abstracts relazioni - Biblioteca Vallicelliana
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Convegno: le relazioni Presentiamo le sintesi degli interventi che alcuni relatori ci hanno inviato Carla Abbamondi, La Santissima Trinità dei Pelegrini e dei Convalescenti La Riforma luterana, il Concilio di Trento, la piaga del pauperismo cui si collega il fenomeno del “povero di professione”, il nuovo slancio dato alla Chiesa di Roma agli eventi giubilari e alla frequentazione dei sacramenti: sono questi gli scenari religiosi, economici e sociali che vedono la nascita e lo sviluppo della SS. Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti. La sua esistenza, infatti, rappresenta una delle massime espressioni della sinergia prodotta dal concorso del rinnovato fervore spirituale della Chiesa tridentina con una nuova concezione dell’umana misericordia, che vede nel pellegrino bisognoso, nel povero, nel malato, il fratello in Cristo, anzi, il Cristo stesso sofferente da accogliere e curare. Federico Bellini, La forma della musica: l'Oratorio di Francesco Borromini alla Vallicella L’Oratorio della Vallicella, eretto da Francesco Borromini tra il 1637 e il 1638, non è frutto d’un estroso capriccio, ma deriva dall’attenta lettura dei suoi usi devozionali, in un frangente storico che vedeva la Congregazione confrontarsi, non senza difficoltà, con i modi rappresentativi e relazionali della Roma barocca. L’architettura dell’aula borrominiana, sottile e sofisticata, può essere compresa solo ricapitolando gli esercizî spirituali che nella prima metà del Seicento accompagnavano la preghiera – dalle laude cantate alle severe «discipline» – tenendo anche conto del sensibile evolversi delle forme musicali. La particolarità degli esercizî svolti nell’«oratorio piccolo» e i problemi generati dalla loro difficile gestione avevano portato ad adottare nei primi progetti il tipo ad aula delle confraternite e a segregare l’Oratorio dal resto della Casa, dotandolo di una facciata e di un ingresso autonomi. Paolo Maruscelli aveva invece proposto di riassorbire l’Oratorio nella Vallicella, negandogli una facciata ma con un più elaborato impianto interno che prefigura quello borrominiano. Con il sostegno di una nuova generazione di padri guidata da Virgilio Spada, Borromini riforma le previsioni di Maruscelli, adeguandole all’eloquente espressività dei nuovi tempi. L’Oratorio acquista perciò un prospetto monumentale che tuttavia è posto in asse con i due cortili della Casa, costituendo la facciata cittadina dell’intera residenza vallicelliana. All’interno Borromini allestisce invece due logge trionfali contrapposte, per la musica e per i cardinali, la cui costruzione pochi anni prima era stata rifiutata dai filippini, ostilità poi superata grazie a un intervento dei cardinali Barberini ai quali il ticinese dovette probabilmente anche l’ottenimento dell’incarico. Nella loggia dei musici Borromini costituisce un’autentica “parete sonora”, e con la contrapposizione a quella dei cardinali, falsamente speculare, anticipa uno dei caratteri del teatro d’opera settecentesco: la soluzione era tuttavia anomala per gli spazî ecclesiastici, e non avrà infatti seguito se non forse nelle prime idee per la cappella della Sapienza. Stefano Boero, Reti filippine tra Roma e L’Aquila La vicenda di Filippo Neri si intrecciò con l’attività di alcuni religiosi abruzzesi che, intorno alla metà del Cinquecento, operavano tra Roma e L’Aquila e risentirono del suo carisma con conseguenze che influirono sulle dinamiche oratoriane e sulla futura nascita della Congregazione aquilana. La vicinanza culturale e geografica tra le due città creò le condizioni per una circolazione di personalità, idee e modelli che rafforzò, sul piano religioso, la diffusione di network che oltrepassarono le rispettive realtà politiche e territoriali. La scelta di Filippo Neri di accettare nel 1564 a Roma la cura della chiesa di S. Giovanni de’ Fiorentini – di cui divenne rettore – fu influenzata da un personaggio a lui legato da un rapporto spirituale e di familiare dimestichezza, l’aquilano Bernardino Cirillo, commendatore dell’arciospedale apostolico di S. Spirito in Sassia, nonché maestro di casa di Paolo IV e Pio V. Filippo Neri nutriva poi stima nei confronti di un altro religioso abruzzese che gravitava intorno alla curia romana, Antonio Carli, proveniente da una famiglia influente a livello politico ed economico nel ceto dirigente aquilano. Antonio Carli aderì alla Congregazione romana nel 1582 ma, avvalendosi di una dispensa ottenuta da Gregorio XIII grazie all’interessamento di Filippo Neri, ritenne nel 1586, al di là ogni previsione, di abbandonare la Vallicella per entrare nella congregazione barnabita. Membro dell’Oratorio romano fu un’altra personalità controversa, Giuseppe Prato, esponente di una famiglia di mercanti dell’Aquila, il quale visse alla Vallicella in compagnia di Filippo Neri per un anno, al termine del quale rassegnò nel 1586 le dimissioni. Il Prato fece successivamente svariate istanze per rientrare in Congregazione, più precisamente, nel 1587, nel 1589, nel 1590, nel 1597 e nel 1598, ma gli furono opposti altrettanti pareri negativi. Nel regime di autonomia delle case oratoriane che si stava delineando, personaggi come il Carli e il Prato che, dopo avere convissuto con Filippo Neri, si erano staccati dalla Vallicella, ebbero altresì un ruolo determinante nell’istituzione di nuove realtà esemplificate sul modello della casa madre romana, tra cui la Congregazione dell’Aquila. L’Oratorio aquilano fu istituito nel 1607 per iniziativa del giovane patrizio Baldassarre de Nardis che, dopo essere stato allievo dei gesuiti, ritenne di staccarsi dai padri ignaziani, trascorrere due mesi alla Chiesa Nuova, praticarvi gli esercizi spirituali e – avvalendosi della guida del Carli e del Prato – dare vita alla fondazione filippina aquilana. La Congregazione aquilana acquistò un ruolo di rilevo e contribuì alla diffusione del culto di Filippo Neri, nominato – dopo la sua canonizzazione – protettore del clero dell’Aquila e compatrono della città abruzzese. Nei decenni immediatamente successivi, le pratiche devozionali degli oratoriani aquilani finirono per destare sospetti che si tradussero in inchieste da parte dell’Inquisizione romana, in particolare ai danni del preposito Giambattista Magnante, considerato dai contemporanei come un «S. Filippo Neri vivente». Gennaro Cassiani, Filippo Neri. Ricerche sui paradigmi di un’«anomalia» Filippo Neri fu un “inventore”? Agì in assenza di estremi referenziali di sorta nell’ideare una palestra dello spirito aperta ai laici, quale l’Oratorio, e nel concepire un tertium genus di sacerdote, quale l’Oratoriano: né secolare in cura animarum, né regolare soggetto al vincolo dei voti monastici? Il contributo, prendendo le distanze da soluzioni interpretative palesemente inaffidabili nelle loro propensioni encomiastiche e modernizzanti, prospetta Filippo Neri come un fine ingegnere morale del secondo Cinquecento, all’opera nel pieno fulgore del Classicismo, la tipologia culturale dell’Antico Regime caratterizzata al principio vincolante dell’imitatio degli antichi modelli, mentre la categoria dell’innovazione fuori dalla tradizione di stampo propriamente moderno era ancora ben lungi dal fare la sua apparizione sulla scena culturale europea. La relazione tratteggia il profilo di un Filippo Neri impregnato di contenuti patristici e intento nella traduzione in esperienza viva e coralmente condivisa sulla scena romana della “riscrittura cristiana” (patristica) della pristina forma della vita sapiente di genitura greca. Dermot Fenlon, Donec corrigantur: da Savonarola a san Filippo Neri My concern is to propose a possible context and explanation for certain words and passages underlined by S Filippo on Savonarola's Compendio di Revelazioni of 1497 and his sermons preached in defence of his return to the pulpit in that year, despite Papal prohibition. My suggestion is that the context of these marked passages belongs to the deliberations of 1558 concerning the proposed relegation of Savonarola's works to the Index of Prohibited Books. Filippo, without either endorsing or condemning, seems to note that Savonarola's 'profezia' of a 'Renovatio Romae' in his Compendio, is explained in his sermons of 1497 within an orthodox framework of prophetic illumination, and not within a context of Illuminism. Daniele V. Filippi, Meditar cantando: Agostino Manni, la Rappresentatione di Anima & di Corpo e la spiritualità filippina È o non è la prima opera lirica della storia? O non si tratta piuttosto di un oratorio ante litteram? Queste sono le domande che i musicologi si sono posti, più e più volte, di fronte alla Rappresentatione di Anima & di Corpo, musicata da Emilio de’ Cavalieri su testo del padre Agostino Manni ed eseguita alla Vallicella durante il Giubileo del 1600. In realtà tali domande sono fuorvianti. Se studiamo la Rappresentatione non solo e non tanto sullo sfondo dei più avanzati esperimenti drammaturgici coevi, quanto su quello della tradizione poetica, musicale e pastorale sviluppata dall’Oratorio filippino nei primi decenni, ne cogliamo la vera essenza: quella di un itinerario di meditazione in musica, o, meglio ancora, di un esercizio spirituale multimediale all’insegna del miscere utile dulci. Yoko Iwaya Nao, La prospettiva architettonica dei cortili borrominiani alla Vallicella Nella prima metà del Seicento la Congregazione dei Preti dell'Oratorio dà l'avvio, nel rione Parione, ai lavori di realizzazione della grande Fabbrica della Vallicella, la Casa degli Oratoriani, una sorta di "Città ideale" nel cuore della città di Roma. Con l'arrivo di Borromini alla guida di questa Fabbrica, gli Oratoriani chiedono al responsabile del progetto il rispetto di un'idea fondamentale sempre sostenuta dal loro fondatore, Filippo Neri: il "parlare con tutti" e "fra tutti". Ebbene, l'"Opus architectonicum" - opera pubblicata a Roma nel 1725 - pur rappresentando la visione architettonica di Borromini, recepisce e fa sua quell'"idea" fondamentale patrocinata dagli Oratoriani. Come è ben descritto nell'"Opus" borrominiano, i tre cortili della Fabbrica costituiscono le basi fondamentali della sistemazione architettonica e funzionale della Vallicellla. Il primo cortile, per la sua vicinanza all'ingresso principale dell'Oratorio filippino, si pone immediatamente in rapporto con l'esterno. Il suo simbolismo e la sua funzione sono chiarissimi: deve accogliere i "forestieri", i secolari. Il secondo cortile, ben separato dall'esterno, costituisce il giardino interno, il luogo di privato ristoro dei Padri oratoriani. Nell'"Opus" si tratta frequentemente della visione dei cortili vallicelliani, non soltanto con riferimento alla loro funzione, ma anche all'effetto visivo e psicologico del loro "spazio aperto". Dal punto di vista della prospettiva, da un confronto di due tavole dell'"Opus" riguardanti i cortili, risulta evidente come gli intervalli degli archi delle logge siano tracciati più larghi rispetto alla realtà, alla loro effettiva realizzazione. Di conseguenza i cortili appaiono più spaziosi e più luminosi. In particolare Borromini nel primo cortile, al fine di determinare un forte e totale godimento visivo nei visitatori, ha immaginato e realizzato un vero e proprio "effetto scenografico". Ha scritto Paolo Portoghesi nella sua "Roma barocca": "L'adozione nei due cortili dell'ordine gigante indica l'interesse di Borromini per un partito monumentale dal quale riesce a trarre effetti inediti". E infatti questa scelta monumentale borrominiana la si coglie benissimo proprio nei due cortili a doppio ordine di arcate, con paraste giganti a capitello composito che si incurvano agli angoli. La monumentalità del secondo cortile, quello interno e privato (detto degli Aranci), è data proprio dalla presenza di paraste giganti ben visibili sulla superficie, osservata da sud. In una incisione del 1658 raffigurante il secondo cortile appare eliminato l'ultimo grado della Casa oratoriana: per ovviare alla mancanza di altezza, le paraste appaiono allungate, rese più alte. Se attorno al primo cortile, più piccolo del secondo, si dispongono su due piani i locali pubblici (in primo luogo la Sala delle rappresentazioni e la Biblioteca), intorno al secondo vi sono gli ambienti destinati ai Padri oratoriani. Il terzo cortile, meno monumentale rispetto agli altri due, è situato a ridosso dell'abside della Chiesa Nuova e accanto al Refettorio dei Filippini. Paola Lolli, Filippo Neri era aristotelico? Divagazioni filosofiche intorno a un ritrovato aristotelismo e un oppugnabile neoplatonismo del santo Centro ideale e logico, ma anche “geografico”, della Biblioteca Vallicelliana è la Libreria o Libraria di s. Filippo, termine con il quale viene indicata l’antica scansia lignea commissionata nel 1662 dal padre Cesare Mazzei della Congregazione dell’Oratorio allo scopo di raccogliere in un’unità fisica i volumi appartenuti a Filippo Neri. Documento imprescindibile per la ricostruzione del contenuto dell’armadio è il manoscritto vallicelliano O23II, datato 1745: I. Index numerarius librorum s. Philippi Nerii qui nunc clausi seruantur in hac nostra Bibliotheca Vallicelliana sub Litera S che, alle c. 4-22 dell’Index primus, elenca i testi custoditi negli scaffali. Il presente contributo rispecchia le scelte operate nell'allestimento della relativa sezione della mostra celebrativa del V centenario della nascita del santo e riservata ai testi conservati in Vallicelliana e appartenuti a Filippo. L’obiettivo è illustrare la consistenza rilevante, in termini qualitativi e quantitativi, nella Libraria di libri di carattere filosofico. In particolare si è evidenziata la preponderanza di opere di Aristotele, di ispirazione aristotelica o dei suoi commentatori, senza comunque tralasciare la documentazione anche di altri testi di carattere speculativo, afferenti a logica, dialettica e teologia. Da un’analisi del posseduto si potrebbe considerare con toni decisamente più sfumati la prevalente originaria interpretazione platonica, o neoplatonica, della figura di Filippo Neri e ipotizzare invece una sottile affinità tra l’impostazione del fondatore della Congregazione dell’Oratorio e della Biblioteca Vallicelliana e Aristotele. Marta Mancini, La biblioteca di p. Antonio Gallonio: i codici antichi Dalle notizie tramandate sulla biblioteca di Antonio Gallonio e da quanto ne sopravvive in Vallicelliana, è indubbio che all’Oratoriano appartenne anche un fondo manoscritto, piuttosto eterogeneo, che il padre assemblò durante al sua vita entro corposi volumi miscellanei. All’interno del fondo superstite sono stati individuati alcuni manoscritti antichi, databili non oltre il secolo XV: codici a sé stanti, libretti liturgici, carte sciolte rilegate nei tomi miscellanei. Il materiale, di particolare interesse paleografico e codicologico, è stato sottoposto a un’indagine analitica che ne ha messo in luce le peculiarità e ne ha permesso di ricostruirne in parte le vicende storiche. Arianna Petraccia, Gli affreschi di Palazzo Farinosi Branconio e del Casino Branconio a L’Aquila, ovvero dell’importanza dell’Oratorio nerino per l’arte e l’erudizione antiquaria in una diocesi del Viceregno nel Seicento Grazie a studi recenti ed ancora in corso si va progressivamente scoprendo quanto l’erudizione antiquaria e la relativa ricerca archeologica fossero un tratto dominante del panorama culturale dell’Aquila fin dagli inizi del Cinquecento tramite personaggi quali Mariangelo Accursio, Salvatore Massonio e Pierleone Casella. Un tratto che, dopo il forzato infeudamento, nella seconda metà del Cinquecento pare venarsi di opportunismo politico diretto a riaffermare la nobiltà, antichità ed autonomia cittadina da un mal tollerato governo spagnolo. La ricerca, partendo da una prima ricostruzione delle personalità dell’Accursio e di Casella e dalla situazione socioculturale della città, intende evidenziare attraverso l’analisi iconografica, stilistica e della committenza degli affreschi dei due edifici Branconio - databili al secondo decennio del Seicento e dalla complessa ricostruzione attributiva che verte comunque su nodi romani contemporanei, uno su tutti la derivazione compositiva dal ciclo romano di San Cesareo de Appia ascrivibile a Rossetti, Cesari, Lilio e Fenzone- come l’avvento dell’esperienza oratoriana in una diocesi Viceregnale di nomina regia quale fu L’Aquila, sia stato decisivo per un duplice motivo: dare notorietà e autonomia disciplinare all’erudizione antiquaria ed archeologica che animava la città e saldarne definitivamente le sorti culturali ed artistiche seicentesche alla Roma Lincea e Barberiniana, a partire dai rapporti del committente, il colto abate Girolamo Branconio, con la famiglia Crescenzi e di un suo sodale, Giovambattista de Legistis con i più noti Lincei Cesi e Cesarini. È attraverso quest’ultimo personaggio e il suo epistolario Delle lettere familiari (1626, poco nota ed in corso di studio e pubblicazione da parte di chi scrive), le cui sorti si intrecciano con l’entourage aristocratico oratoriano della città che la sottile venatura di rivendica politica di autonomia dell’erudizione antiquaria pare scemare definitivamente attraverso gli intensificati rapporti con la Roma accademica protobarocca dal pontificato di Leone XI a quello barberiniano; non è secondario come si avverta palpabile l’influsso di Virginio Cesarini stesso, dedicatario e finanziatore dell’operetta e già Accademico Linceo dal 1616, nella selezione del materiale epistolare pubblicato, dove alcuni nuclei sembrano veri e propri proclami delle nuove linee lincee in materia umanistica venute a maturazione dopo gli scambi tra il fondatore Federico Cesi ed il più giovane cugino Virginio. Fu dunque grazie all’ingresso dell’Oratorio Filippino in città che L’Aquila riuscì a partecipare da protagonista a quest’intensa fase culturale romana. Nasce così l'esigenza di delineare con certezza il vissuto di letterati e personaggi dai ruoli non secondari nell'età del rinnovato mecenatismo papale (da Leone XI a Urbano VIII) e delle novità galileiane in cui arte, fede, scienza e letteratura furono strette come non mai in un unico crogiolo di idee. Il caso del De Legistis, attivo tra Roma, Napoli e L'Aquila e dalla penna arguta e protobarocca, con la sua ricchezza di rapporti e di dati permette di misurare gli spazi intellettuali tradizionalmente ritenuti esigui dei numerosi funzionari curiali che vivevano all'ombra del vicariato e dei cardinali nel primo trentennio del Seicento, risultando l’insieme delle singole figure la ricostruzione animata della cultura scientifica della Roma papale da Clemente VIII a Urbano VIII, polo della controffensiva cattolica e dalla forte attrattiva esercitata su tutta l'Europa. Anne Piéjus, Il savonarolismo di san Filippo Neri attraverso poesie e canti Capire la natura e la profondità della fiorentinità di Filippo Neri è fondamentale per chi studia le devozioni romane e la poesia cantata. In effetti, le prime laude cantate nell’ambiente filippino sono tratte dalla tradizione fiorentina e, in particolare, dal repertorio savonaroliano. Ciò merita di essere studiato nel contesto delle relazioni tra gli ambienti filippini e i foyers del tardo savonarolismo sopravvissuti in Toscana. Grazie a figure di grande rilievo musicale e spirituale come Giovanni Animuccia, si può comprendere meglio la diffusione e la « romanizzazione » del savonarolismo. Gabriella Romani, Filippo Neri e Cristoforo Castelletti: un sonetto inedito e altre tracce Cristoforo Castelletti era una figura molto inserita nella vita culturale della Roma del tardo '500: notaio, autore di fortunati testi teatrali, era divenuto Segretario della Sacra Consulta, di fatto il vertice dell'amministrazione della giustizia pontificia. Ampia diffusione ebbero le sue opere: le commedie I Torti amorosi (Venezia, 1581), Il Furbo (Venezia, 1584), Le stravaganze d'amore (Venezia, 1587), i cui intermezzi furono musicati da Luca Marenzio, nonché le tre diverse redazioni della sua favola pastorale Amarilli, pubblicate nel 1580, 1582, 1587. Divenuto sacerdote verso la fine della sua non lunga vita (morì nel 1596, etatis annor. supra quadraginta) esattamente un anno dopo s. Filippo, fu accolto addirittura in sepulchro nostrae Congregationis, circostanza conosciuta poiché desunta dal Liber mortuorum di S. Maria in Vallicella, ma non ben decifrabile se non interpretata alla luce dei documenti manoscritti e d'archivio reperiti più di recente. Da una Raccolta di rime spirituali e pie identificate alcuni anni fa, come opera di Cristoforo Castelletti, conservate in due manoscritti vallicelliani, si evidenzia il sonetto dedicato Al P. Filippo Neri: Qualhor contemplo o venerabil veglio. Questo sonetto è inserito, insieme con altro materiale significativo, solo nel manoscritto che contiene la versione definitiva di queste Lagrime d'un peccator convertito da dare alle stampe, progetto non realizzato forse per la morte prematura del Castelletti. In questo intervento si rileva anche una fitta rete di riscontri documentali storici e biografici che legano Castelletti a personaggi dell'ambito di Filippo Neri e dell'Oratorio. Alcuni mecenati e protettori del Castelletti testimoniarono al processo per s. Filippo Neri e questo riguarda famiglie importanti dell'epoca come i Ruiz e i Della Molara. Nuovi documenti reperiti, ossia protocolli notarili relativi a un decennio di attività svolta da Castelletti come notaio, si riferiscono soprattutto al noto e ricco mecenate Girolamo Ruiz, conservatore capitolino. La figura di Castelletti era stata al centro di un vivace dibattito critico negli anni '70 del secolo passato, in quanto la paternità della commedia Gli Intrichi d'amore, attribuita da sempre, sia pure con qualche riserva, a Torquato Tasso, fu ascritta proprio a Cristoforo Castelletti, sulla base di alcuni riscontri linguistici e tematici. Maria Cristina Rossi, L’abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia e i suoi rapporti con San Filippo Neri e la Congregazione dell’Oratorio di Roma L’abbazia abruzzese di San Giovanni in Venere si erge su un promontorio, in località Fossacesia, nell’attuale provincia di Chieti. Le prime attestazione documentarie risalgono al IX secolo, quando la chiesa dedicata alla Vergine e a San Giovanni Battista compare tra i possedimenti dell’abbazia di Farfa. Soltanto nel secolo XI sarà menzionata come monasterium nei documenti di Montecassino. La fondazione del monastero infatti risale all’inizio del Mille, quando i conti di Chieti, Trasmondo I e Trasmondo II, restaurarono la chiesa esistente e la dotarono di un monastero, affidando quest’ultimo ai monaci cassinesi. Il legame con San Filippo Neri s’instaurò nel XVI secolo su iniziativa di papa Sisto V, che concesse in enfiteusi l’abbazia e le sue proprietà alla Congregazione dell’Oratorio. Da qual momento l’archivio di San Giovanni fu trasferito a Roma presso la sede dei Filippini, dove ancora oggi si trova. I rapporti tra l’abbazia abruzzese e l’Ordine romano si consolidarono a partire dal Seicento. I documenti d’archivio, infatti, registrano un’intensa attività di controllo dei beni dell’abbazia e soprattutto un’importante attenzione alla conservazione dell’edificio, attestata da numerose corrispondenze epistolari contenenti relazioni di restauro e provvedimenti di manutenzione. A tal proposito saranno presentati alcuni disegni seicenteschi e settecenteschi eseguiti dai padri della Congregazione, volti a rappresentare lo status della chiesa. Si tratta di un corpus di illustrazioni particolarmente importanti per lo studio dell’edificio e delle opere in esso contenute. Roberto Rusconi, Al tempo di Filippo Neri, prete e santo Al tempo … Il fiorentino Filippo Romolo Neri trascorse a Roma sei decenni della propria esistenza. In quel periodo rimarchevoli mutamenti investirono la società dell’Urbe e il vertice della Chiesa cattolica. Egli vi si rapportò in diversi modi, alquanto più complessi di qualsiasi vulgata agiobiografica. Prete A un certo punto della propria vita Filippo Neri venne consacrato sacerdote. Per un laico devoto costituiva un esito non ovvio ma nemmeno inconsueto. Si trattò di una scelta che aveva ragioni ben precise e che comportò conseguenze assai rilevanti. Santo Il riconoscimento ufficiale della sua santità è stato in grado di avere ragione di una stagione di contrasti all’interno della curia romana. La rapidità, con cui si raccolsero le testimonianze dei contemporanei, è particolarmente istruttiva: nondimeno, esse non vanno del tutto nella direzione della Vita edita a stampa dall’oratoriano Antonio Gallonio e ancor meno dell’inedito testo di p. Antonio Talpa. Anche Filippo Neri fu dunque un uomo del suo tempo – in tempi non facili: al punto da ordinare di bruciare dopo la morte il proprio archivio personale. Alice Semboloni, Il cenacolo filippino e gli interessi antiquari nella Roma del Cinque e Seicento Nella Roma della seconda metà del Cinquecento, eruditi e antiquari del cosiddetto “cenacolo filippino”, appassionati studiosi delle origini della Chiesa e ricercatori delle testimonianze paleocristiane, svolgono un ruolo fondamentale nella nascita dell’antiquaria sacra. Grazie, in particolare al suddetto “cenacolo”, le antichità cristiane diventano l’oggetto principale della ricerca antiquaria, dopo un secolo di indagini orientate quasi esclusivamente verso le antichità pagane. Alcuni componenti del circolo di San Filippo non solo daranno vita a importanti contributi per lo studio delle antichità paleocristiane, ma svilupparono anche una vera e propria scienza o disciplina antiquaria, sia attraverso l’attività di ricognizione, descrizione e documentazione grafica dei reperti (compresi materiali iconografici ed epigrafici), sia per mezzo di produzioni storiografiche. La raccolta e lo studio di questi reperti determineranno la nascita a Roma di importanti collezioni di reliquie e di arte sacra, alimentate e curate soprattutto da personaggi vicini al circolo culturale filippino. E proprio alla passione ed erudizione di questi storici e antiquari, va fatta risalire l’ampia collezione di cinquecentine e seicentine di contenuto antiquario presente nel fondo antico della Vallicelliana: libri non solo importanti per la testimonianza degli interessi dei loro possessori, ma anche per il loro valore di documento librario, essendo spesso testi rari e di preziosa fattura. Elisabetta Tortelli, Sulla formazione di Filippo Neri a Firenze Il presente contributo si sofferma sugli anni trascorsi da San Filippo nella sua patria natale, Firenze. Ripercorrendo le tappe della sua vita familiare e della sua giovinezza, viene condotta un’analisi sulla sua formazione, sugli studi e sui contatti che il santo ebbe in una Firenze ancora intrisa di cultura umanistica e quanto quest’ultima ebbe profonda influenza sul suo credo pedagogico. Jetze Touber, Antonio Gallonio e Filippo Neri: un rapporto tra affezione ed ascesi L’Oratorio di Roma, iniziativa pastorale di Filippo Neri, era caratterizzato da tendenze apparentemente contraddittorie. Da una parte era un movimento espressamente aperto a tutti, a prescindere da nascita, prosperità o formazione. Si distinse nel panorama clericale di Roma per una mancanza di regolarizzazione istituzionale e dottrinale. Dall’altra parte, il prete fiorentino attirava chierici di talento e di determinazione, che non potevano fare a meno di snellire le attività e di adoperarsi per dare all’istituto un’impostazione più duratura. Il rapporto tra Filippo Neri e Antonio Gallonio, ‘vero figliolo del beato padre’, come lo definì Francesco Zazzara, in un certo senso incarna la tensione interna che risultava da queste tendenze contrarie. Oscillando tra disciplinamento e indulgenza, il loro rapporto era tutt’altro che univoco. In questo intervento si esamina se il ruolo di Gallonio all’interno del movimento filippino può considerarsi coerente e se ci fa comprendere meglio l’Oratorio come esperimento religioso.
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