione non residenti e
senza stabile organizzazione che operano in regime di libertà di prestazione di
servizi, sui rendimenti finanziari di cui all’art. 41, comma 1, lett. g-quater) e gquinquies), TUIR, la impresa estera non deve applicare l’imposta sostitutiva, in
quanto per tali redditi è applicabile l’art. 16-bis del TUIR, il quale pone a carico del
contribuente l’obbligo di dichiarare o assoggettare i redditi di capitale di fonte estera
17
ad imposta sostitutiva, qualora questa non sia stata applicata in sede di erogazione.
In entrambi i casi l’imposta sostitutiva va versate con le modalità e nei termini previsti
per il versamento a saldo delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi.
Come accennato, la facoltà di chiedere il riscatto prima dell’inizio della prestazione
non sembra modificare la natura della polizza, che resta pur sempre quella di
costituire una rendita vitalizia con finalità previdenziale a favore del contraente. A
prescindere dalla accennata tassatività della norma, non può sfuggire che, in caso
contrario, si introdurrebbe nella struttura ordinaria delle polizze una condizione non
agevolmente inquadrabile nell’ambito della struttura civilistica del contratto, quello,
cioè, di inibire la facoltà di risolvere il contratto, a prescindere dalle condizioni
economiche e dalle esigenze delle parti. Del resto, trattandosi di premi non dedotti e
di rendimenti già tassati in relazione alla loro maturazione, il riscatto non
comporterebbe comunque alcun salto d’imposta relativamente ai rendimenti o
indebita fruizione di detrazione relativamente ai premi.
Giusta l’art. 42, comma 4, del TUIR, in caso di esercizio del diritto di riscatto l’imposta
sostitutiva del 12,5%, prevista dal nuovo art. 26-ter, comma 1, DPR n. 600 è
applicabile solo sulla frazione di rendimento generatasi dopo la chiusura dell’ultimo
periodo d’imposta, e quindi per la quota - se esistente - eccedente quella tassata ai
sensi del successivo comma 2-bis, dell’art. 13, D.Lgs. n. 47. Secondo tale
disposizione, come sopra accennato, la base imponibile del rendimento maturato
durante il periodo di differimento va determinata con i criteri relativi alla imposta
sostitutiva dovuta sui rendimenti assicurativi di cui all’art. 9-ter del D.Lgs. n. 124.
3.2
Altre rendite
Nei casi in cui il contratto costitutivo della rendita non abbia funzione previdenziale
(perché ammette il riscatto dopo l’inizio dell’erogazione), le rendite erogate, tanto
vitalizie quanto a tempo determinato, costituiscono, per il loro intero ammontare (cfr.,
in tal senso, la Relazione) reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, di cui
all’art. 47, comma 1, lett. h), TUIR, senza diritto alle detrazioni previste dall’art. 13 del
TUIR e senza distinguere fra premi e rendimento. La nuova disciplina ricalca, quindi,
solo formalmente quella previgente, in quanto, elevando la base imponibile dal 60%
al 100% delle rendite stesse, ha eliminato quel correttivo forfetario alla imposizione
della quota di rendita che corrisponde alla restituzione del capitale; in più, non
assoggettando il rendimento ad imposta sostitutiva, determina un aggravamento
18
dell’imposizione anche rispetto alle polizze finanziarie che consentono la conversione
in rendita, semprechè non riscattabile dopo la sua erogazione.
Tali contratti,
ancorchè potenzialmente stipulabili dalle compagnie assicurative, saranno quindi
difficilmente accettati dal mercato per il notevole onere fiscale cui sono assoggettati.
Tale trattamento appare comunque difficilmente giustificabile, a meno che non si
ritenga trattarsi di un indennizzo sostitutivo di proventi che sarebbero altrimenti
tassati, anche come plusvalenza (art. 41, comma 1, lett. c), del TUIR). Tale
presunzione non risulta peraltro avallata dalla norma in parola, di modo che si deve
ritenere che il trattamento fiscale costituisca una penalizzazione per un
comportamento che la legge vuole implicitamente contrastare, e cioè quello di fruire,
per i contratti di rendita, non della rendita ma del capitale corrispondente.
L’aver stabilito il regime di imposizione solo a contrario, come inapplicabilità del
regime ordinario delle polizze previdenziali, non rende comunque agevolmente
giustificabile tale regime, in quanto la non tassabilità della rendita previdenziale non è
stata motivata come agevolazione fiscale, ma con argomenti di carattere sistematico,
quale quello del divieto di doppia imposizione dello stesso reddito, argomento che
sarebbe pienamente applicabile anche alle polizze non previdenziali.
D’altronde, come già rilevato a proposito dei Fondi pensione, il criterio di applicare
imposte non in presenza di una maggiore o diversa capacità contributiva, ma in
funzione sanzionatoria di clausole negoziali di per sè legittime, non è
sistematicamente condivisibile, in quanto risponde non alla ratio interna dei tributi,
ma a finalità di politica extrafiscale, come tali distorsive del sistema, che pone una
stretta correlazione fra il trattamento fiscale dei premi e dei rendimenti e quello delle
rendite.
Su tale punto sarebbe quindi auspicabile che il legislatore operasse una meditata
ricognizione della materia, soprattutto sul punto per cui la semplice previsione della
facoltà di riscatto – non esercitata in fatto – può determinare la tassazione di una
rendita che sarebbe, secondo la legge, comunque percepita.
Non costituiscono invece reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, ma reddito
di capitale, integralmente tassabile, le rendite perpetue, e cioè quelle in cui il periodo
di erogazione è indeterminato (art. 41, comma 1, lett. c) TUIR).
19
4.
Polizze finanziarie - Generalità
Come anticipato, una nuova categoria di polizze assicurative che emerge dalla
riforma attuata con il D.Lgs. n. 47 è quella delle polizze a contenuto prevalentemente
finanziario. Si tratta di una categoria che comprende in generale le polizze che
geneticamente prevedono le prestazioni in capitale, ma che non sono dirette a
coprire il rischio morte, invalidità e non autosufficienza. Tali polizze, anche in forma
di contratti di capitalizzazione, prevedono una prestazione in capitale, eventualmente
convertibile in rendita, che può essere corrisposta in qualsiasi momento della vita
dell’assicurato ovvero, in caso di premorienza, ai beneficiari. Come per le polizze
c.d. “previdenziali”, i premi versati a fronte delle polizze finanziarie non danno diritto
ad alcuna forma di deduzione o detrazione, mentre i rendimenti finanziari maturati
nella fase della erogazione, sono soggetti ad imposta con gli stessi criteri applicabili
alle rendite finanziarie, e cioè con applicazione di un’imposta sostitutiva nella misura
del 12,5%, di cui al D.Lgs. n. 461/1997.
A differenza delle polizze con funzione previdenziale, per tali contratti non è prevista
la tassazione dei rendimenti maturati nella fase “di accumulo”; tali rendimenti
finanziari saranno assoggettati ad imposta sostitutiva al momento dell’erogazione
della prestazione assicurativa, con applicazione del c.d. “equalizzatore”, al fine di
rendere equivalente la tassazione per cassa con quella sul maturato. In ossequio al
divieto di doppia imposizione, la prestazione non sarà soggetta ad imposta nemmeno
per la parte corrispondente ai capitali investiti e al rendimento tassato nella fase
dell’erogazione, di modo che quella sui rendimenti maturati nella fase di accumulo
sarà l’unica tassazione subita in sede di erogazione.
Anche per queste polizze, se stipulate o rinnovate dal 1° gennaio 2001, vige il regime
di esenzione ai fini dell’imposta sulle assicurazioni (cfr. par. 3.6).
Per tutte le polizze, stipulate prima o dopo del 2001, è rimasto invariato il regime ai
fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.
4.1
Prestazioni in capitale
Conservando la lett. c-quater) dell’art. 41 TUIR, il legislatore ha confermato la
qualificazione come redditi di capitale dei rendimenti finanziari compresi nei capitali
corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione.
20
Sono stati invece sottoposti ad integrale revisione i criteri di tassazione dei suddetti
redditi. Si ricorda che l’art. 6 della L. n. 482/1985 - che viene contestualmente
abrogato (salvo il regime transitorio) - prevedeva una ritenuta alla fonte con l’aliquota
del 12,5% su una base imponibile costituita dalla differenza tra le somme erogate ed
i premi pagati, ridotta del 2% per ogni anno di durata superiore al decimo.
Come per il passato, la base imponibile è ora individuata, dal riformulato art. 42,
comma 4, TUIR, nella differenza tra i capitali corrisposti ed i premi lordi pagati. Il
trattamento fiscale è peraltro disciplinato dal comma 1 del nuovo articolo 26-ter, DPR
n. 600, nel senso che, al momento della erogazione della prestazione, la compagnia
deve applicare una imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi con la stessa aliquota
applicabile ai redditi conseguiti nell’ambito del c.d. risparmio gestito (art. 7 D.Lgs. n.
461: 12,5%), stabilendo inoltre che nel caso in cui il periodo intercorrente tra la data
di versamento dei premi e quella in cui il capitale è corrisposto sia superiore a dodici
mesi, tale aliquota (e non la base imponibile) deve essere rettificata con coefficienti
diretti a rendere equivalente la tassazione per cassa con quella che si sarebbe subita
se i redditi fossero stati oggetto di tassazione al momento della loro maturazione.
Tali coefficienti verranno stabiliti con Decreto del Ministro delle finanze, tenendo
conto del tempo intercorso dalle eventuali variazioni dell’aliquota dell’imposta
sostitutiva, dei tassi di rendimento dei titoli di Stato, nonché della data di pagamento
dell’imposta sostitutiva.
Pertanto, pur nella identità dell’aliquota applicabile, la maggiore durata del contratto
non comporta più, come in passato, un minor carico fiscale, bensì un aggravio
qualora, come d’ordinario, la durata del rapporto sia superiore a dodici mesi.
L’imposta sostitutiva deve essere versata entro il giorno 16 del secondo mese
successivo a quello in cui è stata applicata.
Ai sensi del citato art. 26-ter, comma 3, sui rendimenti finanziari compresi nei capitali
erogati da imprese di assicurazione non residenti, l’imposta, come sopra
determinata, dovrà essere applicata direttamente dal contribuente in sede di
dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’art. 16-bis del TUIR. Anche se il comma 3
dell’art. 26-ter non richiama espressamente il comma 1-bis dell’art. 14, relativo
all’“equalizzatore”, un’interpretazione sistematica delle norme porta a ritenere che in
21
sede di dichiarazione l’imposta debba essere calcolata applicando il fattore di
rettifica.
Se l’applicazione del regime sopra descritto non comporta particolari difficoltà nei
confronti delle persone fisiche (se non per l’”equalizzatore”), non altrettanto si può
dire quando il contraente sia una impresa.
Al riguardo, si ricorda che sui proventi rivenienti da contratti di assicurazione sulla
vita e di capitalizzazione, stipulati a partire dal 13 gennaio 1996 – data di entrata in
vigore della L. 549/1995 - , percepiti nell’esercizio di attività commerciali, la ritenuta
del 12,5% era applicata a titolo d’acconto. Con l’abrogazione dell’art. 6 della L. n.
482/85, relativamente ai contratti stipulati dal 1° gennaio 2001, e la contestuale
introduzione dell’imposta sostitutiva del 12,5% sui redditi all’art. 41, c. 1, lett- gquater), con applicazione del c.d. “equalizzatore”, si deve ritenere che tali redditi non
debbano più essere assoggettati a ritenuta.
Infatti, come afferma anche la Circolare n. 29, par. 2.3, l’imposta sostitutiva di cui
all’art. 26-ter, comma 1, cui si applica l’equalizzatore, afferisce i redditi di capitale,
mentre detti proventi, se conseguiti da un soggetto che svolge attività d’impresa,
vengono qualificati come redditi di impresa, per effetto dell’art. 45, comma 1, del
TUIR. D’altronde, se l’imposta sostitutiva fosse ritenuta applicabile anche a soggetti
che svolgono attività d’impresa, l’effetto sarebbe equivalente a quello di una
tassazione con ritenuta a titolo d’imposta, in quanto i redditi soggetti ad imposta
sostitutiva sono esclusi dalla formazione del reddito d’impresa, ex art. 58, comma 1,
lett. b), del TUIR, e quindi allo stesso regime che si è voluto eliminare con l’art. 3,
comma 113, della L. n. 549/95.
Una soluzione coerente con il sistema sembra essere quindi quella della loro
concorrenza alla formazione del reddito d’impresa, nel rispetto dei criteri di
competenza dettati dall’art. 75 del Tuir, senza applicazione dell’equalizzatore, che,
come detto, viene ora ad integrare l’aliquota e non la base imponibile. In altri termini,
essi concorreranno alla formazione del reddito se ed in quanto la compagnia
garantisca e comunichi un determinato rendimento; in mancanza, il rendimento
concorrerà alla formazione del reddito nel periodo in cui avviene l’erogazione della
prestazione.
22
La citata circolare precisa inoltre che per i contratti stipulati da persone fisiche o da
enti non commerciali, che possono percepire i proventi sia nell’esercizio d’impresa,
sia al di fuori di esso, l’impresa di assicurazione deve acquisire, al momento
dell’erogazione dei proventi, l’attestazione che essi sono percepiti nell’esercizio
dell’impresa; in caso contrario essa dovrà applicare l’imposta sostitutiva (ove
erroneamente applicata sarà considerata d’acconto e scomputata dall’imposta
dovuta sul reddito complessivo).
4.2
Prestazioni in forma di rendita
Diversamente da quanto previsto per le prestazioni in forma di capitale, quelle
erogate in forma di rendita in dipendenza dei contratti a contenuto finanziario non
sono annoverate tra i redditi imponibili, né nella categoria di quelli di capitale - dove
vengono menzionate le rendite “perpetue” (art. 41, comma 1, lett. c) e i rendimenti
finanziari delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale (art. 41, comma 1. lett.
g-quinquies) - né, come in passato, nella categoria dei redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente. A tale ultimo riguardo, considerando la indeducibilità/indetraibilità
dei premi versati dal contraente, sembrerebbe d’altronde contrario al principio di
divieto di doppia tassazione del reddito ascrivere dette rendite fra quelle di cui all’art.
47, comma 1, lett. h), TUIR, che menziona le “rendite vitalizie e le rendite a tempo
determinato, costituite a titolo oneroso, diverse da quelle aventi funzione
previdenziale”, per farle concorrere integralmente alla formazione della base
imponibile dell’imposta personale.
L’assenza di previsioni che consentano di tassare i rendimenti finanziari pro-rata
temporis o come redditi di capitale o come redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente, ha indotto il legislatore ad introdurre, con il decreto correttivo (art. 10,
comma 2), nell’art. 42, comma 4, la presunzione per cui “si considera corrisposto
anche il capitale convertito in rendita a seguito di opzione”. Ne consegue che al
momento della conversione in rendita del capitale maturato, la compagnia deve
applicare il regime impositivo previsto in caso di erogazione della prestazione in
capitale, per cui la conversione riguarderà il capitale assunto al netto dell’imposta di
cui al nuovo art. 26-ter del D.P.R. n. 600/1973 versato dalla impresa assicuratrice. A
seguito di tale tassazione come capitale, la rendita (decurtata – come detto dell’imposta sostitutiva del 12,5%, modificata in base all’equalizzatore) segue il
regime proprio dei contratti di rendita. In particolare, ove le condizioni di polizza non
consentano il riscatto della rendita in corso di erogazione, tali polizze potrebbero
23
essere qualificate come “previdenziali”, e quindi all’eventuale rendimento riferibile
alla rendita in corso di erogazione si potrebbe applicare la disciplina ad esse relativa
e, in particolare, l’imposta sostitutiva di cui alla nuova lett. g-quinquies) dell’art. 41
quale reddito di capitale. Nel caso, seppure teorico, in cui invece la rendita fosse
riscattabile, si ricadrebbe nella tassazione dell’intera rendita come reddito assimilato
a quello di lavoro dipendente, con una evidente doppia tassazione non coerente con
il nuovo sistema.
La specificità e innovatività della disposizione impedisce che il regime da essa
introdotto possa essere applicato alle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in
vigore del decreto correttivo; conseguentemente, fino alla entrata in vigore del
decreto correttivo, le opzioni per la erogazione in rendita del capitale, esercitate dopo
il 1° gennaio 2001 su polizze stipulate prima di tale data, non comporta la tassazione
del capitale poi convertito in rendita, ma l’assoggettamento della rendita erogata al
regime previgente, cioè ad Irpef su un importo corrispondente al 60% della rendita
stessa.
4.3
Tassazione dei rendimenti finanziari impliciti nelle prestazioni caso
morte
Com’è noto, in base al combinato disposto dell’art. 6, comma 2, del TUIR e dell’art.
34, ultimo comma, del DPR n. 601/73, le indennità conseguite, anche in forma
assicurativa, in dipendenza di invalidità permanente o di morte, nonchè i capitali
percepiti in caso di morte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita non
costituiscono reddito soggetto a IRPEF.
La disciplina introdotta del D.Lgs. n. 47 non ha modificato tali disposizioni. Si deve
quindi ritenere che anche i rendimenti compresi nella prestazione erogata restino
esclusi da tassazione a prescindere dalla tipologia del contratto assicurativo.
Alla luce dei recenti chiarimenti ministeriali, in base ai quali il disposto dell’art.34,
ultimo comma, del DPR n.601/73 e l’art.6, comma 2, del TUIR, sono applicabili alle
prestazioni erogate nel caso in cui l’evento che determina l’erogazione è la morte,
indipendentemente dalla detrazione dei premi, si deve ritenere che tale non
imponibilità non ricorra nel caso in cui l’evento morte sia indicato in polizza
unicamente per individuare il momento in cui erogare una prestazione non
dipendente dalla valutazione del rischio demografico (ad es., come nel caso delle
24
polizze di capitalizzazione di cui al ramo V della tabella del D.Lgs. n. 174/95). In tali
ipotesi i rendimenti rivenienti dalla prestazione in capitale costituiscono redditi di
capitale ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. g-quater), del TUIR, da assoggettare ad
imposta sostitutiva del 12,5%, con applicazione del c.d. “equalizzatore”.
5.
Polizze miste
Nel caso in cui i contratti di assicurazione prevedano la copertura di più rischi aventi
regime fiscale differenziato (c.d. “polizze miste”, v. par. ..), l’art.13, comma 2, del
D.Lgs. n.47, stabilisce che, ai fini dell’applicazione degli articoli 10, comma 1, lett. ebis), e 13-bis, comma 1, lett. f), TUIR – riguardanti rispettivamente la deducibilità dei
premi versati per le polizze rientranti nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n.124 e la
detraibilità dei premi versati per le polizze aventi ad oggetto i rischi di morte, invalidità
permanente e non autosufficienza – nella polizza deve essere indicato distintamente
l’importo del premio afferente ai singoli rischi. In tal modo, ciascuna quota del premio
complessivamente versato seguirà il proprio regime fiscale.
Il regime fiscale delle prestazioni erogate in dipendenza di contratti “misti”, dipende
dalla natura dell’evento che ne determina la erogazione. In particolare, se la polizza
“mista” prevede il pagamento di un capitale sia in caso di vita che in caso di morte, il
capitale erogato nel caso vita sarà assoggettato alla disciplina dei capitali prevista
per i contratti di assicurazione c.d. “finanziari”, mentre quello erogato agli eredi
beneficiari in caso morte non sarà soggetto a tassazione in virtù del principio
generale di cui al citato art.34, ultimo comma, DPR n. 601/73; analogamente le
rendite non saranno soggette a tassazione in virtù dell’art. 6, comma 2, TUIR.
6.
Disciplina transitoria - “Trasformazione” di polizze stipulate prima del 1°
gennaio 2001
Il D.Lgs. n. 47 ha dettato un’articolata disciplina in materia di decorrenza del nuovo
regime fiscale dei contratti assicurativi. In particolare, l’art.16, comma 1, ha stabilito
che le disposizioni che individuano il trattamento fiscale dei premi assicurativi,
nonché il nuovo regime di tassazione dei capitali e delle rendite assicurative si
applicano ai contratti stipulati a decorrere dal 1º gennaio 2001, di modo che quelli
stipulati prima mantengono il regime previgente. In parallelo, il comma 2, dell’art.14,
dello stesso decreto ha abrogato la ritenuta alla fonte del 12,5% sui redditi di capitali
25
corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione stipulati a partire dalla
medesima data. Inoltre, l’art. 16, comma 2, ha stabilito che le disposizioni che hanno
introdotto l’imposta sostitutiva sui rendimenti finanziari compresi nei capitali (art. 26ter, comma 1) e nelle rendite in corso di erogazione (art. 26-ter, comma 2) si
applicano a decorrere dal 1° gennaio 2001, senza far nessun riferimento alla data di
stipula del contratto.
Considerando, peraltro, i dubbi che potevano insorgere sotto il profilo civilistico in
ordine alla portata della locuzione “stipulati”, il decreto correttivo ha modificato il
comma 1 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 47, prevedendo che il nuovo regime fiscale si
applica anche ai contratti rinnovati dal 1° gennaio 2001. Con tale disposizione si
viene ad estendere la portata della disposizione, nel senso di comprendere in tale
espressione atecnica tutti i casi in cui il rapporto venga prorogato rispetto alla sua
originaria scadenza, ovvero rispetto a proroghe effettuate prima del 1º gennaio 2001,
quali quelli di tacito rinnovo o proroga espressa (cfr. Circ. ministeriale, Cap. III, Par.
2.4). Non sembra, conseguentemente, possibile discriminare il trattamento in base
alla tipologia della proroga, e cioè in base alla circostanza che essa derivi da un
accordo consensuale, ancorchè tacito, ovvero dell’esercizio di una facoltà
riconosciuta contrattualmente solo al contraente.
Peraltro, il decreto correttivo ha introdotto nell’art. 16 del D.Lgs. n. 47 un nuovo
comma 2-bis, che abroga la ritenuta alla fonte di cui all’art. 6 della legge n. 485
relativamente ai contratti sia stipulati che rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2001.
Nel secondo periodo del medesimo comma il legislatore ha tuttavia precisato che per
tutti i casi di rinnovo, proroga ecc. dei contratti in corso di esecuzione alla detta data,
alle prestazioni erogate riferibili agli importi maturati fino alla data in cui il contratto è
rinnovato (anche se successiva al 31 dicembre 2000) si continua ad applicare la
disposizione dell’art. 6 della L. n. 482/85 ( 5). Ciò impone pertanto di individuare
l’entità della prestazione assicurativa maturata al momento del rinnovo e provvedere,
solo in sede di erogazione della prestazione in capitale, alla determinazione
dell’imponibile, inteso come differenza tra prestazione “teorica” e premi versati,
eventualmente ridotto del 2% per ogni anno di durata successivo al decimo, al fine di
applicare la ritenuta del 12,5%. Si può ritenere che tale riduzione dovrebbe essere
5
Autorevole dottrina ha rilevato come le disposizioni di decorrenza di cui all’art. 16, comma 2, D.Lgs. n.
47 che prevede l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui rendimenti maturati a decorrere dal 1º gennaio
non possa operare per i redditi compresi nei capitali corrisposti sulla base di contratti di assicurazione
sulla vita e di capitalizzazione stipulati prima del 1º gennaio 2001, in quanto un regime di ritenuta alla
fonte è alternativo ad una imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi.
26
riconosciuta, per gli anni successivi al decimo, solo fino alla data di rinnovo della
polizza.
Diverso è il caso in cui, in base alle clausole contrattuali, il termine di scadenza per
l’erogazione delle prestazioni riferibili fino alla data del rinnovo non sia influenzato
dalla circostanza che si proceda al rinnovo stesso, caso in cui la previgente disciplina
dovrà applicarsi (cfr. la Circ. ministeriale, par. 2.4) anche sui rendimenti maturati sui
premi versati anteriormente a tale data, ancorchè successivamente alla data del
rinnovo.
Ciò vale tipicamente per i contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione
diretti a garantire la corresponsione del TFR, dove il termine di scadenza della
erogazione è costituito fin dall’origine dalla data in cui cessa il rapporto di lavoro del
dipendente assicurato, a prescindere dalla rinnovazione o meno del contratto.
Problemi interpretativi possono residuare in ordine al regime applicabile ai contratti di
assicurazione a “premio unico ricorrente” ovvero per le polizze collettive. I primi
danno al contraente la possibilità di versare, oltre al premio iniziale, premi aggiuntivi
o integrativi; ove essi siano versati dopo il 31 dicembre, nell’ambito di un contratto
stipulato entro tale data, si deve ritenere che il versamento dei suddetti premi non
costituisca stipulazione o rinnovazione di un nuovo contratto, ma esecuzione di
quello in corso, con la conseguenza che per tali premi permane l’attuale regime
fiscale di detrazione d’imposta, semprechè di importo non superiore a Lire 2,5 milioni
e la durata residua del rapporto assicurativo non sia inferiore ai cinque anni. Tale
conclusione risulterebbe rafforzata qualora il pagamento dei premi successivi non
comportasse l’emissione di un nuovo documento di polizza.
Per quanto riguarda le polizze collettive, le conclusioni sembrano essere diverse a
seconda della forma che esse possono assumere.
Infatti, nell’ambito delle polizze
collettive possono essere ricondotte sia quelle cd. “in abbonamento”, sia quelle
costituenti il c.d. “contratto quadro”.
Nelle prime, esiste un unico contratto di
assicurazione e le successive adesioni individuali (unilaterali) non costituiscono un
contratto autonomo, fino alla loro scadenza, fermo restando il nuovo limite temporale
del rinnovo. Il “contratto quadro” ha invece solo la funzione di indicare le condizioni
generali dei futuri contratti, cosicché l’ingresso nella polizza di un nuovo assicurato
comporta la stipula di un vero e proprio contratto di assicurazione. Pertanto, in
questo secondo caso, la inserzione di nuovi assicurati equivale a nuova stipulazione,
27
ferma restando l’applicazione della disciplina previgente per coloro che avessero
aderito a tale forma di polizza collettiva prima di tale data.
Quanto agli effetti fiscali derivanti da una “trasformazione” delle polizze già stipulate
alla data del 1° gennaio 2001 – e cioè dalla modifica delle condizioni contrattuali – la
questione si riduce ad esaminare gli effetti civilistici della trasformazione stessa; nella
menzionata Relazione al D.Lgs. n. 47, l’applicazione della nuova disciplina sembra
conseguire ad una “trasformazione” che determini una disciplina negoziale aderente
alla nuova disciplina.
Più in particolare, la Relazione, sub art. 13, in risposta all’osservazione di cui al punto
16 della Relazione della Commissione parlamentare - che, tra l’altro, chiedeva di
chiarire esplicitamente che la nuova disciplina di cui al capo IV, oggetto dell’art. 16, si
applica anche a coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto, abbiano in
corso piani di versamento - ha affermato, con riferimento ai versamenti successivi
alla suddetta data, che “trattasi di materia chiaramente demandata alla sola libera
negoziazione delle parti contrattuali”, soggiungendo, come ulteriore motivo della
inopportunità di una specifica regolamentazione, che “la disciplina prevista per i
nuovi contratti differisce in modo così sostanziale dalla precedente che neppure
parrebbe immaginabile un’ipotesi di mera rinegoziazione del precedente contratto”.
E’ quindi evidente che solo l’esame delle singole fattispecie e quello degli effetti
civilistici (novativi o meno) delle menzionate trasformazioni potrà determinare il
correlativo regime fiscale.
Per i contratti che prevedono l’erogazione di una rendita si deve pervenire alle
medesime conclusioni già raggiunte per i contratti di capitale, e cioè a quelle che il
nuovo regime deve essere applicato sui contratti stipulati o rinnovati a partire dal 1º
gennaio 2001. Va infatti rilevato che mentre l’art. 16 prevede espressamente che le
disposizioni di cui all’art. 13 (che, come noto, detta la nuova disciplina dei contratti di
assicurazione sulla vita) si applicano solo ai contratti stipulati o rinnovati a partire dal
1º gennaio 2001 e che quelle dell’art. 14 (che disciplina la tassazione come reddito di
capitale del rendimenti delle rendite) si applicano ai soli rendimenti maturati dopo la
predetta data, l’art. 19, comma 1, con norma di carattere generale, prevede che il
decreto ha effetto relativamente “....alle rendite erogate a decorrere dal 1º gennaio
2001”, stabilendo apparentemente un regime transitorio diverso. Peraltro la citata
Circolare ministeriale n. 29/2001 ha chiarito che, alla luce del principio di delega
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posto dalla L. n. 133 del 1999 (sub art. 3, comma 6, lett. b), fra quelle sopra indicate,
prevale la norma speciale di cui all’art. 16, con conseguente applicazione del nuovo
regime solo alle rendite erogate per effetto di contratti stipulati o rinnovati a decorrere
dal 1º gennaio 2001.
7.
Imposta sulle assicurazioni
L’art. 13, comma 3, del D.Lgs. n. 47, ha modificato la legge 29 ottobre 1961, n. 1216,
esentando dall’imposta sulle assicurazioni (altrimenti applicata sui premi versati con
l’aliquota del 2,5%), i contratti di assicurazione sulla vita, compresi i contratti di
rendita vitalizia e i contratti di capitalizzazione; ovviamente, tali contratti restano
esclusi anche dalle imposte di bollo e di registro, in ragione della natura sostitutiva
dell’imposta in parola, anche se in regime di esenzione.
Data l’ampia formulazione della norma (che ora costituisce l’art. 11, della Tabella,
Allegato C: “tabella delle assicurazioni e contratti vitalizi esenti da imposta”), che
prevede l’esenzione per le “Assicurazioni sulla vita di qualunque specie ivi compresi i
contratti di rendita vitalizia e i contratti di capitalizzazione” (con abrogazione nella
tariffa All. A, degli artt. 1 e 23) si deve ritenere che essa comprenda tutte le attività
indicate nella lettera A) della Tabella, allegato I, al D.Lgs. 17 marzo 1993, n. 174
(norme attuative della Direttiva CE n. 92/96). In particolare, sono comprese in tale
lettera anche le assicurazioni per malattia a lungo termine non rescindibile, fra le
quali rientrano (cfr. Circ. ANIA n. 164/2000 e Circ. ministeriale cit., par. 3) anche i
contratti di non autosufficienza, di cui al ramo IV della citata tabella.
Restano invece assoggettati all’imposta sulle assicurazioni i premi relativi alle
assicurazioni complementari sugli infortuni, che, anche quando siano stipulate
contestualmente all’assicurazione sulla vita, che rientrano sicuramente nelle
assicurazioni a garanzia di rischio di danni alla persona, di cui all’allegato B della
Tabella annessa al D.Lgs. n. 174/1995.
Con riguardo alla decorrenza delle nuove disposizioni, ai sensi dell’art. 16, comma 1,
del D.Lgs. n. 47, come modificato dallo schema di decreto correttivo, l’esenzione è
applicabile unicamente per i premi riscossi su contratti di assicurazione sulla vita o di
capitalizzazione stipulati o rinnovati, nonchè sui premi di assicurazione versati dai
Fondi pensione gestiti mediante convenzioni assicurative a partire dal 1° gennaio
2001.
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Distinti saluti.
Il Direttore
(Avv. Sergio DUS)
CLP/P/sm/circ82001
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