A. DEGASPERI, La terra d`Otranto in eta normanna. Aspetti

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A. DEGASPERI, La terra d`Otranto in eta normanna. Aspetti
LA TERRA D’OTRANTO IN ETÀ NORMANNA
ASPETTI DELLA CIRCOLAZIONE
MONETARIA TRA ROBERTO
IL GUISCARDO E RUGGERO II
di
ANGELICA DEGASPERI
Negli ultimi decenni, il problema dell’economia monetaria dell’Italia meridionale in età normanna ha richiamato
l’attenzione di numismatici, storici ed archeologi i cui studi, mirati da un lato alla restituzione di un panorama dettagliato delle emissioni delle varie zecche attive nel Meridione, dall’altro a quella di un quadro d’insieme della monetazione normanna e della circolazione del metallo monetato,
hanno gettato nuova luce sulla storia e sull’economia del
Regno di Sicilia, suscitando contemporaneamente molti
interrogativi ed incentivando una ricerca analitica sulle fonti
archeologiche (per la bibliografia si rinvia all’esemplare
lavoro pubblicato di recente da Ph. Grierson e L. Travaini;
TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 80).
L’individuazione di vere e proprie “aree monetarie” che,
avendo tratto origine dal quadro politico precedente l’arrivo
dei Normanni, dovettero configurarsi secondo modalità e con
caratteristiche diverse nelle varie parti del Meridione – esposto a molteplici sollecitazioni culturali – ha spinto a focalizzare l’interesse della ricerca svolta in questa sede sul Salento, la regione più orientale del Regno che per secoli era stata
tenuta saldamente sotto il controllo di Bisanzio. La posizione geografica del territorio indagato – che comprende la regione salentina dall’estremità meridionale fino al confine occidentale delle contee normanne di Oria e di Ostuni (POSO
1988, fig. 1) parzialmente identificabile nel percorso del cd.
“Limitone dei Greci” (STRANIERI 2000, pp. 333 ss., in particolare fig. 11) (Fig. 1) – concorse a conferire alla Terra
d’Otranto un ruolo di grande rilevanza nei contatti intercorrenti tra Oriente e Occidente, ed i suoi due importanti porti
affacciati sul mare Adriatico, Brindisi ed Otranto, dovettero
far sì che essa assurgesse a vera e propria testa di ponte per i
movimenti militari e commerciali e per i flussi dei pellegrini.
Pertanto, coniugando fonti eterogenee – materiali e documentarie – si è tentato di definire il carattere ed i tratti distintivi della circolazione monetaria nel periodo che intercorre
tra il 1059, quando Roberto il Guiscardo fu insignito del titolo di Duca di Puglia, e la fine del regno di Ruggero II (1154);
richiamando l’attenzione sulle problematiche interpretative
dei dati, determinate essenzialmente dal volume piuttosto circoscritto di reperti e dalle modalità di reperimento degli stessi – spesso privi di contesto stratigrafico – si sono volute
porre le basi per future ricerche che potranno scaturire dall’acquisizione di nuovi materiali di scavo.
I cambiamenti politici ed economici che ebbero luogo
con l’affermazione del dominio normanno nel Salento –
occorsa subito dopo la metà del secolo XI (CHALANDON 1999
(1907), pp. 169-170; POSO 1988, pp. 44-45, 52; MARTIN
1993, pp. 715 ss.) – non tardarono a ripercuotersi sulla circolazione monetaria della regione, che fino ad allora aveva
gravitato nella sfera politica di Bisanzio, e segnarono l’inizio di un nuovo capitolo della storia economica pugliese.
Dopo il travagliato periodo delle guerre greco-gotiche e
l’assorbimento di quasi tutta la Terra d’Otranto nel ducato
longobardo di Benevento, sin dalle prime azioni belliche avviate da Teofilo (829-842) per riaffermare il dominio di Bisanzio in Italia meridionale, la moneta imperiale, fornita direttamente dalla zecca della capitale, aveva ricominciato a circolare nel Salento, lasciando presagire l’intento politico di Costantinopoli in quella provincia che, nel corso del X secolo, sarebbe stata assorbita nel Catepanato d’Italia (VON FALKENHAUSEN
1978, pp. 24 ss.; BURGARELLA 1983, pp. 129 ss.; GUILLOU, BURGARELLA 1988, pp. ss.). Nel lasso di tempo che intercorre tra
la cosiddetta “riconquista bizantina” del IX secolo e la comparsa dei primi cavalieri normanni nella penisola salentina
attorno alla metà dell’XI, la moneta costantinopolitana, che
raggiungeva il Salento assieme a massicci quantitativi di prodotti originari dalla Grecia e dal Mar di Marmara (PATTERSON,
WHITEHOUSE 1992, pp. 182 ss; ARTHUR 1997, p. 198), si era
progressivamente infiltrata nell’economia urbana e rurale
della regione, assumendo il ruolo di unica ed indiscussa valuta circolante sui mercati della Terra d’Otranto. L’impulso
alla ripresa economica che la stabilità politica raggiunta da
Bisanzio tra la fine del IX ed il X secolo dovette dare alle
province poste sotto la sua giurisdizione, fece sì che, al loro
arrivo in Puglia, i Normanni trovassero una popolazione ricca ed un’economia in pieno sviluppo, caratterizzata da un
artigianato cittadino diversificato e fiorente (GUILLOU 1980,
p. 34).
Benché il Guiscardo agli inizi degli anni sessanta dell’XI
secolo riuscisse ad impossessarsi temporaneamente di Brindisi e di Otranto, le fonti materiali (Tab. 1) consentono di cogliere come il monopolio del follis bizantino nelle transazioni quotidiane della penisola salentina, si mantenesse pressoché inalterato per tutto il primo decennio che seguì il conferimento a
Roberto del titolo di duca di Puglia (1059). Il massiccio afflusso di moneta di rame messa in circolazione da Costantino IX
(1059-1067) e da Romano IV (1068-1071) rallentò soltanto
agli inizi degli anni settanta del secolo XI, e la decisa flessione
che si avverte sin dall’epoca di Michele VII (1071-1078), quando l’impero di Bisanzio iniziò ad accusare pesantemente i frequenti attacchi dei Selgiuchidi – che concorsero in maniera
determinante a mettere in moto il processo di sgretolamento
dell’impero (OSTROGORSKY 1993, pp. 313 ss.) – coincide cronologicamente, ed evidentemente non a caso, con la conquista
da parte del Guiscardo della capitale del Catepanato, Bari, e
con l’occupazione di Brindisi (1071) (CHALANDON 1999 (1907),
p. 220). I reperti monetali forniscono dunque un indizio inconfutabile di come i successi militari conseguiti dal Guiscardo
nel Salento si ripercuotessero immediatamente sulla possibilità di approvvigionamento di moneta di nuovo conio da Bisanzio.
Il grafico 1, che illustra la distribuzione cronologica ed
il rapporto quantitativo tra le presenze monetali bizantine,
normanne e straniere in Terra d’Otranto, rende esplicito
come dai decenni finali dell’XI secolo fino alla fine degli
anni trenta di quello successivo, al ridottissimo afflusso di
metallo monetato dalla capitale d’Oriente non facesse seguito, se non sporadicamente ed in numero estremamente
esiguo, l’immissione sul mercato salentino di valute di altra provenienza che potessero ovviare alla lacuna lasciata
dalla moneta bizantina. Questa, infatti, al tempo di
Giovanni II (1118-1143) e di Manuele I (1143-1180), raggiungeva le coste salentine in maniera del tutto discontinua
e senza inoltrarsi oltre le città portuali come Otranto e le
località costiere come S. Foca (TRAVAGLINI 1992, p. 261 nrr.
213-214; SICILIANO 1980, pp. 98-99, nr. 48).
Benché ciò possa essere dovuto ad una carenza di ricerche
archeologiche o semplicemente a fattori di casualità, ad oggi
manca nel Salento qualsivoglia elemento che documenti l’utilizzo di valuta uscita dalle zecche normanne dell’Italia meridionale prima della presa di Bari da parte di Ruggero II. Ampliando l’orizzonte della ricerca, si può osservare come anche
nelle altre regioni del versante peninsulare del Regno di Sicilia, il numero di monete normanne battute nel periodo che intercorre tra il ducato del Guiscardo e l’assunzione del titolo di
duca di Puglia da parte di Ruggero II (1127), provenienti da
contesti stratigrafici, sia estremamente ridotto. I pochi follari
rinvenuti negli scavi condotti a Salerno ed a Capaccio Vecchia
(PEDUTO 1991, pp. 33 ss.; LIBERO MANGIERI 1993, p. 121;
TRAVAINI 1984, p. 365 nrr. 27-28; TRAVAINI, GRIERSON 1998,
p. 421, nrr. 75-76, p. 430, S42b, p. 426, S9) denunciano come
l’uso delle monete di rame salernitane fosse sostanzialmente
circoscritto entro i confini dell’antico principato; sebbene il
loro utilizzo sia talora documentato in Basilicata (SALVATO-
141
RE 1991, p. 264) e nella Puglia settentrionale (TRAVAINI 1995,
p. 381; SCHEERS 1997, pp. 306, 367; PROTA 1934, p. 22; TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 428, S25), la loro circolazione doveva essere prettamente locale. Diversamente, per gli scambi
quotidiani calabresi della fine dell’XI secolo e dei decenni iniziali di quello successivo potevano essere utilizzate, anche se
in quantità minime, le emissioni locali della zecca di Mileto e
quelle siciliane (BARELLO 1994, p. 366; TRAVAINI, GRIERSON
1998, p. 430, S47). Ancora più esigue paiono essere le attestazioni monetali dell’epoca del Ducato di Ruggero II (1127-1130)
e degli anni di regno che precedettero l’apertura della zecca
barese (1130-1139). Fatta eccezione per la Calabria, che continuò a gravitare nella sfera monetaria siciliana (GUZZETTA 1986,
pp. 263, 267; BARELLO 1994, p. 366; cit. anche in TRAVAINI,
GRIERSON 1998, pp. 426, 429, 430 nrr. S16, S40, S47), nel resto dell’Italia meridionale peninsulare le ricerche archeologiche non hanno restituito moneta enea normanna.
Se la mancanza di circolante normanno spicciolo nel
Salento può essere riconducibile all’assenza di una zecca
locale che provvedesse al fabbisogno di metallo monetato,
essa riflette probabilmente il momento di instabilità politica che, con l’istituzione della struttura feudale, del tutto
estranea in Italia meridionale, dovette in qualche modo porre
un freno allo sviluppo economico vissuto dalla regione in
età bizantina; ciò nonostante, i materiali ceramici di produzione locale e d’importazione dalla Sicilia e dall’Impero
d’Oriente nei contesti di scavo di fine XI-XII secolo messi
in luce a Brindisi, Otranto, Presicce, Quattro Macine e
Supersano (PATITUCCI UGGERI 1976, p. 15 fig. 16; PATTERSON,
WHITEHOUSE 1992, pp. 129-135, 137 ss., 166 ss.; PATTERSON
1993, pp. 104 ss.; ARTHUR 1998, p. 167), inducono a pensare
che i commerci ad ampio raggio non si interrompessero del
tutto in seguito alla nuova situazione politica e che il Salento continuasse a svolgere un ruolo centrale negli scambi tra
Oriente ed Occidente.
Il quadro estremamente frammentario che si ricava dallo studio dei reperti può forse essere integrato con l’analisi
delle menzioni monetali che ricorrono nella documentazione scritta salentina della seconda metà dell’XI e della prima metà del secolo successivo (CDBr. 1; UGHELLI 1717;
GUERRIERI 1901; PEPE 1888; SGM; SGE; Ostuni; SNC).
Tuttavia, l’esiguità delle fonti della Puglia meridionale del
periodo (in quantità infinitamente minore rispetto a quelle
della Puglia settentrionale) ed il tipo di transazioni da esse
contemplate, cioè il passaggio di beni di elevato valore il
cui prezzo è espresso generalmente in moneta aurea – del
tutto assente nelle fonti materiali salentine di epoca normanna – condizionano oltremodo l’interpretazione che può
derivare dal loro esame.
Tenendo dunque conto dei limiti interpretativi che l’analisi delle 15 menzioni monetali contenute in 13 documenti
(atti di compravendita, donazioni, testamenti, etc.) impone,
si può comunque osservare come dal 1059 al 1138, la consuetudine di esprimere in moneta costantinopolitana i prezzi pattuiti dai contraenti dei vari atti, andasse progressivamente aumentando fino a raggiungere la maggiore concentrazione nel quinquennio 1129-1133 (Grafico 2). Di particolare interesse risulta però il richiamo a solidi aurei di vecchio conio, talora definiti «bonos et sonantes, et pesantes»,
che consente di intravvedere come potessero essere utilizzate monete costantinopolitane più antiche. È questo il caso
dei solidi michaelati di Michele VII (1071-1078) che ricorrono ripetutatmente nei documenti fino al 1149 (OSTUNI, p.
14, nr. V, 121 III; SGM, pp. 514-15, nr. III) e dei centum
scifatos auri optimi dell’imperatore Basilio II (976-1025)
menzionati ancora molto più tardi in una concessione vescovile stilata a Nardò nel 1195 (UGHELLI 1717, p. 298).
Al contrario di quanto si può evincere dalle numerose
menzioni ricorrenti nella documentazione scritta della Capitanata e della Terra di Bari, i tarì – fossero essi salernitani,
amalfitani o siciliani – sembrano essere pressoché sconosciuti
al cartolario salentino. Soltanto in un caso il richiamo ad un
pagamento espresso in auri unciam, in un documento del 1134
(SGE, pp. 4 ss., nr. II), potrebbe denunciare il legame con la
sfera d’influenza dei tarì siciliani che faranno la loro comparsa nei documenti salentini nel corso degli anni sessanta
del XII secolo (SGM, p. 517, nr. II). I contatti commerciali
intercorrenti tra la Campania e la Puglia, documentati peraltro dai tarì rinvenuti a Satriano (KENT 1970, p. 212) ed a
Ordona (GURNET 1967, pp. 155-171; TRAVAINI 1995, p. 368),
non sembrano pertanto avere coinvolto la parte meridionale
della regione pugliese.
In assenza di circolante spicciolo normanno, si può dunque pensare ad una circolazione prolungata della vecchia moneta bizantina? Un indizio in tal senso può forse essere riconosciuto nell’alto grado di consunzione dei folles rinvenuti nel
Salento, e benché si possa talvolta supporre che essi siano residuali, non va sottovalutato il fatto che molti di quelli del XXI secolo messi in luce ad Otranto (TRAVAGLINI 1992, pp. 266267) ed a Valesio (BOERSMA 1995, pp. 323-325) provengono
da contesti bassomedievali. Possono inoltre contribuire a suffragare tale ipotesi alcune monete recuperate in Calabria: negli scavi di Tropea, uno dei due follari siciliani di Ruggero II
(1112-1127) fu rinvenuto in associazione con un follis anonimo dell’XI secolo (BARELLO 1994, pp. 365-366). Che la moneta bizantina in Italia meridionale avesse avuto una circolazione secolare è infine confermato dall’associazione di un follis
di Romano I (920-944) con uno di Alessio I (1081-1118), nonché da quella di due folles di Romano I con un follaro del
Guiscardo in due contesti degli scavi di S. Salvatore de Fondaco a Salerno (PEDUTO 1991, p. 41; TRAVAINI 1995, p. 245); a
ciò si aggiunga che le coniazioni salernitane in rame di Roberto il Guiscardo, iconograficamente fortemente influenzate da
quelle molto più antiche di Romano I, talora obliterano il conio sottostante dell’imperatore bizantino (TRAVAINI 1981, p. 140;
EAD. 1995, p. 243).
La convergenza dei dati materiali con quelli desunti dalla
documentazione scritta, consente di ipotizzare che nel Salento alcune monete bizantine del X-XI secolo siano rimaste in circolazione fino al XII secolo. È pertanto plausibile
che gli ultimi follari bizantini, quelli cosiddetti “anonimi”,
continuassero ad essere utilizzati fino all’epoca della riforma ruggeriana (TRAVAINI 1981, p. 140; GUZZETTA 1989, p.
54; MARTIN 1993, P. 470; LIBERO MANGIERI 1995, p. 39) e
forse anche più tardi.
Accanto ai pochi folles di Alessio I (1081-1118) e di Giovanni II (1118-1143) le uniche monete che, per la loro cronologia di coniazione, possono essere affluite in Terra d’Otranto
tra la seconda metà dell’XI e gli anni trenta del secolo successivo, sembrano essere i rari denari in argento e mistura giunti
dalle zecche dell’Italia centro-settentrionale (Lucca, Lombardia) e della Francia (Rouen, contea d’Angiò).
A differenza di quanto accade nelle fonti scritte della
Puglia settentrionale (CDB, V, vol. 2, p. 62, nr. 36; CDB, V,
vol. 2, p. 66, nr. 38; M ARTIN 1986, p. 88; VON
FALKENHAUSEN 1986, p. 69) in quelle salentine non si riscontra alcuna menzione delle monete lucchesi, attestate invece
sia nei contesti di scavo otrantini (TRAVAGLINI 1992, p. 262)
che in un nucleo monetale sequestrato dalla Guardia di Finanza di Lecce nella zona di Squinzano – il casale situato sul
tratto della via Appia che conduceva da Brindisi a Lecce. Di
non facile inquadramento cronologico, i caratteri del conio e
del peso dei denari enriciani suggeriscono una datazione verso la fine dell’XI o gli inizi del secolo successivo (MATZKE
1993, pp. 162-163), che concorderebbe peraltro sia con quella dei due documenti privati baresi del 1103 e 1104/8 menzionati sopra, che con il ritrovamento di due denari lucchesi
nei contesti archeologici del castello di Bari (DI CAPUA 1983,
pp. 181-189); fonti materiali e documentazione scritta avvalorano dunque l’ipotesi della presenza dei luccenses sui mercati della Puglia settentrionale nel primo decennio del XII
secolo.
Ciò nonostante, le isolate citazioni nei documenti d’archivio pugliesi e gli sporadici rinvenimenti materiali nelle
142
Grafico 1 – Distribuzione cronologica delle monete normanne, bizantine e straniere rinvenute nel Salento (1059-1158).
Fig. 1 – Moneta bizantina, normanna e straniera del XII secolo
rinvenuta nel Salento.
Autorità
Costantino X
Inizio del
regno
1059
Fine del
regno
1067
Quantità di
monete
51
Romano IV
1068
1071
61
Michele VII
1071
1078
5
Alessio I
1081
1118
8
Giovanni II
1118
1143
2
Manuele I
1143
1180
Totale
1
128
Tab. 1 – Monete bizantine della seconda metà XI-XII secolo attestate
nel Salento. I reperti che compongono la tabella, in parte ancora inediti, sono frutto di ritrovamenti effettuati ad Oria (TRAVAGLINI 1982,
pp. 22, 25-26), Manduria (ARNÒ 1920, pp. 37-124), Mesagne
(TRAVAGLINI 1990, pp. 301-302), Brindisi (COCCHIARO, MARINAZZO,
TRAVAGLINI 1990, pp. 106-108, 119, 126, 129), S. Pietro Vernotico
(TRAVAGLINI 1980-81, pp. 244-245; TRAVAGLINI 1982, p. 150), S. Donaci,
S. Foca (SICILIANO 1980, pp. 98-99), Melendugno – Roca Vecchia
(AURIEMMA, DEGASPERI, c.s.), Soleto, Martano (DEGASPERI 1999, pp. 3739), Carpignano Salentino, Giurdignano – Centoporte (DEGASPERI, c.s.),
Giuggianello – Quattro Macine (ARTHUR et al. 1996, pp. 181 ss.),
Cutrofiano, Galatone – Fulcignano, Corigliano d’Otranto, Alimini,
Otranto (TRAVAGLINI 1992, pp. 253-261), Muro Leccese, Alessano. Nella
tabella sono inoltre contemplati i materiali conservati al Museo Provinciale “F. Ribezzo” di Brindisi (NOTARIO 1997; ARTHUR 1997, p. 198).
Grafico 2 – Distribuzione cronologica delle monete normanne, bizantine e straniere menzionate nei documenti salentini (1059-1158).
Fig. 2 – Cutrofiano – Li Castelli. Mezzo follaro di Ruggero II battuto a Messina nel 1139-1140 (Scala 2:1).
città di porto o lungo le strade a lunga percorrenza, inducono a pensare che il luccensis non avesse una vera e propria
circolazione in Puglia – e nel Salento in particolare – ma
fosse destinato agli Stati Crociati, dove la moneta lucchese
godeva di una regolare circolazione (Raimundi de Aguilers
Historia Francorum). La Puglia con i suoi sbocchi sull’Adriatico – quelli di Bari, di Brindisi e di Otranto – era
infatti un’importante regione di transito, e all’epoca delle
crociate era posta al centro degli itinerari che conducevano
da Occidente ad Oriente.
Diverso doveva essere il ruolo della moneta di Rouen
all’interno della circolazione monetaria salentina. Al Museo Provinciale “F. Ribezzo” di Brindisi sono conservati
due denari d’argento dal conio rozzo e sommario del tipo
usato dai Normanni nella madrepatria (D UMAS 1979,
pp. 84 ss.). Mentre il primo (nr. inv. 5614) è attribuibile alle
ultime coniazioni di Guglielmo il Conquistatore (10861087), il cattivo stato di conservazione del secondo (nr. inv.
5613) consente soltanto una datazione generica all’XIXII secolo. A queste due monete possono probabilmente
essere associati altri due denari d’argento pressoché illeggibili e di forma tendenzialmente quadrangolare contenuti
nel nucleo di Squinzano menzionato sopra. Se si eccettuano i diciotto esemplari conservati in tre gruzzoli ed altri due
rinvenuti durante le indagini archeologiche condotte nella
143
gipsoteca e nell’ala nord del castello di Bari (SALVATORE
1978, p. 82; DI CAPUA 1983; TRAVAINI 1995, p. 370; TRAVAINI, GRIERSON 1998, pp. 415, 424 nrr. 5-7. S2), nel resto della
Puglia si segnala un solo denaro di Rouen proveniente dagli scavi di Ordona (S CHEERS 1995, pp. 327 ss.;
SCHEERS 1997, pp. 307, 371 nr. 433). Assai più numerose
sono le attestazioni di questo tipo monetale nell’area campana, dove esso ricorre prevalentemente in contesti tesaurizzati, come nei due ripostigli scoperti alla fine dell’Ottocento ad Aversa (SAMBON 1898, p. 327; DUMAS 1979, pp. 123,
126; TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 415, nrr. 3-4) e negli altri
due messi in luce nel castello ed in Via Mercanti a Salerno
(LIBERO MANGERI 1986, p. 210; LIBERO MANGIERI 1993, p.
121; TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 421, nrr. 76-77).
Le ramesinae, ripetutamente citate nella documentazione scritta pugliese (M ARTIN 1986, pp. 87-89; VON
FALKENHAUSEN 1986, p. 70) e che in seguito a molti dibattiti
sembrano potersi identificare con i denari di Rouen
(G RIERSON 1976, p. 109; T RAVAINI 1995, pp. 295-299;
TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 118; TRAVAINI 1999, pp. 116119), sono le uniche monete straniere contemplate nella
documentazione scritta salentina della prima metà del
XII secolo. Espressa col valore di 1/24 di miliarensis, la
menzione delle ramesinae o ranusinae è circoscritta a due
atti redatti ad Ostuni nel 1137 e nel 1140 (Ostuni, p. 11, nr.
IV; SGE, pp. 12-13, nr. V) ed il periodo in cui esse sono qui
attestate, concorda con quello in cui le queste monete ricorrono con maggiore frequenza nel cartolario della Puglia
settentrionale, dove dovevano fare fronte alla penuria di
metallo bianco. Il divieto di utilizzare i denari di Rouen –
che evidentemente erano giunti in Italia meridionale al seguito dei nuovi dominatori – dichiarato categoricamente
nella riforma monetaria varata da Ruggero II nel 1140
(Falconis Beneventani Chronicon, p. 249), si riflette non
soltanto nella documentazione materiale dei tesoretti baresi e campani, tutti deposti prima di tale data, ma anche in
quella scritta pugliese, nella quale le menzioni si diradano e
si esauriscono presto dopo.
Se messa a confronto con i dati della Puglia settentrionale, l’esiguità di fonti materiali e documentarie relative
alla moneta di Rouen nel Salento sembra suggerire che il
suo utilizzo fosse piuttosto limitato, ed è possibile che esso
fosse legato al passaggio dei crociati e dei pellegrini che, in
partenza verso le Terre Crociate, cambiavano in Puglia i
loro denari con altri comunemente accettati in Medio Oriente
(TRAVAINI 1999, pp. 118-119), come ad esempio i luccenses.
Tale considerazione potrebbe spiegare anche la presenza di
un denaro molto consunto attribuibile ad una zecca lombarda e di un altro della Contea d’Angiò rinvenuti negli scavi
otrantini (TRAVAGLINI 1992, p. 261 nr. 229, p. 263 nr. 257).
La presa di Bari, avvenuta per mano di Ruggero II nel
1139 (HOUBEN 1996, p. 77), e la riforma monetaria da lui
varata un anno più tardi, sembrano avere inciso in maniera
determinante sul quadro economico della regione, caratterizzato fino ad allora da un’attività commerciale impostata
probabilmente sulla circolazione della vecchia moneta bizantina, di pochi denari d’argento giunti dal Nord e sull’impiego degli scambi in natura.
Le prime monete di rame normanne che compaiono sulle
piazze salentine alla fine degli anni trenta del XII secolo sono
delle frazioni di follaro battute a Bari ed a Messina per celebrare, mediante l’iconografia con il busto di S. Nicola,
l’espugnazione della città pugliese (TRAVAINI 1993, pp. 588589; TRAVAINI 1995, pp. 291-293). Se messo a confronto con il
volume di moneta bizantina che era giunta nel Salento fino
agli inizi degli anni settanta dell’XI secolo, il quantitativo di
moneta normanna che si segnala nei contesti stratigrafici brindisi ed otrantini e, in quantità di gran lunga inferiore, in ambito
rurale, è in verità piuttosto esiguo. Gli scavi condotti a S. Pietro degli Schiavoni a Brindisi – la città che nel 1132 era stata
ceduta da Tancredi di Conversano a Ruggero II per viginti
stifatorum (Alessandro di Telese, I, 21, p. 109; HOUBEN 1996,
pp. 49, 64-65) – hanno restituito soltanto 6 frazioni di follaro
emesse dal re a Bari ed a Messina negli anni 1139-40 e 114546 (COCCHIARO, MARINAZZO, TRAVAGLINI 1990, pp. 98, 108). Analogo si presenta il panorama monetario idruntino, dove le otto
frazioni di follaro risalenti per la maggior parte al 1139-40
provengono perlopiù dalla parte insulare del Regno (TRAVAGLINI
1992, p. 262). Monete isolate dello stesso periodo si segnalano
infine in località Li Castelli (comune di Cutrofiano) (ARTHUR
1998, p. 167), a Quattro Macine ed in località Burdiano, non
lontano dal casale di Trepuzzi. Da ritrovamenti occasionali effettuati nella stessa zona proviene infine un mezzo follaro
messinese coniato nell’anno 1145-46, che trova a sua volta
riscontro in un tipo analogo rinvenuto nell’agro di Corigliano
d’Otranto (Carta 1).
Molto simile a quello salentino è il quadro monetale
della Puglia settentrionale, dove mancano tuttavia i follari
della metà degli anni quaranta. Tra le monete scoperte nel
castello di Bari sono attestate soltanto due frazioni del 11391140 coniate rispettivamente nelle zecche di Bari e di Messina (DI CAPUA 1983, pp. 181-189; TRAVAINI, GRIERSON 1998,
p. 424 nr. S2). Due follari baresi dello stesso periodo furono rinvenuti nel 1985 negli scavi svolti a Canne vicino a
Bari (COLUCCI, RUOTOLO 1987, p. 146; TRAVAINI 1995, p. 377;
TRAVAINI, GRIERSON 1998, p. 426, S8). Poco si può infine
dire circa i ritrovamenti di Lucera, dove è attestato un numero non meglio specificato di monete di Ruggero II (KENT
1966, pp. 171-178; TRAVAINI 1995, p. 380; TRAVAINI, GRIERSON
1998, p. 427 nr. S20).
L’esame del grafico 1 rende tangibile come il picco di
presenze monetali che si segnala nel decennio 1139-1148
rappresenti un fenomeno estremamente circoscritto nel tempo. Oltretutto, la data di emissione delle monete di rame
ruggeriane è concentrata in due periodi: il primo nell’anno
dell’egira 534 (1139-1140), in cui ricorrono sia monete baresi che siciliane, il secondo nel 540 (1145-1146) quando, dopo
la chiusura della zecca pugliese, giungono in Terra d’Otranto
soltanto emissioni messinesi. In entrambi i casi risulta sorprendente le presenza delle coniazioni siciliane, che in virtù
del loro valore intrinseco dovevano essere destinate a soddisfare le necessità legate a pagamenti di piccole somme ed
avere pertanto una circolazione locale. Ne è testimonianza il
fatto che le frazioni di follaro baresi non sembrano essere
attestate fuori dalla Puglia. Ed è altrettanto stupefacente la
constatazione che né gli scavi siciliani, né quelli di altre zone
dell’Italia peninsulare abbiano restituito follari con il San
Nicola battuti sull’isola. Benché la presenza di numerari enei
confermi la persistenza di contatti commerciali tra la Sicilia
ed il Salento, la circolazione delle monetine con l’effigie di
San Nicola, nelle quali non compare il nome del re, non parrebbe quindi essere legata ad una nuova fioritura dei commerci, ma piuttosto al tentativo propagandistico di Ruggero
di rendere tangibile in maniera poco invasiva, la sua affermazione di potere in Puglia dopo un periodo di difficoltà ed
anarchia (CHALANDON 1999 (1907), pp. 441 ss.; HOUBEN 1996,
pp. 63 ss.). D’altra parte, il fatto che buona parte delle monete ruggeriane sia stata rinvenuta nelle città di porto, ed in
particolare ad Otranto e nel suo immediato retroterra, e che
esse scompaiano dopo i preparativi della campagna che consentì a Ruggero di conquistare Corfù nel 1147 e di avanzare
nell’entroterra del Peloponneso (CHALANDON 1999 (1907), pp.
135 ss.; HOUBEN 1996, pp. 89-90), potrebbe essere direttamente legato alla presenza in Terra d’Otranto del re e delle
sue milizie.
Che la presenza delle frazioni di follaro ruggeriane non
sia riconducibile ad un mutamento delle consuetudini commerciali sviluppatesi all’interno della struttura feudale, pare
trovare riscontro anche nell’assenza nel Salento del ducalis,
la moneta d’argento introdotta da Ruggero II nel 1140 a sostituzione delle ramesinae. Benché si trattasse di una moneta
destinata essenzialmente al mercato pugliese, in un’economia monetaria fortemente ridotta, le ragioni di tale evidenza
144
negativa vanno probabilmente ricercate nella sua destinazione funzionale – che doveva rispondere alle esigenze di transazioni di maggiore rilievo – e trovano conforto nella presenza di ben 81 terciae ducales di Ruggero II nel tesoro di
Montescaglioso in Basilicata (CURTOTTI 1989; TRAVAINI,
GRIERSON 1998, p. 419).
Pur risalendo nei documenti salentini la prima citazione dei solidi regali al 1154 – quando ricorrono nella
formula standardizzata utilizzata per esprimere la pena da
pagarsi in caso di inadempienza del contratto (Ostuni, 33,
IV, p. 17) – e quella del ducalis al 1170 (Ostuni, p. 22, 28
XIV), quando esso era ormai uscito di produzione, la riforma di Ruggero dovette sortire qualche effetto sul panorama monetario salentino. Dopo il 1140 scompaiono infatti i riferimenti alle ramesinae ed il numero di menzioni
di moneta bizantina, pur non esaurendosi quasi fino alla
fine del XII secolo, diminuisce drasticamente dopo tale
data (Grafico 2).
È ragionevole pensare che le severe disposizioni date
da Ruggero in materia di circolazione della moneta straniera nel Regno, non influissero soltanto sull’afflusso dei
denari stranieri, ma anche sull’utilizzo della vecchia moneta costantinopolitana. Questa considerazione induce a
riflettere anche sull’afflusso dei denari di Melgueil (11341222) e di quelli di Provins in Champagne battuti da
Tebaldo I (1152-1160) e da Enrico I (1152-1160)
(TRAVAGLINI 1982, p. 26 nr. 12; EAD. 1992, p. 263 nrr. 258259; Alezio, S. Donaci, Squinzano, Museo Provinciale “F.
Ribezzo”). Nonostante che il loro periodo di coniazione
concordi con l’epoca ruggeriana, i provisini non sembrano avere raggiunto il Salento prima degli anni ottanta del
XII secolo, quando compaiono ripetutamente nelle carte
della Terra d’Otranto (SGE, pp. 25-26, nr. X; Ostuni, p.
23, 64 IX, p. 25, 74 XV; CDBr. 1, p. 43, nr. 22). Inoltre,
degli otto denari di Provins attualmente documentati nel
Salento, l’unico rinvenuto in scavo proviene da un contesto otrantino degli inizi del XIII secolo. I denari di Melgueil
non sembrano invece essere contemplati nella documentazione scritta salentina, ma la loro menzione in un atto di
compravendita redatto a Monte Sant’Angelo nel 1185
(SLS, p. 62, nr. 97; cit. in MARTIN 1986, p. 93) consente di
ipotizzare un periodo di circolazione in Puglia analogo a
quello dei provisini.
Al di là delle ipotesi esposte sopra, allo stato attuale
degli studi, il problema sulla circolazione della moneta
bizantina nel Salento dopo il 1140 è destinato a restare
insoluto. È tuttavia molto probabile che, pur non scomparendo del tutto dalle piazze salentine, il flusso dei vecchi
folles bizantini subisse una decisa flessione, lasciando in
tal modo maggiore spazio agli scambi in natura, secondo
una prassi del resto attestata anche in precedenza nella
documentazione scritta brindisina (CDBr. 1, p. 26, nr. 14,
S. Maria Veterana, 1133). Fatta eccezione per il breve periodo che intercorre tra la caduta di Bari e la campagna
greca di Ruggero II, il Salento sembra essere caratterizzato non soltanto dall’assenza di emissioni normanne, ma
da una generale penuria di circolante metallico, che se da
un lato può essere letta nel quadro di una circolazione basata sulla vecchia moneta bizantina e sullo sporadico afflusso di monete straniere, deve essere inserita in un contesto di riorganizzazione dell’apparato amministrativo e
della struttura rurale che dovette avere luogo con l’affermazione del dominio normanno in Italia meridionale; il
circoscritto uso di metallo monetato, che si protrasse sostanzialmente fino ai primi decenni del XIII secolo, può
pertanto essere inteso come effetto di un’economia monetaria fortemente ridimensionata, che trova la sua massima
espressione nelle aree rurali dove, in virtù dei rapporti intercorrenti tra i signori e la popolazione contadina – che
ora aveva perso buona parte dei propri diritti sui frutti della
terra – poteva essere sostituita da prestazioni d’opera e
pagamenti in natura (TRAVAINI 1995, p. 93).
RINGRAZIAMENTI
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare vivamente i Proff.
P. Arthur, A. Travaglini e H. Houben dell’Università degli Studi
di Lecce, relatori della mia tesi di Specializzazione dalla quale ho
preso spunto per questo lavoro. I miei più vivi ringraziamenti vanno inoltre ai Proff. F. D’Andria e C. Pagliara, che mi hanno gentilmente messo a disposizione i materiali degli scavi di Otranto e
di Roca Vecchia, ed alla Dott.ssa A. Cocchiaro della Soprintendenza Archeologica della Puglia che mi ha consentito di studiare
i reperti numismatici conservati presso il Museo Provinciale “F.
Ribezzo” di Brindisi. Un ringraziamento va infine alle Dott.sse
B. Bruno, R. Auriemma e V. Melissano che mi hanno agevolato
nello studio dei reperti attualmente conservati presso i laboratori
del Dipartimento Beni Culturali dell’Ateneo leccese, al maresciallo
A. Caldarola della Guardia di Finanza di Lecce, grazie al quale
ho potuto prendere visione delle monete sequestrate a Squinzano,
ed a tutti i privati che, con la massima disponibilità, mi hanno
voluto mettere al corrente del ritrovamento occasionale di reperti
numismatici.
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